ISSN1824-9523
Tariffe R.O.C. Poste Italiane - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) Art. 1 comma 1 DCB Bologna
L’INFORMAZIONE PROFESSIONALE PER LA PASTA FRESCA E SECCA
OTTOBRE 2017
151 ANNO XXII
L’ESSICCAZIONE STATICA DELLA PASTA
(seconda parte)
PUBBLICITA’
Sommario
Colophon
Pasta & Pastai n. 151 Anno XXII - Ottobre 2017 Comitato tecnico e scientifico Alfio Amato
Alimentazione e salute
Domenico Ciappelloni Materie prime
Giacomo Deon
Presidente Confartigianato Alimentazione pagina 20
Gianni Mondelli
pagina 28
Tecniche di produzione
Maurizio Monti
Tecnico farine a grano tenero Miller’s Mastery
■ EDITORIALE «La pasta è made in Italy anche se il grano è di importazione»
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di Arcangelo Roncacci
Economista agrario
Roberto Tuberosa Genetica agraria
Studio Legale Avv. Gaetano Forte
■ TECNICHE DI PRODUZIONE L’essiccazione statica della pasta [seconda parte]
Sicurezza alimentare
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di Gianni Mondelli
International partners
INDIA AgriBusiness & Food Industry
■ MERCATI
Rivista leader in India per il settore
Nel Meridione piace la pasta secca liscia
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di Delia Maria Sebelin
■
Giorgio Stupazzoni
agroalimentare industriale Media Today Group, New Delhi - India
ROMANIA PASTA NEL MONDO
A ogni nazione… la “sua” pasta
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di Madel Nilebes
Associazione nazionale dei mugnai e dei panificatori della Romania
TURCHIA
■ RUBRICHE
Miller Magazine e BBM
6 8 35 41
Fatti e notizie Pasta e dintorni Le aziende informano Agenda Hanno collaborato: per le traduzioni R. Bezzegato e A. Longhi, per la grafica A. Lomazzi.
Gli autori sono pienamente responsabili degli articoli pubblicati che la Redazione ha vagliato e analizzato. Ciò nonostante, errori, inesattezze ed omissioni sono sempre possibili. Avenue media, pertanto, declina qualsiasi responsabilità per errori ed omissioni eventualmente presenti nelle pagine della rivista.
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Anamob
151 OTTOBRE
Stampa Sate srl Via C. Goretti, 88 44123 Ferrara Registrazione N. 8297 del 27/02/2013 del Tribunale di Bologna Rivista fondata a Parma nel 1995 Rivista chiusa in tipografia a ottobre 2017
Riviste per la prima e seconda trasformazione dei cereali Parantez Group, Istanbul - Turchia
Direttore responsabile Claudio Vercellone Direttore tecnico Gianni Mondelli Responsabile di redazione Delia Maria Sebelin ufficiostampa@avenuemedia.eu 051 6564337 Pubblicità Massimo Carpanelli carpa@avenuemedia.eu 348 2597514 In questo numero G. Mondelli, A. Roncacci, D. M. Sebelin
Editoriale
«La pasta è made in Italy anche se il grano è di importazione»
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di Arcangelo Roncacci - Responsabile Confartigianato Alimentazione
Indicare nell’etichetta delle confezioni di pasta l’origine della semola o del grano è un tema complesso e meritevole di alcune considerazioni. Vediamo, quindi, di fare il punto, partendo dall’esame delle normative italiane ed europee.
sono poco propensi a pagarle, ovvero, ad acquistare prodotti a un prezzo più alto per ottenere questo servizio.
Nel documento si evidenzia che, a fronte di un forte interesse dei consumatori a ricevere maggiori informazioni sull’origine degli alimenti - in modo particolare sul luogo di produzione, meno per quelle relative alla materia prima impiegata - essi
Per cui la Commissione europea è arrivata alla conclusione di lasciare a discrezione dell’operatore la facoltà di inserire in etichetta le indicazioni di origine delle materie prime, così da mantenere invariati i prezzi di vendita
Nel rapporto costi/benefici derivanti dall’applicazione dell’obbligo, i primi sarebbero La Commissione Ue, a maggio 2105, sulla base di nettamente superiori ai secondi sia per i quanto previsto dal Reg. 1169/2011, ha presentato consumatori, come sopra evidenziato, sia per al Parlamento europeo una relazione in merito alla gli operatori, che dovrebbero farsi carico dei possibilità di estendere l’indicazione obbligatoria costi legati alla duplicazione delle strutture di di origine delle materie prime ad alcuni alimenti, stoccaggio, alla frammentazione dei processi di tra cui quelli composti da un unico ingrediente produzione, a più sofisticati sistemi di tracciabilità come la pasta. e alla modifica delle etichette.
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Se l’ultima lavorazione è avvenuta sul territorio nazionale il prodotto è made in Italy e, al contempo, di consentire comunque ai consumatori di scegliere prodotti per specifici luoghi di origine. Tutto ciò per non pregiudicare la competitività delle aziende del settore alimentare. Il legislatore italiano, invece, nella fattispecie il Mipaaf e il Mise, riprendendo una sollecitazione del Parlamento europeo alla Commissione europea circa la valutazione di opportunità di una norma obbligatoria, ha ritenuto fosse necessario prevedere - al pari di quanto già fissato con il decreto che ha imposto l’origine del latte per i prodotti lattierocaseari - l’indicazione obbligatoria sia della semola che del grano duro utilizzati per la produzione di pasta alimentare.
e stabilizzata (articolo 9 del Dpr. 187/2001), i prodotti destinati all’esportazione e - per la clausola di mutuo riconoscimento - quelli provenienti da altri Paesi Ue. In base al provvedimento le indicazioni di origine dovranno essere inserite in etichetta in un punto dove risultino facilmente visibili e leggibili, specificando il Paese di coltivazione del grano e quello di produzione della semola. Nel caso in cui le materie prime provengano da Paesi diversi, si potranno utilizzare dizioni alternative quali “Ue”, “non Ue”, “Ue e non Ue”, per indicare, rispettivamente, l’origine da Paesi membri dell’Ue, da Paesi extra-Ue, in parte Ue e in parte extra-Ue. Per il grano è prevista, inoltre, la possibilità di indicare il nome di un singolo Paese purché da lì provenga più del 50% della materia prima. Il periodo previsto per l’entrata in vigore del decreto, seppur lungo (180 giorni), per le imprese è insufficiente, specie per le Pmi; non basta, infatti, per smaltire gli imballaggi sui quali sono prestampate le informazioni. Le aziende, solitamente, in considerazione delle caratteristiche molto standardizzate del prodotto, hanno una rotazione delle scorte delle etichette anche superiore all’anno.
A tal fine è stato emanato un decreto interministeriale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 191 del 17 agosto scorso, che entrerà in vigore dopo 180 giorni dalla pubblicazione proprio per la complessità di avviare un sistema di tracciabilità interna del grano nelle semole e, da queste, nella pasta. L’applicazione sarà sperimentale fino al 30 dicembre 2020. Nel caso la Commissione Ue dovesse emanare atti di esecuzione per dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 26 paragrafo 3 del Reg. 1169/2011, che indica per quali tipologie di prodotti deve essere indicato il Paese di origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario utilizzato nella preparazione degli alimenti, il decreto decadrebbe automaticamente anche prima di tale data. Il decreto non riguarda la pasta fresca
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Certamente un “incoraggiamento” all’indicazione obbligatoria è arrivata dalle organizzazioni di rappresentanza del mondo agricolo, che hanno spesso denunciato l’utilizzo di grano estero per la produzione delle semole italiane, non considerando la norma che prevede che il Paese di ultima trasformazione può fregiarsi in etichetta dell’indicazione made in Italy se l’ultima lavorazione è avvenuta sul territorio nazionale, indipendentemente dall’origine del grano. La quasi totalità delle semole commercializzate in Italia è prodotta e confezionata nel nostro Paese, miscelando il grano importato con quello nazionale. Una parte rilevante del grano da cui si ottengono, circa il 40%, non è di origine italiana. I motivi di un import di queste proporzioni derivano sia da esigenze quantitative - la produzione di grano in Italia è del tutto insufficiente - che qualitative - la qualità del grano nazionale non è eccelsa - per cui i molini, per rispondere alle richieste e agli standard dell’industria, sono costretti a selezionare, miscelare e macinare grani con caratteristiche tecnologiche diverse e provenienti da varie aree di produzione. Solo così possono ottenere miscele con determinate caratteristiche, sia in termini nutrizionali che organolettiche, e soddisfare il produttore di pasta (e il consumatore).
In considerazione di questo particolare metodo produttivo, l’indicazione di origine del grano sulle confezioni di pasta, se effettuata in modo sistematico, porrebbe al pastificio problemi applicativi molto complessi, con un forte aggravio di costi per i continui adeguamenti di etichettatura. Inoltre, a monte della filiera, complicherebbe il lavoro dell’industria molitoria dal punto di vista della gestione della materia prima, con stoccaggi differenziati per tipologie di prodotto e relativa predisposizione di etichette diverse per ogni lotto realizzato. Se l’intento è quello di far dipendere la qualità della pasta italiana dall’origine nazionale del grano impiegato, con un improbabile collegamento per cui il prodotto made in Italy sarebbe quello in cui sia certificata l’origine italiana delle materie prime utilizzate, dobbiamo certamente dissentire. Sarebbe una forzatura non riconoscere che il made in Italy nel settore pasta è, piuttosto, il risultato di una combinazione di vari elementi: la capacità di operare scelte oculate nella selezione dei grani, l’accorta azione di mixare correttamente frumenti di origini diverse per migliorare le caratteristiche ed elevare la qualità delle semole, il rispetto dei processi produttivi tradizionali consolidati sul territorio, l’esperienza acquisita e tramandata di generazione in generazione. Rispetto a tutto ciò, l’origine del grano ricopre un ruolo del tutto marginale. ❙❘❘ Arcangelo Roncacci
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Fatti e notizie
J-Momo
Ecco la pasta fresca surgelata dedicata alla ristorazione
Eccellenze
Nasce il Consorzio del Cappelletto di Tolentino È stato fondato da quattro aziende di pasta fresca all’uovo il “Consorzio volontario per la tutela del Cappelletto di Tolentino”. Le imprese che lo hanno istituito sono: “Pastificio Pavoni”, “PastItalia”, “Casa del Tortellino” e “In… Pasta”. Coloro che vi aderiranno dovranno sottoscrivere un disciplinare che stabilisce lo spessore della pasta, gli ingredienti di base da utilizzare, la qualità del ripieno, l’assenza di coloranti e conservanti e, ovviamente, la lavorazione, rigorosamente made in Tolentino (Mc). ❙❘❘ Legislazione
L’azienda campana di pasta fresca surgelata e piatti pronti frozen J-Momo, propone “100% Fatta a mano”, una linea di pasta fresca surgelata fatta a mano, studiata per gli operatori della ristorazione di qualità. L’offerta - disponibile su www.lapastadij-momo. it - prevede 20 referenze fra pasta corta, lunga e ripiena. «Il lancio di questa nuova linea - chiarisce l’amministratore unico, Maurizio Caggiano - si colloca nell’ambito del piano strategico di crescita organica della nostra impresa attraverso la commercializzazione di prodotti innovativi, soprattutto nel settore dei primi piatti e della pasta fresca surgelata». ❙❘❘
Arrivano le norme europee sull’etichettatura Secondo alcune fonti della Commissione europea, le norme di attuazione Ue sull’etichettatura di origine degli alimenti saranno adottate «prima della fine del 2017». Ciò potrebbe di fatto chiudere il confronto aperto con l’Italia. La mancanza degli atti esecutivi dell’articolo 26 del Reg. (Ue) 1169/2011 - che prevede i casi in cui deve essere indicato il Paese di origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario utilizzato nella preparazione degli alimenti - è infatti uno dei motivi che hanno spinto il Governo italiano ad accelerare sull’obbligo di etichettatura di origine, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti su riso e grano per la produzione di pasta (vedi anche l’Editoriale di questo numero, ndr). ❙❘❘ Gdo
Barilla Bio entra nei supermercati italiani
Ha fatto la sua comparsa negli scaffali della Gdo italiana la pasta biologica Barilla certificata Ccpb. Barilla Bio è presente sul mercato americano dall’anno scorso ed è distribuita anche in Germania e Francia. Si tratta di tre referenze ottenute da semole biologiche di grano duro di origine italiana: penne rigate, fusilli e spaghetti. ❙❘❘ Pasta contro la camorra
Grano aureo dal casertano per Pasta Voiello Per la produzione di Pasta Voiello, Barilla utilizzerà grano aureo coltivato nei terreni confiscati al clan camorristico dei Casalesi a Santa Maria La Fossa, nel casertano. Barilla ha, infatti, siglato un contratto di filiera con l’associazione Ats Terra Verde che ora gestisce Masseria Abate, un complesso agricolo che, un tempo, apparteneva alla famiglia Schiavone, ovvero a Francesco Schiavone detto “Cicciariello”, cugino del capoclan omonimo noto come “Sandokan”. ❙❘❘
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Pasta e dintorni
Marketing
Federer brand ambassador di Barilla
New brand
Nasce il marchio “Pastai di Matera” Un prodotto di qualità, nato da semole di eccellenza ottenute da varietà di grano Saragolla e Senatore Cappelli coltivati in Basilicata. Nasce così la pasta a marchio “Pastai di Matera” dell’azienda Fattincasa di Mimmo Balsano. “Pastai di Matera non è solo un marchio - sostengono gli ideatori - ma, soprattutto, un progetto di valorizzazione del patrimonio lucano.” ❙❘❘ Normative
#FedererLovesPasta è l’hashtag con cui Roger Federer, tra i più grandi tennisti di tutti i tempi, ha annunciato sul suo profilo Facebook la collaborazione con Barilla, di cui è diventato brand ambassador sottoscrivendo un accordo di sponsorizzazione da 40 milioni di euro. Barilla, poco prima dell’inizio degli Us Open, ha ideato in suo onore un formato di pasta 3D con le sue iniziali. Il prodotto non si trova a scaffale: l’intento è puramente pubblicitario, cioè legato alla volontà di cavalcare il buzz marketing in rete e sui social relativo al celebre torneo. ❙❘❘
Obbligo dell’etichettatura di origine anche per i derivati del pomodoro «Siamo al lavoro con il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, per estendere anche ai prodotti derivati dal pomodoro l’etichettatura obbligatoria dell’origine delle materie prime, come già fatto con latte, pasta e riso». Lo ha annunciato il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina. Ciò può rendere «ancora più forti e riconoscibili nel mondo le nostre produzioni di qualità». ❙❘❘
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Export
Stop in Cina a Gorgonzola e Taleggio Dop Stop sul mercato cinese a Gorgonzola e Taleggio Dop. A lanciare l’allarme è Assolatte. «L’inasprimento nell’applicazione delle norme sull’import dall’Ue dei formaggi prodotti con alcuni fermenti, lieviti e muffe non previsti dalle norme cinesi, ma finora accettati in base a una sorta di gentlemen agreement - chiarisce il presidente di Assolatte, Giuseppe Ambrosi - rischia di frenare il commercio di famosi formaggi europei, dal Gorgonzola al Roquefort, a tutto vantaggio di quelli prodotti in altri Paesi come Stati Uniti e Australia». «La manovra delle autorità di Pechino - sostiene Assolatte - mette a rischio un mercato promettente per i nostri formaggi. L’export verso la Cina è, infatti, in forte crescita: tra il 2015 e il 2016 le vendite di formaggi italiani in Cina sono aumentate del 42%, arrivando a 2.650 tonnellate, e nel primo quadrimestre del 2017 hanno registrato un ulteriore incremento del 34%». ❙❘❘
Appuntamenti
Apre Fico Eataly World Sarà inaugurato il 15 novembre a Bologna Fico Eataly World, il parco agroalimentare più grande del mondo. Acronimo di Fabbrica Italiana Contadina, Fico si estenderà su 2 ettari di campi e stalle all’aria aperta con più di 200 animali e 2.000 piante coltivate; inoltre, 8 ettari coperti ospiteranno 40 fabbriche contadine per far conoscere come avviene la produzione di carni, pesce, formaggi, pasta, olio, dolci e birra; 40 luoghi ristoro; botteghe, un’area mercato, spazi dedicati allo sport, ai bambini, alla lettura e ai servizi; 6 aule didattiche con 30 eventi e 50 corsi al giorno; un teatro e un cinema. ❙❘❘
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Tecniche di produzione Tendenze
L’essiccazione statica della pasta di Gianni Mondelli Esperto di pastificazione
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I criteri per gestirla tecnicamente e, soprattutto, in modo funzionale, corretto e consapevole (seconda parte)
Nella prima parte di questo articolo, pubblicato sul precedente numero di Pasta&Pastai, sono state elencate e descritte le fasi del processo di essiccazione statica della pasta (riscaldamento, pre-essiccazione, essiccazione, stabilizzazione). Ci siamo poi soffermati, in modo più specifico, sui principi tecnologici delle prime due fasi: “riscaldamento” e “pre-essiccazione”. In questa seconda parte gli approfondimenti riguardano, pertanto, la fase di “essiccazione” (3) e quella di “stabilizzazione” (4). Fase 3 - Essiccazione Sono passate circa due ore e mezza dall’inizio del processo e ora la pasta dovrebbe avere un’umidità residua (a 43-45 °C di temperatura(1)) di circa il 21-22%. Lo stato fisico della pasta cambia, diventa “elastico”. Ciò comporta che ogni deformazione
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anche minima nella sua struttura genera una forza che tende ad annullarla. In pratica, anche il più piccolo ridimensionamento del singolo rigatone causato da una sia pur piccola disidratazione, determina la formazione di tensioni dinamiche al suo interno. Naturalmente, il passaggio dallo stato fisico “plastico” allo stato fisico “elastico” non è immediato, non avviene istantaneamente, ma in modo progressivo. Questo vuol dire che dal 20 al 22% circa di umidità, la pasta (a 43-45 °C) non è più “tutta” allo stato plastico, ma nemmeno “tutta” allo stato elastico. Tra questa differenza di valori di umidità della pasta c’è, pertanto, un margine di tolleranza per eventuali piccoli errori di impostazione dei nuovi parametri di essiccazione e anche questa è una considerazione di cui tener conto.
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Nel passaggio di stato fisico, dal punto di vista tecnologico le forze e le tensioni generate nella pasta non sono ancora particolarmente intense e la sua struttura può essere in grado di sostenerle. Dopo no, le forze e le tensioni che si generano devono essere minime (nulle è impossibile), altrimenti la struttura della pasta non le sopporta e il disastro è certo.
Il passaggio dallo stato “plastico” a quello “elastico” non è immediato PASTA&PASTAI
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Per evitare che ciò avvenga, è necessario che il programma di essiccazione sia adeguato a questa nuova situazione tecnologica. In primo luogo deve essere modificato radicalmente il rapporto tra ventilazione e pausa. Se, ad esempio, nella pre-essiccazione il rapporto poteva essere “3/1”, ora deve ribaltarsi a “1/3”, per diminuire ancora (1/4 e 1/5) e scendere ancora di più quando l’umidità residua della pasta va al di sotto del 16-15%, aumentando le pause in relazione stretta (anzi strettissima) con il rapporto massa/superficie del formato e lo spessore della sua cartella.(2) Ovviamente, non si deve trascurare il fatto che dopo il cambiamento di stato la concentrazione della massa strutturale della pasta, sia pure anche molto lentamente, aumenta progressivamente: i varchi attraverso i quali le micro particelle d’acqua possono raggiungere la superficie della pasta si restringono, per cui il tempo del loro transito si allunga considerevolmente. In siffatte condizioni, ventilare in eccesso la pasta non è più soltanto uno spreco ma un micidiale attentato alla sua incolumità. La saggezza professionale del pastaio deve, in questa fase critica del proces-
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Tecniche di produzione
Tabella 1s
Variazioni della entalpia dell’aria umida interna ad un essiccatore statico [temperatura costante di 46 °C e progressiva diminuzione dell’umidità relativa]
UR70%
UR65%
UR60%
UR55%
UR50%
UR45%
UR40%
UR35%
Valore X
44,1
40,8
37,4
34,1
30,9
27,7
24,5
21,3
Valore J
38
35,9
33,9
31,8
29,8
27,8
25,9
23,9
Valore X = Peso in grammi del vapore acqueo per kg di aria secca Valore J = Contenuto di calore o entalpia (cal/kg) di 1 kg di aria secca e del peso X di vapore acqueo
so, manifestarsi totalmente perché è indispensabile mantenere nell’aria di ventilazione - e, in generale, nell’ambiente di tutta la cella di essiccazione in modo uniforme (in alto, al centro e in basso) - una umidità relativa sufficientemente elevata per evitare che la superficie della pasta si “incrosti”, diventi troppo secca rispetto agli strati interni più prossimi alla superficie, in modo che i varchi per il passaggio in superficie delle microparticelle d’acqua non siano troppo stretti o addirittura si chiudano del tutto. Perciò, oltre a ridurre l’intensità della ventilazione e a conservare sufficientemente umida l’aria in relazione alla sua temperatura, occorre anche mantenere alta il più possibile l’energia termica (calore) e la temperatura della pasta, per favorire anche in questo modo il numero e l’ampiezza dei varchi di transito delle microparticelle d’acqua. L’errore più grave, in questa fase - quando l’umidità residua della pasta è ormai
pari o inferiore di qualche punto decimale al 1516% - è proprio quello di raffreddarla, aumentando conseguentemente la concentrazione della struttura e intrappolando al suo interno quelle microscopiche particelle d’acqua che, per capillarità, spingono verso la superficie con una forza sufficiente per aprirsi quei varchi che, negli incubi notturni dei pastai, si chiamano venature, bottature, cracking. A questo proposito, un contributo indicativo è dato dalla tabella 1 e dal grafico 1 ad essa relativo. In essi si nota come, per uno stesso valore di temperatura, l’entalpia dell’aria umida all’interno dell’essiccatore cambia quando il valore del parametro UR% è progressivamente impostato a scendere nel programma di essiccazione memorizzato nella scheda elettronica di controllo logico del processo o nel Plc. Ricordo che l’entalpia è una funzione di stato di un sistema termodinamico che indica la grandezza
Grafico 1s
Variazioni dell’entalpia - UR%
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Il rapporto tra ventilazione e pausa va calibrato in modo adeguato definita dall’energia interna del sistema stesso in relazione al volume e alla pressione. Per l’essiccazione della pasta l’entalpia considerata è quella dell’aria umida, cioè della somma dell’entalpia dell’aria secca e del vapore che ne è associato. Il raffreddamento della pasta È necessario che il raffreddamento della pasta sia rimandato all’ultima parte della fase di essiccazione, quando finalmente l’umidità residua sarà scesa al 12,5% o poco sopra per qualche punto decimale e quando quella poca acqua rimasta all’interno della pasta dovrà soltanto ridistribuirsi lentamente dagli strati più profondi, dove è maggiormente concentrata, verso quelli più prossimi alla superficie, dove la sua concentrazione è minore. E finalmente raggiungere una condizione di stabile equilibrio(3).
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La stabilizzazione della pasta è comunque una fase sempre successiva a quella di essiccazione e, anche in quest’ultimo conclusivo stadio dell’intero processo, la pasta deve conservare, nonostante il suo parziale raffreddamento, l’energia termica necessaria affinché la distribuzione uniforme delle particelle d’acqua presenti nel prodotto ormai essiccato possa effettivamente verificarsi o, quantomeno, verificarsi in un tempo ragionevole. In tutte le fasi del processo di essiccazione la migrazione delle micro particelle d’acqua nella pasta avviene in parte per diffusione (legge di Fick)(4) e in parte per capillarità(5). Si tratta di due fenomeni complessi di cui consiglio un sia pur minimo approfondimento, certamente utile anche per un pastaio. Durata del processo Quanto dura la fase di essiccazione? Dipende dalle caratteristiche di forma e struttura dei formati di pasta, oltre che, ovviamente, dai parametri impostati (temperatura, umidità relativa, tempi di ventilazione e riscaldamento, tempi di pausa e di rinvenimento). Ma anche dal rispetto dei principi che dalla fase iniziale del riscaldamento in avanti sono stati indicati nella prima parte di questo articolo (vedi Pasta&Pastai n. 150, ndr). Per un formato di media difficoltà, ad esempio, un fusillo a due o tre principi, e considerando i parametri fin qui adottati nell’esemplificazione (temperatura media del processo), si possono ipotizzare circa 4 ore, 6 per i rigatoni con cartella 0,8 mm(6). Questi tempi sono indicativi e li
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Il raffreddamento della pasta va rimandato all’ultima parte del processo cito solo perché sono quelli che per anni ho concretamente ottenuto nel mio laboratorio sperimentale, utilizzando un essiccatore statico con capacità di 28 telai e potenza termica di 6 kW costruito verso la fine degli anni ’90, con installata la scheda a microprocessore SM2, con il posizionamento laterale della sonda T/UR e con un efficace e funzionale sistema di estrazione automatica dell’aria umida prelevata sui due lati minori dell’essiccatore a livello del pavimento. Il diagramma reale relativo all’essiccazione dei rigatoni nel tempo complessivo di 9 ore circa è riportato nel grafico 2. La parte finale dell’essiccazione è caratterizzata da una condizione di equilibrio tra la temperatura dell’aria
e quella della pasta. È più che mai opportuno, dunque, mantenere invariato il valore di temperatura dell’aria, modulando (a scendere progressivamente) quello impostato per l’umidità relativa. Fase 4 - Stabilizzazione Come ho più volte ricordato, questa fase serve a ridistribuire le particelle residue di acqua nella pasta essiccata in modo omogeneo, perciò stabile, in tutta la sua massa, evitando che vi siano concentrazioni diverse di umidità tra gli strati del prodotto (da quelli più esterni a quelli più interni). In pratica, per ottenere questo risultato occorre soltanto lasciare che la pasta si stabilizzi raffreddandosi
Grafico 2s
Test del rigatone
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La fase di stabilizzazione è molto delicata in modo non traumatico e che, progressivamente, le condizioni igrotermiche all’interno dell’essiccatore (temperatura e umidità, assoluta e relativa, dell’aria) si adeguino a quelle ambientali del laboratorio. Queste, ovviamente, dovranno anch’esse essere opportunamente controllate e adeguate. La fase di stabilizzazione della pasta essiccata staticamente è molto delicata e da non sottovalutare, soprattutto nei periodi dell’anno nei quali le condizioni climatiche sono elementi di rischio. Negli essiccatori automatici continui la stabilizzazione finale della pasta è, invece, meno critica. Non sono affatto rari i pastifici che la effettuano semplicemente accumulando la pasta corta ancora abbastanza calda nei sili di accumulo del prodotto essiccato, lasciando che la massa “smaltisca” il calore residuo per tutto il tempo necessario prima del confezionamento.
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Per le linee automatiche continue di pasta lunga è sempre previsto un settore specifico per la stabilizzazione della pasta, un prolungamento vero e proprio dell’impianto, idoneo per capacità e volume, nel quale sono mantenuti i valori di temperatura e di umidità relativa dell’aria più adatti alle necessità della stabilizzazione. Un procedimento analogo può essere adottato anche nel piccolo pastificio attrezzato con essiccazione statica, semplicemente individuando nel locale di lavoro uno spazio consono, protetto da correnti d’aria anomale e con temperatura e umidità relativa stabili, nel quale i carrelli con i telai orizzontali - o quelli con i supporti per le paste lunghe - possono essere sistemati e lasciati fino a quando la stabilizzazione della pasta, e il suo equilibrio igrotermico con l’ambiente, sono raggiunti. ❙❘❘
Gianni Mondelli Note
(1)
Le temperature indicate non si riferiscono a quelle dell’aria, bensì della pasta ancora umida e con tenore di umidità variabile a seconda della fase di processo e del suo momento di riferimento. Pertanto, l’impostazione della temperatura nel programma di essiccazione deve tener conto dell’efficienza del sistema di scambio termico installato
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(2)
(3)
nell’essiccatore, dell’efficienza funzionale dell’essiccatore stesso (velocità dell’aria, uniformità di circolazione all’ingresso e all’uscita degli spazi tra i telai sovrapposti o delle cortine di pasta sospesa agli appositi supporti) e, soprattutto, del rapporto massa/superficie dei formati da essiccare, dal momento che tale rapporto influenza in modo importante lo scambio termico tra l’aria calda e la pasta stessa, come pure la quantità di acqua liberata nell’unità di tempo, sotto forma di vapore, dalla superficie del formato. Nella pratica di utilizzo dell’essiccatore statico è quasi sempre opportuno che il parametro della temperatura impostato all’inizio della fase di essiccazione, se inferiore a 55 - 50 °C (ad esempio 48 o 45 °C), sia mantenuto inalterato per tutta la durata della fase. Ciò, allo scopo di assecondare in modo ottimale la dinamica igrotermica del processo per quanto riguarda i valori specifici del diagramma psicrometrico dell’aria umida interna all’essiccatore e l’entalpia corrispondente, impostando, pertanto, valori progressivamente minori di umidità relativa nel programma di essiccazione. Si stabilisce, così, una diminuzione dell’umidità assoluta dell’aria all’interno dell’essiccatore, mantenendo però costante la temperatura della pasta. In questa specifica condizione la temperatura della pasta tende a uniformarsi sempre più a quella effettiva dell’aria calda di ventilazione circolante all’interno dell’essiccatore fino a coincidere. Normalmente, tale condizione di equilibrio indica anche
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che la fase di essiccazione è prossima a terminare, oppure, che si è effettivamente conclusa. La Legge di Fick, specifica per la diffusione delle molecole dei gas, ma applicabile anche a quelle dei liquidi, definisce il flusso e la velocità di diffusione delle molecole in relazione al loro gradiente di concentrazione, vale a dire alla differenza di concentrazione in zone diverse del corpo nel quale il fenomeno ha luogo. Il flusso delle molecole - nel nostro caso, molecole d’acqua - è sempre diretto dalla zona a concentrazione più elevata a quella a concentrazione minore. La velocità di diffusione (numero di molecole trasferite nell’unità di tempo) dipende anch’essa dal gradiente di concentrazione, come pure dall’energia (termica) presente nel corpo interessato al fenomeno. La capillarità è il fenomeno con il quale i liquidi presenti in canali tubolari o in interstizi di diametro o spessore minimi (inferiori all’incirca a un decimo di millimetro) sono sospinti ad un livello diverso, superiore o inferiore a quello del liquido esterno agli interstizi o ai canali tubolari (capillari). Nell’essiccazione della pasta, le microparticelle d’acqua risalgono verso la superficie aderendo alle pareti degli interstizi di transito presenti tra gli strati interni e la superficie. Questo fenomeno è intimamente collegato a quello delle forze di tensione superficiale dell’acqua. Nell’essiccazione statica della pasta, per un malinteso “rigore tradizionalistico” legato al concetto di “essiccazione lenta a bassa temperatura”, i tempi complessivi del processo sono spesso esageratamente lunghi, nel senso che non si contano più soltanto le ore ma anche i giorni. Alla base di ciò c’è spesso la rigida mentalità del pastaio, legata all’ancestrale esperienza generazionale (così faceva mio nonno, così devo fare io...). Ma altrettanto spesso, a onor del vero, la lunga durata dell’essiccazione è dovuta alla prudenza e ai limiti con i quali deve essere utilizzato l’essiccatore, ancestrale anch’esso anche se di costruzione recente, quindi “geneticamente” vocato all’essiccazione del pomodoro, meno, molto meno, a quella pasta, che rispetto al pomodoro è una specie “aliena”. Comunque, una cosa deve essere chiara: per “bassa temperatura” si intende quella tecnologia che non determina nella pasta essiccata alcuna modificazione biochimica o organolettica nelle caratteristiche della materia prima utilizzata. E ciò comporta che il limite termico affinché questo risultato sia garantito, è dato da una temperatura di essiccazione non superiore ai 60 °C. (in realtà, il limite sarebbe anche un po’ più elevato, diciamo 65 °C, ma 60 °C sono già una grandezza valida per ottenere buoni risultati in tempi ragionevoli e confacenti alle esigenze di produzione e ai suoi costi, come pure alla fede e alle convinzioni di rigido rispetto della tradizione).
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Mercati Tendenze
Nel Meridione piace la pasta secca liscia
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di Delia Maria Sebelin
E cresce il gradimento per l’integrale
Nel Sud Italia l’amore per la pasta è nato nel Medioevo e da allora non è mai venuto meno: tutti o quasi mangiano pasta (99%) almeno 4-5 volte la settimana. In quest’area, nel 2016, sono state vendute oltre 378 mila tonnellate di pasta, il 36% del totale. Il doppio rispetto al Nord Est e un terzo in più rispetto a Nord Ovest e Centro. Significa che il consumo di pasta nel Meridione è superiore alla media nazionale, con circa 25-26 chili pro capite all’anno. È quanto sottolinea l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi) su elaborazioni dati Iri. Due curiosità mostrano però uno scenario in evoluzione: i veri fan della pasta stanno spostando il baricentro geografico dei consumi verso il Centro Italia, dove il 45% la mangia tutti i giorni, contro il 32%
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del Mezzogiorno. La porzione media di un piatto di pasta al Sud è di circa 80 grammi a persona: la più bassa del Belpaese. Per il 48% dei meridionali - secondo una ricerca Doxa-Aidepi - la pasta è l’alimento preferito. La scelgono per ragioni di gusto o salutistiche. La tipologia più acquistata è la pasta secca: quasi 4 pacchi su 10 sono venduti a sud di Roma, mentre il Nord Ovest è leader per la pasta fresca. Nel solco di questa tradizione, la novità è il crescente gradimento per la pasta integrale: circa la metà del campione (47%) dichiara di acquistarla, mentre tre anni fa erano solo il 14%. Da Roma (esclusa) in giù - evidenzia Aidepi - la pasta piace liscia. «Da noi al Sud la pasta è quella liscia per antonomasia - commenta Giuseppe Di Martino, noto imprenditore pa-
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Il Nord Ovest è leader per la pasta fresca
staio e presidente del Consorzio Pasta di Gragnano Igp - e questo per una ragione ben precisa. Storicamente, a Napoli la pasta rigata era prodotta solo per
Il presidente del Consorzio Pasta di Gragnano Igp, Giuseppe Di Martino
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i mercati del Nord. Era venduta dai gragnanesi sul mercato di Roma e per questo chiamata “uso Roma”, da cui i famosi rigatoni romani, ottimi con la pajata. Vengono invece indicate “uso Bologna” le farfalle, un formato che riproduce la tradizione emiliana della pasta sfoglia. Stile “Napoli” sono ziti e mafaldine insieme a tutte le variazioni di formati lisci». La ricerca su consumi e gusti di pasta in Italia è stata resa nota in occasione di una campagna di comunicazione lanciata da Aidepi per festeggiare i 50 anni della cosiddetta “legge di purezza sulla pasta” (Legge 580 del 1967), «l’unica normativa del genere voluta dai produttori - osserva Aidepi - che, fissandone i limiti qualitativi, garantisce alla pasta italiana di essere sempre la migliore al mondo». «Vogliamo rimettere al centro della pasta la mano del pastaio, ingrediente invisibile e spesso dimenticato del nostro piatto simbolo - spiega Mario Piccialuti, direttore di Aidepi - Alcuni vogliono far credere che per fare una pasta buona servano solo materie prime eccellenti, ma c’è molto altro. È importante che gli italiani riscoprano la passione, la storia, la
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Mercati
Un tempo la pasta rigata era prodotta solo per i mercati del Nord ricerca, i test sensoriali e di laboratorio, insomma, tutto l’impegno dei produttori dietro un’ottima forchettata di pasta». Solo al dente Interrogati sui fattori di qualità della pasta, i consumatori di regioni come Campania, Abruzzo, Molise,
Puglia, Sardegna e Sicilia, tutte zone ad alto tasso di conoscenza e di apprezzamento di questo alimento, hano risposto in linea con l’opinione nazionale: ai primi posti, tra i principali indicatori, che resti al dente e tenga la cottura (78%), che sia prodotta con grano di qualità (71%) e che si leghi perfettamente al condimento (58%). A tal riguardo, fanno riflettere alcune considerazioni di Gianfranco Vissani riportate da Il Messaggero: «Il patrimonio culturale italiano sono i primi piatti, ma ormai l’impiattamento li fa arrivare freddi in tavola, nessuno li sa più preparare, sono sempre scotti, persino l’acqua che si usa è sbagliata. Torniamo ai piatti veri». Il re dei fornelli parla chiaro: «Nella cucina eravamo avanti ma ci siamo persi. Basta che arrivino quattro farlocchi che decidono come si deve mangiare e tutto salta… A Masterchef non si vede nemmeno cucinare. E poi la cottura all’azoto o a basse temperature, che fa arrivare in tavola non uno spaghetto alla carbonara ma un omogeneizzato, una pappa». L’origine del grano: un’importanza… relativa Tornando alla ricerca di Aidepi, se interrogati su origine (italiana) del grano, qualità del cereale (indipendentemente dall’origine) e saper fare dei pastai, i nostri connazionali del Sud si confondono un po’ e mettono tutti e tre i fattori più o meno sullo stesso piano, con livelli di voto (da 1 a 10) che vanno da 8,6 a 9,1 per ciascuno dei 3 fattori. Quasi 1 italiano del Sud su 2 ritiene inoltre che il rapporto esistente tra prezzo e qualità sia costante (più costa più è buona), il 31% dice di non percepire grandi differenze e il 22%, addirittura, di trovare più buona quella che costa meno. Secondo Piccialuti, «i risultati di questa ricerca confermano che anche per i consumatori del Sud la vera
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Mercati
pasta è quella fatta dai pastai italiani con le migliori semole ottenute da grani duri di elevata qualità, italiani ed esteri. È così da sempre. Questo nostro piatto è frutto di una sapienza che si tramanda da millenni e sarebbe ingiusto, riduttivo e antistorico ricondurre la qualità di questo prodotto esclusivamente all’origine della materia prima, che da sola non basta a garantirne la qualità. Il successo dipende soprattutto dal saper fare dei pastai italiani, che selezionano i grani migliori per poi miscelarli nel modo giusto e produrre una pasta unica al mondo per sapore, profumo e tenuta in cottura». Il formato preferito Ogni italiano ha il suo formato di pasta preferito tra gli oltre 300 censiti da Aidepi, ma poi geograficamente l’Italia si divide in due, con Roma a fare da spartiacque tra due filosofie. Dalla Capitale (esclusa) in giù, la pasta piace liscia, che con il 13% delle preferenze tocca le punte più alte di gradimento a livello nazionale. Va detto che il 20% del campione sostiene che non esiste un formato migliore, ma tutto dipende dalle ricette. Lo conferma Giuseppe Di Martino: «Basta pensare al sugo alle vongole, impensabile senza uno spaghetto o una linguina. Sono formati perfetti per abbracciare il condimento e legarlo alla pasta grazie
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alla leggera perdita di amido dalle sue “alette”. Allo stesso modo, è inconcepibile abbinare gli spaghetti a un sugo importante come un ragù napoletano, perché è troppo “pesante” per essere catturato tra le spire di un formato così sottile. Molto meglio gli ziti spezzati o lo spessore e la porosità di una fettuccina». Ma perché la pasta rigata era venduta al Nord e a cosa si deve il gradimento per questo formato da Roma in su? «Al Nord questi formati sono diventati popolari per mascherare possibili difetti di produzione dovuti a tempi di essiccazione più lunghi. Con la sua texture di “picchi” e “valli”, la pasta rigata in cottura espone all’acqua più superficie, resta più al dente nella sua
Per il 20% degli intervistati il formato varia a seconda delle ricette
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di pasta in forma di fili” a Trabia, vicino a Palermo, mettendola in relazione con l’attività molitoria già preesistente. È da qui che la pasta secca di semola di grano duro è partita per conquistare lo Stivale, passando per Napoli e arrivando a Genova, fino a coprire tutto il bacino del Mediterraneo. Ma le curiosità su questo prezioso alimento non finiscono qui. Ve ne proponiamo alcune qui di seguito. L’ingegno dei pastai napoletani A cavallo tra il XVI e il XVII secolo, la Campania utilizza per prima la gramola a stanga, basata sul principio della leva per pressare l’impasto di acqua e farina, poi il torchio a trafila, un marchingegno che pressa la pasta lavorata su trafile modellate in varie fogge, dando vita a formati di pasta diversi tra loro. La pasta prodotta con questo macchinario verrà definita “pasta d’ingegno”.
parte spessa e rilascia più amido da quella più sottile - spiega Di Martino - Dà la sensazione di una pasta tenace anche quando è per metà sovracotta, mascherando eventuali difetti di produzione. Ecco perché questi formati erano più popolari al Nord dove, prima dell’invenzione dell’essiccamento artificiale, l’assenza di un microclima prevedibile e stabile rendeva più lungo e problematico questo processo. Nelle coste italiane del Sud, invece, il clima temperato secco permetteva di asciugare all’aperto grandi quantità di pasta con un basso rischio commerciale. Da noi i tempi di essiccazione variavano tra gli 8 e i 20 giorni a seconda del formato e del livello di umidità. Al Nord potevano durare mesi… Ancora oggi a Gragnano, dopo l’ora di pranzo, arriva puntualmente la brezza che dal mare si incanala nella nostra valle, portando con sé una percentuale di umidità che già allora consentiva di produrre pasta 12 mesi all’anno con una qualità costante. È uno dei segreti tramandati per secoli dai nostri pastai». Aneddoti… dal Sud Il legame tra la regina delle nostre tavole e il Sud Italia è profondo e ricco di aneddoti. Le prime testimonianze sulla sua produzione nel nostro Paese arrivano dalla Sicilia musulmana, in epoca medievale, nel corso del XII secolo. Il geografo arabo Idrisi parla di “un importante polo produttivo
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Il mito di Gragnano In questo stesso periodo nasce l’industria manifatturiera della pasta di Gragnano e di Torre Annunziata che, grazie alla sapienza degli artigiani della pasta campani, all’ottimo grano duro (importato soprattutto dalla Puglia e, più avanti, dal Mar Nero, con la famosa varietà Taganrog) e ai capitali messi a disposizione dai primi mugnai-imprenditori locali, nel corso del XVIII secolo diventerà il principale polo di produzione di una pasta celebre in tutto il mondo. A Gragnano si moltiplicano i mulini che macinano grano duro (diventeranno 25). Lo stesso accade a Torre Annunziata, che in breve diverrà, con la semola prodotta nei suoi mulini idraulici, il maggior fornitore della città di Napoli. Alla fine del Settecento i 26 pastifici di Torre Annunziata producono già circa 445 quintali di pasta al giorno. Pulcinella e la pasta A Napoli, a fine Settecento, il consumo pro capite di pasta è di 14 kg: i napoletani si guadagnano l’appellativo di “mangiamaccheroni”. La pasta secca è popolare perché è buona, sazia e costa poco. Piace anche a Pulcinella. Secondo Anton Giulio Bragaglia, «il principale attributo di Pulcinella sono i maccheroni (…) che egli può portare anche in tasca, già conditi e fumanti». I napoletani sono anche i primi a introdurre la cottura al dente, gettando la pasta nell’acqua solo quando questa raggiungeva il bollore. In precedenza era buttata prima, per cui scuoceva. ❙❘❘ Delia Maria Sebelin
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Photo: Giampaolo Ricò
Tendenze Pasta nel mondo
A ogni nazione… la “sua” pasta di Madel Nilebes
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Al Pasta World Championship vincono gli “Spaghetti alla carbonara di mare”. E i partecipanti fanno il punto sul gusto italiano… oltre confine
Si è svolta a Parma la VI edizione del Barilla Pasta World Championship, la competizione dedicata ai talent chef internazionali e al piatto simbolo della cucina italiana. A trionfare, tra i 19 contendenti provenienti da 15 Paesi e 4 continenti, è stato Accursio Lotà, siciliano trapiantato in California, a San Diego, del ristorante Solare. Ad assicurargli la vittoria sono stati gli “Spaghetti alla carbonara di mare”. E non è un caso, visto che si tratta della ricetta di pasta più cosmopolita, la più discussa, imitata o reinterpretata. Nella versione di Lotà, la carbonara è un omaggio ai sapori e ai profumi opulenti della sua terra. La base è un carpac-
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cio di ricciola e la finitura i gamberi rossi di Mazara. Nel mezzo, i classici spaghetti sono mantecati con uova… di mare. Uova di salmone marinate, bottarga di tonno, uova di riccio e caviale, che danno in bocca la sensazione avvolgente e densa della carbonara. Il guanciale c’è, ma… in memoria: nel suo grasso sono state scottate le capesante. A pulire la bocca, la freschezza del mandarino. Nella finale ha trionfato sugli altri due finalisti, l’israeliano Omir Cohen, con le sue “Linguine con cernia al vapore e salsa romesco”, e il giapponese Keita Yuge, che ha proposto “Fusilli con variazione di scampi e lenticchie”.
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Il vincitore, Accursio Lotà, con Paolo Barilla. In apertura, il piatto della vittoria
nia, dove ha cucinato anche per l’allora presidente americano Barack Obama. Dopo una breve parentesi in Italia è tornato negli Usa, a San Diego; oggi è chef del Ristorante Solare ed è stato eletto Best Chef di San Diego per tre anni consecutivi.
Il re di questa edizione, siciliano di Menfi, ha sempre desiderato diventare uno chef. Dopo il diploma ha lavorato a Milano al ristorante del Four Season Hotel con Sergio Mei. A 22 anni si è trasferito in Califor-
Nel mondo più di 50 Paesi consumano 1 kg di pasta pro capite all’anno PASTA&PASTAI
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La pasta unisce i popoli «Il Barilla Pasta World Championship è arrivato alla sua VI edizione e anche quest’anno si conferma un’occasione importante per promuovere la cultura gastronomica italiana, che ha nella pasta il suo ingrediente cardine, premiando chi porta la nostra vera cucina all’estero», sostiene Paolo Barilla, vice presidente del Gruppo Barilla. «Questo evento è nato per celebrare la pasta e sottolinearne la grande versatilità, la sua capacità di adattarsi a culture e società molto diverse tra loro, senza perdere la propria identità. Del resto, la pasta unisce, lega le persone, e racchiude in sé tradizione e innovazione». «Sono particolarmente felice di questo riconoscimento - ha dichiarato Accursio Lotà - È stata già una grande emozione essere scelto tra i tre finalisti, vincere, poi, è una gioia immensa». Secondo lo chef, il suo è un piatto barocco che incarna una visione tradizionalista del futuro della pasta: «Lavoro all’estero, ma le mie origini italiane mi impongono di rispettare la tradizione della pasta, a cominciare dalla cottura al dente. Preferisco “giocare” su salse e con-
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Pasta nel mondo
dimenti lasciando intatta la pasta, che nella sua semplicità è perfetta così com’è». Dimmi come la mangi, ti dirò da dove vieni Negli ultimi 15 anni la produzione mondiale di pasta è aumentata di quasi il 57% e sono ben 52 (20 anni fa erano 30) i Paesi che ne consumano almeno 1 kg pro capite all’anno. Secondo uno studio della Ong Oxfam, condotto in 17 Paesi su un campione di 16 mila persone, la pasta è il piatto preferito a livello mondiale. E ogni area del globo la assapora in modi diversi. Infatti, come hanno dimostrato i partecipanti della competizione, la cucina della pasta nei ristoranti all’estero quasi mai ricalca il procedimento tradizionale tanto caro a noi italiani (cottura al dente, ingredienti ispirati alla dieta mediterranea, porzioni massimo di 70-80 grammi). Al Campionato ideato da Barilla, gli chef hanno portato le loro esperienze e le loro ricette per educare al gusto very italian. Con le meatballs in Usa Gli americani, come è noto, sono “pasta lovers”: ne consumano 8,8 kg pro capite l’anno, circa il doppio rispetto agli anni ’80. E se il formato preferito sono gli spaghetti, seguiti da spaghettini, gomiti e rotelle,
la salsa più gettonata è quella ai formaggi (37%). La ricetta preferita? Spaghetti con meatballs: un must da quelle parti. Anche perché gli americani amano il piatto unico e veloce. Conosce bene le abitudini del popolo a stelle e strisce Leonardo La Cava, chef romano ora a Miami, consapevole delle difficolta di formare i consumatori statunitensi al gusto della vera pasta italiana “al dente” e delle storture presenti nei menù di tanti ristoranti per turisti. «È un dato di fatto che chef e ristoratori a Miami scelgono spesso di adattarsi al gusto dei clienti: non possono essere troppo estremi e la pasta cucinata nei ristoranti è per forza di cose americanizzata. Le ricette che vanno per la maggiore, insieme agli spaghetti alla bolognese, sono le “fettuccine all’Alfredo”, fatte passare per italiane, ma che in realtà del nostro modo di cucinare la pasta conservano ben poco. Inoltre, nei ristoranti più turistici c’è la tendenza a condire molto la pasta, soprattutto con panna, burro e salse pesanti. Tuttavia, esistono dei ristoranti con proprietari e chef italiani dove è possibile mangiare un piatto di pasta che si avvicina al nostro gusto e al nostro modo di cucinarla, ma non possiamo parlare di pasta autenticamente all’italiana». Al Barilla Pasta World Championship, La Cava ha presentato la ricetta “Cacio e pepe con gamberi rossi, tartare di mango e lamponi”, perfetta fusione delle due città che lo rappresentano: la cacio e pepe,
In finale Lotà si è confrontato con l’israeliano Omir Cohen e il giapponese Keita Yuge
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Pasta nel mondo
affermare modelli gastronomici più sani e ispirati alla dieta mediterranea. «La cottura “al dente” - afferma Da Muro - ha difficoltà ad incontrare i gusti degli inglesi e se proposta al ristorante la pasta è percepita come cruda. La maggior parte dei ristoratori, per lavorare, si adegua ai gusti locali e il prodotto finale è un piatto ben lontano da quello che siamo abituati a mangiare in Italia. Personalmente cerco di portare quel tocco di italianità e mediterraneità per mixare le esigenze del consumatore locale con la tradizione e finora i risultati sono stati molto buoni». A Parma lo chef ha preparato le “Linguine rocks and the sea”: un richiamo alla sua Procida e al mare, con ingredienti come pomodoro, cozze, vongole, triglie, vino bianco, prezzemolo e peperoncino, ma con una cottura innovativa, a vapore e sotto vuoto.
Il piatto di Omir Cohen: “Linguine con cernia al vapore e salsa romesco”
come sinonimo di tradizione e ritorno alle origini, e l’esotismo del mango, il frutto simbolo di Miami. Per pranzo in Uk Agli inglesi il piatto simbolo della dieta mediterranea piace a pranzo perché semplice, buono e veloce. A guidare il trend sono soprattutto i business men, che trovano nel carboidrato tutta l’energia per affrontare il resto della giornata lavorativa. E se nei ristoranti di medio livello è la pasta secca a farla da padrona, con carbonara e bolognese in testa, nei top restaurant londinesi a trionfare è la pasta fresca (soprattutto ravioli e tortellini). Nel racconto di Aniello Da Muro, dalla calda Procida alla fredda Londra, dove lavora nel ristorante del prestigioso The Arts Club, c’è la consapevolezza che la strada per migliorare la qualità della pasta cucinata in Inghilterra è ancora molto lunga. E questo nonostante gli sforzi delle istituzioni e dei media inglesi per
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In Francia è un contorno Si sa che i francesi sono molto nazionalisti. Per questo hano la tendenza a riprodurre le nostre ricette di pasta rendendole più “francesi”, pur cercando di mantenere l’idea italiana alla base, almeno secondo il loro punto di vista. Il risultato però non è sempre quello sperato. Le ricette in assoluto più diffuse sono la carbonara, rivisitata con l’aggiunta di panna, ingrediente molto diffuso nella cucina francese, e i classici spaghetti al pomodoro, che rappresentano un must. Anche se nel menù la pasta è considerata per lo più un contorno con cui accompagnare carne o pesce. È quanto emerge dal racconto di Federico Benedetto, responsabile dei contorni in un ristorante stellato di Parigi. «La pasta autentica si prepara solo in Italia e all’estero trovi delle reinterpretazioni create in base al gusto e alle abitudini alimentari locali. In Francia è proprio il concetto di pasta a essere molto diverso dal nostro. Viene considerato un contorno e non la pietanza principale di un pasto, specialmente del pranzo. Anche per quanto riguarda la scelta dei formati i francesi hanno gusti nettamente diversi dai nostri. A noi piacciono quelli che consentono di tenere la cottura, che danno resistenza e consistenza al piatto. I francesi prediligono invece i formati piccoli, più appetibili se si pensa alla pasta come un contorno. Il più diffuso e popolare in Francia è le “petites coquilles”, le conchigliette piccole». Al Pasta World Championship ha presentato le “Linguine al limone, vongole e la loro polvere”, scandendo questo piatto in due più piccoli ben distinti: le linguine da una parte e le vongole ripiene dall’altra. Una scelta dettata dalla volontà di valorizzare la pa-
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Pasta nel mondo
I “Fusilli con variazione di scampi e lenticchie” del finalista Keita Yuge
sta da sola nella sua purezza e dalla voglia di preparare una ricetta di pasta secondo l’interpretazione tipicamente francese, quella, appunto, del contorno. A Stoccolma no ai compromessi In Svezia si sta vivendo una vera e propria rivoluzione culturale nel settore della ristorazione, con una forte crescita della cucina vegetariana, green e dello slow food. Per questo a Stoccolma lo chef napoletano Edoardo Ottati può dialogare con un popolo molto aperto ai cambiamenti e disposto a sperimentare. «Il principio che seguo è cucinare quello che io stesso mangerei: il lavoro del cuoco significa prima di tutto rispettare il prodotto che si utilizza, dietro al quale c’è una storia da rispettare. Per questo motivo, invece che scendere a compromessi col gusto del cliente, io tento di educarli soprattutto nella cucina della pasta. Può capitare che una piccola percentuale della clientela non comprenda il mio approccio alla cucina e trovi la pasta cruda, ma fa parte del gioco e bisogna accettarlo. In generale, gli svedesi non sono clienti che si lamentano, anzi, accade spesso che le persone vogliano sperimentare una cucina diversa ed è bello che funzioni così in Svezia, perché sedersi a tavola è anche cultura, condivisione». Per la competizione Ottani ha proposto “Spaghetti con n’duja, mandorle e vongole”. In Svezia i cibi piccanti riscuotono molto successo «e l’n’duia piace molto».
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In evoluzione in Cina Di Pechino, una carriera che lo ha già visto al lavoro nei ristoranti di alcuni degli alberghi più rinomati della capitale cinese, lo chef Leon Li ha un punto di vista privilegiato sulla pasta nel suo Paese. Dove quella di grano duro italiana entra da outsider a sfidare gli spaghetti cinesi, ma mostra un trend in crescita nonostante il concetto occidentale di “bollire e scolare” mal si sposi con gli utensili e l’architettura della cucina asiatica. Secondo Li, «in Cina la pasta è diventata molto popolare soprattutto tra i giovani. Come chef ricevo feedback positivi, perciò ritengo che i miei piatti di pasta soddisfino il gusto locale. Per quanto riguarda il futuro della pasta in Cina, penso che il suo sviluppo sarà sempre maggiore e probabilmente diventerà una pietanza essenziale sulle tavole di ogni famiglia». Leon Li ha gareggiato con “Rigatoni tiepidi con ceviche di scampi”: «Mi sono inspirato ai ravioli cinesi - rivela lo chef - a cui ho voluto aggiungere un tocco di internazionalità. Ho deciso di realizzare questo piatto tiepido invece che caldo e ho mantenuto la freschezza degli ingredienti lasciandoli quasi crudi, scegliendo di condire i rigatoni con un ceviche di scampi per dare quel pizzico di “fusion” a una ricetta di ispirazione orientale e richiamare un po’ i sapori dell’Italia meridionale». ❙❘❘ Madel Nilebes
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Le aziende informano
Quando l’integrale sposa gli gnocchi a cura di Molino Pasini
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Un preparato integrale completa la gamma della linea “Preparati per gnocchi” by Molino Pasini: una proposta ricercata, volta a riportare in tavola i sapori di una volta (Foto 1). Il mix è perfetto per la produzione a freddo di gnocchi integrali sia in caso di lavorazioni artigianali che completamente meccaniche. Consente di ottenere un prodotto consistente, scuro e dal caratteristico profumo integrale, totalmente privo di latte e uova.
lità: un marchio che va oltre le certificazioni riconosciute all’azienda e che rappresenta l’impegno a mantenere sempre alti gli standard qualitativi (Foto 2). Combinando esperienza, innovazione e progresso tecnico, il Sigillo di Qualità Molino Pasini vuole coronare un prodotto e un’intera filiera produttiva d’eccellenza. ❙❘❘ 2
Perché integrale? Il preparato per gnocchi con farina integrale di Molino Pasini nasce per rispondere alla richiesta di una clientela sempre più evoluta e attenta a un’alimentazione corretta dal punto di vista nutrizionale e salutistico. È, infatti, ricco di fibre, di elevata digeribilità e ha un aroma inconfondibile. Questo perché i cereali non raffinati sono una vera e propria fabbrica di sostanze preziose. La fibra alimentare è la loro caratteristica più conosciuta ed è considerata un nutriente importante per la salute; ma non è l’unico: sono molti gli elementi presenti, tutti con significativi effetti benefici per l’organismo: dai carboidrati alle proteine, passando per le vitamine e i sali minerali. Garanzia certificata Molino Pasini ha creato un nuovo riferimento di qualità non solo per questo preparato ma per tutti i suoi prodotti. È il Sigillo di Qua-
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PUBBLICITA’ «Nel mio progetto Foo’d metto molta attenzione nello scegliere le aziende con cui collaborare. L’alta qualità è un must, ma lo è anche la continuità nell’offrirla. Siglato un accordo, mi accerto sempre che vi sia continuità nell’eccellenza di prodotto». – Davide Oldani
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Procedimento
M O L I NO PAS I NI – M O L I N O PA S I N I .C O M
DESIGN: STUDIO OVER – PH: TRUNK STUDIO
Impastare gli ingredienti delicatamente avendo cura di aggiungere il sale verso la fine. Lasciar riposare l’impasto almeno 30 minuti coprendo con una pellicola trasparente, stando attenti che questa non ne sia direttamente a contatto. Formare a piacere il pane e mettere a lievitare per almeno 50/60 minuti. Cuocere in forno già precedentemente riscaldato a 180° per 28 minuti. N.B. Prima di infornare il pane, vaporizzare la superficie con acqua.
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Cuocitore per couscous: una tradizione di tutela a cura di Storci
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Una delle prime attestazioni della presenza del couscous nel panorama storico-alimentare risale al XIII secolo nell’area della Spagna musulmana. Da quel momento la sua diffusione sarà altissima, diventando un prodotto fondamentale per il regime alimentare di buona parte delle popolazioni del Mediterraneo. Indubbiamente, la tecnologia moderna deve fare i conti con questa tradizione fatta di consistenze, profumi, sapori, tempi e modi. Una delle fasi più delicate e determinanti per la buona riuscita del couscous è la cottura: nella produzione domestica dovrebbe passare al vapore due/tre volte. Se cotto a dovere, il risultato è un prodotto morbido e leggero, non gommoso e privo di grumi. Storci cura molto questa fase e il frutto è il cottore, che della Couscousline è il punto di forza. Il couscous, una volta giunto nel cuocitore, cade su un tappeto realizzato con un materiale che permette al vapore la migliore cottura del prodotto. Al momento dell’ingresso nel cuocitore, il couscous è subito livellato in modo tale da creare uno strato omogeneo in altezza che garantisce una cottura uniforme. Lungo tutta l’estensione della macchina sono presenti dei tubi iniettori che fanno entrare il vapore all’interno della camera e avvolgono completamente il prodotto. All’uscita della camera di cottura il couscous incontra un sistema rompi-grumi; nella fase successiva scende in un circuito di trasporto in depressione che lo recupera e lo manda verso l’essiccatoio. La parte di prodotto che non si è sgranata viene riselezionata e le particelle troppo grosse saranno poi reinserite nel sistema per essere “sminuzzate” finché non raggiungono la granulometria adeguata.
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Controllo del vapore Il cuocitore Storci è alimentato da un gruppo vapore. In passato, nelle macchine di vecchia generazione, la quantità del vapore utilizzata per cuocere era calibrata manualmente, stava quindi all’operatore comprenderne le dinamiche in fase di cottura in modo da realizzare un buon couscous. Oggi, al contrario, Storci offre strumentazioni moderne che consentono la contabilizzazione e il controllo del vapore utilizzato in fase di cottura, con un notevole risparmio dello stesso. Pulizia del cuocitore Il sistema di pulizia del cuocitore prevede l’attacco dell’ingresso dell’acqua direttamente alla tubazione della macchina. Il tappeto del cuocitore può essere pulito in itinere tramite una spazzola rotante che toglie eventuali granelli attaccati. È in fase di studio un sistema per sollevare completamente il coperchio del cottore e dare all’operatore più possibilità di movimento. Anche le acque utilizzate per la pulizia sono convogliate in una vaschetta posta sotto la macchina e indirizzate ad uno scarico collegato direttamente alla rete fognaria per una pulizia facile e completa. Sicuramente la produzione industriale ha eliminato la componente rituale tipica della preparazione, che prevedeva tempi estremamente dilatati a beneficio del prodotto stesso. La tecnologia Storci ha aiutato a ridurre i tempi tutelando, al contempo, le straordinarie caratteristiche del couscous e mantenendo intatto il suo sapore senza asservirlo alle “ragioni del mercato”: lo prova il grande successo che le Couscousline hanno da sempre nelle zone “doc” del couscous. Ancora oggi le linee Storci e il cottore sono le più vendute nell’area del Maghreb. ❙❘❘
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151 OTTOBRE
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Il sapore del mare “incontra” UNIQUA verde a cura di Molino Dallagiovanna
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Tentacoli di Tritordeum Il calamaro - detto Loligo vulgaris, della famiglia dei molluschi cefalopodi - ha da sempre ispirato leggende su terrificanti mostri marini, come il tremendo Kraken. In realtà, il mollusco gigantesco esiste davvero ed è il più grande invertebrato del Pianeta. La sua vita è un mistero: abita le acque dell’Antartide a circa 2.000 metri di profondità e non è mai stato osservato nel suo ambiente naturale. Tuttavia, studiando alcuni enormi esemplari catturati qualche anno fa, gli scienziati hanno scoperto che è tutt’altro che il vorace predatore degli incubi letterari e cinematografici: possiede un metabolismo lentissimo ed è un cacciatore “pigro”.
Kraken, il calamaro gigante reso celebre dalla letteratura
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Il calamaro europeo o calamaro comune è un mollusco cefalopode
Infatti, per cibarsi deve aspettare che la preda gli passi sotto il naso prima di afferrarla, altrimenti resta fermo in agguato. Un suo tipico pasto, un pesce dei ghiacci attorno ai cinque chili, può consentirgli di sopravvivere fino a 200 giorni. Oltre ai miti e alle specie rare, ci sono anche calamari alla portata delle nostre tavole e dei nostri mari, sebbene spesso, in pescheria, siano confusi con il totano, cugino più grande e meno pregiato, dal quale si distinguono per la forma della coda (con alette), i tentacoli (lunghi uguali e senza uncini) e il colore (grigio-rosato). Non mancano neppure le differenze in cucina, sia in termini di gusto che qualità delle carni. Il calamaro ha una texture morbida, i totani sono più duri e gommosi. Il primo,
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Le ricette del maestro Walter Zanoni
SPAGHETTI NERI TRAFILATI CON CALAMARI E PESTO DI RAPERONZOLI Ingredienti per la preparazione della pasta da trafila (circa 1,4 kg di pasta al 100%) Farina UNIQUA verde - Tritordeum Dallagiovanna
500 g
Semola di grano duro rimacinata
500 g
Acqua
60 g
Uova intere liquide
304 g
Nero di seppia
25 g
Sale fino
12 g
Ingredienti per la preparazione del pesto Raperonzolo
100 g
Olio extra vergine di oliva
100 ml
Sale e pepe
40
Quantità 250 g
Anacardi
poi, è ricercato in cucina e offre un profilo nutrizionale interessante: è ipocalorico e le sue carni sono magre, dunque ideale per diversi tipi di dieta, e le poche calorie provengono da proteine ad alto valore biologico. Inoltre, è ricco di sali (sodio, potassio, calcio e fosforo) e presenta un buon contenuto di vitamine. Un ingrediente prezioso e ricco, proveniente da una pesca locale, che si presta a diverse preparazioni. Il maestro pastaio Walter Zanoni lo propone in un primo piatto. Ecco, quindi, come preparare degli spaghetti prelibati, caratterizzati da un impasto con UNIQUA verde Tritordeum di Dallagiovanna, per portare in tavola tutto il sapore del mare. ❙❘❘
Quantità
q.b.
Ingredienti per la preparazione del piatto (4 porzioni)
Quantità
Pasta da trafila al nero di seppia
320 g
Calamari
300 g
Pomodorini datterino semi-disidratati Pesto
50 g 30 ml
Peperoncino
q.b.
Per la preparazione della sfoglia. Stemperare nell’uovo l’acqua, il nero di seppia e il sale. Mettere le farine in macchina e versare a filo i liquidi. Impastare e trafilare.
Per la preparazione del pesto. Frullare il raperonzolo con gli anacardi, l’olio, il sale e il pepe. Per la realizzazione del piatto. Pulire e tagliare a rondelle fini i calamari; condire con sale e abbondante olio e mettere sottovuoto. Cuocere i calamari a 65 °C per almeno 20 minuti. Cuocere la pasta, condire con i calamari e il peperoncino e servire con il pesto di raperonzoli e i pomodorini datterino.
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Sana 2017: tutti i numeri del bio
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Si è svolta a settembre, a Bologna, la 29a edizione di Sana, il Salone internazionale del biologico e del naturale, piattaforma di incontro per le aziende molitorie e pastarie che, seguendo una tendenza dal futuro promettente, offrono prodotti bio. Il biologico, infatti, piace sempre più, come confermano i dati dell’Osservatorio Sana 2017. Promosso da BolognaFiere e con il patrocinio di FederBio e Assobio, l’Osservatorio offre una panoramica del mercato biologico italiano, attraverso l’analisi di diversi dati realizzata da Nomisma. Le cifre, raccolte su un campione rappresentativo di 850 responsabili degli acquisti alimentari domestici, unitamente a quelli presentati da Sinab (Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica per il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali) e da Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), fanno il punto sull’attuale situazione della filiera biologica dalla produzione alla distribuzione, tracciano un quadro completo delle dimensioni del mercato e presentano l’identikit del consumatore e delle sue abitudini di acquisto.
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Una crescita costante La survey Nomisma rivela un interesse sempre più forte per i prodotti bio: le famiglie acquirenti - con almeno una occasione di acquisto consapevole di un prodotto bio negli ultimi 12 mesi - salgono al 78% del totale (quota in costante crescita: solo cinque anni fa era del 53%). Tra gli user bio, il 60% è frequent user, ossia consuma prodotti biologici almeno una volta a settimana. Chi prova il bio si affeziona facilmente: l’89% dei consumatori ha iniziato ad acquistarlo da alcuni anni e continua a farlo ancora oggi; solo l’11% ha scoperto il bio nell’ultimo anno. La grande distribuzione è il canale a cui il consumatore ricorre con più frequenza: il 46% degli user compra bio in ipermercati e supermercati, coniugando la comodità di fare la spesa in un’unica occasione e sfruttando la crescente disponibilità di referenze presenti sugli scaffali. I negozi specializzati sono il secondo canale preferito (il 15% delle famiglie acquirenti ricorre in prevalenza a questa tipologia di store) e punto di riferimento soprattutto per i grandi appassionati di prodotti bio, grazie all’ampio assortimento in tutte le categorie di prodotti e alla possibilità di fruire di consigli e informazioni. ❙❘❘
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Fiere & convegni
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Cresce il free from e l’Ice supporta il Gluten Free Expo
Italian Trade Agency - Ice, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ha deciso di supportare Gluten Free Expo, il Salone dedicato ai prodotti e al mercato del senza glutine, che si terrà a Fiera di Rimini dal 18 al 21 novembre in contemporanea con Lactose Free Expo, la manifestazione focalizzata sui cibi e sul trade del senza lattosio. Ice sarà partner del programma di incoming di entrambi gli eventi, con buyers esteri provenienti da tutto il mondo che andranno a completare e rafforzare il già collaudato format che gli organizza-
tori hanno attivato lo scorso anno e che ha riscosso un notevole successo tra gli espositori. Inoltre, Ice offrirà il suo supporto per la realizzazione di un Osservatorio sul mercato del gluten free, con un focus su un Paese europeo che andrà a integrare l’Osservatorio annuale di Gluten Free Expo dedicato al comparto italiano. Per Gluten Free Expo e Lactose Free Expo è un’operazione importante, in linea con l’interesse a livello internazionale verso le due manifestazioni e il mercato dei prodotti senza glutine e senza lattosio, oltre ad aggiungere un tassello decisivo al percorso di sviluppo estero intrapreso in questi anni. Senza glutine e senza lattosio Gluten Free Expo nasce nel 2012 come primo evento internazionale dedicato ai prodotti e al mercato del senza glutine. È il punto di incontro per tutti i player del settore del gluten free e si rivolge agli operatori professionali della filiera. La manifestazione, che ha ottenuto da Accredia la certificazione ISO 25639, quest’anno si terrà in contemporanea con Lactose Free Expo, il primo e unico Salone internazionale dedicato al mercato e ai prodotti senza lattosio. Il mercato del “senza” Secondo i dati raccolti dall’Iri nel corso del 2016, il mercato free from in Italia ha registrato un incremento del 5,1%. Più nel dettaglio, il volume d’affari dei prodotti senza glutine è aumentato del 27%, fatturando 320 milioni di euro, mentre quello dei senza lattosio è cresciuto del 18%, con un giro d´affari di 393 milioni di euro. Gluten Free Expo e Lactose Free Expo si confermano come punto di riferimento internazionale per il mercato del senza glutine e del senza lattosio, coprendo tutta la filiera produttiva: dai macchinari alle materie prime, passando per i semilavorati e i prodotti finiti. ❙❘❘
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