Lukas den Svarte
Le montagne degli Dèi
Le Montagne degli Dèi
«Altro vino?». L'attendente era già pronto con vassoio e bottiglia. L'aria puzzava di chiuso e di muffa all'interno del forte. Raschiava la gola e faceva venire sete. Ma Kanyu si limitò a fare segno di no col capo. Il comandante rivolse un cenno all'attendente, facendolo allontanare, e congiunse i morbidi polpastrelli. Titus Barraco, originario di Aura, era un uomo sulla quarantina. Alto, magro, con i capelli radi e una fronte spaziosa segnata da sottili rughe che gli conferiva sempre un aspetto particolarmente serio. Soprattutto adesso che fissava con aria riflessiva il Naigh-Moor, come se potesse dedurre ogni sua inclinazione da uno sguardo. Aveva fama di essere un uomo risoluto, il comandante di Forte Pietroso. Si diceva che fosse avvezzo a calcare il campo di battaglia... Per contare i morti, dopo che la battaglia era stata combattuta e vinta. Freddo, calcolatore, aveva mani prive di calli che dovevano considerare ripugnante il contatto con l'impugnatura di una spada. Ma era uno stratega e un diplomatico come ce n'erano pochi. «Non sembrate affatto a vostro agio, messer Kanyu» disse, piegando appena il capo. «Non più di come ci si possa sentire un prigioniero» ribatté l'altro. «Non siete un prigioniero. Siete un ospite.» lo corresse il comandante «Libero di andare e venire come meglio credete. Anche subito, se lo desiderate».
Kanyu socchiuse quegli occhi bianchi e innaturali, prendendo tempo. La tentazione di alzarsi in piedi e andarsene era forte, indubbiamente, ma mai quanto la sua curiosità. Il suo viso pallido come un sudario era immobile come il volto di una statua. «Avete cercato di farmi trascinare qui con la forza.» disse «Molti uomini sarebbero potuti morire, se non avessi acconsentito a presentarmi qui di persona». «E forse anche a voi sarebbe toccato qualche graffio in sorte. Graffi mortali, magari. Ma vedo che non prendete neanche in considerazione questa ipotesi.» Titus Barraco prese il calice di vetro tra le dita, facendo ondeggiare pigramente il vino «Dovete perdonarmi. O meglio, sarebbe gentile da parte vostra se lo faceste. Io comando soldati, non emissari». «Al punto che vi fanno anche da camerieri.» commentò Kanyu, indicando con un pollice l'attendente di Barraco «Immagino cosa dovrebbero arrangiarsi a fare se ci fossero legionarie donne». L'uomo rimase fermo per un attimo, quindi bevve un sorso di vino. «Il vostro spirito mi sembra inopportuno, Kanyu da Thanisshar.» alzò un sopracciglio, notando come l'altro aggrottava la fronte «Vi sorprende che io sappia da dove venite?». «Non più di tanto.» replicò il Naigh-Moor, duramente «Credete che indichi la città da dove provengo, ma non conoscete le consuetudini di Nog Tuluth. Quel titolo indica la mia antecedenza. Thanisshar il Domatore, di cui sono mio malgrado un diretto discendente, fondatore dell'omonima città.» fece una pausa, guardando il volto attento di Barraco «Dovevate informarvi meglio su di me, se volevate impressionarmi». «So quanto mi basta di sapere. Ad esempio mi risulta che oltre a non essere benvenuto nella vostra terra non vi è permesso di entrare neppure a Lilium, dopo certi tafferugli. Furto d'opere d'arte, lesioni a pubbliche guardie e rapimento di una fanciulla appartenente alla nobiltà. Così dice il rapporto stilato su di voi. E questo solo per quanto riguarda quella specifica città. Siete... "Segnalato" per molti altri reati avvenuti in territorio imperiale». «Non sono un suddito del vostro Imperatore. Al contrario, godo della protezione del sovrano di Lonalis Thial. Dentro e fuori dal dominio degli Elfi». «Protezione non significa impunità, messer Kanyu. Permettetemi inoltre di aggiungere che quella vostra sventolata protezione non è poi tanto cara al vostro Re. Di fatto, credo che egli stesso sarebbe lieto di metterla da parte pur di liberarsi di un individuo francamente scomodo come un Elfo Oscuro con dei trascorsi da assassino e traditore».
«Parlate senza peli sulla lingua, comandante, e io farò la stesso. La protezione di cui mi fido maggiormente è quella delle mie braccia e delle mie armi. Finché saranno strette alla mia cintura, potete star sicuro che lo stesso Re di Lonalis Thial si guarderà bene dal permettere che mi venga torto un capello. Per ora tuttavia non c'è mai stato bisogno di un suo intervento. Eppure-». «Eppure la lista dei cadaveri che vi lasciate dietro si allunga. Lo so» lo interruppe Barraco. «Al contrario, comandante.» replicò Kanyu, scuro in faccia «Voi non sapete niente». «So che non volete più uccidere, invece. Ma so anche che la gente muore comunque. Dove camminate voi, cammina anche la morte». «Non ho intenzione di restare qui ad ascoltare i vostri discorsi. Sono libero di andare, avete detto». Titus Barraco diede in un sospiro, piegandosi in avanti e unendo le mani. «Voi mi guardate con ostilità, Kanyu, mentre io sono qui per richiedere i vostri servigi. Non li pretendo, ve ne faccio solo formale richiesta». «Parlar bene non vi aiuterà. Avete espresso la vostra opinione su di me, per cui mi è già chiaro cosa volete da me. E la risposta è no». «Messer Kanyu, come vi dicevo prima io non ho a disposizione che soldati. Ma ciò di cui ho bisogno è ben diverso.» alzò gli occhi, sollevandoli sino a fronteggiare quelli bianchi e sinistri del Naigh-Moor «Mi occorre un diplomatico. Qualcuno che abbia eloquenza e senso pratico. Qualcuno che possa fare le mie veci al tavolo delle trattative». Kanyu alzò un sopracciglio, storcendo le labbra. «E venite a chiederlo a me? Uno straniero? Uno su cui avete un bel rapporto proprio lì, sul vostro tavolo?». Barraco rise, ma di una risata così priva di allegria da sembrare un rumore meccanico prodotto da un oggetto inanimato. «Questo?» fece quindi, prendendo i fogli di pergamena nelle mani e poi buttandoli di nuovo sul tavolo «Sospetti su crimini commessi in altre città. Indizi di cospirazione contro il potere. Prove schiaccianti che siete un pericolo pubblico. Tutte raccolte fuori dalle mura da Forte Pietroso. Quindi, per quanto mi riguarda, io non ho niente contro di voi. Io sono stato delegato per garantire la sicurezza di questa zona. E, a meno che il vostro interesse
non sia quello di scappare con una vacca o un blocco di marmo, non ho nulla da temere da parte vostra». «Parlano di voi come di un uomo molto fedele alla legge imperiale, eppure. Non avete dei doveri verso di essa, dunque?». «Tipo quali? Dovrei consegnarvi alle guardie di Lilium, una città che con la scusa di mantenere un'autorità locale evade palesemente le tasse e si arricchisce a spese del tesoro imperiale? Una città che si sente libera di portare avanti vere e proprie guerre intestine, nonostante i decreti della corona? Io proteggo le leggi, non coloro che se ne fanno beffe. Se voleste tornare a Lilium per raderla al suolo avreste la mia approvazione. No, non prendiamoci in giro, Kanyu». «In ogni caso potreste fare richiesta formale all'Imperatore per farvi assegnare un ambasciatore. Con chi dovete trattare?». «Con gente che non presta orecchio a imbrattacarte provenienti dalla capitale. Banditi, selvaggi e assassini.» Barraco si raddrizzò, per poi appoggiarsi allo schienale della sedia «Il commercio è la linfa vitale di queste terre. Quello del marmo, principalmente, ma anche di vino, olio, pesce e terraglie. Forte Pietroso si affaccia sul Mar del Poeta e garantisce che le merci raggiungano Dama Triste e la grande città di Ventia per essere imbarcate. A Est c'è Lilium e più avanti il Valor scorre sino ad Aura. Ed Aura è un crocevia per il mondo intero. È questo forte a garantire che l'oro scorra fino alle più lontane province ed oltre. Ed è per questo che i briganti ci prendono di mira. A Nord, sulle ultime propaggini delle Vette Amare, quelle canaglie hanno costruito interi villaggi». «Vi ostinate a non chiamare le cose con il loro vero nome. Una tipica caratteristica di voi imperiali, direi.» Kanyu piegò le labbra in un piccolo sorriso, ma solo per un attimo «Quelli che voi chiamate "briganti" sono Apanni, comandante. Un popolo più antico del vostro Impero, da sempre stanziato su quelle montagne. Dispersi mille volte e mille volte ricomparsi dal nulla». «Precisamente.» convenne Barraco, socchiudendo gli occhi scuri «Ma gli Apanni, a differenza vostra, sono soggetti all'autorità dell'Imperatore. Sono stati sconfitti secoli fa e da allora l'Impero li ha sempre protetti. Se non sono scomparsi è proprio per merito delle leggi. Quelle stesse leggi che gli Apanni infrangono, depredando i nostri mercanti e
tendendo agguati ai miei reggimenti. Reprimerli è una necessità odiosa, ma pur sempre una necessità». «L'Imperatore Adeius non la pensa come voi.» gli fece notare l'Esule «È sua ferma convinzione che le ultime guerre abbiano impoverito l'Impero e, fino a prova contraria, è lui che decide. L'ultima volta che ci ho parlato, mi ha ripetuto di aver dato ordini affinché non venissero prese iniziative militari. La sua parola è legge, comandante. Non è vostro compito che essa sia rispettata?». «Non dipingetemi come un mostro e un guerrafondaio. Ho forse parlato di guerra? Ci sono molti modi per reprimere le tendenze aggressive e quelle rivoltose. Uno di essi è il dialogo». «Un dialogo fatto tenendo un coltello premuto contro il collo di qualcun altro, presumo». «Sempre dialogo è.» Barraco si alzò in piedi, congiungendo le mani dietro la schiena «La tribù degli Apanni non sono molte, come non sono molti i loro guerrieri, ma sono state separate per lungo tempo. Adesso tuttavia la situazione è cambiata. Un capo ha promosso una confederazione, riunendone altri sotto il suo stendardo. È lui che ha riaperto le scorrerie contro i mercanti, accendendo focolai di rivolta in tutto il territorio». «Sotto le ceneri il fuoco ancora brucia, si dice». «Il suo nome è Naua. Ribelle e barbaro, ha messo da parte i già miseri tentativi di integrazione e respinto i rifornimenti invernali che gli avevamo inviato. Quando le legioni marciano lungo le arterie imperiali, i suoi uomini si appostano sulla vetta di alture irraggiungibili e bersagliano i miei soldati con sassi e sterco. La mia pazienza con lui è giunta al limite. Naua è una minaccia per tutti, compresa la sua stessa gente. La sua ambizione li condurrà alla guerra e allo sterminio, nonostante i tentativi di pacificazione dell'Imperatore: è la testa di un serpente che stritola il commercio di tutta la regione». «E voi volete che quella testa cada.» dedusse Kanyu «Vi ho già detto, comandante, che non accetto più contratti di assassino. E vi ho anche raccomandato di non usare giri di parole. Mi parlate di diplomazia quando volete che torni con una testa in un sacco». «Vi sbagliate ancora.» ribadì Barraco «Quello che vi chiedo è solo di portare un messaggio. Nella fattispecie, di dettare le mie condizioni a Naua e ai suoi soldati. Condizioni che non vi terrò certo nascoste: chiedo lo scioglimento della federazione e il disarmo immediato dei suoi. Se accetterà, concederò l'amnistia completa a lui ed alla sua gente. Il potere sulla
tribù gli verrà revocato, ma un suo erede comanderà al posto suo e non dovrà scontare un solo giorno di prigione». «Condizioni dure, comandante, per chi vuole indipendenza» osservò il Naigh-Moor. «Ma misericordiose verso chi si è già macchiato di furti e omicidi. È tempo di finirla con le insurrezioni: i loro villaggi sono territorio imperiale da secoli, ed è ora che quella gente lo accetti. Guardatevi attorno: ciò che noi abbiamo sarà anche loro. Fognature, medicine, istruzione... Devono capire che non hanno che da guadagnarci». «Se il vostro accordo è così vantaggioso per gli Apanni, perché mandare me?» domandò ancora Kanyu «Andate e trattate con loro di persona». «Naua mi odia, in nome di princìpi vecchi quanto il mondo e ormai privi di consistenza. Mi odia con l'odio feroce di un animale e non esiterebbe a uccidermi, violando le convenzioni diplomatiche. Ma voi, Kanyu... Voi non siete un suddito imperiale. Proporrete i miei termini come un osservatore esterno e obiettivo. In più, siete qualcuno di cui persino quei selvaggi avranno sentito parlare: la vostra voce avrà più peso persino della mia». «Il peso di una voce non è facile da misurare. E se Naua rifiutasse la vostra offerta? Se anzi mi attaccasse?». «Che vi attacchi è improbabile. Che rifiuti, invece, è proprio quello che temo. A quel punto, vi lascerò arbitro della questione. Andate là, guardate in che condizioni vivono quegli uomini, valutate il loro numero e poi tirate da solo le vostre conclusioni. Chiedetevi se gli Apanni avrebbero qualche possibilità contro le mie legioni. Valutate in quanti morirebbero inutilmente. Decidete da solo cosa fare di Naua». Kanyu distolse lo sguardo, seccato. «Decidere se lasciarlo vivere o no.» disse, con disgusto «Perché io sarei in grado di ucciderlo mentre voi no. Fare il lavoro sporco al posto vostro, consapevole che nessuno sarebbe in grado di riuscirvi se non io». «Allora portate avanti la trattativa al meglio delle vostre possibilità. Fate in modo che Naua si arrenda. Non voglio una guerra e non possiamo attaccare per primi. Senza contare che un popolo di morti non aiuterebbe né l'economia né la mia coscienza». «Mentre invece la morte di un uomo non inciderebbe su nessuna delle due». «Una vita per salvarne molte. Se questo è il prezzo, direi che è un sacrificio accettabile». «Facile, quando non siete voi ad arrossarvi le mani di sangue».
«Credetemi, Kanyu: non so cosa darei per essere al vostro posto.» Titus Barraco vuotò il proprio calice d'un fiato, riponendolo poi sul tavolo «Come dicevo, siete libero di andare. Decidete in piena libertà. Ricordate soltanto che non potrete scaricare la responsabilità su nessun altro. L'avete detto voi: siete l'unico che possa portare a termine questo compito. Le vite di migliaia di innocenti sono nelle vostre mani. Di quelle vi fidate, mi sembra di aver capito». Kanyu le premette contro le labbra, inspirando a fondo, nervosamente. «Meno di quanto vorrei.» rispose quindi «Ma sempre più di chi non esita a mettervi la vita e la morte». Si alzò senza dire altro, in un balzo furioso. Barraco non si voltò mentre il Naigh-Moor si allontanava con lunghe falcate, passando davanti al suo attendente, né lo fece quando lo sentì sbattere la porta dietro di sé. Solo quando se ne fu andato, inspirò ed espirò rumorosamente. L'attendente, un giovane sui venticinque anni, lo guardò con aria preoccupata. «Credete che accetterà?» domandò, con voce timida. «Non può fare diversamente.» rispose Barraco «Certi uomini hanno davvero una coscienza. Pochi, lo riconosco. Ma lui è uno di quelli». Stretti nell'abbraccio del bosco, tra querce secolari e carpini slanciati verso il cielo, i due uomini avanzavano senza parlare. La salita non appariva particolarmente ripida: i sentieri erano ampi e battuti, accessibili anche a un bambino. Guardando con attenzione era facile scorgere i segni del passaggio di qualcun altro. Fango calpestato, rami spezzati, tronchi incisi. Si vedevano persino le fondamenta di quella che doveva essere stata una piccola casa, forse un capanno di cacciatori. Kanyu si guardava attorno e rifletteva. Un luogo del genere era l'ideale per tendere agguati agli stranieri poco graditi, dopotutto. Eppure, nonostante il ritratto che Titus Barraco aveva fatto degli Apanni, Kanyu non riusciva a sentirsi in pericolo. Era più che altro scettico. Stando alle sue informazioni erano già penetrati nel loro territorio, ma di fatto avevano lasciato Forte Pietroso solo da poche ore. Quando la macchia boschiva si diradava, Kanyu poteva scorgere il mare, le pinete e lo stesso forte, un quadrato di pietra circondato da una robusta palizzata. Guardando nella direzione opposta, verso le montagne, riusciva a
scorgere le cave, con gli ingressi lisci rigati dalle piogge e le sottili nubi di polvere che si notavano controluce. Qualcuno, lassù, stava lavorando. Com'era possibile che bande di briganti si fossero insediate in un territorio così trafficato, a mezza giornata di viaggio da un forte imperiale ben presidiato? Un intero popolo viveva di furti e scorrerie su quelle montagne, un popolo che da secoli rifiutava di essere assorbito dall'Impero e anzi lo sfidava, in dieci contro cento. O peggio. Qualcosa non tornava. «Quando arriveremo alla città di Naua?» domandò alla sua guida. L'uomo, un vecchio dalle mani forti e dalle gambe instancabili, si voltò a guardarlo. Sul suo volto arrossato dal sole era dipinta un'aria dubbiosa. Si accarezzò la barba candida, piegando le labbra all'ingiù. «Prima di sera.» rispose «Ma perché la chiamate città? È a malapena un villaggio. Ci saranno... Mah, duecento persone». «Solo la guarnigione di Forte Pietroso conta cinquecento uomini. E Barraco può richiedere un'infinità di altri uomini da Aura. Per non parlare di Ventia, Lilium, Lonia. Soldati addestrati, che non hanno uguali sul campo di battaglia. Perché il comandante si preoccupa tanto di qualche bandito?». «Forse perché i banditi sono Apanni, mio buon signore.» fece l'altro, riprendendo a camminare, col bastone stretto nella destra «Il difficile non è sconfiggerli, ma prenderli. Sono capaci di far girare i legionari a vuoto per una settimana, prima di sparire nel nulla. Questa è la loro terra, e gli Apanni la conoscono bene. Tutto sommato, avrei comunque preferito avere qualcuno dei ragazzi del forte qua con me. Senza offesa, ma non è che con voi mi senta in una botte di ferro». Kanyu gli diede una veloce occhiata. «Come ti chiami?» gli chiese. «Flacco, signore». «Ebbene, Flacco, non pensi che girare con una scorta armata, magari con tanto d'insegne, spingerebbe gli Apanni a tenderci una simpatica trappola?». «Nossignore, non lo penso proprio.» ribatté prontamente l'altro «Gli Apanni possono essere tutto, ma non certo degli idioti. Se attaccassero un distaccamento di legionari subirebbero più perdite di quante possono permettersi. Inoltre l'Impero verrebbe quassù a dar loro una bella strigliata».
«Barraco mi ha detto che sono già stati tesi agguati alle truppe in marcia, però. Lanci di sassi e sterco». Flacco diede in una risata, reclinando il capo all'indietro. «Sì, hanno fatto piovere merda sui legionari, qualche volta.» disse, senza dar peso alla cosa «Quando i soldati marciano, sì... Per andare via. Se gli Apanni vengono a sapere che un contingente lascia Forte Pietroso lo salutano a modo loro. Di certo si guardano bene dal fare lo stesso con quelli in arrivo, però!». «Li fate sembrare dei simpatici bricconi». «Un mio amico mercante non sarebbe dello stesso avviso. Dalle montagne scendono interi convogli di blocchi di marmo, trainati da carri di buoi. E poi stagno, piombo o semplice legna... Beh, per farla breve, è molto facile che quei carichi non arrivino a valle. E la mortalità per chi li scorta è alta. A meno che non si tratti di una scorta imperiale. E voi ce lo vedete Barraco spedire i suoi ragazzi dietro ogni convoglio che scende dalle montagne?». «In sostanza, Naua attacca solo chi non è sotto la protezione imperiale. Porta Barraco al limite della pazienza, senza però violare apertamente i trattati. È consapevole che questo porterà ad una rappresaglia?». «Forse è proprio quello che Naua vuole. Ho detto il vero, al suo campo non ci sono più di duecento uomini, ma quanti siano gli Apanni in realtà non lo sa nessuno. Vivono nei boschi, nelle caverne, o in piccoli villaggi di cui nemmeno io conosco l'esistenza. È sempre stato così: quando pensi di esserti liberato di quei pidocchiosi bastardi, di colpo ti accorgi che ce ne sono una marea. A quel punto, la cosa migliore da fare è levare le tende per un po' e lasciare che i legionari sbrighino la questione». «Non hai detto che gli Apanni evitano di scontrarsi con i soldati?». «È vero. Sono male armati, scendono in battaglia senza armature e non saprebbero tenere una formazione neanche a pagarli. Ma chi ha bisogno di combattere, quando puoi far franare un'intera montagna sulla testa di chi ti insegue?» si voltò a guardare Kanyu, scrollando quindi le spalle «È così che si battono, loro». «Ma perché lo fanno?» domandò ancora il Naigh-Moor «Cos'hanno da guadagnarci?». «Questo potrete chiederlo a Naua stesso, se riusciremo a trovarlo. Ma non aspettatevi granché. Gli Apanni sono dei selvaggi, e questa è l'unica ragione del loro comportamento». «Dei selvaggi irriducibili, a quanto pare. E incorruttibili».
«È più facile corrompere un funzionario imperiale che un barbaro vestito di pelli che non attribuisce alcun valore al denaro». Proseguirono per altre due ore, passando dai boschi ombrosi alle radure coperte di erica, sino ad ampi spiazzi soleggiati. Le montagne si ergevano in tutte la loro maestosità, nude come coltelli di selce, in un susseguirsi di crinali aguzzi, nitidi contro il cielo azzurrissimo. A tratti i due uomini passavano su pietraie erose dal tempo, dove su grosse rocce erano tracciati simboli ormai quasi del tutto cancellati, a cui si affiancavano altri più recenti. Si trattava di luoghi in cui si godeva di una vista straordinaria, carica di una bellezza che il silenzio rendeva ancor più suggestiva. Qui, spiegò Flacco, capitava che gli uomini delle montagne si radunassero per celebrare le proprie festività. Pochi minuti dopo, la guida si arrestò, lasciandosi scappare un'imprecazione. Kanyu, che lo superava ampiamente d'altezza, vide a sua volta cosa l'aveva costretto a fermarsi. «Una frana.» disse Flacco, guardandosi attorno con occhi nervosi «Recente, a quanto pare». «Ci sono altri percorsi?» domandò Kanyu. «Ce ne sono sempre. Ma io direi di passare di qui, altrimenti rischiamo di allungare molto la marcia. Basterà fare attenzione a dove mettiamo i piedi». Il Naigh-Moor abbassò gli occhi, guardando i grossi massi che erano crollati sul sentiero, quindi guardò in alto, verso la parete rocciosa da cui erano caduti. La via era stretta, per la prima volta. Circa un metro di spazio, adesso in buona parte coperto da macigni e pietre. Flacco aveva ragione, non era un ostacolo invalicabile, ma Kanyu avvertiva un familiare formicolio dietro il collo. A destra avevano un dirupo scosceso, impraticabile. A sinistra, una parete rocciosa, liscia e verticale. Kanyu si sistemò bene i guanti attorno alle dita. «Resta qui.» disse al compagno «Ti dirò io quando seguirmi». «Cosa?» fece Flacco, intuendo cosa voleva fare «Siete matto? Perché diavolo volete passare di lì?». «Dimmi che sono un paranoico, vecchio, ma questa frana non mi sembra affatto casuale.» ribatté Kanyu, a voce bassa «Ho la netta impressione che appena l'avremo superata ci troveremo sotto tiro, ragion per cui preferisco prendere un'altra via».
«Quella è una parete liscia come uno specchio, non è un'altra via.» replicò il vecchio «Vi guiderò per l'altra via, ma lasciate perdere. Che diranno di me quando vi sarete sfracellato al suolo?». «Che sei un menagramo.» Kanyu cercò il primo appiglio con le dita, quindi cominciò a issarsi sulla parete rocciosa «Resta qui, se ci tieni alla pelle». «Poco ma sicuro che ci tengo» borbottò l'uomo, fermo dove si trovava; scosse la testa, mentre guardava il Naigh-Moor arrampicarsi come un ragno. In verità Kanyu non era un grande appassionato di scalate, ma aveva superato le mura di decine di città in passato, per fini meno nobili di quello attuale. Le sue dita trovavano le sporgenze giuste a cui aggrapparsi, gli stivali morbidi si posavano con leggerezza eccezionale, le braccia facevano salire il Naigh-Moor sempre più in alto senza dar segno di stanchezza. Si arrampicava con l'agilità di una scimmia e la forza di un gigante, sotto gli occhi sbalorditi di Flacco. Di certo l'uomo non poteva immaginare che, oltre a un'eternità di addestramenti alle spalle, Kanyu aveva qualcosa di più rispetto a qualsiasi altro scalatore: non era un caso se portava sempre quei guanti e quegli stivali, dopotutto. Gli avevano salvato la vita troppe volte perché fosse così ingenuo da non portarli sempre con sé. Nel giro di qualche minuto era arrivato a quello che sembrava essere la prosecuzione del sentiero che aveva abbandonato. Guardò in basso, seguendo con gli occhi il serpeggiare della stretta via. Non si stupì affatto di scorgere due figure appiattite dietro due grossi massi. Scuri e magri, avevano le frecce già incoccate e attendevano con impazienza, segno che li avevano sentiti arrivare. Ma mentre i loro occhi puntavano in basso, la loro preda veniva dall'alto. Silenzioso come un gatto, Kanyu cominciò a scendere lungo il sentiero. Piegato sulla vita, col pugnale nella mano, avanzava senza che i due se ne rendessero conto. Poteva distinguere i loro capelli crespi, la pelle abbronzata delle braccia scarne ma vigorose, la tunica di lino dell'uno e le brache di pelle dell'altro. Mosse ancora qualche passo, preparandosi ad afferrarli alle spalle, quando udì un sibilo e i suoi occhi bianchi si posarono di nuovo sul sentiero. Un serpente lo guardava, la testa ritta, il corpo immobile, la bocca ancora serrata. Doveva essere lungo almeno un metro, anche se non era facile stimarne la lunghezza in quel momento. Probabilmente stava solo attraversando il sentiero
e la sua strada si era incrociata con quello del Naigh-Moor per puro caso. Kanyu però sapeva che non era il caso di starci tanto a pensare. I loro sguardi si fronteggiarono per qualche secondo, e forse il rettile riconobbe nell'altro un suo simile, altrettanto letale e mortifero. Se non di più. Le fauci del serpente si aprirono di scatto e l'animale balzò verso di lui. Kanyu fece saettare il pugnale con un istante di anticipo, e la punta del coltello si conficcò nella bocca aperta del serpente, inchiodandolo al terreno. Gli Apanni si voltarono sorpresi a guardare l'uomo e l'animale agonizzante. Kanyu dovette saltar loro addosso senza pensarci troppo. Gli archi risultarono inutili a quella distanza: il primo non fece neanche in tempo a tenderlo che fu raggiunto da un pugno alla mascella. L'altro riuscì a stento a seguire l'azione e si ritrovò tra le braccia dell'avversario. Il Naigh-Moor gli assestò una ginocchiata allo stomaco, piegandolo in due, quindi gli saldò il conto con un destro sotto il mento. Kanyu lo lasciò crollare a terra come un sacco, notando in tempo che il primo era intento a rialzarsi, mentre con le mani staccava una rozza roncola dalla cintura. Il successivo calcio gliela fece scappare di mano, mentre l'Apanno piombava a sua volta nel mondo dei sogni. Kanyu si fermò, dando una rapida occhiata ai due uomini e al rettile. Ai primi era andata tutto sommato bene, mentre all'animale era andata peggio. Il Naigh-Moor appoggiò un piede sul suo corpo ed estrasse il pugnale, quindi scavalcò gli Apanni e discese il sentiero. «Puoi venire avanti, Flacco!» esclamò, pulendo la lama del coltello su un arbusto «Ho giusto due domandine da farti». La figura della guida comparve dopo qualche secondo, arrancando per superare la barriera di massi. Guardava con curiosità verso di lui, senza mostrare particolare esitazione, segno che quantomeno non l'aveva fatto cadere deliberatamente in quella trappola. «Da un po' un'occhiata a questi due balordi.» gli fece Kanyu, indicando i due uomini inconsapevoli sul sentiero «Sono Apanni, questi?». «Per gli stramaledetti Dèi... Altroché se lo sono. E quello è un brutto serpente.» bofonchiò il vecchio «Avevo ragione a dire che ci voleva una scorta o no?» . «Non mi sembrano più questo gran problema. Erano appostati qua con pessimi archi e attrezzi da lavoro.» si chinò per raccogliere la roncola, mostrandola poi alla guida «Guarda qua. Non mi dirai che è con questi arnesi che scendono in guerra».
«Normalmente no. Quello si usa per tagliare i rami, togliere la corteccia, fare la punta ai bastoni... Ma per gli Apanni è un oggetto speciale, uno di quelli che si assegna ai ragazzi quando diventano uomini. Ce l'hanno tutti.» spostò con la punta del piede il corpo dell'altro uomo, mostrando la roncola ancora assicurata alla cintura «C'è una legge precisa che vieta agli Apanni di portarlo con sé, visto che può aprire una testa come una mela, ma non si può sperare che la rispettino. Per loro questo affare è sacro a Pannu, il Dio dei boschi. Lo chiamano "pennato"». «Apanni, Pannu, pennato...» fece Kanyu, alzando un sopracciglio «Parole che si somigliano, e non certo a caso». «Quella montagna là è la Croce di Pannu.» disse Flacco, indicandola «Quella accanto è la Penna grande. Questa che stiamo scalando la Penna piccola. La gente del posto chiama questa regione Pannuria, se non ve l'avessero detto». Kanyu si rigirò la roncola nella destra. «Ho idea che questo popolo abbia una storia più antica di quanto non si sappia.» commentò «Dici che dovremmo portare uno di questi affari con noi? Magari per mostrare rispetto verso le loro usanze?». «O magari per dimostrare che l'abbiamo rubato a uno di loro? Lasciatelo lì dov'è. Gli Apanni non vogliono comprensione. Vogliono solo essere lasciati in pace». Era pomeriggio inoltrato quando giunsero in vista di un basso muro a secco rinforzato con pali appuntiti. Al di là di esso brillavano i fuochi di un accampamento, costruito su uno spiazzo da cui si dominava tutto il versante Sud della montagna. Flacco era stato di parola dicendo che sarebbero arrivati prima del tramonto: soprattutto, aveva calcolato di avere tempo sufficiente per fare la via inversa prima che venisse buio. «Alla peggio mi legherò a un albero e aspetterò l'alba.» disse, con una scrollata di spalle «È già successo». «Non hai pensato a trascorrere la notte al villaggio?» domandò Kanyu. «Neanche per un momento.» ribatté il vecchio «Godetevi la permanenza e speriamo di potercene tornare a Forte Pietroso con le nostre gambe». «Sempre ottimista» mormorò l'altro, procedendo spedito verso il villaggio, con le mani lontane dalle armi.
Le prime persone si affacciarono quando erano ad un centinaio di metri, Uomini bruni e magri come quelli che avevano incontrato sul sentiero, vestiti con abiti poveri o seminudi. Taluni avevano abiti di lana di pecora, e a giudicare dal numero di belati che si sentiva, Kanyu poteva anche immaginare da dove questi venissero. I volti che comparvero erano tutti di uomini, con barbe e capelli ancora scuri. Non c'era traccia di vecchi, donne o bambini. Gli Apanni lo guardavano con stupore e diffidenza, con le mani strette attorno alle lance e alle scuri. Di certo non avevano mai visto qualcuno come lui, e Kanyu non si sorprese di leggere un'ombra di paura negli occhi dei più giovani. Il Naigh-Moor si fermò davanti a quello che sembrava il cancello, senza varcarlo, mentre Flacco restava dietro di lui. «Vengo per conto di Titus Barraco!» esclamò con voce stentorea «Cerco Naua!». «E Naua ti aspettava, uomo dalla pelle di morto». Una figura massiccia si fece largo tra gli Apanni. Lui, a differenza degli altri, non era affatto magro, ma anzi di notevole stazza. Portava una mantella di lana sulle spalle nude e un paio di pantaloni di pelle, con assicurata la roncola, come tutti gli uomini, anche se la sua era più grossa e aveva un'impugnatura di metallo ben lavorato anziché di legno. Ai polsi portava spessi bracciali di cuoio su cui aveva assicurato piume di uccello; altre gli adornavano la fascia con cui teneva stretti i lunghi capelli. Alzò il volto dalla mandibola forte e dalla barba riccia verso il Naigh-Moor mentre gli parlava. «Le mie sentinelle vi hanno individuati ore fa.» disse «Un vecchio abitante della valle con un gigante dalla pelle bianca e la lunga criniera, nero come la notte dalla testa ai piedi». «Le ho viste.» rispose Kanyu «Sul crinale di quella che chiamate la Grande penna». «Ma tu sei venuto lo stesso. Mi risulta che ti sei liberato di altri due uomini appartenenti al mio popolo. Tutto questo per soddisfare il volere di Barraco?». «Non mi piace la gente che mi aspetta con le armi pronte, nascosta dietro un grosso sasso. Sono vivi, se ci tieni a saperlo». «È l'unica ragione per cui sei vivo anche tu, straniero.» l'Apanno lo scrutò con sospetto «Non ho idea di chi o cosa tu sia. Perché ti sei immischiato nelle nostre faccende?». «Per salvare la tua gente, Naua. O almeno, questo è quello che mi ha detto Barraco. Sono Kanyu. Kanyu e basta, se te lo stai chiedendo». L'uomo lo studiò per qualche attimo, quindi si prese il mento nella destra.
«Le parole di Barraco non piacciono mai alle mie orecchie.» disse quindi «Ma ascolterò le tue, uomo bianco. Il tuo compagno tornerà alla sua casa. Non è nostro nemico, ma c'è già uno straniero nel mio villaggio. Due sarebbero davvero troppi». Kanyu si voltò verso Flacco, che gli rivolse un'espressione esplicita. «Ve l'avevo detto.» si limitò a dire «Spero di rivedervi in salute». «Cercherò di conservarmi al meglio che posso» rispose Kanyu. Il vecchio annuì un paio di volte, tra sé, quindi gli rivolse un cenno del capo e ricominciò a scendere. Rimasto solo, Kanyu entrò nel villaggio, raggiungendo il capo Apanno. Il suo regno era modesto sia di dimensioni che d'aspetto. Gli Apanni vivevano in stamberghe di legno, pelli e foglie, più simili alla tana di un lupo che alla casa di un uomo. C'erano però una grossa capanna che doveva fungere da dormitorio, la fucina di un fabbro e il laboratorio di un vasaio, oltre ad una grossa stele posta al centro del villaggio che qualcuno aveva modellato sino a conferirle una forma umanoide. I greggi di pecore e capre erano contenuti in piccoli recinti e si vedeva anche qualche asino. In ogni caso non sembrava esserci nulla che facesse intuire una qualche minaccia per la guarnigione di Forte Pietroso. La capanna di Naua era più grossa delle altre, ma comunque povera e spartana, con un forte odore di chiuso. Al suo interno si trovava una donna di bellezza notevole, ma coi lineamenti insoliti e particolarmente affilati; i capelli raccolti in una coda scomposta, giaceva sui velli di pecora deposti sulla nuda terra, simile a una gatta selvatica. Era la prima donna che Kanyu vedeva in quel villaggio, ma sembrava in grado di difendersi meglio di un uomo. «Mia moglie Eska.» spiegò brevemente Naua, mentre andava a prendere posto su uno scranno coperto di pelli di lupo «Non ho segreti per lei». Kanyu la guardò per qualche istante, notando i movimenti lenti e flessuosi con cui si metteva a sedere, con le piume che oscillavano appena attorno alle sue braccia nude. Aveva unghie lunghe e affilate e due occhi ambrati che instillavano una certa inquietudine e gli facevano ripensare all'incontro col serpente. Sembrava che in lei convivessero tanto la donna quanto la belva. «Ho ucciso uomini con occhi meno audaci dei tuoi, straniero.» disse Naua, appoggiando il mento al pugno «Smetti di guardare mia moglie e parla».
Kanyu spostò lo sguardo sul capo Apanno: aveva imparato da tempo a fidarsi delle sue sensazioni, e l'alone di pericolo che sentiva attorno alla donna lo indusse a concentrarsi su Naua. Gli snocciolò la questione in fretta, senza usare tanti giri di parole. Aveva scelto di non essere più un assassino, ma questo non faceva di lui un ambasciatore. La sua argomentazione fu breve e diretta: a Forte Pietroso c'erano più uomini che in quel villaggio, armati sino ai denti e addestrati per diventare una vera macchina da guerra. Altri ne sarebbero arrivati se la situazione fosse precipitata. A Naua restava da scegliere se accettare una buona volta la dominazione imperiale o prepararsi ad una guerra che non avrebbe potuto vincere. Il capo Apanno ascoltò con relativa attenzione, senza interromperlo. Non sembrò stupito, ed era evidente la sua preoccupazione, ma non per questo parve allarmato. Tutt'altro. «Parli con franchezza per essere un emissario di Barraco» commentò, con un velo di ironia. «Non sono un emissario di nessuno. E non stimo Barraco o te più di un cane che mi attraversa la strada. Ho vissuto per secoli, Apanno, e ho visto uomini più grandi di voi accumulare gloria e potere, per poi morire come muore anche l'ultimo dei mendicanti. Le vostre vite sono come una folata di vento o una notte di tempesta: molto clamore, che poi finisce nel nulla. Ma i popoli? Nessuna civiltà sparisce senza lasciare traccia. Gli Apanni sono solo una pagina nell'immenso libro della storia, tuttavia non c'è motivo per stracciarla o bruciarla, per cancellare ogni traccia lasciata da decine e decine di generazioni. Il tuo popolo rischia l'estinzione, Naua, e questa è l'unica ragione perché sono qui, l'unico motivo che mi impedisce di restare indifferente alle vostre sorti. Se tu ti ostini a sfidare un avversario invincibile, condannerai la tua gente alla morte e all'oblio. Ci sono altri sentieri da percorrere, oltre a quello della guerra». Naua tacque. Kanyu gettò un'occhiata verso Eska, notando che la donna appariva del tutto disinteressata alla loro discussione, come se tutto ciò non avesse importanza per lei. La sensazione di pericolo si radicò ulteriormente nell'animo del Naigh-Moor. «Altri sentieri, dici?» riprese intanto Naua «Quali sentieri? Barraco ti ha parlato di razzie, furti, omicidi... Ti ha detto cosa gli Apanni hanno fatto alla sua gente, certo. Ma non ti ha detto cosa loro hanno fatto alla mia, straniero».
Il capo Apanno si alzò in piedi, muovendo qualche passo verso l'altro. «Da che abbiamo memoria di noi stessi, gli imperiali ci derubano di tutto ciò che abbiamo. Il nostro marmo, i nostri minerali, la nostra legna e le nostre bestie. A te sembrerà poco, straniero, ma è tutto ciò che abbiamo. La nostra gente viene trascinata nelle loro cave come degli schiavi, per strappare alla nostra stessa terra i suoi tesori. Gli imperiali scavano nelle nostre montagne come vermi nel formaggio! E per cosa? Per fare bei pavimenti per i loro palazzi. Mentre la mia gente dorme nel fango, loro costruiscono templi, decorano piazze, erigono statue per uomini ignobili. E vengono qui, a casa nostra, a dirci come dovremmo vivere? A intimarci di obbedire alle loro regole?». «Si tratta di obbedire o morire, Naua.» replicò Kanyu «Non puoi vincere. Io lo so, tu lo sai e Barraco lo sa meglio di entrambi». «Barraco? Bah!» Naua sputò su uno dei suo migliori velli di pecora «Quel cane pensa di sapere un mucchio di cose. Ma non sa niente! Ha combattuto contro uomini deboli, su morbidi prati accarezzati dalla brezza! Queste sono le montagne di Pannu, straniero: l'ultimo posto dove vorresti condurre una campagna militare». «Ho visto rocche dieci volte più inespugnabili di questo villaggio, assediate da eserciti che non erano l'ombra dell'aquila imperiale. Possono accerchiarvi da ogni lato e rastrellare ogni buca delle tue amate montagne». «Non ci riuscirebbero mai, invece. Mai!» ringhiò Naua, facendo un brusco segno con le mani «E poi, se anche fosse? Cosa rischiamo? Barraco non ti ha detto cos'è stato del mio popolo in passato, vero? Certo che no! Non schiavitù, no, né saccheggio. Ci hanno deportati. E non una, non due, ma tre volte l'hanno fatto. Hanno strappato gli infanti alle loro madri e ci hanno dispersi per tutto il loro territorio. Lontani da casa, lontani dalle nostre montagne, a spalare il letame dei loro porci. Pensaci! Credi che una rappresaglia ci spaventi, dopo quello che abbiamo passato? Pensi che la morte sia peggio di quello che i miei antenati hanno passato?». Si fermò, guardando il volto del Naigh-Moor, quindi abbassò gli occhi, ritrovando una traccia di calma. «Ma abbiamo resistito. Non ti dirò come, ma l'abbiamo fatto. Gli anni sono trascorsi e le montagne si sono ripopolate di nuovo. Ogni volta che ci hanno strappati alla nostra terra, noi siamo tornati. Abbiamo forgiato nuove armi, addestrato i giovani, costruito altri
villaggi. Le tribù si sono unite di nuovo, pronte a difendersi come un sol uomo. Nessun Impero potrà mai sradicare il popolo di Pannu da questa terra». Tacque, e su tutta la capanna scese il silenzio. Solo la voce di Eska lo rompeva, mentre la donna cantilenava sommessamente una sorta di nenia. «Sei deciso ad andare incontro alla morte, dunque?» domandò Kanyu. «Lo siamo tutti. E vedremo se i fiacchi imperiali saranno in grado di tenere testa a un popolo di uomini liberi.» rispose l'Apanno «Ma lascia che ti riveli ancora una cosa. Mio figlio è in mano sua». Un lampo balenò negli occhi del Naigh-Moor. «Mio figlio, sì. Si chiamava Cupav. Lo prese in ostaggio anni fa, quando osai alzare la testa per la prima volta. L'ha cresciuto come uno di loro, come uno smidollato pronto a ridere delle nostre tradizioni. Sono trascorsi dieci anni da allora, ormai.» Naua socchiuse gli occhi «Riesci a indovinare il perché? Conosco Barraco. Ti avrà detto che la federazione tra le nostre tribù dipende da me, che con la mia morte si scongiurerebbe la minaccia di una guerra. Ma riflettici: Barraco ha in pugno il mio erede. Un ragazzo cresciuto come uno stolto decadente, che quel cane potrebbe comunque imporre come capo alle tribù dopo di me. Riesci a capire, adesso? Ne ha fatto un'arma per distruggere il mio popolo dall'interno». «Se ciò che mi hai detto è vero, Barraco è senza dubbio il verme che tu dici.» disse Kanyu «Ma conducendo incursioni contro di lui, metti a rischio la vita di tuo figlio. Non ci hai pensato?». «Che gli Dèi se lo prendano!» sbottò l'altro, alzando di scatto un braccio «Ormai non è rimasto nulla del figlio che ho allevato. Io non ho più figli, ormai. Un ragazzetto avvezzo alle mollezze e alle comodità non è mio figlio! Ma ne avrò altri! Altri su cui l'Impero non metterà mai le mani». Kanyu non aveva idea di cosa significasse avere un figlio, né tantomeno crescerlo, ma la reazione di Naua bastava a riempirlo di disgusto. «Non so quale follia ti accechi, uomo.» ribatté, storcendo le labbra «Ma è di tuo figlio che stai parlando. Sangue del tuo sangue. E anziché pensare a come riscattarlo, metti a rischio la sua vita. E ti credi migliore di Barraco o di quelli come lui?». L'Apanno gli si fece vicino, fermandosi solo a un passo da lui.
«Credo solo di poter vincere, per una volta. Vincere, capisci?» sibilò, chiudendo a pugno una mano davanti al suo viso «Non ti dirò come, no. Non lascerò che tu corra a riferirlo al mio nemico. Ma io sono un capo, straniero! E i bisogni del mio popolo vengono prima delle mie esigenze come padre. Specialmente se posso consegnargli la vittoria». «Specialmente se puoi ottenerla per te, semmai.» replicò il Naigh-Moor «Conosco gli uomini di potere: grandi e piccoli che siano, fingono di battersi per gli altri, ma in cuor loro pensano solo ad ottenere gloria per sé stessi. Ricorda questo: non ti basterà l'aiuto del tuo Pannu per sconfiggere le legioni di Aura. E mentre tu ti illudi del contrario, la tua gente morirà a causa della tua sciocca ambizione». Naua gli rispose con un ghigno attraverso la folta barba. «Non sottovalutare Pannu, straniero. E non sottovalutare noi.» mormorò «Vieni: lascia che ti mostri di cos'è capace il nostro Dio». Naua gli aprì la strada, guidandolo sino alla porta della capanna. Kanyu lo guardò uno sguardo diffidente, quindi seguì con la coda dell'occhio la donna: Eska continuava a canticchiare, accarezzandosi le dita con aria distante. Il senso di pericolo ora gli vibrava nelle orecchie come il ronzio di una mosca. Il Naigh-Moor studiò Naua per qualche secondo, quindi si accinse a seguirlo. Silenziosamente, però, la sua mano si avvicinò alla cintura da cui pendevano le armi. Una volta all'aperto, non scorse nulla di diverso da prima. Solo la luce era un po' calata, mentre il cielo cominciava ad arrossare. Nell'aria aleggiava un'invitante fragranza di cinghiale arrosto. Naua procedeva spedito, dandogli le spalle. Kanyu lo seguiva con circospezione, guardando le facce che lo fissavano, i ripari dietro cui si potevano nascondere uomini armati, il terreno su cui posava i piedi. Restava in ascolto, fiutava gli odori, indovinava le intenzioni altrui. Aveva passato una vita intera ad affinare i propri sensi, al punto da non avere forse eguali al mondo. Eppure all'improvviso il buio si sostituì alla luce e in un attimo il dolore gli pervase tutto il corpo. La prima cosa che sentì fu il contatto con una superficie dura e liscia. Poi venne il dolore, così intenso e diffuso da indurlo ad aprire di scatto gli occhi. Sentiva qualcosa di vischioso sulle palpebre e ci passò velocemente il dorso della mano. Sangue. Doveva averne la faccia imbrattata, ma gli faceva male dappertutto e il respiro faticava a tornare. Tossicchiò
debolmente, quindi piantò i palmi delle mani a terra, ignorando la scarica che gli percorse tutto il corpo, e cercò di raddrizzarsi. Braccia e gambe gli risposero, ma quello fu l'unico segnale incoraggiante. Il fuoco ardeva attorno ad una mezza dozzina di torce, rischiarando l'ambiente a sufficienza per permettere al Naigh-Moor di capire dove si trovasse: una grotta, da qualche parte nelle profondità della terra. Stalattiti e stalagmiti si sporgevano verso di lui, come dita pietrificate; pozze d'acqua giacevano negli angoli e l'oscurità avvolgeva le gallerie che scendevano ulteriormente. Kanyu alzò gli occhi verso la volta della caverna, notando un'apertura attraverso la quale penetrava una sottile lama di luce. La sua mente ricominciò a funzionare, i ricordi vennero a galla. Era caduto. Almeno, questa era la conclusione più logica. Ricordava di non aver più sentito la terra sotto i piedi e di essere precipitato in una sorta di voragine. Poi aveva urtato contro qualcosa, e da lì in poi tutto si faceva troppo confuso per averne memoria. Barcollò per trovare una sorta di equilibrio, senza vergognarsi di prendersi il suo tempo. In fin dei conti non c'era nessuno a guardarlo arrancare come un vecchio. O no? Alzò il viso di scatto, scorgendo delle figure nell'ombra che avanzavano verso di lui. «Oh, sei vivo? Mi hai tolto un pensiero, straniero. Mi auguro che tu non ti sia fatto troppo male». Kanyu sputò un grumo di saliva rossastra. «Naua.» disse, riportandosi lentamente in posizione eretta «Questo è uno scherzo che ti farò pagare caro». «Dici?» la luce rischiarò la figura del capo Apanno, in piedi su uno sperone roccioso, a circa tre metri di altezza sopra di lui «Mi sembri a stento in grado di reggerti in piedi». «L'apparenza inganna. Non avevo intenzione di farti del male, ma confondere la mia mente e poi buttarmi in una buca non è stata una bella mossa per migliorare i nostri rapporti». «I nostri rapporti finiscono qui, straniero.» ribatté l'uomo, e adesso Kanyu scorse poco dietro di lui la figura della moglie «Sei un uomo fuori dal comune, e la tua fortuna non sembra certo da meno, visto che sei ancora vivo. Ma hai scelto di stare dalla parte sbagliata».
«Io non sto dalla parte di nessuno.» replicò Kanyu «Ma meno che mai, adesso, starò dalla tua». «Quindi diventi un mio nemico!» esclamò Naua, aprendo le braccia «Dunque ti sei accorto di essere stato ingannato? Eska è una donna dai molti talenti, mi ero scordato di dirtelo. Ha previsto che saresti arrivato e si è preparata di conseguenza. Non chiedermi come, non saprei spiegartelo». «Io invece sì. Stregoneria. Illusioni. Incantesimi rivolti contro un estraneo venuto solo per parlarti». «Non un estraneo.» la voce della donna giunse alle orecchie del Naigh-Moor come una melodia stonata, discorde «Io ti conosco, Kanyu da Thanisshar, primo degli esuli. Ho sentito parlare a lungo di te. E ho ardentemente desiderato di conoscerti». «Sarebbe bastato un invito più cortese. Anche da parte della sgualdrina di un montanaro». «Avremo modo di conoscerci comunque.» replicò Eska, con tono scherzoso «Non ho bisogno delle tue parole pungenti, in fondo. Mi basta il tuo corpo. Il tuo corpo morto». «E il tuo corpo morto sarà ciò che farò trascinare fuori di qui.» disse Naua «Sai com'è, non posso negare nulla a mia moglie. E adesso non posso neanche permetterti di andartene. Sai dove ti trovi? In uno dei nascondigli in cui la mia gente è costretta tuttora a rifugiarsi. Dentro la montagna, lontani dalla luce del sole, scavando come vermi e nutrendosi di insetti. Qui abbiamo imparato a sopravvivere, accontentandoci di ciò che il potente Pannu poteva offrirci: qui, nel cuore delle sue grandi montagne ». «Il tuo Pannu non ha altro da darvi che cibo per ratti e serpenti? Ho sentito parlare di Dèi meno avari.» Kanyu liberò dalla cintura la Zanna, il rozzo machete con cui si accompagnava da secoli «Hai parlato abbastanza, fanatico. Sciogli i tuoi cani e vediamo chi riderà per ultimo». «Cani? A loro darò le tue ossa, quando mia moglie non ne avrà più bisogno. No. Tu deridi il nostro Dio, straniero. Ti fai beffe dei suoi figli, pieno della tua stolta arroganza. Della tua ignoranza! Ora assaggia la sua potenza, pelle di morto. Varnag!». Naua stese un braccio verso le ombre in un gesto ampio. Dalle tenebre emerse a poco a poco una figura robusta, che sovrastava ampiamente sia il capo Apanno che sua moglie. Una figura umana, con membra possenti e sul cui torace scoperto risaltavano muscoli che sembravano scolpiti. Teneva la testa piegata da una parte, così che i lunghi capelli gli
ricadevano su parte del viso, e nella destra reggeva una spada corta e dalla lama larga. Senza dire una parola, l'uomo rivolse gli occhi verso il Naigh-Moor, quindi si lanciò giù dallo sperone. Un altro uomo si sarebbe rotto una gamba, ma lo sconosciuto atterrò con un tonfo sui piedi e si raddrizzò lentamente senza aver subito alcun danno. Kanyu ora lo vedeva con chiarezza. A dispetto del suo fisico poderoso, quello che aveva davanti era un giovane di neanche vent'anni. Forte come un toro e agile come un gatto, ma umano. Il Naigh-Moor alzò gli occhi verso Naua. «È questo il potere del tuo Dio?» domandò «Un ragazzo da mandare al macello?». «Ostinato nella tua cecità, eh?» Naua si piegò verso di lui, le mani appoggiate intorno alla vita «Lascia che ti presenti Varnag, il figlio degli Dèi, simbolo vivente dell'ira di Pannu». «Io vedo soltanto un ragazzo.» fece Kanyu, indicandolo con un braccio «Un giovane che non merita di morire per i tuoi deliri». «Sentiti libero di non credermi.» il capo Apanno sogghignò «Cambierai idea tra qualche secondo. Forse avrai anche la fortuna di renderti conto di quanto ti sbagliassi». Il Naigh-Moor lo fissò ancora qualche attimo, quindi spostò lo sguardo sul giovane chiamato Varnag. Di certo non somigliava a nessun altro ragazzo della sua età, né quel suo sguardo cupo lo faceva apparire in alcun modo meno pericoloso. Ma Kanyu aveva affrontato avversari che della sua umanità non avevano neanche l'ombra. «Non dare ascolto a quel pazzo.» gli disse, tenendo l'arma puntata verso il terreno «Morire non serve a nessuno. Non libererà la tua gente, né ti renderà nulla di quello che puoi avere perso». Varnag non disse niente. Restò immobile a un paio di metri da lui, la spada in pugno, la testa piegata. «Te lo dirò una volta sola.» continuò Kanyu «Ho ucciso uomini con secoli di esperienza più di te. Ho strappato corone dalle teste dei morti. Ho fatto a pezzi creature che tu nemmeno immagini possano esistere. Ho trucidato donne e bambini per conto di padroni come Naua ed Eska. E non ho alcuna voglia di continuare a farlo. Sta indietro e non costringermi a uccidere l'ennesimo innocente». Il giovane gli rispose con un ghigno. «La morte ti aleggia intorno, straniero.» disse «È tempo che tu la incontri di persona».
Alzò la spada verso di lui, come a lanciargli una sfida. Kanyu socchiuse gli occhi, sentendo il sangue ribollirgli. Una sensazione fin troppo familiare gli percorse le mani ferite e le braccia martoriate. Il suo sangue chiamava quello del giovane. Fece un passo indietro, sollevando la Zanna in posizione difensiva. I due uomini si scrutarono per qualche istante, freddamente. Kanyu era immobile, il volto di pietra, incurante del sangue che lo ricopriva. Varnag lo studiava in silenzio, piegato in avanti, con la sinistra disarmata protesa e la punta dalla spada che sfiorava il terreno. Quando attaccò, lo fece con la velocità del fulmine. Kanyu però aveva già intuito il movimento: scartò di lato, evitando il suo fendente. Non cercò di contrattaccare, limitandosi a schivare il colpo, ma Varnag non esitò ad assestargli un rude spintone con la mano libera. Normalmente il Naigh-Moor non avrebbe battuto ciglio, ma la forza con cui quella mano lo raggiunse gli fece spalancare gli occhi. Arretrò barcollando, costretto ad affannarsi per ritrovare l'equilibrio, e rialzò di nuovo il machete. Varnag fece a sua volta un passo indietro, riportandosi nella posizione originaria. «Ah! Vedo che te ne sei accorto!» esclamò Naua, dall'alto «Te l'ho detto che il ragazzo era speciale!». Kanyu lo ascoltava senza neanche guardarlo, concentrandosi ora sul giovane Apanno. «Varnag è il figlio di un Dio! Non c'è altra spiegazione. Forse di Pannu stesso!» continuò Naua «È giunto da me, e hai visto anche tu di quale forza sovraumana sia dotato. Non esiste uomo al mondo che possegga metà del suo vigore! Varnag non ha madre né padre: è il figlio degli Dèi, e guai a chi si parerà sul loro sentiero. Tu, straniero, sei soltanto il primo». «Il primo? Quindi sono la tua prima avventura, bel giovanotto?» Kanyu diede in un sorriso sarcastico «Vedi di durare, allora». Il ragazzo abboccò alla provocazione come un pesce. Scattò in avanti in una serie di assalti furiosi, rapidi e potenti. Kanyu non si azzardava a incrociare le lame con lui, schivando i suoi colpi con la maestria del duellante. Varnag era forte e veloce, ma inesperto. Appena si presentò l'occasione, il Naigh-Moor lo costrinse a sbilanciarsi, quindi prese l'iniziativa. La Zanna calò con violenza su di lui, impattando solo all'ultimo momento contro la spada corta. Le strette dei due vibrarono per la forza del colpo, ma entrambi mantennero la presa sulle armi. Kanyu lo attaccò ancora, incalzandolo da vicino.
«Sei il primo, sì.» sibilò, tra un colpo e l'altro «Il primo che non si fa sfuggire di mano la spada. Pensi che basti?». Varnag indietreggiava rapidamente, parando un colpo dopo l'altro. I suoi muscoli si gonfiavano sino allo spasimo ad ogni impatto, i suoi occhi ambrati si dilatavano per l'incredulità. La Zanna si scontrava contro la sua arma con una forza pari alla sua, se non superiore. Le lame cozzavano levando scintille. Le fronti dei due contendenti si imperlarono di sudore. Kanyu continuò ad attaccare fino a che la guardia dell'Apanno non si aprì. A quel punto sollevò di scatto una gamba, colpendolo in pieno sterno. Varnag incassò il colpo come un materasso, restando saldo sulle proprie gambe. Un attimo dopo attaccò a sua volta, con impeto, e Kanyu stavolta non esitò: sgusciò alle destra dell'avversario e lo fece inciampare con un piede. Poteva essere grosso e robusto quanto voleva, ma rotolò comunque sulla schiena. Kanyu non perse un istante per sovrastarlo, piazzandogli la Zanna sotto il naso. Varnag rimase fermo, i denti serrati. «Non hai possibilità contro di me.» disse Kanyu, con freddezza «Smetti di combattere e tornatene a casa tua. Adesso, ragazzo». L'Apanno restò a terra, impotente, con la mano destra ancora inutilmente stretta attorno all'impugnatura della spada. Un istante dopo scattò con la mano libera, afferrando il polso del Naigh-Moor in una morsa. Kanyu si sentì avviluppare dalla forza straordinaria del giovane. Piantò con forza le gambe a terra e scaricò tutto il proprio peso sul braccio: se quel ragazzo aveva scelto di morire, ora non poteva fare a meno di accontentarlo. Ma Varnag sollevò velocemente l'altra mano, e la spada vibrò contro la Zanna con tanta forza che fu il Naigh-Moor, e non l'Apanno, a mollare la presa. Kanyu si mosse di scatto. Colpì il volto dell'avversario con il tallone e la sua nuca rimbombò contro il pavimento di pietra. La presa di Varnag si allentò e il Naigh-Moor si divincolò, senza riuscire a trattenere un grido per il dolore. Mise mano con la sinistra alla scimitarra, estraendola dal suo fodero. Un istante dopo, i due uomini si fronteggiavano nuovamente. Varnag aveva ripreso l'iniziativa, e stavolta la distanza tra i due era talmente breve che Kanyu faticava a scartare i suoi attacchi. Sentì le vesti lacerarsi e l'acciaio dell'Apanno mordergli le carni, mentre indietreggiava verso una selva di stalagmiti che si innalzavano dal suolo e colonne naturali.
Balzò via di lato, e la spada corta le urtò con violenza tale che lama e pietra si spezzarono. Varnag mandò un ruggito, quindi lo allontanò con un pugno che mandò il Naigh-Moor a gambe all'aria tra le pietre umide della grotta. In un attimo, tutte le ferite sul corpo di Kanyu sembrarono risvegliarsi. Strinse i denti e sollevò il capo, vedendo che l'Apanno metteva mano alla roncola che portava immancabilmente alla cintura. Kanyu rimase fermo dov'era, fingendo di non essere in grado di rialzarsi. Le sue dita avevano trovato il pugnale, e se quella lama era stata capace di trovare la bocca di un serpente, di certo non avrebbe avuto difficoltà ad affondare nella gola di un uomo, che fosse figlio di un Dio oppure no. Varnag avanzò verso di lui con passi pesanti, la roncola in mano. «Ora!» gridò Naua, dall'alto del suo sperone. «Ora!» urlò anche Eska, con voce stridula. Varnag si fermò, guardando il Naigh-Moor a terra. Kanyu riconobbe una luce di consapevolezza nei suoi occhi: aveva notato il suo gesto e scorto il pugnale. Probabilmente stava pensando al momento giusto per attaccarlo, proprio come il serpente sul sentiero. Kanyu vide che le sue grosse dita si chiudevano attorno a una sottile stalagmite e sentì il rumore secco della pietra che si spezzava. Poi Varnag si voltò di scatto. Il frammento di roccia volò dalla sua mano verso Naua e sua moglie; Eska stramazzò di colpo all'indietro in uno sfarfallio di braccia e piume, con la fronte spezzata e la roccia appuntita ancora conficcata dentro di essa. Kanyu e Naua sembravano uno più sorpreso dell'altro. Alla fine, fu il capo Apanno a gettare un grido. «Eska!» urlò «Eska! La mia... Eska! La mia Eska!». Sembrò indeciso per un attimo su cosa fare, quindi si voltò di scatto, guardando verso il basso con occhi brucianti, e stese un braccio verso Varnag. «Tu! Tu, tu, cane maledetto! Hai ucciso la mia Eska!». Varnag abbassò la roncola e sollevò un dito verso di lui. «La tua Eska è morta da tempo, Naua.» disse, con voce forte «Tu l'hai uccisa». Naua sgranò gli occhi, le dita aperte come artigli. Tremava di collera dalla testa ai piedi. «L'hai uccisa e hai messo quella strega al suo posto.» continuò Varnag «È stata lei a dirti di farlo, Naua! Ti ha usato, e ti sta usando ancora!».
«Tu sei pazzo!» urlò il capo Apanno «Pazzo! Maledetto pazzo, figlio di nessuno! Hai ucciso mia moglie». «Sei certo di quello che dici?» domandò Kanyu, alzandosi in piedi. Varnag annuì, guardando l'uomo che si sbracciava e urlava lassù in alto. «Prima non lo ero, ma adesso sì.» rispose «Si dice che su queste montagne vivano creature che ingannano e seducono gli uomini. Esseri blasfemi, che dominano le loro prede come pupazzi». «So per esperienza che ciò che chiamiamo blasfemo è solamente diverso da quello a cui siamo abituati. Sei proprio sicuro che-». Non aveva ancora terminato di frase che Eska si sollevò da terra. Si alzò innaturalmente, raddrizzandosi come una sagoma di cartone, con le membra scomposte che si contorcevano. Naua si voltò verso di lei con la bocca aperta, gli occhi lucidi. «Eska!» gridò «Eska, amore mio! Sei viva! Sei viva!». Se la donna capì quel che gli veniva detto, non sembrò comunque importargliene. Il suo corpo continuava a torcersi e ad avvolgersi su sé stesso. Si udì uno schiocco quando un braccio si spezzò di netto, quindi la sua testa si piegò all'indietro. Le vertebre del collo scricchiolarono, poi si spezzarono di schianto, e così le altre ossa, mentre il suo corpo si copriva di sangue. Naua indietreggiò pieno di orrore, intanto che la creatura che un tempo era stata Eska si piegava e si gonfiava come un'enorme bozzolo di carne. Le sue mani devastate toccarono terra, i piedi nudi graffiarono la roccia con le unghie. Nel giro di pochi istanti, peli lunghi e ispidi fuoriuscirono dalla sua pelle come rostri affilati e l'improvvisa metamorfosi assunse proporzioni più grottesche. La stazza di Eska aumentò enormemente, la sua testa si allungò, le sue mani e i suoi piedi divennero ossa e poi zoccoli, dalla smisurata fronte si dipartirono due corna viscide di sangue. Nel giro di un minuto, dove prima c'era il corpo di una donna, c'era un gigantesco capro dall'aspetto mostruoso. La bestia alzò la testa e mandò un urlo raschiante che echeggiò spaventosamente per la grotta. Naua, pietrificato dalla paura, era indietreggiato sino al limite dello sperone. «Eska...» balbettò, con un filo di voce. Il capro lo fissò con occhi vitrei e privi di intelligenza, quindi si avventò su di lui. I sue denti acuminati affondarono nel ventre dell'Apanno, chiudendosi attorno alle sue viscere. Poi la
bestia si rizzò si scatto sulle zampe posteriori e gli zoccoli si abbatterono sul corpo inerme del capo, spaccandogli le costole come rametti secchi. «Che gli Dèi mi prendano.» sussurrò Varnag, guardando poi il Naigh-Moor «Vuoi chiedermi ancora se sono sicuro?». «No, ma posso chiederti che cos'è quell'affare» rispose l'altro. Varnag guardò quella mostruosità con occhi truci. «Le leggende raccontano che quando Pannu vuole manifestare agli uomini la sua furia, allora assume la forma di un enorme caprone. Una bestia empia e feroce, che si ciba degli uomini con la voracità di cento lupi. Un Demone incarnato, che compie indicibili massacri». Il capro rialzò il muso insanguinato dal corpo di Naua. Nei suoi occhi rossi e stupidi brillava un istinto omicida e brutale. Mandò un altro urlo, quindi si lanciò giù dallo sperone. Kanyu e Varnag si lanciarono una breve occhiata, quindi presero a separarsi. Gli zoccoli della bestia toccarono terra con violenza, facendo tremare il terreno. Bava e sangue colavano dalle sue fauci aperte, mentre fissava i due uomini che cercavano di accerchiarlo. Emise un verso rabbioso, scuotendo l'enorme testa da una parte all'altra. Alla fine si voltò con decisione verso Kanyu. Il capro lo caricò senza esitare, la testa bassa, e il Naigh-Moor balzò via. Varnag riuscì appena a cogliere un movimento nell'aria, poi udì l'urlo atroce della bestia e la vide schiantarsi contro la parete di pietra. Quando il caprone si voltò, il manico del coltello usciva dal suo occhio destro, ma scattò ugualmente verso il suo avversario. Il Naigh-Moor rotolò via, quindi cominciò a menare colpi verso il muso dell'animale che cercava di azzannarlo. Uno di essi lo raggiunse al cranio, e la bestia scosse il capo con forza, scagliando via Kanyu come una bambola di pezza. Il capro mosse qualche passo indeciso, quindi sembrò accorgersi solo allora della presenza dell'Apanno. Varnag lo guardò nell'unico occhio e comprese le sue intenzioni. Nell'attimo in cui la bestia si preparò a caricarlo, il giovane lasciò cadere la roncola. Si piantò sulle gambe, chino in avanti, e corse verso l'animale, le braccia aperte. Si udì un rumore sordo, e per un attimo tutto fu immobile. Le mani dell'Apanno erano strette attorno alle corna della bestia, i suoi piedi cercavano disperatamente di restare incollati al terreno. L'uomo aveva arrestato la corsa dell'animale. La testa orribile della bestia si scosse per liberarsi dalla sua
stretta, le fauci schioccarono mentre dalla bocca gli uscivano ringhi e urla disumane. Il volto di Varnag era una maschera di sofferenza, i muscoli sembravano voler strappare la pelle, i denti stridevano gli uni contro gli altri. Indietreggiò, un passo alla volta, opponendo una strenua resistenza alla spinta della creatura. D'un tratto, le forze abbandonarono del tutto il capro, al punto che Varnag finì quasi faccia a terra con un urlo. La lama del Naigh-Moor aveva tranciato di netto la testa dell'animale, e il corpo di quell'abominio crollò pesantemente di lato. L'Apanno rimase con la testa in mano, a guardare gli ultimi aliti di vita che la percorrevano: l'occhio sano tremolava, la bocca si aprì come una serratura arrugginita e la lingua infine penzolò di lato. «Ottimo lavoro.» disse Kanyu, pulendo la lama della scimitarra sul pelo dell'animale «Quella vuoi tenertela per ricordo?». Varnag abbassò gli occhi sulla testa grondante sangue. «Se le leggende sono vere, abbiamo appena ucciso Pannu» mormorò, con timore superstizioso. «Beh, se le leggende sono vere, il tuo Dio si è fatto prima portare a letto da Naua, poi è morto per una sassata in fronte, quindi è rinato sotto forma di caprone per morire di nuovo.» Kanyu estrasse il pugnale dall'occhio della bestia senza pensarci troppo «Se c'è anche solo una briciola di verità, ti assicuro che non vale la pena di adorare un Dio del genere». Varnag lasciò cadere la testa a terra. «Bah, questo è solo un qualche genere di mostro.» borbottò «Un mostro che però ha ucciso Naua». «Era convinto che i suoi Dèi fossero con lui. Ed è proprio la convinzione che frega la gente.» Kanyu fece qualche passo, recuperando la roncola dell'Apanno «E tu? Sei ancora convinto di essere il figlio di un Dio?». «Avresti potuto uccidermi, prima. Due volte.» il giovane prese la roncola dalla mano del Naigh-Moor, quindi scansò una ciocca di capelli, mostrando il moncone dell'orecchio sinistro «Ho rischiato di restarci secco troppe volte per credere di avere del sangue divino». «E la tua forza prodigiosa? Da dove viene?». Varnag scrollò le spalle poderose.
«È mia» si limitò a rispondere. Kanyu gli diede una veloce occhiata, prima di andare alla ricerca della Zanna. «Ci farà comunque comodo.» disse «Naua è morto. Il che significa che ci resta una questione da risolvere prima che albeggi». «"Ci" resta? Pochi minuti fa stavamo cercando di ucciderci a vicenda». «Gli Dèi sono volubili, Varnag.» Kanyu raccolse il machete da terra con un mezzo sorriso «E lo sono anch'io ». Una brezza fresca soffiava dal mare, sollevando gli ampi tendaggi di lino candido. Titus Barraco, avvolto nelle lenzuola, premette la faccia contro il cuscino con una smorfia infastidita. Capitava spesso che ci fosse vento, da quelle parti; era per quella ragione che il comandante faceva sempre chiudere la finestra della camera da letto. Anche quella sera, pertanto, si era assicurato che... Titus Barraco aprì istantaneamente un occhio, sentendosi rabbrividire. Fece appena in tempo a vedere un'ombra stagliarsi sopra di lui, quindi una mano salda lo afferrò per la parte inferiore del viso, sbattendogli la testa contro la sponda del letto. Due occhi fin troppo conosciuti si spalancavano davanti a lui, come frammenti di opale bianca nella notte. «Dov'è il ragazzo?» sibilò Kanyu. Barraco rimase con gli occhi sgranati, fissando il volto tumefatto del Naigh-Moor. Sembrava che fosse passato attraverso a una decina di inferni, ma non per questo appariva meno temibile. La sua mano si allontanò dal viso del comandante, solo per stringersi attorno al suo collo. «Cupav, il figlio di Naua.» continuò Kanyu «Mi ha detto che l'hai preso con te. Dov'è?». Barraco piegò le labbra, riuscendo ad accennare un sorriso. «E tu gli hai creduto?» disse, faticando per trovare il fiato. «Sì, io gli ho creduto.» rispose l'altro «Quello che non credo nemmeno adesso è che tu possa essere stato tanto stupido da non dirmelo». La mano sinistra del Naigh-Moor si mosse rapida, afferrando il braccio dell'uomo, ancora sotto le lenzuola. Il rumore del metallo echeggiò contro il pavimento di marmo quando la daga sfuggì dalla stretta del comandante. Una smorfia si disegnò sul volto di Kanyu.
«La tieni a portata di mano in caso di brutti sogni, comandante?». Barraco abbozzò una risata. «Non solo quella, assassino». La porta si aprì di schianto e i soldati penetrarono all'interno. Il giovane attendente veniva per primo, seguito da sei uomini armati di tutto punto. Kanyu li guardò entrare senza alzare un sopracciglio. «Adesso ho le mani occupate.» disse, indicando con un cenno il comandante «Ti spiace occupartene tu, Varnag?». La figura massiccia dell'Apanno irruppe nella stanza dalla finestra, a mani nude. Gli uomini armati sobbalzarono, ma il loro stupore fu di breve durata. «Addosso! È un uomo soltanto!» urlò Barraco, inerme nel suo letto. Mentre Kanyu gli faceva di nuovo sbattere la nuca contro la sponda, i legionari si gettarono su Varnag. L'Apanno non perse tempo: c'era un busto del comandante proprio accanto alla finestra. Lo prese tra le mani come se non avesse peso, e un attimo dopo lo scagliò contro i suoi avversari. Il fracasso del metallo delle corazze che si piegavano come fogli di carta si mescolò con quello delle ossa che si spezzavano, mentre le urla di dolore si levavano dalle gole dei primi due legionari. Varnag mise velocemente mano alla roncola, fiondandosi sugli uomini rimanenti come un leone su un branco di gazzelle. La lama ricurva spaccò a metà la testa di un legionario, frantumando l'elmo e il cranio, quindi l'Apanno fece leva con un piede per liberare l'arma e sbalzò indietro il cadavere. Uno dei soldati lo attaccò al fianco e Varnag lo afferrò per il polso appena in tempo, prima di colpirlo alla tempia con l'impugnatura della roncola. Una lama si conficcò nella sua spalla, ma fu come se un'ape avesse punto un grizzly. La lama pennata calò nuovamente, tranciando una testa sino a lasciarla attaccata al collo per qualche filamento di muscoli e pelle. L'ultimo uomo rimasto aveva anche uno scudo. Anziché attaccare, in preda al panico, vi si nascose dietro. Varnag glielo strappò di mano come se togliesse un giocattolo dalle mani di un bimbo, quindi finì brutalmente il legionario con un colpo alla testa. Solo l'attendente rimaneva in piedi. Barcollò all'indietro, appoggiandosi con le spalle al muro, tremando come una foglia. Una chiazza scura si allargò sui suoi pantaloni e l'urina gocciolò sin sul pavimento. Varnag lo guardò con
disgusto per qualche secondo, quindi lo afferrò per il bavero e si limitò a sbattergli la testa contro la parete, facendogli perdere i sensi. «Questo non vale l'uccisione» borbottò, guardando i corpi massacrati ai propri piedi. «Non si rende nemmeno conto di quanto sia fortunato.» disse Kanyu, cupamente, per poi voltarsi di nuovo verso Barraco «Hai altri trucchi in serbo, comandante?». L'uomo si era fatto mortalmente pallido. Sudava copiosamente, con le labbra dischiuse che si muovevano appena. «Se non ci sbrighiamo accorrerà l'intera guarnigione» disse Varnag, avvicinandosi ai due. «Stavamo giusto finendo.» fece Kanyu, socchiudendo gli occhi «Il ragazzo, Barraco». Il comandante di Forte Pietroso aprì e chiuse la bocca un paio di volte. I suoi occhi saettavano dall'Apanno al Naigh-Moor. «Al piano inferiore.» disse, con un filo di voce «C'è una stanza chiusa dall'esterno». «Come facciamo a sapere che non sta mentendo?» domandò subito Varnag. Lo sguardo del comandante corse immediatamente verso quello dell'Apanno. «Non sta mentendo.» rispose Kanyu, inducendolo a guardare lui «Naua è morto. Sei soddisfatto?». Gli occhi di Barraco si accesero improvvisamente di una lampo di trionfo. E di speranza. «Hai cercato di usarmi, Umano.» riprese Kanyu, pronunciando con disprezzo quell'ultima parola «Vai a dire a Naua che bel risultato hai ottenuto». La lama di un coltello si premette sulla gola di Barraco. Aprì la bocca in un ultimo sprazzo di consapevolezza, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu un gorgoglio e un fiotto di sangue. Un solco si era aperto sul suo collo, e la veste da notte del comandante si imbevette di rosso. Kanyu pulì il coltello con le lenzuola, quindi si alzò nuovamente in piedi. «Non ti piace proprio avere del sangue sulle tue lame.» osservò Varnag, con sarcasmo «Paura che si rovinino?». «Non mi piace portarmi dietro l'olezzo della morte.» disse, rivolgendo quindi un veloce sguardo alla carneficina davanti ai suoi occhi «Muoviamoci». Si avviò deciso verso la porta, senza osare di chiedersi se fosse stato Titus Barraco a chiamare su di sé la morte, o se essa gli viaggiasse davvero accanto come un'ombra.
Dall'esterno giungevano le grida delle sentinelle; ben presto risuonò la voce dei corni d'allarme. Kanyu e Varnag discesero in fretta le scale. I gradini di pietra echeggiavano dei loro passi rapidi. Giunti al piano inferiore, si ritrovarono davanti due robuste porte di legno rinforzato, l'una di fronte all'altra. «Chiuse entrambe» fece Kanyu, con una smorfia. Varnag lo scansò rudemente, e un attimo dopo il suo stivale si abbatté contro la prima porta, schiantando la serratura. All'interno trovarono solo un ampio ripostiglio, con rastrelliere di armi bene ordinate, stendardi recanti l'aquila imperiale e scudi lucidi come specchi. «Prega che quel cane non abbia mentito» ringhiò l'Apanno, mentre si dirigeva verso l'altra porta. Stavolta la colpì due volte, ma con tale violenza che la porta si abbatté sul pavimento con un clamore improvviso. Dentro la stanza, come aveva detto Barraco, c'era un giovane che doveva avere sedici anni. Era vestito solo di un paio di calzoni, e sebbene avesse i capelli corti tagliati all'altezza delle orecchie, i suoi lineamenti e la carnagione bruna rivelavano facilmente la sua origine. Naua poteva averlo rinnegato, ma quel ragazzo era la sua immagine sputata. «Chi siete?» fece il giovane, guardando l'Apanno con occhi attenti «Vi manda mio padre?». «Tuo padre è morto, Cupav.» ribatté secco Kanyu «E anche il tuo protettore». «Protettore? Intendete dire Barraco?» gli occhi del giovane si aprirono di scatto. «Sei tanto dispiaciuto?» domandò sarcastico il Naigh-Moor. «Per quel bastardo di Barraco? Ditemi soltanto dov'è il suo cadavere, così che possa farne scempio. Ma mio padre... Siete certi che-». «Difficile esserlo di più.» tagliò corto Kanyu «Muoviti a infilarti qualcosa, per gli Dèi. Dobbiamo filare. Subito!». «Allora non ho bisogno di nulla.» replicò il giovane «Dove dobbiamo andare?». «Il cortile sarà pieno di legionari, ormai.» fece Varnag «Impossibile passare di lì». «La stanza di fronte ha una finestra che dà su di un camminamento.» disse Cupav «C'è un salto di appena un paio di metri». Kanyu aprì la strada, correndo verso l'altra stanza. Dalle scale si udiva il rumore di uomini che salivano e le loro ombre si stagliavano ormai contro le pareti di pietra. Il figlio di Naua
indicò la finestra e scese per primo, subito seguito dal Naigh-Moor. Quando ormai i soldati irrompevano nella stanza, Varnag saltò dalla finestra a sua volta. Il camminamento conduceva direttamente agli spalti del forte. Varnag aveva avuto ragione a dire che il cortile era pieno di gente: non avevano ancora mosso più di una decina di passi che i soldati li avvistarono, e subito le frecce presero a sibilare verso di loro. Col buio che c'era, non dovevano neppure aver notato che il protetto di Barraco era con loro, ma lo stesso buio rendeva impreciso il tiro degli arcieri. Kanyu si trovò però di fronte una sentinella con l'arco già in mano. «State giù!» gridò, piegandosi sulla vita. L'uomo incoccò la freccia e tirò, ma la freccia passò sopra la testa del Naigh-Moor. Un attimo dopo Kanyu lo investì, spingendolo giù dagli spalti: se si fosse salvato o no, non avrebbe mai saputo dirlo. «Di qua si scende!» fece Cupav, stendendo un braccio «Le mura sono più basse, qui!». «Per le corna di Pannu!» ruggì Varnag «Perché diavolo non sei mai scappato, se conoscevi una strada?». «Vuoi restare a discuterne finché non avranno preso bene la mira?» fece Kanyu «Di sotto, forza!». Saltarono giù, uno dopo l'altro, rotolando nell'erba alta e rialzandosi velocemente. Presero a correre a perdifiato, senza guardarsi indietro, gettandosi a rotta di collo tra gli uliveti e i campi coltivati. «Dove avete i cavalli?» chiese Cupav, ansimando. «Da nessuna parte.» rispose Kanyu «Continua a correre». «Ci sono cavalli e cani, al forte! E siamo in terreno aperto!». «Più avanti c'è un fosso. Non è granché, ma lì non lasceremo tracce e i cani non riusciranno a ritrovare il nostro odore». Un corno risuonò dal forte e Varnag si voltò a guardare alle proprie spalle. «Spiacente di deluderti, ma quelli sono cavalieri» disse, storcendo le labbra. «Tanto peggio!» ringhiò il Naigh-Moor «Avanti ancora un poco, poi prendiamo posizione tra gli alberi. Forse non ci noteranno». «Lo credi davvero?»
Kanyu scosse la testa. «No, per niente.» rispose quindi «Ma potremo comunque difenderci meglio di così». Varnag sganciò dalla cintura una roncola con un'impugnatura di acciaio e la lama incisa di simboli arcani. «Questo apparteneva a tuo padre.» disse, porgendo l'arma a Cupav «Presumo che ti spetti di diritto». «Allora speriamo che non debba tenerlo in mano solo stanotte» replicò il giovane. Kanyu non disse niente, prendendo posizione all'ombra di un ulivo secolare. Varnag era ferito e Cupav probabilmente non aveva mai pensato seriamente di scappare sino a dieci minuti prima. Erano soltanto dei ragazzi, ma entrambi erano pronti a combattere, a rischio della loro stessa vita. Senza paura, senza rimpianti, avrebbero accettato di morire entrambi, pur di conservare la propria libertà. Il capo Apanno poteva essere accecato dall'odio o vittima di chissà quale sortilegio, ma c'era qualcosa di vero in quel che aveva detto: la sua gente non avrebbe mai rinunciato ad essere quella che era. Il rumore degli zoccoli che battevano il terreno crebbe rapidamente. La luce delle torce aumentò, le punte delle lance che scintillavano al riverbero delle fiamme. Decine di uomini a cavallo avanzavano, seguendo le loro tracce senza difficoltà, gli occhi bassi sul terreno e le armi in pugno. Kanyu distingueva ormai gli uomini delle prime file. Era questione di secondi. Accadde all'improvviso, quando erano ormai a una decina di metri da loro. Anche in seguito, Kanyu non seppe dire com'era potuto succedere. Come aveva fatto a non vederli. Uscirono dall'erba alta ululando come diavoli, gli occhi sgranati, i volti dipinti. Altri si gettarono dai rami delle piante, dove erano rimasti occultati sino ad allora. Decine, centinaia di guerrieri privi di armatura, armati di lance ed asce. Si avventarono sui cavalieri, trafiggendo gli uomini e trascinandoli a terra, ammazzando i cavalli con asce e mazze. In un istante, la colonna piombò nel caos, mentre gli Apanni li assalivano da ogni parte, trasformando la notte in un concerto di urla di agonia. Varnag lanciò un grido, e così fece anche il figlio di Naua. Senza neanche rendersene conto, Kanyu si gettò nella mischia insieme a loro.
Durò poco più di un minuto. I soldati imperiali vennero massacrati prima che potessero organizzarsi e le loro armi ed armature risultarono inutili contro il selvaggio assalto degli Apanni. Kanyu si ritrovò ad ansimare vicino a Varnag, mentre accanto a lui un guerriero che fino a pochi istanti prima aveva combattuto in preda al furore analizzava in silenzio i corpi a terra per depredarli di quel che c'era di utile. Cupav li raggiunse qualche istante dopo, accompagnato da un robusto veterano: la sua roncola grondava sangue, segno che il figlio del capo aveva ottenuto il suo primo tributo in battaglia. Stese un braccio, indicandoli. «Sono questi.» disse «Questi sono gli uomini che mi hanno liberato». Il vecchio Apanno li studiò per qualche momento, prima di annuire. «Eravamo venuti per voi.» mormorò «Per catturarvi o uccidervi, dopo quello che era successo a Naua». «A mio padre?» il giovane sgranò gli occhi «Ma loro-». «Tuo padre è stato sbranato da una bestia come non si era mai vista prima.» fece il veterano, scuro in viso «Loro due erano presenti quando è morto. Appena avete lasciato le montagne, io e gli altri vi abbiamo seguiti. È stato solo quando abbiamo visto chi era con voi che abbiamo deciso di aiutarvi.» fece un pausa, guardandoli bene in faccia «E ancora non so se abbiamo fatto bene». «Questi soldati mi avrebbero ucciso.» ribatté Cupav «E se mio padre è morto, sono io a prendere le decisioni. E io li voglio liberi». Il vecchio annuì piano, quindi si calcò in testa un elmo sottratto al capo della pattuglia. «Quand'è così, torniamo in fretta verso le montagne. Tra non molto, il resto della guarnigione sarà qui. Dobbiamo prepararci alla guerra». «Non se potrò impedirlo.» insistette Cupav «Se dovrà essere guerra, che guerra sia. Ma Barraco mi ha tenuto prigioniero per anni e poi braccato come un coniglio. Sarà questo che scriverò al loro Imperatore, non appena saremo di nuovo a casa». «Tuo padre temeva che tu fossi passato dalla parte di Barraco» disse Kanyu, guardando il ragazzo. «Lo immagino. Ho dovuto farglielo credere, altrimenti avrei passato i miei giorni in una cella infestata dai topi, anziché in quella stanza. Speravo di fuggire, in qualche modo, ma
fino ad oggi non avevo trovato il modo. Barraco mi teneva guardato a vista. Io non sono mio padre, ma il mio cuore appartiene alle montagne. Come il suo». «Il sangue di un capo scorre in questo giovane.» disse il veterano «Le tribù impareranno a conoscerlo e a rispettarlo». «Venite, adesso.» riprese Cupav «Dobbiamo andarcene in fretta». Kanyu abbassò gli occhi, quindi scosse il capo. «Andate da soli.» fece «Se resto con voi, a Forte Pietroso avrebbero un motivo in più per attaccarvi. Dopotutto ho ucciso il loro comandante». «Accetterò di correre il rischio, se è il caso.» esclamò il giovane «Mi hai salvato da un fato peggiore della morte». «Proprio per questo è meglio che tu sia lontano da me, allora.» commentò il Naigh-Moor «Dove vado io, cammina la morte». «Lo stesso vale per me.» disse Varnag «Meglio separarsi qui». «Come!» fece il veterano «Varnag, tu sei il figlio degli Dèi! Sei un segno della potenza di Pannu! Sei-». «Sono un uomo come te.» lo interruppe quello «Sono venuto al vostro campo per essere accettato tra di voi. Per avere una tribù e una famiglia. Volevo che Naua vivesse, libero dall'influenza nefasta di quella strega, ma ho solo assistito alla sua morte. Aver liberato suo figlio ha riscattato il mio onore, ma... Non era per questo che sono giunto tra voi. E non è giusto che resti». «Varnag, puoi dire ciò che vuoi, ma è Cupav che decide per il nostro popolo! E se Cupav dice-». «Allora non ho più un popolo, vecchio». L'uomo stava per ribattere, quando in lontananza si udì con chiarezza un corno squillare. Il vecchio imprecò, quindi alzò un braccio per fare un segnale ai suoi. «Uomini! Ne arrivano altri! Presto, in marcia! Verso le montagne!» gridò, quindi passò in fretta un braccio attorno alle spalle del giovane capo «Cupav, con me! Il tuo popolo ha bisogno di te, adesso». Il ragazzo restò immobile, incurante dei gesti del veterano. I suoi occhi fissavano i suoi due salvatori con incredulità e rimorso. «Cupav!» urlò ancora il vecchio «Dobbiamo andare!».
Cupav dischiuse appena le labbra. Voleva dire qualcosa, forse un saluto. Ma neanche una parola gli uscì dalla bocca. Si voltò, si piegò sulla vita, e si avviò di corsa verso le montagne. Varnag e Kanyu rimasero fermi dove si trovavano. L'Apanno guardò il Naigh-Moor con aria indecisa, quindi rimise la roncola alla cintura. «Meglio andare, adesso.» mormorò «Se abbiamo fortuna, seguiranno le tracce degli altri». «Meglio, sì.» convenne Kanyu «Andiamo verso il porto. Dovremmo trovare posto su una nave». «Su una nave?» ripeté Varnag «Non sono mai salito su una nave». «E non hai mai lasciato questa terra, immagino». «Mai, già». Kanyu annuì piano, quindi gli batté una pacca su una spalla. «A quanto pare è giunto anche quel tempo, infine» disse. Si allontanarono a passo svelto, due uomini e una figura muta, oscura, che sempre avrebbe camminato al loro fianco.
Gli Apanni sono solo una pagina nell'immenso libro della storia, tuttavia non c'è motivo per stracciarla o bruciarla, per cancellare ogni traccia lasciata da decine e decine di generazioni.