Pasta & Pastai 175

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Colophon

Sommario

Pasta&Pastai n. 175 Anno XXV - OTTOBRE 2020 L’INFORMAZIONE PROFESSIONALE PER LA PASTA FRESCA E SECCA

ANNO XXV

175

ISSN 1824-9523

Tariffe R.O.C. Poste Italiane - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) Art. 1 comma 1 DCB Bologna

OTTOBRE 2020

Shelf life o service life? Scopriamo le differenze

Pasta estrusa o trafilata: non sempre a tavola si distinguono Edizioni Avenue media®

Direttore responsabile Claudio Vercellone Comitato tecnico e scientifico Alfio Amato Alimentazione e salute

Domenico Ciappelloni Materie prime

Giacomo Deon Area Agroalimentare

pagina 20

n EDITORIALE Ripresa economica fra dubbi e realtà ............. 2 di Delia Maria Sebelin

n RUBRICHE Mondo pasta .................................................. 4 n ARTICOLI TECNICHE DI PRODUZIONE

Pasta estrusa o trafilata, le differenze a tavola ....................................... 6

di Stefano Zardetto

Maurizio Monti

SICUREZZA ALIMENTARE

Tecnico farine a grano tenero Miller’s Mastery

di Valerio Giaccone

Roberto Tuberosa

GRABBING INDUSTRIALE

Genetica agraria

Responsabile di redazione Delia Maria Sebelin ufficiostampa@avenue-media.eu 051 6564337 Pubblicità Massimo Carpanelli carpa@avenue-media.eu 348 2597514 In questo numero V. Giaccone, G.M. Durazzo, D.M. Sebelin, S. Zardetto Foto di copertina Sigep (autore: Zani) Trattamento dei dati personali ai sensi del Regolamento (Ue) 679/2016. L’informativa Privacy è disponibile sul sito di Avenue media www.avenuemedia.eu alla pagina “Informativa Privacy Editoria” www.avenuemedia.eu/informativa-privacy-editoria Rivista chiusa in tipografia a ottobre 2020

pagina 26

Si fa presto a dire “shelf life” ....................... 12

Agroalimentare: un orgoglio nazionale da tutelare .................................................. 20

di Giuseppe Maria Durazzo

PASTA ARTIGIANALE

Se è “Pasta Tua” l’eccellenza è garantita ................................. 26

di Delia Maria Sebelin

n BUYERS’ GUIDE Le aziende informano ..................................... 36 Eventi .......................................................... 42 Elenco inserzionisti ........................................ 44 Gli autori sono pienamente responsabili degli articoli pubblicati che la Redazione ha vagliato e analizzato. Ciò nonostante, errori, inesattezze e omissioni sono sempre possibili. Avenue media, pertanto, declina ogni responsabilità per errori e omissioni eventualmente presenti nelle pagine della rivista.

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PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


Editoriale

di Delia Maria Sebelin

Ripresa economica fra dubbi e realtà

L’

incubo coronavirus sta tornando e siamo costretti a fare i conti con un’altra emergenza sanitaria, oltre che economica e sociale. In questo contesto, il settore agroalimentare può diventare un punto di riferimento per tutto il Sistema Paese, e le parole che il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio, ha rilasciato a Cibus Forum lo confermano: «L’industria alimentare, dopo essersi rivelata fondamentale nel periodo strettamente legato all’emergenza, può ancora fare da traino economico e tornare ai livelli precrisi velocemente». Ma questo auspicio si può davvero concretizzare? Perché, sempre secondo Vacondio, la forza dimostrata dal nostro food&beverage durante il lockdown «non deve essere scambiata per uno stato di benessere». E se «il 2020 è l’anno nero anche per il nostro agroalimentare, per riprenderci in fretta abbiamo assoluto bisogno del sostegno del Governo». Come? «Mi riferisco in particolare ai finanziamenti a fondo perduto per

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il settore Horeca, essenziali per far rialzare il settore della ristorazione. Se ci sarà questo supporto, sono convinto che, entro la fine del prossimo anno, l’industria alimentare tornerà ad essere il volano dell’economia italiana». Che i soldi arrivino ci si può credere, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza lascia ben sperare. Ma saranno investiti in modo appropriato? Troppo spesso siamo stati scottati da misure più politiche che economiche, costruite soprattutto per ottenere consenso. Pensiamo a quei famosi 600 euro di indennità per le partite Iva e i liberi professionisti. Poco più di una mancia, se poi ci sono tasse e contributi da Il Piano versare anche per quei mesi Nazionale in cui si è fatturato poco o nulla. Servono aiuti, sopratdi Ripresa tutto per le piccole e medie e Resilienza imprese e per i laboratori fa ben sperare artigiani, i più martoriati dal periodo di fermo. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


Editoriale

A Cibus Forum, il ministro degli Affari Esteri, Luigi Di Maio, nel corso del suo intervento ha confermato l’impegno del Governo a sostegno del comparto agroalimentare: «Vogliamo trasformare ogni ambasciata italiana nel mondo in una casa delle imprese perché l’Italia e le nostre aziende devono crescere ed esportare le nostre eccellenze ovunque. Molti sono gli interventi che abbiamo previsto, a cominciare dal rilancio del settore fieristico, che ora potrà contare su una piattaforma digitale, Fiera 365, a disposizione di tutti gli operatori. Abbiamo inoltre creato un programma straordinario di incoming fisico e virtuale attraverso il quale accoglieremo nel nostro Paese buyer, influencer, giornalisti e altri player determinanti per il rilancio del brand Italia nel mondo, a L’industria cominciare dalla filiera alimentare agroalimentare che ne rappresenta una delle eccellenpuò trainare ze maggiormente conosciula ripresa te ed apprezzate». dell’economia La necessaria collaborazioitaliana ne tra le componenti della filiera agroalimentare è stata sottolineata anche da Giorgio Santambrogio, past president di Associazione Distribuzione Moderna e Ceo del Gruppo VèGè: «La grande distribuzione vuole collaborare con l’industria e l’agricoltura per affrontare nel modo migliore la crisi causata dall’emergenza Covid-19. Ad esempio, stiamo lavorando insieme per eliminare tutte le pratiche unfair come il caporalato nei campi e le aste a doppio ribasso. A proposito di queste ultime, abbiamo sostenuto la nuova legge che è già passata alla Camera ed ora è in discussione al Senato. Il confronto è aperto anche sul terreno dei prezzi e delle promozioni». A Cibus Forum è stato presentato anche il report PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020

Nielsen sull’andamento dei consumi nell’era Covid (vedi Pasta&Pastai n. 174, ndr). Dopo il boom nel periodo del lockdown, le vendite del Largo Consumo si sono stabilizzate ma continuano a mantenersi positive. Le famiglie, ormai abituate a nuove categorie di spesa, comprano ancora surgelati, farina, pasta, riso, prodotti igienici, ecc. Secondo l’indagine, il fattore prezzo sarà sempre più determinante e continueranno a crescere le vendite nei discount e nei negozi specializzati. Avremo una polarizzazione dei prezzi, con una domanda crescente sia verso quelli bassi che su quelli alti, e decrescente nella fascia media. L’e-commerce, poi, continuerà a correre. Quindi, le prospettive per uscire dall’impasse sembrano esserci, i finanziamenti per concretizzarle sono arrivati anche dall’Europa. Sorge però spontanea una domanda: visto che non tutti questi soldi sono a fondo perduto, oltre a pensare come spenderli, non sarebbe anche il caso di pianificare come restituirli? Delia Maria Sebelin

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Mondo pasta

Dedicato Dedicato Integrale, Integrale, 100%100% mademade in Puglia in Puglia Granoro presenta Dedicato Integrale, la nuova e unica pasta a filiera corta prodotta solo con i migliori grani duri 100% pugliesi, naturalmente privi di residui di fitofarmaci, glifosato e micotossine. Dedicato Integrale è il risultato di un particolare processo di produzione che passa dalla decorticazione a pietra e prosegue con una macinazione lenta e intera dei chicchi, che consente di recuperare nelle giuste proporzioni e nel giusto grado di abburattamento le parti cruscali e dell’endosperma. La semola così ottenuta presenta proprietà nutrizionali superiori perché ricca di fibre, minerali, vitamine, proteine, grassi e di una frazione di germe di grano. Al tatto è ruvida e porosa, in cottura è tenace e consistente, e al palato ha un gusto eccellente, ricco dei profumi tipici del grano migliore.

Pasta all’uovo sì, ma con grano 100% tricolore

Accordo Rummo-Coldiretti in nome della qualità italiana

Il passaggio al “100% italiano” della pasta all’uovo Luciana Mosconi è il risultato di un lungo lavoro di ricerca che ha coinvolto agronomi, coltivatori e maestri pastai. Per il nuovo “blend” tutto italiano è stato selezionato un grano duro di altissima qualità proveniente per la maggior parte da due regioni: le Marche e la Puglia. La nuova confezione afferma con orgoglio e sintesi grafica i principali valori del pastificio marchigiano: il payoff “Ruvida, tenace. Marchigiana” riassume i punti di forza delle specialità e le infografiche mettono in risalto non solo l’eccellenza e la provenienza delle materie prime, ma anche l’esclusivo e inimitabile processo di lavorazione del Metodo Luciana Mosconi.

Se finora l’uso di materia prima made in Italy riguardava solo le linee biologiche, adesso tutta la pasta Rummo sarà prodotta con grano italiano privo di pesticidi. Infatti, l’impresa di Benevento ha stretto un accordo con Coldiretti e ha già ricevuto una prima fornitura di 8 mila quintali dal Consorzio dei produttori sanniti. Secondo i termini del disciplinare di produzione, le 100 tonnellate annue di grano necessarie al pastificio per soddisfare il proprio fabbisogno arriveranno solo da campi italiani. Inoltre, è garantito un tasso proteico almeno del 15% e la totale assenza di pesticidi. La notizia arriva dopo oltre un anno di sperimentazione in cui Rummo e Coldiretti hanno promosso uno studio sui semi più adatti a raggiungere la qualità desiderata, eseguito dalla Società Italiana Sementi di Bologna. Dopo aver esaminato gli esiti della ricerca, è stato stilato il disciplinare di produzione ed è partita la sperimentazione guidata dal Consorzio Agroalimentare Sannita (Cecas).

Nasce “MyBarillaSpace” Barilla ha scelto Microsoft per supportare digitalmente il piano di rientro in ufficio dei propri dipendenti, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza vigenti. Sebbene a partire da marzo lo smart working sia impiegato da Barilla in maniera estesa per tutelare i dipendenti, grazie a Microsoft Power Apps ha potuto implementare una soluzione che semplifica la gestione degli spazi aziendali e il monitoraggio delle presenze in ufficio. È nata così l’applicazione “MyBarillaSpace”, che fa leva sul Cloud di Microsoft, sulle planimetrie reali degli edifici e su un’interfaccia estremamente intuitiva per consentire agli utenti di prenotare in pochi clic la propria scrivania nell’open space, il posto in mensa e persino lo spogliatoio.

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Tecniche di produzione

di Stefano Zardetto - Tecnologo alimentare

Non sempre il consumatore riesce a distinguere all’assaggio un prodotto rispetto all’altro. Il motivo è a monte, nel processo di produzione

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l processo produttivo della pasta fresca pre- Queste due tecnologie determinano differenze sivede, dopo la fase di miscelazione degli in- gnificative nella matrice glutine-amido-acqua. Ma gredienti e la formazione della pasta nel- queste differenze sono rilevabili dal consumatore l’impastatrice, un passaggio nel quale l’im- nel prodotto dopo la cottura domestica? Cerchiamo di rispondere ricordando alcune peculiarità. pasto viene laminato. Come approfondito in un precedente articolo (vedi Pasta&Pastai n. 172, maggio 2020, ndr), la L’estrusione lamina è poi inviata alla macchina formatrice per Innanzitutto è giusto premettere che, a differenza l’unione con il ripieno se la pasta è farcita, o alla del processo di laminazione, il processo di estrupastorizzazione e al taglio nel caso della pasta sione può essere effettuato su impianti con caratliscia (tagliatelle, fettuccine...). La formazione teristiche completamente diverse e con variabili della lamina fino allo spessore di processo impostate in modo desiderato (generalmente compreQuesto complica la Estrusa o trafilata eterogeneo. so tra 0,8 e 1 mm) può avvenire comparazione tra le due tipologie può avere fondamentalmente in due modi: di pasta e i risultati che si ottengoper estrusione o per cilindratura porosità simili no possono differire, anche di (Figura 1). molto, tra loro.

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Tecniche di produzione

Figura 1

Il processo di laminazione

Ad esempio, lo studio di Abecassis et al., 1994, ha indicato che una maggiore idratazione della semola e una più alta velocità della vite nella camera di estrusione influenzano positivamente la

qualità in cottura della pasta (migliore tenuta in cottura e proprietà reologiche). Al contrario, una temperatura eccessiva dell’impasto all’uscita della trafila provoca un decadimento qualitativo e una peggiore performance in cottura. Ciò premesso, si può sicuramente affermare che, a parità di formulazione e con un processo di estrusione con un valore di SME pari a circa 50 kj/kg, le due tipologie di pasta, dopo la cottura, presentano caratteristiche chimico-fisiche significativamente diverse, anche se il processo di cottura tende a ridurre le differenze rilevate tra i due prodotti (Zardetto & Dalla Rosa, 2009).

La fase di cottura Il prodotto trafilato e quello laminato si comportano in modo diverso durante il processo di cottura. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020

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Tecniche di produzione

Grafico 1

Assorbimento dell’acqua durante il processo di cottura

Incremento di peso della pasta a seguito dell’assorbimento di acqua durante la cottura del prodotto (il simbolo del rombo è riferito all’estrusa, quello del cerchio alla cilindrata)

La pasta estrusa assorbe più acqua (Grafico 1), rilasciando una maggiore quantità di sostanze organiche nell’acqua di cottura rispetto a quella cilindrata. Questo comportamento sembra legato alla presenza di zone di discontinuità nel network proteico, con maggiori possibilità per l’acqua di entrare nella matrice e di idratare i granuli di amido (Pagani et al., 1989). Inoltre, l’effetto di “taglio” del processo di estrusione potrebbe determinare una depolimerizzazione dell’amido della pasta, con la formazione di molecole solubili in acqua, causando un incremento del materiale organico rilasciato nel liquido (Zardetto & Dalla Rosa, 2009). Cosa succede, invece, con la pasta estrusa? La superficie della pasta estrusa con trafile e inserti in bronzo appare, come ben evi-

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Tecniche di produzione

Sembra trafilata ma…

denziato dall’analisi al microscopio elettronico, molto porosa, a differenza di quella ottenuta con inserti in teflon che appare liscia e più compatta (Lucisano et al., 2008). Per effetto di tali caratteristiche, riscontrabili anche al tatto (si sente che è più rugosa), in cottura è in grado di assorbire in modo significativo più acUna buona qua/sugo per centimetro idratazione quadrato (Zardetto & Dalla della semola Rosa, 2009). Il maggior assorbimento di condimento migliora da parte di questa tipologia la qualità di pasta si ottiene se il prodella pasta cesso di estrusione è realizzato utilizzando trafile e inserti in bronzo. Se ciò non avviene, l’assorbimento del sugo non risulta significativamente diverso rispetto a quello del prodotto cilindrato.

Il considerevole aumento della quantità di sugo assorbito dal prodotto in presenza di una pasta con superficie non liscia rappresenta il motivo per cui, recentemente, alcuni produttori hanno simulato le caratteristiche del prodotto estruso utilizzando cilindri con superficie non liscia ma bugnata, in grado di imprimere, nella fase di cilindratura, una sorta di rugosità sulla sua superficie. E da un punto di vista sensoriale, il consumatore quale pasta preferisce? A questa domanda è molto difficile rispondere perché, in realtà, nessuno studio è disponibile in bibliografia. Possiamo però riportate i dati relativi a un test sensoriale effettuato su 20 consumatori di pasta fresca, a cui sono stati sottoposti entrambi i prodotti in un ambiente provvisto di luce blu per eliminare le differenze di colore che avrebbero potuto influire sulla scelta. I consumatori in grado di percepire una differenza tra le due tipologie di prodotto sono risultati essere pari a circa il 30% (Zardetto & Dalla Rosa, 2009). Questo dato deve essere però attentamente valutato, in quanto nella prova sono stati esclusi sia il parametro colore che quello di assorbimento del sugo, che potrebbero avere un peso significativamente importante nella valutazione dell’accettabilità complessiva dei due prodotti da parte dei consumatori, modificando così le conclusioni ottenute da questo test sensoriale. Stefano Zardetto

BIBLIOGRAFIA • Abecassis, J., Abbou, R., Chaurand, M., Morel, M. H., & Vernoux, P. (1994). Influence of extrusion conditions on extrusion speed, temperature, and pressure in the extruder and on pasta quality. Cereal Chemistry, 71(3), 247-253. • Lucisano, M., Pagani, M.A., Mariotti, M., Locatelli, D.P. (2008). Influence of die material on pasta characteristics. Food Research International, 41, 646-652. • Pagani M.A., Resmini P., Dalbon G. (1989). Influence of the extrusion process on characteristics and structure of pasta. Food Microstructur, 8, 173-182. • Zardetto, S., Dalla Rosa, M. (2009). Effect of extrusion process on properties of cooked, fresh pasta. Journal of Food Engineering, 92, 70-77.

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Sicurezza alimentare

di Valerio Giaccone Prof. ordinario di “Ispezione e Controllo degli Alimenti di Origine animale”, Università di Padova

Come districarsi nelle sue numerose definizioni e le differenze con la “service life” e la “vita commerciale”

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er essere commerciabile, un alimento deve, prima di tutto, rispondere a criteri previsti per legge: non essere dannoso per la salute umana e presentare caratteristiche organolettiche e di composizione tipiche gradite ai consumatori. Tali caratteristiche vanno mantenute invariate il più a lungo possibile e questo obbliga il produttore a stabilire un’expiration date, un fine vita commerciale per i suoi prodotti. Se ci riferiamo alla vita commerciale dei cibi, parliamo di shelf life.

Definizioni di shelf life Nel 1997 gli statunitensi Fu e Labuza annotarono, in una rassegna sull’applicazione della microbiologia predittiva alla determinazione della vita commerciale degli alimenti, che “non è pos-

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sibile dare una definizione unitaria di shelf life per tutti gli alimenti”, a causa della varietà di prodotti che entrano nella nostra dieta quotidiana. Sarà per questo motivo che, ancora oggi, non abbiamo una vera e propria definizione di legge per la shelf life. Ciò premesso, proviamo a passare in rassegna le definizioni di shelf li- L’expiration date segnala fe che sono state proposte fino a oggi (Tabella). quando il cibo Conviene anche stabilire la non è più idoneo grafia di questo termine: seal consumo condo Barbosa, Bremner e Vaz-Pires (The meaning of shelf life), il termine corretto è shelf-life, ma è accettata anche la grafia shelf life. In inglese non è invece corretto scrivere shelflife. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


Sicurezza alimentare

Tabella

Definizioni di “shelf life” e “service life” Definizione e autore

Traduzione

Shelf-life is defined as a maximum time during which the predetermined quality attributes of food are retained (Daun, 1993).

La shelf-life è il massimo periodo di tempo durante il quale un alimento (con caratteri di qualità predeterminati) mantiene inalterate tali caratteristiche.

For each particular food, there is a finite length of time after production that it will retain a required level of quality organoleptically and safety wise, under stated conditions of storage (Taoukis et al., 1997).

Per ogni specifico alimento la shelf-life è un determinato periodo di tempo dopo la produzione del prodotto durante il quale l’alimento mantiene i necessari livelli di qualità organolettica e sanitaria in condizioni di conservazione prestabilite.

Shelf-life (or storage life) is the length of time that a fish or fish product of initially high quality can be kept under specified storage conditions before it becomes either significantly poorer in quality or unsuitable for sale or consumption (Watermann, 1982).

La shelf-life (detta anche storage-life) è quel periodo di tempo entro il quale un pesce fresco o un prodotto della pesca derivato, tenuto in specifiche condizioni di conservazione, non varia le sue caratteristiche di qualità e si mantiene adatto al consumo umano.

Shelf life is the recommended maximum time for which products or fresh produce can be stored, during which the defined quality of a specified proportion of the goods remains acceptable under expected (or specified) conditions of distribution, storage and display (Gyesley, 1991).

La shelf-life è il periodo massimo di tempo raccomandato entro il quale gli alimenti (deperibili o meno deperibili) possono essere mantenuti e durante il quale una percentuale predeterminata di quegli alimenti si mantiene accettabile in determinate condizioni di distribuzione, magazzinaggio ed esposizione al pubblico.

Shelf life is the length of time that a commodity may be stored without becoming unfit for use or consumption (Wikipedia).

La shelf-life è quel periodo di tempo entro il quale un bene può essere conservato mantenendosi adatto al consumo umano per gli usi e il consumo che se ne vuole fare.

The shelf-life is defined as a period of time for which a product remains safe and meets its quality specifications under expected storage and use. The shelf-life determines the durability date and is expressed as a “use by” or “best before” date in a product… (Sanco/1628/2008 ver. 9.3)

La shelf-life è il periodo di tempo per il quale un prodotto resta salubre e mantiene le sue specifiche in condizioni di magazzinaggio e di uso predeterminate. La shelf-life determina la vita commerciale, che è espressa sull’etichetta di un prodotto come “da consumarsi entro” o “ da consumarsi preferibilmente entro”…

Service life: A general term used to quantify the average or standard life expectancy of an item or equipment while in use.

Termine generico per quantificare l’attesa di vita commerciale media o standard di un bene di consumo quando è in uso.

A rigore il termine shelf life si applicherebbe al solo periodo nel quale l’alimento resta nei banchi espositori dei punti vendita al dettaglio (la “vita di scaffale”), ma si tratta di un arco di tempo difficilmente delimitabile perché dipende dal ritmo con cui i consumatori prelevano le confezioni dagli scaffali e dal turn over dei prodotti esposti in vendita. È più ragionevole, quindi, che il termine indichi l’intera vita commerciale di un prodotto, cioè quell’arco di tempo compreso tra la “nascita” dell’alimento e la sua assunzione. Non è facile individuare esattamente questi due momenti, ma per fissare la shelf life di un alimento dobbiamo, per forza di cose, partire dalla sua produzione e riuscire a stabilire quando dovrà uscire dal mercato. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020

Quando “nasce” un alimento? Per definizione, la sua vita commerciale inizia al momento dell’etichettatura ed entra nel circuito commerciale, anche se materialmente è ancora nei magazzini dell’azienda produttrice. Questo aspetto è confermato dal Regolamento (Ce) n. 2073/2005 che, all’articolo 2, nel definire cosa sono i criteri di sicurezza alimentare specifica: …“«criterio di sicurezza alimentare», un criterio che definisce l’accettabilità di un prodotto o di una partita di prodotti alimentari, applicabile ai prodotti immessi sul mercato”… Di fatto, molti dei criteri di sicurezza previsti dal Regolamento (Ce) n. 2073/2005 si applicano so-

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Sicurezza alimentare

lo agli alimenti posti in commercio e “fino a fine vita commerciale” di ogni prodotto. Il concetto di shelf life è quindi richiamato nel Regolamento (Ce) n. 2073/2005, che però si limita a definire la conservabilità di un alimento come: …“il periodo che corrisponde al periodo che precede il termine minimo di conservazione o la data di scadenza”… Il legislatore, pertanto, circoscrive la vita commerciale degli alimenti a un periodo di tempo generico che precede l’expiration date, ossia il momento in cui un alimento smette di essere idoneo al consumo umano, ma non entra nel merito di cosa si debba intendere con questo termine. Shelf life e vita Venendo alle varie definicommerciale zioni di shelf life che si sono accumulate nel tempo, sono concetti può scegliere quella giuridici diversi ognuno che preferisce ma, a mio parere, deve fare testo la definizione fornita dalla Direzione generale per la Salute e i consumatori (Dg Sanco), in quanto istituzione comunitaria. È proprio questa definizione che ci permette di distinguere in modo chiaro i termini “shelf life” e “vita commerciale” (o “durabilità”) dei prodotti alimentari. In concreto, la prima contiene la seconda, non viceversa.

Obblighi del produttore Chi produce alimenti ha l’obbligo di indicare in etichetta la vita commerciale dei suoi prodotti (come “Termine minimo di conservazione” (Tmc) o, in alternativa, come data di scadenza per gli alimenti microbiologicamente molto deperibili). Prima di arrivare a stabilire la vita commerciale (durabilità) di un alimento, il produttore deve stabilirne la shelf life mettendo in atto quell’insieme di prove di laboratorio specifiche che formano lo storage test. Per la definizione fornita dalla Dg Sanco, la shelf life è: …“il periodo di tempo per il quale un prodotto resta salubre e mantiene le sue specifiche in condizioni di magazzinaggio e di uso predeterminate” È opportuno che l’azienda individui la vera vita commerciale dei suoi prodotti all’interno della shelf life, in modo che gli alimenti possano mantenere le caratteristiche tipiche originarie, anche se il consumatore (per caso o per sbaglio) lo dovesse consumare al di là della vita commerciale stessa.

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Pasta fresca farcita Consideriamo, ad esempio, la pasta fresca farcita pastorizzata conservata a temperatura ambiente. Le prove di storage test confermano che il prodotto può mantenersi sostanzialmente stabile e invariato per 110 giorni, e questa è la shelf life della pasta farcita, ma è opportuno che il produttore fissi la vita commerciale di tale prodotto a 90 giorIn etichetta ni, in modo che si possa si devono contare su ulteriori 20 giorindicare ni oltre la Tmc o la data di scadenza prima che il prole condizioni di conservazione dotto si alteri e sia in grado di provocare danni alla salute umana, se consumato dopo il superamento della vita commerciale vera e propria. Di fatto, la definizione fornita dalla Dg Sanco comunitaria prosegue specificando che: …“La shelf life determina la vita commerciale, che è espressa sull’etichetta di un prodotto come “da consumarsi entro” o “da consumarsi preferibilmente entro” È particolarmente centrata la definizione di shelf life proposta da Gyesley nel 1991: …“La shelf life è il periodo massimo di tempo raccomandato entro il quale gli alimenti (deperibili o meno deperibili) possono essere mantenuti e durante il quale una percentuale predeterminata di quegli alimenti si mantiene accettabile in determinate condizioni di distribuzione, magazzinaggio ed esposizione al pubblico”… È necessario, tuttavia, focalizzare e tenere bene a mente alcuni passaggi: 1) la shelf life è un periodo di tempo raccomandato deciso in base ai risultati di specifiche prove di laboratorio che permettono di arrivare a un dato scientificamente affidabile e non ottenuto con un semplicistico metodo spanno-metrico, come a volte ancora accade in alcune industrie alimentari; 2) grazie alle prove di laboratorio dobbiamo stabilire quando il prodotto inizierà a perdere

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una o più delle sue caratteristiche di qualità (igienico-sanitaria e/o organolettica), valutando la comparsa di segni di deterioramento, ma a monte dobbiamo fissare la percentuale di confezioni che potrebbe deteriorarsi. Ad esempio, nell’impostare le prove di storage test per la pasta farcita, stabiliamo a priori che i risultati ottenuti si riterranno validi se, a posteriori, meno del 2% di tutte le unità di vendita di un lotto avranno manifestato segni di deterioramento. È logico che siano il produttore e i suoi consulenti a decidere questa soglia di accettabilità; 3) è indispensabile fissare le corrette condizioni di conservazione del prodotto (ad esempio, la temperatura di refrigerazione ≤ 5° C, oppure < 8° C nel caso di prodotti vegetali). Ciò ci obbligherà a pianificare nello storage test anche prove di abuso termico, in cui una parte dei campioni del saggio sarà esposta per tempi programmati a temperature maggiori di quelle indicate in etichetta come non ottimali, ma anzi di abuso termico più o meno drastico. In questi ultimi anni sentiamo spesso parlare anche di “failure life” che, a rigore, dovrebbe individuare solo il momento in cui il prodotto perde le sue caratteristiche di qualità e, quindi, cessa di essere un alimento, il che lo porta all’esclusione dal commercio. In altre parole, il “failure time” inizia quando la shelf life si estingue.

Occhio alla service life Il Termine minimo di conservazione, o la data di scadenza che il produttore indica sull’etichetta del prodotto, si intendono validi se la confezione è conservata nelle corrette modalità (indicate sempre in etichetta) e se resta chiusa. Quando il consumatore apre la confezione ne rompe l’integrità PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020



Sicurezza alimentare

e la vita commerciale di quell’alimento si arresta; mentre il periodo immediatamente successivo corrisponde a quella che dobbiamo chiamare “service life” (vita commerciale residua). I due termini - shelf life e service life - vanno tenuti ben distinti. In base al Regolamento (Ue) n. 1169/2011 che disciplina la trasmissione di informazioni dal produttore al consumatore finale, il produttore ha l’obbligo di indicare in etichetta anche la service life del suo alimento, se questa indicazione è necessaria ai fini del consumo sicuro dell’alimento. Ciò è previsto dall’articolo 25 punto 2 del Regolamento stesso: …“Per consentire una conservazione o un uso adeguato degli alimenti dopo l’apertura della confezione, devono essere indicate le condizioni di conservazione e/o il periodo di consumo, se del caso.”… In etichetta questo si traduce con una frase del tipo: “Dopo l’apertura della confezione consumare il prodotto entro …”, indicando in genere il numero di ore o di giorni. Quindi, se una confezione arriva allo scadere della sua vita commerciale senza essere stata aperta, a rigore non esisterà una service life che, invece, riguarda quella parte di alimento che non viene consumata subito all’apertura della confezione e che il consumatore intende conservare per poi assumerla in un secondo tempo.

Shelf life primaria e secondaria Al posto del termine service life qualcuno preferisce parlare di “shelf life secondaria”, per distinguerla dalla “shelf life primaria” che, ovvia-

mente, corrisponde alla vita commerciale del prodotto chiuso nella sua confezione originale. Se già è relativamente complesso stabilire la shelf life di un alimento e, a seguire, la sua vita commerciale, è ancora più difficile arrivare a determinare con fondatezza scientifica la service life di quello stesso alimento, perché nell’impostare un secondo specifico storage test di regola bisogna tenere in considerazione un numero piuttosto elevato di variabili, che non riguardano solo le corrette temperature di conservazione del prodotto nei frigoriferi domestici, ma anche le modalità con cui gli alimenti vengono conservati (all’aria? Chiusi in contenitori di vetro? Nella loro confezione originaria aperta?). Ciò detto, è quanto meno opportuno che il produttore, oltre alla shelf life e alla vita commerciale degli alimenti, provveda a definire con fondatezza scientifica anche la loro service life. Valerio Giaccone

BIBLIOGRAFIA • Barbosa A., Bremner A., Vaz-Pires Paulo (2002). The meaning of shelf life. In: Safety and quality issues in fish processing, 173-190. Woodhead Publishing Limited, Cambridge, England. • Daun H. (1993). Introduction. In: Shelf life studies of foods and beverages. Chemical, biological, physical and nutritional aspects. Elsevier Pub. IX-X. • Fu B., Labuza T.P. (1997). Shelf life testing: procedures and prediction methods. In: Quality of frozen food, Ed. M.C. Erikson e Y.C. Hung, 377-415. Chapmann & Hall, International Thompson. • Gyesley S.W. (1991). Total systems approach to predict shelf life of packaged foods. ASTM STP 1113-EB. 2-a/b/c. The truth about food expiration dates. • Tauokis P., Labuza T., Saguy S. (1997). Kinetics of food deterioration and shelf life prediction. In: The handbook of food engineering practice. CRC Press, 361-403. • Waterman J.J. (1982). Composition and quality of fish: a dictionary. Torry advisory note, Torry Research Station, Aberdeen.

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Grabbing industriale

Giuseppe Maria Durazzo Avvocato esperto in diritto dell’alimentazione

Dobbiamo proteggere le nostre imprese affinché non siano preda della concorrenza estera o di sistemi economici più competitivi e supportati

L’

alimentare è parso quasi beneficiato dalla crisi causata dal coronavirus: fuori dai negozi di alimentari e dai supermercati abbiamo osservato lunghe code di persone in attesa di entrare e acquistare. Ma così non è: secondo i dati, a marzo e aprile il fatturato del settore alimentare è calato di diversi punti percentuali rispetto agli stessi mesi dell’anno scorso, a causa del blocco delle esportazioni e dei consumi fuori casa, senza contare l’aumento dei costi di produzione. Quando si parla di prodotti alimentari pensiamo all’agricoltura come fulcro della filiera, ma l’esperienza del coronavirus ci ha mostrato che l’agricoltura (e la pesca), senza un’industria e una logistica efficiente, può subire contraccolpi molto negativi. Insomma, a dar troppo credito

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a singoli episodi o situazioni, si rischia di perdere la visione d’insieme. In effetti, della filiera alimentare fanno parte numerose realtà (aziende, prodotti, professionalità) alle quali raramente si dedica attenzione, sconosciute a chi non ci lavora a contatto e a maggior ragione al consumatore finale. Sementieri, produttori di fitofarmaci, farmaci e integratori veterinari, mangimisti, passando poi all’industria degli imballaggi, delle tecnologie di processo, delle macchine industriali, della logistica, dei sistemi di vendita e dei loro supporti informatici, anche ma non solo per la vendita online. E ancora: i laboratori privati di analisi di supporto all’industria, i produttori di kit rapidi di controllo, il sistema pubblico di controllo. Tutti sono parte integrante del valore del prodotto fiPASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


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nito che, come consumatori, acquistiamo anche con l’alimento più semplice o nella quantità più modesta. In questo mosaico di professionalità e imprese (oltre agli uffici pubblici), alcune costituiscono l’ossatura che permette al sistema di funzionare. Se, come è noto, l’industria alimentare rappresenta il secondo comparto industriale nazionale, vanto del nostro Paese e ambasciatore dell’italianità all’estero, deve costituire anche un sistema meglio conosciuto, monitorato e protetto. Scenari di concorrenza Attualmente si parla con una certa insistenza, nel quadro del programma della Commissione europea «Farm to Fork» all’interno del «Green New Deal», di sicurezza degli approvvigionaPASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020

menti, oltre che di temi quali la sicurezza alimentare, le scelte nutrizionali, il benessere animale e, ovviamente, di tutti quelli legati alla politica ambientale applicata alla filiera alimentare. In quest’ambito, occorre porre particolare attenzione al fatto che siano condivisi anche livelli e obiettivi che possono intervenire sulla concorrenza intra-Ue. Un tema apparentemente banale, come la scelta del modello Ue per informare rapidamente il consumatore sulle caratteristiche nutrizionali di un alimento preconfezionato, vede fronteggiarsi il sistema francese «nutri-score» e il sistema italiano «a batteria»: potrebbe sembrare una piccola guerra di campanili nel mercato globale e invece rappresenta non solo due visioni tecniche e giuridiche differenti, ma soprattutto la messa a punto di un modello

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Grabbing industriale

di comunicazione che, di fatto, se passasse quello francese come sta avvenendo, metterebbe in difficoltà molte nostre produzioni e non solo quelle di maggior pregio e ad alto valore. Anche l’argomento delle regole sul benessere animale può diventare, ad esempio, fonte di concorrenza tra Paesi (si veda, nei fatti, le difficoltà dei macelli italiani o delle filiere dei derivati del latte), non meno di quello sui materiali a contatto e degli imballaggi in generale, per i quali talune norme potrebbero essere perfette per alcuni produttori ed esiziali per altri. Così pure l’educazione alimentare, altro tema oramai entrato nell’agenda Ue, che se orientata

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su un profilo piuttosto che un altro è in grado di incidere sulle scelte dei consumatori e, quindi, sulla formazione del mercato, cioè, in ultima analisi, sulla competitività delle aziende. Ma molto si potrebbe anche ragionare, ad esempio, sull’approccio differenziato in materia di prodotti biologici o sullo spazio per il bio rispetto alle coltivazioni tradizionali, vista la limitatezza del territorio. Le materie prime Come in tutti i sistemi complessi, il correre dietro a un tema specifico rischia di essere non solo un diversivo ma, soprattutto, un grosso errore. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


Grabbing industriale

Ciò vale in special modo per un settore agroalimentare che non sia autosufficiente nelle materie prime. Le stesse esportazioni beneficiano di uno o più componenti, tra i quali la protezione dell’origine della materia prima può rappresentare o meno un fattore favorevole, che comunque devono essere armonizzati con un insieme di altri criteri attrattivi per il cliente estero. Il guardare esclusivamente a un solo elemento di positività, come spesso è avvenuto, crea disagi in altri comparti dell’agroalimentare. Il pericolo per il settore, dunque, non passa solo attraverso un semplice marchietto colorato in etichetta capace di spostare le scelte dei consumatori (vedi il «nutri-score»), o al sostegno a una formazione di linee guida alimentari orientate in un certo modo, o all’imposizione di regole che l’industria di un Paese può avere difficoltà ad adottare, ma anche - dal punto di vista produttivo - dalla perdita delle aziende nazionali necessarie al settore. Nell’autonomia dei ruoli spesso si ha l’impressione che in Italia manchi un sistema pubblico in grado di valutare le necessità della filiera per conoscere e tutelare preventivamente le aziende strategiche (e non solo ex post per gli aspetti della giusta tutela

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dell’occupazione), così come sarebbe necessario aumentare il supporto legislativo e politico alle imprese che esportano. In questa fase di ripartenza, L’alimentare l’iniziativa del singolo imoffre all'estero prenditore sarà certamente un’immagine più debole di quanto potrebbe esserlo con il sup- positiva dell’Italia porto, perlomeno morale, delle istituzioni sia in Italia che all’estero. Se un monitoraggio strategico sarebbe già stato opportuno in precedenza, ora è urgente, vista la crisi attuale che rende molte realtà produttive fragili e, quindi, facilissime prede non solo di concorrenti ma anche di sistemi economici più competitivi e supportati. La stessa modernizzazione legislativa indicata dalla Commissione europea, se non confrontata con le capacità attuali e con gli inviduandi obiettivi per la filiera agroalimentare, anche rispetto alle orientabili scelte dei consumatori, rischia di essere uno strumento che, opportunamente e legittimamente sfruttato, può scalzare operatori o comparti dell’agroindustria nazionale. Giuseppe Maria Durazzo

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Pasta artigianale

di Delia Maria Sebelin

Un marchio che tutela i prodotti artigianali di qualità della tradizione italiana. Il mentore? La regina della sfoglia, Rina Poletti

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ome erano buone le tagliatelle della nonna, o i suoi tortellini, o le lasagne che “come le sapeva fare lei nessun altro ci riusciva”. La pasta non è solo sapore, è ricordi, è amore. I prodotti tipici artigianali, nell’epoca della globalizzazione, della standardizzazione, diventano quindi un bene prezioso da salvaguardare. Saper fare una buona sfoglia non è facile. Alcuni penseranno: «Che ci vuole? Basta guardare un tutorial su YouTube, ascoltare qualche cuoco che online ci mostra come si prepara». Allora provate a prendere della farina, delle uova e a fare un impasto da tirare al mattarello. Se non avete esperienza, diventerà sicuramente uno ammasso grumoso, appiccicoso, pieno di buchi e disomogeneo. Sì perché fare la sfoglia è un’arte. E, come in tutte le arti,

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non basta usare una buona materia prima per ottenere un capolavoro. Diventare “sfoglina” richiede pazienza, applicazione, passione, umiltà. Non è sufficiente seguire alcune regole, bisogna imparare il mestiere da chi lo sa fare. Perché “sfoglina” non si nasce, ma lo si può diventare. Se poi si aspira a farne il proprio lavoro, produrre buona pasta fresca non basta: deve essere quel cibo unico che solo la sapienza e la tradizione riescono a tramandare. Altrimenti diventa una “normale pasta fresca”… come tante e, se va bene, di qualità di poco superiore a quella di un qualsiasi prodotto industriale. Per queste ragioni nasce il marchio “Pasta Tua”, una certificazione che assicura al consumatore che in quell’esercizio (il laboratorio di pasta, la bottega di alimentari, il piccolo ristorante, l’osteria…) si PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


Pasta artigianale

I fondatori del progetto; da sinistra: il pastaio Giuseppe Govoni, Rina Poletti e il maestro di sfoglia Gianpaolo Chiossi

produce solo pasta di altissima qualità, creata artigianalmente e con metodi tradizionali, secondo quanto sancito da un disciplinare. «“Pasta Tua”, in realtà, è molto più di un marchio da apporre in vetrina - spiega l’ideatrice del progetto, Rina Poletti, maestra di sfoglia dal 1979 “Pasta Tua” è la Tua Pasta, perché chi aderisce può usufruire di consulenze a domicilio fatte direttamente da me o dai nostri esperti, e di partecipare a corsi collettivi». L’iniziativa è aperta a tutti coloro - anche di origine straniera o che nella vita fanno tutt’altro - che desiderano cimentarsi nell’arte della pasta. Ma il marchio non nasce per preservare e tramandare solo la produzione artigianale della pasta fresca emiliana: «Vogliamo coinvolgere e tutelare le sapienze dell’arte della pasta di tutto il territorio italiano: pensiamo alle specialità pugliesi, a quelle sarde, piemontesi, toscane, venete… Il nostro territorio ha una cultura immensa su questo alimento che, con solo grano, acqua e - in alcuni casi - uova, PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020

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Pasta artigianale

giunto importante, che ne testimonia l’eccellenza e ne certifica il metodo con cui viene prodotta.

Rina Poletti, da 40 anni con le “mani in pasta”

ci ha sfamato per secoli e ancora oggi ci stupisce per la sua bontà e versatilità». Tutto bello, quindi? Non proprio… «Il mestiere della sfoglina è duro, ci vuole capacità imprenditoriale e “olio di gomito”: solo chi ha tanta passione può intraprenderlo con successo, altrimenti è meglio che le tagliatelle si limiti a mangiarle». Rina, sei una sfoglina affermata e famosa. Il lavoro certo non ti manca. Allora perché hai pensato di creare “PastaTua”? Ogni giorno che passa mi scopro sempre più innamorata del mio lavoro. Un mestiere che va salvaguardato dalle innumerevoli imitazioni. “PastaTua” è un progetto pilota a difesa di chi vuole offrire, in maniera professionale, pasta fresca prodotta nel rispetto della tradizione. Un valore ag-

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In un periodo in cui trovare lavoro è molto difficile, la tua iniziativa è anche un messaggio di speranza... Esattamente. Il progetto vuole infondere fiducia: imparare a fare la pasta non è impossibile. Con un po’ di organizzazione e di pratica ci si può riuscire! In questo modo si può ottenere un discreto risparmio e, oltre a sentirsi gratificati, “fare la sfoglia” può diventare fonte di reddito. “Pasta Tua” rappresenta quel piatto unico che non si trova nell’offerta industriale e, quindi, può soddisfare nuove nicchie di mercato… Certo, per questo a chi aderisce a “Pasta Tua” offriamo consigli per migliorare la produzione o per ampliarla, ma anche supporto gestionale se si ambisce a muovere i primi passi in questo mestiere non sapendo da dove partire. Consulenza, quindi, ma anche aiuto in cucina per spiegare al meglio gli abbinamenti, gli ingredienti che si possono utilizzare, la gestione dei costi e dei prezzi. Come si fa ad aderire a “Pasta Tua”? È semplice, basta contattarmi all’Accademia della Sfoglia di cui sono direttrice didattica: è il primo centro culturale riconosciuto per l’insegnamento dell’Arte della Sfoglia.

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Pasta artigianale

guadagnare con tortellini e lasagne. Allora posso farlo anch’io che, essendo di origini emiliane, ho la sfoglia nel sangue più di lei.” Avevo 28 anni e fino ad allora non avevo mai tirato con il mattarello. Ma la voglia di cambiare mestiere e l’incoraggiamento di mia madre mi diedero la forza per provarci. E nel 1979... Mi metto in proprio e apro un piccolo laboratorio di pasta fresca. All’inizio i miei compaesani mi davano sei mesi, massimo un anno, poi avrei chiuso. Invece, ebbi l’idea di mettermi a fare la sfoglia in vetrina insieme a una signora anziana che mi aiutava: una trovata geniale! I passanti vedevano con i propri occhi quello che facevo, senza trucco e senza inganno. Così guadagnai la fiducia dei primi clienti, tra cui alcune signore in là con l’età che, a causa dell’artrite alle mani, non riuscivano più a fare l’impasto per le tagliatelle. Poi, negli anni, il tuo laboratorio è diventato una vera e propria gastronomia specializzata nella pasta fresca... Sì, ma non è stato facile; avevo capito che per distinguermi dalla concorrenza era importante continuare a produrre “in vetrina”. Questo alimentava la fiducia e ha fatto la differenza, anche quando è esplosa la “pasta mania” e un po’ tutti si sono messi a vendere tortellini e tagliatelle, dalle gastronomie alle macellerie, fino alla Gdo. Ma io avevo il grande vantaggio di “essere stata la prima”.

Rina, tu sei la dimostrazione che, anche partendo da zero, si può diventare non solo una “sfoglina” ma una “grande sfoglina”... Beh, dopo il diploma non mi sono subito cimentata con il mattarello. Ho lavorato per 13 anni in un magazzino di maglieria ma non ero soddisfatta, guardavo al futuro e mi vedevo sempre più incastrata in un impiego che non mi apparteneva. Il caso volle che, durante una vacanza, incontrai una signora che da alcuni anni aveva aperto una bottega di pasta fresca. “Però - pensai - questa qui che è veneta e ha la tradizione della polenta, riesce a

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Dal tuo punto di vista personale e professionale, quanto è importante avere fiducia in se stessi e nel proprio lavoro? È fondamentale, ogni mestiere diventa difficile se manca questa consapevolezza. Vorrei che la mia esperienza di vita fosse un esempio per tutte quelle persone che credono in un lavoro autonomo. Mettersi in proprio non è semplice e non vorrei creare false illusioni, ma può dare tante soddisfazioni. Il lato economico ha il suo peso, ovvio, ma è la passione che ti fa andare avanti, che ti fa crescere, migliorare, e questo i clienti lo apprezzano. Oggi molti consumatori sono alla ricerca di alimenti buoni, naturali, fatti a mano: il lavoro artigianale sta riconquistando i cuori. Anche a tavola. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020



Pasta artigianale

Rina Poletti insegna l’arte della sfoglia e i risultati si vedono

Nel 2008 vai in pensione e cedi l’attività. Ma non ti fermi... Non ho mai pensato di appendere il “matterello al chiodo”. Avevo un rammarico: non essere riuscita a formare una “erede sfoglina” a cui trasmettere la mia passione. Così è nata l’idea di insegnare. Comincio a organizzare corsi in agriturismo e a casa mia, dove ho la fortuna di avere una cucina molto grande; poi inizio ad essere chiamata nelle scuole, dalle amatoriali alle professionali, come

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la prestigiosa Alma, la Scuola Internazionale di Cucina. Nel 2012, poi, fondo l’associazione culturale “Miss...ione Mattarello”, che gira l’Italia promuovendo corsi e degustazioni per raccogliere fondi mirati alla ricostruzione della Torre di Finale Emilia (Fe) e altre opere pubbliche distrutte dal terremoto di quell’anno. Nel 2015 esce il mio libro “Signora Tagliatella”, dove parlo della mia vita, propongo ricette e do consigli preziosi per preparare piatti di sicuro successo.

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Pasta artigianale

E dopo 40 anni di amore per l’arte della sfoglia, arriviamo a “Pasta Tua”. Sì, il progetto è iniziato alla fine dello scorso anno. Abbiamo subito trovato il sostegno di alcuni importanti molini e di enti prestigiosi, ma non trascuriamo altre collaborazioni: più siamo e meglio riusciremo a tutelare un prodotto unico nel suo genere. Un mio sogno, una necessità per garantire che la tradizione non si disperda. E oggi, con la pandemia che ha messo in difficoltà molte imprese, fatto perdere il lavoro a tanti, mi auguro che “Pasta Tua”, nel suo piccolo, possa rappresentare uno strumento per guardare con ottimismo al futuro e, magari, per scoprire quanto sia bello e appassionante il mestiere di sfoglina. Un lavoro duro, ma capace di dare tante soddisfazioni, culinarie e, perché no, anche economiche. Delia Maria Sebelin

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MOLINO PASINI

DAI VERMICELLI AI NOODLES a cura di Molino Pasini

L’origine di pezzi sottili di pasta a forma di spago essiccati e poi cotti è difficile da individuare. I primi spaghetti erano chiamati “vermicelli” e da secoli si discute se siano stati inventati dai cinesi o dai siciliani: oggi si ritiene che si siano diffusi indipendentemente, in entrambe le aree geografiche. La prima testimonianza scritta di noodles si trova in un libro cinese risalente al periodo Han orientale (25-220 d.C.). Divennero un alimento base per il popolo della dinastia Han. La scrittrice e autrice americana di On the Noodle Road, Jen Lin-Liu, osserva che la documentazione di ciò che possono essere chiaramente descritte come tagliatelle è arrivata molto più tardi, nella parte occidentale del mondo, anche se sottolinea che non esclude la possibilità di due invenzioni indipendenti. Si parla di piccoli pezzetti di pasta di pane gettati in un wok con acqua bollente, consumati ancora oggi come mian pian. Gli storici dell’alimentazione ritengono che l’origine della pasta provenga dai Paesi del Mediterraneo: a

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portare in Sicilia l’usanza di cucinare pasta secca sarebbero stati gli Arabi. Una delle prime testimonianze scritte sui vermicelli secchi commestibili risale, infatti, a una sorta di guida turistica arabo-siciliana del 1154. E una versione della pasta potrebbe essere stata mangiata dai Greci già nel I secolo d.C. C’era anche la tradizione, tutta romana, di mangiare pasta fresca, come la lagana, una specie di grande lasagna: una sfoglia di farina di grano impastata con lattuga, aromatizzata con spezie e fritta nell’olio di oliva. Già tra il 1200 e il 1300 a Genova si produceva pasta secca in grandi quantità, mentre a Napoli il passaggio della pasta come alimento popolare avvenne solo alla fine del 1500, quando cominciò a essere venduta nei chioschi lungo le strade, mangiata con le mani, in bianco o condita con il formaggio. Il pomodoro invece sposò gli spaghetti solo verso il 1800, quando pomodoro, basilico e un pizzico di sale diventarono il condimento scelto dai venditori all’aperto napoletani per i maccheroni: una novità, visto che la pizza comincerà a unire il

pomodoro alla mozzarella solo verso la metà del secolo. Secondo la studiosa italo-americana Julia della Croce, fino al XIX secolo la produzione della pasta veniva affidata a lavoratori che impastavano a piedi scalzi al ritmo della musica del mandolino: durò finché il re di Napoli, Ferdinando II (1830-1859), pensò che fosse meglio assumere un ingegnere per progettare un sistema... più igienico. Ma quali sono i noodles più alla moda? Sicuramente i Lamian, spaghetti di farina di grano e acqua originari di Lanzhou, capoluogo della provincia nord occidentale di Gansu, in Giappone. Il nome deriva da due termini messi insieme: “la” significa tirare e “mian”, tagliolini, e pare che questa prelibatezza si trovi già in un codice della dinastia Ming del 1504. La loro preparazione è complessa e richiede grande maestria: lavorati a mano con energia, si ottengono sbattendo più volte e scenograficamente un’unica palla di impasto su un piano, che viene poi tirata a mano per conferire la massima elasticità, e tagliandola quando viene raggiunta la lunghezza desiderata.

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Noodles con carne a cura di Molino Pasini Ingredienti per i noodles 1 kg di farina Pasta D’OroŽ Molino Pasini 0,5 lt di acqua sale

Procedimento Mescolare la farina con acqua e sale. Impastare e lasciare riposare una decina di minuti. Stendere la pasta con il mattarello, arrotolarla su se stessa e tagliarla (ci saranno degli scarti) per ottenere i noodles che vanno poi cotti in acqua bollente (non salata) per un paio di minuti. Nel wok, far saltare la carne nell’olio con il cipollotto, aggiungere la salsa di fagioli gialli e far cuocere per 5 minuti. Cuocere i noodles con la carne e del cipollotto verde tagliato sottile.

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Foto: Polina Tankilevitch, Carol Buenosia e Karolina Grabowska

Ingredienti la salsa 300 g di carne di maiale tritata 300 g di salsa di fagioli gialli 1 cipollotto olio di semi q.b.

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Le aziende informano

Spaghetti del Sol Levante a cura di Molino Pasini

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e nel precedente articolo abbiamo viaggiato in Sud America, adesso voliamo in Estremo Oriente per parlare di spaghetti cinesi, i laomian. Pasta tipica della cucina cinese, la ritroviamo con nomi diversi anche in altri Paesi asiatici: jajangmyeon in Corea, ramen in Giappone, kuy teav in Cambogia e Tailandia. In Cina i laomian, di solito a base di farina di grano tenero, divennero un alimento molto diffuso durante tutta la dinastia Han. In tale periodo, la forte domanda di questo cibo da parte dei militari contribuì all’implementazione di tecnologie di trasformazione alimentare per una più facile ed economica conservazione degli alimenti. Allora l’impasto veniva lavorato con farina di amido, grano saraceno, miglio e pisello, tutti con un contenuto di umidità finale molto basso grazie alla loro preventiva essiccazione. Possiamo dare a questi spaghetti la forma che più ci piace: • tagliati: vengono laminati, assottigliati e tagliati come le nostre tagliatelle; • estrusi: si ottiene un prodotto molto simile ai nostri spaghetti; • pelati: l’impasto viene tagliato finemente e messo direttamente in acqua bollente; • tirati: l’impasto morbido è stirato e tirato ripetutamente per assottigliarlo a formare dei fili; • impastati: l’impasto viene formato a mano e appiattito sempre e solo manualmente fino ad arrivare allo spessore richiesto e solo allora tagliato a coltello;

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Il Maestro Danilo Curotto

• colpiti: tecnica complicata, dove l’impasto molto morbido è stirato con dei bastoncini e messo direttamente a cuocere nel brodo. Direi che almeno tre di questi sistemi sono comuni alla pasta di italiana memoria. Ma un elemento è lo stesso: l’elasticità dell’impasto che possiamo ottenere facilmente con la farina Pasta D’Oro® Molino Pasini. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


Le aziende informano

Una pressa piccola dal cuore grande a cura di Storci

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e presse Storci si caratterizzano per l’elevato livello tecnico, la flessibilità, l’ingombro ridotto, la completa automazione di funzionamento e la robustezza. Sono in acciaio inox e destinate alla produzione di formati di pasta da trafile circolari o lineari. L’azienda vanta un’esperienza pluriennale acquisita nella costruzione di modelli con grandi estrusori (realizzati in esclusiva per la consociata Fava), ma anche per linee che consentono la produzione sia di pasta secca che di couscous, di piatti pronti, di pasta fresca, pasta senza glutine e instant pasta. Inoltre, per il mercato americano Storci ha ideato le presse WD (Wash Down), lavabili al 100% per una pulizia regolare e costante. Il modello V90-250G Tra le presse, il modello V90250G (nella foto) è la soluzione ideale per piccoli e medi pastifici che necessitano di elevata flessibilità produttiva a causa dell’utilizzo di varie tipologie di materie prime e dei svariati formati di pasta prodotti. Infatti, è stata progettata prestando la massima attenzione ad aspetti quali la sicurezza degli operatori, l’elevata affidabilità meccanica anche in condizioni di utilizzo su più turni giornalieri, i dettagli costruttivi per facilitarne la pulizia. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020

Le caratteristiche principali sono: capacità produttiva di 150-350 kg/h in estrusione a seconda del formato; costruzione in acciaio inox Aisi 304; doppia vasca impastatrice con saldature continue e motorizzazioni indipendenti; capacità vasche impastatrici di 65 kg ciascuna; scarico automatico dell’impasto dalla vasca superiore a quella inferiore senza ribaltamento della vasca superiore e con coperchi di sicurezza chiusi; palette impastatrici in microfusione di acciaio inox Aisi 304 lucidate a specchio; gruppo reggispinta ad alta capacità di carico; vite di estrusione in acciaio inox speciale temprata, rettificata e lucidata a specchio; inverter per la variazione della velocità di rotazione della vite coclea di estrusione; cilindro di estrusione con camicia di raffreddamento in acciaio inox; circuito chiuso di raffreddamento con chiller; ghiera portatrafile incernierata al cilindro di estrusione per facilitare le operazioni di cambio trafila; gruppo di taglio pasta corta con inverter e coltelli di taglio; ventilatore per il taglio della pasta corta fissato sul carter di protezione del tagliapasta. Tra gli optional, invece, si segnala un sistema automatico di alimentazione semola, acqua e/o uovo per poter produrre senza la presenza continua di un operatore.

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Le aziende informano

Non chiamateli “Spaghettoni” a cura di Molino Dallagiovanna

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ontinuando il nostro viaggio nel tempo e attraverso le regioni d’Italia, alla ricerca di affascinanti storie di lavorazione della pasta e di ricette della tradizione, raggiungiamo questo mese il Veneto, terra dalla cucina variopinta, ricca di gusto e materie prime squisite, alla scoperta dei bigoli, una sorta di “spaghettone” a base di grano tenero e acqua. In passato, per realizzarli veniva utilizzato il bigolaro, un torchio con trafila in bronzo creato da Bartolomio Veronese, detto Abbondanza, maestro pastaio di Padova, che nel 1604 ottenne il brevetto dal Consiglio comunale di allora per questa sua invenzione. Un prodotto nato nelle campagne, che si diffuse in poco tempo in tutte le case venete. Ne esistono diverse tipologie: da quella scura realizzata con farina di grano saraceno, a quella all’uovo ma, in tutti i casi, la loro peculiarità resta il diametro di circa 3-4 millimetri e la consistenza, ruvida e porosa, che trattiene bene sughi ricchi e condimenti. La ricetta proposta dallo chef Walter Zanoni, esperto nelle tecniche di lavora-

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Il Maestro Walter Zanoni, docente Cast Alimenti e consulente di Molino Dallagiovanna

zione della pasta, è con il ragù di anatra che, insieme a quello di oca, alla classica salsa di pomodoro, o alle acciughe, è tra i condimenti più tradizionali della regione. Per la lavorazione del bigolo Zanoni sceglie la Semola Extra e la Tritordeum Uniqua Verde di Molino Dallagiovanna. Il Tritordeum è un cereale innovativo, incrocio naturale tra grano duro e orzo selvatico; 100% italiano, coltivato in filiera, ha grandi proprietà nutrizionali: il Tritordeum, infatti, contiene più fibra, luteina e proteine più facilmente assimilabili rispetto al frumento tradizionale. Inoltre, grazie al buon assorbimento dei liquidi, è semplice da utilizzare e permette una maggiore durata del prodotto finito. PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


Le aziende informano

Bigoli con ragù di anatra e piselli, con spuma di formaggio Monte Veronese ricetta del Maestro Walter Zanoni - Molino Dallagiovanna Ingredienti per i bigoli (1 ricetta / 1,33 kg) 500 g farina Uniqua Verde Tritordeum 500 g semola di grano duro rimacinata 320 g acqua 12 g sale fino Preparazione Impastare gli ingredienti. Ingredienti per il ragù d’anatra (1 ricetta / 0,35 kg) 200 g cosce d’anatra disossate a cubetti 80 g carote, cipolla e sedano a brunoise 0,7 g timo 200 ml vino rosso Preparazione Rosolare la carne e le verdure in olio caldo. Sfumare con il vino rosso e cuocere a fuoco dolce per un'ora e mezza. Se necessario aggiungere acqua. Ingredienti per la crema di piselli (1 ricetta / 0,3 kg) 320 g piselli 40 g olio di oliva extra vergine 70 g acqua Preparazione Cuocere i piselli in acqua per alcuni minuti e in seguito frullare con olio. Stufata veloce dei piselli con il resto degli ingredienti. Impiattamento Cuocere la pasta e condire con il ragù. Servire con la spuma di formaggio di Monte Veronese e i piselli. Decorare il piatto con la crema di piselli.

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Eventi

Food made in Italy, innovare diventa corale Da Cibus Forum emergono intenti e proposte per guardare al futuro con ottimismo

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l successo di Cibus Forum sembra dimostrare concretamente la voglia di rialzarsi degli italiani. Si punta su qualità, cibo sano e sostenibile, detassazione. «Abbiamo riunito a Parma, per la prima volta dopo il lockdown, i protagonisti della filiera agroalimentare. In presenza abbiamo avuto oltre 1.000 operatori al giorno e circa 3 mila in streaming, molti dei quali buyer esteri. Senza contare gli oltre 50 protagonisti della filiera agroalimentare che si sono susseguiti sul palco - chiarisce il Ceo di Fiere di Parma, Antonio Cellie - La riflessione comune ha portato a definire i seguenti concetti: il lockdown ha spinto i consumatori a capire meglio il valore degli alimenti e del lavoro che c’è dietro, dunque bisogna insistere sulla valorizzazione del cibo italiano; urgono misure di sostegno all’Horeca e in particolare ai ristoratori, che sono i grandi alfabetizzatori del cibo di qualità in Italia e nel mondo; l’innovazione mescola storia dei territori con le nuove tecnologie, quindi tradizioni antiche, droni in agricoltura e packaging compostabile. Un bellissimo paesaggio di innovazione policentrica, quindi adatto all’eclettico talento italiano». Emerge chiaramente che la filiera dell’agroalimentare deve fare squadra. “Non ci sarà ripresa senza innovazione - ha dichiarato il presidente di Coop Italia, Marco Pedroni - e per innovazione intendo un rinnovato spirito di collaborazione fra tutti i segmenti della filiera agroalimentare che si basi su pochi punti basilari: accordi di ampio respiro equi per

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tutti; accorciamento ed efficientamento delle filiere; creazione di valore per i consumatori e non solo per le imprese. Ma innovazione è anche sostenibilità. Il Green New Deal è una buona idea che però va sostenuta con i fatti: detassare i beni sostenibili e sostenere l’innovazione sui prodotti. Questo servirebbe a impostare nuovi modelli di consumo post pandemia». Di innovazione ha parlato anche il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti: «La partita su cui si gioca il futuro è tra cibo agricolo e cibo sintetico. Per noi il cibo deve avere un legame con la terra e siamo contrari a quello prodotto in laboratorio. Naturalmente siamo favorevoli alle novità scientifiche e tecnologiche e guardiamo con interesse all’innovazione Bio Tech, che rappresenta la nuova frontiera per stimolare la produzione, senza operare modifiche genetiche come gli Ogm. L’Italia agricola deve produrre di più: oggi solo il 75% di quello che finisce sulle tavole degli italiani è di produzione nazionale». «Le persone sono state molto attente alla sicurezza e hanno riscoperto la ritualità dei consumi in casa - ha osservato Guido Barilla - Prodotti come la farina, che per alcuni anni sono stati un po' trascurati, sono tornati sulle tavole e nelle cucine diventando di nuovo importanti. Sono certo che molte buone abitudini prese in questo periodo lasceranno una traccia anche in futuro e i consumatori saranno più accorti riguardo certi temi. La gente si è riappropriata di riti in parte dimenticati». PASTA&PASTAI 175 OTTOBRE 2020


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