Trend di sostenibilità del packaging della pasta
La realizzazione di imballaggi per il settore alimentare non può prescindere dalla logica dello sviluppo sostenibile
Con l’adozione nel 2018 della strategia europea per la plastica in una economia circolare, la Commissione pone le basi per una nuova economia, dove la progettazione e la produzione della plastica e dei suoi derivati avvengano in modo sostenibile, rispondendo alle esigenze di riduzione, recupero, riutilizzo e riciclaggio, concetti alla base della gerarchia dei rifiuti, dell’economia circolare e cuore pulsante del Green Deal europeo, che contribuirà a raggiungere i Sustainable Development Goals 2030.
Le confezioni dei prodotti alimentari, pasta compresa, rivestono un ruolo fondamentale per gli alimenti, in quanto proteggono il prodotto, ne garantiscono la sua conservazione nel tempo, ne rendono possibile il consumo differito rispetto all’ambiente di produzione e possiedono una fondamentale funzione comunicativa. Il packaging è oggi chiamato a rispondere a nuove esigenze connesse alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Per le im-
prese alimentari, utilizzare un packaging sostenibile significa riprogettare tutta la filiera di approvvigionamento in modo da ridurne l’impatto ambientale. L’innovazione cardine di questo contesto risulta essere l’utilizzo di materiali biodegradabili, riciclabili e provenienti da fonti rinnovabili, in primis carta e cartone. È proprio di pochi giorni fa la notizia della vincita dell’Oscar per l’imballaggio 2023 della “blue box”, ovvero il nuovo packaging dei formati classici della pasta Barilla. Niente più finestra in plastica trasparente, confezioni 100% riciclabili e prodotte con cartone proveniente da foreste gestite responsabilmente a testimoniare l'impegno di Barilla in tema di sostenibilità e nello sviluppo di soluzioni volte a ridurre il suo impatto sul pianeta. Sono numerose comunque le “case histories” di successo sul mercato e i percorsi di reingegnerizzazione del packaging intrapresi negli ultimi anni dalle imprese alimentari italiane, produttori di pasta compresi. In linea generale, il motto imperativo a cui ispirarsi è
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di Mia Marchini Coordinatore tecnico scientifico di Pasta&Pastai
quello del “Reduce, Reuse, Recycle”: ridurre gli scarti, usare materiali riciclati o progettare l’imballo in modo da poterlo riciclare. Ripercorriamone alcune insieme. Facendo un percorso a ritroso a partire dal 2021, La Molisana ha adottato una tipologia di materiale per il pack che fosse smaltibile nella carta e provenisse da cartiere aderenti al programma di Forest Stewardship Council (FSC). Per proteggere la busta e il prodotto è stato inserito nello strato interno un film plastico dallo spessore sottilissimo che rispetta i parametri per lo smaltimento nella carta e che, in fase di riciclo, viene di nuovo disaccoppiato meccanicamente. Anche il pastificio Rummo di Benevento dal 2021 ha sostituito i vecchi sacchetti con confezioni che possono essere smaltiti insieme alla carta. Felicia, brand di Andriani Società Benefit, ha presentato al mercato per la prima volta nel 2021 la sua nuova immagine chiara, semplice e fortemente identificativa con un innovativo packaging totalmente riciclabile, ideato da 6.14 Creative Licensing, che presidia gli scaffali dei grandi rivenditori. Il Pastificio Felicetti all’inizio del 2022 ha introdotto un nuovo packaging sostenibile, realizzato in carta 100% cellulosa naturale pura certificata PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes) e proveniente da foreste gestite in modo responsabile, sviluppata per garantire elevate prestazioni in termini di resistenza al peso del prodotto e all’azione delle linee di confezionamento, con termosaldatura a base acqua. Felicetti ha inoltre commissionato una ricerca all’Università di Trento per approfondire in che misura l'imballaggio di carta fosse più sostenibile rispetto alla plastica. I ricercatori, dopo un’analisi LCA delle due soluzioni, certificano che la confezione in carta riduce significativamente l’impatto ambientale per le due categorie fondamentali di indicatori: -30% riscaldamento globale, -57% consumo di fonti non rinnovabili. Pasta Armando, il marchio premium del pastificio De Matteis, coerente con il rispetto per l’ambiente e con la tutela dei valori di sobrietà, essenzialità e rifiuto dello spreco che la connota, dal 2022 ha rivoluzionato il packaging con un materiale certificato FSC totalmente riciclabile nella carta. Nel segno della sostenibilità anche la nuova confezione di Sgambaro, realizzata in carta 100% fibra cellulosica vergine, certificata FSC. Il packaging ha vinto l’ADI Packaging Design Award 2022, assegnato dall’Associa-
zione per il Design Industriale “per l’innovazione, la chiarezza delle informazioni e per l’uso di materiali eco-sostenibili completamente riciclabili”. Un packaging interamente compostabile frutto di un lavoro di squadra durato quasi tre anni è quello realizzato da Novamont, Gualapack, Ilip e Gruppo Poligrafico Tiberino Novara per il Pastificio Fontaneto. Un’innovazione volta a eliminare i vassoi in plastica sostituendoli con un contenitore riciclabile insieme con la raccolta dei rifiuti umidi. Il progetto ha previsto la sostituzione del tradizionale imballaggio multistrato in plastica con un pack compostabile multicomponente interamente certificato Ok Compost (Tuv Austria), costituito da un vassoio in bioplastica Novamont 100% biodegradabile e compostabile prodotto da Ilip con un film multistrato contenente Mater-Bi prodotto da Gualapack e un’etichetta compostabile realizzata dal Gruppo Poligrafico Tiberino. Entroterra, azienda marchigianamarchio La Pasta di Camerino, nel 2021 ha lanciato una nuova linea di pasta fresca ripiena e lunga confezionati da un pack riciclabile al 100% e sostenibile: il vassoio è completamente realizzato in carta. Liguori, la pasta biodinamica IGP Gragnano, utilizza un packaging certificato Aticelca 501 riciclabile al 100% in carta. In queste ultime settimane infine il Pastificio Garofalo presenta il nuovo packaging composto per il 30% da plastica riciclata, ottenuta dal riciclaggio chimico di rifiuti di imballaggio in plastica. L’azienda è la prima nel settore della pasta a utilizzare plastica riciclata ottenuta dal riciclo chimico, processo che permette di ottenere olio di pirolisi dalla decomposizione dei polimeri che compongono i tradizionali rifiuti di imballaggio in plastica, trasformandoli nella materia prima che può essere utilizzata per produrre nuova plastica, equivalente a un materiale vergine. Un processo diverso da quello meccanico utilizzato finora, che apre possibilità di riciclaggio senza precedenti per le frazioni di rifiuti che sono attualmente difficili da riciclare come la plastica da raccolta domestica. Per favorire la transizione ecologica, contrastare gli eventi legati all’inquinamento e allo smaltimento dei rifiuti, anche i produttori di pasta stanno convergendo dunque verso soluzioni di confezionamento sempre più innovative ed ecosostenibili.
Mia Marchini
Editoriale
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Nuovo formato di pasta per Voiello
Voiello ha presentato un nuovo formato di pasta. Si tratta della gran penna ruvida, realizzata con grano aureo 100% italiano e prodotta in esclusiva per Voiello da agricoltori del Sud Italia. Grazie alla particolare superficie porosa e alle dimensioni maggiori rispetto a quelle di una classica penna, la gran penna ruvida sorprende e stuzzica il palato, per un’esperienza di gusto verace e seducente. Già apprezzata in edizione limitata e distribuita in occasione della celebrazione della sponsorship per Procida Capitale Italiana della Cultura 2022, la pasta era anche stata inserita all’interno della giftbox natalizia La Scaramantica. Da maggio 2023, la gran penna ruvida sarà disponibile in tutta Italia.
Pasta Garofalo e Al.ta Cucina hanno celebrato il “CarbonaraDay”
In occasione del Carbonara Day, la giornata mondiale dedicata alla Carbonara, Pasta Garofalo, in collaborazione con Al.ta Cucina, ha lanciato un’appassionante sfida su uno degli argomenti più trend del momento: l’AI, il sofisticato programma di intelligenza artificiale che genera immagini realistiche e rende difficilmente riconoscibile una foto vera da una fake. Avvincente e sofisticato, il progetto dedicato al #CarbonaraDay ha previsto un’invitante iniziativa sui canali social di Pasta Garofalo e Al.ta Cucina. Si è trattato di un insolito sondaggio che, senza svelare la genesi delle immagini, ha messo a confronto due foto di piatti di Carbonara, una vera realizzata con Pasta Garofalo e una generata dall’AI, chiedendo alla community quale fosse la preferita svelando nell’ultima story se si trattava di una foto fake o meno.
La pasta fresca italiana dei fratelli Artusi invade la Francia
I fratelli Enrico e Alberto Artusi, titolari del pastificio omonimo si preparano a conquistare il mercato transalpino. Una catena della grande distribuzione ha scelto i loro prodotti, apprezzandoli. La nuova invasione della Francia è questione di giorni: le armi sono tortellini e tagliatelle provenienti da Padova. Il Pastificio Artusi ha appena chiuso un accordo con Grand Fráis, catena di distribuzione di soli prodotti alimentari freschi, con trecento punti vendita. Il viaggio incomincia da Casalserugo a sud della provincia, i confini disegnati dal Bacchiglione, e passa per il grande negozio sotto il Salone di Padova, nel cuore del mercato. Il Pastificio Artusi, nato nel 1998, a Casalserugo ha 30 dipendenti e produce 4 tonnellate di paste fresche e farcite al giorno.
Il primo pacco di pasta in esposizione a Bottega Barilla
Una esposizione a Parma - dal 1° aprile al 21 maggio, con ingresso gratuito - per scoprire il legame tra Barilla e l’arte, con pezzi unici e d’epoca della comunicazione e del marketing firmati da un gigante della pubblicità. Dove linee, colori e simboli interpretano e danno forma ai valori del Gruppo: l’importanza del made in Italy, la qualità della materia prima e dei prodotti, il gusto, il contenuto nutrizionale, la salubrità, la freschezza.
A ospitare la vetrina con gli oggetti simbolo del rapporto tra Barilla e l’arte, un luogo storico: Bottega Barilla, dove nel 1877 è iniziata una delle più emozionanti storie imprenditoriali del Paese. Questo luogo simbolo del “saper fare”, dove il fondatore Pietro Barilla senior accoglieva i primi clienti, da un anno è aperto a tutti e offre cimeli del passato, immagini storiche, e un percorso esperienziale sulla nuova pasta Barilla Al Bronzo.
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Felicetti consegna il premio “Identità di pasta” a chef Lazzarini
Il pastificio Felicetti ha consegnato per il secondo anno il premio “Identità di pasta”, riservato a un giovane chef under 40, in occasione dell’ultima edizione di Identità Golose. Prosegue dunque la collaborazione tra il pastificio Felicetti e Identità Golose per promuovere l’alta ristorazione e le cucine di sperimentazione. Quest’anno ad aggiudicarsi il premio è stato Michele Lazzarini (a destra in foto), chef classe 1991, con il suo “Spaghetto freddo, grasso di trota e rabarbaro”. Il premio è stato consegnato al Teatro Manzoni di Milano da Riccardo Felicetti (al centro), amministratore delegato di Pastificio Felicetti.
Ilaria Lodigiani nuovo direttore marketing Barilla
Ilaria Lodigiani (in foto), già vicepresidente marketing globale per Barilla, è la nuova Chief Marketing Officer dell’azienda parmense. Nel suo nuovo ruolo, Lodigiani guiderà la strategia di marketing, lo sviluppo del business, la gestione del marchio e le iniziative di miglioramento del prodotto. Laureata all’Università di Pavia, Ilaria Lodigiani ha oltre vent’anni di esperienza nel mondo del food & beverage. In precedenza, è stata global low e no alcohol senior director e responsabile del’innovazione del marketing globale presso The Heineken Co. Successivamente ha lavorato in Microsoft, Vodafone IT e Ferrero. Nel 2021 era entrata in Barilla come vice president Global marketing del brand.
Fini premiato per miglior spot tv pasta e riso 2022
Il Gruppo Fini è stato premiato per lo spot “Fini. La vera pasta emiliana”, in occasione di Cibus Connecting Italy 2023 ai Grocery & Consumi Awards. Lo spot, ideato dal team creativo di Leo Burnett Italia e pianificato dal centro media Zenith, ha ricevuto il premio come miglior spot Tv Pasta e Riso 2022. “È un onore ricevere questo riconoscimento, a conferma della passione che anima il Gruppo Fini verso la diffusione delle eccellenze tipiche del territorio emiliano. Qualità e italianità sono due valori che continuano a guidarci dopo 110 anni di storia. L’obiettivo è quello di far apprezzare e divulgare la nuova gamma ai consumatori. In particolare, la pasta ripiena è un piatto semplice e pratico da preparare, emblema della cultura gastronomica italiana”, ha commentato Luigi Famulari, Chief Marketing Officer del Gruppo Fini.
Pasta di grano duro siciliano: costituito comitato per marchio Dop
La Regione Sicilia vuole che venga riconosciuto il marchio Dop per la pasta di grano duro siciliano. È stato già avviato l’iter per la costituzione del comitato promotore, che sarà coordinato dal Consorzio di ricerca “Gian Pietro Ballatore”. “Il grano duro sicilianodice l’assessore regionale all’agricoltura, Luca Sammartino - ha tutte le caratteristiche per incontrare il favore di consumatori sempre più attenti ai temi della qualità del prodotto e della sicurezza alimentare. Il marchio Dop sarà un riconoscimento innanzitutto al loro lavoro e al valore del ‘granaio’ siciliano, che combina le specificità del territorio e dell’ambiente in un prodotto alla base della dieta mediterranea”.
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Riso Scotti presenta il nuovo brand
“Pasta Venere” da filiera 100% italiana
Pasta&Pastai ha intervistato il dottor Umberto Rovati e la dottoressa Marcella Cattaneo, rispettivamente responsabile marketing riso e primi piatti e responsabile R&D di Riso Scotti relativamente a Pasta Venere, un’innovazione originale nel mercato della pasta. Segmentata nei quattro formati più amati e diffusi - spaghetti, penne, fusilli e rigatoni - e prodotta con il 25% di farina di riso nero integrale Venere e il 75% di semola integrale 100% italiane, Pasta Venere si caratterizza per il connubio tra un gusto esclusivo e non replicabile e una forte connotazione health&wellness, essendo un prodotto integrale, fonte di fibre.
Avete da poco fatto il vostro ingresso nel mercato della pasta lanciando “Pasta Venere” e posizionandovi nel segmento della pasta integrale. Perché avete deciso di puntare a questa fetta di mercato?
Per prima cosa abbiamo condotto un’analisi approfondita del mercato della pasta, un mercato in costante crescita e sorprendentemente dinamico, per cui abbiamo ritenuto fondamentale entrarvi
con una proposta innovativa e unica nel suo genere, in grado di differenziarsi sullo scaffale per brand e “colore”. I consumatori ci hanno aiutato a comprendere l’esperienza sensoriale legata al consumo di pasta, ma anche il fatto che la pasta sia sempre più intesa come un alimento salutare, per il consumatore e per l’ambiente. Gusto e salute sono quindi divenuti gli elementi su cui costruire questo brand. È infatti importante ricordare
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della Redazione
La Redazione a cura
che Pasta Venere non nasce come un prodotto di Riso Scotti, ma come brand vero e proprio, la cui caratteristica principale è quella di evocare l’esperienza del gusto con una base solida di salute e benessere.
Pasta Venere è composta per il 25% da farina di riso Venere e per il 75% da semola integrale. Quali sapori e profumi conferisce questa formulazione alla pasta?
Pasta Venere è un nuovo gusto della pasta integrale con il beneficio nutrizionale di riso Venere. In Italia non esiste una cultura della pasta colorata; Pasta Venere tuttavia riesce a differenziarsi a scaffale per colore e brand. Si tratta di una pasta 100% italiana che si può sposare con ogni tipo di condimento, una pasta “quotidiana” con valori importanti: gusto e benessere. L’origine della semola e della farina di riso Venere è interamente nazionale e la filiera è integralmente certificata. La formulazione
prevede l’uso del 25% di farina di riso integrale, che grazie a un processo tecnologico attento e scrupolosamente bilanciato, non indebolisce le proprietà tecnologiche del prodotto finito conferite dalla semola. L’aroma e il gusto richiamano quello tipico di riso Venere, ma attenzione: non vuole essere una pasta di nicchia, bensì portare con sé nuovi valori per una pasta quotidiana.
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L’intervista
Fase di formatura e fase di essiccazione della pasta: come avvengono questi due processi? Il progetto Pasta Venere è stato concepito a metà 2021. Il processo di ottimizzazione è stato complesso, abbiamo svolto diverse prove per trovare la giusta formulazione di semola integrale e riso Venere che garantisse una pasta con proprietà tecnologiche d’eccellenza e proprietà sensoriali nuove. Per favorire ciò, abbiamo applicato una trafilatura più grezza. Sono stati quindi ottimizzati tre formati corti e uno lungo, cercando di seguire i trend classici della pasta per unire l’Italia da Nord a Sud e creare una pasta nazional popolare.
A proposito di caratteristiche tecniche: come appare la pasta dopo la cottura? Capacità di trattenere l’amido, consistenza, ammassamento: quali sono le principali peculiarità che emergono all’assaggio?
Prima di tutto, va precisato che non si tratta di una pasta senza glutine. L’addizione di farina di riso alla semola non va a inficiarne le proprietà tecnologiche: abbiamo dunque adottato per la farina di riso un processo interno in grado di produrre un impasto meno viscoso rispetto a quanto prodotto dalla farina di riso classica, più granuloso e ruvido, in grado dunque con la semola di produrre un prodotto finito che lega bene il condimento. Dal punto di vista nutrizionale, la pasta apporta fibre e antiossidantiantociani - tipici del riso venere; e ancora minerali,
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L’intervista
La farina di riso Venere e la semola sono 100% italiane
Umberto Rovati - responsabile marketing riso e primi piatti
Marcella Cattaneo - responsabile R&D di Riso Scotti
quali fosforo e magnesio. L’elemento interessante è che, come detto, questo tipo di pasta può combinarsi a qualsiasi condimento: dal classico “pomodoro e basilico”, a ricette prettamente regionali. È la pasta dunque che conferisce un valore aggiunto al condimento, e non viceversa.
Vi siete rapportati con qualche chef nell’ideare e realizzare questo prodotto?
Il primo passaggio è stato quello, naturalmente, di coinvolgere i consumatori e comprendere
quali fossero i loro desiderata. Attualmente ci stiamo rapportando con alcuni Chef e un ristorante di Pavia per la promozione B2B del prodotto. Gli Chef ci stanno contattando interessati per capire come impiegare al meglio questo nuovo prodotto. Di conseguenza, si è creato uno scambio di idee assai proficuo. L’obiettivo è comunque quello di rafforzare la presenza nel mondo della ristorazione, certamente attenta al benessere e alla sostenibilità.
Quale sarà il prossimo step dopo Pasta Venere? Avete in programma altri investimenti nel settore della pasta?
Attualmente abbiamo dato avviso a una importante attività di promozione e comunicazione. La fiera internazionale TuttoFood 2023 inoltre, favorirà l’ingresso del prodotto nel mercato estero. Il futuro di Pasta Venere però, è ancora tutto da scrivere.
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L’intervista
La Redazione
Pasta Venere ambisce a unire gusto e benessere
La lunga storia del grano e della pasta
Il mito di Demetra ci porta dritto alle origini del mondo e dell’agricoltura. Demetra - la dea madre dei Greci - dea della fertilità del suolo, sposa a Zeus, gli aveva dato la bellissima Persefone. A sua insaputa, il padre l’aveva promessa in sposa, ancora bambina, ad Ade, dio degli inferi e dell’oltretomba.
Divenuta giovinetta, mentre Persefone stava cogliendo fiori in un prato assieme alle figlie di Oceano, la terra si aprì e ne emerse Ade sul suo carro trainato da destrieri blu, che in un attimo la afferrò, trascinandola con sé nel regno delle ombre. Alla notizia della sua scomparsa, Demetra, impazzita dal dolore, cominciò a cercarla per tutta la terra, vagando con due torce accese in mano e rifiutando di mangiare e di lavarsi, al pari di Persefone confinata agli inferi lontano dalla madre.
Ben presto le piante inaridirono, gli animali persero vigore e gli uomini morirono progressivamente. Dopo un lungo vagare Demetra incontrò Ecate, dea della terra, che le rivelò il rapimento cui aveva assistito e la portò da Elio, dio del sole, dal quale apprese che la figlia era ora la sovrana del più grande regno che esistesse. Ma Demetra non si diede pace e solo dopo l’intervento di Zeus, che concesse a Persefone di fare ritorno sulla terra per sei mesi l’anno, la natura ricominciò a germogliare, dando così vita all’alternanza delle stagioni. I romani identificarono Demetra con Cerere, dea delle messi, ma sin dai tempi più antichi fu equiparata alla dea frigia Cibele e alla dea egiziana Iside. Infatti la coltivazione del grano in tutta l’area medio-orientale era protetta da una specifica divinità.
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di Giancarlo Gonizzi - Coordinatore dei Musei del Cibo di Parma
Nel grande arazzo di manifattura fiamminga del XVIII secolo riprodotto all’inizio del percorso del Museo della Pasta, alla Corte di Giarola, presso Collecchio (Pr) ( Foto 1 ) si vede il giovane Trittolemo, aiutante della dea, che, sceso dal suo carro, offre alla statua di Demetra, posta su un colle e circondata da alberi, la primizia del raccolto, un covone appena mietuto dai contadini, che stanno lavorando nella campagna, ricca di messi a perdita d’occhio. In quel momento la dea in persona appare su una nube al giovane: reca una corona di spighe sul capo e lo invita a diffondere la coltivazione del grano nel mondo. Questa, secondo il mito, l’origine dei cereali. Ma com’è andata realmente?
Perché i cereali?
Secondo la teoria tradizionale, l’agricoltura avrebbe avuto origine in Medio Oriente, in quell’area fra la Siria e l’Iraq denominata Mezzaluna fertile,
per poi diffondersi in tutto il mondo. Oggi sappiamo invece che questo capitolo della storia dell’umanità si è svolto contemporaneamente in molti luoghi diversi e con differenti varietà. I primi agricoltori concentrarono l’attenzione su un numero ristretto di piante: le selezionavano nell’ambiente naturale per poi piantarle e curarle. In Medio Oriente scelsero le prime varietà di frumento, farro e orzo; in Cina il riso selvatico coltivato a secco; in Africa il sorgo, in Papua e Nuova Guinea un tubero amidaceo, il taro; in America il mais. La cosa sorprendente è che queste piante, allo stato naturale sono spesso immangiabili, o perlomeno non particolarmente gustose. Perché allora gli uomini avrebbero deciso di coltivare del cibo che è possibile consumare solo dopo che è stato messo a bagno nell’acqua, bollito o macinato?
Diffondendosi per tutto il globo, la specie umana dovette competere con gli altri animali per procurarsi il cibo. Quando
era disponibile il cibo
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FOTO 2
FOTO 1
1 - MANIFATTURA FIAMMINGA, Cerere dea delle messi appare a Trittolemo durante la mietitura, Arazzo del XVIII secolo (Parma, Collezioni d’Arte Cariparma - Crédit Agricole)
2 - Scavi archeologici del villaggio neolitico di Jarmo nel Kurdistan iracheno con le più antiche testimonianze di coltivazione di frumento
“facile” e immediato, era indispensabile, per sopravvivere, procurarsi del cibo “difficile”. L’uomo cominciò quindi a raccogliere i piccoli semi duri che chiamiamo cereali, e che, se mangiati crudi, sono indigesti, e imparò a spappolarli, a impastarli con altri ingredienti o a trasformarli in pane attraverso il doppio processo della lievitazione e della cottura. Nessun altro animale avrebbe potuto concepire tutti questi passi in sequenza.
Così l’uomo, grazie al suo cervello, guadagnò un vantaggio competitivo su tutte le altre specie. Ancor oggi i cereali garantiscono la sopravvivenza del genere umano.
La nascita dell’agricoltura
Diversi popoli di differenti regioni conoscevano i cereali e li raccoglievano allo stato selvatico in epoche molto anteriori all’affermarsi dell’agricoltura e delle grandi civiltà. Recenti ricerche archeologiche in Italia (Toscana e Puglia) e in Europa (Russia, Polonia) hanno dimostrato che già nell’era paleolitica, 30.000 anni fa e 20.000 anni prima dello sviluppo dell’agricoltura, gli uomini avevano imparato a macinare tuberi (typha) e cereali selvatici (farro) esistenti in natura per mezzo di semplici macinelli in pietra per ricavarne farina e preparare minestre o focacce cotte su pietre roventi.
Alla fine dell’era glaciale, intorno al 9.000 a.C., in Medio Oriente il clima più caldo portò alla formazione diffusa di ricchi pascoli. Fino ad allora la po-
polazione aveva continuato a spostarsi, cacciando gazzelle e raccogliendo i semi della lenticchia, del cece e delle erbe selvatiche. Ma nella nuova savana, più rigogliosa, le gazzelle - numerosissimetendevano a restare tutto l’anno nello stesso posto, dove anche gli uomini finivano per insediarsi. Da lì alla raccolta e poi alla semina dei cereali, il passo fu tanto breve quanto importante. Di solito i semi delle erbe selvatiche cadono dalla pianta e finiscono mangiati dagli uccelli o sparsi dal vento, ma qui, per la prima volta, qualcuno decise di selezionarli già sul gambo: una decisione fondamentale se si vuole coltivare una pianta. I semi venivano quindi divisi, sgranati, mondati e macinati, diventando farina. In un momento successivo quelli accantonati venivano seminati. È l’inizio dell’agricoltura. Un po’ alla volta i primi agricoltori diedero vita a due delle principali colture del mondo: orzo e frumento.
Gli scavi archeologici a Qal’at Jarmo, nell’Iraq settentrionale, ai piedi dei monti Zagros (Foto 2), hanno portato alla luce falci di pietra e altri attrezzi agricoli e individuato un granaio neolitico con semi di Triticum dicoccum, grano selvatico coltivato, risalente al 7.090 a.C. Poiché coltivando cereali il terreno si impoveriva rapidamente, le comunità agricole si spostavano progressivamente verso terreni vergini. Così, dai numerosi villaggi agricoli sorti all’estremità orientale della Mezzaluna fertile, nelle regioni bagnate dal Tigri e dai suoi affluenti, l’arte della coltivazione del grano passò in Egitto. Qui, nelle terre rese fertili dalle
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La trasformazione dei cereali nasce da esigenze di sopravvivenza
FOTO 3 - Mietitori in un affresco funerario dell’antico Egitto
FOTO 4 - Dracma d’argento di Metaponto (MT) coniata intorno al 450 a.C.
FOTO 5 - Falcetto in bronzo proveniente dalla Terramara del Cornocchio, Età del Bronzo (Parma, Museo Archeologico Nazionale)
periodiche inondazioni del Nilo, dove già era conosciuto l’orzo, si affermò la coltura del grano (Foto 3) e, secondo la tradizione, venne perfezionata la panificazione intorno al primo millennio a.C. La coltivazione del grano si diffuse poi alla Grecia (Foto 4) e all’Italia, dove era già presente nel secondo millennio a.C. e attestata in area parmense presso la civiltà delle Terramare (Foto 5).
Simbolo del tempo e dell’abbondanza
Il grano è il frutto della terra per eccellenza. La mitologia lo ricorda come dono di Cerere agli uomini dopo il ritrovamento della figlia Proserpina. La dea delle messi e dell’abbondanza è raffigurata con un mazzo di spighe tra le braccia. Grazie al mito, il grano diviene simbolo del fluire del tempo, della rinascita e del ritorno dell’estate, ma anche dell’abbondanza.
Numerosi riferimenti si trovano anche nella Bibbia, dall’offerta di spighe fatta da Caino, al sogno del Faraone con “le spighe rigogliose e quelle secche” interpretato da Giuseppe. Nel Vangelo, Gesù, “pane disceso dal cielo”, narra la parabola del seminatore e della zizzania. L’immagine del grano, e quindi del pane, è strettamente legata all’Eucaristia: nel corso dell’ultima cena Gesù benedice il pane e il vino, ovvero il suo corpo e il suo sangue, offerti per la salvezza degli uomini. Nelle scene della Natività il giaciglio di Gesù è fatto di spighe di grano e il nome di Betlemme “Betlehem” significa “casa del pane”. In molte rappresentazioni della Vergine col Bambino questo stringe tra le mani alcune spighe (Foto 6), o del pane, a volte un grappolo d’uva. La stessa simbologia traspare in numerose nature morte con pani e calici
di vino. Le allegorie dell’Estate e dei mesi di giugno (Foto 7) e luglio - ampiamente diffuse nelle cattedrali romaniche medio padane - hanno come attributo spighe o covoni di grano. E la figura del mietitore riporta alla memoria quella della morte e della ciclicità della natura. Nel Novecento spighe di grano e fiordalisi sono scelti come elementi decorativi ricorrenti dello stile Liberty. La spiga diviene ovunque simbolo di abbondanza, compare nel logo della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, con sede a Roma, nelle fontane e negli arredi, nelle monete e nei francobolli.
Le varietà e gli impieghi del frumento
Nel corso dei secoli, in seguito alla domesticazione delle specie selvatiche e alle prime rudimentali pratiche di selezione, si sono evolute diverse specie di frumento, tra le quali il frumento tenero (Triticum aestivum L.) e il frumento duro (Triticum turgidum var. durum Desf.). Il primo si è diffuso principal-
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La spiga è ovunque simbolo di abbondanza
FOTO 6 - SANDRO BOTTICELLI (1445-1510), Madonna con Bambino e Angelo, 1470 ca. (Boston, Isabella Steward Gardner Museum). L’angelo porge alla Vergine un cesto con spighe di grano e grappoli d’uva, rimando immediato al pane e al vino dell’Eucarestia
mente in aree temperate, fertili e con buona piovosità. Il grano duro invece, grazie a una maggiore tolleranza alla carenza idrica e un ciclo vitale più breve, si è adattato a climi caldi quali quelli del Mediterraneo (Foto 8). Nel mondo sono coltivati a frumento circa 230 milioni di ettari dei quali il 90% a grano tenero e il 10% a grano duro, con superfici in espansione. La coltivazione, pur estendendosi a tutti i continenti del globo, è concentrata in particolari aree di Asia (India, Kazakhstan, Siria,
Turchia, Ucraina), Africa (Algeria, Etiopia, Marocco, Tunisia), Nord America (Canada, Messico, USA) ed Europa (Francia, Grecia, Italia, Spagna). In Italia il frumento è coltivato in tutte le regioni, tranne Valle d’Aosta, Trentino e Liguria. La maggiore produzione di grano tenero si realizza in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte. La
maggior produzione di grano duro si ottiene in Puglia e Sicilia. Il frumento viene impiegato prevalentemente per l’alimentazione umana. Il grano tenero è particolarmente idoneo alla produzione del pane e dei prodotti lievitati, mentre il grano duro presenta caratteristiche ottimali per la produzione della pasta. Nella cultura contadina il grano svolgeva anche importanti funzioni non alimentari (Foto 9). Con la paglia, oltre alle lettiere per gli animali d’allevamento e all’alimentazione dei bovini, erano realizzate le coperture dei tetti, le imbottiture dei materassi e le sedute delle sedie. Con gli steli del grano i bimbi preparavano giochi, pupazzi e bambole, cannucce per le bolle di sapone. Le donne incrociavano gli steli in lunghe trecce con cui confezionare stuoie, cappelli, sporte, piccoli cesti per la casa e guarnizioni per l’abbigliamento. Seguiremo nei prossimi mesi la storia del grano e della pasta lungo le tappe di un cammino articolato e complesso che ci accompagnerà alla scoperta del Museo della Pa-
e
Giancarlo Gonizzi
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sta
dei suoi segreti.
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Nella cultura contadina il grano ha pure funzione non alimentare
FOTO 7 - BENEDETTO ANTELAMI (1150-1230 ca.), Mese di Giugno, pietra calcarea, XIII secolo (Parma, Battistero)
FOTO 8 - Il grano e la mietitura in una tavola del Theatrum Sanitatis di Ububchasym de Baldach, fine del XIV secolo (Roma, Biblioteca Casanatense, cod. 4182)
FOTO 9 - Il ciclo del grano e tutti i suoi impieghi in una litografia francese del XIX secolo (Parma, Archivio Storico Barilla)
Gli amidi ad alto contenuto di amilosio hanno proprietà funzionali uniche e un migliore valore nutrizionale nelle applicazioni alimentari
Sebbene negli ultimi anni molte innovazioni siano nate da cereali integrali o legumi, anche alcune varietà di frumento offrono oggi benefici specifici. Ancora, sebbene gli amidi ad alto contenuto di amilosio (HA - High Amylose) non costituiscano un’innovazione recente, la loro popolarità è aumentata negli ultimi anni grazie alle loro proprietà funzionali uniche e al miglioramento del profilo nutrizionale nelle applicazioni alimentari. Mentre varietà ad alto contenuto di amilosio di mais, orzo e patata sono già disponibili in commercio, recentemente sono state sviluppate e saranno presto disponibili in commercio anche le varietà ad alto contenuto di amilosio di altre colture importanti, come il grano. La commercializzazione della semola di grano ad alto contenuto di amilosio aprirà sicuramente una
nuova serie di formule alimentari contenenti più amido resistente (RS - Resistant Starch) e fibre. Ciò avverrà perché le caratteristiche strutturali del grano ad alto contenuto di amilosio fanno sì che esso non venga completamente scomposto nell’intestino tenue, mentre gli amidi normali vengono digeriti più rapidamente. Il grano ad alto contenuto di amilosio provoca quindi una risposta glicemica inferiore rispetto agli amidi normali. L’amido resistente è dunque considerato una fibra alimentare. La maggior parte dei regimi alimentari presenta ancora basse quantità di fibra alimentare e si fatica ad assumere l’apporto giornaliero di fibre raccomandato. Ciò è dovuto principalmente al consumo eccessivo di alimenti trasformati, nonché alla mancanza di una fonte adeguata di ingredienti ad alto contenuto di fibre.
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Salute
di Michael Gusko Innovation Director (Goodmills Group)
Silvia Folloni e Roberto Ranieri Open Fields
Indicazioni sulla salute
L'Unione europea ha autorizzato il seguente claim per l’amido resistente: “La sostituzione di amidi digeribili con amido resistente contribuisce alla riduzione dell’indice glicemico post-prandiale”. Tale indicazione è stata autorizzata dal Regolamento (Ue) 432/2012 (2012) in seguito al parere positivo espresso da EFSA nel 2011. Essa può essere utilizzata solo per gli alimenti in cui l’amido digeribile è stato sostituito da amido resistente in modo che il contenuto finale di quest’ultimo sia almeno pari al 14% dell’amido totale. Raggiungere il 14% di RS rispetto all’amido totale è possibile; la pasta prodotta con il 100% di grano duro ad alto contenuto di amilosio raggiunge questi valori.
Ulteriori benefici per la salute
Gli amidi che non vengono digeriti nell’intestino tenue (RS) passano al colon dove si comportano come fibre alimentari. Un consumo elevato di fibre
è associato a un minor rischio di sviluppare numerose malattie metaboliche, come le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2, nonché il tumore al colon-retto e al seno. Nel colon, l’amido resistente è sottoposto a fermentazione per opera dei microrganismi presenti e i prodotti finali della fermenta-
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Salute
zione, come gli acidi grassi a catena corta, sono noti per i loro numerosi benefici per la salute, tra cui la riduzione del rischio di tumore al colon-retto e il potenziamento della funzione immunitaria. Ancora, nel colon, la fermentazione dell’amido resistente produce acidi grassi a catena corta (short-chain fatty acids, SCFAs) come butirrato, acetato e propionato. Questi composti svolgono due funzioni importanti: riducono il pH del colon, rendendolo tutt’altro che favorevole alla proliferazione di batteri “indesiderati” e forniscono energia alle cellule che rivestono il colon, proteggendo lo strato mucoso che ricopre il rivestimento cellulare. Così, migliorano la salute delle cellule del colon e inibiscono la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali.
Mangiare più fibre
Sebbene i benefici delle fibre alimentari per la salute siano ben documentati, il grande interrogativo è capire perché non se ne mangiano ancora abbastanza. Oltre alla necessità di una maggiore diffusione della conoscenza dei benefici connessi, va detto che si tende a considerare non positivamente le caratteristiche sensoriali e organolettiche dei pro-
dotti arricchiti di fibre. La crusca di grano nella pasta integrale, infatti, aumenta la ruvidità della pasta. Una larga parte della popolazione, compresi i bambini, non ama la pasta integrale e preferisce la pasta tradizionale di semola. Tuttavia, questi problemi possono essere superati con l’amido resistente. Il grano ad alto contenuto di amilosio contiene circa il 40% di fibra alimentare, di cui circa il 30% è amido resistente. L’aspetto interessante è che quest’ultimo si trova nell’endosperma del grano e ciò significa che la semola ottenuta dal grano ad alto contenuto di amilosio oltre ad avere un colore giallo oro conferisce alla pasta il medesimo buon sapore della pasta ottenuta dalla semola tradizionale. Così, i produttori di pasta possono facilmente aggiungere fibre nelle loro formulazioni sostituendo la semola tradizionale, con un effetto minimo sulle proprietà organolettiche. Gli amidi ad alto contenuto di amilosio sono facili da lavorare in quanto non si gonfiano e non assorbono acqua come molte altre fibre alimentari. Per misurare l’effetto della semola di grano ad alto contenuto di amilosio sulle proprietà organolettiche della pasta, sono state sviluppate diverse formulazioni di semola. La semola da grano duro HA è stata miscelata con semola tradizionale in percentuali crescenti. Le formulazioni sono illustrate nella Figura 1.
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Formulazioni di pasta oggetto dello studio, costituite da blend di semola HA e semola standard (varietà Kronos)
Figura 1
Il grano HA possiede il 40% di fibre alimentari di cui il 30% è rs
Figura
Essere “al dente” è una caratteristica importante per la pasta, soprattutto in Italia. La pasta prodotta con il 100% di semola HA ha raggiunto un indice massimo di 100. La pasta di semola di grano duro tradizionale ha raggiunto un indice massimo di 67. La pasta di semola ad alto contenuto di amilo -
sio è anche molto più stabile alla cottura, con un indice di 87 e 80 ottenuto prolungando il tempo di cottura del 25 e 50% rispettivamente. ( Figura 2 ).
Un modo conveniente per incrementare la consistenza della pasta sembra essere quello di mescolare la semola tradizionale con quella di grano duro ad alto contenuto di amilosio. Già una proporzione del 25% di semola ad alto contenuto di amilosio fornisce un indice massimo
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di semola HA presenta un elevato profilo nutrizionale
in funzione del tempo di cottura (3 punti sulla scala temporale); tempo di cottura ottimale, +25%, +50%
La pasta
Consistenza
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Collosità in funzione del tempo di cottura (3 punti sulla scala temporale); tempo di cottura ottimale, +25%, +50%
di 87 ( Figura 2 ). La pasta di semola da grano HA è meno collosa perché durante la cottura disperde meno amido ( Figura 3 ).
La scioltezza della pasta ad alto contenuto di amilosio risulta agevolata (Figura 4 ). Il punteggio totale della pasta ad alto contenuto di amilo-
sio ha raggiunto un valore di 98, un punteggio significativamente più alto rispetto ai 69 punti della pasta di controllo (Figura 5).
In conclusione, i produttori di pasta possono usare semola da grano duro HA in pastificazione con il duplice vantaggioso apporto di amido
Scioltezza in funzione del tempo di cottura (3 punti sulla scala temporale); tempo di cottura ottimale, +25%, +50%
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Figura 4
Figura 3
resistente e fibra da indicare come claims. I prodotti a base di semola da grano duro HA dunque, giocano un fondamentale ruolo positivo nella riduzione dell’indice glicemico postprandiale e nel contribuire alla salute del colon,
situazione di certo vincente sia per il consumatore sia per il produttore.
Punteggio totale in funzione del tempo di cottura (3 punti sulla scala temporale); tempo di cottura ottimale, +25%, +50%
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Michael Gusko, Silvia Folloni, Roberto Ranieri
Salute
Figura 5
La normativa europea e nazionale e la più recente giurisprudenza amministrativa italiana: il caso del grano duro
Quando si parla di origine degli alimenti occorre considerare anzitutto la legislazione europea, trattandosi di materia regolata a mezzo di provvedimenti normativi adottati dall’Unione nel legittimo esercizio dei suoi poteri. In tale contesto, gli Stati membri hanno l’obbligo di dare attuazione a tali atti, non potendo esercitare una concorrente potestà legislativa o legiferare in materie già regolate dal diritto dell’Ue (cd. principio di “preemption”), a meno che non sia l’Unione stessa a consentirlo nel rispetto di determinate condizioni che vedremo oltre. L’oggetto dell’odierna disamina è l’individuazione dell’origine e delle relative modalità d’indicazione con riferimento agli alimenti finiti e ai relativi ingredienti primari o qualificati, alla luce della disciplina normativa europea e, per alcuni aspetti,
di quella nazionale. Nel settore alimentare, il primo dato normativo di riferimento per quanto riguarda l’origine è il regolamento (Ue) n. 1169/2011, che costituisce la normativa trasversale relativa alle informazioni sugli alimenti ai consumatori.
L’indicazione dell’origine in etichetta secondo le norme del Reg. (Ue)
n. 1169/2011
Tale regolamento, all’art. 9, annovera tra le indicazioni obbligatorie di etichettatura “il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto dall’art. 26” del regolamento stesso. Ciò significa che, laddove tale indicazione: non sia prevista da una normativa verticale di settore (e.g. la normativa europea specifica in tema di indicazione di origine per le carni bovine, per le carni suine, ovi-caprine e di volatili, per
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di Valeria Pullini - Avvocato esperto in diritto alimentare
l’olio extravergine di oliva ecc.) e non rientri nelle ipotesi contemplate dall’art. 26 del regolamento, l’indicazione di origine resta, di fatto, facoltativa. Prima di addentrarci nella disamina dell’art. 26 sopra citato, si ritiene opportuno offrire una definizione di paese di origine e di luogo di provenienza. A tale proposito, nello specifico settore alimentare, il regolamento (Ue) n. 1169/2011 prevede che:
- per “paese d’origine” si intende l’origine del prodotto, come definita conformemente al Reg. (Ue) n. 952/2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione;
- per “luogo di provenienza” si intende “qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento”, ma che non è il “paese d’origine” come individuato ai sensi del codice doganale dell’Unione.
In tale contesto, la definizione del Paese di origine di un bene si basa sulle disposizioni europee in materia di origine non preferenziale della merce ai sen-
si del predetto codice doganale dell’Ue. Il codice da ultimo indicato, all’art. 60, stabilisce che le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio. È questo il caso in cui l’intero processo di lavorazione avviene all’interno di un singolo paese. Invece, le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione. In tale ambito, vi sono vari criteri di individuazione della lavorazione sostanziale (es. cambio di voce doganale). Tale inciso è rilevante per comprendere il significato delle disposizioni del summenzionato art. 26, Reg. (Ue) n. 1169/2011 e, quindi, per darne una corretta applicazione.
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Diritto alimentare
Ora, il ridetto art. 26 del Reg. (Ue) n. 1169/2011, al paragrafo 2, lett. a), stabilisce che l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza.
n. 952/2013
Tale disposizione mira a prevenire la fornitura di informazioni ingannevoli sugli alimenti, idonee a far pensare che l’alimento abbia una determinata origine, mentre la sua origine reale è di fatto differente. Quindi, per un prodotto la cui etichetta non reca alcun marchio, denominazione, raffigurazione o altro segno o indicazione che possa evocare un determinato luogo, l’indicazione dell’origine non assurge a menzione obbligatoria di etichettatura e, pertanto, può essere omessa.
L’informazione sul paese d’origine è obbligatoria, invece, quando il consumatore può essere tratto in inganno a causa della natura stessa dell’alimento (come può essere il caso di alimenti tipicamente associati a un determinato territorio) o delle informa-
zioni, anche grafiche, che lo accompagnano. Il tanto, fermo restando che diciture/segni/immagini che evochino un’origine non coincidente con l’origine dell'alimento (“made in”) o il luogo di provenienza, integrano la violazione dell’art. 7 dello stesso regolamento (pratiche leali d’informazione) a prescindere dalla circostanza che il “made in” sia dichiarato in etichetta, applicando il predetto art. 26, parag. 2, lett. a). Al parag. 3, l’art. 26 prevede la diversa ipotesi in cui il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento sia indicato e non sia lo stesso paese di origine o luogo di provenienza del suo ingrediente primario. In tal caso è obbligatorio indicare anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario oppure indicare che il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è diverso da quello dell’alimento. L’applicazione di questo disposto è soggetta all’adozione di atti di esecuzione da parte dell’Unione. L’atto di esecuzione dell’art. 26, parag. 3 del Reg. (Ue)
n. 1169/2011 è costituito dal regolamento di esecuzione (Ue) n. 775/2018 della Commissione europea.
L’ambito di applicazione del regolamento di esecuzione (Ue)
n. 775/2018
Come detto, il regolamento esecutivo stabilisce le modalità di applicazione dell’art. 26, parag. 3, del Reg. (Ue) n. 1169/2011, quando il paese d’origine
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Diritto alimentare
Il Reg. (Ue)
definisce cosa sia il “Paese d'origine”
o il luogo di provenienza di un alimento sia indicato - su base obbligatoria o in via facoltativa - attraverso qualunque mezzo (come diciture, illustrazioni, simboli o termini che si riferiscono a luoghi o zone geografiche) e sempreché l’origine così indicata sia diversa dal paese di origine o dal luogo di provenienza dell’ingrediente primario dell’alimento stesso (fatte salve alcune eccezioni, di cui infra). Il regolamento esecutivo in esame non si applica, invece, alle indicazioni geografiche protette a norma dei regolamenti (Ue) n. 1151/2012, (Ue) n. 1308/2013, (Ce) n. 110/2008 o (Ue) n. 251/2014, o protette in virtù di accordi internazionali, né ai marchi d’impresa registrati, laddove questi ultimi costituiscano un’indicazione dell’origine, in attesa dell’adozione di norme specifiche riguardanti l’applicazione dell’art. 26, parag.3, a tali indicazioni.
Perciò, per le DOP/IGP e per i marchi d’impresa registrati, il predetto obbligo sussiste e quindi anche per tali fattispecie è applicabile il disposto di cui all’art. 26, parag. 3 del Reg. (Ue) n. 1169/2011, ma non ai sensi del regolamento esecutivo in esame, bensì in virtù di un regolamento ad hoc che verrà emanato (a oggi è ancora assente) per le due predette categorie di indicazioni. Vi sono infine alcuni casi in cui è sempre esclusa l’applicazione dell’art. 26, parag. 3 del Reg. (Ue) n. 1169/2011, con esenzione, quindi, dall’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente primario nonostante la presenza di indicatori di origine sull’etichetta dell’alimento. Ci si riferisce alle denominazioni usuali e generiche
contenenti termini geografici che indicano letteralmente l’origine, ma la cui interpretazione comune non è un’indicazione dell’origine o del luogo di provenienza dell’alimento, così come ai marchi di identificazione (il cd. bollo Ce) che accompagnano un alimento conformemente al regolamento (Ce) n. 853/2004, recante norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
Le disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari
Ora, in premessa si è detto che nelle materie espressamente armonizzate, quale è quella dell’indicazione di origine degli alimenti, gli Stati membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali, salvo che il diritto dell’Ue lo autorizzi. Sul punto, l’art. 39 del Reg. (Ue) n. 1169/2011, dedicato alle disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari, prevede che gli Stati membri possano adottare, secondo una specifica procedura di notificazione alla Commissione, disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti, purché sussista almeno uno dei seguenti motivi: a) protezione della salute pubblica; b) protezione dei consumatori; c) prevenzione delle frodi; d) protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni d’origine controllata e repressione della concorrenza sleale. Alla luce di tali presupposti, gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo nel caso in cui:
1) esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza e sempre che
2) tali Stati forniscano elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.
Ed è alla luce di tali disposizioni normative europee che l’Italia, nel biennio 2016/17, ha emanato una serie di decreti interministeriali (Dim) in tema di indicazione obbligatoria di origine di alcuni alimenti. Parliamo del Dim 9/12/2016 sull’indicazione di origine della materia prima di latte e prodotti lattierocaseari, del Dim 26/7/2017 sull’indicazione di origine del grano duro per la pasta di semola di grano
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Diritto alimentare
La definizione di “ingrediente primario” si trova nel Reg. (Ue) 1169/2011
duro, del Dim 26/7/2017 sull’indicazione di origine del riso, del Dim 16/11/2017 sull’indicazione di origine del pomodoro e del Dim 6/8/2020 sull’indicazione del luogo di provenienza delle carni suine trasformate. Nonostante tali decreti fossero connotati dal requisito della cd. “obsolescenza programmata” e, quindi, per previsione espressa avrebbero dovuto perdere di efficacia a far data dall’applicazione del Reg. di esecuzione (Ue) n. 775/2018, gli stessi e le disposizioni in essi contenute sono stati, invece, prorogati di anno in anno a mezzi di ulteriori decreti ministeriali, sino all’ultima proroga di efficacia con scadenza al 31 dicembre 2023. A fronte di ciò, perplessità sorgono sia in ordine alla legittimità di tali decreti di proroga in rapporto al principio di preminenza del diritto dell’Ue su quello nazionale, sia e in particolare in ordine alla legittimità degli stessi decreti interministeriali sull’indicazione di origine alla luce dell’ormai nota sentenza “Lactalis” della Corte di Giustizia dell’Ue, che di seguito andremo a esplicare per punti salienti.
La sentenza “Lactalis” della Corte di Giustizia Ue del 1° ottobre 2020, in causa C-485/18
Si tratta di una pronuncia in tema di indicazione obbligatoria del Paese di origine o del luogo di provenienza di alimenti, prevista a mezzo dell’adozione di disposizioni nazionali che introducono l’obbligo
di indicazioni obbligatorie ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme europee. La Corte di Giustizia dell’Ue si è pronunziata a esito di un rinvio pregiudiziale a seguito di domanda presentata nell’ambito di una controversia tra il Gruppo Lactalis, da un parte, e il Primo Ministro, il Ministro della Giustizia, il Ministro dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, nonché il Ministro dell’Economia e delle Finanze francesi, dall’altra, in merito alla legittimità del decreto francese n. 2016/1137, relativo all’indicazione dell’origine del latte nonché del latte e delle carni utilizzati come ingredienti. Il principio di diritto che ne è emerso è perfettamente applicabile anche ai decreti interministeriali italiani in tema di indicazione di origine di alcuni alimenti, compreso quello sull’indicazione di origine del grano duro per la pasta di semola di grano duro. Nel 2016, la “Lactalis” proponeva dinanzi al Consiglio di Stato francese un ricorso diretto all’annullamento del predetto decreto francese. A sostegno delle proprie conclusioni, la Lactalis deduceva alcuni motivi relativi alla violazione, da parte di tale decreto, degli articoli 26, 38 e 39 del Reg. (Ue) n. 1169/2011, in materia di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che sopra abbiamo brevemente esaminato.
La Corte ha osservato che nessuna disposizione del Reg. (Ue) n. 1169/2011 si occupa specificamente dell’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza del latte e del latte usato quale ingre-
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diente. E nemmeno dell’origine del grano duro per le paste di semola di grano duro, aggiungiamo qui. L’art. 9 di detto regolamento, il quale riporta l’elenco delle indicazioni che devono obbligatoriamente figurare sugli alimenti, stabilisce, invece, che l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di un alimento è obbligatoria ove previsto dal successivo art. 26.
A sua volta - come sopra visto - l’art. 26, parag. 2, lett. a) prevede che l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento stesso. Da ciò consegue che il Reg. (Ue) n. 1169/2011 armonizza espressamente la materia dell’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti nei casi in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore, assoggettando tutti gli alimenti a tale armonizzazione espressa, compresi il latte e il latte usato quale ingrediente (e, quindi, anche il grano duro). Non vi è armonizzazione espressa, invece, per quanto riguarda altre ipotesi o situazioni. Per tale motivo, l’art. 26 del Reg. (Ue) n. 1169/2011 non osta a che gli Stati membri adottino disposizioni che impongano ulteriori indicazioni obbligatorie in tema di origine. Tuttavia, devono
essere rispettati i requisiti di cui all’art. 39 del regolamento medesimo.
Ora, come sopra indicato, l’art. 39, parag, 2, del Reg. (Ue) n. 1169/2011 è caratterizzato da una struttura e da una formulazione precise. Tale norma stabilisce, in primis, che gli Stati membri possono introdurre ulteriori disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del Paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti:
1) solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità di detti alimenti e la loro origine o provenienza, e, in secondo luogo, al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione europea, gli Stati membri devono fornire:
2) elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.
Quindi, al fine di giustificare e rendere fondata l’adozione, in sede nazionale, di disposizioni ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme Ue, che riguardino l’indicazione obbligatoria dell’origine/provenienza degli alimenti, devono concorrere due requisiti, il secondo dei quali deve intervenire successivamente al primo, in modo accessorio e complementare rispetto a esso. Perciò, prima va verificata la sussistenza oggettiva di un nesso comprovato tra determinate qualità dei prodotti alimentari di cui si tratta e la loro origine o provenienza; successivamente, e solo nel caso in cui sia dimostrata l’esistenza di un tale nesso, andranno verificati e forniti elementi a prova del fatto che la mag-
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I decreti nazionali condizionano l'operatività degli Osa
gior parte dei consumatori attribuisca un valore significativo alla fornitura di tali informazioni. Tale assunto trova fondamento nella norma generale costituita dall’art. 7 del Reg. (Ue) n. 1169/2011, laddove essa stabilisce che le informazioni sugli alimenti non devono suggerire che questi ultimi possiedano caratteristiche particolari, quando, in realtà, alimenti analoghi possiedono caratteristiche identiche. A tale proposito, la Corte ha giustamente osservato che una disposizione nazionale che rendesse obbligatoria l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di un alimento sulla sola base dell’associazione soggettiva che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra detta origine o provenienza e talune qualità dell’alimento stesso, potrebbe suggerire che quest’ultimo possiede qualità particolari legate alla sua origine o alla sua provenienza che in realtà non ha, in quanto l’esistenza di un nesso comprovato tra le une e le altre non è oggettivamente dimostrata. Per quanto sopra, la Corte ha così concluso: l’art. 39 del Reg. (Ue) n. 1169/2011 deve essere interpretato nel senso che, in presenza di disposizioni nazionali che siano giustificate dalla protezione dei consumatori, il requisito dell’esistenza di un “un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza” deve essere oggettivo e a sé stante, non potendo essere valutato sulla sola base di elementi soggettivi, attinenti al valore dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra talune qualità dell’alimento di cui trattasi e la sua origine o provenienza. Trattasi di una sentenza rilevante, considerato che da anni, non solo in Francia, ma anche in Italia, si è molto discusso e si con-
tinua a discutere sulla legittimità di questa, possiamo definirla, gragnola di decreti nazionali i quali non solo hanno pesantemente condizionato l’operatività degli Osa, ma hanno anche disatteso in più parti le disposizioni del regolamento europeo deputato alla trattazione della materia dell’origine, così violando il principio del primato del diritto dell’Ue su quello nazionale che, come noto, si sostanzia nella prevalenza delle norme europee dotate di efficacia diretta su quelle interne con esse contrastanti, sia precedenti sia successive, qualunque sia il rango delle norme interne. In particolare, ciò che in sede nazionale interessa è costituito dall’impatto che questa sentenza può (e deve) avere sui summenzionati decreti interministeriali italiani che, nel biennio 2016/17, hanno introdotto, in sede nazionale e per gli Osa italiani, l’obbligo dell’indicazione di origine per determinati alimenti e/o ingredienti di alimenti senza che venisse rispettato almeno uno dei presupposti di cui al predetto art. 39, non essendo stato dimostrato- in relazione ad alcuno di tali decreti - il requisito oggettivo costituito dal nesso tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. Inoltre, si rileva anche il contrasto di tali decreti con il Reg. di esecuzione (Ue) n. 775/2018, anch’esso preminente sulla normativa nazionale in tale materia.
Sul punto, come sopra indicato, i ridetti decreti interministeriali avrebbero dovuto cessare di efficacia il 31 marzo 2020, ossia il giorno antecedente la data di entrata in applicazione del regolamento suddetto, fissata al 1° aprile 2020. Ciò che, invece, non è stato. Questo comporta - in virtù del principio del primato del diritto Ue sugli ordinamenti statali - che se una norma nazionale è contraria a una disposizione europea provvista di effetto diretto, le autorità degli Stati membri sono tenute ad applicare quest’ultima. In tal caso, la norma nazionale non è né annullata né abrogata, ma la sua forza vincolante viene (o dovrebbe essere) sospesa, con obbligo di disapplicazione da parte del Giudice. Vedremo a breve come in sede nazionale, a esito di due recenti procedimenti amministrativi riguardanti specificamente l’indicazione di origine del grano duro, le cose siano andate in modo ben diverso.
Valeria Pullini pullini@avvocatopullini.it
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L’azienda che ha sviluppato la macchina per produrli artigianalmente, lancia un modello che porta la produzione oltre 150 kg/h l’ora
La denominazione di origine comunale (Deco) per la pasta “imbutini” rappresenta il salto in avanti verso la produzione su scala industriale e verso un piano di investimenti per produrre energie rinnovabili che abbattano significativamente i costi industriali. Queste sono le novità dell’azienda bolognese Sapori in Forma con sede ad Argelato, nell’hinterland del capoluogo emiliano. Si tratta dell’azienda che ha realizzato e brevettato la prima macchina in grado di produrre la nuova forma di pasta denominata “imbutini”, la cui storia è tutta bolognese. Questo formato, infatti, è nato per caso dallo “sbuzzo” (intuizione, in dialetto bolognese) di una signora di Ozzano, in provincia di Bologna, Flavia Valentini, la quale, giocando in cucina con un’antica rotella impiegata
nel secolo scorso per preparare le forme dei tortellini, ha inventato questo nuova pasta dalla forma caratteristica che ha la prerogativa di raccogliere nella sua parte concava il condimento. Oggi, questa storia, dopo un primo step rivolto alle produzioni artigianali su piccola scala, si apre a una nuova avventura industriale.
Da prodotto artigianale a prodotto industriale
L’azienda Sapori in Forma ha realizzato un paio di anni fa una prima macchina - ideale per un piccolo laboratorio artigianale - in grado di produrre circa 40/45 kg di imbutini all’ora. Successivamente, ne ha realizzata una con capacità superiore da 75 kg/h. Oggi, sta ora per collaudare un modello produttivo rivolto alla produzione
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di Mariangela Latella Giornalista professionista esperta del settore agroalimentare
industriale. “Grazie alla recentissima collaborazione con Pasta Technologies Group Srl della provincia di Padova - spiega a Pasta&Pastai , Luca Tommasi, titolare di Sapori in Formastiamo lavorando a un macchinario che avrà una capacità produttiva di imbutini, dai 150 kg/h in su. La macchina, basata sulla tecnologia sviluppata internamente e denominata Interproject, lavora qualsiasi tipo di sfarinato per cui, attualmente, si possono realizzare prodotti con la pasta all’uovo, integrale o di sola semola. Se i clienti lo richiederanno, potrebbe essere preparata anche con farina di grillo. Entro il primo semestre di quest’anno dovrebbe vedere la luce il primo prototipo industriale di ‘formatrice di imbutini’, questo il nome della macchina, che darà il via ai test per la produzione su larga scala”. L’azienda era presente a Cibus Connecting 2023, in programma a Fiere di Parma dal 29 al 30 marzo scorso per due principali obiettivi.
Da un lato, quello di fare conoscere le macchine formatrici degli imbutini, che attualmente sono già installate in alcuni ristoranti ai Bologna; dall’altro, quello di fare conoscere la pasta al di fuori del perimetro locale”. Tra le novità con cui Sapori in Forma si è presentata alla fiera anche l’ottenimento della certificazione Deco, per gli imbutini. Si tratta della Denominazione di origine comunale rilasciata dal comune di Bologna. Un riconoscimento ottenuto proprio alla vigilia della partecipazione alla fiera parmense nonché il terzo per la pasta inventata dalla signora Valentini. Gli imbutini, infatti, sono già stati fregiati del certificato di “prodotto tipico locale” del comune di Ozzano e, ancora prima, della vittoria del premio all’oro Grana Padano per il concorso “tucomelousi”, nel 2017.
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La “formatrice di imbutini” sarà attiva entro il primo semestre 2023
Investire sulle rinnovabili per abbattere i costi energetici L’azienda sta investendo, inoltre, anche in efficientamento energetico. Un tema caldo per il settore dei pastai e dei forni. Attualmente ha allo studio anche un progetto per la realizzazione di un impianto fotovoltaico che coprirà metà del tetto dell’azienda e punterà ad abbattere i costi energetici lungo le linee di processo, del 60/70%. “D’altro canto - specifica Tommasi - cerchiamo sempre di usare materiali che possano essere riciclabili. Non solo nella fase di confezionamento ma anche in quella di costruzione vera e propria della struttura delle macchine. Alcune delle loro componenti, sono realizzate in plastica e applicate sul metallo negli ingranaggi interni più complessi, soprattutto nella fase di formatura della pasta. La nostra scelta è di fare in modo che queste plastiche siano compostabili o, ancora meglio, riciclabili”.
Le componenti di plastica vengono realizzate, peraltro, all’interno della stessa azienda, attraverso l’impiego di stampanti 3D nate da una partnership con la società CAD project, di cui Tommasi è pure
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La macchina realizzata lavora qualsiasi tipo di sfarinato
Flavia Valentini, l'inventrice degli imbutini
titolare, che si rivolge, nello specifico, al mondo dell’automazione. “Molti dei pezzi della serie delle macchine ‘formatrici di imbutini’, sono fatti in stampa 3D, impostata appositamente per questo utilizzo”, continua Tommasi.
Una scelta dettata anche dalla necessità di risparmiare sui costi oltre che di accelerare il processo produttivo.
“Senza questa innovazionespecifica - avremmo dovuto commissionare la loro realizzazione a un artigiano esterno, con la conseguenza che ci sarebbero volute settimane o, comunque, diversi giorni, per avere l’ingranaggio da incorporare alla macchina.
Con le operazioni di stampa 3D integrate, riusciamo a completare l’assemblaggio delle formatrici di pasta, nel giro di uno o due giorni. Questo, fra l’altro, ci ha permesso di velocizzare moltissimo sia i tempi di collaudo sia quelli del processo industriale vero e proprio”.
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Mariangela Latella
Gli imbutini hanno anche ottenuto la Denominazione di origine comunale
Luca Tommasi, titolare di Sapori in Forma
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