Michela Cerruti, quasi una fiaba

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L’intervista

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Michela Cerruti, quasi una fiaba Soltanto a 18 anni ha scoperto la passione per l’automobilismo. Frequentando un corso di guida sicura è stata stregata dalla velocità mostrando un grande talento per la pista. Ha vinto gare importanti tra lo sbigottimento dei piloti del sesso forte. Ora punta al professionismo per partecipare al DTM, l’importante campionato tedesco

TESTO: Sperangelo Bandera FOTOGRAFIE: Stefano Guindani©SGP

MAKE UP: Barbara del Sarto HAIR STYLE: COTRIL CAMICIA: BAGUTTA www.bagutta.net T +39 02 42290541 | 20


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A VELOCITÀ come crescita interiore, la competizione come energetico per lo spirito, il sorpasso come esercizio di coraggio: riflessioni su alcuni aspetti dell’automobilismo, applicazioni della ragione nascoste dall’istinto e dell’emozione, ma ben presenti nella visione che Michela Cerruti, di professione pilota di auto da corsa, occhi pronti alla sfida in pista e nella vita, ha di questo sport. Un processo di analisi introspettiva che, anche grazie alla laurea in Psicologia, la scienza che studia i processi psichici e mentali, lei applica alla sua realtà, in cui lo sport dell’automobile occupa un posto importantissimo. Il suo ingresso in pista e la sua “carriera” hanno i contorni di

una fiaba. Qualcuno, alle generazioni che verranno, potrà raccontare che c’era una volta una ragazza di 27 anni, di nome Michela appunto, che da piccola ignorava che suo papà, Aldo, aveva calcato le piste mietendo successi e conquistando il titolo di Campione italiano. Ai tempi in cui egli vedeva sventolare la bandiera a scacchi al volante della GTA oppure dell’Opel Kadett 2000, o della Ford Escort, o ancora della De Tomaso Pantera, della BMW M3 e della Ferrari F430, era noto con lo pseudonimo di “Baronio” ovunque, tranne che in casa sua: “Sapevo soltanto che era stato un pilota, l’automobilismo non mi interessava”, confessa Michela. Arrivata a 18 anni, il papà, da genitore consapevole, conoscendo i rischi che corrono i neopatentati, pretese che Michela, conseguita la patente, frequentasse una scuola di guida sicura.

(Da sinistra): I piloti Aldo Cerruti, conosciuto con lo pseudonimo di “Baronio” e Mario Ferraris, lo scopritore del talento di Michela e della sua attitudine alla velocità. | 23


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All’epoca, l’aspirazione che la ragazza milanese ha oggi di diventare pilota ufficiale BMW Motorsport per correre il DTM, il Campionato Turismo Tedesco, era di là da venire. Frequentando quel corso sulla pista di Vairano, il suo destino imboccò una strada inaspettata. Un ruolo importante lo ebbe il suo istruttore, Mario Ferraris (figlio di quel Romeo Ferraris grande preparatore di vetture da corsa e di motoscafi offshore), il quale era anche un pilota di quelli che hanno il lampo dell’intuizione negli occhi e il coltello tra i denti. Aveva ottenuto successi con la Ford Mustang, con la Giulietta, con una BMW 330 e quando “Baronio” vinse il Campionato Italiano, il suo compagno di squadra era lui. Di lezione in lezione, la naturalezza con cui Michela guidava in

pista era sempre più sorprendente e la neopatentata mostrava un’attitudine alla velocità che nessuno poteva prevedere. “Potresti correre” le disse un giorno l’istruttore-pilota. “Correre? E come?” rispose Michela. All’annuncio, il papà non aveva dimostrato grande entusiasmo, anzi non era quasi d’accordo. Ma come poteva, lui, che aveva in sé il DNA delle corse, perseverare in un tale atteggiamento? Non solo si arrese, ma trovò anche un alibi, affermando che una pilota così giovane avrebbe potuto attirare l’attenzione dei media e ciò sarebbe servito per aumentare la notorietà della “Romeo Ferraris”, di cui Aldo Cerruti era diventato socio. In coppia con Mario Ferraris, la ragazza milanese incominciò a ottenere risultati importanti. Nel 2008 salì più volte sul podio

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nel Campionato Turismo Endurance, l’anno successivo con il “Cinquone” da 320 CV della Romeo Ferraris ottenne quattro vittorie di classe. L’equipaggio Cerruti-Ferraris-Baronio vinse poi la classe alla Sei Ore di Vallelunga. Ma era nell’aria che, dopo aver ottenuto il terzo posto di classe nella gara di Coppa Italia al volante di una Ferrari F430 Challenge, la sua attività di pilota stesse per avere l’impennata della vera campionessa. Nel 2010 prese parte, infatti, alle Superstars Series al volante di una Mercedes C63 AMG di colore rosa e si trovò di fronte piloti del calibro di Johnny Herbert, Gianni Morbidelli e Nicola Larini, tanto per citare i più noti. E nella gara di Monza, dopo un anno di esperienza in questa categoria di duri, l’11 aprile 2011 ecco la svolta: vinse ed entrò nella storia dell’automobilismo sportivo.

Era diventata la prima e unica donna a essersi aggiudicata una gara internazionale nelle Superstars Series. Il secondo fendente calato da Michela sull’autostima dei piloti del sesso forte ebbe per teatro la pista di Imola. I giornali scrissero: “Straordinaria prestazione di Michela Cerruti (BMW Z4), grandissima protagonista del Gran Turismo. Seconda in gara 1 si è imposta meritatamente in gara 2, andando a caccia del duo Venturi–Maino (Ferrari 458 Italia) e passando a una manciata di giri dalla conclusione con una progressione imperiosa”. A Imola si registrò un altro record, quando per Michela venne il momento delle monoposto del Campionato Auto GP World Series: fu la prima donna a vincere una gara in questa categoria e la prima, dal 2008, a vincere una gara internazionale con

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vetture a ruote scoperte. E non si trattava di vetture facili. Montavano un V8 di 3,4 litri e da 550 CV. Michela guarda al futuro. È impegnata nella Formula E, riservata a monoposto spinte da un motore elettrico, che passano da 0-100 km/h in 3.0 secondi e arrivano a 230 km/h. La cosa curiosa è che la gara prevede un pit-stop obbligatorio per ripartire con una seconda vettura con batteria carica. Tra sacrifici e rinunce, continua la sua analisi dello sport dell’auto: “L’irruenza tipica del maschio si presta meglio, noi donne continuiamo invece a pensare, a valutare: in corsa bisogna liberare la testa e non è facile”. Ancora: “L’emozione può interferire col risultato”. E poi la crescita interiore: “Ho imparato anche a perdere, ma non mi sono mai lasciata travolgere dalla sconfitta”. Infine, il futuro: “In F1 non vogliono piloti donna, mentre il DTM è un traguardo realizzabile. Punto al professionismo”. L’automobilismo l’assorbe totalmente e, quando non è in pista,

trascorre ore in palestra per rafforzare i muscoli chiamati a contrastare la forza centrifuga in curva o a gestire il volante che diventa un macigno senza il servosterzo. Ogni fiaba termina con il principe azzurro. “Il mio fidanzato è un ingegnere di pista tedesco”. Per mettere su famiglia e avere dei figli c’è tempo: “Quando smetterò di correre, mi piacerebbe”. Ma oggi riecheggia nei suoi pensieri l’urlo che lacera, il grido che si spande, il ruggito della bestia feroce del motore da corsa.

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