Gabriele d’Annunzio e l’automobile

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Historique

Elogio della modernità: d’Annunzio e l’automobile

Il Vate e l’Automobile Gabriele d’Annunzio ebbe un rapporto particolare e intenso con l’automobile, divenendone un appassionato sostenitore a tutti i livelli. Fu tra i primi a portare l’auto in ambito poetico-letterario, riuscendo con il suo prestigio artistico a influenzarne alcuni aspetti nella cultura di massa, come l’etimologia stessa del termine “Automobile” TESTO: Claudio Ivaldi | FOTOGRAFIE: Archivio de Il Vittoriale degli Italiani e Museo Nicolis

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L CONTRARIO DI OGGI, epoca nella quale è vissuta dai più come un banale strumento quotidiano, quando non addirittura come un nemico dell‘ambiente, nei primi anni del secolo scorso la recente invenzione dell’automobile ha affascinato un’intera generazione, e a questo fascino non hanno resistito nemmeno gli uomini di cultura del tempo. In Italia, oltre alla corrente letteraria del Futurismo, di cui l’auto è stata uno dei simboli (AutoCapital ne ha parlato sul numero di gennaio) tra gli artisti rimasti più affascinati dalle quattro ruote troviamo indubbiamente Gabriele D’Annunzio. Il poeta abruzzese, attratto da tutte le invenzioni tecnologiche che si stavano diffondendo all’epoca, trovò nell’automobile un oggetto che si confaceva perfettamente sia al suo avventuroso stile di vita, sia al mito del Superuomo che egli stava abbracciando. D’Annunzio, per motivi anagrafici, venne a contatto con la nuova invenzione in età adulta, nel primo decennio del nuovo secolo. Già nel 1909, tuttavia, egli narrava il mito dei bolidi su quat-

tro ruote aprendo il romanzo “Forse che sì, forse che no” con la narrazione di una folle corsa automobilistica dei due protagonisti e amanti, Paolo Tarsis e Isabella Inghirami: “Il furore gonfiò il petto dell'uomo chino sul volante della sua rossa macchina precipitosa che correva l'antica strada romana con un rombo guerresco simile al rullo d'un vasto tamburo metallico”. Negli anni della guerra le maggiori attenzioni in fatto di meccanica le rivolge indubbiamente agli aerei (velivoli come era solito chiamarli), per via della sua attività di aviatore. Tuttavia risalgono a quel periodo due piccole curiose coincidenze, che legano indirettamente la Regia Aviazione in cui egli militava all’automobile, in particolare a quelli che sarebbero divenuti i due più celebri marchi italiani di auto sportive e da corsa: in aviazione egli ebbe a conoscere l’asso dei cieli Francesco Baracca, il cui simbolo del “cavallino rampante” sarebbe poi stato adottato dalla Ferrari; inoltre, gli aerei SVA che presero parte al leggendario Volo su Vienna, da lui diretto, montavano candele Maserati, progettate e costruite in tempo di guerra da quell’Alfieri Maserati che

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pochi anni prima aveva fondato la casa automobilistica. Sul finire della guerra, l’automobile cresce di importanza per il Poeta Soldato, che nel 1919 fa il suo ingresso trionfale a Fiume a bordo di una Fiat Tipo 4 (oggi conservata al Vittoriale degli Italiani), che si pone come la versione futurista del cavallo bianco con cui gli imperatori erano soliti entrare vittoriosi nelle città conquistate. Ma è nel dopoguerra che sboccia il vero amore tra D’Annunzio e l’automobile. Ne diviene non solo assiduo ed appassionato utilizzatore, ma anche e soprattutto cantore: il Vate porta l’automobile nel mondo letterario, arrivando perfino ad influenzarne alcuni aspetti nella cultura di massa. Per

esempio, dopo i primi decenni in cui il vocabolo “Automobile” era stato declinato prevalentemente al maschile, nel 1926 sarà proprio D’Annunzio a decretarne una volta per tutte l’appartenenza al genere femminile, con dei versi, divenuti celebri, contenuti in una missiva indirizzata al Senatore Agnelli: “L'Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d'una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza”. D’Annunzio è quindi il primo a dare a quel roboante mezzo meccanico i tratti di una dolcissima creatura femminile; il Senatore

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Agnelli risponde compiaciuto, rimettendosi all’autorità letteraria del poeta in campo etimologico. In quegli anni D’Annunzio si dimostra un grande appassionato di motori, nel senso moderno del termine. Non solo si diverte a guidare, sovente con piglio spericolato, le vetture, ma si reca ad assistere a numerose gare e legge svariati libri e riviste (tuttora conservati al Vittoriale), che trattano di automobili. Addirittura si fa promotore, grazie alla sua influenza politica, di opere pubbliche di attinenza automobilistica: alle sue reiterate ed insistenti pressioni si deve, ad esempio, parte del merito della costruzione della strada del lungolago (oggi conosciuta come S.S. Gardesana Occidentale). D’Annunzio acquista, anche a costo di indebitarsi, diverse vetture sportive e di lusso, con le quali sfreccia lungo le strade, spaventando i pedoni e incorrendo non di rado in sanzioni da parte delle forze dell’ordine, che negli anni divengono talmente frequenti da farlo “sbottare” in una lettera di protesta indirizzata allo stesso Mussolini nel 1928, nella quale, proprio come un automobilista di oggi, egli cerca anche di appigliarsi alla presunta non attendibilità delle rilevazioni della velocità: “Da alcuni mesi sono percosso da un nuovo flagello. Le multe ch’io pago “per velocità indebita” sono così numerosi e gravi che ho già deliberato di sopprimere non soltanto la velocità ma le automobili stesse! Anche ieri, la decima e undecima multa di gennaio, e ingiusta!! Determinare la velocità dalla strada è difficilissimo…”.

Il parco auto del Vittoriale si amplia e a fine decennio conta ben cinque vetture: la Fiat T4 dell’impresa fiumana, una OM, una Fiat 509 e due Lancia Lambda. Mitica è anche la “Papessa”, un’Isotta Fraschini da lui così denominata per i colori giallo e bianco che caratterizzano la carrozzeria. Il legame con il marchio milanese ha per D’Annunzio anche dei risvolti familiari: il terzogenito Ugo Veniero D’Annunzio, il figlio che più degli altri ha ereditato i tratti avventurosi del padre, diviene il rappresentante dell’Isotta Fraschini negli Stati Uniti: la “Tipo 8 AS” del 1929, oggi conservata al Museo Nicolis di Villafranca di Verona, è un fulgido esempio delle straordinarie vetture che venivano importate in terra americana dal figlio del Vate. All’inizio degli anni ‘30, poi, Gabriele D’Annunzio rimane affascinato dalla figura di Tazio Nuvolari e dalle Alfa Romeo

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con cui il “mantovano volante” riesce a umiliare i colossi tedeschi. Nel 1932 decide così di acquistare un’Alfa, ed ottiene che alla consegna della vettura al Vittoriale sia presente anche lo stesso Nuvolari. Il feeling tra i due è immediato: l’incontro si prolunga per sette ore, al termine delle quali il poeta dona al pilota mantovano una piccola tartaruga d’oro con l’iscrizione “All’uomo più veloce l’animale più lento”, che diverrà una sorta di portafortuna: poco tempo dopo Nuvolari, con la tartarughina in tasca, vincerà la Coppa Acerbo in quella Pescara città natale di D’Annunzio, dedicando al poeta il trofeo vinto e regalandoglielo materialmente (oggi è conservato al Vittoriale), mentre la tartaruga diverrà per sempre il simbolo, ironicamente ossimoro, del corridore mantovano. Tra le Alfa possedute da D‘Annunzio, è da ricordare una versione fuoriserie della 6C 2300, chiamata “Soffio di Satana”, per via della carrozzeria aerodinamica realizzata da Bianchi Anderloni, della quale il poeta curò maniacalmente la personalizzazione nel 1934. L’ultimo capitolo del

rapporto di D’Annunzio con l’automobile risale agli ultimissimi anni della sua vita. Nel 1936 arriva a Gardone, splendente nei suoi toni di blu, l’Isotta Fraschini 8B cabriolet, che D’Annunzio ribattezza Traù in omaggio alla città martire della Dalmazia. La vettura (oggi esposta al Vittoriale) reca la targa “R.A.” della Regia Aeronautica, un privilegio appannaggio di pochissimi reduci decorati. Il suo fascino la rende famosa tra la gente che la vede sfrecciare sulle strade del Garda: l’auto è infatti in grado di raggiungere la velocità, per l’epoca considerevole, di 150 km/h, ma il Vate, ultrasettantenne e acciaccato da un’esistenza sempre al limite, pur con le sue attitudini da Superuomo fatica a sfruttarne al massimo le prestazioni. È a bordo di questa vettura che, un paio di giorni prima di morire, egli percorre per l’ultima volta le strade a lui tanto care del Lago di Garda. (Si ringraziano per la collaborazione la “Fondazione il Vittoriale degli Italiani” e il Museo Nicolis)

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