ph. Paritani
3| SOMMARIO 5 EDITORIALE Na mocia ad cozli ad purazi
10 NOTIZIE E DINTORNI Goodbye Corderia il saluto degli amici
12 PAGINE DI STORIA Una Stella della Belle Époque
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La Piattaforma della Stella d’Italia 18 STORIA DEI LOCALI E DEL DIVERTIMENTO La pellicola della nostra vita La ‘casa’ delle danze storia di una ‘Balera’ 26 VOLTI E STORIE Sull’onda di un’epoca ‘pirata’ A briglie sciolte con l’amico di Enzo e Lucio
Vis a Vis periodico semestrale Anno V - N.8 AGOSTO 2016
L’ora dolce della merenda • Supplemento a Il Ponte n.30 del 07/08/2016 a cura dell’associazione L’Ippocampo Viserba Laboratorio Urbano della Memoria tel. 0541 735556 info@ippocampoviserba.it www.ippocampoviserba.it
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Visibile e invisibile le realtà racchiuse nel Simbolo
• Editore: Confraternita Maria SS. Ausiliatrice di Santa Croce di Rimini
54 DELLE ARTI E DEI MESTIERI
• Progetto creativo, contenuti culturali, servizi e foto d’epoca: Associazione Culturale L’Ippocampo Viserba Presidente: Pierluigi Sammarini
• Caporedattore: Maria Cristina Muccioli
42 LUOGHI DEL CUORE Buone nuove fra tradizione e innovazione
• Direttore responsabile: Giovanni Tonelli
• Direttore editoriale: Marzia Mecozzi AUDIO TRE s.r.l. Rimini
Piccoli passi sulla via XXV marzo
I trattaroli della squadra di ‘Nandi’ Una passione per capello
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• Responsabile commerciale: Ruggero Testoni • Fotografi: collezioni archivio L’Ippocampo, Foto Alfredo, Nicola Sammarini • Progetto grafico e impaginazione: Rosalia Moccia AUDIO TRE s.r.l. Rimini • Hanno collaborato: Vincenzo Baietta, Chiara Bernardi, Sara Ceccarelli, Roberto Drudi, Maria Marzullo, Manlio Masini, Marzia Mecozzi, Maria Cristina Muccioli, Francesco Protti Pierluigi Sammarini, Ruggero Testoni • Stampa: La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio s.r.l. • Chiuso in redazione il 29/07/2016
PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ A SUPPORTO DELLA RIVISTA E DELL’ASSOCIAZIONE L’IPPOCAMPO COMMERCIALE: 338 2341277
In copertina:
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Ilario Severini Fernanda Ciglio Gianni Fiori Guerriero Bernardi Silvia Fabbri Gilberto Zangheri Giancarlo Lucchini Arnaud Bucci Francesco Protti
L’IPPOCAMPO
SHOW ROOM via Curiel, 42 - Viserba di Rimini (RN) tel. e fax 0541 738573 - info@navacchi.it SHOW ROOM via Madonna dello Schioppo, 40 - Cesena (FC) tel. e fax 0547 381472 - info@navacchi.it PRODUZIONE via dell’Arte, 15 - Santarcangelo di Romagna (RN) tel. 0541 622880 - fax 0541 1831299
5| EDITORIALE
Na mocia ad cozli ad purazi Sono passati quasi quattro anni dalla nostra prima pubblicazione e siamo già al numero otto di ‘Vis a Vis’. Credetemi, per noi dell’associazione L’Ippocampo è veramente una cavalcata impegnativa quanto meravigliosa! La vongola romagnola è forse l’archetipo della raccolta spontanea dei frutti della terra, in questo caso del mare, per noi e per i nostri avi. Ancora oggi, chi frequenta le nostre spiagge può osservare come turisti e residenti si apprestino, fin dalle prime luci dell’alba, alla raccolta, aspettando l’arrivo della marea che, acquistando metri preziosi di battigia, viene a rinfrescare le vongole che si affacciano al mare, filtrando l’acqua per alimentarsi. Lì, pronto, il pescatore provetto, con le dita le raccoglie e le va a riporre dentro un secchiello o dentro un sacchetto di fortuna, fino a garantirsi la mangiata di uno splendido spaghetto alle vongole... È una ricerca che nasce dalla curiosità, affascinati dalla sorpresa della natura che si manifesta nella sua nobile faccia, del frutto della natura che assaporiamo come fosse una chicca di nettare degli dei marini, di un Nettuno magnanimo per tutti. E che gioia vedere un bimbo che ne scopre l’esistenza o un anziano che ne ripropone il rito a ogni stagione propizia! Ma allora, sulle nostre spiagge, c’è questa meravigliosa ricchezza? Certo! E non solo sulla riva del mare; c’è un tesoro in ogni angolo di città che custodisce storie e racconti semplici, nobili e unici, esclusivi e raffinati al tempo stesso. Questo rito atavico, rappresentato dalla raccolta e dalla ricerca, si manifesta, nel quotidiano, nella voglia di scoprire e identificare i protagonisti in una foto, in un disegno o in una poesia dialettale; sono tutte iconografie che esplicano il gesto della raccolta (come quello della poveraccia) nel rispetto di quel passato che nobilita il presente e qualifica la Romagna pescaiola. Anch’esso rappresenta la voglia di essere curiosi protagonisti, tra gli altri, della manifestazione della nostra identità, fatta di storia, architettura balneare, tradizioni e luoghi dimenticati, e di valorizzazione di ciò che, pur apparendo banale, in realtà è una caratteristica di esclusività. Allora, ben vengano le opportunità di incontri, rappresentazioni e rievocazioni del passato che servono a far riscoprire al giovane il senso di appartenenza alle proprie origini, che vedono in vele al terzo, pesca alla tratta, cene romagnole, danze tipiche e feste estive alcuni strumenti per esprimere il non ovvio della vacanza, il dolce aspetto fascinoso delle nostre terre che, oltre ad un aperitivo in serata o a un caffè al bar in compagnia, rendono la nostra terra un’opportunità di avere sempre in mano qualche conchiglia da scoprire e aprire e non gusci vuoti. La nostra ‘raccolta’ di questo ottavo numero di ‘Vis a Vis’, che intende mettere in luce i luoghi del divertimento e dell’intrattenimento che hanno fatto la storia del territorio di Rimini Nord, vi propone un assaggio che, come un bel piatto di spaghetti alle vongole, va dal primo albergo Stella d’Italia con la sua piattaforma per ballare sotto le stelle, passando per La Sirenetta nelle sue diverse epoche, per i tanti cinema che oggi non esistono più… . Fino alla radio Onda Libera che trasmetteva proprio da Viserba. E poi, come sempre, tantissimi volti e tantissime storie. Di spiaggia, di piazza, di amicizia, di prodotti locali, di cibi gustosi e di luoghi indimenticabili. Buon divertimento e buon appetito! Pierluigi Sammarini - presidente associazione L’Ippocampo
6| NOTIZIE E DINTORNI “VISERBA... (perduta?!) ...nel tempo”
Spettacolo suggestivo quello che si è tenuto a fine anno scolastico presso il Centro Edimar curato e organizzato dalla terza D dell’istituto comprensivo “E. Fermi” di Viserba, con una platea stracolma di amici, genitori e curiosi. Dopo una trepida e si-
lenziosa attesa, un fischio da capostazione ha rotto il silenzio catturando l’attenzione. Ed è iniziato lo spettacolo, fatto di un susseguirsi di scene ben costruite, sul fondale di fotografie d’epoca, con stralci letterali e teatrali esposti e declamati da provetti
commedianti. I ragazzi, splendidamente coordinati dagli insegnanti con, in testa, il Professor Lucio Rossi, rigorosamente agghindati con abiti d’epoca trovati negli armadi di qualche nonno, hanno portato in scena il racconto della nascita di Viserba, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Alla fine della rappresentazione il pubblico ha potuto scoprire che la fonte che ha ispirato tale opera è la lettura e lo studio dei testi del sito dell’Ippocampo Viserba e degli articoli pubblicati sui numeri del magazine “Vis a Vis”. Il presidente dell’Associazione L’Ippocampo Pierluigi Sammarini, presente alla serata, ha manifestato al Professor Rossi, coordinatore della splendida rappresentazione, soddisfazione e riconoscenza per la bellezza, la leggerezza e l’approfondimento che i ragazzi hanno saputo trasmettere, esempio di dedizione e vivacità, alla storia locale.
reparto grafico con plotter digitali e da taglio, “il Mago” è in grado di realizzare decorazione di automezzi, cartelli pubblicitari, striscioni in pvc, stampe di grande formato nei più svariati materiali. La grande versatilità permette di scegliere fra le varie tecnologie quella che, per costi e qualità di lavoro, è più adatta alle richieste e alle esigenze del cliente o del mercato. “Il Mago” fornisce all’industria:
produzione di pannelli in policarbonato, targhe e targhette in alluminio, etichette ecc… Collabora con gli studi pubblicitari, per la realizzazione di adesivi, vetrofanie, magliette, gadget, ecc... Realizza inoltre calendari, penne, agende, oggettistica pubblicitaria in genere per i regali di fine anno o per campagne pubblicitarie. info@serigrafiailmago.com www.serigrafiailmago.com
Serigrafia il Mago Fra gli amici che sostengono la pubblicazione di “Vis a Vis” c’è la serigrafia “il Mago” nata nel 1981 da un gruppo di professionisti che, dal piccolo laboratorio di via Marecchiese, assorbì la vecchia serigrafia “Eco” stabilendosi nella storica sede di quest’ultima, in via del Capriolo al civico 2, zona Grotta Rossa dove tuttora opera. Oggi, al passo con le più moderne tecnologie, la serigrafia ha aperto un reparto di tampografia con stampe su qualsiasi superficie e per la produzione di oggettistica pubblicitaria. Dotata di una modernissima linea di stampa automatica che permette alti livelli di produzione per essere sempre più competitivi in termini di costi e tempi di lavorazione, “il Mago” si propone anche come collaboratore di tipografie e litografie nella realizzazione di lucidature parziali ad U.V. anche in grosse tirature. Grazie a un attrezzato
Precisazione e errata corrige Abbiamo ricevuto la lettera della signora Isabella Tognacci che, in riferimento all’articolo su “Vis a Vis” giugno 2015 “Una eredità di opere e ricordi” dedicato a Nazzareno Tognacci, desidera fare alcune precisazioni su dati inesatti. Doverosamente pubblichiamo quanto richiestoci. Aggiunge anche le storie di suo padre Antonio Tognacci e di sua zia Gina, che potranno essere eventualmente oggetto di narrazione in un prossimo futuro. L’articolo in questione, come detto, era dedicato a Nazzareno. Seguono le parti della lettera a precisazione di quanto da noi scritto. Stim.mo Signor Presidente In riferimento all’articolo (su Vis a Vis giugno 2015) “Una eredità di opere e ricordi”, come figlia di Antonio Tognacci e nipote di Sante e di Gina Tognacci sono a chiedervi di voler collaborare onde puntualizzare, innanzitutto, dati inesatti che li riguardano.(…) 1) Sante Tognacci, nella forma dialettale “Sintin” (e non “Santoz”) acquistò nell’anno 1916 da un fratello la casa (costruita nel 1911) di via Bologna angolo via Mazzini fronteggiante il vasto Lavatoio Pubblico coperto: pertanto a Viserba la mia famiglia risulta presente in tale data. 2) Mio padre Antonio Tognacci (essendo il primogenito) nacque il 24 ottobre 1905 (e non 1909). 3) la zia Gina Tognacci, secondogenita, nacque il 22 gennaio 1909 (e non 1906) (…) Quanto alla affermazione che “la casa dei Tognacci era frequentata da personaggi famosi” sono a chiarire, anzi a rivendicare per rispetto dei fatti e della verità che gli illustri nomi citati appartengono unicamente alla onorabile cerchia di amicizie del tutto personali di mio Padre Antonio Tognacci e non genericamente “frequentatori” della casa dei Tognacci (salvo il secondo ed il terzo citati, per mio Padre esclusivamente rispettose conoscenze).
“Vis a Vis” 7 febbraio 2016 In merito all’articolo “Ricordi scolpiti e memorie di amici” a pagina 33, Piero Bagli Guardigli il 10 agosto del 1932 partì dalla spiaggia di Viserbella e non di Viserba come riportato.
8| NOTIZIE E DINTORNI In vacanza con gli amici
Se siete in vacanza in questo territorio con il vostro amico a quattro zampe, ecco qualche consiglio utile al suo benessere. Particolare cura va riservata all’alimentazione: adeguata, semplice e sostanziosa, deve essere somministrata a intervalli regolari. È necessario fare molta attenzione che sia ricca di tutte le vitamine indispensabili al fabbisogno giornaliero. Bisogna sfatare la convinzione che il cibo preparato in casa sia la migliore e più sana dieta per il nostro cane, oltre alla grande
complessità nel bilanciare e nell’inserire tutti i nutrienti necessari, occorre sapere che la cottura altera le proteine, le vitamine, i minerali, gli enzimi e i grassi presenti nel cibo. Questa alterazione, se da un lato può rendere alcuni alimenti più biodisponibili, può sottrarne altri, ma la cosa peggiore consiste nel fatto che trasforma i grassi in sostanze cancerogene e tossiche. Le proteine cotte possono essere alterate al punto da causare reazioni allergiche, perciò è possibile che, se il cane manife-
sta forme di allergia, siano dovute ad un alimento cotto. Il cibo cotto è carente di vitamine, minerali ed enzimi perché il calore prolungato le distrugge o le altera quasi del tutto, e questo rende difficile la loro assimilazione nel tratto gastrointestinale, e tutto quello che non si assimila diventa un rifiuto o una tossina e il corpo deve faticare per sbarazzarsene! Non poche difficoltà si riscontrano quando si decide uno spostamento per le vacanze: vanno bene alberghi e spiagge dedicate, ma non dimentichiamo l’importanza di un apparato complementare che, all’occorrenza, fornisca servizi a tutto tondo. A Viserba, in via Beltramini n. 47- Carlo Buscema ha aperto, da circa un anno, un grande e fornitissimo negozio “il Re Leone Pet Shop” dedicato alla cura e all’alimentazione dei nostri più fedeli amici, con prodotti selezionati delle migliori marche (se non trovate ciò che desiderate vi verrà procurato in brevissimo tempo), forniture e consegne a domicilio da concordare, toelettatura, piscina per cani con area snack, fidelity card e tanto altro. Vale la pena una visita e una chiacchierata. Sicuramente non rimarrete delusi.
Cattolica Assicurazioni, la tradizione come trampolino per innovare
zione strategica, facilmente raggiungibile anche in auto. Ma, soprattutto, un’esperienza pluriennale che rassicura. Manuela Bernardi e Marco Bernardi - stesso cognome, nessuna parentela – da oltre trent’anni si occupano della nostra tutela con grande professionalità. Manuela inizia a conoscere il settore già nel 1980, presso il LLoyd Adriatico di Rivazzura. Dopo qualche anno di gavetta, acquisite solide basi, decide di aprire una propria sub-agenzia assicurativa col marchio Lloyd Adriatico (ora Allianz) nel centro di Viserba, in piazza Pascoli, dove rimane fino al 1995 accrescendo poco alla volta un’affezionata clientela di concittadini. Proprio per questo arricchimento del portafoglio di clienti e nella
prospettiva di ulteriore crescita, nel 1994 nasce l’esigenza di farsi affiancare da un altro professionista. La soluzione è a portata di mano, in un altro ufficio della piazzetta Soldati. Il nuovo socio, dal 1984 titolare di un’Agenzia di Pratiche Auto e Subagente dell’Assicurazione Ausonia, è infatti il viserbese Marco Bernardi. Insieme, passo dopo passo… La subagenzia cresce e cambia sede. Prima si sposta a metà di via Polazzi; poi nella stessa via, ma vicino al passaggio a livello. Infine, nel 2002, in via Mazzini. Questo trasferimento coincide col passaggio da Sub-agenzia Lloyd ad Agenzia Generale della Cattolica Assicurazioni (4° gruppo in Italia per raccolta premi), di cui ancor oggi sono entrambi Agenti Generali.
I due agenti assicurativi della Cattolica Assicurazioni, Agenzia Generale di Viserba, ci accolgono nel luminoso ufficio di via Mazzini, di fronte al sottopasso pedonale che porta alla stazione ferroviaria. Posi-
“Quando si ama un lavoro e lo si fa con passione e onestà intellettuale, – spiegano Manuela e Marco – si vedono anche tanti problemi che bisogna affrontare quotidianamente. Burocrazia, immobilismo, difficoltà nella comunicazione. Spesso il lavoro dell’assicuratore viene giudicato dal prezzo, dal ‘quanto costa’, ignorando altri parametri ben più importanti: precisione, puntualità e disponibilità ad andare incontro al cliente. Cioè, un’assicurazione può anche essere conveniente, ma se quando hai bisogno devi parlare con tre o quattro persone diverse… In Cattolica il rapporto diretto col cliente è al primo posto, come si faceva una volta.” Oggi il team di Cattolica Assicurazioni comprende anche la segretaria Mary e due collaboratori/produttori: Davide (figlio di Manuela) e Pierluca.
10| NOTIZIE E DINTORNI Goodbye Corderia il saluto degli amici Sabato 12 marzo al Centro Edimar (parrocchia della Sacramora) un grande convivio di amici ha reso omaggio alla ex Corderia di Viserba. La serata, promossa e organizzata dall’associazione L’Ippocampo in collaborazione con i ragazzi della sezione Ci.Leggo del Ci.vi.vo Viserba, ha inteso essere un ultimo saluto alla ‘Fabbrica’ in vista dei lavori per il recupero dell’area e della successiva realizzazione del progetto che vedrà la superficie di settantasettemila metri quadrati affacciata su via Marconi impiegata parte a uso residenziale, commerciale e direzionale e parte ad uso pubblico con verde attrezzato. Cambia la geografia di questa zona di Rimini Nord e di un paesaggio che, anche questo, appartiene ormai solo alla memoria, dove la grande struttura industriale nata a metà Ottocento, era stata motore della nascita e dello sviluppo di Viserba, poi campo di smistamento dei prigionieri durante la seconda guerra mondiale e infine rovina avvolta nel fitto della vegetazione. Considerata dai viserbesi parte del patrimonio della collettività alla stregua di un vero e proprio monumento, la serata l’ha ricordata per immagini, racconti, letture, testimonianze, grazie alle immagini di repertorio dell’Ippocampo, alle belle fotografie della mostra “AmarCorderia” a cura di Gabriele Bernardi e Simone Mariotti e alle immagini della mostra “Spiriti di Olimpia” dello Studio Paritani Rimini. Numerosissimi, come sempre, i concittadini presenti. Sono intervenuti, inoltre, il professor Manlio Masini, giornalista
11| NOTIZIE E DINTORNI
Nella pagina accanto, il convivio del 12 marzo; La locandina dell’evento dell’Ippocampo; sotto, Silvia Fabbri, Federico Ghinelli, e Ilaria Berardi In questa pagina, in alto a sinistra, Letizia Neri a destra, l’architetto Pierluigi Sammarini sotto, Gabriele Bernardi
e studioso del territorio, l’avvocato Roberto Biagini, il presidente della Camera di Commercio di Rimini Fabrizio Moretti e un gruppo di neolaureati che della Corderia hanno fatto motivo di studio tanto da realizzare sul tema le proprie tesi di laurea, copia delle quali sono state donate all’associazione Ippocampo, laboratorio della memoria, che ha fra i suoi scopi la salvaguardia e la valorizzazione della storia e della cultura del territorio di Rimini Nord. Dopo i saluti del presidente dell’Ippocampo Pier Luigi Sammarini e un’introduzione di benvenuto curata
dal socio Roberto Drudi, la cena è iniziata. Lo stupore e la curiosità degli astanti è stata notevole quando il suono di una sirena, come era solito avvenire in fabbrica ad inizio e a fine lavori, ha catturato l’attenzione di tutti introducendo gli interessanti interventi dei ragazzi del Ci.Leggo che hanno letto brani tratti dai testi di Alessandro Serpieri, Elio Biagini ed Enea Bernardi. Il tutto accompagnato da una terza voce narrante, quella del professor Vincenzo Baietta, memoria storica di Viserba e Viserbella e socio dell’Ippocampo. Effetti speciali (suoni e luci) a cura
di Claudio Cit. La cena è stata un’ulteriore occasione di coesione sociale dei cittadini che si sono ritrovati insieme, con uno spirito non nostalgico, bensì fiducioso nel futuro della Corderia e della comunità in un clima all’insegna della convivialità.Uno degli aspetti che ci piace qui sottolineare è il patto generazionale; giovani e meno giovani hanno lavorato insieme per la bella riuscita dell’evento, accomunati da un sentimento comune: non perdere la memoria del ‘mito’ Corderia. (di Maria Marzullo)
12| PAGINE DI STORIA
Una Stella
della Belle Époque di Manlio Masini | foto collezione Vigolo, archivio L’Ippocampo
«Grazie alla sua “Stella”, Viserba entra sotto i riflettori delle cronache rosa e il soggiorno dei bagnanti comincia a tingersi dei colori della vacanza».
Con l’inizio del Novecento Viserba si propone come luogo di “villeggiatura” tranquillo ed economico, adatto soprattutto per le famiglie. All’infuori della spiaggia, la frazione non offre attrattive e la giornata del bagnante si esaurisce interamente in riva al mare; qui, a rendere più sopportabile la calura, ci si arrangia con la conversazione sotto la tenda, la passeggiata sulla battigia e il bagno che si può fare in assoluta libertà, dato che l’arenile non è diviso in zone maschili e femminili come a Rimini. Per vincere la noia, di tanto in tanto, si spezza la mattinata con qualche gita in barca e il pomeriggio
con una camminata fino alla stazione ferroviaria ad aspettare l’arrivo del treno e a curiosare sulla gente che scende. La sera ci si riposa dalle “fatiche” della giornata rintanandosi in casa. Svaghi semplici, un po’ sonnolenti, da piccola località periferica quale è Viserba, in questo inizio di secolo, ben diversi da quelli del capoluogo, dove sfarzosi scenari consentono di assaporare sofisticate “piacevolezze”1. A portare una ventata di belle époque nella piccola borgata riminese provvede, nell’estate del 1902, l’apertura della Stella d’Italia, primo albergoristorante con salone predisposto
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per le danze. In questo ambiente, al suono di deliziose orchestrine si balla tre sere alla settimana: il martedì, il giovedì e il sabato2. Il successo del locale, di proprietà dei fratelli Turci, è immediato. E grazie alla sua “Stella”, Viserba entra sotto i riflettori delle cronache rosa e il soggiorno estivo comincia a tingersi dei colori della vacanza. I giornali, sempre attenti alle novità del lido, parlano di festicciole con «gran concorso di forastieri e di riminesi». Oltre che per il ballo, l’albergo-ristorante si afferma anche come punto d’incontro per «banchetti d’addio». È qui, tra un brindisi e l’altro, che termina la villeggiatura, ed è sempre qui che ci si ritrova per progettare le più amabili serate della bella stagione3. Nel salone della Stella d’Italia – al centro del quale zampilla un’incantevole fontana – trovano spazio tutte le manifestazioni ricreative, anche quelle dedicate ai bambini. Memorabile la festa del 20 agosto 1906: i giornali, dopo averla descritta nella sua travolgente baraonda, si stupiscono di come il fotografo Trevisani sia riuscito a immobilizzare su «lastra fotografica» un indiavolato gruppo di fanciulli con in mano tante «bandierine ricordo»4. A partire proprio dall’estate del 1906 la pista di ballo dell’albergo-ristorante Stella d’Italia, «condotto amorevolmente dal sig. Sani di Ferrara», è attiva tutte le sere. Il martedì e il sabato i trattenimenti risultano più “animati” del solito per la massiccia presenza dei bagnanti e «si protraggono fino a tarda ora». Nelle pause di queste intriganti maratone, il soprano Irene René, accompagnata al piano da Alberto Mazzolini, delizia i presenti «cantando con arte scelti pezzi d’autore»5. Artefice di queste memorabili serate, che si svolgono «col
migliore accordo della colonia bagnante numerosa e varia e dei loro ospiti», è il conte Cesare Merenda, un forlivese proprietario di un villino sul litorale; lo affianca nell’organizzazione Carlo Garavaglia, fratello del consigliere di amministrazione della SMARA (società che gestisce l’industria balneare riminese)6. È merito di questi due anfitrioni se a Viserba, come scrive il “Gazzettino Verde” il 26 agosto 1906, «non regnano più la musoneria e la noia». Quando valzer, mazurche, polche
Nella pagina a fianco, l’albergo caffè ristorante Stella d’Italia in un’immagine dei primi del Novecento; dietro al gruppo si intravedono le cabine sulla spiaggia In questa pagina, sopra, una foto che rappresenta la piazza del mercato a Viserba; sotto, una vista dell’albergo Stella d’Italia dalla litoranea
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e quadriglie tacciono, nella sala della Stella d’Italia si ascoltano in religioso silenzio i concerti vocali e strumentali, le accademie e i monologhi interpretati da fini dicitori7. Nel 1907 la Stella d’Italia cambia sede trasferendosi in un nuovo edificio a ridosso della spiaggia, adiacente alla strada litoranea. L’albergo, sempre dei fratelli Turci ma condotto da Luigi Sabbioni proprietario del ristorante Eden di Ferrara, è munito di tutti i comfort moderni e – stando a quanto riferiscono i periodici del solleone – non è da meno rispetto ai più rinomati hotel di Rimini: 42 letti; camere comode, pulite, eleganti, dotate di acqua corrente; bagni «come si conviene»; un servizio scelto e accurato; grande sala per restaurant e caffè; salone per danze e concerti e, dulcis in fundo, una graziosa piattaforma di legno sulla spiaggia a contatto con il mare dove al fresco alitare delle brezze si chiacchiera, si gioca a carte, si ascolta il concertino e … si balla. Una trovata molto azzeccata, che riscuote il plauso dei villeggianti8. Nel periodo di carnevale, la pista della Stella d’Italia torna ad animarsi con i “veglioni”. Da “La Riscossa” del 20 febbraio 1909 il resoconto di una di queste “sudate” con la partecipazione di tanti viserbesi doc.: «Giovedì sera nel salone dell’Hotel Stella d’Italia, riccamente addobbato e sfarzosamente illuminato, si tenne una veglia danzante riuscitissima per il numero degli intervenuti, per la perfetta allegria che vi regnò e per il sontuoso buffet. Notammo le famiglie: Gamberini, Minguzzi, Urbinati, Viroli, Turci, Rossi, Rinaldi, Tommasini, Zanotti, Bernardi (Domizio), e le signorine Pallareti e Perdicchi. Le danze si protrassero sino alle 6 del mattino. Direttore della festa il bravo
e infaticabile Peppino Franchini. Una lode sincera agli organizzatori». Con il passare delle stagioni, Viserba assume sempre più l’autorevolezza del piccolo centro balneare: ha un centinaio di villette e un arenile affollato di bagnanti e pieno di cabine, tende e ombrelloni; il mare durante le ore più calde «formicola di gente» che nuota e si agita tra mosconi, pedalò e barche; possiede inoltre quel dolce e invidiabile «gorgogliar dell’acqua fina, limpida, fresca, zampillante» che fuoriesce da decine e decine di fontane e che porta quella nota di frizzante allegria che dà il tono alla “stagione
dei bagni”. «Martedì scorso – chiosa il redattore del “Gazzettino Verde” il 28 luglio 1907 – mi sono recato alla Viserba, la nostra più vicina stazione balneare, e sono rimasto veramente ammirato dello sviluppo che, in tempo così breve, ha completamente trasformata quella piccola parte di spiaggia da renderla ora un gradito luogo di convegno a cui concorrono da ogni parte i bagnanti ed i gaudenti». E proprio per andare incontro alle esigenze dei “gaudenti”, di anno in anno aumentano i locali pubblici e la vacanza diviene sempre più vivace. All’albergo Stella d’Italia si è aggiunto l’Albergo Prin-
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cipale, di proprietà di Marino Viroli, condotto con tanta professionalità da Ubaldo Paci9. Dal 1906, inoltre, in una villa nei pressi della stazione ferroviaria, è attivo un club gestito dal signor Scalognini; i giornali informano che in questo ritrovo c’è tutto «il comfort desiderabile: libri, giornali, riviste e persino il bigliardo». L’intento del conduttore è «di riunire nelle vaste ed eleganti sale tutto il fior fiore della colonia bagnante»10. Anche le attività commerciali si adeguano al clima innovativo che aleggia in questo «gradito convegno balneare». Il “Gazzettino Verde” del 28 luglio 1907 segnala «il bel negozio di Gualtiero Turci, fornito completamente di ogni grazia di Dio: farine, oli, paste alimentari, finissimi generi di salsamenteria, caramelle, droghe, liquori e vini»; la pasticceria di Guerrino Turci, «bene fornita di dolci e di paste di ogni specie»; l’emporio di Primo Zanotti, dove si trova di tutto: «dalle ferramenta alle cartoline illustrate, dai giocattoli pei bimbi alle pentole per le cuoche, dai costumi da bagno alle vernici ad olio, dalle profumerie ai vetri bianchi e colorati»; lo spaccio di Raffaele Tommasini, che oltre alle sigarette ha «un completo assortimento di ottimi vini e generi di salsamenteria e la rinomata Birra Spiess». A partire dal 1908 la Stella d’Italia, pur continuando ad essere un punto di riferimento per i villeggianti che amano abbinare le delizie della spiaggia alle distrazioni notturne, perde il suo primato nella classifica delle “divagazioni salottiere” surclassato dal Circolo dei bagnanti. Ma delle raffinate “follie” di quest’altro “santuario” del divertimento balneare ci occuperemo un’altra volta11.
Note 1) Cfr. Manlio Masini, La stagione dei bagni, Rimini nelle cronache della belle époque, Maggioli 1986. 2) Cfr. “L’Ausa”, 12 luglio 1902. 3) Cfr. “L’Ausa”, 9 agosto 1902. 4) Cfr. “Gazzettino Verde”, 29 agosto 1906. 5) Cfr. “Gazzettino Verde”, 1 luglio 1906; 29 luglio 1906; 8 agosto 1906; 26 agosto 1906. 6) Ibidem. 7) Cfr. “Gazzettino Verde”, 1 luglio 1906. 8) Cfr. “Gazzettino Verde”, 23 giugno 1907; “Il Nautilo”, 7 luglio 1907, 14 luglio 1907. 9) Cfr. “Gazzettino Verde”, 23 giugno 1907. 10) “Gazzettino Verde”, 8 luglio 1906. 11) Cfr. Manlio Masini, Viserba nelle cronache della Belle époque. I primi passi di “un piccolo centro balneare celebre per i suoi villini, la spiaggia morbida e vellutata e l’acqua potabile abbondante e fine”, Panozzo Editore, 2001.
In queste pagine, l’albergo Stella d’Italia visto dalle diverse direzioni: in alto, a destra, dal mare e dalla villa accanto; qui sotto, dalla litoranea
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La Piattaforma della Stella d’Italia di Manlio Masini | foto collezione Vigolo, archivio L’Ippocampo
Nel 1907 la graziosa “balconata” sulla spiaggia a contatto con il mare diviene il ritrovo più “in” della “bagnatura”.
Grazie ai fratelli Turci e all’intraprendenza di Luigi Sabbioni, proprietari e gestore della Stella d’Italia, nell’estate del 1907 anche la piccola Viserba si correda di una graziosa piattaforma sulla spiaggia a contatto con il mare1. Le cronache balneari la descrivono sempre piena «di allegre fanciulle e di baldi giovanotti votati al ballo». È il salotto buono dell’estate, il ritrovo più “in” della “bagnatura”, dove si balla a tutte le ore ai ritmi di «deliziose orchestrine». Soprattutto la domenica sera questa balconata di legno aperta sul mare, sempre «gaiamente illuminata», si riempie di villeggianti e le danze si protraggono fino alle ore piccole. «È una vera ressa, – dice il cronista – una baraonda di fulgidissime dame!». Tra i più originali trattenimenti, allestiti sulla Piat-
taforma della Stella d’Italia, ci piace richiamare quello di domenica 14 luglio 1907. «Fu una festa simpaticissima, – riferisce il “Gazzettino verde” il 21 luglio – una festa piena di vita e di brio. Una folla di belle ed eleganti signorine, alle quali il caldo dava ben poco fastidio, ha ballato e ballato animatamente fino all’una. La Piattaforma, tutta coperta e adornata con variopinti palloncini, era rallegrata da una scelta orchestra di Rimini e presentava un aspetto lieto, mentre una lieve e dolce brezza marina portava il profumo del nostro mare, così bello e delizioso». Splendido e «riuscitissimo» anche il gran galà di domenica 11 agosto promosso dal Comitato Pro Viserba a favore dell’istituzione del salvataggio in mare e condotto con signorile spigliatezza dal conte
Cesare Merenda e da sua moglie, la contessa Anastasia Calciati Merenda. La Piattaforma «elegantemente ornata di vele d’ocra, di piante, di palloncini alla veneziana» era, come di consueto, «piena di fulgenti dame e di graziose fanciulle»2. Il solito «trionfo per gli occhi». E a proposito di «trionfo per gli occhi», sul “Gazzettino Verde” del 21 luglio 1907 Airam – pseudonimo di una cronista molto apprezzata dai lettori per le sue garbate sbirciatine notturne – ci propone le più attraenti e ammirate signore presenti alla soirée in Piattaforma di domenica 14 luglio: la Borri, «elegantissima e bella nel suo abito blu a pizzi bianchi»; Amelia Brizzi, «simpaticissima e dal bel personale elegante»; la Torchi, «in blu e celeste»; la Pastorelli, «in bianco e lilla»; la Campani, «un tipo fine e
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simpaticissimo»; la contessa Strozzi, «d’una eleganza suprema nella sua toilette di velo giallo e pizzi»; le «distinte ed elegantissime» Sanguinetti, Battistini, Poggi-Pulini, Righetti, Maccaferri, Fabbri, Riva, Marcovich, Amadei, Giuliani, Venturi, RicciBitti, Peli, Gabellini, Moglio, Giorgi, De Minicis («consorte del bravo dottore di Viserba»). Fra le signorine la spigliata penna di Airam si sofferma su Valentina Borri, «un fiore di bellezza e di grazia che ha in sé tutto il fascino squisito e carezzevole della sua bella Firenze» (di lei in un altro reportage dirà: «poetica leggiadrissima fanciulla, dai grandi occhi neri e profondi, che le Grazie hanno baciato»); Iole Battistini, «una cara e soave creatura»; Paolina Poggi Pollini, «un’instancabile e provetta ballerina; Maria Govoni, «tanto carina nel suo fine abito bianco»; Ines Carelli, «in bianco e rosa»; Bianca Peli, «simpaticissima in bianco»; Isotta Gubellini, «in abito limon bianco ricamato e trasparente celeste»; Ebe Moglio, «in bianco»; Irene Sanguinetti, «fine e aristocratica» e le «disinvolte» ballerine Righetti, Venturi, Molari, Ricci-Bitti, Campani. Organizzatori della festa i coniugi Corsi e Giusep-
pe Franchini. Ma la Piattaforma non è solo il luogo adibito alle frivolezze degli adulti, è anche l’ambiente adatto per accogliere l’esuberante allegria dei bambini, come quella esplosa nel caldo pomeriggio del 27 agosto durante un indimenticabile meeting. Erano più di 300 – annota il reporter del “Gazzettino Verde” l’8 settembre 1907 – tutti raccolti dal conte Merenda, dal dott. De Minicis e dai signori Corsi, Franchini e Minelli. C’erano anche i genitori e la Piattaforma era gremita sino all’inverosimile. Tutti alle prese con il ballo; tutti ammaliati dai ritmi dell’orchestra del maestro Petroncini. Un vero peccato che la pista, pur ampia, non abbia consentito ai bambini di esprimere in piena libertà i loro creativi sgambettamenti! La parte più spettacolare della festa – a detta del settimanale balneare riminese – fu la quadriglia «comandata dal conte Merenda e guidata dalla sua consorte». Al termine di questo simpatico putiferio, prese il via una fantastica lotteria di giocattoli. In palio c’era il mondo dei sogni infantili; persino «un somarello che... belava e che fu vinto con il numero 543 dalle signorine Raffi».
Note 1) Cfr. Manlio Masini, Viserba nelle cronache della Belle époque. I primi passi di “un piccolo centro balneare celebre per i suoi villini, la spiaggia morbida e vellutata e l’acqua potabile abbondante e fine”, Panozzo Editore, 2001. 2) Cfr. “Gazzettino Verde”, 14 agosto 1907; 18 agosto 1907.
Nella pagina accanto, la balconata sulla spiaggia adiacente all’albergo Stella d’Italia affacciata sulla spiaggia Qui a lato, una panoramica della battigia di fronte alla terrazza
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La pellicola della nostra vita di Francesco Protti I foto archivio Francesco Protti
Oltre mezzo secolo di storia dei cinematografi di Viserba, dall’avvento del cinemascope alla demolizione delle storiche sale cinematografiche.
Correva l’anno 1957; erano gli anni d’oro del cinema, era l’avvento del cinemascope e, mentre la televisione iniziava ad entrare in qualche casa, le sale cinematografiche di Rimini e dintorni pullulavano di pubblico assiepato ai botteghini in attesa di godersi gli spettacoli. Anche la periferia di Rimini aveva i suoi locali e alcuni imprenditori lungimiranti avevano investito i propri capitali scommettendo su questa redditizia attività che, in special modo durante l’estate, avrebbe dato un incremento ulteriore sia alle loro finanze che al turismo in via di sviluppo. Viserba, come altre località della zona nord del litorale riminese, aveva in inverno due sale cinematografiche: una gestita dalla famiglia Pinzi (Cinema Teatro Nuovo) e una
dalla famiglia Zignani (Cinema Roma). Durante l’estate, poi, considerato il flusso turistico, a Viserba si poteva andare al cinema in ben cinque locali diversi: al Cinema Teatro Nuovo (locale coperto in via Milano, poi diventato Cinema Rivoli) e all’Arena Imperiale (si trovava all’interno dell’Hotel Byron) gestiti dalla famiglia Pinzi; al Cinema Roma (locale coperto) e all’Arena Roma in via Roma, gestiti dalla famiglia Zignani, nel luogo su cui oggi sorgono un supermercato e un condominio; e infine al Cinema Arena Italia, gestito dalla famiglia Brolli, che era ubicato in viale Dati all’angolo con via Anita Garibaldi. É giusto ricordare anche che, nella vicina Viserbella, la famiglia Pinzi in estate gestiva l’Arena Adriatica, che si trovava di fronte all’attuale ufficio postale. Nello
spirito di una sana concorrenza fra locali, durante la stagione le tre famiglie viserbesi proponevano i migliori film del cartellone invernale delle grandi città, alternandoli a cartoni animati, film d’avventura, commedie musicali… A volte si poteva persino assistere a un doppio programma serale (due film) con lo stesso prezzo del biglietto d’ingresso. Nel mese di agosto le case cinematografiche di distribuzione proponevano ai locali estivi, e quindi anche a Viserba, le ‘anteprime’ di prime visioni che in autunno sarebbero state programmate nelle grandi città. Quindi, nei suddetti locali, trattandosi di film di grande richiamo, la biglietteria era aperta fin dal mattino e dal primo pomeriggio per la vendita anticipata dei biglietti, al fine di contenere la grande affluenza della sera della
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“prima”. Questa, in sintesi, era la Viserba “cinematografica” di quegli anni, un’epoca con caratteristiche molto diverse da quelle di oggi sul piano turistico, un luogo molto ben frequentato che vantava locali d’intrattenimento che hanno fatto storia: dalla Villa dei Pini al Garden Ceschi, dal Dancing Sirenetta al Dancing (pochi lo ricordano) Sacramora, situato nei pressi dell’omonima Fonte. Spesso si dice che il tempo aggiusti ogni cosa, ma, per quanto raccontato sopra, è innegabile che il tempo, purtroppo, abbia distrutto ogni cosa: il turismo di allora non esiste più, molti locali, così come i cinematografi citati, sono scomparsi; l’ultimo è stato l’Arena Imperiale che nell’ultimo periodo della sua apertura era stato acquistato dagli stessi proprietari dell’Hotel Byron, che lo gestirono fino ad alcuni anni fa. Chi scrive queste brevi note ha vissuto gran parte della sua vita dentro la cabina di proiezione del Cinema Teatro Nuovo (diventato Cinema Rivoli) e dell’Arena Imperiale, con
qualche ‘puntata’ all’Arena Adriatica di Viserbella. Sono tanti i ricordi che serbo di quei tempi e tante le analogie della mia esperienza di vita con quella del piccolo Totò Cascio, protagonista del meraviglioso film “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore. Anche io, come lui, contagiato giovanissimo (andavo ancora a scuola) dalla passione per il cinema, avevo cominciato di soppiatto a frequentare la cabina di proiezione. Durante l’intervallo, tra un tempo e l’altro, vendevo sementine, lupini, noccioline e bibite e quando la proiezione ricominciava scappavo in cabina a riavvolgere la pellicola per la proiezione successiva. Il giorno del gran debutto come titolare ‘proiezionista’ arrivò una domenica in cui l’operatore ufficiale non si presentò e per la prima volta mi ritrovai a tu per tu con quel mostro del proiettore con il quale ho intessuto un’amicizia durata oltre trentacinque anni. Credo di non sbagliare dicendo che, a conti fatti, in tutti quegli anni di lavoro in cabina
Nella pagina accanto, la demolizione del Cinema Roma Sotto, un giovanissimo Francesco Protti alle prese con la cinepresa e, a fianco, il Cinema Rivoli, (già Cinema Teatro Nuovo) sotto la neve
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di proiezione, ho visto oltre tremila film. Erano i tempi in cui nasceva il sistema di ripresa/proiezione in Cinemascope. Il primo film in stereofonia, “La Tunica”, fu proiettato per quattro sere consecutive, con la sala piena ogni volta (800 posti di platea), mentre il pubblico a volte aspettava la fine di una proiezione per trovare il posto a sedere e spesso rimaneva in piedi. Il Cinema Teatro Nuovo era provvisto di palcoscenico grande quanto quello del Teatro Novelli di Rimini e relativo sipario e lo schermo normale (prima dell’avvento del Cinemascope) veniva posto al centro. I prezzi dei biglietti andavano dalle cinquanta lire dei giorni feriali, alle cento lire dei giorni festivi. Centocinquanta lire se il film era di successo, anche perché, in questo caso, il costo del noleggio della pellicola lievitava
un po’. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta quest’ultimo locale ha anche ospitato il Veglione dei Fiori organizzato dal locale Circolo Cittadino; evento straordinario con la partecipazione dell’Orchestra di Musica Leggera della Rai diretta dal Maestro Bertolazzi. Come il protagonista del film di Tornatore, anch’io ho vissuto la parte drammatica della demolizione del Cinema che mi ha visto crescere e del quale il ricordo non mi abbandonerà mai! In questa carrellata storica è doveroso ricordare il caro amico e collega Giovannino Polverelli (detto “Pellicola”), grande tifoso della Rimini Calcio, che lavorava nei due locali del Cinema Roma. Inoltre, non si può non narrare una lodevole iniziativa imprenditoriale: erano gli anni della nascita della tivù e sul
Potrebbe sembrare un’immagine del dopoguerra, con le rovine dei bombardamenti in realtà, si tratta di lavori di demolizione del Cinema Rivoli (già Cinema Teatro Nuovo)
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A lato, un’altra immagine della demolizione del Cinema Rivoli (già Cinema Teatro Nuovo) Sotto, la demolizione del Cinema Arena Roma con il particolare dello schermo ancora intatto
piccolo schermo furoreggiava la trasmissione “Lascia o raddoppia” condotta da Mike Bongiorno. Quasi nessuno possedeva un televisore e per seguire la trasmissione si andava al bar. Di conseguenza si disertava il cinema, che, escluso il lunedì, era aperto tutte le sere e la domenica, con proiezioni continuate dal pomeriggio fino a tarda notte. Ebbene, questi imprenditori non si diedero per vinti alla concorrenza televisiva ed ebbero la geniale trovata di noleggiare un video-proiettore portando le immagini del piccolo schermo sul grande schermo cinematografico; così, al termine della trasmissione “Lascia o raddoppia”, il pubblico poteva assistere alla proiezione del film in programma quella sera. Purtroppo di tutto ciò non rimane nulla! Scomparse queste attività, che alla loro maniera hanno dato lustro a Viserba, non abbiamo oggi molto da offrire in alternativa; non esistono più cinema, non esiste un teatro o una sala da concerto o comunque un contenitore per intrattenimenti culturali. Ci resta la piazza, e infatti, alcuni anni or sono, d’estate, in piazza Pascoli, fra le iniziative turi-
stiche, è stato riproposto il cinema all’aperto, con un discreto successo di pubblico. Iniziativa che, nel tempo, è stata seguita anche da alcuni stabilimenti balneari con proposte di interessanti rassegne molto seguite da turisti e concittadini. Segno che il piacere del cinema e la suggestione del grande schermo “sotto le stelle” possono ancora giocare un bel ruolo nell’esperienza vacanziera dei nostri ospiti e, in generale, in quella della nostra vivace comunità.
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La ‘casa’ delle danze storia di una ‘Balera’ di Maria Cristina Muccioli | foto Cooperativa Gramsci, Famiglia Rinaldini
Casa del Popolo, Sirenetta, Slego... tre nomi, tre periodi, ritmi diversi, stesso denominatore: stare insieme per ballare, divertirsi, conoscersi.
Per ricordare un luogo di ritrovo e di aggregamento viserbese che non c’è più, frequentato anche da molti forestieri, ripercorriamo le sue tre vite: le origini, il periodo del massimo sviluppo, la trasformazione precedente alla chiusura del 2000. Protagonista di questo amarcord è “La Sirenetta”, il locale da ballo che negli anni del suo splendore attirava a Viserba tantissime persone, dove le belle turiste non si salvavano dalle attenzioni dei giovani e meno giovani galletti romagnoli, dove nacquero migliaia di storie d’amore. All’inizio era una semplice “Casa del Popolo”, precedentemente ospitata in quella che oggi conosciamo come
“Casa della Finanza” (in via Ciro Menotti, accanto al mercato coperto del centro di Viserba). Lo sfratto da quella sede avvenne nel 1953, quando la cosiddetta “legge Scelba” rese di proprietà statale tutte le Case del Popolo italiane, che dal 1946 avevano sostituito le Case del Fascio (che a loro volta avevano fatto sloggiare le primissime Case del Popolo). Nel 1954, quindi, alcuni cittadini viserbesi, associati come “Cooperativa Gramsci”, acquistarono la villetta di via Puccini di proprietà della famiglia di Maurizio “Riccio” Mingardi, il ciclista prodigio di cui abbiamo scritto sul secondo numero di “Vis a Vis” (giugno 2013). Dopo averla
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Nella pagina a fianco, la corte esterna del Dancing Sirenetta in versione estiva con lo spazio da ballo e i tavolini In questa pagina, sopra, il locale ‘invernale’ e sotto, una veduta dall’alto
demolita, una squadra fantastica di volontari si mise all’opera. “Guidati dal capocantiere Romeo Ottaviani e con la collaborazione dell’impresa di Angelo Zammarchi - raccontano i nostri testimoni, Domenico Magnani e Mario Lisi – nelle ore libere dalle rispettive professioni una quarantina di operai e manovali armeggiava con le maniche rimboccate, attorno a due carrucole, con carriole, badili e betoniere. Il dottor Quinto Sirotti vigilava attento, pronto per eventuali medicazioni. Una scena indimenticabile!” Sorse così un locale di incontro a disposizione di tutti, con sala da ballo e ampi spazi di incontro. Poi, agli inizi degli anni ‘70, sempre con lo stesso sistema di lavoro, ma con l’intervento della Cooperativa Edile Viserbese presieduta da Sisto Delvecchio, si operò una ristrutturazione, con l’aggiunta, tra l’altro, di un grande soppalco. Grazie alla voce dei testimoni e ad alcune fotografie in bianco e nero, ripercorriamo importanti momenti politici, come la visita di Palmiro Togliatti del 1957, e un Congresso della Federazione Comunista riminese, nel novembre del 1962. Ma prendono forma, soprattutto, i volti di altri viserbesi, oltre a quelli già citati, che in qualche modo hanno contribuito prima alla nascita e poi alla gestione della Sirenetta. Tanti, di diverse età e condizione. Impossibile citarli tutti. Achille Galli (‘Pléza’, presidente e
fondatore nel dopoguerra), Gigi Sobrero, Virgilio Della Chiesa, Raffaele Zanzani, Giorgio Pari, Benito e Bruno Delvecchio, Dante Mangianti, Raffaello e Mina Cambi, Massimo Giardi, Alberto Biagini, Giuseppe Coltelli, Walter Corbelli, Ersilio Vici, Fausto Ridolfi, Bruna Giannini, Giancarlo Bugli, Walter Domeniconi, Nino Minelli, Giancarlo Porcellini, Walter Pari, Lazzaro Galli. Qualcuno ricorda, come flash fotografici, il soppalco e ciò che ospitava: le scarpe
da calcio di Moretti, ‘il Lungo’, che allenava una squadra giovanile. E poi le spade, i fioretti e le maschere della scuola di scherma gestita da Romeo Bersani… L’attività principale, comunque, restò quella del ballo, con il dancing (come si diceva allora) a pieno regime soprattutto in estate, le Miss elette quasi ogni sera, i ragazzi del mitico fotografo Alvaro Angelini. E qui viene in aiuto uno dei giovanotti di allora, oggi sempre impegnato come “ad-
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detto alle rustide”: Rolando Canini. “Era un locale molto frequentato. racconta - L’ingresso della Sirenetta diventava un punto d’incontro e su via Puccini c’era un via vai continuo di bella gente. Giovani, ma anche adulti, con la passione del ballo; belle turiste, magari con bimbi al seguito e lontane dal controllo dei mariti rimasti in città; coppie già collaudate; ragazze e ragazzi in cerca di compagnia… Chissà quanti hanno danzato sotto i rami di quei grandi
alberi, sulla pista all’aperto, con le stelle a fare l’occhiolino! A me e al mio amico Massimo Lugaresi, visto che eravamo giovani e di bell’aspetto, avevano dato l’incarico di attirare le donne. Buttadentro e accompagnatori, in pratica. Al volantinaggio in spiaggia pensava, invece, il nostro amico Giorgio Cambi, ‘il Nero’, poi emigrato in Germania, che di notte girava con colla e pennello affiggendo le locandine.” Poi, la terza vita: dopo “Casa del Po-
Le immagini di questa pagina documentano le tante ‘facce’ del locale nel quale si svolgevano attività ricreative, feste dell’Unità, serate danzanti, veglioni, tornei, premiazioni, elezioni di Miss Unità
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polo” e “Sirenetta”, nella storia della struttura di via Puccini fa la sua apparizione un’altra insegna: “Slego”. “E’ difficile parlare di qualsiasi cosa riguardi lo Slego, anche solo comunicare ad un ventenne di oggi cos’era lo Slego di Viserba. – scrivono Valentina Secci e Simonetta Belli nel libro “Slego e Velvet, la prismatica riviera del rock” - C’è troppa storia, troppa musica, troppo vissuto, troppo sudore nella parola Slego per chi ha, anche solo in parte, vissuto gli anni di ‘uno dei più importanti club degli anni ‘80 e ‘90 in Italia e in Europa’ (così citato dal quotidiano inglese The Times). Agli inizi degli anni ’80 un gruppo di amici decide di trasformare La Sirenetta, durante il periodo invernale, in un angolo di Londra. Ritmi e gente nuovi: inni rock e new wave, mentre il locale si popola d’un microcosmo di stili e sottoculture.
Sopra, l’avvocato Veniero Accreman (a sinistra), con Virgilio Della Chiesa segretario sezione pci Viserba A destra, Renato Salvatori con Lorella De Luca, gruppo di ragazze che sfilano per Miss Unità e, sotto, la vincitrice (foto degli anni Cinquanta)
Diventa un tempio per dark e skinhead, occhi cerchiati di nero e crani rasati, per punk crestati e rockabilly, per le folte schiere in parka dei mods, e per tutti i ragazzi e le ragazze che vogliono assaporare il gusto della musica alternativa. Sul suo piccolo palco si avvicendano alcuni dei più importanti nomi dell’underground internazionale – dai Fuzztones ai Ramones, dai Blur ai Nofx – e muovono i primi passi lontano da casa i migliori gruppi della scena indipendente italiana: Litfiba, Casino royale, Subsonica, Bluvertigo, Afterhours, Marlene Kuntz.” Nell’anno 2000 l’edificio di via Puccini viene venduto dalla cooperativa Gramsci, che si trasferisce altrove. La Sirenetta non esiste più: già si era persa da qualche anno, sulla scia delle nuove mode e di altre mete scelte dai vacanzieri. Lo Slego si sposta in via Sant’Aquilina, col Velvet, che ne raccoglie eredità e sorti. In via Puccini, oltre a silenzio e tranquillità, restano solo i vecchi muri che la nuova proprietà demolisce per costruire una palazzina di appartamenti. Ancora una volta il destino di realtà dinamiche che hanno segnato la storia dei viserbesi si compie con un colpo di spugna... e via!
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Sull’onda
di un’epoca ‘pirata’ di Marzia Mecozzi | foto archivio Guerriero Bernardi, Alvaro Angelini
Nella storia delle radio libere, fenomeno culturale che attraversò l’Europa e giunse anche in Italia, merita attenzione quel che accadde a Viserba… Ogni incontro è una testimonianza di quale importante fucina di creatività sia stata Viserba nel corso della sua storia. L’esperienza di Guerriero (Lello) Bernardi ci introduce nel mondo affascinante delle radio libere, o ‘pirata’, un fenomeno che a metà degli anni Sessanta attraversò l’Europa e si diffuse in Italia dove, un decennio dopo, iniziò la straordinaria avventura che oggi ascoltiamo dalla viva voce di uno dei protagonisti. Classe ’51, viserbese doc, Lello è doppiamente un Bernardi: ‘Brisagna’ la famiglia per parte di padre e ‘Laca’ per parte di madre. Oggi albergatore viserbellese, precisa subito che il lavoro-passione di tutta una vita è stato il disc jockey e, in generale, il suggestivo mondo della musica che lo portò, insieme all’amico Mauro Varriale, a dare ali al progetto di Radio Onda Libera 102.400 modulazione di frequenza. Ma andiamo con ordine. A metà degli anni Sessanta
l’Europa fu attraversata da un nuovo interessante fenomeno, quello delle radio ’pirata’, mezzo di intrattenimento musicale e informazione non controllato dai vari governi. Dal nord Europa il fenomeno si diffuse anche in Italia, dove la RAI propose nel proprio palinsesto programmi come Bandiera Gialla, Alto Gradimento, Supersonic... Erano gli anni della contestazione e il mezzo di comunicazione ‘libero’ divenne uno strumento importantissimo di propaganda e di ‘rivoluzione’. A metà degli anni Settanta il fermento sfociò nella nascita,
in Italia, di importanti ‘stazioni’ fra cui Radio Parma che diede i natali alle carriere di alcuni personaggi ancora oggi sulla cresta dell’onda: uno fra tutti Mauro Coruzzi, diventato poi celebre, non solo nel mondo della radio, con lo pseudonimo e il travestimento di Platinette. In pochi anni tutte le frequenze disponibili, almeno nelle grandi città, vennero occupate da decine di radio libere che trasmettevano perlopiù musica di vari generi e stili, con rubriche curate da appassionati e intenditori. Fu un’epoca di grande fermento,
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politico e musicale, ben celebrata dal film di Luciano Ligabue “Radio Freccia”. A Rimini, nel 1975, Guerriero Bernardi, con l’amico Mauro Varriale, imprenditore e creativo, fu tra i pionieri di quella che sarebbe diventata una pagina importante nella storia della comunicazione in questo territorio. “L’idea di fondare una radio la portò Mauro da Milano, dove era rimasto affascinato dalla realtà dello Studio 105 – ricorda Lello – Sarebbe stato sufficiente scegliere una frequenza disponibile e, senza dover chiedere permessi o sottostare a regole, avremmo potuto trasmettere liberamente. Per ‘farci le ossa’, la prima esperienza fu quella di Radio Rimini che nel settembre del 1975 aveva iniziato le sue prime prove tecniche di trasmissione sulla frequenza 102,000 mhz e a dicembre era partita ufficialmente con la programmazione trasmettendo dalla sede di via Vittime Civili di Guerra, dove alle ore 9.00 del giorno di Natale il direttore Glauco Cosmi annunciava “Iniziano oggi le trasmissioni di Radio Rimini.” I primi conduttori di Radio Rimini sono le voci tuttora note e amate di Vittorio Corcelli (la storia è raccontata su “Vis a Vis” nr. 2 giugno 2013) e di Gilberto Gattei (popolarissimo dj di Radio San Marino). Insieme a loro, Luciano Vasini, Liù Forno, Betty Miranda, Gianni Indino, Tiziano Felici e, appunto, Lello Bernardi e Mauro Varriale. Radio Rimini aveva anche una testata giornalistica con un proprio Giornale Radio; lavoravano all’emittente i giornalisti Guerrino Pari, Angela Bertozzi, Romolo Bedditti, Pierluigi Celli, Roberto Gabellini, Antonio Ioli, Marino Ferri. Nomi, certamente i più li riconosceranno, che hanno fatto la storia dell’informazione di questo territorio. Re-
sponsabile della redazione sportiva era Romano Bedetti, giornalista e scrittore, uno dei fondatori di Babelis Tv, amico storico di Italo Cucci. Da questa prima esperienza riminese i due viserbesi traggono lo spunto per fondare, insieme a un gruppo di amici, una cooperativa per la gestione della nuova realtà “Onda Radio” che trasmetteva da via Roma 1 (davanti all’hotel Lido) sulla frequenza 102,400. “Della cooperativa facevano parte Vincenzo Nusca, Paolo e
Nella pagina accanto, Guerriero Bernardi Sopra, lo scimpanzé D.J. chiamato Guido Katanga prestato come modello da foto Angelini girava per la spiaggia viserbese facendosi ritrarre in pose coi turisti Sotto, una bella ragazza che villeggiava a Viserba si presta ad essere fotografata sulla consolle di R.O.R.
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Giovanni Cecconi, Loris Bernardini, Luciano Corcelli, Donato Briscese. I palinsesti dei programmi radiofonici erano curati da me e Mauro. Dalle 13,30 alle 14,30 il liscio, dalle 14,30 alle 16,00 il ‘Dedicomane’… La sera, Daniele Angliari con la sua chitarra faceva il ‘confidenziale’ e poi c’erano le piccole informazioni commerciali. Mauro, che tutti conoscono per essere stato l’ideatore e titolare dell’America Stracci, noto negozio di abiti usati e uno dei tasselli della storia imprenditoriale locale, era un ragazzo molto intelligente, lungimirante e pieno di idee che riportava dai suoi tanti viaggi; fu l’ideatore, fra tante altre cose, dell’arredo del night riminese ‘Lady Godiva’, che mostrava sulla parete dell’ingresso una serie di rubinetti… ”Lello invece lavorava, contemporaneamente, come dj nei più famosi locali della riviera, dal Papi ò, al
Passepartout, al Ku, al Pussy Cat, all’Amarcord. “Che nottate! – ricorda con piacere misto a nostalgia - Passate a inventare jingle e ‘stacchetti’ pubblicitari per i clienti che acquistavano gli spazi in radio! In un’epoca in cui la pubblicità veniva letta, il nostro gioco preferito era creare ‘spot’ cantati, animati, recitati con ironia… I miti a cui ci ispiravamo erano i Renzo Arbore e Gianni Boncompagni di ‘Alto Gradimento’, Red Ronnie, l’Olandese Volante, Claudio Cecchetto. Sulle note di ‘Isn’t she lovely’ di Stevie Wonder ricordavamo ai nostri ascoltatori il numero per chiamare la radio per le dediche del giorno. ‘102,400 la frequenza del momento’ era il jingle che ricordava di sintonizzarsi sulla nostra stazione. E di fatto ci seguivano da gran parte del territorio. Quando posizionammo il secondo trasmettitore, a Covignano, sul tetto
In sala di trasmissione fra un disco e l’altro intervista a Ivan Graziani, Daniele Angelini suo chitarrista e voce di una trasmissione confidenziale serale e D.J. della radio viserbese; da sinistra, Lello
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della casa del Conte Spina, con una copertura che arrivava fino alle Marche, fu un boom impressionante di ascolti! Ci amavano a tal punto che, ad una certa ora del pomeriggio, era cosa solita veder arrivare la merenda, offerta dagli ascoltatori…” Il ‘gioco’ andò avanti con successo per alcuni anni, con attrezzature sempre nuove, microfoni, cuffie, trasmettitori… investimenti fatti ‘a cuor leggero’ nel nome della passione, del divertimento e dello stare insieme uniti da un bel progetto. “Guadagni? Neanche un po’! – sorride Lello – Non erano contemplati nello spirito di quest’avventura. Anzi ciascuno ci metteva del proprio: tempo, energie, denari, come Donato Briscese che ospitava la sede nel suo palazzo delle ex poste di Viserba, sopra alla sala giochi. Si, avevamo dei promoter che vendevano la pubblicità, ma gli introiti non sarebbero bastati a coprire neanche uno stipendio! Però eravamo giovani, liberi e comunque tutti con altre attività da mandare avanti.” Le mode passano, le epoche finiscono e, come tutte le cose belle, diventano pagine di storia. “Lo spirito dei ‘pirati’ che aveva alimentato il nostro sogno a un certo punto si scontrò con nuovi regolamenti, normative, costi… Finì perché quel lavoro, seppur bello e appassionato, era impegnativo e non remunerato. Ciascuno doveva pensare anche alla propria attività ‘concreta’. Nell’’84 mi sono sposato con Paola Pari che, con la sua famiglia, gestisce l’hotel Palos a Viserbella e che, con l’aiuto dei figli, oggi cura anche la spiaggia 55 e il bar edicola di via Porto Paolos. Nel frattempo Mauro, come dice Vecchioni, ‘salutò la compagnia’… e di quella stagione, come dei nostri anni di gioventù, ci restano meravigliosi ricordi e una
passione che personalmente tengo viva fornendo il mio aiuto al Comitato Turistico Proloco di Viserbella. Avventure che finiscono, avventure che nascono (ma gli amici di allora sono quelli di oggi); ogni epoca ha le sue, l’importante è intraprenderne sempre di nuove, con lo spirito dei pionieri e dei pirati di allora!”
Lello con Pierpaolo Bianchi motociclista, il tre volte campione del mondo classe 125 in diretta a raccontare le sue gesta di centauro nato e cresciuto a Rimini Sotto, nella sala di attesa di Onda Radio con alcuni amici e frequentatori, da destra: Mauro Varriale e Lello Bernardi Soci fondatori dell’emittente Rossella Giovagnoli e il ciclista riminese Alfio Vandi racconta il suo 7° posto al giro d’italia (1976-78)
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A briglie sciolte
con l’amico di Enzo e Lucio di Maria Cristina Muccioli | foto archivio Gianni Fiori
I doni di Enzo Ferrari, in sella con Lucio Dalla… Ma quando si dice ‘una vita come un romanzo’ non ci si immaginerebbe mai, addirittura, una ‘resurrezione’!
Uno dei ragazzini che sorridono nella fotografia di classe, col maestro Carlo Ardini, fu protagonista di un episodio che ha dell’incredibile. Sempre un po’ più abbronzato dei compagni, come oggi che è un dinamico 65enne, Gianni Fiori, ex bancario, racconta una storia che per diverso tempo fu al centro di indagini di medici e di forze dell’ordine e che sconvolse la serenità della sua famiglia, del babbo in particolare. “Mio padre Pietro, detto Pierino, aveva il suo negozio di barbiere sul lungomare, dove oggi si trova la piadineria di Lele. Per un po’ provò a trasferirmi la passione per il mestiere facendomi fare il ‘bocia’. Ma io preferivo l’aria aperta e i giochi in spiaggia e quindi trovavo tutte le scuse per allontanarmi da pettini e pennelli da barba. Un’estate, avrò
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avuto dieci anni, mio padre non mi vedeva da qualche ora e notò il suo amico Pinzi, titolare del cinema vicino al negozio (vedi pagina 18), che passeggiava nervosamente, avanti e indietro, davanti alla sua vetrina. Uscì chiedendogli ‘S’ét fat, Pinzi?’ (cos’hai fatto?). L’altro, con grande imbarazzo, rispose ‘Pierino, j à truvè e’ tu burdèl afughè!’ (hanno trovato tuo figlio affogato!). Il babbo, disperato, si fece accompagnare subito all’ospedale, dove il bambino raccolto in mare era stato portato. In obitorio, scostato il lenzuolo che ricopriva il corpicino, riconobbe il mio costume da bagno (tra l’altro, con una sfilacciatura che ricordava bene), la mia carnagione scura, i miei lineamenti, addirittura lo stesso difetto nei denti incisivi! Stessa cosa fece sua sorella, che era già in ospedale perché faceva l’infermiera. Un’immaginabile disperazione, che però durò poco. Quando si dice ‘il destino’! Uno straordinario caso
di somiglianza e lo stesso identico costume. Probabilmente l’emozione del momento... Insomma, mentre mio padre piangeva accanto ad un bambino morto (si scoprì poi essere un piccolo turista milanese), io ero ricomparso in spiaggia, ignaro di tutto, insieme al mio amico Mimmo Comunale. Mi incontrò il signor Bernardi, che, non credendo ai propri occhi, mi accompagnò subito a casa da mia madre. Il babbo scoprì lo scambio di persona solo al suo ritorno, in taxi, dall’ospedale. Quella giornata terribile lo segnò per sempre, minando la sua serenità e il suo cuore. Per un mese volle che dormissi con lui ogni notte e in seguito, anche dopo anni, veniva sempre a controllare se ero nel mio letto.” Ma l’altro bambino chi era? “Orfano di madre, era in vacanza con la nonna. Aveva la mia stessa età. Quando, avvisato della disgrazia, arrivò a Viserba suo padre, che faceva il camionista, volle vedere anche
me, oltre al bimbo morto. Quando mi fu davanti, dall’emozione perse conoscenza. Pur se si rese conto di essere di fronte a un sosia, sperando ancora in un beffardo scambio di persona, chiese ai Carabinieri di poter controllare i miei documenti di identità. Anche i medici discussero molto sul nostro caso. Ne parlarono i giornali del tempo. Sì, penso proprio che il destino, a volte, giochi dei brutti scherzi!” Oltre a questo ricordo da batticuore, fortunatamente nel passato di Gianni c’è spazio anche per storie piacevoli e curiose. Innanzitutto, l’amicizia con “il Drake”, l’ingegner Enzo Ferrari, che aveva un villino sul lungomare di Viserbella. “A metà degli anni Sessanta era un cliente di mio padre. – ci dice Gianni – Quando arrivava da Maranello per passare qualche giorno al mare con la moglie e il figlio Dino, prima di raggiungerli si fermava al salone per barba e capelli. Non si appoggiava
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Nelle pagine precedenti Gianni Fiori intervistato dalla giornalista Maria Cristina Muccioli Con il Maestro Ardini fra tutti si riconoscono da sinistra: Piero Scarpellini Massimo Drudi Paolo Betti Sergio Canini Mauro Mingardi Lino Bianchi Francesco Fornari Luca Ardini Gianni Fiori Paolo Maestri Remo Canini Giuseppe Manfroni Guerriero Bernardi Giuseppe Grossi Tiziano Canini
mai allo schienale della poltrona, a causa del mal di schiena, e per insaponarlo e raderlo mio padre doveva contorcersi tutto. Nonostante Ferrari fosse un signore molto schivo e di poche parole, nacque un’amicizia. L’ultimo anno che venne a Viserbella, arrivava a bordo di una ‘R4’ guidata da un autista in tuta bianca da meccanico. A chi gli chiedeva perché usasse un’auto così spartana, lui rispondeva ‘Le mie macchine sono belle, ma non vanno bene per il mio mal di schiena!’ Andammo anche a Maranello, mio padre ed io, insieme all’ingegner Maioli che cercava un motore Ferrari usato per uno dei suoi prototipi di motoscafo. Io avevo quindici anni e rimasi affascinato! Al ‘reparto corse’ a Maioli non fu permesso di entrare: essendo un ingegnere meccanico, era un potenziale ‘spione’! Naturalmente gli dissero che motori Ferrari usati non erano in vendita: quelli delle auto vincitrici di premi venivano tenute in museo, gli altri venivano fusi. Dell’amicizia
con Enzo Ferrari mi è rimasto un suo libro, il numero 469 della prima tiratura, stampata solo per gli amici, che fu di 500 copie, dal titolo “Le briglie del successo”. È autografato dall’ingegnere e contiene una foto di Dino Ferrari, pure questa con dedica, ritratto fra le due Ferrari del 1956 che vinsero la Carrera Messicana. Qualche anno fa, forse grazie al possesso di questo volume, fui invitato al raduno del più famoso ‘Club Ferrari’ d’Italia, quello di Lugo. Quasi ospite d’onore, mi fecero raccontare episodi della mia conoscenza con il “Drake” e mi presentarono il mitico Mauro Forghieri, l’ingegnere che con il Cavallino ha conquistato diciassette Mondiali tra F.1 e Sport Prototipi, piloti e costruttori. Mi consigliarono anche di tenere quel libro, che io non immaginavo tanto prezioso, in una cassetta di sicurezza!” Gianni ribadisce che il signor Enzo era una persona di grande carisma. “Era conosciuto da tutti per essere un ‘duro’, ma con la mia famiglia si dimostrò sempre molto cortese
e disponibile. È stata davvero una bella esperienza, che oggi mi piace raccontare.” E come torrente in piena, dal suo cilindro Gianni tira fuori altre storie. Appare un personaggio famoso che a Viserba ha vissuto le prime esperienze della sua carriera artistica internazionale. Parliamo di Lucio Dalla. “A Viserba Dalla venne perché doveva sostituire il clarinettista di un complesso, i Flipper, che si era ammalato. ricorda Gianni – E sapete chi era il musicista sostituito? Pupi Avati, che poi scelse la carriera di regista. Con Lucio Dalla ci incontravamo per interminabili sfide al bigliardino al bar Bologna, di fianco all’hotel Terminus. In un paio di occasioni lo portai alla stazione di Rimini come passeggero sul mio vespino. Una volta doveva partire, quindi era vestito normalmente. Un’altra volta, invece, andava per salutare qualcuno, quindi era in canottiera e perciò ricordo la sua folta peluria contro la mia schiena! L’anno prima che Lucio morisse, trovandomi a
Bologna in visita a mia figlia che vive lì, lo vidi al bordo di un palco che stava per essere allestito in piazza per un concerto che avrebbe tenuto la sera. Mi feci coraggio e lo avvicinai. ‘Lei non si ricorda di me, vero?’ Gli chiesi. ‘No, ma prova a darmi qualche indizio.’ Fece lui. ‘Si ricorda di Viserba?’ Iniziai. ‘Come, no? – esclamò - L’ho inserita anche in due mie canzoni!’ ‘I Flipper, alla stazione con il vespino...’ Buttai là. ‘Maddai! – disse ridendo - Tu sei quel ragazzo scuro scuro che mi portava in stazione!’ E così finimmo a bere un caffè in un bar sulla piazza, facendo altre chiacchiere su Viserba e sulle sue canzoni.” Non finiremmo più di ascoltare gli aneddoti del nostro concittadino. Ma anche con Gianni Fiori le pagine del nostro giornale, non infinite, impongono di chiudere. Al termine della chiacchierata, riassumendo gli episodi che ci ha raccontato, è lui stesso a precisare che, dopo esser stato conosciuto per tanto tempo dai viserbesi come “il ragazzino resuscitato”, vorrebbe aggiungere anche la qualifica di “amico di Ferrari e di Dalla”. Ma, soprattutto, “marito felice di Tina Succi (che fino ad un anno fa gestiva con la socia Maria il negozio di calzature Casalini), papà di Jessica e di Luca, nonno affettuoso di Benedetta (Beba), cinque anni, la bella figlia di Jessica”.
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L’ora dolce della merenda di Marzia Mecozzi | foto archivio L’Ippocampo
Un laboratorio casalingo e un carrettino con le ruote di bicicletta: produzione e vendita di tipicità ‘Made in Viserba’ di cui oggi non resta che la memoria.
Giancarlo Lucchini in una foto degli anni Ottanta
“Il carretto passava e quell’uomo gridava ‘gelati’!” La celebre frase di apertura de ‘I Giardini di Marzo’ di Lucio Battisti, ben si presta a dare il ‘La’ alla presentazione di Giancarlo Lucchini. L’uomo del carretto. Non tanto dei gelati, però, quanto piuttosto di tutti gli altri gustosi prodotti di cui vogliamo ricordare colori, profumi, sapori, ripercorrendo la storia di una famiglia viserbese e di uno dei tanti mestieri in via di estinzione, di prodotti tipicamente locali (quasi
unici) e artigianali legati a questo angolo di Bel Paese e alle nostre spiagge. Giancarlo Lucchini è nato a Viserba nel 1944, nella zona detta ‘Zinganara’ che già diverse volte abbiamo citato ricordando la storia di altri viserbesi. È uno dei volti più noti delle spiagge del litorale nord grazie al fatto di averle percorse, in lungo e in largo, per quarantasette anni (dal 1961 al 2007), deliziando adulti e bambini con le specialità tipiche prodotte dalla sua famiglia. Stiamo
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parlando della frutta caramellata e del croccante, dello zucchero filato dai colori smaglianti e dei bomboloni fritti che, fino a non tantissimi anni fa, andavano per la maggiore in fatto di merenda pomeridiana e che oggi sono stati sostituiti nel gusto del pubblico, dai più ‘industriali’ gelati. Giancarlo è figlio di Settimio, che nel 1935 aveva iniziato l’attività di ‘produttore dolciario’ con la preparazione artigianale di caramelle al miele, croccante e zucchero filato. “Sullo zucchero filato – precisa Giancarlo - c’è da fare una distinzione: non era come quello che conosciamo oggi, in vendita nelle fiere e nei luna park; era un tortiglione di zucchero colorato che producevamo nel laboratorio di mio padre nei gusti di limone, menta, fragola e cioccolato. Molti sicuramente lo ricorderanno.” Papà Lucchini, durante l’inverno, produceva nel laboratorio casalingo le caramelle d’orzo che vendeva ai negozi e in vari mercati rionali di zona. Poi, quando arrivava l’estate, la produzione cambiava e ci si dedicava anima e corpo alla creazione di croccante e frutta caramellata da vendere in spiaggia, ai turisti desiderosi di assaggiare qualche specialità
In alto, a destra, il padre di Giancarlo, Settimio Lucchini e, a seguire, Giancarlo e le varie stagioni del carrettino
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locale. Ed è proprio il caso di dirlo: i prodotti di Lucchini, e in particolare la frutta caramellata, rappresentano una specialità tipica di questo territorio che, da qualche anno, non si trova più… Abbiamo avuto modo di gustarne ancora il sapore, dolcissimo e delicato allo stesso tempo, in occasioni ‘straordinarie’, l’ultima delle quali durante uno dei ‘Giovedì del Porticciolo’ dell’estate scorsa. “La produzione del croccante iniziava a maggio. – racconta Giancarlo Le lastre di nocciole caramellate venivano impacchettate e sigillate in contenitori sottovuoto in attesa di essere ‘scartate’ fragranti al momento opportuno. La frutta fresca, invece, veniva caramellata ogni giorno, più volte al giorno… I frutti utilizzati erano il cedro, l’arancio, l’uva, le ciliegie, le prugne.” Fino agli anni Cinquanta, le spiagge erano ancora piuttosto diverse da come si presentano oggi. Erano strette, con lunghe dighe che le tagliavano perpendicolarmente e quindi il servizio veniva fatto a piedi, con le ceste. “Successivamente, - spiega ancora Giancarlo - con
Una ‘gustosa’ immagine della frutta caramellata preparata da Giancarlo in occasione della manifestazione “Giovedì del porticciolo”
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il modificarsi della struttura della spiaggia in seguito alla costruzione delle scogliere, il servizio è diventato un po’ meno pesante, grazie all’utilizzo del carrettino.” Nel 1961, insieme al fratello Rino, Giancarlo inizia ad affiancare il padre in questa attività. Le immagini dei decenni appena trascorsi mostrano Giancarlo Lucchini in canottiera e cappellino, alla ‘guida’ di un carrettino che era andato modificandosi negli anni. “Il primo carrettino era fatto con due
ruote di bicicletta ed era spinto a mano… - ricorda con un sorriso - Il mezzo più moderno aveva addirittura un motorino elettrico. Ed era tutt’un altro andare! Il nostro giro partiva da via Polazzi. Mio padre si dirigeva verso Rimini e io mi muovevo in direzione Torre Pedrera. Questo viaggio veniva fatto due volte al giorno, uno al mattino e uno nel pomeriggio, nell’ora, appunto, della merenda.” Oggi sulla spiaggia di Viserba il carretto passa ancora,
ma con un’offerta diversa; i gelati hanno completamente sostituito quei prodotti che per tanti anni hanno caratterizzato l’estate e l’ora dolce della merenda. Dal 2007 Giancarlo Lucchini è andato in pensione, insieme alle sue specialità che oggi si possono trovare solo in occasioni particolari: le feste viserbesi e gli incontri organizzati dalle associazioni locali per la salvaguardia della memoria e del patrimonio di questo territorio.
I fratelli Giancarlo e Rino Lucchini intervistati da Marzia Mecozzi Sotto, Giancarlo riceve la targa del Circolo Nautico Viserba consegnata da Alessandro Guerra Celli
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Piccoli passi
sulla via XXV marzo di Sara Ceccarelli | foto archivio Famiglia Zangheri
Da colonia per ragazzi a pensione-ristorante “Due Tronchi” e infine sala giochi. Gilberto Zangheri racconta sessant’anni di attività famigliare a Rivabella.
In quanti, a Rivabella, non ricordano la sala giochi di Gibo? Situata proprio davanti agli acquascivoli, sulla rotonda fra via Coletti e via XXV Marzo, quel luogo di divertimento per bambini e ragazzi oggi purtroppo non esiste più; qualche anno fa Gilberto Zangheri è andato in pensione, cessando l’attività. Forse pochi, invece, sanno che, negli spazi in cui negli ultimi decenni sorgeva la sala giochi, le attività che si sono susseguite sono state diverse e che la prima risale al 1948. In quell’anno, infatti, il padre di Gibo, Giuseppe, acquistò una villa diroccata di proprietà di una famiglia torinese ristrutturandola da cima a fondo. “Mio babbo – racconta Gilberto - non comprò i mattoni, ma utilizzò i materiali trovati nel giardino della villa, cosa usuale in quel momento storico; Rimini, infatti, è stata la seconda città più colpita dalla devastazione della guerra, e
quindi si può immaginare quanto materiale ci fosse da riutilizzare.” L’edificio da lui costruito divenne una colonia che poteva ospitare fino a 200 ragazzi. Con grandi camerate posizionate su tre piani, la struttura offriva un luogo sicuro in un’ottima posizione per i bambini del Comune di Ferrara e di altre città. La colonia
era frequentata anche dai bambini dell’Azione Cattolica di Milano insieme alle educatrici, alle cuoche e alle infermiere. “Erano molto ben organizzati, - ricorda Gilberto avevano tutto il necessario per essere autonomi e al sicuro. Un giorno, ho sentito Teo Teocoli raccontare, in televisione, di aver soggiornato nella
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A lato, Gilberto Zangheri con la madre Irma in una foto degli anni Sessanta; la camerata e il refettorio della Colonia (1950); sotto, il lungomare di Rivabella
nostra colonia. Non mi stupisce, con tutti i ragazzini che sono passati di qua!” Davanti alla colonia c’era un recinto dove i ragazzi potevano giocare e, al di là della strada, potevano scendere a fare il bagno in un’area balneare ben delimitata e riservata. Tutto avveniva in sicurezza, come ricorda Gibo, anche perché avevano un bagnino di salvataggio sempre presente. Le vacanze erano organizzate dalle Cooperative Riunite del Comune di Ferrara che avevano in affitto la struttura. Nello stabile, oltre ad un grande refettorio, era presente anche una zona adibita alla cura dei malati con malattie contagiose che si chiamava “isolamento”. Anche i medici accompagnavano i ragazzi nelle loro vacanze, come avveniva per il CIF, il Centro Italiano Femminile, anche questo molto ben organizzato. “La cosa particolare che ricordo, - prosegue Gilberto - e che sicuramente ricorderanno anche molti rivabellesi della mia età, è che le Cooperative ferraresi, proprio al casello su via XXV Marzo, avevano costruito un marciapiede sopraelevato sul quale i bambini potevano scendere e percorrere a piedi tutta la via in direzione della colonia e
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dove potevano sedersi per aspettare il treno senza dover più arrivare fino alla Stazione Centrale. Erano davvero bei tempi, quelli! Dieci anni di attività ben organizzata e gestita!” Poi ad un certo punto le cose cambiarono. Sul finire degli anni Cinquanta iniziò la battaglia con gli stabilimenti balneari limitrofi per la spartizione di quel piccolo fazzoletto di spiaggia. “Sarà stato più o meno il ’56 o il ’57. Nel corso di una notte, le cabine delle Cooperative Riunite vennero smantellate.” A causa di questo episodio la spiaggia dei bambini venne spostata davanti al Camping Italia, ma, nonostante questo, le proteste contro la Cooperativa continuarono. Dopo aver allertato la prefettura di Forlì e con l’intervento della polizia, l’attività proseguì fino al ’64, data in cui la colonia cessò la sua attività. “Un grande peccato, anche perché il Comune, nel frattempo, ci aveva dato il permesso di piantare dei pioppi che facevano ombra al giardino e i bambini qui stavano
davvero bene. Avevano tutto a portata di mano: mare, spiaggia, ombra…” Da quel momento, quindi, la famiglia Zangheri riprese in mano la proprietà dell’immobile che venne demolito e sul cui tracciato venne costruita una struttura completamente nuova, nella quale la famiglia proseguì e sviluppò l’attività iniziata durante gli anni di funzionamento della colonia nella loro residenza di via Livenza, dove avevano dato vita a una piccola pensione. “Come l’attività si sia evoluta in pensioncina familliare, è stato un caso fortuito. – racconta Gilberto Mio babbo commerciava in frutta e verdura, con clienti fino a Milano. Qui, uno dei suoi clienti, tal signor Rametta, un giorno gli disse che il suo figlio più piccolo aveva la pertosse e che il medico gli aveva consigliato di andare al mare per tutto l’inverno. Mio babbo, dopo avergli raccontato la bella esperienza della colonia marina, si offrì di portarlo a casa con sé.” Il piccolo guarì e, dall’anno successivo, anche i genitori decisero di trascorrere
l’estate al mare usufruendo della casa degli Zangheri che, da quel momento in poi e per tante estati a venire, divenne meta di vacanza per tante famiglie. “Eravamo riusciti a ricavare sei camere da letto per i ‘bagnanti’, si mangiava tutti insieme in giardino i manicaretti cucinati da mia mamma, Irma Zaghini, che era davvero una bravissima cuoca.” La
famiglia Zangheri è stata la prima, a Rivabella, a intraprendere questo tipo di attività. Anno dopo anno, la clientela è andata aumentando e quando la casa di via Livenza non bastò più per rispondere alle tante richieste, nel 1967 gli Zangheri fecero richiesta al Comune della licenza per aprire una pensione-ristorante nello spazio dove fino al 1964 era sorta la colonia e che chiamarono ‘Due Tronchi’. “Non sapendo che nome dare alla nostra attività, spiega Gilberto - abbiamo preso spunto da due tronchi di albero che erano riusciti a sopravvivere dopo la mareggiata del 1964, quando l’acqua salata aveva invaso tutti i negozi e bruciato tutti gli arbusti e le piante. Ci erano sembrati un simbolo ideale di rinascita e quindi di buon auspicio alla nuova svolta della nostra attività.” Come i due tronchi che si sono ripresi e sono rinati, così anche l’attività della famiglia Zangheri aprì quindi un nuovo capitolo, durato fino alla fine degli anni Ottanta. Successivamente, al posto della pensione ‘Due Tronchi’, è stata costruita la palazzina tuttora esistente con gli appartamenti e la sala giochi che ha chiuso i battenti pochi anni or sono.
Nella pagina accanto, in alto, i primi turisti del Due Tronchi (1965); sotto, Gilberto con la madre
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Buone nuove
fra tradizione e innovazione di Marzia Mecozzi | foto archivio Famiglia Bucci
All’origine del successo c’è il sogno di qualcuno che, con impegno e sacrificio, ha guardato avanti con coraggio; e ci sono coloro che, con passione ed entusiasmo, hanno proseguito il viaggio.
Un anno fa, con l’inizio dell’estate, lo storico locale di Rivabella ‘La Posada’ ha festeggiato un doppio traguardo: il trentacinquesimo compleanno e il passaggio di consegne di una delle più conosciute e accreditate attività di ristorazione del territorio da mamma Christiane ai figli Severine e Arnaud. In questo ultimo anno molte cose sono cambiate nel bel ristorante che si affaccia sulla spiaggia di Rivabella, sia dal punto di vista estetico che sul piano tecnico e strutturale. Il restyling degli arredi è la prima cosa che salta all’occhio entrando nel locale, a partire dal bel salotto della sala d’ingresso che Severine, contitolare con il fratello del locale, ha realizzato con materiali di recupero: un antico sofà
e vecchi bauli da viaggio che sposano lo stile del pianoforte d’antan, per proseguire nel grande soggiorno tutto vetrate, dalle quali, in ogni stagione, si può vedere il mare. Lì, accanto ai tradizionali colori del legno che hanno caratterizzato le diverse stagioni de La Posada, nuove tonalità pastello suggeriscono un cambiamento delicato, rispettoso della storia del locale e intonato al luogo in cui è inserito: la spiaggia e il mare. Ma la vera novità è oltre quelle sale, nel cuore pulsante e creativo del ristorante: la cucina, che si distingue per i suoi ampi spazi, curatissimi e con una suddivisione scrupolosa dei settori di preparazione dei cibi. Qui, da qualche mese, è stato completato uno degli impianti eco-
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logici più all’avanguardia del mondo per quanto riguarda l’aspirazione e l’areazione, senza emissione di fumi, dotata di un sistema di purificazione che, grazie ad una particolare molecola prodotta, brucia i grassi e rimette in circolo aria pulita; un sistema di cui sono dotate solo le grandi catene delle multinazionali come Burger King. “Innovazione ed alti standard qualitativi oggi fanno la differenza – spiega Severine – per competere in un mercato molto difficile, fra le tante realtà concorrenti che continuamente nascono e i sistemi di comunicazione che cambiano frequentemente e agiscono sul consumatore con sollecitazioni, stimoli e offerte a non finire; un mercato in cui le mode nascono e muoiono nel breve giro di qualche stagione… Io credo che il punto di forza, l’eccellenza di un locale storico, debba rimanere la storia. Al di là delle mode, delle tendenze, dei gusti, la tradizione e la tipicità dell’offerta sono una delle chiavi del successo, soprattutto in un territorio che deve molto al suo passato, all’impegno e al sacrificio dei genitori e dei nonni.” La storia de La Posada inizia nei primi anni Ottanta, quando Tarcisio Bucci, romagnolo, e Christiane Mazimanne, francese, intraprendono la loro avventura di ristoratori. Lui aveva lavorato nello storico ristorante Vecchia Rimini, lei proveniva da una famiglia di ristoratori; dopo una prima esperienza da albergatori, decidono di acquistare una piccola struttura sul lungomare di Rivabella. “Per ristrutturare e realizzare una nuova sala, più grande, con vista sul mare, - racconta Severine – i nostri genitori hanno addirittura venduto la loro macchina, una Renault azzurra che si prestava per tutti gli usi, famigliari e professionali…” Questo episodio, che Severine racconta anche nel volumetto ‘35°
Nella pagina accanto, in alto, Severine e Arnaud; sotto, Tarcisio Bucci e Christiane Mazimanne Sopra, l’esterno del locale e la sala principale; a lato, Tarcisio Bucci ai fornelli
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La Posada’ dedicato a suo padre e alla storia del locale, esprime appieno lo spirito che ha caratterizzato i pionieri del turismo riminese, grandi lavoratori, decisi, coraggiosi e sognatori. “Mio padre lavorava senza sosta, - prosegue Severine - era in grado di fare un po’ di tutto: muratore, elettricista, geometra… era un uomo di grande talento, pieno di vita e di iniziativa, venuto dalla campagna con un sogno. Degli anni d’esordio (io ero una bambina), ricordo con tenerezza i volti dei miei genitori con gli occhi segnati dalle
molte ore di lavoro e dalla preoccupazione per i debiti.” Ma a fronte del sacrificio, crescevano soddisfazioni e successi, dovuti, ieri come oggi, alla qualità della proposta: tutto preparato artigianalmente, tutto cucinato da cuoche esperte che, pur cambiando la quantità, cucinavano e tuttora cucinano come a casa propria, con mani forti e veloci… “Fra le maggiori soddisfazioni vissute dai miei genitori e da noi tutti, figli, collaboratori e amici, ci sono i premi vinti da La Posada. I miei genitori sono stati invitati e premiati
in numerosi convegni gastronomici, in tutta Italia dove hanno incontrato e si sono confrontati con centinaia di altri ristoratori, critici, giornalisti…” Fra i piatti che hanno decretato il successo del ristorante di Rivabella c’è sicuramente il tris di pesce o di carne, ovvero tre primi in un unico piatto così da assaggiare tre tipicità: tortelloni di pesce, maccheroncini alle canocchie, strozzapreti alle vongole oppure gnocchi al gorgonzola, strozzapreti pasticciati e paglia e fieno alla boscaiola. “Il tris di primi – ricorda ancora Severine - era il piatto preferito dai ragazzi che, all’uscita dai locali da ballo, arrivavano alle quattro del mattino per mangiare e assistere al sorgere del sole…” Un’altra delle specialità tipiche del locale continua ad essere il risotto alla marinara, a cottura lenta, dal sapore delicato, piatto semplice ma di gran gusto con un segreto (non svelabile!) che lo rende unico e inconfondibile. E poi grigliate di pesce, fritture e antipasti che hanno preso per la gola, nei decenni, migliaia di avventori, soprattutto stranieri. Alla delizia del carrello dei dolci contribuì l’anima francese di Chri-
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stiane che suggerì le crèpes. “Credo di poter vantare il primato, a Rimini, di questa specialità tipica del Paese di mia madre che, con il suo profumo dolce e inebriante, richiamava le persone in strada che in fila si radunavano davanti all’ingresso del ristorante.” Le ricette dagli ingredienti gustosi e dalle lavorazioni accurate sono tantissime, non è possibile elencare tutti i piatti, che, invece, vi invitiamo ad assaggiare! Sono piatti bellissimi anche da guardare, con composizioni curate e ricercate nei dettagli. “Oggi i nostri piatti sono il frutto di una combinazione vincente di tradizione e innovazione, tipicità e sperimentazione continua- dichiara Severine - grazie alla bravura della brigata di cucina, capitanata dallo storico chef della Posada affianca-
to da un giovane chef emergente.” La scomparsa di Tarcisio Bucci, creatore e anima di questo luogo, colse tutti come un terremoto improvviso. “Essere all’altezza delle sue aspettative all’inizio non è stato facile, ammette Severine - non nascondo la grande difficoltà iniziale, ma il calore dei colleghi ha fatto si che la fatica si trasformasse in risorsa, così, come sono certa che nostro padre avrebbe voluto, con coraggio e dedizione abbiamo proseguito il viaggio…” In tre decenni e mezzo, moltissime cose sono cambiate, sia nella geografia che nella proposta turistica del quartiere, una realtà viva e attiva sostenuta da un gruppo di albergatori che si adoperano per i loro clienti e riempiono di colori e luci l’estate, una spiaggia accogliente e curata da bagnini at-
tenti e scrupolosi. Durante l’inverno, quando le luci si spengono, La Posada resta un faro, meta di affezionati e viaggiatori che, in alcune serate, possono cenare allietati anche da musica e cabaret. Infine, Severine conclude con un bel ringraziamento: “al meraviglioso team composto da tantissime persone, circa trenta, a seconda delle occasioni, a tutti coloro che hanno condiviso questi anni, alle persone di ieri e di oggi, ai clienti fedeli e a quelli nuovi, ai parenti e agli amici che sono stati fondamentali non solo nel successo, ma soprattutto nelle giornate più dure.” Un’altra bella storia di famiglia impreziosisce con la sua eccellenza la trama di questo territorio e di queste pagine, una storia di tavola che vi invitiamo a gustare direttamente a La Posada di Rivabella.
Nella pagina accanto, in alto, Tarcisio e Christiane premiati alla manifestazione enogastronomica; a lato, una suggestiva immagine dell’attuale mise en place; sotto, la veranda fronte mare Nelle immagini esempi di piatti, come vengono presentati oggi e un particolare della zona Grill
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Visibile e invisibile
le realtà racchiuse nel Simbolo di Chiara Bernardi | foto archivio Bernardi
Chiavi, simbologie, rivelazioni… una storia meravigliosa è narrata sulla facciata della chiesa di Santa Maria a Viserba. Ecco un itinerario inedito per i lettori più attenti, per i viaggiatori, per chi ama l’arte, la storia, la spiritualità.
La facciata della chiesa di Santa Maria a Viserba, in piazza Pascoli Nella pagina accanto, i simboli sul lato destro della facciata: si può distinguere un pavone, un albero, una colomba, una farfalla; sopra di essi, la luna con la prima orma umana
A Viserba c’è un posto speciale dove, con la giusta chiave dietro agli occhi, ognuno ha la possibilità di tuffarsi in un racconto affascinante e vasto come il mare viaggiando addirittura fino a duemila anni fa; non è un luogo nascosto e tu che stai leggendo, residente o turista, ci sei passato chissà quante volte. Quella chiave sta proprio qui, tra queste righe, affinché chi vivrà o passerà dopo di te possa a sua volta tramandarla ad altri. La memoria è importante. Il grande filosofo ebreo Martin Buber diceva che se una comunità si basa sul ricordo comune allora può sopravvivere… Per Viserba non è molto diverso. Vai in piazza Pascoli posizionandoti
all’incirca al centro, con il Vecchio Forno alla tua destra e il mare alle spalle; poi guarda la chiesa che si trova davanti a te tenendo conto delle coordinate che seguono e che vengono da molto lontano. Una chiesa, come tutte le costruzioni legate ad un culto, è un luogo speciale nel senso che è un luogo «scelto», separato dal resto della città. Nell’antichità pagana, la basilica era un edificio civile separato dal foro, che consentiva, in caso di maltempo, di proseguire le attività politiche e commerciali normalmente organizzate sulla piazza. Fu solo a partire dal 313, anno in cui l’editto di Costantino consentì a tutti i sudditi dell’impero
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romano di adorare pubblicamente le loro divinità, che i cristiani, per prendere le distanze dal paganesimo e dai suoi templi, iniziarono ad usare il modello della basilica come luogo di culto. Anche nella Bibbia, tempio di Salomone a parte (sorto e riedificato varie volte fino alla distruzione definitiva da parte dei romani nel 70 d. C.), puoi leggere, nel libro dell’Esodo, che Mosé, quando si trovava con il popolo di Israele nel deserto, costruì una tenda in disparte rispetto all’accampamento per poter entrare fisicamente in relazione con Dio e parlargli faccia a faccia. Posto tutto ciò, occorre chiedersi: dall’antichità fino ad oggi, come è stato possibile esprimere attraverso l’architettura questo concetto di separazione dello spazio sacro dal resto della città? Una prima modalità, non sempre riscontrabile, è quella dalla scalinata: elemento che porta fisicamente i piedi delle persone da un livello inferiore che calpestano per strada, ad uno superiore che calpestano nel tempio. Guarda i tuoi piedi: sei nel centro pulsante di un piccolo paese, ma se sali quei sette gradini che vedi, concettualmente ti troverai in una sorta di altro mondo dove cambiano luce, temperatura, odori, dove i rumori si fanno più ovattati tanto che puoi percepire il ticchettio del tuo orologio o il ritmo del tuo respiro. Sette gradini; non sei né otto…Fai sempre attenzione ai dettagli perché quasi mai, specie dentro una storia d’arte, nulla è messo lì a caso. Per capire perché proprio sette gradini devi sapere che nella cultura ebraica (che impregna fortemente quella cristiana perché ne costituisce l’origine) puoi trovare un’infinità di storie meravigliose attraverso le quali spesso si comprende il senso di ciò che si vede o che si fa. Questo è uno
di quei casi: nella cultura ebraica, infatti, il numero sette corrisponde al settimo giorno, detto shabbàt; forse ora starai ricordando di aver sentito dire da qualche parte che, di sabato, gli ebrei non lavorano. Nemmeno Dio lo fece! Nel libro della Genesi si racconta che per sei giorni Dio si dedicò alla creazione di tutte le cose poi, nel settimo, interruppe i lavori e si riposò, ossia si gustò il risultato insieme al suo miglior capolavoro: l’uomo. Un altro modo per separare il luogo sacro da tutto il resto è la facciata dell’edificio, la quale ha sempre una duplice funzione: da una parte lo delimita, mentre dall’altra invita ad entrare attraverso i decori
che esibisce; questi, come veri e propri indizi lanciati allo sguardo del passante-pellegrino, gli anticipano qualcosa del contenuto o della esperienza che potrà fare se deciderà di varcare la soglia. Ora che hai inquadrato tutto ciò, eccoti la chiave più importante per dare vita ai bassorilievi di cemento che vedi dinnanzi a te: essa sta nascosta nel senso che la parola ‘simbolo’ aveva nell’antica Grecia. Il ‘sùmbolon’ era un segno di riconoscimento e indicava un oggetto che veniva spezzato in due per poi darne metà ai contraenti e denotare così il patto che veniva suggellato tra famiglie o tra città; il simbolo era altresì la
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“tessera” che, nel mondo giuridico ateniese, veniva data ai giudici i quali la presentavano nel Foro come segno di riconoscimento o come sorta di parola d’ordine avendo poi il diritto al compenso. Simbolo è riconducibile anche alla forma verbale ‘sumbàllo’ che significa “metto insieme, unisco” ma anche “interpreto, dichiaro, spiego”. Nel ‘simbolo’ convergono quindi due realtà: una visibile ed una invisibile, laddove quella invisibile si può riconoscere solo attraverso la mediazione di quella visibile, che ad essa costantemente rimanda e allude. La tradizione artistica cristiana è dav-
vero ricchissima di simboli: pesci, ancore, croci, asce, palme, corone, navi, uccelli, pastori, pavoni; li puoi ammirare prevalentemente nei muri delle catacombe o sulle lastre dei singoli loculi che ospitavano i corpi dei defunti, tutti luoghi sepolcrali risalenti al I-II-III secolo d.C. Sulla facciata di Santa Maria a mare ce ne sono due grandi gruppi: quelli posti sul lato sinistro, che alludono a Cristo datore di vita e di eternità; quelli sul lato destro, che alludono alla tensione umana verso la vita e di conseguenza anche verso Dio. A destra puoi distinguere un pavone, un albero, una colomba, una farfalla e in alto anche una grande luna con tanto di impronta; quest’ultimo elemento non è legato al contesto significativo degli altri, ma venne inserito solo per ricordare che l’anno in cui la chiesa veniva eretta era proprio il 1969, quando l’astronauta americano Neil Armstrong con il compagno Edwin Aldrin, mise per primo i piedi sul satellite. Il pavone non è un mero ornamento come si potrebbe pensare, ma un modo singolare per rappresentare la figura di Cristo: è uno di quei simboli che, con l’avvento della religione cristiana, vennero ri-significati per non disorientare troppo i nuovi fedeli e mostrare una certa continuità con il passato: ri-significare consiste nel prendere un elemento dal suo contesto originario e impiegarlo in un altro senza però snaturarne il senso primo. Gli egizi ritenevano che chi mangiava carne di pavone ricevesse immortalità ed eterna giovinezza; l’animale inoltre, normalmente variopinto e maestoso, in inverno diviene irriconoscibile perché perde tutte le piume riducendosi ad un uccelletto magro e grigio; ad ogni primavera tuttavia si riveste nuovamente
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dei suoi colori sgargianti. L’arte paleocristiana recupera l’immagine di questo uccello perché, così come la sua carne era elisir di immortalità, così la carne di Cristo, offerta per l’uomo, lo conduce alla immortalità della vita eterna. Inoltre, come il pavone perde le piume, così anche Cristo crocifisso è spogliato della sua regalità riducendosi sfigurato e irriconoscibile; con la Resurrezione però, allo stesso modo del pavone in primavera, anche Cristo torna a rivestirsi della bellezza della vita eterna. Un pavone sulla facciata lancia dunque un messaggio del tipo: «guardami, tu che passi, vieni a vedere, entra, fai esperienza di ciò che si mangia a questa tavola e sarai sfamato per sempre». Alla destra del pavone vedi un albero stilizzato ma imponente: l’albero della vita e della conoscenza che tende verso il cielo infinito; il suo tronco richiama anche il legno dell’albero della croce come luogo di passione non fine a se stessa bensì come passaggio nella Resurrezione. Non è tutto. Guarda attentamente la forma di questa lettera ebraica ‘shin’ (nell’immagine sotto) e in particolare come i segmenti che la compongono richiamano esattamente i rami di quell’albero. Si tratta della penultima lettera dell’alfabeto, una sorta di
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«s» con cui inizia la preghiera più importante in assoluto (lo Shemà) e anche altre parole molto significative come gioia, canto, pace, serenità interiore; la shin è altresì singolarmente presente a titolo di completezza, sia dentro la parola uomo (ish) sia dentro la parola donna (ishà). La mistica ebraica la collega spesso al fuoco a causa della sua forma a fiamma che tende verso l’alto e proprio per questo può richiamare Dio il quale, incendiando il roveto ardente, parlò all’uomo-Mosè. D’altra parte è possibile intravedervi anche la caratteristica postura dell’uomo che prega: con il tronco dritto e le due braccia innalzate verso il cielo. Sempre in questo contesto di meraviglie della creazione fatte per l’uomo puoi notare la colomba; essa, come dice Cipriano da Cartagine, Padre della Chiesa del II secolo, è un animale semplice e lieto, non è reso aspro dal fiele, non morde ferocemente né dilania con le unghie, ma ama l’ospitalità degli uomini e frequenta un’unica casa; dopo la nascita dei piccoli i colombi li allevano insieme e nel tubare dimostrano la loro pacifica concordia realizzando in tutto e per tutto la legge dell’unità. In questo senso una colomba allude quindi a quell’amore fraterno e solidale che si dovrebbe cercare di realizzare all’interno di una comunità sociale. La colomba è anche emblema della pace e della alleanza: pensa a Noé che, dall’arca ancora immersa tra i flutti, liberò una colomba che ad un certo punto ritornò con in bocca un ramoscello d’ulivo a significare che aveva trovato la terraferma; a causa del peccato, tra Dio e l’uomo può insinuarsi una distanza infinita, devastante come il più terribile dei diluvi; ma l’uomo non viene lasciato solo: in quanto creatura amata, ad un
certo punto riceve un segno inequivocabile che l’alleanza con il Cielo è ripristinata. Questo lato della facciata termina con un altro simbolo dell’aria: la farfalla. In greco il termine psyché viene tradotto con soffio, anima e anche farfalla. La chiave per interpretare questo simbolo in un contesto cristiano è dunque quella della vita della farfalla: dopo una paziente incubazione che la vede informe e addormentata sotto forma di bruco, essa diviene crisalide poi esce dal bozzolo liberandosi nel cielo. La farfalla, dunque, è segno di passaggio da un corpo terreno ad un corpo celeste, simbolo di resurrezione, immortalità dell’anima, bellezza eterna. Se ora sposti il tuo sguardo sul lato sinistro della facciata potrai intravedere, tra gli altri, il familiare simbolo di un’àncora. No, non si tratta di un decoro marinaro sulla chiesa di un piccolo paese di mare! Quella è solo l’apparenza. La storia è molto più profonda perché l’àncora è il modo in assoluto più antico con cui si raffigura la croce. Ma questa è un’altra storia… Che avrà il suo spazio, a suo tempo, sempre su queste pagine.
Note: Bibliografia di riferimento e per approfondimenti 1) FARIOLI F., Elementi Di Iconografia Cristiana, Patron, Bologna, 1964. 2) HERNANDEZ J.P. Il corpo del nome. I simboli e lo spirito della Chiesa madre dei gesuiti, Pardes, Bologna, 2011. 3) MOHR G.H., Lessico di Iconografia Cristiana, IPL, Milano, 1984. 4) SENDLER E., L’ Icona: immagine dell’ invisibile: elementi di teologia estetica e tecnica, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007 5) TRISTAN, F. Les premières images chrétiennes: du symbole à l’icone : II-IV siècle, Fayard, Paris, 1996.
Nelle pagine precedenti, particolari dei simboli della facciata destra della chiesa, si distinguono: il pavone, la colomba, la farfalla e la luna Qui sopra, un particolare della facciata di sinistra: il pesce
Romagna terra delle Acque comunicazione istituzionale
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Cinquant’anni di governo dell’acqua. Il 2016 è un anno importantissimo per Romagna Acque-Società delle Fonti. Il 2016 è un anno importante per Romagna Acque-Società delle Fonti Spa. Ricorre infatti il Cinquantesimo dalla costituzione del Consorzio Acque, “l’antenato” dell’attuale Società, nato nel 1966 per volontà degli amministratori romagnoli dell’epoca. Un anniversario che rientra praticamente in ognuno degli eventi e delle iniziative programmati per l’anno in corso… Il libro storico Nel 1966, la situazione idropotabile della Romagna era problematica: diverse parti del territorio (soprattutto nel ravennate) registravano frequenti momenti di carenza idrica, un problema che si era tramandato nei secoli. Negli anni della ricostruzione e del boom economico, dunque, gli amministratori decisero di costituire un consorzio che avesse come obiettivo la costruzione di un grande “serbatoio” di buona acqua, e di una rete acquedottistica che la distribuisse dalla montagna alla pianura. Ecco allora la progettazione e la costruzione della diga di Ridracoli - i lavori si svolsero dal 1976 al 1982 - e finalmente, nel 1987, l’avvio della distribuzione da parte dell’Acquedotto della Romagna, che a Ridracoli fa capo. Per celebrare il Cinquantesimo, allora, la Società ha deciso intanto di affidare allo storico Alberto Malfitano, dell’Università di Bologna, la realizzazione di un volume storico, “Il governo dell’acqua”, edito da Il Mulino, con prefazione del prof. Roberto Balzani, che racconta la storia di questo mezzo secolo di vita. Attraverso la ricostruzione della storia di Romagna Acque e dei suoi tanti protagonisti, da Icilio Missiroli ad Angelo Satanassi, da Lanfranco Turci a Giorgio Zanniboni, il volume passa in rassegna un pezzo di storia della Romagna, intesa come area vasta in cui una iniziativa sorta dal basso, dalle amministrazioni comunali, per risolvere un problema grave e sentito dalla popolazione, è riuscita a trovare forma concreta con l’aiuto decisivo della Regione e dello Stato. La ricerca si è avvalsa della rassegna stampa dell’epoca, della documentazione interna di Romagna Acque, di testimonianze orali, dei documenti inediti conservati negli archivi di numerosi enti e istituzioni, a partire da quelli dei Comuni coinvolti, del Consorzio di Bonifica della Romagna e della Regione Emilia-Romagna.
La copertina del volume storico.
La ricaduta degli investimenti sull’economia romagnola La Società ha poi affidato a Ref Ricerche uno studio di benchmarking sul proprio ruolo come best practice di “in house” industriale, inserendolo nell’ambito del contesto regionale e nazionale, facendo confronti anche su scala mondiale. Dallo studio emerge come la realizzazione e il finanziamento di oltre 200 milioni di euro di investimenti - pianificati dalla Società per il periodo 2011-2023 – genererà, per l’alto livello di ricaduta locale generato dalle nostre attività, un impatto annuale sul PIL dell’area romagnola dello +0,15%, garantendo circa 800 nuovi posti di lavoro all’anno. Sull’intero periodo di riferimento, l’incremento cumulato di ricchezza in Romagna (in termini di PIL) è stimabile in poco meno di 500 milioni di euro con la promozione di oltre 8 mila nuovi occupati. L’impatto maggiore si avrà per il settore delle costruzioni, seguito da quello delle attrezzature (meccanica) e dei servizi d’ingegneria. Romagna Acque assume quindi un’importanza strategica non solo in termini di core business (la garanzia di risorsa idropotabile) ma anche rispetto agli investimenti sul territorio. La ricerca è stata presentata anche a Rimini, alla presenza del presidente di Romagna Acque, Tonino Bernabè; del sindaco di Rimini, Andrea Gnassi e dell’assessore regionale all’Ambiente, Paola Gazzolo.
Un momento dell’incontro organizzato da Romagna Acque al Museo di Rimini.
Società delle Fonti www.romagnacque.it
Il progetto “La mia acqua” per le scuole di Rimini Fra le molteplici attività annualmente realizzate dalla Società, rientrano anche i progetti di educazione all’uso corretto dell’acqua portati avanti in diverse scuole della Romagna, a partire dalle primarie per giungere fino alle superiori. Il progetto dell’anno 2015-2016, denominato La mia Acqua, è stato realizzato concretamente grazie agli operatori della cooperativa Atlantide, che si sono occupati di progettazione, coordinamento, segreterie e lavoro operativo nelle classi. Complessivamente, nelle tre province romagnole sono stati coinvolti 1254 studenti, 62 classi, 30 scuole, suddivise in 22 comuni. Per le scuole della provincia di Rimini il progetto era una novità assoluta: hanno aderito 17 classi di 9 scuole, per un totale di 370 alunni. Il percorso ha previsto 1 incontro in classe di due ore e un’uscita sul territorio di mezza giornata. I temi trattati sono i seguenti: ciclo naturale e urbano dell’acqua, l’acqua attraverso i sensi: acqua da sentire e acqua da bere, il territorio e le fonti di approvvigionamento, l’acquedotto di Romagna, caratteristiche e qualità dell’acqua da bere: principali elementi, le etichette, buone pratiche di risparmio idrico. L’uscita è stata effettuata presso un tratto del fiume Marecchia, in località Ponte Verucchio, dove è stata fatta attività di osservazione dell’ambiente fisico del fiume e inquadramento geografico con esecuzione di alcuni rilievi (temperatura dell’acqua, velocità della corrente ecc.) e raccolta dei macroinvertebrati presenti per un ragionamento sulla qualità delle acque. “Come Romagna Acque, riteniamo fondamentale il mondo della scuola ed il sostegno attivo ai progetti dedicati alla tematica dell’acqua, per favorire il coinvolgimento partecipe dei ragazzi in una delle questioni aperte più importanti del nostro tempo – ha detto il presidente di Romagna Acque, Tonino Bernabè - Una tematica a sostegno della vita, della salubrità degli individui, fortemente collegata alla difesa dell’ambiente e degli ecosistemi, messi oggi alla prova dai cambiamenti climatici in atto”.
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I trattaroli
della squadra di ‘Nandi’ di Vincenzo Baietta | archivio L’Ippocampo
Ecco il dipinto di una giornata da trattaroli. Pioggia, neve e tempeste a far su reti e reste, rischiando, a volte, di dover ‘mangiare all’aperto’… Nelle immagini i gruppi dei trattaroli della squadra di Nandi
Bisognava chiederlo a ‘Ragnoun ad Rivabela’ o a ‘Nandi ad Viserba’ o a suo figlio ‘Mario dla Bagéca’, quando erano ancora vivi, la vita che hanno fatto, negli anni passati, quando il mare portava sabbia verso terra, formando, vicino alla riva gli scanni e dove le battane restavano incagliate. Bisognava, allora, togliersi zoccoli e calze, mettersi contro poppa e spingere forte con la schiena in su. Cose da scorticarsi la pelle! Quanti danni per uscir fuori dagli scanni! Bisognava chiederlo a ‘Togna,’ mio nonno, o a Carlo del casato dei ‘Pireta’, quando erano ancora vivi, nel loro tempo, e facevano parte della squadra di ‘Nandi’. Agli scanni, che mitraglia di moccoli uscivano fuori da tutte le bocche! Speriamo che la Madonna e il Signore, malamente tirati in ballo nei momenti di fatica, nella loro misericor-
dia, di lassù, ci abbiano tirato sopra una riga e la colpa del peccato sia stata loro cancellata! Spesso cominciava così la giornata dei trattaroli, giovani o vecchi che fossero, tirando l’alzana per la marina e dopo, dalla battana, si calava la rete fitta con le corde di canapa lunghe cinquanta braccia. Quelle corde che a forza di tirare si schiantavano. E giù moccoli! Anche se, pensandoci bene, in fondo, si sa che prima o poi tutto si schianta nel mondo! Bisognava chiederlo a ‘Catinora’ quante corde faceva per i marinai della zona, dal suo laboratorio, di là della ferrovia, nella terra al ‘pladur’ (il macello dei polli), torcendo la canapa fina con il tempo buono, con l’impianto della ruota che girava tramite una manovella mossa da un bambino. “Poveri trattaroli”! Se, durante la tratta, li sorprendeva la pioggia,
era acqua da sopra e da sotto. Non si poteva però lasciare di colpo ‘baracca e burattini’. Bisognava, ‘se croc’, la cinta ben stretta in vita, puntare i piedi nella sabbia, tirare con la schiena e le braccia fuori o dentro l’acqua fino alle cosce. Quando era notte, si erano schiantate le ossa! Bisognava chiederlo alla ‘Bagéca di Nandi’ o alla ‘Gagia di Togna’ o alla ‘Marì di Garnela’, quando erano ancora vive, le corse che hanno fatto sotto gli acquazzoni di scirocco o di tramontana, per portare gli ombrelli ai trattaroli! E questi ultimi, intenti a far su reste e reti senza pesci, bagnati fradici, incazzati duri, l’inutile ombrella la tiravano per terra o contro i muri. Che stanchezza negli inverni così freddi che gli si ghiacciava la lingua in bocca! Purtroppo, in inverno, spesso non si prendeva neanche il pesce per una mangiata. Che fregata! Però, anche se non si prendeva niente, in famiglia qualcosa bisognava mettere sotto i denti. Mia nonna, l’instancabile Gagina, andava in campagna a raccogliere rosole, ravastrelli, ravanelli, acetosella e radicchio selvatico e, con il suo fazzolettone dalle cocche annodate, gonfio di erbe campestri correva a casa a far piada e erbe, così almeno si mangiava. Ma ‘Togna’ di mangiar erbe e cassoni, si era rotto i… Finchè un brutto giorno, aprì la finestra, prese la zuppiera con le erbe cotte e condite, la tirò verso il cielo con tigna dicendo: “Mangiale te Signore che io sono stufo!” ‘Gigin’ l’ironico oste, vicino di casa, sentita e vista tutta la scena si rivolse a mio nonno dicendo: “Togna, cosa fate?! Forse, per caso, oggi lor signori vogliono mangiare all’aperto?!”
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Una passione per capello
di Ruggero Testoni | foto Famiglia Severini
Festeggia il venticinquesimo anno d’attività uno dei negozi di parrucchiere più noti di Viserba. Quello di Ilario Severini.
Ilario con la moglie Gaetana detta ‘Nuccia’
Lungo, corto, scalato, stirato, scolpito, a volte fiabescamente colorato, il capello è il protagonista della professione del parrucchiere che, seguendo la fantasia e i dettami di mode ed epoche, ha liberato l’estro e la creatività pettinando, acconciando e colorando generazioni di uomini e donne. Se negli anni Cinquanta e Sessanta, la bottega del parrucchiere era il passaggio obbligato per tutte le signore e signorine in occasione di feste o ricorrenze, appuntamento quasi quotidiano delle villeggianti in preparazione alla serata danzante nei rinomati locali da ballo estivi, con il passare degli anni anche questa professione ha avuto la sua trasformazione, adeguandosi ai più moderni stili di vita, improntati sulla praticità. Uno degli interpreti locali di questa professione è Ilario Severini.
Il suo negozio, che quest’anno compie venticinque primavere, si trova in via Panzacchi a Viserba, la strada che dalla piazza principale, costeggiando la chiesa lato nord, porta al mercato della frutta. “Fin da giovanissimo, – racconta - sono stato attratto dai profumi che respiravo entrando nel negozio di parrucchiere di uno zio che mi trovavo a frequentare sempre con maggior assiduità, cercando ogni occasione per sostare e rendermi utile. Il mio primo vero incarico a bottega – prosegue – fu a Rimini nei primi anni Sessanta, prima di trasferirmi a Genova presso la famiglia di una zia materna, un affido richiesto dalla mamma che mi ha lasciato prestissimo. A Genova trovai subito occupazione in centro città: buon datore di lavoro, ottimo insegnante, in un negozio dalla clientela selezionata e con una retribuzione quintuplicata rispetto alla precedente. Negli anni Settanta, per completare le mie conoscenze in materia, iniziai a frequentare l’accademia per parrucchieri fino al raggiungimento del diploma di maestro insegnante d’arte. Era un periodo di notevoli prospettive e di sviluppo un po’ in tutti i settori e acquisire specializzazioni significava crearsi un miglior avvenire. A livello regionale e nazionale venivano organizzati concorsi e manifestazioni alle quali, fresco di diploma di acconciatura, ho partecipato con grandi soddisfazioni.” Fra i premi ottenuti Ilario ricorda con orgoglio quello ricevuto nel 1975, al Teatro Nuovo di Milano, dove fu nominato fra i primi sette parrucchieri d’Italia e che gli ha permesso di entrare a far parte della squadra campione d’Italia. Nel 1976 Ilario divenne campione ligure e, nel 1978, vincitore del pettine d’oro come miglior acconciatore nazionale (unico in Emilia Romagna).
58| DELLE ARTI E DEI MESTIERI
È datato primi anni Novanta il rientro in Romagna. “Una scelta dettata dalla nostalgia – spiega - e dal richiamo della terra natia; mia moglie e i nostri figli, allora, non erano troppo convinti, oggi però sono felici della scelta fatta.” Sempre fra le soddisfazioni del mestiere, vi è la partecipazione in veste di ‘tutor’ sul trattamento del capello e del cuoio capelluto, a tre puntate di una trasmissione televisiva su Canale 5 condotta da Maria Teresa Ruta dedicata alla bellezza e al benessere nell’estetica. A Viserba, collabora da anni con il Comitato Turistico attraverso gratuite partecipazioni e dimostrazioni pubbliche in eventi a favore degli ospiti estivi. Da venticinque anni nel negozio di via Panzacchi, opera con sapiente professionalità ed entusiasmo, invitando i giovani volenterosi ad avvicinarsi per intraprendere questa attività, bellissima e creativa che,
come sostiene fiducioso, lascia ancora ampio spazio al futuro in una cittadina che non vive solo di turismo balneare, ma di mirabile popolazione locale vivace e colorata. Noi gli auguriamo, insieme alla numerosa e fedele clientela, ancora tanti anni di prosperosa attività.
Ilario e Nuccia con una cliente sotto il negozio di via Panzacchi
ph. Paritani
LA FONTE
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