Arte Contemporanea Arte Concettuale • Pop Art • Arte Povera
Aurora Lisi • Graphic Design III
Arte Contemporanea Arte Concettuale • Pop Art • Arte Povera
Arte Concettuale
Giulio Paolini Piero Manzoni Jasper Johns
Pop Art Andy Warhol Mario Schifano Robert Rauschenberg
Arte Povera Alighiero Boetti Jannis Kounellis Giovanni Anselmo Pino Pascali Giuseppe Penone
Arte Concettuale
Si sviluppa in USA dagli anni Sessanta ed è legata essenzialmente agli avvenimenti del tempo, tendente ad eliminare ogni significato emozionale per proporsi con lucida e fredda razionalità. La caratteristica principale che si riscontra negli artisti che vi aderiscono, è la propensione alla rappresentazione e alla definizione delle idee e dei concetti, piuttosto che alla pratica vera e propria e all’oggetto materiale di per sé. Il fine dell’opera è l’attività di pensiero, non il godimento estetico.
Arte Concettuale
Giulio Paolini
Esordisce nel 1960, con l’opera Disegno Geometrico: una tela dipinta a tempera bianca, sulla quale si limita a tracciare la squadratura a inchiostro. Quest’opera rappresenta il gesto che precede ogni forma di raffigurazione. È la sintesi della concettualità della sua arte. Focalizza le sue riflessioni sulle relazioni che intercorrono tra autore e opera, opera e osservatore, osservatore e artista. Con la sua arte intende guidare lo spettatore, nel momento di fruizione, a focalizzarsi non più sull’aspetto estetico, ma sul lavoro di progettazione e sullo sviluppo
creativo dell’opera, sull’idea, la riflessione, le ricerche dell’artista.
Così facendo attiva la mente dello spettatore, che non è più passivo, ma partecipe alla creazione mentale dell’opera. Negli anni ‘70 si concentra sul tema della copia, attraverso la citazione di opere di grandi artisti del passato: ne estrapola particolari che solitamente lo spettatore non coglie, poiché impegnato ad ammirarla nell’insieme. Dagli anni ‘80 ad oggi indaga la tematica dell’allestimento, in quanto momento topico del processo creativo e parte integrante dello sviluppo dell’opera, poiché equivale al momento della fruizione. Quindi per comunicare al pubblico le sue riflessioni, fa dell’allestimento stesso l’opera d’arte, rendendolo teatrale ed enigmatico.
Arte Concettuale
Piero Manzoni
La sua arte non ha avuto una lunga durata, ma ha saputo rappresentare in modo originale la realtà del tempo, scuotendo gli animi del pubblico verso la curiosità e la creatività attraverso la provocazione. L’atteggiamento emotivo che caratterizza la sua produzione è quello di critica nei confronti della figura dell’artista e alla cultura di massa. Identifica nell’idea che precede l’opera, la vera essenza dell’opera stessa; il progetto, il gioco sottile dell’intelligenza, la formazione del pensiero, sono i veri prodotti artistici. L’opera non è che traduzione materiale di un discorso riflessivo e filosofico. Soprattutto attraverso la Merda d’artista, ha posto in discussione la natura dell’oggetto d’arte, prefigurando l’arte concettuale. Il suo approccio evita i materiali artistici comuni, a favore di materiali poveri come la pelliccia di coniglio e gli escrementi umani, oppure qualsiasi materiale che sia considerato indegno di ogni interesse artistico.
Sulla scia dell’opera Monochrome di Klein, realizza nel ‘57 Achrome, nei quali il discorso intrapreso da Klein perde di energia spirituale, radicalizzandosi al punto che il quadro non è solo monocromo, ma addirittura privo di colore, una superficie grezza in gesso e caolino, dove supporto e opera sono un tutt’uno. Portando avanti la ricerca sugli Achromes, inizia a creare oggetti concettuali come “le linee”, e progetta di firmare corpi vivi come fossero opere d’arte (sculture viventi). Sulla stessa linea produce 45 corpi d’aria, banalissimi palloncini riempiti d’aria che saranno commercializzati come Fiati d’artista, spostando così definitivamente il significato dell’opera, dall’opera stessa, all’artefice in sé. L’essenza dell’opera è l’artista stesso, la sua sola e semplice presenza, la sua firma.
Arte Concettuale
Jasper Johns
A partire dal 1955 comincia a dipingere bandiere americane, bersagli, calchi anatomici, mappe geografiche degli USA, lettere e numeri. Il lavoro di Johns si concentra come un’indagine sulla natura della pittura e il tratto distintivo dell’opera di Johns è l’abbandono del significato che normalmente si conferisce agli oggetti, e la preoccupazione di sottolineare la qualità dell’immagine dell’oggetto rappresentato, seppur quotidiano e banale, denunciando un’importante componente popolareurbana. Attraverso strumenti ancora tradizionali come la pittura, esalta i contenuti dei mass media: dipinge la bandiera americana giocando sull’ambiguità mentale tra l’ogget-
to e la sua riproduzione. Si chiede: vale più il quadro o il simbolo rappresentato?
Porta a chiedersi quale sia la differenza tra una bandiera reale e una dipinta, divenuta così “arte”. Ha sempre mostrato un interesse intellettuale per l’oggetto in sé, gli interessa semplicemente il suo non essere più quello che era, il suo divenire altro da quello che è.
E’ interessato all’istante in cui viene identificata una signola cosa, e alla continua fugacità dello stesso istante di identificazione.
Pop Art
Nato tra l’Europa e l’America negli anni ‘50 e ‘60 del xx secolo, La Pop Art rispecchia nelle proprie opere la moderna società dei consumi. Entrando in competizione con lo stesso linguaggio aggressivo e impersonale dei mass media, essa sperimenta tecniche inedite, si serve di fotografie ritoccate, di collage e assemblages, al fine di denuncia-
re lo smarrimento dell’uomo di fronte ad una civiltà che impone stereotipi e
desideri sempre in rinnovamento.
In un’epoca in cui tutto è riproducibile e duplicabile, l ’arte si interroga sul proprio ruolo: gli artisti si chiedono se e come mantenere il carattere esclusivo dell’opera d’arte, o se debbono piuttosto conciliare la realtà consumistica con il proprio linguaggio.
Traggono ispirazione dagli oggetti “semplici” e quotidiani e da immagini create dai mass media. Nasce comunque una diversità di stili e tecniche: chi si appropria di tecniche industriali e ripete ossessivamente le immagini (Warhol); chi attraverso strumenti ancora tradizionali come la pittura, esalta gli stessi contenuti dei mass media (Jasper Johns che dipinge la bandiera americana giocando sull’ambiguità mentale tra l’oggetto e la sua riproduzione. Si chiede: vale più il quadro o il simbolo rappresentato?). Riproducendo l’aspetto consumistico della realtà, la pop art ha un tale successo che finisce a volte per esaltare involontariamente la cultura che vorrebbe invece criticare.
Pop Art
Andy Warhol
Dalla personalità eccentrica, Andy Warhol è stato il principale esponente della pop art americana. Abile conoscitore della comunicazione pubblicitaria e della società di massa, ha saputo sfruttarle per dare sfogo propria arte, volutamente provocatoria. Ha scelto come protagonisti delle sue opere oggetti della vita quotidiana, dimostrando come anche un bene di consumo quotidiano possa diventare arte. Al contempo le sue opere costituiscono un attacco al ruolo dei mass media, che costringono a consumare tutto troppo in fretta per far sorgere nuovi desideri. E’ curioso pensare che sia diventato celebre, dipingendo soggetti che non ha inventato ma ha solo copiato, eppure i suoi lavori sono ancora oggi presenti sulla scena contemporanea. Riporta ad arte anche le notizie tragiche e violente provenienti dai media, attraveso le sue immagini serigrafiche in serie (serie di Jacqueline Kennedy)
Al tema della morte si accosta quello della fascinazione della celebrità e della bellezza (Liz Taylor, Marilyn). Riproduce le “icone-simbolo” del suo tempo; non solo celebrità e politici, ma anche gli oggetti più popolari come la bottiglia di Coca-Cola, la Campbell’s soup, il simbolo del dollaro. La riproduzione ossessiva come esercizio di svuotamento di significato. La sua idea di multiplo rispecchia l’essere umano ripetuto in massa in quanto stereotipo. La fotografia è un altro mezzo utilizzato, ma questa volta più per documentare la sua vita mondana e i suoi incontri con le personalità dello spettacolo. Era ossessionato dalla fama, sua e degli altri. Dalla sua passione per il cinema underground, invece, nasce la Factory, una specie di fabbrica del cinema, luogo di film provocatori e di personalità eccentriche a cui era permesso di esprimersi liberamente.
Pop Art
Mario Schifano
Inizialmente protagonista dell’Informale, con una pittura gestuale e materica, successivamente, al contatto con la Pop Art, realizza i primi paesaggi anemici, una serie di quadri monocromi dal colore molto tattile, dove il dato naturale viene ancora descritto attraverso la derivazione di una precedente immagine riprodotta (e non di un’esperienza vissuta direttamente), richiamata tramite scritte allusive e frammenti.
un’immagine fatua, evanescente, immateriale, trasferita sulla tela e trasformata dall’intervento dell’artista, che in questo modo se ne appropria.
Ciò che è sempre manifesto è il senso di contemporaneità, spiegato anche dall’uso di colori di produzione industriale (smalti, vernici a nitro).
Tra gli anni ‘70 e ‘80 realizza i D’Après, lavori dedicati ai soggetti dell’arte e a riproduzione fotografiche dartisti come De Chirico, Cezanne, Matisse, Da Vinci.
Appassionato studioso di nuove tecniche pittoriche, è tra i primi ad usare il computer per creare opere, elaborando, nei primi anni ‘70, immagini riportate su tele emulsionate, isolandole dal ritmo narrativo delle sequenze cui appartengono, e riproponendole con tocchi di colore alla nitro in funzione estraniante. Il risultato è
La sua produzione più recente è caratterizzata dalla ricerca per il naturale, paesaggi, campi di grano, distese di sabbia. Tutto ciò sarà ricreato, reinventato, filtrato attraverso ricordi e pulsioni, sensazioni, sequenze di immagini veicolate da apparecchi televisivi, dalla pubblicità, e si configurano come geografia della memoria.
La sua attenzione alla tecnologia e riproduzione di immagini, la contemplazione per la città, la musica, la pubblicità, la fotografia, si unisce al cinema underground, permettendogli di produrre una serie di cortometraggi e trilogie.
Pop Art
Robert Rauschenberg
Esponente del neodadaismo e della pop art, fu un grande sperimentatore e indagatore del rapporto dell’uomo con la società urbana e tecnologica, attraverso la manipolazione di oggetti di consumo, dei quali muta il valore e il senso corrente, per arrivare, attraverso un’azione mirata, alla coscienza del fruitore.
Contro la finitezza formale dell’oggetto mercificato dell’arte pop, R. propose l’oggetto vissuto e di scarto, vecchie cianfrusaglie che non trovano posto nel mondo dei consumi, quale veicolo interpretativo, in chiave ironica e dadaista, della realtà. L’obiettivo della sua poetica dello scarto sta nel riciclare, nel trasformare l’energia del materiale scartato in una rinnovata energia vitale. Negli anni Cinquanta realizza i suoi pri-
mi combines paintings, l’unione all’uso del colore, di oggetti di varia natura (fo-
tografie, oggetti d’uso, ritagli di giornali ecc.) sulla superficie del quadro. Oggetti
comuni o parti di essi, recuperati, assemblati e immersi in una dimensione artistica. Si collocano a metà tra arte e vita, tra pittura e collage; sono come una sorta di raccolte di memorie del quotidiano. L’unica operazione che può fare l’artista è solo questa possibile ricomposizione
della realtà urbana, mercificata e industrializzata, di cui anche l’uomo fa parte, attraverso una violenta capacità di personalizzazione e d’invenzione dei propri strumenti espressivi, attraverso una pittura violenta e sensibile, aggressiva e introspettiva. L’artista guarda alle cose con estrema curiosità, una curiosità che lo porta ad instaurare un rapporto con i materiali più diversi e, il gesto stesso di fusione di materiali che magari prima di allora non erano ancora stati pensati insieme, gli infonde una sorta di nuova energia vitale.
Arte Povera
Nata in Italia intorno alla metà degli anni Sessanta, rifiuta i valori culturali legati a una società tecnologicamente avanzata, a favore del recupero di quei materiali semplici e poveri per definizione - legno, terra, metallo, stracci. Ciò che ne consegue è un’arte la cui volontà è quella di riappropriarsi di valori primari come il contatto con la natura e di superare l’idea secondo cui l’opera d’arte faccia parte di una realtà sovratemporale e trascendente. Gli artisti si esprimono attraverso performances e installazioni, producendo opere concrete, sostenute da messaggi intellettuali. Davano importanza soprattutto al percorso di realizzazione dell’opera, più che all’opera materiale in sé. Davano rilievo artistico soprattutto agli elementi utilizzati, al tempo, al gesto della materia.
Arte Povera
Alighiero Boetti
Autodidatta, e interessato alla cultura orientale e all’alchimia, muove i suoi primi passi nell’Arte Povera, ma se ne distacca presto per seguire la sua personale poetica, interessata piuttosto al progetto in sé, all’idea, all’elaborazione mentale dell’opera. In questa linea si inseriscono lavori incentrati sullo sdoppiamento, sulla riproducibilità, sulla simmetria e moltiplicazione. L’opera doveva avere un senso estetico forte. Rappresentare il suo pensiero, ma assolutamente rispondere a dei canoni estetici, senza i quali non aveva dignità d’esistenza. I meccanismi che inventerà per i suoi lavori sono strutture di pensiero, applicabili alle cose senza potersi esaurire. Una volta chiaro il principo che li genera, si staccano da schemi soggettivi e permettono la libertà di autogenerarsi come le cose della natura.
Ha utilizzato spesso nelle sue opere segni che hanno il senso del tempo: ritmi scansioni, tempi lunghi e distesi. Nelle sue opere c’è sempre un elemento che richiama l’artista come punto di riferimento, non tanto il materiale di per sé, mettendo in discussione il suo ruolo. Altro elemento ricorrente nella sua produzione, è la parola, l’indicazione delle parole attraverso l’alfabeto e con un codice di lettura che non appare subito. Le opere incentrate sui codici di classificazione, con numeri, carte geografiche e alfabeti, sono realizzate con grande varietà di materiali e tecniche, evocatrici di antiche manualità artigianali. Tra le tante si ricordano la molteplicità degli arazzi, dei ricami e delle mappe del mondo; opere alle quali deve principalmente la sua fama, realizzati da operai su sua commissione, a partire dagli anni ‘70.
Arte Povera
Jannis Kounellis
Dagli anni Sessanta è figura centrale del movimento dell’Arte Povera, e come tale, ha esposto nei musei e gallerie internazionali, elementi di un mondo fatto di sacchi, juta, carbone, metallo, esseri viventi, fatto di prodotti del lavoro dell’uomo, di elementi naturali e sanguinolenti come quarti di bue e oggetti del quotidiano. Sostenitore di un approccio materico all’arte, dal momento in cui nel 1956 arriva in Italia, subisce le influenze informali e con la pittura esprime un linguaggio improntato sull’immediatezza, sui segni, segnali, frecce, numeri, lettere. Un linguaggio che presto muterà verso un approccio performativo e concettuale: dalla metà degli anni ‘60 si focalizza sul
contatto tra elemento naturale e elemento industriale.
Dalla forza e la novità dei suoi lavori, emerge quanto sia fondamentale per lui il
coinvolgimento del pubblico, ai fini di completare l’opera d’arte.
Per le sue opere fa uso di materiali come carbone, lana, sacchi, elementi evocatrici
di qualcosa di primario e fondamentale
Attraverso l’uso di tali materiali, mostra quanto la sua sia una poetica dell’originario, che però si esprime sempre in modo semplice e minimale; dimostra di aver superato qualsiasi rigidità formalistica di matrice informale, perché sono tutti materiali compositivi ma che vengono usati in modo simbolico estremamente libero e allo stesso tempo sensato. C’è sempre un forte richiamo al mondo del lavoro, sia rurale che industriale, e l’opera di Kounellis è storicamente presente, profonda, ogni sua installazione è impregnata di vissuto e memoria.
L’incontro e l’accostamento dei materiali non è mai casuale o illogico; c’è una precisa volontà compositiva. Il suo intervento più noto è stato l’aver posto 12 cavalli vivi nello spazio espositivo alla Galleria L’Attico a Roma, volti a rappresentare il conflitto ideale tra cultura e natura, in cui l’artista viene ridotto al semplice ruolo marginale di artefice, mentre l’opera si realizza nella relazione con il pubblico.
Arte Povera
Giovanni Anselmo
I suoi lavori sono la fisicizzazione della forza di un’azione, dell’energia di una situazione o di un’evento, non tanto l’esperienza di ciò a livello di annotazione, di segno o natura morta. La sua ricerca si concentra sull’interazione di materiali molto diversi tra loro per composizione, duttilità, natura e provenienza, provenienti sia dalla natura, che dalla produzione industriale. Materiali incompatibili e opposti, come in Torsione, dove la fisicizzazione dell’energia è data dalla torsione del cuoio attorno a un manico di legno, che si contrappone alla staticità del granito. L’uso di materiali differenti produce
contrasti e mette in evidenza la vitalità di quegli stessi elementi. Anselmo permette alla materia organica di entrare in contatto con la materia inerme, per condizionarla e modificarla. La decomposizione e il mutamento di ogni organismo sono imprevedibili varianti che danno un nuovo senso all’opera d’arte, soggetta così esplicitamente alle forze della natura e della fisica. Non solo l’organico, ma anche l’infinito delle forze fisiche, che rappresenta; oppure la gravità che spinge verso il basso le pietre, salvate però da fili di acciaio che le bloccano per non farle cadere (Mentre il colore solleva la pietra e la pietra solleva il colore.)
Arte Povera
Pino Pascali
Figura centrale della scena artistica italiana degli nni ‘60, la sua arte trasforma lo spazio in una dimensione in equilibrio tra illusione e realtà.
Coniuga in modo geniale e creativo forme primarie e mitiche della natura (i
campi, gli attrezzi, i riti agricoli, il mare, la terra) con forme infantili del Gioco e dell’Avventura (animali della preistoria, dello zoo e del mare, giocattoli di guerra, il mondo di Tarzan e della giungla, bruchi e bachi da seta). Traduce questo mondo dell’immaginario in forme monumentali e strutture essenziali, concise, che rimandano alla cultura di massa (il fumetto, il cinema, la moda). Storicizza la natura con materiali di con-
sumo, sintetici, fragili ed effimeri (tela, legno, lana ‘acciaio, pelo acrilico, paglia, raffia). In questo modo da una sua originale risposta critica alle nuove tendenze Pop che provenivano dall’America. Lavorerà inoltre sul concetto di paradosso di stampo dadaista, ricreando macchine da guerra in grandi dimensioni che sembrano armi per uccidere fino al minimo dettaglio. In realtà sono oggetti realizzati con materiali trovati dall’artista, residuati meccanici, tubi idraulici, vecchi carburatori Fiat, rottami, manopole. In contrapposizione alle sue macchine da guerra, Pascali crea diverse sculture in forme organiche, che ci portano in un’universo più accogliente: i Bachi da setola, che invadono pacificamente lo spazio con le loro forme morbide e variabili.
Arte Povera
Giuseppe Penone
Attivo dalla fine degli anni Sessanta, è tra i protagonisti dell’Arte Povera. Le sue opere indagano il rapporto di
scambio di energie tra l’uomo e la natura, al ritmo del ciclo della vita.
L’interazione uomo/natura è centrale in una serie di suoi lavori, in cui interviene nel processo di crescita degli alberi, protagonisti della scena. L’albero è al contempo espressione e
interprete fisico della vita che scorre, del rigenerarsi. L’albero è un compromesso
tra il vegetale e l’animale, dove però c’è la persistenza, perché possiede un respiro diverso dall’uomo e ha una durata di esistenza più lunga. L’albero registra i suoi gesti, la sua immagine e il suo vissuto, perché cresce ad anelli concentrici e conserva, nella sua costituzione, la memoria del suo vissuto. Penone si rivolge alla natura, non tanto come simbolo, quanto com emateriale vivo e concreto, da toccare, plasmare, da
riportare alle origini e al contempo ori-
ginare. In questo modo attua un tentativo di antropomorfizzazione della natura, al fine di possederla e farsi possedere. Una delle sue opere più magnetiche e emblematiche, è Rovesciare i propri occhi (1970): un’opera forte e sintetica, in cui si mostra lo stesso artista che indossa delle lenti specchianti, le quali accecano ma anche restituiscono allo spettatore il paesaggio che l’artista non vede. Un gioco di rimandi e visioni dove introspezione/ estrospezione sono in conflitto dialettico. Con lo sguardo, l’uomo tocca il mondo, e lo fa attraverso la pelle, un altro elemento che ricorre nella sua produzione artistica. La pelle come membrana e come comunicazione e contatto con la natura. E’ qui che si inseriscono le opere di calchi e impronte. Nel ciclo degli alberi, vediamo l’artista intagliare travi di legno, fino a far emergere, scolpendola, l’anima dell’albero che un tempo la trave è stata, prima di venir resa utensile dall’uomo.