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grano duro-pasta

di Angelo Frascarelli Presidente Ismea

Lo stato di salute della filiera nazionale grano duro-pasta

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Molteplici fattori caratterizzano un contesto complesso

Dopo il consolidamento dei dati sul raccolto nordamericano, l’andamento dell’offerta e dei prezzi internazionali del grano duro per i prossimi mesi è pressoché confermato. Il mercato, infatti, mostra un equilibrio sui valori delle ultime settimane, in attesa di novità sul fronte geopolitico. Nel complesso, sulla carta, il contesto resta deficitario ma, al momento, non si osservano particolari tensioni, stante l’ottimo livello di copertura del fabbisogno dei molini, al netto di ulteriori dati circa le potenzialità dell’offerta mondiale per il prossimo anno sia in volume sia in qualità. Le semine 2022 sono previste mediamente in aumento a scapito delle colture primaverili e, a oggi, non si registrano particolari turbative negli scambi, il che porta le quotazioni a consolidarsi su livelli intorno ai 500 euro/t. Ma quanto incidono i cambiamenti climatici sulla coltivazione del grano duro? Il riscaldamento globale è un fenomeno che viene da lontano e produce effetti di medio periodo, pertanto non ci si può basare su dati congiunturali. Tuttavia, la siccità che ha caratterizzato il 2022 e le alte temperature del mese di ottobre sono segnali inequivocabili, che colpiscono pesantemente anche la coltivazione di grano duro. In Italia, i dati ancora provvisori del l’Istat rilevano una crescita (+0,8% ) delle superfici rispetto al 2021 (1,2 milioni di ettari nel 2022), una riduzione dei raccolti (-7,1%) a 3,8 milioni di tonnellate e delle rese (-7,8%) a 3,1 tonnellate per ettaro. Un effetto immediato del riscaldamento globale sulle produzioni di grano duro sarà la volatilità che, inevitabilmente, inciderà anche sui prezzi. L’effetto di lungo periodo sarà invece la riduzione delle rese, a meno di miglioramenti dal punto di vista genetico e delle tecniche colturali. Entra così in gioco la ricerca scientifica e la sperimentazione. Ma nel nostro Paese la ricerca sementiera, sia pubblica sia privata, ha un ruolo marginale da almeno 15 anni. L’Italia deve riprendere il percorso strategico della ricerca

sementiera nel grano duro con un grande programma pubblico-privato, necessario per il supporto di questa coltura che rappresenta la principale produzione agricola italiana in termini di superficie (1,2 milioni di ettari in media) e la primaria filiera di esportazione sotto il profilo dell’autoapprovvigionamento di pasta (221%). L’Italia è saldamente il primo esportatore al mondo di paste alimentari con una quota sul totale del 25% in volume e del 30% in valore; i dati mostrano che le esportazioni nazionali di pasta sono aumentate, tra il 2010 e il 2021, del 28% in volume, fino a superare le 2 milioni di tonnellate, e del 68% in valore, circa 3 miliardi di euro nel 2021. Nel 2010 la Turchia esportava meno di 300 mila tonnellate di pasta per un valore di 140 milioni di euro, ma nel 2021 le esportazioni sono aumentate a un tasso nell’ordine delle tre cifre (1,4 milioni di tonnellate, per un valore di 657 milioni di euro). Di conseguenza, la quota della Turchia sull’export mondiale di pasta nel 2021 si è attestata al 15% in volume e al 6% in valore. Qui la variabile prezzo è determinante: quello della pasta prodotta in Turchia, e poi esportata, è decisamente più basso di quello italiano (0,48 euro/kg vs. 1,31 euro/kg nel 2021), a dimostrazione di un livello qualitativo non comparabile con il nostro; infatti, per l’Italia gli sbocchi dell’export di pasta della Turchia non sono rilevanti perché in grandissima parte riguardano nazioni economicamente povere (Venezuela, Somalia, Benin, Ghana, Togo, Nigeria ecc.). D’altro canto, la nostra filiera del grano duro, come altre filiere nazionali di alta qualità, ha una sua forte riconoscibilità e punta sul valore, che resta la chiave di volta per il successo dei prodotti italiani all’estero. Nel 2021 in Italia sono stati coltivati 327 mila ettari di cereali biologici di cui 161 mila destinati al grano duro (49,3%), seminato principalmente in Puglia, Sicilia e Basilicata. I volumi di frumento duro certificato sono dunque notevoli e rappresentano un’ottima base di partenza per l’intera filiera pastaia nazionale specializzata nel biologico. Non di meno, importiamo annualmente circa 30 mila tonnellate di pasta biologica, a testimonianza dell’importanza del mercato e degli ulteriori spazi di crescita dell’offerta. L’interesse dei consumatori per questo prodotto ha portato diverse aziende italiane leader nella produzione di pasta a lanciare sul mercato una linea dedicata al bio, spinte non solo dalla remuneratività del prodotto, ma anche dal riscontro in termini di immagine. Occorre poi ricordare che nel nostro Paese operano diverse imprese d’eccellenza di piccole dimensioni specializzate esclusivamente nella produzione di pasta bio, che per prime hanno trainato l’intero settore del biologico creando filiere integrate che rappresentano esempi virtuosi da emulare anche in altri comparti produttivi. Sul futuro della pasta biologica è difficile fare previsioni. Il contesto attuale è complesso e, per molti versi, eccezionale. La pasta biologica italiana rappresenta un’eccellenza del Made in Italy che ha saputo affermarsi sui mercati internazionali, soprattutto nei Paesi dove la domanda di biologico è particolarmente alta, come negli Stati Uniti, in Giappone, in Germania e in Francia. Il 50% della pasta biologica prodotta in Italia viene esportata, per un volume pari a circa 140 mila tonnellate. In tutto il mondo l’inflazione corre e potrebbe rendere il prodotto bio più elitario anche in queste aree, ma va anche detto che nuove prospettive si stanno aprendo nelle economie emergenti, ormai più attente ai temi della sostenibilità. A livello nazionale il quadro è meno promettente. Le vendite di pasta biologica nel principale canale distributivo, ovvero quello della Gdo, sono in flessione da oltre due anni e non riescono a recuperare i valori pre-Covid. Nel 2022 il calo è, al momento, vicino al 3%, mentre la pasta “convenzionale” fa segnare un +9,8% in termini di valore, spinto dall’aumento dei prezzi al consumo del 12% che, invece, non ha riguardato con la stessa intensità il biologico.

Angelo Frascarelli

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