Azione 04 del 21 gennaio 2019

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Cinquant’anni fa le donne ottennero il diritto di voto in Ticino, oggi si lotta ancora per la presenza femminile in politica

Ambiente e Benessere Il dottor Nicola Bianda, medico al Centro riabilitazione della Clinica Hildebrand di Brissago, parla dei percorsi riabilitativi psicosomatici

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXII 21 gennaio 2019

Azione 04 Politica e Economia Nuove indagini su Trump e i suoi rapporti con Putin rivelate dal «Times» e dal «Post»

Cultura e Spettacoli Jean Améry e l’esperienza da cui nessun essere umano è in grado di riprendersi

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Il Rinascimento in Ticino

di Alessia Brughera pagina 33

Pinacoteca Zuest

Dibattito interessante, forse inutile di Peter Schiesser Il dibattito sull’accordo istituzionale con l’Unione europea è lanciato: il Consiglio federale ha messo in consultazione mercoledì scorso presso le cerchie interessate il testo scaturito dai negoziati con Bruxelles, di cui aveva preso atto senza firmarlo il 12 dicembre scorso; parallelamente, il giorno prima la Commissione di politica estera del Consiglio nazionale ha condotto con 6 esperti uno hearing pubblico, trasmesso in streaming in internet, sui contenuti di questo accordo istituzionale – una modalità molto rara, scelta in passato solo per temi molto sentiti dall’opinione pubblica, a voler sottolineare l’importanza della posta in gioco. Terminata la consultazione, il Consiglio federale deciderà entro l’estate se firmare l’accordo o se chiedere ulteriori negoziati. Dobbiamo dirlo subito: probabilmente questi sforzi per capire e spiegare i contenuti dell’accordo istituzionale, che concerne unicamente gli accordi settoriali che regolano l’accesso svizzero al mercato europeo, saranno inutili: l’Udc è contraria a priori e il Partito socialista sposa in maggioranza la posizione contraria dei sindacati, che

non accettano alcuna modifica alle misure di accompagnamento, di tutela dei salari svizzeri. Assieme, i due partiti rappresentano una massa politica ed elettorale sufficiente per affossare qualsiasi accordo con l’Ue, nonostante all’interno del Ps ci siano anche deputati favorevoli all’accordo. Purtroppo l’estate scorsa le infelici modalità di comunicazione dei consiglieri federali Cassis e Schneider-Ammann (il primo riflettendo ad alta voce sulla possibilità di modificare nella forma le misure di accompagnamento, il secondo gestendo male la tavola rotonda nazionale sullo stesso tema) hanno generato una reazione d’orgoglio da parte sindacale e, come sanno i protagonisti della politica nazionale, quando si tratta di salvare la faccia non si fa marcia indietro. Per cui, con l’Udc e i sindacati di sinistra contrari, l’accordo nella forma attuale è praticamente morto. Eppure, varrebbe senz’altro la pena approfondire i contenuti di questo accordo quadro. Con il suo hearing pubblico, la commissione del Nazionale ha dato un contributo interessante, benché rivolto ad un pubblico specialistico, di persone già informate. Al di là delle spiegazioni tecniche, le 3 ore e mezza di discussione hanno pure messo in evidenza un elemento centrale di questo dibattito: anche il

parere degli esperti è fortemente influenzato dalla propria inclinazione, pro o anti-europea. Per gli uni la corte mista che avrebbe il compito di dirimere le controversie nell’interpretazione degli accordi bilaterali è una foglia di fico, per gli altri una grande conquista, per gli uni la perdita di sovranità giuridica (che deriverebbe dalla ripresa dinamica dell’evoluzione del diritto europeo nell’ambito dei suddetti accordi) è intollerabile, altri non vedono grandi cambiamenti rispetto ad oggi, anzi avremmo più certezza giuridica. Alla fine, si tratta sempre ancora di una scelta politica, che risulta dal valore che si dà ad un aspetto rispetto ad un altro. A ciò si aggiunge la dimensione soggettiva insita nella valutazione dell’importanza di questo accordo istituzionale per il futuro assetto delle relazioni con l’Ue: per gli uni un no all’accordo quadro svuoterebbe a poco a poco la via bilaterale, per gli altri un accordo migliore può essere concluso anche fra qualche anno. Presumibilmente si potrà verificare presto nei fatti quanta ragione avrà l’uno e l’altro schieramento. Spiace constatare che si metta a repentaglio con una certa leggerezza i tanti vantaggi concreti degli accordi bilaterali – forse illudendosi che non siano a rischio?


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Una super verdura

Attualità Il Flower Sprout ha molto da offrire in fatto di gusto e benefici per la salute

Pasta ai flower sprout Ingredienti per 4 persone 200 g di flower sprout 2 scalogni 2 spicchi d’aglio 3 cucchiai d’olio d’oliva 120 g di pancetta a dadini 200 g di pomodori pelati tritati 400 g di pasta (ad es. penne o orecchiette) 100 g di ricotta 1 limetta 2 cucchiai di parmigiano grattugiato sale e pepe di Cayenna macinato grosso

Flower Sprout (Kalettes) Svizzera, 200 g Fr. 3.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros

Preparazione Preparazione: Tritate gli scalogni e l’aglio e fateli appassire in un wok o in una padella ampia unta d’olio. Aggiungete la pancetta a dadini e i flower sprout e fateli soffriggere per 2 minuti. Unite i pelati e un po’ d’acqua e fate cuocere i cavolini per ca. 5 minuti. Contemporaneamente lessate la pasta in abbondante acqua salata. Scolatela e mescolatela con la salsa ai flower sprout. Regolate di sale e pepe di Cayenna. Servite la pasta e distribuite la ricotta a cucchiaiate. Cospargete con la scorza di limetta grattugiata e il parmigiano.

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Incrocio tra il cavolo piuma e i cavoletti di Bruxelles, il Flower Sprout è stato originariamente lanciato sul mercato nel Regno Unito, una decina di anni fa, e in breve tempo ha conquistato i favori dei consumatori grazie al suo sapore nocciolato, più delicato rispetto ai cavoletti di Bruxelles. Oggi l’ortaggio è coltivato con successo anche in Svizzera. Visivamente esso si presenta sotto forma di minuscole rosette dai colori accesi che passano dal viola al verde. L’idea di questo prodotto è nata dal desiderio di proporre un ortaggio che avesse un gusto più fine dei suoi progenitori, facile da preparare e versatile in cucina. Il Flower Sprout richiede infatti solo di essere sciacquato – non necessita di essere mondato – e può essere consumato in svariati modi: crudo in insalata, sbollentato, al vapore, saltato in padella oppure come componente di ricette più complesse. Infine, il Flower Sprout si caratterizza anche per la ricchezza di benefici per la salute: contiene vitamina C, betacarotene, proteine, Omega 3 e fibre. Inoltre, secondo diversi studi, un suo consumo frequente può contribuire a ridurre il rischio di cancro e malattie cardiovascolari.

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nutriente spuntino da consumare durante l’arco della giornata. Tutti quanti contengono almeno l’8% di proteine, ossia due volte di più rispetto agli yogurt convenzionali. La scelta include le varietà nature, i fruttati e rinfrescanti fragola e pesca-maracuja e l’invitante lemon cheesecake per chi cerca qualcosa di veramente particolare. Ultima arrivata nell’assortimento, è la gamma Oh! High Protein senza lattosio. È composta da tre ricotte magre, nei gusti fragola, banana e cioccolato, tutte prive di zuccheri aggiunti, con pochi grassi e con un contenuto di almeno 15 g di proteine. Per iniziare la giornata con brio della partita sono pure il latte High Protein Milk con ben 70 g di proteine per 1 litro e il burro High Protein contenente il 60% di grassi in meno rispetto al burro tradizionale, nonché il 21% di proteine.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Idee e acquisti per la settimana

Piaceri culinari tipicamente svizzeri Attualità Tutto quel che serve per preparare deliziosi piatti invernali rigorosamente rossocrociati lo trovate

alla vostra Migros. Inoltre, non lasciatevi sfuggire le golose degustazioni: dal 25 al 26 gennaio a Serfontana e S. Antonino, e dal 1. al 2 febbraio a Locarno e Agno

La raclette: un grande classico della cucina svizzera.

Tradizione e «Swissness»: questi sono da sempre due dei valori fondamentali della Migros. Fedeli a questi principi, desideriamo iniziare l’anno nuovo con un’attività dedicata alla Svizzera e alle sue innumerevoli specialità gastronomiche, molte delle quali conosciute e apprezzate in tutto il mondo. Fino al prossimo 11 febbraio nei nostri principali supermercati vi attendono offerte imperdibili, degustazioni sfiziose ed esposizioni ad hoc di prodotti del nostro bel paese. Questo infatti è il periodo ideale per ritrovarsi in compagnia di famigliari e amici, magari dopo una lunga giornata dedicata alle attività invernali più svariate e divertenti, preparando e gustando tutti insieme una calorosa cena tradizionale davanti al fuoco del camino. Lasciatevi per esempio ispirare da prodotti quali il prosciutto crudo dei Grigioni, una saporita delizia essiccata in modo naturale almeno cinque mesi all’aria delle Alpi; dalle squisite fondue e raclette presenti sugli scaffali in numerosi varietà per ogni gusto ed esigenza; dall’assortimento di profumatissimo pane preparato soltanto con farine certificate TerraSuisse; oppure ancora dagli ortaggi invernali e dalle mele indigene coltivate nel rispetto verso l’uomo e la natura. Inoltre vi attendono alcuni ricettari gratuiti con preparazioni semplici da realizzare e ben spiegate, affinché possiate stupire i vostri ospiti con tutto il sapore della genuinità rossocrociata.

Le Veneziane «ticinesi»

Sollievo per gli occhi

Specialità Una delizia prodotta con grande perizia dal panificio

Jowa di S. Antonino

Veneziane 4 pezzi Fr. 2.20* invece di 2.80 *Azione 20% dal 22 al 28 gennaio

Flavia Leuenberger Ceppi

Le Veneziane sono di fatto un prodotto storico dell’assortimento di Migros Ticino, tanto amate dai bambini ma che vanno a ruba anche presso i buongustai più «grandicelli». Pensate che vengono prodotte da quasi 40 anni dalla Jowa di S. Antonino, il panificio della Migros, solamente per il mercato ticinese. Questi soffici dolci sono preparati con pochi ma genuini ingredienti, quali farina di frumento da coltivazione integrata svizzera, pregiato lievito madre, uova e zucchero. Inconfondibile caratteristica è la superficie composta da una ghiottissima glassa di mandorle, su cui svetta la croccante granella di zucchero. Da sempre gli ingredienti delle Veneziane sono lavorati a lungo alfine di ottenere un prodotto di alta qualità. L’impasto, simile a quello del panettone, subisce una lavorazione di oltre 24 ore prima di essere infornato. Sono necessari venticinque minuti di cottura affinché le veneziane risultino dorate al punto giusto e, una volta lasciate raffreddare bene per un’oretta, vengono subito confezionate e fornite ai supermercati Migros di tutto il cantone.

Sanactiv spray oculare Fr. 7.90* invece di 9.90 *Azione 20% dal 22 al 28 gennaio In vendita nelle maggiori filiali

Occhi irritati e stanchi a causa delle troppe ore trascorse davanti allo schermo del computer oppure per il clima invernale troppo secco? In questi casi la soluzione potrebbe essere quella di utilizzare il pratico spray oculare dell’apprezzato assortimento di prodotti medicali Sanactiv. Questa soluzione oftalmica sterile ed isotonica, contenente acido ialuronico, aloe vera e liposomi, rinfresca e idrata gli occhi disidratati e

secchi. Inoltre stabilizza lo strato lipidico protettivo della pellicola lacrimale. Il prodotto è adatto per un utilizzo sia con occhi aperti che chiusi, ed è indicato anche per occhi particolarmente sensibili, truccati, come pure per portatori di lenti a contatto. È sufficiente spruzzare uno o due nebulizzazioni in ogni occhio, più volte al giorno secondo il bisogno. Una volta aperto, utilizzare il prodotto entro 90 giorni.


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Preparazione del ripieno Rosolare in una padella la carne macinata a fuoco medio. Aggiungere il condimento aromatico messicano e 150 ml di acqua e mescolare bene. Portare ad ebollizione, quindi abbassare il fuoco e cuocere a fuoco lento senza coperchio per 10 minuti mescolando di tanto in tanto, finché il liquido si è ridotto. Preparazione delle tortillas Scaldare le tortillas di farina di frumento in forno o nel microonde. Preparare il ripieno e gustare Servire le barchette di tortillas calde. A questo punto ognuno può riempire le sue barchette di tortillas con carne macinata, formaggio grattugiato, pomodori tagliati a dadini, insalata e salsa. Consiglio: rifinire con guacamole o crème fraîche.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Società e Territorio Suicidio giovanile La campagna di prevenzione «Parlare può salvare» di Pro Juventute si rivolge ai giovani che si trovano ad affrontare il tema del suicidio con un amico coetaneo garantendo consigli e una consulenza personalizzata

A scuola con creatività La creatività in aula può essere una grande risorsa per gli insegnanti ma anche per gli allievi, ma come attivarla e chi è l’insegnante veramente creativo? pagina 9

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I primi cantoni a introdurre il diritto di voto per le donne furono Vaud e Neuchâtel subito seguiti da Ginevra. (Keystone)

Voto al femminile

1969-2019 Cinquant’anni fa le donne ticinesi ottennero il diritto di voto a livello cantonale, ma ancora oggi

i dati della presenza femminile in politica non sono soddisfacenti Roberto Porta «La donna ticinese è da oggi davvero parte del Popolo sovrano. Ha raggiunto un traguardo che le spettava di diritto, perché decisamente inserita in posizioni di responsabilità a ogni livello, nella struttura economica e sociale del Paese. Da oggi, la donna ticinese potrà dare il proprio contributo di idee nella scelta democratica per costruire il Paese di domani». Con queste parole il quotidiano «Gazzetta Ticinese», nel frattempo scomparso, commentava il risultato del voto popolare che permise alle donne ticinesi di ottenere il diritto di votare e di essere elette, a livello cantonale e comunale. Era il 19 ottobre del 1969. E quel giorno il 63% degli uomini ticinesi decise – finalmente – di aprire il mondo della politica anche alla presenza delle donne. «Sono trascorsi cinquant’anni ma in fondo è cambiato ben poco – ci dice Marialuisa Parodi, presidente di FAFTplus, la Federazione delle associazioni femminili in Ticino – Per una vera parità tra uomo e donna in Ticino e in Svizzera rimane ancora parecchio da fare, molto di più rispetto a tanti altri Paesi occidentali». La votazione di mezzo secolo fa si inserì con successo in un lungo ed estenuante percorso di rivendicazioni femminili, iniziato già alla fine dell’800. Un cammino segnato da

parecchie brusche frenate e da altrettante profonde delusioni, come quella di 60 anni fa – era il primo febbraio del 1959 – quando gli uomini svizzeri bocciarono il diritto di voto alle donne a livello federale. Sempre in quell’anno però Vaud e Neuchâtel furono i primi in Svizzera ad accettare questa storica riforma, seppur solo a livello cantonale, seguiti l’anno successivo anche da Ginevra. A livello federale si dovette aspettare il 1971 per estendere questo diritto a tutte le donne svizzere, anche se vi furono ancora resistenze in particolare ad Appenzello interno, cantone a cui nel 1990 il Tribunale federale dovette addirittura imporre l’introduzione del suffragio femminile. La Svizzera fu così uno degli ultimi Paesi in Europa ad accordare questo diritto. Il 1971 fu anche l’anno delle prime elezioni cantonali ticinesi a cui poterono partecipare le donne. Dieci furono allora le elette in un parlamento di 90 membri. Da quel momento il Ticino non ha mai eccelso a livello nazionale per quanto riguarda la presenza femminile in politica. In questa ultima legislatura le gran consigliere sono 22, ciò che equivale a poco più del 24%, un dato non lontano dalla media di tutti i legislativi cantonali, che è di una donna ogni quattro uomini eletti. Nessuna donna invece in governo, e probabilmente sarà così anche nei prossimi quattro anni, dopo

le elezioni cantonali del prossimo 7 aprile. Poco incoraggianti sono anche i dati sulla presenza femminile nei municipi delle principali città ticinesi, dove attualmente il primato, si fa per dire, è detenuto dall’esecutivo di Chiasso con due donne tra i suoi cinque membri. Nessuna rappresentanza rosa invece a Locarno e a Bellinzona, una sola a Lugano e a Mendrisio, in un municipio in entrambi i casi composto da sette membri. E proprio Mendrisio ha visto la settimana scorsa l’arrivo nell’esecutivo dell’unica donna – Francesca Luisoni – la prima da quando il Magnifico Borgo è diventato città. La signora Luisoni è così l’ultima donna, cronologicamente parlando, ad accedere ad una carica politica in Ticino. Ma quale la motivazione che l’ha portata in passato ad avvicinarsi alla cosa pubblica, forse anche il desiderio di accrescere la presenza femminile? «Il mio ingresso in politica è stato molto meno consapevole, forse anche perché in famiglia le due persone che avevo più vicine e che facevano politica erano proprio due donne, una zia e una cugina. Era il 2004 e studiavo ancora all’Università a Zurigo. Al momento di comporre le liste del consiglio comunale di Ligornetto esponenti del gruppo PPD mi chiesero di candidarmi, più che in qualità di donna – se ben ricordo – in qualità di giovane. Prima

di accettare rifiutai più volte, essendo a quei tempi molto meno interessata alla cosa pubblica. Venni eletta e mi appassionai in fretta tant’è che 14 anni dopo sono ancora attiva». Per facilitare questo tipo di scelte il parlamento federale ha aperto la pagina sul proprio sito internet chiamata «Donne politiche» mentre in Ticino FAFTplus ha lanciato la campagna «Iovotodonna». «Questa nostra iniziativa sta facendo parlare di sé e ha come scopo principale quello di dare visibilità a tutte le donne che si vorranno candidare e accrescere il numero di chi tra loro sarà effettivamente eletta – fa notare Marialuisa Parodi, presidente di FAFTplus – Purtroppo al momento non ci sono più candidate del solito, le prime informazioni che abbiamo ricevuto dai partiti non sono incoraggianti. Per il 7 aprile il nostro obiettivo è quello di perlomeno riuscire a mantenere l’attuale proporzione di donne in Gran Consiglio, che è del 24%, il massimo storico finora raggiunto in Ticino. Questo mi fa dire che la presenza delle donne in politica dovrà essere, oggi e anche in futuro, la madre di tutte le nostre battaglie». In altri termini il numero di candidate donna non sembra decollare, c’è forse anche il timore di doversi confrontare con un contesto ancora fin troppo dominato dalla presenza

maschile? «Per quanto mi riguarda a Mendrisio, in consiglio comunale dove ero attiva fino a poco fa, non vi sono dinamiche di “guerra tra i sessi” – fa notare la neo-municipale Francesca Luisoni – È pure vero che a Mendrisio si percepisce maggiormente l’assenza di donne (soprattutto a livello di esecutivo dove siamo assenti da 18 anni!) ed è anche per questo che in occasione delle scorse elezioni comunali abbiamo dato vita all’Alleanza OttoMarzo.16 per valorizzare la sensibilità e la visione della donna in politica e anche per cercare di avere più candidate elette. Un obiettivo ancora difficile da raggiungere, dovremo quindi continuare a lavorare in questo senso anche coinvolgendo un numero sempre maggiore di donne alle prossime elezioni». Rimangono dunque attuali queste parole, scritte mezzo secolo fa dal «Giornale del Popolo», proprio a commento della votazione che accordò alle donne i diritti politici: «Si può ben dire, senza tema di esagerare, che incomincia un capitolo nuovo nella storia della nostra democrazia, che d’ora in poi sarà una democrazia più larga e più rappresentativa, in una parola più autentica e genuina». Capitolo che però a 50 anni di distanza rimane in buona parte ancora da completare. Ne va di una democrazia davvero autentica.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Società e Territorio

Suicidio, meglio parlarne Pro Juventute Una campagna di prevenzione del suicidio giovanile si rivolge in particolar modo agli amici coetanei

con consigli e consulenze, perché chiedere aiuto alle persone giuste può salvare una vita

Alessandra Ostini Sutto «Suicidio», una parola che resta tutt’ora un tabù. Per tale ragione, chi ha dei pensieri che vanno in questa direzione, ha spesso difficoltà a chiedere aiuto e a raccontare ciò che sta vivendo. Lo stesso vale per chi gli sta attorno, siano essi familiari, amici o colleghi, che fanno tendenzialmente fatica ad affrontare l’argomento. Come dice la giovane Savannah – uno dei cinque protagonisti di una recente campagna sulla prevenzione dei suicidi giovanili – «in una situazione del genere molti hanno paura di poter sbagliare qualcosa. Ma l’unico sbaglio che si può fare è proprio quello di non fare nulla».

Ilyas: «un giorno un mio compagno di classe mi ha telefonato. Mi ha raccontato che non ce la faceva più» I pensieri suicidali, purtroppo, sono frequenti tra i ragazzi: secondo quanto pubblicato da Pro Juventute – uno dei principali partner della sopracitata campagna – un giovane su due afferma di avere già pensato almeno una volta di togliersi la vita. Questo trova conferma nei dati del servizio Consulenza + aiuto 147 della più grande organizzazione svizzera per l’infanzia e la gioventù, cui lo scorso anno si sono rivolti 2-3 adolescenti al giorno sul tema del suicidio. Fortunatamente, tra i giovani il numero di coloro che passa all’atto è inferiore rispetto agli adulti. Si stima che circa una persona su dieci faccia un tentativo di suicidio nel corso della sua vita, con tassi 3-4 volte maggiori tra il sesso femminile. Tra il 2009 e il 2015 in Svizzera i decessi per suicidio tra i giovani di età inferiore ai 29 anni sono stati in media 131 all’anno, con vittime molto più spesso di sesso maschile. Tra le principali cause, figurano situazioni di stress acuto come delusioni amorose, problemi a scuola, nella formazione o sul lavoro. Alla luce di questa situazione, le

FFS e la divisione dell’EBPI per la prevenzione e promozione della salute nel Cantone di Zurigo hanno messo a punto la campagna «Stop al suicidio giovanile», assieme a Pro Juventute e ad altri partner (la BLS, la Federazione Svizzera delle Psicologhe e degli Psicologi – FSP, il Sindacato del personale dei trasporti – SEV e l’organizzazione STOP SUICIDE di Ginevra). Dal 2016, i due primi partner lavorano già insieme a favore della prevenzione dei suicidi tra gli adulti nell’ambito della campagna nazionale «Parlare può salvare», sostenuta, tra gli altri, dal Telefono Amico. Fulcro della campagna è il sito www.parlare-puo-salvare. ch, dove le persone «a rischio» e i loro conoscenti e familiari possono trovare informazioni, consigli ed indirizzi. L’obiettivo perseguito è infatti quello di superare i tabù legati alla tematica ed incoraggiare chi è in difficoltà ad aprirsi, facendo al tempo stesso in modo che possa trovare rapidamente aiuto. La più recente campagna – lanciata lo scorso anno – invece che ai ragazzi con tendenze suicide, si rivolge agli amici, con lo scopo di mostrare loro come essere d’aiuto. I coetanei sono infatti spesso i primi a rendersi conto che un adolescente o un giovane sta attraversando un periodo di smarrimento. Ed è qui che si inserisce ed acquista significato la collaborazione con il servizio di aiuto di Pro Juventute, cui collabora una settantina di consulenti professionisti. Come accennato in apertura, sono stati scelti cinque giovani che hanno vissuto un’esperienza di questo tipo e che la raccontano in brevi filmati. I video possono essere visionati sul sito www.147.ch, nella sezione dedicata alla campagna, dove si trovano pure informazioni supplementari (per esempio, «Suicidio: segnali d’allarme» o «Suicidio: altre possibilità per non soffrire») e risposte a domande frequenti (come «Esclusione – È normale avere pensieri suicidi?» oppure «Pensieri suicidi, non so perché!»). Un po’ in tutta la Svizzera sono inoltre affisse le immagini dei cinque volti della campagna, che possono essere fotografate con Shazam, un’app molto diffusa tra i ragazzi per l’identifica-

Uno dei cinque ragazzi scelti come volto della campagna di Pro Juventute: ognuno ha raccontato la propria esperienza in un video. (Pro Juventute)

zione delle canzoni. Così facendo parte il video in cui i ragazzi raccontano in che modo sono riusciti ad aiutare un loro amico. Il racconto di Ilyas, 18 anni, inizia così: «Una sera, un mio compagno di classe mi ha telefonato. Mi ha raccontato che non ce la faceva più ad andare avanti e che voleva togliersi la vita». Gli esperti sono concordi nell’affermare che gli amici rappresentano potenzialmente un sostegno importante, in quanto possono parlare all’amico dei suoi problemi, ascoltarlo, stargli vicino e chiedere aiuto. Parlarne, ascoltare e chiedere aiuto: queste sono infatti le cose più importanti da fare quando qualcuno ha pensieri suicidi. Ed è anche il messaggio che lanciano ai propri coetanei questi giovani, dopo aver provato sulla propria pelle cosa significa avere un amico in profonda crisi e riuscire ad aiutarlo. «Secondo me è importante non lasciare sole le persone quando sono in

crisi, e soprattutto bisogna prenderle sul serio», dice Elea, altra voce della campagna. Chi ha la sensazione che un amico o un familiare possa avere pensieri suicidi, non dovrebbe mai sottovalutare la cosa, bensì affrontarla, anche perché spesso le persone in difficoltà non osano o non riescono a parlarne. Farlo però, oltre che di indubbio conforto, è di grande aiuto perché serve a far ordine tra i pensieri. Esternando i propri pensieri suicidi, si riduce il rischio che questi prendano il sopravvento. Certo, non è facile affrontare questo tipo di tematiche o mantenere la calma quando una persona cara parla di pensieri suicidi, tanto meno per un ragazzo. Per questo motivo, sul sito www.147.ch gli esperti di Pro Juventute mettono a disposizione dei giovani dei consigli su come affrontare simili conversazioni, oltre ad essere ovviamente a diposizione per una consulenza personalizzata. In generale, la persona che ha bi-

sogno di sfogarsi va approcciata con l’atteggiamento di chi desidera capire – come sta, cosa pensa, quali sensazioni prova, ecc. – astenendosi per quanto possibile dal formulare giudizi di valore. «Se un amico sta male, devi fargli capire che sei al suo fianco e che gli vuoi bene così com’è», testimonia Ardit, un altro dei ragazzi della campagna. Capita sovente che il ragazzo con pensieri suicidi dica all’amico con cui è riuscito ad aprirsi di diventare custode di quel segreto condiviso. Una situazione pesante, in cui l’amico deve mantenere la lucidità per capire che vi è in gioco la vita di qualcuno e che la cosa giusta da fare è cercare aiuto. Tacere non è mai una soluzione. Come dice Lionel, «Meglio parlarne con gli adulti. Chiedete aiuto alle persone giuste. Non siete soli in questo mondo». Le «persone giuste» possono essere adulti di fiducia, appartenenti alla propria cerchia privata o all’ambito scolastico o formativo, oppure il medico di famiglia o ancora chi opera presso uno sportello di consulenza per i giovani, come i già citati Telefono Amico (143) e Consulenza + aiuto 147 di Pro Juventute, servizi gratuiti e confidenziali attivi 24 ore su 24, ora anche online. Altri indirizzi utili si trovano sul sito www.parlare-puo-salvare.ch Gestire situazioni di questo tipo è indubbiamente impegnativo e si corre un reale rischio di farsi sopraffare dagli eventi. È quindi importante che i giovani confrontati con una persona con tendenze suicide cerchino aiuto anche per se stessi e prendano coscienza che essere amici non significa essere responsabili della vita dell’altro. Può purtroppo capitare che, nonostante il proprio impegno, il suicidio avvenga lo stesso. Come si legge sul sito della campagna «Parlare può salvare» vi sono giovani che si tolgono la vita anche se sostenuti da amici e familiari e che questo è dovuto al fatto che nei ragazzi le azioni suicide sono talvolta una reazione impulsiva a un momento acuto di crisi. La relazione tra i giovani e il suicidio è inoltre caratterizzata, e resa particolarmente delicata, dal fatto che si ritenga che essi non percepiscano la propria mortalità e non riescano a stimare il carattere definitivo dell’atto che si apprestano a compiere.

Mario vecchia scuola Videogiochi Arriva New Super Mario Bros. U Deluxe, una riedizione adatta anche a giocatori alle prime armi Davide Canavesi Il 2018 è stato un anno davvero molto movimentato per quanto riguarda il mondo dei videogiochi: grandi ritorni, novità interessanti e tante promesse per il futuro. Il nuovo anno si è aperto con la consueta calma post periodo natalizio con una notevole eccezione: Nintendo. Il colosso nipponico si è tenuto un asso nella manica, quasi a voler stuzzicare tutti coloro che hanno trovato una Switch sotto l’albero. Agli albori del 2019 ecco che arriva New Super Mario Bros. U Deluxe, rimasterizzazione delle avventure del piccolo idraulico italiano uscite originariamente su Wii U.

Non c’è davvero bisogno di presentare Super Mario, un personaggio che per moltissimi ha oramai soppiantato Pac-Man quale simbolo universale dei videogames. Una storia durata oltre trent’anni che in un modo o nell’altro ha accompagnato la crescita di ogni giocatore, salvo magari quelli arrivati prima del crash di Atari dei primi anni 80. New Super Mario Bros. U Deluxe non è comunque un gioco originale, vista la sua natura di riproposizione del titolo uscito nel 2012 sulla sfortunata Wii U. La versione lanciata nel 2019 contiene, oltre al gioco originale, anche l’espansione New Super Luigi

Il gioco comprende più di 160 livelli con le ambientazioni più disparate. (Nintendo)

U, rilasciata originariamente nel 2013 come pacchetto d’espansione. L’edizione su Wii U non fu di certo una rivoluzione per quanto riguarda i platform bidimensionali di Super Mario ma piuttosto una continuazione del nuovo corso inaugurato sulla portatile Nintendo DS. Dopo anni di avventure in 3D, Nintendo aveva deciso di ritornare alle origini con delle avventure più classiche, a due dimensioni, caratterizzate però da notevoli cambiamenti nel gameplay rispetto agli episodi classici usciti su Nintendo Entertainment System e Super Nintendo. Diversi modo di saltare e maggiore inerzia (laddove negli anni 90 l’inerzia era inesistente) furono aggiunti alla classica struttura di livelli che si sviluppano in orizzontale e verticale. Una ricetta che funzionò bene e che ebbe il pregio di riavvicinare Mario alle origini, dopo la rivoluzione di Super Mario 64 su Nintendo 64. In New Super Mario Bros. U Deluxe, come al solito, la principessa Peach è stata rapita. Come sempre, tocca a Super Mario farsi in quattro per salvarla. Per compiere la nostra missione dovremo affrontare una miriade di livelli (il pacchetto ne comprende oltre

160) con le ambientazioni più disparate: prati, mondi sottomarini, deserti, castelli e via dicendo. Completare New Super Mario Bros. U Deluxe non è particolarmente difficile, visto che spesso basterà completare il livello nei tempi previsti, raccogliendo stelle, monete e potenziamenti speciali. Terminare New Super Luigi Bros. U invece è una sfida decisamente più impegnativa, dal momento che il fratello di Mario salta in modo molto diverso. L’edizione del 2019 è decisamente più consapevole delle difficoltà in cui potremo incappare nel gioco, specialmente i livelli di Luigi. Per questo motivo sono stati introdotti nuovi personaggi, pensati in modo particolare per i giocatori più giovani e inesperti. Oltre ai classici Mario, Luigi e Toad possiamo ora usare anche Toadette e Ruboniglio, contraddistinti dalle difficoltà «facile» e «facilissimo». La prima può trasformarsi in Peachette, la quale ha la possibilità di saltare più in alto e di planare, in modo da rendere la navigazione nei livelli decisamente più agevole. Ruboniglio invece è invincibile e non sarà influenzato da alcun nemico. Una scelta che ci sentiamo di condividere perché aumenta l’accessibilità del

gioco. Il livello di sfida è rimasto inalterato ma possiamo ridurlo secondo necessità. L’arrivo di New Super Mario Bros. U Deluxe sulla portatile ibrida Nintendo Switch è assolutamente positivo. Si tratta di un gioco tutto sommato poco conosciuto, visto la scarsa popolarità di Wii U, che ben si sposa con la natura nomade di Switch. I livelli sono tutti sufficientemente corti per poter essere affrontati mentre siamo fuori casa, ad esempio sul treno o mentre aspettiamo l’autobus. Ovviamente nulla ci impedisce di collegare la console al televisore in salotto e immergerci in più lunghe sessioni di gioco, affrontando un livello dietro l’altro. Visivamente il gioco è contraddistinto da colori vivacissimi e mondi molto cartooneschi anche se l’occhio attento si renderà conto che la nuova edizione non contiene migliorie particolari per fruttare la maggiore potenza di Switch. Tutto sommato però è una riedizione degna di merito che porta le avventure bidimensionali di Mario nel 2019. Il gioco offre tantissime ore di divertimento sia ai giocatori veterani che ai neofiti e rappresenta un succulento antipasto alle uscite su Switch per il 2019.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Società e Territorio

Creatività e scuola

Incontri Catturare l’attenzione degli allievi è difficile, soprattutto oggi che sono distratti da mille sollecitazioni.

A lezione la creatività può essere una grande risorsa, ma chi è l’insegnante creativo? Lo abbiamo chiesto a due esperti Laura Di Corcia La soglia d’attenzione dei bambini delle scuole elementari e dei ragazzi sembra essere radicalmente scesa. Si capisce come la lezione frontale sia sempre meno efficace, richiedendo nuove strade, nuove soluzioni – tutte nelle mani del docente. Ma come si fa a diventare docenti creativi? Com’è possibile rendere i contenuti didattici attraenti, al punto da catturare l’attenzione sempre più sfuggente degli allievi? «La creatività può essere vista da due angolature diverse» – spiega Matteo Piricò, docente presso il Dipartimento Formazione e apprendimento della Supsi, nonché docente di educazione musicale alle scuole medie. «La prima è quella del docente che progetta le lezioni e cerca di trovare delle modalità creative, innovative e alternative per presentare un certo argomento. L’altra angolatura riguarda l’uso attivo della creatività da parte del docente e degli allievi». Il pensiero creativo, spiega il formatore, è legato al tema del problem solving. Ogni volta che si affronta un problema si ha la possibilità di analizzarlo attraverso delle modalità di pensiero alternative a quelle comuni, andando in direzione di risposte nuove. Un esempio pratico? Spiegare ai ragazzi delle medie come funzionava la vita monastica nel Medioevo. «Giova concentrarsi sul vissuto, sulle esperienze che gli allievi stessi fanno. Se per esempio l’obiettivo della lezione è quel-

È importante far leva sul vissuto degli allievi. (Keystone)

lo di comprendere la corrispondenza fra i ritmi della giornata e le mansioni del monaco, si può proporre ai ragazzi di scrivere un piccolo racconto, magari a coppie o a gruppetti, su un monaco specifico, descrivendo le sue sensazioni, dove si reca, chi incontra, cosa dice, se parla. Questo testo porta a sviluppare relazioni, nodi fra varie conoscenze che poi si fissano in modo anche più forte nella mente dell’allievo perché si è giocata la carta della creatività». Anche la docente di scienze dell’educazione Jone Galli, che si occupa di formare i docenti di scuola elementare

presso il DFA di Locarno, è d’accordo sul far leva sul vissuto dell’allievo o dell’allieva. «L’importante, per quanto riguarda i bambini, è che trovino un senso: far leva sul loro vissuto» – sottolinea. «Il pensiero creativo è una delle sei competenze trasversali che vengono sviluppate nel corso della scuola dell’obbligo. Più che di strategie, parlerei di caratteristiche che può avere una lezione creativa. La lezione frontale esiste ancora, ma ha un ruolo molto meno preponderante. Oggi vogliamo mettere gli allievi, bambini o adolescenti che siano, molto più in azione rispetto a qualche

decennio fa. Le caratteristiche che possono avere delle attività per risultare creative devono andare in direzione di situazioni di apprendimento aperte, che prevedano la possibilità di arrivare ad una soluzione attraverso più strade». Lo scopo è mettere in gioco le potenzialità degli allievi, rifuggendo il più possibile gli esercizi e i compiti preconfezionati. «Le attività devono essere stimolanti e coinvolgenti. Questo implica anche il fatto che non tutti i bambini svolgano la stessa attività, cosa che succedeva puntualmente nella scuola di qualche anno fa. Oggi si va sempre di

più verso la personalizzazione dell’apprendimento, che permette al bambino di svolgere delle attività che gli consentano di progredire rispetto al punto dove si trova in quel momento». In fin dei conti, niente è distante dalla sensibilità degli studenti, tutto dipende da come la tematica viene posta. «I ragazzi posseggono le loro modalità per appropriarsi dei contenuti, perché certe esperienze le hanno vissute e sono in grado di capire i legami fra le stesse e gli argomenti proposti» – aggiunge Piricò. «Si può anche fare il contrario. Partire da elementi della contemporaneità, come il razzismo, e andare a ritroso a cercare quei passaggi attraverso cui si è giunti al presente». Ma in fin dei conti, chi è l’insegnante creativo? «Secondo me è un insegnante curioso, un insegnante che coltiva delle passioni, che è aperto ad altri punti di vista, che si confronta e che si aggiorna continuamente. Un insegnante creativo non smette mai di imparare, anche dai bambini stessi. La flessibilità in quello che si propone, ma anche nell’atteggiamento, è davvero la parola chiave», precisa Jone Galli. Anche Piricò conclude svelandoci il segreto di un insegnante di successo. «Non smettere mai di divertirsi. Essere creativo rispetto alle possibilità progettuali che la didattica offre. Se gli allievi percepiscono che il gioco è un po’ forzato, è poco speso dal docente in modo personale, non ci cascano». E la lezione, concludiamo noi, diventa indigesta. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni La cognizione del dolore Il titolo di questo mio scritto riprende quello di un celebre romanzo di Gadda, rimasto incompiuto: me l’hanno rammentato le tante pubblicità televisive che promettono la sconfitta del dolore grazie a farmaci contro l’emicrania, i reumatismi, le lesioni muscolari e così via. È un’altra conquista del progresso: soffrivano molto più di noi i nostri progenitori, che per lenire il dolore disponevano soltanto di qualche erbetta di dubbia efficacia. E della forza di volontà. Oggi noi possiamo ricorrere a rimedi ben più efficaci, ma forse stiamo indebolendo la volontà di far fronte al dolore e la capacità di affrontarlo come parte essenziale della vita. Già: non può esserci – almeno per ora – un’esistenza senza sofferenza, e c’è una favola di Esopo che ne ricava una regola di saggezza. Racconta la favola che Zeus, dopo aver plasmato l’uomo e la donna, ordinò a Ermes di insegnar loro a

zappare la terra, così da ricavarne di che vivere. Ma la Terra si oppose: non voleva che l’uomo la ferisse con i solchi delle vanghe. Ermes insistette, precisò che l’ordine veniva direttamente da Zeus; e la Terra finalmente si arrese, ma non rinunciò a vendicarsi: «Allora zappino pure quanto vogliono; ma dovranno pagarlo davvero con gemiti e pianto». E la saggezza di Esopo commenta: «La favola è opportuna per quelli che con facilità prendono a prestito e con dolore poi si inducono a rendere». Questo suo commento mi sembra una descrizione fedele di una massa sempre più numerosa di persone del nostro tempo: prendere quanto più si può, restituire il meno possibile – questa è una tendenza che mi pare si vada accentuando. Ma in ogni caso, la favola insegna che non c’è nulla che non comporti un prezzo da pagare: in primo luogo, la vita. Dunque, come annotava il filosofo

George Simmel – stroncato da un tumore al fegato nel 1918 – l’esperienza del dolore costituisce un percorso di conoscenza: comprendere la vita e viverla pienamente comporta di necessità l’accettazione di quella componente di dolore che è naturalmente intrinseca alla vita stessa. Il che non vuol dire abbandonarsi alla disperazione: il filosofo Bione, osservando un re che si strappava i capelli per il dolore, commentava con ironia: «Costui pensa forse che la pelata mitighi il dolore?». Può sembrare una battuta irriverente verso la sofferenza, ma ha un fondo di verità: è assodato che la percezione soggettiva del dolore varia da persona a persona, e che l’ansia e l’emotività individuali incidono molto sul livello di sofferenza percepita. Ad esempio, ai soldati feriti in guerra era necessaria una quantità di morfina minore rispetto ai civili con ferite analoghe, perché i soldati erano felici di allontanarsi dal campo

di battaglia; e ci sono anche individui che provano un dolore di origine puramente psicogena, indipendente da qualsiasi causa organica. Ma quel «percorso di conoscenza» del quale parlava Simmel non è affatto un invito al masochismo: al contrario, è un’esortazione a conoscere e ad accettare la vita così da affrontarla con coraggio crescente; è quella «disciplina del dolore» della quale Nietzsche ha scritto che «solo questa disciplina ha portato finora ad ogni elevatezza dell’uomo». Forse ha ragione: non conosco personalità di rilievo, nell’arte, nella scienza, nella letteratura, che non abbiano vissuto fino in fondo l’esperienza del dolore nelle più diverse forme. Una riflessione analoga la troviamo in Novalis: «Le malattie, specialmente quelle lunghe, sono anni nei quali si apprende l’arte di vivere e si forma l’anima». Considerando tante affermazioni di questo genere, numerosissime nelle

riflessioni filosofiche, mi viene da pensare che l’attuale crescente ricorso agli antidolorifici, agli psicofarmaci e agli psicoterapeuti è, almeno in parte, uno sviamento da quel percorso di conoscenza che insegna a vivere: il dolore fisico, non va dimenticato, è un sofisticato meccanismo evolutivo che agevola la sopravvivenza, un segnale d’allarme che mette in guardia contro lesioni, disfunzioni organiche, danneggiamenti del corpo. Per questo è una componente essenziale della vita; e soffocare il dolore appena si manifesta o eludere una sofferenza spirituale con la pillola della felicità può voler dire appiattire la vita in un’esistenza superficiale e apatica. Da una prova dolorosa, vinta con la volontà, si esce rafforzati, più pronti ad affrontare la vita e, magari, anche a «riderci sopra». Come ha detto qualcuno: «Chi si lamenta per il mal d’amore dovrebbe provare il mal di denti!».

nouveau. Sorseggio la verbena e decido di aspettare un po’, troppa gente è assiepata attorno al buffet, è l’ora di punta. Certo, come prevedibile, l’aria a metà strada tra brasserie francese con cameriere hemingwayane e sontuosa bettola romanda con i suoi personaggipilastri che sembravano inamovibili, è sparita. Eppure poteva andare peggio, diventando Mcdonald’s o Starbucks. Il Tibits – nome tratto dall’inglese tidbit traducibile con bocconcino o leccornia – non è per niente male; spesso, in viaggio, vado in quello alla stazione di Lucerna. Il primo degli altri dieci ristoranti – tre a Zurigo, due a Londra, uno appunto a Lucerna, Basilea, Berna, Winterthur, San Gallo – nasce nel 2000: idea dei tre fratelli Frei ispirati dallo storico Hiltl. Il primo ristorante vegetariano al mondo che vede la luce nel 1898 a Zurigo. D’altronde è proprio la quarta generazione di Hiltl a partecipare, dall’inizio, a questo concetto servisol che oggi va a gonfie vele. Oppure, come i buffet distrutti di Bienne, Berna, Ginevra, per esempio, la sorte

poteva riservargli di scomparire del tutto. E poi, alla fine, dei mutamenti ci vogliono. Mi lancio e senza tentennamenti compongo il mio piatto con pakchoi al vapore, kale, rucola, gratin di bietole, un paio di falafel accompagnati da una cucchiaiata di hummus, e poi cedo alla specialità locale. Un illusionistico papet vaudois affettato tradizionalmente su letto di porri e patate. Il legno di quercia giapponese tirato a lucido rimane comunque elemento dominante che emana un certo calore. Notevole la parte cesellata su in alto, all’entrata, con melograni, uva, pigne. I nuovi lampadari, come il resto dell’arredamento di questo tempio salutista, non sono il massimo, ma non disturbano più di tanto e tutto sommato l’ambiente ultracentenario si è conservato alla grande. Se dunque Hemingway non ha ambientato nessun racconto qui, in occasione della sua visita a Losanna nel 1922 come reporter del «Toronto Star», appena arrivato o in partenza, qui a bere un goccio di sicuro non poteva non sedersi.

progresso tecnologico e scientifico, ci siamo affinati in tanti campi. A questo proposito cito le parole di Yuval Noah Harari, autore del saggio 21 lezioni per il XXI secolo, su «Robinson» due settimane fa: «Che cosa avrebbero fatto, il Kgb e l’Inquisizione, potendo disporre di braccialetti biometrici che sorvegliano costantemente singoli stati d’animo e preferenze? Per nostra sfortuna è assai probabile che lo scopriremo presto». La mostra si conclude con le grandi spie del nostro tempo: Julian Assange, Chelsea Manning, Edward Snowden, William Mark Felt Sr. e altri. E mi sono tornate in mente le parole di Zygmunt Bauman a «re:publica» nel 2015 quando diceva che rispetto agli anni del secondo dopoguerra, anni in cui giovani come lui sognavano la privacy e temevano invece di essere spiati e costretti ad agire secondo il pensiero dominante, noi abbiamo dimenticato il significato e la necessità della privacy,

il diritto umano fondamentale a stare soli con noi stessi. Grazie al telefono, ai social, al computer non siamo mai soli mentre i nostri dati vengono raccolti su qualche server remoto nel deserto. E, tornando alla domanda iniziale, se dobbiamo preoccuparci, Bauman dice: «Sanno molto più di noi di quello che pensiamo, questo è il problema». Va ancora oltre Yuval Noah Harari quando dice che noi esseri umani siamo «animali hackerabili» e il nostro «sistema operativo è a rischio». Anche di hacker buoni come Felix «FX» Lindner ci racconta la mostra delle spie, una mostra che ci confronta con lo specchio del nostro tempo e ci ricorda che, se anche i governi totalitari e le atmosfere da guerra fredda sono storia, oggi grazie alle nuove tecnologie, ai big data, ai supercalcolatori, a internet siamo costantemente sorvegliati, spiati e hackerati. Houston, abbiamo un problema.

A due passi di Oliver Scharpf Il buffet della stazione di Losanna La prima volta che mi sedetti, quasi due decenni fa, al buffet della stazione di Losanna, ebbi la netta impressione di trovarmi all’inizio di un racconto di Hemingway. Al di là di percepire, dal vero, quella stessa situazione già assaporata leggendola, sorseggiando un bianchino pensai di essere capitato in uno dei posti più belli della Svizzera. Imponenti dipinti paesaggistici, molto legno brunastro tutto intorno, soffitti altissimi a cassettoni, illuminazione onirica data da grappoli di lampioni, ghirlande di fumo partorito da Mary Long e Marocaine, cameriere volanti vecchio stampo, atmosfera tanto amata di eterogeneità sprigionata dagli avventori. Bevitori abituali contemplativi, viaggiatori lì solo quel giorno, la vecchia signora che ogni giorno legge il giornale con tisana di rosa canina accanto, studenti, disperati, milionari, psicotici, artigiani che passano per un galopin al volo. Sfogliando I quarantanove racconti (1938) ritrovai l’incipit in questione. In realtà il primo personaggio è seduto al «caffè della stazione»

di Montreux. Altri due entrano in scena nella seconda e terza parte dello strambo racconto, anche loro seduti a un tavolo di un caffè ferroviario vodese: a Vevey e a Territet. L’inizio di Omaggio alla Svizzera è ripetuto tre volte, variandolo con dettagli diversi, però c’è sempre in ballo una cameriera attraente e il legno del tavolo ogni volta «brillava, a furia di essere strofinato». Proprio come quei tavoli lucidi ai quali ogni tanto approdavo, sognando di studiarlo a fondo quel luogo nato nel 1916, per poi raccontarne, magari, qualcosa, un giorno. Una gelida giornata di gennaio, puntuale a mezzogiorno e sedici, il treno arriva al binario sei. Vado diretto al binario uno dove ricordo una delle due maestose entrate. L’altra era in place de la Gare. Chiuso a fine dicembre 2015 per un restauro, ha appena riaperto i battenti un mesetto fa come ristorante vegetariano della catena zurighese Tibits. Cinquecento persone, nel gennaio 2016, erano fuori in coda per accaparrarsi qualche cimelio: la dice

lunga sull’attaccamento dei losannesi al buffet della stazione di Losanna (448 m) dove la domenica per tanti era un rito venire a mangiare le moules sauce poulette e dove entro ora. Vista Cervino all’alba, mi siedo con la mia verbena. Questo grande dipinto tranquillante intitolato Zermatt, al centro della parete ovest, è opera di Albert Gos (1852-1942). Pittore ginevrino specialista di montagna, del Cervino soprattutto, tanto da venir chiamato «il pittore del Cervino». Accanto, verso i binari, è ritratto il jet d’eau di Ginevra per mano di Erich Hermès (1881-1971), più noto come cartellonista che per i suoi dipinti influenzati da Hodler. Friburgo dipinta da Oswald Pilloud completa questa parete. Mentre altri tre quadri, sempre in identico stile idillico-patriottico, troneggiano sulla parete est, sopra il bar e le casse. Sono le vedute di Berna, Neuchâtel e Montreux, a firma Max Brack, Louis Vonlanthen, Henri-Edouard Bercher. Tutte le pareti, sullo sfondo, sono verde pistacchio con decorazioni art

La società connessa di Natascha Fioretti Il museo delle spie Il museo delle spie di Berlino a Leipziger Platz, vicino a Potsdamer Platz, dove ancora ci sono i segni del passaggio del muro – quest’anno cadono i trent’anni dalla caduta – ma anche quelli evidenti di una ricostruzione in chiave moderna della capitale tedesca nella quale sempre meno sopravvivono le facciate storiche, è stato una meta casuale dettata dalla curiosità di un amico appassionato di storie di agenti 007. Non nutrivo grandi aspettative ma ho dovuto ricredermi. Quanto sono belle le scoperte inattese, quelle che capovolgono i nostri pensieri specie in una nevosa e fredda mattina di dicembre quando hai l’impressione che il mondo sia sospeso e l’unico tuo desiderio è tenere tra le mani una tazza di caffè caldo mentre osservi il mondo là fuori. Prima la visita. Pensavo che avrei visto una mostra rivolta prevalentemente al passato e concentrata sui linguaggi, i codici e i metodi di sorveglianza e

spionaggio della guerra fredda. Molti di voi sapranno che a Berlino c’è il famoso ponte di Glienicke, soprannominato il ponte delle spie, usato dall’Unione Sovietica e dagli Stati Uniti durante la Guerra Fredda per lo scambio delle spie prigioniere. E invece no, biglietto d’ingresso alla mano con tanto di codice QR e la simpatica scritta «Burn after visiting», si entra attraversando un muro fatto di schermi sui quali corrono le immagini del nostro tempo,

una narrazione simbolica di ciò che sta accadendo là fuori nel mondo mentre noi siamo lì dentro. Una su tutte: un’attivista di Anonymous che rivendica un attacco hacker. Poi una serie di videocamere alla parete puntano dritte verso di te e immediatamente ti senti in una sorta di grande fratello e d’un tratto ti chiedi: sarà poi vero che siamo costantemente spiati e sorvegliati? Dobbiamo preoccuparci? Mentre ci pensate vorrei iniziare col dirvi di stare tranquilli perché le spie e le attività di spionaggio sono sempre esistite. Già nel VI secolo a.C. il re di Persia, Ciro II, si avvaleva di una efficiente rete di agenti segreti, così come i greci e i romani attraverso i loro agenti spiavano tanto i nemici quanto il loro popolo. E comunicavano attraverso messaggi criptati – vedi il cosiddetto cifrario di Giulio Cesare. Dunque, ancora una volta, non abbiamo inventato niente ma sicuramente, grazie al


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Ambiente e Benessere Last chance travel Le liste delle mete più desiderate instillano in molti uno stato d’animo di ansietà

Poi ci sono gli effetti collaterali… Quanti di voi usano o hanno usato integratori alimentari? Chi di voi lo fa quotidianamente? Quali sono le motivazioni che vi portano a consumarli?

Rosso Skimmia Tra gli arbusti che colorano gli inverni con le loro bacche, anche una bella pianta orientale

L’origine delle leggende Nello sport, non solo nello sci, ma anche nel ciclismo, chi dà la fama? Il percorso o il campione? pagina 23

pagina 19

pagina 15

pagina 22

Curare corpo e mente Medicina Per superare o convivere

con un malessere più o meno grave talvolta è richiesto un solido supporto

Maria Grazia Buletti «Quando sono arrivato qui in clinica, prima ancora del medico, ho trovato un amico disposto ad ascoltarmi e ad aiutarmi. Nel corso della mia vita ho sempre speso tutte le mie energie per aiutare il prossimo, sin da giovanissimo, aiutando tutti: in famiglia da piccolo, poi gli altri sul lavoro, in politica, nella vita sociale. Quando poi mi sono ritrovato ad avere bisogno io, nessuno mi porgeva una mano». Incontriamo il docente in pensione e scrittore Gilberto Bossi alla Clinica Hildebrand centro di riabilitazione di Brissago, dove segue un percorso di riabilitazione psicosomatica. Mentre passeggiamo nel boschetto dietro la struttura e godiamo insieme della magnifica vista sul Lago Maggiore, ci confida di amare tanto la montagna, dove ha sempre provato a recuperare le energie fisiche che man mano sentiva venire meno, ma l’estate scorsa si è sentito “completamente a terra”: «Ho cominciato ad avvertire sintomi di affaticamento fisico più che mentale da diversi anni; per questo mi sono recato da molti medici e sono stato ricoverato pure in un ospedale dove ero trattato come malato psichico (per depressione), ma non hanno mai capito di cosa si trattava, finché sono arrivato qui, una sorta di “ultima spiaggia” dove però ho trovato accoglienza, ascolto e una vera mano che mi sta aiutando». Lungo il sentiero e durante la nostra lunga chiacchierata ci accompagna il dottor Nicola Bianda, che all’Hildebrand si occupa di medicina interna e generale, psicosomatica e psicosociale: «Parlare di medicina psicosomatica potrebbe sembrare una sfida e un’utopia, perché i nostri pazienti sono innanzitutto persone reduci da percorsi di accertamenti lunghi e faticosi, alla ricerca della propria salute, ma che non hanno trovato risposte perché la medicina non è stata in grado di spiegare i loro sintomi e disturbi manifesti». Una definizione della medicina riabilitativa psicosomatica che mette subito la persona al centro dell’interesse multidisciplinare del percorso di cura votato a fare riemerge le risorse personali alle quali non riesce più ad attingere. E per le quali può manifestare differenti sintomi che a livello medico non trovano il riscontro di una patologia, spiega il medico: «Il paziente può manifestare ad esempio cefalee, dolori cervicali, lombari, addominali, o ancora

tachicardia, a volte presenta disturbi respiratori, e potrebbe manifestare anche una serie di sensazioni come formicolii o vertigini e tutto questo, dicevamo, non trova riscontro somatico nelle indagini mediche». In sintesi, siamo dinanzi a una persona tutto sommato sana che però non sa come ritrovare la propria salute: soffre e necessita di un aiuto per riuscire a recuperare il proprio equilibrio psicofisico. «Questa, per me, è un po’ “l’ultima spiaggia” dopo aver provato tante strade», afferma il signor Bossi. Dunque, ciò che il paziente trova entrando in clinica per affrontare un percorso riabilitativo psicosomatico è proprio quello che si aspetta di trovare e in cui ripone grandi aspettative. Dal canto suo, il dottor Bianda pone l’accento sulla solidità della relazione terapeutica fra medico e paziente: «Questi pazienti giungono qui con una bassissima fiducia a causa del proprio vissuto. Perciò, dobbiamo iniziare a ricostruire questa loro fiducia, attraverso piccoli ma grandi passi e poniamo in tal modo solide basi per iniziare a lavorare insieme». Il medico afferma che: «Chi affronta un percorso di questo genere non arriva in clinica per voltare pagina o cambiare capitolo, ma per cambiare veramente libro e porre le basi per una nuova esperienza». E non è semplice, perché Bianda ci spiega che talvolta la malattia può essere qualcosa a noi noto che ci teniamo ben stretto: «Se ammalarsi è triste, a volte guarire è peggio: vi sono situazioni in cui il paziente si “tiene stretta” la propria condizione raggiunta con fatica, con la convinzione che, paradossalmente, lo protegge in una sorta di strategia di sopravvivenza». I sogni e i bisogni di chi decide, come il signor Bossi, di intraprendere questo cammino terapeutico, devono essere dunque accolti, spiega il dottor Bianda: «Innanzitutto mettiamo in campo la disponibilità per costruire una relazione terapeutica con valore di crescita e apprendimento, che si sviluppa attraverso cure multidisciplinari fisiche ma soprattutto psicoterapiche, e in quest’ambito è importante la scelta tra i diversi indirizzi terapeutici». Il percorso, di durata variabile e individuale, si sviluppa dopo un’accurata anamnesi e una diagnosi, snodandosi attraverso specifici approcci di psicoterapia integrata, quali la psicoterapia sensomotoria o l’EMDR: «Utilizziamo gli approcci al trauma psicologico, inte-

Il dottor Nicola Bianda, medico alla Clinica Hildebrand Centro riabilitazione Brissago. (Vincenzo Cammarata)

so come evento o serie di eventi di vita improvvisi ed esterni, in grado di disgregare le strategie di difesa e di adattamento: ad esempio, un evento cardiovascolare o un incidente, una diagnosi oncologica in cui l’evento stesso comporta anche un messaggio o un’opportunità e la persona potrebbe uscirne, secondo il proprio passato e le risorse di cui dispone, come sopravvissuto o come vittima». I valori principali che dispongono la persona al cambiamento e alla ricerca delle proprie risorse sono costituiti da disponibilità, curiosità ed empatia: «Essere curioso permette al paziente di ritrovare tutta una serie di collegamenti di situazioni, di comprendere e comprendersi meglio; la disponibilità è la capacità di esserci innanzitutto come persona, terapista e medico, oltre alle

competenze professionali insindacabili; l’empatia è la capacità di sapersi immaginare al posto dell’altro». Mentre camminiamo, il signor Bossi ci conferma tutto questo attraverso semplici ma efficaci parole che riassumono la sua esperienza: «Sin dall’inizio, arrivato qui, ho percepito questa grande disponibilità da parte del medico che mi cura e dei suoi collaboratori: tutti sono aperti al dialogo che oso dire sia quasi amichevole. Sento che sto recuperando forze, fiducia ed energie. Spero di riuscire ad uscirne…» D’altronde, il dottor Bianda ce lo aveva detto: «Grazie alle cure multidisciplinari e all’approccio prevalentemente psicoterapico, oltre che naturalmente alle terapie somatiche, la persona recupera una sorta di benessere psicofisico, insieme alle risorse

che aveva perduto: ne esce rinforzata, ha appreso strategie, piuttosto che tecniche, che non la porteranno a rivoluzionare la propria vita, ma a riprenderla certamente in mano».

Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al dottor Nicola Bianda.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Ambiente e Benessere

Nasce la filosofia Jomo

L’esperienza sociale del camminare

Viaggiatori d’Occidente Come liberarsi dalle liste dei luoghi imperdibili

Bussole I nviti a Ittoqqortoormiit è una delle mete dove partire per dimenticare Facebook, Twitter o Instagram. (Hannes Grobe)

letture per viaggiare

«Camminare, ovvero come rendere l’attività più naturale del mondo un fenomeno sociale. Perché siamo tutti escursionisti. Prendete noi, per esempio, i due autori dell’opera che state tenendo tra le mani… In quest’opera abbiamo riunito i 90 luoghi che più hanno segnato le nostre vite in movimento… Un panorama a trecentosessanta gradi su paesaggi incredibili e pezzi di vita indimenticabili che solo l’escursionismo sa offrire…».

Claudio Visentin All’inizio di ogni anno gli elenchi delle destinazioni di tendenza si moltiplicano nelle rubriche di viaggio dei grandi giornali internazionali. Il «New York Times», per esempio, la prende molto sul serio e allinea perentorio «52 posti da vedere nel 2019». I criteri della scelta? Sono i più desiderati (aspirational), per le più diverse ragioni, tra scoperta e riscoperta. A volte è un nuovo museo, per esempio l’atteso Grand Egyptian Museum del Cairo; sarà il più grande museo archeologico del mondo e aprirà al pubblico le prime gallerie nel 2019 con l’intera collezione del leggendario giovane faraone Tutankhamen. Oppure un nuovo aeroporto rende accessibile un luogo, come Sant’Elena, sperdutissima isola atlantica. O ancora una schiarita nella politica internazionale libera un Paese dalla classe dei cattivi: l’Iran potrebbe essere un esempio recente. In testa alla lista del «New York Times» c’è Porto Rico, in ripresa dopo un devastante uragano; segue il sito archeologico di Hampi (India), capitale dell’Impero Vijayanagara nel XIV secolo; poi il cibo e i vini di Santa Barbara, California, l’ecoturismo a Panama e così via. La Svizzera è presente con Vevey (n. 49) grazie alla sua Fête des Vignerons (dal 18 luglio all’11 agosto

2019). Il cambiamento climatico è una priorità nelle scelte e alcuni di questi luoghi potrebbero semplicemente non essere più visitabili in futuro, come le caverne di ghiaccio modellate dal vento gelido e dalle onde sul Lago superiore (Ontario, Canada), anche se questi allarmi creano un paradossale effetto Last chance travel – ora o mai più – moltiplicando il numero dei viaggiatori e accelerando le trasformazioni in corso. Queste liste non vanno prese troppo sul serio: più che le tendenze profonde del viaggio contemporaneo riflettono mode, il risultato di campagne di comunicazione e qualche nascosta pubblicità. E naturalmente anche al «New York Times» non si aspettano che qualcuno voglia davvero visitare tutte le mete proposte. Questo privilegio è riservato invece a un viaggiatore scelto dalla redazione con un grande concorso. Nel 2018, Jada Yuan ebbe la meglio su tredicimila aspiranti e lo scorso anno ha viaggiato per oltre centoventimila chilometri, un terzo della distanza tra la Terra e la Luna. Il suo erede sarà il giornalista multimediale Sebastian Modak, madre colombiana, padre indiano, in viaggio dalla nascita (ultimo domicilio stabile: New York). Tutte queste liste (ogni testata ha la sua), insieme alle imprese turistiche dei nostri contatti in rete, finiscono per

instillare in molti di noi uno stato d’animo di ansietà, il timore di non essere nel posto giusto, con le persone giuste: in una parola F.O.M.O., Fear Of Missing Out, la paura di perdersi qualcosa. L’uso di questo acronimo è in crescita esponenziale dal 2013; nel 2017 le scuole inglesi hanno lanciato un programma nazionale per aiutare i giovani a gestire l’ansia alimentata dai Social media. Proprio per questo la nuova tendenza del 2019 potrebbe essere invece J.O.M.O., Joy Of Missing Out, la gioia di perdersi qualcosa. Jomo è stata una delle nuove parole dell’anno 2016 per il celebre Dizionario Collins: «Il piacere che traiamo da quel che stiamo facendo senza preoccuparsi se altre persone si divertono di più». Le nuove parole d’ordine? Disconnessione, privacy, esperienze reali. E dunque riscoprire il piacere di esplorare vie meno battute, trascorrendo molto tempo all’aperto e sospendendo così la dipendenza dallo smartphone. Oppure, tentando un piacevole esperimento anacronistico, potreste viaggiare seguendo la lista dell’anno prima, in luoghi che nessuno considera più, con tanto di riflessioni esistenziali alla Andy Warhol su come nel nostro tempo ognuno abbia diritto alla fama, ma solo per quindici minuti. La nuova tendenza Jomo si è af-

facciata in Asia, in Paesi iperconnessi come il Giappone, la Cina o la Corea del sud (curioso che proprio le terre dove più si è diffusa la predicazione del Budda debbano imparare di nuovo a coltivare l’essenziale e lasciar cadere le apparenze…). La nuova tendenza è stata rilevata dapprima da Euromonitor International, una società di ricerche specializzata nelle nuove tendenze di viaggio. Anche il sito di prenotazioni online Hotels.com segnala nell’ultimo anno una crescita del 18% delle ricerche relative alle destinazioni più remote. La sola Groenlandia per esempio è cresciuta del 65%, con mete come Ittoqqortoormiit, 450 abitanti, dove potete scalare montagne innevate, vedere l’aurora boreale e correre su slitte trainate dai cani, dimenticandovi di Facebook, Twitter o Instagram. La filosofia Jomo viene proposta anche da alcuni operatori specializzati di lusso come Black Tomato: a caro prezzo, vi porterà in luoghi remoti e segreti, sfidandovi a ritrovare la via di casa senza l’aiuto dell’elettronica. I «Viaggiatori d’Occidente», lettori di questa rubrica, abbracciano inevitabilmente la filosofia Jomo. Partono per coltivare uno spirito libero, liberarsi dalle convenzioni sociali, se necessario andare controcorrente. E sanno che sulla strada non serve la lista della spesa.

La fine dell’anno lascia dietro di sé una scia di grandi libri illustrati destinati ai regali di Natale e a far sognare i «viaggiatori da poltrona», con i loro elenchi di meraviglie. La maggior parte viene presto dimenticata, ma alcuni conservano un loro significato, come questa antologia dei più importanti cammini del mondo. Ci sono naturalmente i percorsi più antichi come il Cammino di Santiago, la Via Francigena, la Kora del Monte Kailash in Tibet o il Cammino degli 88 templi di Shikoku in Giappone; poi i principali itinerari naturalistici e i grandi sentieri. Trovate anche vie ancora sconosciute al grande pubblico ma in rapida ascesa, come la Rota Vicentina in Portogallo, con l’oceano a far da sfondo alle vostre giornate. Sapevate poi che in Etiopia si può camminare sino in cima alla catena di vulcani Erta Ale e dormire a poca distanza dal cratere, mentre il riverbero rossastro della lava illumina le tenebre? E comunque andare lontano è solo una scelta, quando potete percorrere il Chemin de Stevenson nelle Cévennes francesi, immersi nella luce del Midi. Inoltre un cammino può permettervi di visitare in tutta tranquillità i luoghi del turismo di massa, come le Cinque Terre. Anche nelle maggiori città – Lisbona Londra, Parigi, Berlino, New York, San Francisco, persino Venezia – si può camminare in cerca di nuova ispirazione, rintracciando la propria via tra la foresta degli edifici. Bibliografia

Nicolas Gardon e Sylvain Bazin, Camminare nei luoghi più belli del mondo, Touring Club Italiano, 2018, pp.208, € 29,90.

Brano bifronte 3. La piramide di Cheope

6. Essere o non essere (4)

1. Lotte politiche e lottizzazioni

4. Banda di paese decimata

7. Lirica su Raidue (4)

2. Faceva il contadino

5. Non è affatto sano!

8. Sentinelle avanzate (1 3 4 = 1 7)

Quest’ultima delibera in Comune xxxxx la proposta alla Regione. La commissione xxxxx poi si oppone... Sembra una gara di tiro alla fune! (Lillo Angiò) Xxxxx quella terra dura e xxxxx, ma poi tutto il podere si è venduto e per, fare una vita meno amara, a vivere quaggiù in città è venuto. (Il Cherubino)

Quel faraone xxxxxx un monumento così da poter xxxxxx sicuro che il suo ricordo fosse duraturo: e infatti ha resistito a sabbia e vento. (Radiopop) Parecchi clarinetti (sono xx xxxx), ma pochi xxxxxx: so che normalmente ce n’è di più, ma un caso contingente li forza in un organico ridotto. (Variante Ascari) La frutta vien trattata in modo errato: raccolta, va a un deposito attrezzato; xxx xxx pesticidi assai xxxxxx tolgono i parassiti ancora vivi. (Ludovico)

Questi son tra gli uni e gli altri quando tutti stan d’appresso; viceversa (siate scaltri) non son più... ma son io stesso! (Bu Meliana) Per veder l’Africana passai sull’onda di questo canale; il primo trasmetteva Fulmini sulla Terra: micidiale! (Marac) Se pur di colpe furono accusati taluni che alla testa eran preposti, altri al periglio infin si sono esposti per interporsi fra i nemici armati. (Il Longobardo)

Soluzione

Il meccanismo linguistico del bifronte consiste nell’invertire l’ordine di un dato insieme di lettere (che può corrispondere a una parola o a una frase), in modo da ottenere un diverso insieme di lettere (che può, anch’esso, corrispondere a una parola o a una frase). Alcuni esempi di bifronti, di vario tipo, possono essere i seguenti: acetone = enoteca; attorniare = era in rotta; era l’una = anulare. Come è facile notare, questo meccanismo è un caso particolare di anagramma. Per la sua singolare caratteristica, però, viene tradizionalmente classificato a parte, anche se non si tratta di un gioco molto comu-

ne (data la difficoltà di composizione dei suoi schemi). Qui di seguito riporto alcuni significativi esempi a riguardo, sia di tipo popolare, sia di tipo classico.

1. elide = edile; 2. arava = avara; 3. eresse = essere; 4. in otto = ottoni; 5. ivi con = nocivi; 6. medi = idem («viceversa» allude all’operazione di rovesciamento di questo gioco); 7. Suez = Zeus («onda di questo canale» = acque del canale di Suez; il «primo» (tra gli dei greci) è Zeus che, quando si adirava, scagliava i suoi «fulmini sulla Terra»; 8. i rei capi = i pacieri («rei» = colpevoli).

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Ambiente e Benessere

Integratori sì o no?

Notizie scientifiche Medicina e dintorni

La nutrizionista

Marialuigia Bagni Accavallare le gambe non fa bene Accavallare le gambe favorisce le vene varicose? Il vecchio adagio è risultato vero. In questa posizione l’osso del ginocchio inferiore preme sulle vene della cavità del ginocchio superiore provocando una dilatazione delle vene superficiali in cui il sangue può ristagnare. Questa dilatazione impedisce la chiusura completa delle valvole che fanno risalire il sangue verso il cuore, contrastando la gravità. Con l’attività sportiva il disturbo è minore.

Laura Botticelli Questo mese non risponderò a una vostra domanda perché desidero approfondire un tema che mi sta a cuore ed è abbastanza sentito dai miei pazienti. La possibilità di trattarlo qui, ad ampio raggio, mi lascia ben sperare di riuscire a sensibilizzare più persone. Quanti di voi usano o hanno usato integratori alimentari? Chi di voi lo fa quotidianamente, chi saltuariamente? Quali sono le motivazioni che vi portano a consumarli? Paura di carenze, timore di ammalarsi, per voler rinforzare/ migliorare parti del corpo (salute, capelli, unghie, denti ecc), per affrontare meglio un periodo di convalescenza o di stress dovuto al lavoro o a esami a scuola o altre prove della vita? Queste le domande e queste le giustificazioni più comuni… ma sono fondate? Partendo dall’inizio, posso dire che l’idea alla base degli integratori alimentari è quella di fornire sostanze nutritive che non possono essere assorbite in quantità sufficienti nel regolare consumo di cibo. Gli integratori alimentari possono essere vitamine, minerali, aminoacidi, acidi grassi e altre sostanze sotto forma di pillole, compresse, capsule, liquidi, ecc. I supplementi sono disponibili in una vasta gamma di dosi e in diverse combinazioni. Esistono anche sempre più prodotti alimentari di uso comune, compresi cereali e bevande per la colazione, arricchiti per esempio di vitamine extra, omega-3 o altri supplementi alimentari. È bene sapere che solo una certa quantità di ogni sostanza nutritiva è necessaria per il funzionamento del nostro corpo, quantità maggiori non sono necessariamente migliori. Anzi, a dosi elevate, alcune sostanze possono avere effetti negativi e possono diventare nocive. Un’alimentazione che comprende quotidianamente cinque porzioni di frutta e verdura, cereali integrali, proteine adeguate e grassi sani dovrebbe normalmente fornire tutti i nutrienti necessari a mantenerci in buona salute. Di conseguenza, se prendiamo anche degli integratori potremmo ingerire

Sono molti i tipi di integratori alimentari esistenti. (Pixnio)

più sostanze alimentari utili di quanto pensiamo e gli extra, oltre ad essere costosi, possono anche aumentare il rischio di farci sperimentare effetti collaterali. Ad esempio, assumere troppa vitamina A può causare mal di testa e danni al fegato, ridurre la forza ossea e causare difetti alla nascita. L’eccesso di ferro causa nausea e vomito e può danneggiare il fegato e altri organi. Inoltre gli integratori non sono farmaci e, quindi, non sono destinati a trattare, mitigare, prevenire o curare malattie. Quindi non tutti gli integratori sono utili per tutti. Ma a chi lo sono? Ci sono alcuni gruppi di popolazione o individui che possono aver bisogno di integratori anche se seguono una dieta sana ed equilibrata, ossia le donne in età fertile dove è possibile una carenza di ferro e di vitamina D: se poi desiderano avere dei figli è essenziale assumere acido folico prima del concepimento e nelle prime dodici settimane di gravidanza per ridurre il rischio di avere un bambino con difetti del tubo neurale come la spina bifida; le donne che allattano dovrebbero assumere più vitamina D; i vegani dovrebbero assumere vitamina B12 poiché non esistono fonti vegetariane ma solo animali; individui che assumono determinati farmaci; i bambini sotto ai cinque anni, vitamina

A, C e D se non mangiano grandi quantità di cibo. Anche le persone molto anziane, che hanno un’alimentazione carente per via di problemi di dentizione, o per abitudini sbagliate come l’idea di consumare solo caffè e latte a cena o per problemi economici che hanno ridotto di molto la scelta alimentare, per questi motivi potrebbero averne bisogno. Il mio consiglio, in tutti i casi e soprattutto se si ha qualche timore, è sempre quello di chiedere al proprio medico di famiglia un’analisi del sangue e provvedere poi in base al risultato a trovare la soluzione ideale con integratori o altro. In generale è meglio seguire una dieta sana ed equilibrata, leggere attentamente le etichette degli integratori e degli alimenti arricchiti, informarsi ed evitare di assumere dosi multiple che superino gli importi giornalieri raccomandati (RDA). Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch Le precedenti puntate della rubrica e altri interessanti quesiti su temi nutrizionali si trovano sul sito: www.azione.ch

Se non mi servi, ti cancello Non è vero che il cervello conserva tutti i ricordi. Cancella, infatti, quelli ritenuti inutili, guadagnando così spazio per nuove informazioni. Lo hanno scoperto alcuni neuroscienziati dell’Università di Toronto, in Canada, con uno studio che considera la memoria come l’attitudine a eliminare ciò che è di troppo e non come capacità di conservare quanti più dati possibili. L’approccio non è nuovo, ma la ricerca canadese ha individuato, per la prima volta, i meccanismi che cancellano i ricordi. Bevi che ti passa, almeno il male L’alcol fa sentire meno il dolore. Questa convinzione comune ha ora una verifica scientifica. Esperimenti condotti all’Università inglese di Geenwich su 404 persone, cui erano stati inflitti piccoli dolori, hanno mostrato che l’alcol è un efficace antidolorifico, forse più potente del paracetamolo. L’alcol agisce, infatti, sugli stessi recettori cui sono diretti gli antidolorifici. Potrebbe anche essere, spiegano i ricercatori, che l’alcol, abbassando il livello di ansia, faccia sentire meno il male. «Dissetarsi» con l’aceto Siccità: e se l’aceto fosse la soluzione? Ricercatori giapponesi dell’Istituto Riken di Yokohama hanno fatto questa scoperta semplice quanto sbalorditiva: una soluzione di acido acetico, ossia di aceto diluito, permette alle piante di resistere alla siccità. L’esperimento ha fermato per 14 giorni l’innaffiamento di un campo di Arabette delle dame (piante della famiglia delle Brassicacee) e lo ha sostituito con una soluzione di acido acetico: il 37 % delle piantine è so-

pravvissuto mentre le arabette che non avevano beneficiato del trattamento sono tutte morte. Il nostro naso è come un vaccino Principale via d’accesso a certi virus, il nostro naso ci protegge, al tempo stesso, tramite cellule che ci immunizzano, tanto che non si prende mai due volte lo stesso tipo di raffreddore. Infatti le cellule della mucosa nasale, i linfociti T, sono dotate di una memoria «virale» e, se incontrano una volta un virus, poi lo riconoscono – e ci immunizzano – anche se ha subìto una mutazione. Numerose altre ricerche sono state condotte a Lione, in Francia, al Centro internazionale di ricerca sulle infezioni. Io, cioè lei… Parlare di sé in terza persona rende «zen». Lo afferma uno studio inglese pubblicato su «Science Report», condotto su 82 volontari. Messi in situazione di stress e richiesti di parlarne in terza persona, oltre la metà ha rivelato minori segni di nervosismo ed è risultata più obiettiva. Molto probabilmente, hanno spiegato i ricercatori, perché la terza persona favorisce un certo «distacco» dal problema. Se fa bello non rischio La luminostà danneggia la propensione al rischio. Uno studio americano pubblicato su «Plos One» afferma che l’intensità della luce esterna influenza la nostra attitudine al rischio economico. L’esperimento, in giorni più o meno luminosi, ha riguardato 2530 individui, cui è stato chiesto di scegliere tra 5 dollari subito o 20 dollari in futuro, con la probabilità del 75%. La scelta, in giornate di sole, è stata, generalmente, favorevole alla prima opzione. Scopo della ricerca era verificare se, eventualmente, questi risultati potessero essere validi per i mercati finanziari. La «colpa» della calvizie Ricercatori scozzesi sono in grado di dire se un uomo diventerà calvo con l’età sulla base del suo Dna. Hanno identificato 125 geni implicati nella calvizie e, di questi, ben 13 del cromosoma X, che viene trasmesso dalla madre la quale, dunque, è responsabile del 5% della perdita dei capelli dei figli. Lo riferisce la rivista «Science et Vie». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana

Burratina su crema di mais Antipasto

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

Ingredienti per 4 persone: ½ cipolla · 1 cucchiaio di burro · 230 g di chicchi di mais, peso sgocciolato · 2 prese di sale · pepe di Cayenna macinato grosso · 2,5 dl d’acqua · 40 g di semola di mais fine, polenta 2 minuti · 4 cc d’olio d’oliva · 4 burratine da 120 g · micro leaves o crescione per guarnire.

1. Tritate la cipolla. Scaldate il burro e soffriggetevi la cipolla. Aggiungete i chicchi di mais e soffriggeteli con la cipolla. Condite con sale e pepe di Cayenna. Sfumate con l’acqua e portate a ebollizione. 2. Unite la semola tutta in una volta. Fatela cuocere per 2 minuti a fuoco basso mescolando di continuo. Aggiungete la metà dell’olio e riducete il tutto in purea con il frullatore a immersione. Se occorre aggiungete un po’ d’acqua. 3. Passate la crema di mais attraverso un colino e insaporitela con sale e pepe. Versate e spianate la crema sui piatti. Sistemate una burratina e un po’ di foglioline di crescione su ogni piatto. Irrorate con l’olio restante. Preparazione: circa 15 minuti. Per persona: circa 25 g di proteine, 36 g di grassi, 19 g di carboidrati,

500 kcal/2100 kJ.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Ambiente e Benessere

L’ombra tondeggiante della Skimmia Mondoverde Un arbusto dal fogliame verde scuro, persistente, ricchissimo di bacche molto decorative

nel periodo invernale

Accanto alla mia pianta di camelia primaverile c’era uno spazio vuoto, uno di quelli che di regola riempivo con dei vasi fioriti stagionali. Ultimamente però mi sono ritrovata a cercare un angolo adatto per piantare un nuovo arbusto che mi è sempre piaciuto ma che non ho mai coltivato per via della sua esigenza legata al terreno acido. Dopo un attento esame, alla fine, la scelta è caduta proprio su quella piccola superficie ombrosa e dal ph basso. La pianta in questione è una Skimmia japonica, un arbusto dal fogliame verde scuro, persistente, ricchissimo di bacche molto decorative nel periodo invernale. La crescita di questa pianta, che raggiunge il metro e mezzo di altezza e di diametro, è abbastanza lenta (necessita di 15-20 anni per raggiungere la massima dimensione), ma in compenso richiede pochissima cura, a patto di offrirle come s’è detto in apertura un terreno acido (quello adatto anche a camelie, azalee, rododendri ed eriche, per intenderci) e posizione a mezz’ombra o in ombra totale. Appartenente alla famiglia delle Rutacee, il genere Skimmia si compone di otto specie, tutte con le stesse esigenze, ma dal tipo di bacca differente. La più classica, facilmente reperibile nei vivai, è S. japonica, una giapponese con fiorellini bianchi primaverili portati su brevi pannocchiette e bacche autunnali piccole, fitte, rosso scuro,

Maja Dumat

Anita Negretti

molto persistenti e non attrattive per gli uccelli. Le foglie, lucide e di consistenza cuoiosa, sono fragranti se sfregate. Questa specie è in grado di creare un bel bordo anche quando la pianta risulta sprovvista di fiori o bacche. Vicina a delle camelie o azalee riempie bene l’aiuola, mentre se scegliete di metterla in terrazza, abbinatela ad esempio a ellebori e viole per il periodo invernale e a fuxie colorate da giugno in avanti. Le piante portano fiori femminili della Skimmia e maschili in modo di-

stinto e quindi è utile piantare vicino i due individui per potersi assicurare un’abbondante fioritura. Tra le varietà più belle di questa specie vi è sicuramente «Rubella», dai boccioli rossi che aprendosi diventano bianco-rosato; «Nymans» con brillanti bacche rosse, simili a quelle degli agrifogli e «Fragrant Cloud», che stupisce per il delicato ma persistente profumo dei fiori bianco candido e per le bacche tendenti al rosa. Se lo spazio a vostra disposizione

non permette di ospitare due piante, allora vi consiglio di puntare la scelta su S. fortunei, chiamata anche S. reevesiana, con fiori ermafroditi, in grado quindi di autoimpollinarsi e molto resistente all’inquinamento. Skimmia x confusa – di cui la varietà «Kew Garden» porta fiori color crema – raggiunge invece l’altezza di tre metri, ma anche in questo caso nel corso di molti anni, prediligendo al contrario delle altre una posizione di pieno sole.

Skimmia anquetilia risulta essere la meno appariscente per via dei fiori verdognoli, ma affascinano le sue foglie molto aromatiche e le bacche portate sugli individui femminili color rosso cupo. Tutte le skimmie si prestano alla coltivazione in vaso, con un fondo di argilla e del terriccio per acidofile. Durante l’anno è utile concimare con composti liquidi o granulari sempre a base acida, per contrastare l’effetto calcareo della nostra acqua, in grado di causare l’ingiallimento e la caduta delle foglie. Non si interviene con la potatura – grazie alla loro propensione naturale a essere piante dalla forma rotondeggiante – se non per eliminare le pannocchie senza bacche dopo la fine dell’inverno ed eventualmente i rami spezzati dal vento o dalla neve. Vi volete divertire nella moltiplicazione per ottenere nuove piante? Potete optare per la semina, da effettuarsi in settembre-ottobre, tenendo conto che ci vorranno circa quattro anni prima di avere piantine alte una ventina di centimetri, mentre se volete guadagnare tempo, riducendolo a due anni, procedete con la talea. Tra luglio e agosto prelevate porzioni di ramo lunghe 8-10 cm, facendo attenzione a togliere anche una base del ramo portante (callo): interrateli con vasi colmi di sabbia e torba, teneteli bagnati e lasciateli all’esterno in posizione riparata. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Ambiente e Benessere

Sono le piste a rendere leggendari gli sciatori oppure viceversa? Sport Su tracciati difficili come il Chuenisbärgli di Adelboden ed il Lauberhorn di Wengen non si bluffa:

statisticamente sono i grandi campioni a vincere Giancarlo Dionisio Dici Parigi-Roubaix o Giro delle Fiandre e subito il pensiero corre ai grandi nomi della storia del ciclismo, in tempi recenti a fenomeni come Tom Boonen e Fabian Cancellara. Chuenisbärgli è senza dubbio un luogo meno conosciuto al grande pubblico, ma gli appassionati di sci alpino sanno benissimo che questo pendio che sovrasta Adelboden è paragonabile, per difficoltà e mistica, alle due celeberrime Classiche monumento. «Vedi Napoli e poi muori» scrisse Johann Wolfgang von Goethe. Oggi potremmo dire: vai almeno una volta ad assistere al gigante di Adelboden se vuoi provare la vera ebbrezza dello sci. Vacci preferibilmente da spettatore. Lasciati togliere il fiato quando da sotto, dal parterre, vedi sbucare in alto, ogni due minuti, gli sciatori sul muro finale. È un rito torcibudella, con un attimo infinitesimale di silenzio, quando lo sguardo passa dal grande schermo alla pista, prima dell’esplosione di hurrà, campanacci e trombette: fino all’ultima porta, fino al traguardo, fino a quando alla partenza, su in alto, si presenta il concorrente successivo, piccolo come la capocchia di uno spillo. Nelle corse ciclistiche, quando il 1 3 4 capitare che5ci gruppo2sonnecchia, può sia qualche vincitore a sorpresa. Il classico Carneade che si intrufola negli albi 9 10 d’oro accanto a nomi prestigiosissimi. Tutto ciò accade molto raramente nei

sible per la stragrande maggioranza. Anche qui è una questione fra mostri. Mettiamo da parte l’archeologia, quando si sciava su due listelli di legno, quando le gare erano una questione sostanzialmente svizzera, quando l’«enfants du pays», Karl Molitor riusciva a lasciare il segno per ben sei volte a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Da quando lo sci, sul finire degli anni Cinquanta, ha iniziato il suo inarrestabile cammino verso la professionalizzazione, tutti i grandi, o quasi, sono riusciti ad addomesticare questa Classicissima di gennaio. Dal poker degli austriaci Toni Sailer e Karl Schranz, al tris del loro connazionale Kaiser Franz Klammer, alle doppiettePE SUDOKU del lussemburghese Marc Girardelli, del gardenese Kristian Ghedina, dell’aN. 1 FACILE mericano Bode Miller e dell’austriaco Stephan Eberharter. Schema Infine, per fortuna, ma non per caso, molta Svizzera nell’ultimo decencon quattro dei9nostri campioni 4 nio, 3 che hanno legato indissolubilmente Hirscher, non ancora trentenne, è già il migliore di sempre. (Jonas Ericcsoon) il loro nome alla pista bernese: Didier 8 Defago, Carlo Janka, Patrick 2 Küng e nomeno di Hermann Maier, che, senza in linea d’aria. Tutti in posizione per Beat Feuz. Prima di loro, l’impresa era gli infortuni, avrebbe potuto scolpire mantenere la velocità sulle pendenze al riuscita 3 1ad altri 9 quattordici 8 7discesisti ancora più profondamente il suo nome 42 per cento dell’Hundschopf. Non ci si rossocrociati. Mai, però, a due icone nella storia dello sci. Pensate che due deve distrarre sulla pista di discesa 3 più come Bernhard 5 4Russi2e Didier Cuche. gigantisti considerati fra i migliori di lunga del circo bianco. Ogni incertezza, Ed ecco la risposta all’interrogativo inisempre, il potentissimo Alberto Tomba ogni sbavatura, ogni linea non ideale, ziale. Il Lauberhorn è diventato leggen9anche senza il loro sigillo. Dal canto e l’elegantissimo Michael Von Grüni- si paga. Lo avrete capito, siamo a Wen- da gen si sono imposti una sola volta sul gen, dove partono in ottanta col sogno loro, Russi e Cuche sono parte della leg2 nell’albo genda pur 3 senza 7 aver trionfato sul maChuenisbärgli. di iscrivere il proprio nome Ci spostiamo di pochi chilometri d’oro del Lauberhorn. Mission impos- gico pendio bernese.

grandi appuntamenti sciistici. L’unica variabile, che ha consentito ad atleti di secondo piano di entrare nella leggenda, con la elle minuscola, è la meteo, altrimenti non c’è Santo che tenga. Sul Chuenisbärgli, sul Lauberhorn, così come in Alta Badia e sulla Streif di Kitzbühel, vincono solo i Santoni dello sci. Prova ne è che in tempi recentissimi, le gare di Adelboden sono indissolubilmente legate a Marcel Hirscher, l’asso austriaco che, non ancora trentenne, è già considerato il migliore di sempre. Non lo dicono i giornalisti. Non lo ribadiscono i fans. Sono i numeri a sentenziare. Sette Coppe del mondo consecutive, con l’ottava praticamente già in bacheca, anche se mancano più di due mesi al termine della stagione. Due ori olimpici, sei titoli mondiali, per un totale di dodici medaglie. Dieci Coppe di specialità, equamente divise tra slalom e gigante. E a confermare la nostra facilissima tesi, nove trionfi ad Adelboden: cinque in speciale, quattro in gigante. L’ultima doppietta risale allo scorso weekend. Se scorriamo l’albo d’oro della gara bernese troviamo tutti i grandi della storia dello sci moderno. Dall’uno-due del francese Jean-Claude Killy, negli anni Sessanta, al tris dell’altoatesino Gustav Thöni nel decennio successivo. 7 trionfi 8 di InPoi sono6giunti i cinque gemar Stenmark, record assoluto, nel mirino di Hirscher. Quindi 11 12 le doppiette di Pirmin Zurbriggen, Marc Girardelli, Benjamin Raich, e la tripletta di quel fe-

Giochi per “Azione” - Gennaio 2019 Stefania Sargentini

(N. 1 - ... in Bulgaria si fa il contrario)

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I N C U B I U L N A G A L E R I A U S 5 6 7 L O I F A N T 4O 8C Vinci una delle 3 carte regalo da 509franchi con il cruciverba 5 1 O delle M2 carte E I regalo N da L50 O V con E il sudoku2 e una franchi 3 O P A C O P U T I 1N 5 4 ORIZZONTALI Sudoku T O M O N. 2 MEDIO S 1. Incontrada in tv 7. L’isola di Nessuno Soluzione: 8. Fiume europeo 4 6 A RScoprire I i3A S 8O 9. 101 romani numeri corretti 10. È singolare! inserire nelle 7 R I da C H 4E R 9 caselle colorate. 11. Parola francese 12. Nel caso in cui... 2 13. Vicini al cuore O N A N T E S 14. Avverbio di luogo

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21 Cruciverba Lo sapevi che la famiglia Curie… Termina la 22 23 frase leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere evidenziate. 24 25 26 (Frase: 5, 3, 6, 5, 5) 27

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17. Se è buono... si rifiuta 19. Fanciullo latino 21. Monte dell’Appennino toscano 23. Coda di paglia 24. Va rispettata 26. Un Bravo fiume... 28. Profeta dell’Antico Testamento 29. Si ode nel gregge

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(N. 2 - ... vanta ben cinque premi Nobel) 1

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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V A N E S I T A C A VERTICALI 1. Infetta l’organismo 2. Università R E N O 3. Non è all’altezza... 4. La ninfa che amò Narciso N O M LeU iniziali dell’attrice Autieri (N. 15.- ... in Bulgaria si fa il contrario) 6. Riposti nell’armadio 9. FraS Manciuria E e GiapponeC A 11. Fu una madre modello 13. Paragrafo di un articolo di legge O D O R 14. Una consonante 15. Tre vocali 16. Indignato, E risentitoA M I 18. Verbo generoso 19. Secchio inglese N che OvuolR M A 20. Prefisso dire vino 22. Contando cade sul medio 25. Bocca latino E O inS A 27. Le vocali in coda 1

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S A Giochi per “Azione” - Gennaio 2019 8 Stefania Sargentini B 9 3 1 C I SUDOKU PER AZIONE - GENNAIO 2019 N. 3 DIFFICILE Soluzione della settimana precedente SÌN. E NO – In quasi tutto il mondo si scuote la testa su e giù per dire sì e da sinistra 1 FACILE O T dire no ma: … IN BULGARIA a destra perSchema SI FA IL CONTRARIO. Soluzione 3 6 4 1 7 4 2 8 5 9 6 3 I 9 UUL3 NI A RI N IC4 U B Q 3 1 8 3 9 8 7 4 6 1 2 5 G A L8 E R I A2 U S EL O I 3PF1 A9UN8 7E1T ORC 5 2 68 3 1 9 8 724 8 3 7 1 5 4 2 9 6 O 3 M E I5 N4 2 L O V E AO PTA C9AO P UI T A 6 5 13 9 2 8 3 4 7 I N 2 4 9 6 3 7 5 1 8 2 3 T7 O M O S O6I7 A ST O 5 4 8 2 5 6 1 47 319 4 8R 5 I A6 R 9 6 3 8 7 2 4 5 1 9 R I2 C5 H1 E R 7 B 1E5 4LS O3A2N ATN O 7 1 5 4 9 3 6 8 2 T E 7

N. 2 MEDIO

I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cogno8 4 6 (N. 2 soluzione - ... vantadelben cinqueo del premi Nobel) del valore di 50 franchi, saranno sorcruciverba sudoku me, indirizzo, email del partecipan9 9 teggiati tra i partecipanti che avranno1 2nell’apposito formulario pubblicato te 4deve essere spedita a7 «Redazione 3 4 5 6 V A N E S C.P. S A6315, fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Azione, Concorsi, 6901 2 7 6 entro il venerdì seguente la pubblicaPartecipazione postale: la lettera o Lugano». 3 4 5 6 I T2 A C A B 3 zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so- Non si intratterrà corrispondenza sui 8 9

(N. 3 - ... un piede ha ventisei ossa) 1

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concorsi. Le vie legali sono escluse. 8 3 4 7 5 1 6 9 Non è2possibile un pagamento in con4 1premi. 92 3I vincitori 6 2 87 saranno 5 8 tanti dei avvertiti per iscritto. Partecipazione 7 5 6 9 1 8 3 2 4 7 95 2esclusivamente riservata a lettori che 8 6 5 1 4 3 7 risiedono in Svizzera. 6

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Politica e Economia Brexit: No Deal Il Parlamento inglese boccia l’accordo negoziato con l’Ue ma non sfiducia la May

Italia litigiosa Le vicende degli ultimi mesi dimostrano che i comprimari della politica, Lega e M5S, sono uniti dal solo desiderio di presentarsi come forze anti-sistema e anti-Ue. Per il resto sono divisi su tutto

Fine di un terrorista È stato arrestato in Bolivia e riconsegnato all’Italia l’ex terrorista rosso Cesare Battisti, latitante in Brasile da anni pagina 27

Finanziamenti trasparenti? Una legge federale per regolare i finanziamenti di campagne elettorali e votazioni? Il governo dice no, il parlamento forse

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Battaglia alla Casa Bianca

Russia-Trump Il «New York Times» rivela

Christian Rocca Neanche gli sceneggiatori di The Americans, la serie tv su una famiglia di spie russe che vive sotto copertura di una vita borghese in America, avrebbero potuto immaginare quello che sta succedendo in questi giorni a Washington. Tanto che, vinto il Golden Globe a inizio gennaio, The Americans ha chiuso i battenti dopo sei stagioni, settantacinque puntate e parecchi riconoscimenti. Ma c’è che la realtà, o perlomeno l’ipotesi investigativa dell’FBI e del procuratore federale Robert Mueller e dei mezzi di informazione e della Camera dei rappresentanti, supera di gran lunga la finzione hollywoodiana e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è costretto a rispondere a una domanda che si stenta a credere possa essere stata posta al leader del mondo libero: «Signor Presidente, lei è un asset dei russi?». Trump si è difeso dicendo che una domanda così insultante non gli era mai stata rivolta in tutta la sua vita, poi si è accorto che, non avendo negato categoricamente, i sospetti sono addirittura aumentati e quindi ha dovuto successivamente specificare che «no, non ho mai lavorato per i russi», e ha riprovato a cambiare argomento continuando a chiedere svariati miliardi di dollari al Congresso per costruire un muro al confine con il Messico invocando un’emergenza umanitaria che non c’è e costringendo, in mancanza dell’approvazione del bilancio con cui pagare spese e stipendi, alla chiusura tutte le attività federali che fanno capo al governo di Washington. Che il 2019 sarebbe stato complicato era chiaro dal momento in cui, nel novembre scorso, i democratici hanno conquistato la maggioranza alla Camera promettendo di inseguire una novantina di piste riguardanti Trump, i suoi rapporti con Mosca e il suo business in conflitto di interessi. Ma nessuno si aspettava l’uno-due che, lo scorso weekend, hanno assestato prima il «New York Times» e poi il «Washington Post».

La prima pagina del «New York Times» di sabato 13 gennaio si apriva con questo titolo: «L’Fbi ha condotto un’inchiesta per capire se Trump lavorasse per i russi». L’inchiesta dell’intelligence del Bureau è partita, ha raccontato il giornale di New York, dopo che è stato lo stesso Trump a dire in televisione di aver licenziato il direttore dell’Fbi, James Comey, perché non lasciava cadere le voci su questa «cosa russa». L’indagine FBI, di cui non si sapeva nulla prima dello scoop del «Times», è confluita in quella condotta dal Procuratore speciale Robert Mueller che quindi è tutto tranne che una «bufala», come dice Trump, e anzi ha già portato all’ammissione di colpa di alcuni reati, tra cui cospirazione nei confronti degli Stati Uniti, da parte dell’avvocato personale di Trump, del capo e del vice capo della sua campagna elettorale e da un gruppo di consiglieri di politica estera del Presidente, tra cui il primo Consigliere per la sicurezza nazionale dell’Amministrazione, Michael Flynn. Il giorno successivo alle rivelazioni del «Times», è toccato al «Washington Post» pubblicare un altro scoop talmente incredibile da apparire inverosimile, nonostante non sia stato affatto smentito dagli uomini della Casa Bianca: «Trump ha nascosto i dettagli dei suoi faccia a faccia con Putin ai suoi principali consiglieri nell’Amministrazione». Trump ha incontrato quattro volte Putin da solo, senza nessuno ad assistere all’incontro, e una quinta volta alla presenza del Segretario di Stato Rex Tillerson, poi licenziato. In un’occasione, il presidente ha preso possesso degli appunti presi dall’interprete, Maria Gross, imponendole di non discutere con nessuno, nemmeno con gli alti funzionari dell’Amministrazione, di che cosa si era parlato durante il meeting. Il risultato è che non c’è alcun riscontro dei cinque incontri tra Trump e Putin, circostanza senza precedenti nella consolidata prassi politica americana, a maggior ragione se si considera che Trump ha incontrato il responsabile politico e militare, secondo le se-

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l’esistenza di un’indagine di controspionaggio dell’FBI sul presidente e il «Washington Post» ricostruisce gli sforzi di Trump per nascondere il contenuto dei suoi colloqui con Putin

dici agenzie di intelligence americane, dell’azione di interferenza russa sulle elezioni presidenziali del 2016. Le uniche notizie su quegli incontri, un paio dei quali durati oltre due ore, i servizi americani le hanno tratte dalla loro attività di spionaggio nell’apparato russo. Bizzarro. Ovvio che tutto questo moltiplichi i sospetti su una presidenza che non solo si teme sia nata grazie anche all’ingerenza russa, peraltro invocata in campagna elettorale dallo stesso Trump, ma che una volta insediata ha perseguito tutti gli obiettivi di politica estera del tradizionale avversario russo, dalla destabilizzazione dell’Europa e della Nato, fino al ritiro occidentale dal Medio Oriente e al tentativo di smantellamento delle alleanze globali che hanno governato il mondo dal secondo dopoguerra a oggi. Alla luce delle nuove rivelazioni, i deputati democratici chiameranno

a testimoniare alla Camera chiunque possa spiegare che cosa davvero si sono detti Trump e Putin, a cominciare dall’interprete Maria Gross (per il 7 febbraio è già fissato l’appuntamento con l’ex avvocato personale di Trump, Michael Cohen). I deputati chiederanno anche di visionare le note sequestrate da Trump all’interprete e, nel caso fossero state distrutte, le cose potrebbero ulteriormente complicarsi per il presidente sospettato dalla sua stessa Amministrazione, non solo dagli avversari politici, di lavorare per i russi. Il tutto, ovviamente, in attesa delle conclusioni dell’inchiesta di Mueller, il quale proprio nei giorni scorsi ha chiesto a una procura distrettuale di aspettare a emettere la sentenza penale nei confronti di Rick Gates, numero due della campagna elettorale di Trump, perché starebbe ancora collaborando con Mueller, a riprova che le indagini non sono concluse.

Trump intanto ha nominato il nuovo ministro della Giustizia, dopo aver licenziato il precedente, Jeff Sessions, e il suo vice, Rod Rosenstein, colpevole il primo di non aver impedito l’avvio dell’inchiesta Mueller e il secondo di non averla fermata. Il nuovo Attorney Generale, William Barr, la cui nomina sarà confermata dal Senato, nelle audizioni a Capitol Hill ha garantito che lascerà lavorare Mueller e che non lo licenzierà, nonostante qualche sua critica, tanto che c’è già qualcuno convinto che Trump non l’avrà presa benissimo. Barr però ha aggiunto che potrebbe non rendere pubblico il rapporto finale che riceverà da Mueller. Ci proverà, probabilmente, ma la Camera guidata dai Democratici potrà comunque ottenere il testo e poi chiamare a testimoniare Mueller in seduta pubblica. Nelle scorse settimane la Casa Bianca ha assunto 17 avvocati, la battaglia è appena iniziata.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Politica e Economia

Verdetto sulla Brexit Il parlamento britannico ha espresso un no

deciso all’accordo che Theresa May aveva faticosamente negoziato Cristina Marconi È come se Theresa May avesse messo il paese davanti a uno specchio e gli avesse detto: ecco, ho dato forma ai vostri desideri, vi piace il risultato? La risposta è stata un «no» deciso, il verdetto più drastico mai pronunciato da un parlamento nei confronti di un governo britannico. Non la ama nessuno, la Brexit «Frankenstein», assemblata in due anni e mezzo di faticose trattative con Bruxelles seguendo le linee rosse indicate dalla May nella prima, aggressiva fase della sua premiership. Male si addice alle mode dottrinarie del momento, questo punto di equilibrio tra le esigenze di rottura dei Brexiteers intransigenti e il bisogno di trovare una soluzione al nodo delle due Irlande. Unico punto d’equilibrio possibile, peraltro, se si vogliono al contempo tagliare la libera circolazione delle persone e impedire un confine fisico sull’isola celtica, il tutto tenendo conto dell’opinione dell’Unione europea, cosa che raramente i politici britannici hanno in mente. Troppo poco pura per i puristi, non piace neppure ai Remainers perché è comunque una Brexit e, come detto e ripetuto dal governo e da ogni centro studi del Regno Unito, in quanto tale danneggerà senz’altro l’economia nel medio termine. In circostanze normali, una premier avrebbe fatto un bell’inchino e se ne sarebbe tornata a fare interventi con cachet strabilianti in giro per il mondo come tutti i suoi predecessori. E invece non solo la May non se n’è andata, promettendo di portare a termine il suo mandato di realizzare la Brexit e riecheggiando le parole con cui la regina Elisabetta II ha dichiarato di considerare il suo dovere regnare fino alla sua morte, ma ha anche inaugurato un cambio di strategia, cosa che in circostanze normali sarebbe già avvenuta da anni: un dialogo bi-partisan per arrivare a una piattaforma sulla Brexit che possa passare attraverso le forche caudine di un voto parlamentare. Il tutto dopo essere sopravvissuta a un voto di sfiducia chiamato dal leader dell’opposizione Jeremy Corbyn, che non ha una strategia discernibile sulla Brexit ma che pensa che attraverso le elezioni anticipate non solo lui arriverà a Downing Street, ma la questione Brexit si risolverà da sola, sebbene anche all’interno del suo partito ci siano spaccature profonde, con 71 depu-

tati a favore di un secondo referendum, ipotesi alla quale lui sta opponendo una resistenza fortissima da anni. Tornare alle urne, però, rischia di acuire la situazione, invece di risolverla, secondo quanto spiega ad «Azione» John Curtice, professore di politica all’Università di Strathclyde e massima autorità nazionale in materia di comportamento elettorale. Gentile e pacato, è lui l’uomo a cui tutti si rivolgono quando c’è da capire cosa pensano i britannici, anche quando la nebbia è fitta come in questi giorni di confusione massima. «Chiariamo una cosa: l’idea di un secondo referendum non è popolare, non piace alla gente. Stanno facendo una campagna brillante, ma la verità è che non ci sono le condizioni, l’opinione pubblica non è d’accordo, soprattutto quando si tratta di avere l’opzione di annullare la Brexit sulla scheda elettorale. E per quanto riguarda le elezioni, tra i partiti c’è un testa a testa, il rischio è che si finisca con un hung parliament, un parlamento senza maggioranza». Per uscire dal pantano «ci vogliono piccoli passi e realismo, oltre al tempo necessario per individuare i cambiamenti che permettano alla May di far approvare il suo accordo». Ossia un’estensione dei termini dell’articolo 50. Quello che in questa fase storica sembra perso è il «giusto mezzo», quel centro in cui è possibile trovare soluzioni condivise. Tutti lo cercano, nessuno lo trova. «Sono tutti agli estremi, lo scenario è polarizzato, e le opinioni sono diventate più radicali, anche se i numeri non sono cambiati», prosegue Curtice, secondo cui la May ha margine di manovra nel cercare una maggioranza intorno all’idea di un’unione doganale, che però impedisce di stringere accordi commerciali indipendenti e per questo non piace agli estremisti Brexiteers. Come sa bene David Cameron, che in questi giorni è apparso abbronzato e ringiovanito per difendere la sua decisione di indire il referendum del 23 giugno del 2016, «i Tories erano sull’orlo della spaccatura e lo sono ancora», spiega il politologo, aggiungendo che «la May sa che deve muoversi con cautela o rischia che il partito si rompa. È una possibilità concreta. L’opzione Norvegia potrebbe piacere a una maggioranza, ma comporta rischi politici altissimi per i conservatori». Questi ultimi non possono provare a detro-

L’intervento del leader laburista Corbyn ai Comuni mercoledì scorso. (Keystone)

nizzarla fino alla fine dell’anno, dopo il tentativo fallito del dicembre scorso, ma possono votare insieme al Labour, che ha promesso che andrà avanti con i voti di sfiducia nonostante il flop di questa settimana. «Al prossimo voto di fiducia non è detto che tutti i Tories votino per la May se lei cede sull’unione doganale», avverte Curtice. I Brexiteers, che dopo la bocciatura dell’accordo raggiunto dalla May con Bruxelles sono andati tutti a casa del leader dell’influente gruppo ERG, Jacob Rees-Mogg, finanziere vittoriano nello stile e nelle opinioni, a bere champagne, avevano la possibilità di realizzare la Brexit tra poco più di due mesi in modo netto, sicuro, con l’unico inconveniente di dover mantenere qualche canale aperto con Bruxelles per non far saltare in aria l’equilibrio delicatissimo dell’Irlanda. Hanno detto di no, sperando in un no deal che dal 2016 a oggi si è trasformato da extrema ratio terrificante da evitare a ogni costo a soluzione desiderabile per purezza e dolorosità, come una sorta di esercizio spirituale per veri samurai-Brexiteers. Contro il no deal, al momento, esiste l’unica maggioranza in un Parlamento che non sa cosa vuole ma sa sicuramente cosa non vuole. La May ne è consapevole e quando mercoledì sera dopo il voto di fiducia è apparsa davanti alla porta nera scintillante di Downing Street con l’aria di una che ha ancora voglia di lottare – il Paese si chiede sgomento come sia possibile, dopo tutto lo stress, le sconfitte, gli attacchi, e un commentatore l’ha definita «indistruttibile» come «un Nokia 5210» – ha fatto presente di essere decisa a dare la priorità all’interesse nazionale, ossia alla necessità di portare a termine un risultato che rispetti la richiesta degli elettori di uscire dalla Ue senza danneggiare l’unità del Paese. Sono iniziati i negoziati a Westminster, i tentativi di larghe intese per arrivare a un accordo accettabile da presentare già lunedì. La May, figura tutt’altro che conciliante, sta mandando avanti i suoi, ma deve scontrarsi con la chiusura di Corbyn, che vuole che l’ipotesi di un no deal venga scartata in via preliminare per poter portare avanti qualunque discussione. Non è l’unico a pensarlo nel suo partito, e se il governo vuole realizzare una Brexit con le gambe forti e lunghe, deve considerare anche ipotesi fino ad ora ritenute troppo morbide come quella del modello Norvegia, che non permetterebbe di interrompere la libera circolazione delle persone e metterebbe il Regno Unito nella posizione di essere assoggettata alle regole europee senza avere voce in capitolo. Un passo indietro, certo, ma anche l’unico modo per uscire dalla Ue senza autolesionismi o ulteriori incertezze. Che l’elettorato sia in grado di accettarlo è tutt’altra cosa, tanto più che una parte dei conservatori sarebbero prontissimi ad aizzarlo, giocando con il fuoco. Però c’è un grande desiderio di voltare pagina e di tornare a parlare di politica, nella speranza di poter porgere al più presto al Paese uno specchio che gli rimandi un’immagine più positiva e lusinghiera di quella attuale.

Problema rinviato ma non risolto Scenari Nelle prossime settimane si

giocheranno i destini dell’Ue e, soprattutto, del Regno Unito

AFP

La May riparte da zero

Lucio Caracciolo Il Brexit è un giallo. Mancano poche settimane alla scadenza del 29 marzo, quando secondo le regole vigenti il Regno Unito dovrebbe dire addio all’Uni­ one Europea, uscendone senza alcun accordo. Ma siamo nel mondo reale, non in quello del puro diritto. E soprattutto siamo nello spazio comunitario, dove se mai c’è una regola è quella che stabilisce la possibilità – se non la necessità – di adattare le norme al peso degli Stati membri e alla gravità delle questioni sul tappeto. Ora, il Regno Unito è senza dubbio un peso massimo, e la questione della sua permanenza o meno nell’Ue assolutamente vitale per ciò che resta della famiglia comunitaria e soprattutto per i britannici stessi. Tutto quindi sembrerebbe cospirare verso un eventuale rinvio, forse anche lungo, della scadenza. Ma il caos che regna a Londra e la debolezza dell’insieme comunitario non garantiscono affatto che a questo rinvio – ripetiamo: rinvio, non soluzione del problema – davvero si arrivi. Dopo che il Parlamento britannico aveva sconfessato con 432 no e solo 202 sì l’intesa con Bruxelles, faticosamente negoziata per mesi da Theresa May (foto) con la Commissione europea – margine negativo mai toccato da un primo ministro dal 1924, «regnante» Ramsay McDonald – il giorno successivo la stessa signora premier è stata salvata dal suo partito e dalla sua esigua maggioranza, che le ha votato la fiducia. In termini pratici, questo consente a Londra di chiedere un prolungamento del negoziato. Tempi supplementari che potrebbero consentire di negoziare un’intesa più favorevole ai britannici, digeribile da Westminster. O persino lo svolgimento di un secondo referendum. Tutto ciò però a due condizioni. Primo: May deve volerlo e farlo passare all’interno di un partito, di un parlamento e di un Paese in preda a una crisi di nervi. Secondo: gli altri membri dell’Unione Europea devono concederle i tempi supplementari – forse i rigori. La seconda ipotesi è forse meno improbabile della prima. Il fatto che Angela Merkel cominci ad esprimersi anche pubblicamente in questo senso ne è una conferma. La cancelliera sembrerebbe suggerire l’opzione del secondo referendum,

che secondo i sondaggi potrebbe rovesciare il Brexit. Un doppio salto mortale che richiede tempo, calma e decisione. Risorse di cui oggi a Londra si riscontra la carenza. È antico costume comunitario far ripetere i referendum finché il popolo non vota «giusto». Così svuotandolo di senso. Ma il Regno Unito è un grande paese e gli inglesi un popolo orgoglioso e capace di scatti imprevisti, apparentemente irrazionali – per esempio combattere contro Hitler quando tutto sembrava suggerire la necessità della resa. Per fortuna quei tempi sono trascorsi, e poi la May non è certo Churchill. Eppure le scelte che dovranno essere prese dai sudditi di Sua Maestà Britannica e da chi li rappresenta sono esistenziali. Un Brexit disordinato potrebbe disintegrare il Regno Unito. Non solo sotto il profilo economico, ma in quanto Stato. La Corona tiene infatti insieme un complesso di popoli e di soggetti molto diversi. I quattro principali sono Londra, l’Inghilterra profonda, la Scozia e l’Irlanda. La capitale è una sorta di città-stato piuttosto cosmopolita, che in caso di Brexit vedrebbe sfumare il sogno di qualificarsi come massimo centro finanziario del pianeta. I Little Englanders che la circondano, tra il vallo di Adriano e la Manica, la detestano cordialmente, quasi quanto odiano Bruxelles – caso da manuale di rivolta contro le élite. A Edimburgo Brexit sarebbe probabilmente sinonimo di nuovo referendum sulla secessione, forse stavolta vinto dai nazionalisti scozzesi. Quanto ai nordirlandesi, per i quali il Brexit duro implica un nuovo muro con l’Irlanda e il riemergere in piena vista della spaccatura interna fra cattolici e protestanti, nazionalisti e unionisti, non si può escludere il ritorno alla violenza intestina, a una guerra civile strisciante. Il tempo è scarso, il caos massimo. Nelle prossime settimane si giocano contemporaneamente i destini dell’Unione Europea e, soprattutto, del Regno Unito, residuo insulare di uno dei più gloriosi imperi della storia universale. Fa pensare la constatazione che nella grande ora siano così piccoli i leader cui spetta l’ultima parola, al di là e al di qua dal Canale. Talvolta l’altezza della sfida può trasfigurare i capi, o farne emergere di nuovi. Non sembra, per ora, il caso. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Politica e Economia Protesta NO TAV in piazza a Torino nel dicembre scorso. (AFP)

Battisti e lo sgarbo fra vicini La cattura Arrestato in Bolivia il terrorista

italiano latitante in Brasile da anni Angela Nocioni

Italia litigiosa

Scena politica I due alleati di governo bisticciano ormai su tutto

e con toni accesissimi, mentre Conte cerca spazio fra i litiganti e in parte lo trova. Sull’orizzonte una crisi dagli sviluppi imprevedibili

Alfredo Venturi Per il Movimento Cinque Stelle quella piazza torinese così affollata è stata un amaro calice. Non solo perché trentamila persone manifestavano a favore della TAV, la controversa linea ferroviaria ad alta velocità che attraversa la Val di Susa, ma anche perché in piazza, oltre al Partito democratico e a Forza Italia, c’era una rappresentanza della Lega di Matteo Salvini. Cioè gli alleati di maggioranza e di governo, firmatari di quel patto che i contraenti afferrano ognuno dalla sua parte rischiando di lacerarlo. La TAV, che è la tratta LioneTorino di un collegamento trans-europeo, i Cinquestelle vorrebbero bloccarla, affiancandosi a un vasto movimento di protesta, per ragioni di rispetto ambientale e priorità di spese. Ma la Lega non se la sente, in nome del Nord imprenditoriale, di fermare un’opera ormai in fase avanzata di preparazione, che dunque è già costata un sacco di soldi: propone dunque di affidare la decisione a un referendum. Probabilmente timorosi di perderlo, i Cinquestelle si oppongono, proprio loro che si dicono fautori della democrazia diretta.

La continua avanzata della Lega è uno degli elementi di spicco di questa esperienza di governo Fra poche settimane sarà passato un anno dalla clamorosa affermazione elettorale che ha portato al governo questi rissosi comprimari. Le vicende degli ultimi mesi dimostrano che solo due elementi li uniscono: il fatto di presentarsi come forze anti-sistema desiderose di farla finita con la vecchia politica, e l’ostilità ai vincoli impliciti nell’appartenenza all’Unione europea. Populismo e sovranismo sono le due pulsioni che nonostante tutto tengono insieme questo governo. Per il resto è un bisticcio continuo. All’origine di una situazione così precaria un dato di antropologia politica legato alla collocazione geografica degli elettorati. Il Movimento è forte soprattutto nel Sud della disoccupazione di massa e della tradizione assistenzialistica, mentre la Lega, che pure è stata protagonista di una metamorfosi da forza regionale e secessionista a partito nazionale, ha fatto incetta di consensi nel Nord produttivo che invoca sgravi tributari a vantaggio della competitività. Dunque da una parte i leghisti favorevoli a un condono fiscale che dia ossigeno alle imprese e ne favorisca

il rilancio sui mercati internazionali, dall’altra i grillini che agitano il vessillo del reddito di cittadinanza per contrastare la povertà sempre più diffusa, soprattutto al Sud. Le due parti litigano anche sul tema spinoso dei migranti: Salvini non perde occasione per fare la voce grossa e sbandierare la diminuzione, anzi il quasi annullamento, degli sbarchi conseguito alla sua politica di netta chiusura (ma già il fenomeno era stato ridimensionato dal governo Gentiloni), i Cinquestelle hanno una posizione più aperta, anche se non si spingono fino a fare dell’accoglienza una priorità umanitaria e morale. Lo si è visto nel caso dei quarantanove naufraghi soccorsi dalle navi di due ONG, alle quali sia Malta sia l’Italia hanno lungamente negato l’approdo. Alla fine, dopo che il vicepresidente Luigi Di Maio aveva proposto di ospitare le donne e i bambini dividendo le famiglie in fuga, un accordo faticosamente negoziato dal presidente del consiglio Giuseppe Conte ha portato a una distribuzione dei migranti in alcuni paesi europei, fra i quali l’Italia. Salvini, vicepresidente e ministro dell’Interno, si è sentito scavalcato e ha reagito ribadendo il punto: i nostri porti restano chiusi, noi non accoglieremo nessuno. A risolvere una situazione imbarazzante che minacciava di precipitare, ecco il provvidenziale intervento della Chiesa valdese: i migranti destinati all’Italia li accoglieranno loro, senza oneri per lo Stato. I due partiti di governo bisticciano perfino sulle vaccinazioni. Dopo che si è profilata una diffusa protesta contro l’obbligatorietà di questa misura di prevenzione, i Cinquestelle se ne sono fatti interpreti mentre la Lega è tendenzialmente favorevole. Poi è accaduto un fatto nuovo: il padre fondatore del Movimento Beppe Grillo, fino a quel momento ostile ai vaccini obbligati, ha firmato un documento che ne sottolinea la necessità e l’attendibilità scientifica. A questo punto la rete è insorta, sul comico-politico e la sua conversione è precipitata una valanga d’insulti, fra i meno feroci l’accusa di tradimento. Forse per recuperare la stima del suo popolo deluso, Grillo si è prodotto in un attacco a tutto campo all’alleato Salvini, chiamandone beffardamente in causa la madre: «se quella sera avesse preso la pillola...». In un Paese in cui la politica ha cessato da tempo di brillare per sfoggio di stile, questi toni ormai non colpiscono più di tanto. Il linguaggio si è fatto pesante, al posto dell’ironia e del sarcasmo che qualche volta smussavano le parole della polemica, trionfano l’intolleranza verbale e l’ingiuria plebea. Il modello investe anche le alte sfere isti-

tuzionali, il vicepresidente Salvini non esita a commentare con un «marcirà in galera!» l’arresto e l’estradizione di un terrorista a lungo latitante che deve scontare l’ergastolo per alcuni efferati omicidi. L’avesse detto la vedova o il figlio di una vittima, ma un ministro della repubblica... Il fatto è che Salvini si propone insieme come uomo di governo e agitatore politico, guadagnando popolarità soprattutto con il mantra dei migranti invasori. La tecnica è chiara, sostiene uno dei suoi molti critici: iniettare veleno nella società per poi vendere l’antidoto. La continua avanzata della Lega, prevalentemente a scapito degli alleati, è uno degli elementi di spicco di questa esperienza di governo. I sondaggi rivelano che il partito di Salvini ha quasi raddoppiato il 17 per cento del 4 marzo, registrando solo nelle ultime settimane un arresto della tendenza. I grillini hanno invece perduto una decina di punti dal 32 per cento del voto di marzo, cedendo ai rivali lo scettro di prima forza politica. L’altro elemento evidente in questa fase è il progressivo emergere della figura di Conte, il presidente del consiglio che sembrava confinato a un ruolo di esecutore, con il potere saldamente nelle mani di Salvini e Di Maio. Abile negoziatore, spedito a Bruxelles come volto presentabile di un governo che suscita diffuse inquietudini, l’uomo che all’inizio del mandato si presentò come «avvocato degli italiani» è riuscito a ritagliarsi uno spazio proprio, mediando fra le discordie degli alleati. La prospettiva delle elezioni europee del prossimo maggio induce i due azionisti del governo italiano a posizionarsi con le forze politiche omogenee degli altri paesi. E anche qui ognuno procede a modo suo: prendendo le distanze dalla Lega, Di Maio cerca partiti fratelli con i quali costituire nel parlamento di Strasburgo un gruppo che si richiami alla democrazia diretta. Salvini punta invece a un’alleanza con il Partito popolare, maggioritario oggi e forse anche domani, di cui prevede una svolta sovranista favorita dall’auspicato successo delle componenti guidate dall’ungherese Viktor Orbán e dall’austriaco Sebastian Kurz, oltre alla CSU del bavarese Horst Seehofer. Il leader leghista è inoltre in stretto contatto con il polacco Jarosław Kaczyński, che appoggia a Strasburgo il gruppo Conservatori e riformisti. Obiettivo comune un’Europa che restituisca sovranità agli Stati e la pianti di ficcare il naso nei bilanci nazionali. Ma sull’asse Roma-Bruxelles grava l’ombra di un dubbio: reggerà questa litigiosa coalizione fino all’appuntamento elettorale di maggio?

L’arresto in Bolivia di Cesare Battisti, sessantaquattrenne ex militante di un gruppuscolo terroristico italiano degli anni Settanta (i Proletari armati per il comunismo) condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi compiuti durante gli anni di piombo, ha generato un tesissimo quanto silenzioso braccio di ferro tra il governo del Brasile e quello della Bolivia. Il guazzabuglio mediatico che in Italia ha accompagnato la cattura di Battisti, al centro di un complesso caso giudiziario, ha lasciato in ombra il contesto in cui l’arresto è avvenuto. Vale la pena tracciare la cornice diplomatica della vicenda perché la relazione tra i due Paesi geograficamente confinanti e politicamente agli antipodi – il Brasile, la potenza continentale in mano al neopresidente di ultradestra Jair Bolsonaro e la Bolivia, governata da dieci anni dall’indio e socialisteggiante Evo Morales – è stata fondamentale per la definizione dell’esito finale. Non era infatti scontato che la Bolivia decidesse di rispedire Battisti in Italia. Tanto meno che lo facesse subito, senza prima esaminare ed eventualmente respingere la richiesta di essere accolto come rifugiato politico che Battisti avrebbe presentato in gran segreto il mese scorso alla Conare, l’organismo boliviano che analizza le domande degli aspiranti rifugiati (organismo di fatto totalmente governativo, dettaglio essenziale in questa vicenda). Questi, in sintesi, i fatti. Battisti, scappato a Rio de Janeiro nel 2004 per evitare la galera, finito in cella in Brasile nel 2007 e poi uscitone, dopo una rocambolesca serie di colpi di scena, è riuscito per anni a evitare l’estradizione in Italia perché il 30 dicembre del 2010 l’allora presidente del Brasile Lula da Silva, del Partito dei lavoratori, sinistra di governo, come ultimo atto alla fine del suo mandato, decise di respingere la richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. Decisione politicamente discutibile e come tale discussa, ma legittima, giudicata formalmente e sostanzialmente impeccabile da una sentenza dello stesso Tribunale supremo, massimo organo giudiziario brasiliano che aveva valutato Battisti estradabile e aveva rimesso nelle mani del capo dell’esecutivo, come da Costituzione, la decisione politica sull’accoglimento o meno della richiesta italiana. Da quel giorno Battisti, padre di un minore brasiliano, ha vissuto in Brasile con lo status migratorio di un qualsiasi cittadino straniero con regolare per-

messo di lavoro e di residenza permanente. Oltre la frontiera brasiliana sarebbe stato arrestabile, ma finché non si fosse mosso dal territorio brasiliano era protetto dalle leggi brasiliane. Già l’anno scorso, fiutando un cambiamento di clima politico, aveva provato a varcare la frontiera con la Bolivia. Tentativo maldestro mai chiarito nei dettagli. Si ipotizzò anche una trappola. Fatto sta che fu fermato al confine. L’unico reato a lui imputabile allora era la detenzione di una quantità di denaro contante superiore a quella consentita dalla legge. Per averlo commesso fu portato in caserma. Per qualche ora il governo italiano diede per certo ed imminente il suo rientro in Italia, ma poiché le leggi brasiliane impedivano di estradarlo senza la regolare firma del decreto di estradizione, Battisti fu liberato. Tecnicamente solo un blitz (illegale in quanto contra legem) avrebbe potuto prelevarlo dal territorio brasiliano e caricarlo su un aereo per portarlo in Italia senza la firma di un regolare decreto. Negli ultimi mesi tutte queste condizioni sono cambiate. L’avvento al governo del presidente Temer (destra estrema) prima e di quello Bolsonaro (ancora più estrema) poi, un mutamento di equilibri nei rapporti tra Tribunale supremo e governo ha terremotato il quadro generale per Battisti, che è scappato prima che lo andassero a cercare. Quando il 13 dicembre hanno bussato a casa sua a Cananeia, litorale di San Paolo, per eseguire la richiesta di fermo del giudice Fux, l’italiano non c’era già più. È stato arrestato il 12 gennaio a Santa Cruz, nella parte orientale della Bolivia. Solo e senza soldi. Poiché non risultava aver compiuto i tramiti migratori a un posto di frontiera, per la Bolivia era colpevole di ingresso irregolare e poteva essere espulso. La legge prevede che l’irregolare sia espulso oltre il confine più vicino. In territorio brasiliano quindi. Per questo il presidente Bolsonaro è furioso. Perché dopo aver promesso al governo italiano e soprattutto alla sua opinione pubblica «la consegna del regalino» , aspirava a montare sulla consegna di Battisti all’Italia uno show politico non minore rispetto a quello allestito per l’arrivo di Battisti all’aeroporto di Ciampino. Morales, ora accusato dalla sinistra interna al suo governo (compreso il fratello del suo vicepresidente) di aver «regalato a Bolsonaro un aspirante rifugiato senza aver dato il tempo a nessun giudice di esaminare la richiesta d’asilo», ha fatto in realtà un grosso sgarbo al suo potente vicino.

Cesare Battisti al suo arrivo a Ciampino. (Keystone)


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Politica e Economia

Ci sarà una legge federale sulla trasparenza?

Diritti politici I l Consiglio federale respinge l’iniziativa popolare lanciata dalla sinistra. La Commissione degli Stati

chiede invece lumi per presentare eventualmente un controprogetto sul finanziamento di partiti e campagne di voto

Ignazio Bonoli La Commissione del Consiglio degli Stati preposta all’esame dell’iniziativa popolare «per più trasparenza nel finanziamento della politica» ha chiesto all’Ufficio federale di giustizia di preparare un controprogetto da sottoporre alla Camera alta. Dal canto suo il governo aveva però deciso di respingere l’iniziativa, senza opporle un controprogetto. L’iniziativa chiede alla Confederazione di emanare disposizioni sulla pubblicità del finanziamento dei partiti, delle campagne in vista delle elezioni federali e delle votazioni popolari a livello federale. In base a queste disposizioni, i partiti dovrebbero comunicare annualmente alla Cancelleria federale il loro bilancio e conto economico, nonché importo e provenienza di ogni liberalità superiore a 10’000 franchi all’anno e per persona. Anche chi impiega più di 100’000 franchi per un’elezione e una votazione deve comunicare il preventivo globale, i fondi propri, nonché ogni liberalità superiore a 10’000 franchi per persona, prima della votazione o dell’elezione. Queste informazioni vengono pubblicate annualmente dalla Cancelleria federale. È vietata l’accettazione di liberalità anonime. Perché il Consiglio federale è con-

trario? Essenzialmente un tale vasto disciplinamento del finanziamento dei partiti e delle campagne di votazioni o elezioni sarebbe difficilmente compatibile con il sistema politico svizzero. Infatti, la democrazia diretta, il governo collegiale e il sistema di milizia compongono un meccanismo globale complesso, ma efficace, caratterizzato da un controllo reciproco e da un sistema di contrappesi. Disposizioni particolari a livello federale sarebbero difficilmente compatibili con il sistema federalistico svizzero, tanto più che il Consiglio federale crede che le risorse finanziarie non incidano in modo determinante sull’esito delle elezioni e votazioni. Ma la Commissione del Consiglio degli Stati non è della stessa opinione e ritiene che la tematica vada approfondita e vuole vedere se è fattibile presentare un controprogetto in votazione popolare. Finora, in Svizzera, solo tre Cantoni hanno regolamentato il finanziamento di partiti e campagne elettorali. Si tratta del Ticino, di Ginevra e Neuchâtel, mentre Svitto e Friburgo stanno preparando le leggi d’applicazione dell’articolo costituzionale già creato. L’esempio sembra però difficilmente trasferibile sul piano nazionale, viste anche le grandi differenze concettuali fra i cantoni. Il Canton Ticino ha fatto da apripista con la legislazione adottata nel

Con la legge adottata nel 1998, il Ticino è stato il primo a regolare la materia a livello cantonale. (Ti-Press)

1998. I partiti devono quindi annunciare alla Cancelleria dello Stato tutte le offerte che superino i 10’000 franchi. I candidati e i comitati di sostegno quelle che superano i 5000 franchi. L’annuncio deve avvenire 30 giorni prima di ogni elezione o votazione e i dati vengono pubblicati nel foglio ufficiale. La legge ticinese si basa sulle dichiarazioni spontanee dei singoli attori politici. La Cancelleria non pro-

cede a un esame approfondito e non è autorizzata a chiedere informazioni supplementari. Anche le eventuali sanzioni non sono pesanti. Chi non fa gli annunci previsti dalla legge incorre in una sanzione di 7000 franchi al massimo, i partiti potrebbero però perdere le indennità dovute per il numero di deputati. Finora non è stata adottata alcuna sanzione. Secondo una lista allestita su ri-

chiesta, dal 2000 sono state annunciate 74 donazioni. La più elevata consisteva in una cifra leggermente superiore a 280’000 franchi, versata nel 2008 al Partito liberale radicale da una persona. Dalla lista, basata come detto sull’autodenuncia spontanea, si constata che solo il PLR, il PS e l’UDC hanno dichiarato di aver ricevuto doni importanti. Gli altri partiti non hanno fatto sapere nulla. Se ne può dedurre che non abbiano ricevuto doni importanti, oppure che non ritengano necessario annunciarli. Ginevra ha introdotto regole sulla trasparenza nel 1999. Esse si basano essenzialmente sui bilanci dei partiti che devono essere presentati ogni anno alla Cancelleria. Lo stesso devono fare comitati o gruppi che sostengono una campagna di voto e questo 60 giorni dopo la votazione. Chi non rispetta la legge perde le sovvenzioni statali oppure deve restituire le somme ricevute. Finora sono stati registrati 11 casi. Nel Canton Neuchâtel la legge è del 2014 e prende spunto dalle due precedenti. La somma da annunciare deve superare i 5000 franchi. Gli attori possono scegliere se pubblicare i nomi dei donatori, oppure solo la somma globale. La Cancelleria può eseguire controlli e i contravventori rischiano una multa di 40’000 franchi. Come si vede, non sono molti gli spunti che possono servire a una legge federale in materia. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Politica e Economia

Fisco: le detrazioni da non scordare La consulenza della Banca Migros

Jeannette Schaller

Jeannette Schaller è responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros

Con l’inizio dell’anno arriva di nuovo il momento di compilare la dichiarazione fiscale. Oltre a dichiarare tutte le vostre entrate, è importante considerare le diverse possibilità di deduzione fiscale, che potete effettuare, tra l’altro, nel contesto della vostra attività professionale. Per esempio per le spese professionali di trasporto con mezzi privati e pubblici potete dedurre al massimo 3000 franchi dall’imposta sul reddito federale. Ad eccezione di BS (3000 franchi) e GE (500 franchi), i cantoni prevedono per le imposte sul reddito limiti più elevati oppure non prevedono alcuna restrizione. Oltre ai costi di trasporto con mezzi privati e pubblici, presso la Confederazione e tutti i cantoni (eccetto GE) potete dedurre i costi per una bici, di norma 700 franchi l’anno. A proposito: non potete dedurre le multe che ricevete durante i viaggi di lavoro. Se dovete mangiare fuori casa, potete effettuare una deduzione fiscale forfetaria di 15 franchi al giorno. Se il datore di lavoro offre il vitto a prezzi ridotti, è ammessa solo metà deduzione, pari a 7.50 franchi. (Attenzione: se il luogo di domicilio e quello di lavoro si trovano a poca distanza, il fisco non accetta alcuna deduzione). Per l’abbigliamento e gli utensili di lavoro, i sistemi informatici e altre spese professionali potete dedurre presso la Confederazione fino al 3%

Le deduzioni per spese professionali variano molto da cantone a cantone. (Ti-Press)

dello stipendio netto, minimo però 2000 franchi e massimo 4000 franchi. I cantoni prevedono deduzioni massime comprese tra 500 franchi (BS) e 7000 franchi (NW). I costi di formazione e perfezionamento professionale sono deducibili fiscalmente se avete compiuto il 20º anno di età e avete conseguito un titolo di studio della scuola secondaria

superiore (tirocinio, maturità, scuola media specializzata o professionale). La deduzione massima ammonta a 12’000 franchi presso la Confederazione e la maggior parte dei cantoni. Le uniche eccezioni sono i Cantoni BS con 18’000 franchi e TI con 10’000 franchi. Regole speciali si applicano a un’attività accessoria. In questo caso, si può

dedurre a livello federale un forfait del 20% o un massimo di 2400 franchi per le spese professionali. Questa regola vale anche per la maggior parte dei cantoni. Informazioni

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Reddito di cittadinanza: esperimento fallito Mentre nella vicina Italia si continua a discutere accanitamente del pro e del contro del reddito di cittadinanza, in un piccolo comune del Canton Zurigo, nel corso degli ultimi mesi, si è tentato di dar avvio a un esperimento concreto. L’esito dello stesso è stato però negativo. Queste sono cose che possono succedere solo in un paese dove la democrazia diretta è tenuta alta sugli scudi e, nel medesimo tempo, chi lancia le iniziative si assume anche direttamente la responsabilità di portarle avanti. Ma cominciamo dall’inizio. Nel giugno del 2016 l’elettorato svizzero aveva respinto, a larga maggioranza, un’iniziativa dei giovani socialisti con la quale si voleva introdurre un «reddito di base» incondizionato. In Ticino appena il 21,9% dei votanti si erano espressi a favore di questa iniziativa

che, quindi, non aveva neanche raccolto l’approvazione di tutta la sinistra. Vale la pena di precisare che il reddito di base è quello che ogni cittadino dovrebbe poter ricevere anche senza lavorare. Si trattava di un nuovo diritto da inserire nella costituzione. A Rheinau, villaggio in riva al Reno, nel Canton Zurigo, con la bellissima isola sulla quale sorge la chiesa e il convento che sono diventati, grazie al sostegno finanziario di Christoph Blocher, un frequentato centro culturale, il rigetto dell’iniziativa deve aver lasciato l’amaro in bocca a più di un cittadino. Così è nata l’idea, portata avanti da un’apposita associazione e sostenuta dal Comune, di introdurre il «reddito di base» nel villaggio, a titolo sperimentale nel 2019. Si prevedeva un reddito di base mensile di 2500 franchi per un adulto e di 615 franchi per un

bambino. Così una famiglia con due bambini avrebbe potuto conseguire un reddito di base di 6230 franchi, che non è molto distante dal reddito medio delle economie domestiche zurighesi. Avrebbero avuto diritto al reddito di base quei cittadini che, mensilmente, non guadagnavano più di 2500 franchi. Due erano le condizioni che dovevano essere soddisfatte prima di poter lanciare praticamente l’esperimento. La prima è che entro settembre del 2018, almeno la metà dei cittadini (bambini compresi) si dichiarasse favorevole allo stesso. Questa condizione venne abbastanza rapidamente soddisfatta, in quanto 770 dei 1302 cittadini di Rheinau lo approvarono, entro la data fissata. La seconda condizione era di raccogliere i mezzi finanziari necessari a condurre quest’esperimento. Ci volevano, per il 2019, 6,1 milioni di franchi,

che andavano raccolti con contributi di privati, associazioni, fondazioni e aziende. Non si voleva insomma che il costo dell’esperimento pesasse sulle finanze comunali. Questa condizione, purtroppo, non è stata soddisfatta. Entro la fine di novembre l’associazione che promoveva il progetto è riuscita infatti a raccogliere solo 150’000 franchi. Si può dire che ai promotori dell’esperimento sia mancato il Blocher della situazione. L’interesse per questo esperimento era grande. Non solo tra i cittadini di Rheinau, ma anche nelle cerchie scientifiche. L’esperimento sarebbe stato seguito da un gruppo di studiosi che si proponevano di analizzare quali cambiamenti sarebbero intervenuti, a livello individuale, nelle famiglie e nella comunità del villaggio, in seguito al fatto che una parte di cittadini, nel

2019, avrebbe ricevuto una remunerazione senza l’obbligo contrattuale di dover assicurare una determinata prestazione di lavoro. Naturalmente i commenti favorevoli e sfavorevoli all’esperimento sulle reti sociali si sprecano. Nonostante sia fallito, per il mancato responso da parte del crowdfunding, ossia del finanziamento collettivo, i promotori dell’esperimento si dichiarano soddisfatti per l’esperienza fatta e sarebbero pronti a riprenderla se chi vi ha partecipato sin qui si dichiara pronto a portarlo avanti. La loro idea è che non si è arrivati, dal profilo della comunicazione, a trasmettere al resto della Svizzera quanto interessante possa essere questo esperimento. Per questa ragione si sono raccolti pochi mezzi. Ma la campagna ha aperto molte porte, sostengono i promotori. Come dire che si potrebbe anche ritentare!

simbolo. Difendeva le minoranze, combatteva xenofobia e antisemitismo, apriva ai migranti Danzica città rifugio: «Sono europeo, per natura aperto – ripeteva –. Danzica è un porto, deve sempre essere un rifugio per chi arriva dal mare». «Facile dirlo se ci si affaccia sul Mar Baltico» ha commentato in Italia un anonimo blogger sovranista. Però il sindaco ha pagato con la vita le sue idee contrarie allo spirito del tempo dominante nel suo Paese e nel resto d’Europa. I contestatori lo definivano un promotore di «idee degenerate» che fiaccavano lo spirito patriottico. Rispuntano ora provocatori «avvisi di morte» indirizzati a esponenti liberali da gruppi di ultradestra come la «Gioventù della grande Polonia». Viene in mente Jo Cox, la deputata laburista inglese che si batteva contro la Brexit, affinché i giovani polacchi, italiani, spagnoli potessero continuare ad andare liberamente nel Regno Unito per studiare o lavorare. Un estremista pro-Brexit l’ha uccisa a coltellate e ha preso a calci il suo corpo. Quel sacrificio non ha cambiato il verdetto, ma ha contribuito a salvare l’anima dell’Europa; e l’Europa ha molto bisogno di un’anima. In Italia i sovranisti cercano il dialogo

con i Paesi di Visegrad. Un nome che ha una storia da raccontare. Il gruppo trae le sue origini dalla riunione dei leader dell’allora Cecoslovacchia, della Polonia e dell’Ungheria tenutasi nel castello-città ungherese di Visegrad il 15 febbraio 1991. Il luogo fu scelto per evocare il Congresso medioevale di Visegrad nel 1335 tra Casimiro III di Polonia, Giovanni I di Boemia e Carlo I d’Ungheria. Dopo lo scioglimento della Cecoslovacchia nel 1993, la Repubblica Ceca e la Slovacchia divennero membri indipendenti del gruppo, aumentando così il numero di membri da tre a quattro. Tutti i Paesi di Visegrad sono entrati nel’Unione europea il primo maggio 2004, ai tempi dell’allargamento voluto da Romano Prodi. Si era molto lontani dall’elaborazione dell’ideologia sovranista. Anzi, i Paesi dell’Est Europa uscivano dal comunismo, erano poveri, avevano bisogno della mammella dell’Europa per modernizzare le loro economie. Ora la situazione è molto cambiata. Paesi come la Polonia e l’Ungheria hanno ricevuto molto da Bruxelles, ma sono disposti a restituire ben poco. Meno che mai sono pronti ad aiutare l’Italia sui migranti. Orban, il leader ungherese, ha

eretto un muro a protezione del confine con la Serbia, proprio per sbarrare la via ai profughi. La cosa paradossale è che l’Italia avrebbe tutto l’interesse a trattare con Paesi disposti ad accogliere una quota di migranti. Inoltre i Paesi di Visegrad sono i più ostili a concedere flessibilità sui conti pubblici. Insomma, non sono così amici dell’Italia come il vicepremier Matteo Salvini vorrebbe. La realtà è che nell’interesse dell’Italia, Paese fondatore, c’è semmai il rilancio della costruzione europea. Proprio quello che Orban e quelli come lui non vogliono. Il disegno di Salvini è un asse popolare-populista che governi l’Europa al posto di quello popolaresocialista, che bene o male ha governato la Commissione e l’Europarlamento finora. Orban sarebbe la figura-chiave del nuovo assetto sovranista, come esponente della destra del Ppe, il partito popolare europeo. Ma i tratti illiberali del suo governo, come di quello polacco, non lasciano presagire nulla di buono per gli europei che ancora credono nella libertà di stampa, nella democrazia rappresentativa, nei valori di umanità e di tolleranza attorno ai quali l’Unione è stata costruita.

mondiale siano protetti da una spessa corazza di acciaio, in grado di resistere agli assalti della malapolitica. Purtroppo non è così. L’offensiva nazionalpopulista, spesso mascherata da democrazia diretta, li sta minando alla radice. Solo la «volontà generale» elevata a valore sacrale conta, il resto va eliminato; tutto quanto ostacola il dialogo tra il popolo sovrano e l’uomo-guida prescelto dalle piattaforme informatiche dev’essere soppresso. Tale svuotamento, tuttavia, non avviene soltanto per opera dei poteri forti, delle oligarchie e dei potentati economici. Questi processi sono dannosi ma noti e studiati, patologie che le democrazie mature hanno saputo in qualche modo arginare e ricondurre sotto il livello di guardia. No, l’erosione in corso è più subdola perché viaggia sull’onda dei nuovi mezzi di comunicazione e di una cultura visuale continuamente

alimentata da uno stuolo di comunicatori, suggeritori, consulenti d’immagine, pubblicitari, videomaker. Ogni uomo-guida dispone di una squadra appositamente addestrata alla bisogna. La figura dell’intellettuale «disorganico» non è più richiesta, è d’impiccio e comunque non porta voti; anzi, finisce per incrementare l’astensionismo. La nuova era della propaganda politica è ora nelle mani dei cyber-imbonitori e degli esperti di messinscena. Il leader moderno mal sopporta le lungaggini della politica «old style». Oggi la parola magica è «disintermediazione». Con questo termine s’intende la cancellazione di tutti i passaggi che s’interpongono tra la base e il capo. Tra questi due poli deve correre un filo diretto, non più mediato dai partiti e dalle loro liturgie: assemblee o congressi, dibattiti, elezioni interne. I nemici della democrazia sono sempre

stati numerosi, ma ora l’insidia principale si presenta sotto sembianze amichevoli; non ha un volto truce, non indossa divise, non sventola bandiere con simboli minacciosi. Promette di abolire le deleghe, i parlamenti e le soluzioni di compromesso, tutti canali considerati irrispettosi dell’autentica volontà popolare. Glorifica la tecno-democrazia digitale, sottacendone i risvolti negativi, i rischi e le fragilità in fatto di sicurezza e segretezza del voto. Ma proprio l’esperienza elvetica insegna che democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono due piatti diversi della stessa bilancia, che l’una non può funzionare correttamente senza l’altra, che esaltare la prima e demonizzare la seconda genera effetti distorsivi antidemocratici, tra cui la «dittatura della maggioranza» denunciata da Alexis de Tocqueville nel suo trattato Della democrazia in America (1835).

In&outlet di Aldo Cazzullo Un colpo al cuore dell’Europa da guerra civile. È vero, l’assassino è probabilmente uno squilibrato, che ha ucciso Adamowicz a colpi di pugnale davanti a migliaia di persone durante un concerto benefico. Ma questo non toglie nulla né alla gravità del delitto, né alla potenza simbolica del gesto, commesso dentro la città entrata nella storia come il pretesto scelto da Hitler per scatenare la Seconda guerra mondiale. Anche il sindaco Adamowicz era un

AFP

L’assassinio del sindaco di Danzica Pawel Adamowicz è un colpo al cuore dell’Europa; e non solo perché era un europeista convinto, oppositore dell’ideologia nazionalista e sovranista che ha in Polonia l’esponente guida in Jaroslav Kacynsky. Sono in gioco gli assetti geopolitici dell’Europa centrale e orientale. È in gioco l’anima stessa dell’Unione europea. Il delitto è maturato in un clima quasi

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti I falsi amici della democrazia Nelle aree occidentali gli allarmi per le sorti del sistema democratico si stanno infittendo. Anche le indagini politologiche sul tema sono sempre più nutrite, tanto da occupare interi scaffali. Sono tutte espressioni venate di forte preoccupazione, sintomo di qualcosa che sta andando storto, e comunque non nel senso auspicato da un Montesquieu o da un Tocqueville. Si teme la sindromeWeimar, ossia la possibilità che l’assetto repubblicano non trovi più difensori e gradualmente scivoli nel caos e, alla fine, nella dittatura. Cos’è successo? È successo che la peggior forma di governo (eccezion fatta per tutte le altre che l’hanno preceduta, secondo la celebre definizione di Winston Churchill) vede sgretolarsi lo zoccolo sul quale, nel corso dei secoli, la politica illuminata aveva costruito l’impalcatura dello Stato moderno imperniata sulla divisione dei poteri,

il primato della legge, i meccanismi di controllo; in una parola, su una serie di norme fissate nelle Costituzioni repubblicane. I testi classici sono soliti collocare la democrazia nell’alveo delle regole del gioco (v. per tutti Il futuro della democrazia di Norberto Bobbio, più volte riedito). La democrazia è l’ordinamento che prevede pesi e contrappesi al fine di evitare derive monocratiche, e che non contempla deleghe in bianco a favore di un’unica istanza (di un’unica persona). Rinunciare a questi presupposti, che le sono connaturati assieme ad un articolato corredo di diritti (politici, civili, sociali), vuol dire aprire la strada all’arbitrio, ad un regime autoritario magari spacciato sotto la seducente etichetta maoista di «servire il popolo». È tranquillizzante pensare che i sistemi democratici edificati e perfezionati sulle macerie della seconda guerra


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Cultura e Spettacoli Di avanzi diversi Nel suo Una vita scartata lo scrittore Alexander Masters dà voce a 148 diari rinvenuti in un cassonetto

La forza del silenzio In uno spettacolo che andrà in scena al LAC il prossimo 29 gennaio si rifletterà sul silenzio, coinvolgendo udenti e non udenti

L’Alzheimer in scena Un grande Alessandro Haber interpreta un malato di Alzheimer in Il padre di Zelller

Bacchetti in concerto Il pianista italiano sarà protagonista di un concerto all’Auditorio Stelio Molo pagina 35

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Jean Améry in una foto d’archivio durante un dibattito con Günter Grass. (Keystone)

Vivere la propria morte

Giornata della memoria Una riflessione attorno alla testimonianza di Jean Améry Daniele Bernardi Un intero capitolo di I sommersi e i salvati di Primo Levi è dedicato alla persona e alle meditazioni di Jean Améry (Vienna, 1912-Salisburgo, 1978), filosofo e scrittore, suo compagno di baracca in Auschwitz-Monowitz, autore di un importante saggio tradotto in italiano col titolo di Intellettuale a Auschwitz (Bollati Boringhieri, 1987). Figura meno nota di Levi, Améry – che in realtà si chiamava Hans Chaim Mayer – nel 1938 aveva lasciato il suo paese in seguito all’annessione dell’Austria alla Germania ed era emigrato in Belgio, dove, successivamente, avrebbe aderito alla Resistenza. Con l’invasione del 1940 era stato catturato dalla Gestapo, che, prima di condannarlo ai campi perché ebreo, lo aveva torturato per ottenere informazioni. In Intellettuale a Auschwitz, il cui titolo originale è Al di là della colpa e dell’espiazione e Tentativo di superamento di un sopraffatto (Szczesny Verlag, München, 1966), una parte determinante è incentrata su questo avvenimento: la tortura. «Chi scrive», sosteneva Vasilij

Grossman, «ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla». Ma è dolendosi per il lettore e cercando di essere «il più possibile sintetico» che Amery riporta, in un solo, interminabile (seppur breve) paragrafo quanto gli fu inflitto dagli aguzzini in divisa; al fine di giungere all’analisi che si è imposto (un’analisi che scorge nella sevizia l’essenza stessa del Terzo Reich), non può esimersi dal descrivere quanto avvenne, anche se, afferma, quel che subì «non fu certamente la forma peggiore di tortura». Costretto nella fortezza di Breendonk, dove dominavano le SS, egli fece dunque l’esperienza «più atroce che un essere umano possa conservare in sé»: quella di «vedere alla prova il suo corpo in maniera del tutto inedita» e di vivere «la propria stessa morte». Sprovvisto di informazioni utili ai carnefici – poiché, scrive, se ne avesse avute non avrebbe esitato a «cantare» – Améry parlava, faceva rivelazioni fantastiche, inventate che, non si sa grazie a quale estenuata risorsa, gli passavano per la mente mentre da intellettuale, da uomo «che vive all’interno di un sistema di rife-

rimento che è spirituale», apprendeva «come sia possibile rendere un essere umano unicamente carne». Come per Levi, le irriferibili violenze subite furono, per Améry, il centro dell’esistenza, l’evento che lo segnò radicalmente e che gli rivelò orrori sulla natura umana che mai nessuno vorrebbe conoscere. Da quel buco nero, col suo lavoro di filosofo, estrasse però considerazioni che oggi è fondamentale non dimenticare; in Italia infatti – nonostante la Diaz e il caso Cucchi – più di un politico ha ancora la sfrontatezza di scagliarsi contro il reato di tortura, mentre Amnesty International ha recentemente chiesto alla Svizzera di inserire tale divieto anche nel codice penale (esso è presente unicamente a livello costituzionale).* La prima considerazione è che, già dalla prima percossa da parte di un’autorità, la vittima perde quella che egli chiama «la fiducia nel mondo»; cioè la fede nell’implicito patto sociale e civile che la lega all’altro nel riguardo reciproco. Come in uno stupro, messo nella condizione in cui è impossibile difendersi, l’oppresso vive infatti la presenza e la corporeità del suo simile

come invasione, sopraffazione e annientamento. In secondo luogo, come già accennato, la tortura non fu uno degli aspetti del nazionalsocialismo (e di ogni sorta di fascismo), ma il tratto essenziale e distintivo della sua dottrina. In questo senso, oltre che nei confronti di Améry, il debito che ci lega al lascito di Pier Paolo Pasolini è inestinguibile; penso, ovviamente, al suo Salò o a Le 120 giornate di Sodoma. Chi erano, si domanda il filosofo, quelli che lo seviziavano? Se erano dei sadici, scrive, non lo erano in relazione alla patologia sessuale. Ma il loro atteggiamento era, sì, profondamente, quello dei personaggi del Marchese De Sade: cioè di chi nega recisamente l’altro da sé in nome della propria incontenibile pulsione espansiva, di chi «intende realizzare la propria totale sovranità» senza curarsi della «perpetuazione del mondo». Questo è quanto si chiedeva ai seguaci del Führer che intendevano guadagnarsi l’ammirazione delle generazioni future: raggiungere la grandezza nell’inumano alienandosi dall’altrui sofferenza, elevare a legge universale

le regole della fortezza Breendonk. Vediamo allora che la tortura, la possibilità stessa della tortura, apre le porte a un mondo civilmente capovolto, in cui i basilari e non scritti contratti sociali svaniscono per lasciare il posto a individui che si nutrono dell’annullamento dell’altro; il comandamento che imponeva di tenere conto di chi, con me, condivide l’esistenza è qui tramutato in quello che mi legittima ad abusare del prossimo fino alla sua dissoluzione. Come Primo Levi e altri sopravvissuti, Jean Améry si è tolto la vita dopo aver lungamente riflettuto su quanto gli era toccato in sorte. Anche questo, forse, può dirci qualcosa: una volta superato il limite, nonostante gli assidui tentativi di elaborazione, nulla, al di là di un gesto, rende possibile un completo reinvestimento di senso nel tempo che rimane prima della fine: «chi è stato torturato resta tale», per sempre. Nota

* Il Codice penale svizzero menziona la tortura solo in caso di crimini contro l’umanità o di gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra.


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Cultura e Spettacoli

Che belle, le vite degli altri

Narrativa Lo scrittore e illustratore inglese Alexander Masters ha dato alle stampe il curioso rinvenimento

di due amici suoi: 148 diari scritti da mano ignota Mariarosa Mancuso Nel romanzo di Peter Cameron Un giorno questo dolore ti sarà utile l’artista – di fantasia – espone a New York bidoni della spazzatura «decoupati» con pagine della Bibbia, del Corano e della Torah (per chi non si diletta con i corsi di ceramica o lo stencil, dicesi «decoupage» il ritaglio di figurine a uso ornamentale, fissate con vernice o lacca). Prezzo, 16 mila dollari cadauno. I visitatori ci buttano dentro vero pattume, per la felicità dell’artista che con le schifezze raccolte produrrà altre opere d’arte.

L’ossessione per quanto la gente getta nei cassonetti è un tratto caratteriale tipico di molti; Alexander Masters ne ha fatto un libro Satira dell’arte contemporanea, ma neppure tanto. Al Barbican di Londra, nel 2012, il cinese Song Dong ha esposto diecimila oggetti raccolti dalla madre in mezzo secolo di Rivoluzione culturale. Scarpe sformate, calzini con i buchi, tazze senza manico: tutto era prezioso e riciclabile senza bisogno di una App che suggerisse il nuovo imperativo categorico: Waste Not, ovvero «non sprecare», era il titolo della mostra. Prima degli smartphone (che inquinano e sono fabbricati in Cina, a voler essere puntigliosi) esistevano

guide per segnalare agli scavenger i cassonetti migliori, nei quartieri ricchi delle grandi città, per procurarsi di che vivere frugando tra i rifiuti. Accadeva prima che Marie Kondo, con i suoi libri sull’arte di fare ordine e ora con la sua serie tv, ci considerasse accumulatori di paccottiglia, invitandoci a buttare via «quel che non dà gioia». Anche – orrore – i libri: più di trenta volumi, spiega candidamente la fanciulla, è malattia. Da qui le polemiche. E le contro-polemiche: l’attaccate perché è donna e viene dall’oriente. Attenti a quel che trovate nei cassonetti, l’ossessione è in agguato. Alexander Masters, scrittore e illustratore inglese, si imbatte in 148 diari scritti da mano ignota. Li avevano trovati in verità due amici suoi, stupefatti davanti a tante parole (5 milioni, pari a quindicimila pagine). Taccuini che sembravano appena buttati via, da qualcuno che magari ancora circolava nei paraggi. Ma in giro non c’era nessuno di sospetto, si potevano fare solo ipotesi: un nuovo inquilino infastidito dal pattume? una cantina o una soffitta svuotata dagli eredi? Si potrebbe aggiungere: magari un gesto artistico, di qualcuno che voleva fossero ritrovati? (le opere artistiche fatte con la spazzatura sono ormai un genere, ma anche in letteratura non si scherza, a partire da Il nostro comune amico di Charles Dickens: il barcaiolo e sua figlia perlustrano il Tamigi per raccattare quel che trovano, e anche un cadavere può rendere qualcosa). Dai 148 diari, Alexander Masters ha tratto un libro appena uscito dal Saggiatore con il titolo Una vita scartata. Perché le pagine diventano, appunto, un’ossessione. Il diarista dice

Capolavori al macero. (Keystone)

«io» ma non dà altre indicazioni su di sé (l’inglese lo consente, a differenza dell’italiano). Tra le pagine, disegni che sembrano rimandare a un carcere e a violente disavventure. Parentesi: tra i carcerati grafomani, se ancora non l’avete letto, procuratevi subito Il professore e il pazzo di Simon Winchester: un medico militare reduce dalla Guerra di secessione che uccide un passante, viene rinchiuso in manicomio, e dalla sua cella foderata di libri antichi diventa il più assiduo collaboratore alle voci dell’Oxford English Dictionary che si andava compilando. Torniamo a Una vita scartata.

Grande è la curiosità che abbiamo per le vite degli altri. Può diventare irresistibile se tra le pagine di un diario troviamo registrati tutti i compleanni dal tredicesimo – nel 1952, con una lista dei regali desiderati – al sessantaduesimo, nel 2001 (troppo tardi per credere a Babbo Natale). Dopo Un genio nello scantinato – sul matematico Simon Morton, genio precoce che a trent’anni, per colpa di un errore di calcolo, ebbe un crollo nervoso – Alexander Masters si dedica al diarista, facendo ipotesi e sciogliendo enigmi. All’inizio di Una vita scartata non sa neppure se chi scrive è un

uomo oppure una donna, poi scopre che dentro le pagine c’è un tentativo di romanzo, poi scambia per un nome proprio quel che invece è il nome di una casa. Ma insiste: quel che ha in mente è una biografia del diarista sconosciuto. Il lettore segue l’indagine passo passo, e i colpi di scena sono così tanti da dare alla vicenda un andamento romanzesco. E intanto Alexander Masters racconta un po’ di sé e della propria vita. Oltre alla straziante avventura del critico Frank Kermode: diede per sbaglio agli spazzini, invece che ai traslocatori, gli scatoloni con la sua collezione di libri rari.

I libri come l’amore

Pubblicazioni Le biblioteche, quella privata e quella pubblica, di Alberto Manguel, in un libro dedicato alla lettura,

ai libri, alle lingue che parliamo e alle eredità culturali Stefano Vassere «Gli scarabocchi ai margini, l’occasionale data sul risguardo, il biglietto sbiadito dell’autobus che tiene il segno in una pagina per una ragione oggi misteriosa, tentano tutti di ricordarmi chi fossi io allora. Ma la mia memoria è più interessata ai miei libri che a me e trovo più facile ricordare la storia letta una volta, tanto tempo fa, che il giovane che ne fu il lettore».

Le considerazioni di questo libro scaturiscono da due episodi biografici Si potrebbe dire che fino a questo libro il destino di Alberto Manguel è stato per decenni piegato dalla mescolanza con Jorge Luis Borges, tanto che non c’era intervista che non innescasse subito la tentazione di contare trepidi dopo quante frasi emergesse il nome

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

del Maestro; e non c’era libro suo (di Manguel) che non si misurasse nel numero di pagine da dover scorrere prima di leggervi l’ampiamente annunciato nome. Poi viene questo libro, che si intitola Vivere con i libri. Un’elegia e dieci digressioni, dove molti ragionamenti «teneri e dolenti» e anche molto intelligenti sono generati, come esplosi, da due episodi biografici quasi catartici, per Manguel oltre che per quello che era diventato per lui e per noi una specie di piccolo complesso. Gli episodi avvengono in rapida successione: e sono la necessità di impacchettare e inscatolare la propria grande biblioteca personale per un trasloco dalla Francia a New York e la successiva chiamata, tanto inaspettata quanto grave di simbologie, a dirigere la biblioteca nazionale di Buenos Aires, quella che lo stesso Borges, come sappiamo, aveva retto per circa vent’anni come «quarto direttore cieco della biblioteca». Siamo circa a pagina 100 di questo libro e sappiamo già che l’Istituto si è trasferito dalla sua sede antica «nel quartiere coloniale di San Telmo, in calle México» a quella brutalista Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Accumularli è semplice, spostarli un po’ meno...

dove ancora oggi è ospitata (sembra che Borges, passando le mani sul plastico del progetto, l’avesse definita «un’orrenda macchina da cucire»). Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Seguiremo meno Manguel nella sua tribolata ma efficace operazione di migrazione da un modello di istituzione universale e babelica pensato dal Maestro a un servizio civile e aperto al pubblico modellato dal discepolo. Ci piacerà per contro partire dagli spunti dati dagli scatoloni e dalla successione di brevi sguardi riservata ai libri, dai locali vuoti, dalla ricollocazione in nuovi ambienti e su librerie nuove; con nuove adiacenze tra volume e volume a ristrutturare relazioni e parentele; a riscoprire, trovare vecchie lettere tra le pagine, quadrifogli, scontrini. Si ricostruisce l’intima biblioteca di casa e si costruisce la biblioteca nazionale argentina a guardia di «una grammatica morale universale». Sono operazioni complesse ma rette da un sistema etico e di responsabilità comune, che Manguel in questo libro percorre in lungo e in largo, tirandolo di qua e di là, affiancandolo a questo e a quello. Le collezioni e le loro venture sono raccontate secondo prospettive innumerevoli e sempre nuove: la perdita dei libri, l’imballo degli stessi, la loro distruzione, l’eliminazione, la letteratura,

la poesia (ce n’è una molto bella di Coventry Patmore a pagina 42), la lingua, gli alfabeti, i dizionari, le passioni legate al leggere e al custodire patrimoni librari, la memoria, l’innamoramento («La scoperta dell’arte di leggere è un evento intimo, oscuro, segreto, quasi impossibile da spiegare, simile all’innamoramento»). Alla fine però rimane sedimentato un fatto: quando si ragiona – lo si fa spesso – su quali siano i valori del libro tradizionale a fronte del digitale così presuntuosamente imposto, viene in mente che in fondo una riconosciuta e solida cultura del libro è possibile quasi solo ragionando nei termini del vecchio regime, quello del libro tradizionale di carta, pieno della concretezza fisica sua e dei luoghi che lo ospitano; pregno di sovrastruttura culturale che difficilmente si potrà sostituire nei tempi frettolosi del digitale.

Tiratura 102’022 copie

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Bibliografia

Alberto Manguel, Vivere con i libri. Un’elegia e dieci digressioni, Torino, Einaudi, 2018.

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


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Cultura e Spettacoli Francesco De Tatti, San Giovanni Battista; Crocifissione; Santo cavaliere (Vittore?) martire, 1510 circa, tavola. (Museo Bagatti Valsecchi Milano)

Quella musica che risuona in noi

Intervista A colloquio con il compositore

Gabriele Marangoni per presentare il suo Silent, in scena al LAC, uno spettacolo che coinvolge artisti udenti e non udenti Alessandro Zanoli

Viaggio nel Ticino del Rinascimento

Mostre La Pinacoteca Züst di Rancate ospita la seconda mostra

dedicata a questo tema Alessia Brughera Francesco De Tatti, pittore varesino di epoca rinascimentale, è un artista dalla storia piuttosto misteriosa. Nonostante gli studi degli ultimi anni abbiano contribuito ad aggiungere preziosi tasselli alla sua vicenda, tante rimangono ancora le lacune sulla biografia e sull’operato di questo maestro. Documentato dal 1512 al 1527 e già morto nel 1532, di lui non si conosce con precisione nemmeno la data di nascita. Quel che di certo si sa è che è stato molto attivo nell’area di Varese e che ha lavorato ampiamente anche in Ticino. A testimoniare la presenza del De Tatti nel nostro territorio è un polittico che l’artista realizza intorno al 1525 per l’altare maggiore della chiesa di Santo Stefano a Rancate, di cui uno scomparto della predella è stato di recente acquistato dal Canton Ticino con destinazione la Pinacoteca Züst. La tavoletta raffigurante Santo Stefano davanti ai giudici del Sinedrio, al pari di tutti gli altri elementi della pala venduta nel 1796, aveva un’ubicazione ignota. La scoperta del suo passaggio a un’asta a Zurigo, nel 2017, ha portato subito all’acquisizione del frammento, fino a quel momento noto solo attraverso una fotografia in bianco e nero. Proprio questa nuova opera che arricchisce la collezione della pinacoteca rancatese costituisce l’incipit della mostra Il Rinascimento nelle terre ticinesi 2. Dal territorio al museo, secondo capitolo di un racconto iniziato nel 2010 con una rassegna che per la prima volta esplorava l’arte nostrana di quel periodo con il supporto di un team di studiosi composto, tra gli altri, dagli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, curatori anche dell’attuale esposizione. Lo scomparto del De Tatti non funge soltanto da punto di partenza per un approfondimento sul pittore varesino, attraverso una selezione di dipinti

Biglietti in palio «Azione», mette a disposizione dei lettori biglietti per la mostra Il Rinascimento nelle terre ticinesi 2. Dal territorio al museo in corso alla Pinacoteca Züst. Per partecipare all’estrazione seguire le indicazioni sulla pagina www.azione.ch/concorsi.

atti a ricostruirne i riferimenti artistici e lo stile, ma diventa anche il perno attorno a cui si sviluppa un discorso più ampio sul patrimonio rinascimentale ticinese, in particolare sulla dispersione delle opere d’arte concepite nel e per il nostro territorio e che per vicissitudini varie non si trovano più qui. Si tratta di manufatti che si sono allontanati per scelta dei loro proprietari o dei loro custodi in anni in cui non erano ancora salvaguardati sul piano legislativo (la prima legge cantonale di tutela dei beni culturali è del 1909), trovando collocazione in raccolte pubbliche e private internazionali e di altri cantoni svizzeri. All’appello mancano alcuni lavori che la Pinacoteca si augurava di poter esporre in questa mostra, come ad esempio il polittico eseguito per San Vigilio a Gandria da Lorenzo Fasolo che dal 1905 è custodito al Museo nazionale svizzero di Zurigo, l’affresco dipinto da Bartolomeo da Ponte Tresa per Santa Maria Annunciata a Muralto che ora si trova al Castello di Langeais sulle rive della Loira e, soprattutto, la pala realizzata da Bernardino Luini per San Sisinio a Mendrisio i cui elementi sono sparsi tra l’Italia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Nonostante queste assenze, la rassegna di Rancate ha radunato diverse opere, tra pitture, sculture e vetrate, che, seppur nel loro fugace rimpatrio, documentano bene la ricchezza artistica rinascimentale destinata a molte località oggi svizzere che al tempo facevano parte del Ducato di Milano. Complice il bell’allestimento dell’architetto Mario Botta, che gioca sul riuscito contrasto tra il colore nero di pareti e pavimenti e le tinte chiare dei supporti in legno di cedro non verniciato, il percorso espositivo prende avvio dalla citata predella del De Tatti per proseguire poi con una serie di opere del pittore che fanno luce sul suo cammino artistico: dai suoi debiti verso figure quali Martino Spanzotti, abilissimo maestro purtroppo ancora molto trascurato, alla sua capacità nel fare proprie le suggestioni leonardesche e nel saper cogliere con precocità anche quelle raffaellesche. Di particolare interesse è la presenza in mostra di un piccolo disegno di sua mano, conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e databile tra il 1520 e il 1525, in cui sul fondo al centro della scena, tra la Madonna con il Bambino e i Santi Rocco e Sebastiano, appare una delle più antiche vedute di Bellinzona, con ancora il tratto finale della Murata che scende dal Ca-

stelgrande al ponte della Torretta. Un foglio, questo, che evidenzia lo stretto rapporto dell’artista con la città, dove il fratello esercitava l’attività di orafo e dove altri esponenti della sua nobile famiglia erano presenti da decenni. Poco nota ma significativa nel percorso del De Tatti è l’opera Cristo nel sepolcro, datata 1518 circa, una tavola fino a poco tempo fa attribuita a Bernardo Zenale, autorevole pittore molto attivo nella Milano del primo Cinquecento che dell’artista varesino si pensa sia stato il maestro. Qui sono evidenti, difatti, le analogie del De Tatti con lo stile del suo mentore, attraverso la cui mediazione riflette su Leonardo e su Bramantino, come si evince dall’ambientazione di grotte e di rupi che richiama la Vergine delle rocce del genio vinciano. Emblematico dell’attitudine dell’artista a recepire le novità pittoriche della sua epoca è il polittico di Santa Maria Annunciata a Brunello, un dipinto che, se da un lato rende ancora ampio omaggio alla cultura visiva di Leonardo, dall’altro rivela già il proiettarsi del De Tatti verso soluzioni figurative mutuate da Raffaello. Nella seconda sezione della rassegna, quella dedicata alla diaspora dei lavori rinascimentali ticinesi, incontriamo due importanti opere che una volta impreziosivano la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano. Sono la pala di Bernardino Luini, oggi a Orford, nella campagna inglese, raffigurante una delicata scena all’aperto con al centro la Madonna che tiene in braccio il Bambino nudo, e il polittico del pittore lodigiano Calisto Piazza, i cui tre pezzi dislocati a Firenze e in provincia di Brescia sono stati ricomposti in occasione della mostra per la prima volta dopo molti secoli, ricreando la visione d’insieme che dell’opera si aveva guardando l’altare maggiore della chiesa luganese. Lo scomparto centrale del dipinto, dove Piazza fonde le iconografie dell’Assunzione e dell’Incoronazione della Vergine, è in vendita: sarebbe bello poterlo di nuovo ammirare nella città per cui è stato creato.

Sembra persino troppo facile associarlo al titolo della celebre canzone di Paul Simon, The sound of silence. Ma lo spettacolo-concerto Silent che andrà in scena martedì 29 gennaio al LAC di Lugano si pone realmente sul confine misterioso tra suono e silenzio. Pensato per coinvolgere (tanto dal punto di vista performativo quanto da quello del suo pubblico) udenti e non udenti, vuole sfruttare la potenza della musica nei suoi aspetti più fisici e materici e realizzare un’occasione «d’ascolto» originale e sperimentale. Secondo le intenzioni del suo creatore, Silent si propone di accompagnare il suo pubblico in un’originale perlustrazione dell’universo sonoro. Gabriele Marangoni, il suo è un progetto artistico molto complesso e magari un po’ Zen: propone «il suono senza il suono», oppure «il suono oltre il suono». Le piace questa definizione?

Direi che si potrebbe definire piuttosto di «suono oltre l’udibile». L’idea è nata proprio in virtù della mia necessità di andare oltre tutto ciò che sapevo e che possedevo del suono e della musica. Ho voluto mettere in dubbio una vita spesa a formarmi in questo ambito (studi in conservatorio, la pratica strumentale, i concerti, la composizione) e ho voluto credere che tutto quello che mi aveva formato, in un certo qual modo, mi aveva anche viziato la percezione; quindi la necessità di spingermi in una regione dove il rapporto con il suono fosse primordiale, fisico, ignoto; dove lo stesso concetto di musica fosse superfluo. Ricercando questa regione estrema è stato quasi naturale approdare nel mondo della sordità, il limite della percezione. Ma la «sordità» come può sentire?

In questa zona di frontiera, il suono viene percepito fisicamente, non c’è spazio per orpelli e abbellimenti: tutto diviene primordiale, allo stesso tempo fragilissimo e potentissimo. Silent è composto da onde sonore di grandi proporzioni. Parliamo anche di frequenze di 4 HZ, una regione che nessun uomo può sentire ma che fa vibrare il corpo, sposta masse importanti d’aria, fa risuonare ogni nostra cavità. Io uso la forza ed il potenziale del suono per creare una dimensione dove non c’è più nessuna barriera, dove i sordi interagiscono e creano direttamente con musicisti udenti sul palco, un linguaggio musicale concepito e creato dalle potenzialità dei sordi (non poter udire certi suoni non vuol dire essere privi di musicalità). È una dimensione sonora particolarmente originale…

La partitura di Silent nasce da materiali sonori che i sordi sono in grado di creare, di percepire e di controllare, come ad esempio il respiro, la percussione dei denti, l’utilizzo del corpo. Tutti questi elementi sono stati estesi ed orchestrati attraverso l’uso di quattro solisti: una

voce femminile, una maschile, un contrabbassista ed un percussionista che diventano appunto estensioni dei sordi ed utilizzano un linguaggio musicale estremamente sperimentale. Parte fondamentale di tutto il progetto è poi la sezione di elettronica sviluppata con il centro di ricerca musicale Tempo Reale di Firenze. Tutti questi elementi vengono resi armonici dal direttore d’orchestra fino ad arrivare alla particolare dimensione sonora di Silent, fatta da enormi e potentissime onde sonore in equilibrio con il più minuto dei respiri. In questa dimensione non ha più senso la melodia, il linguaggio stesso non ha più senso. Oltre a quella sonora, sono importanti la componente visiva e (forse ancora di più) quella relazionale tra le persone coinvolte sul palco. Che tipo di drammaturgia ha previsto? Cosa le interessa mettere in risalto?

La dimensione relazionale e visiva tra le persone sul palco è fondamentale, avviene tutto uno scambio di intenzioni, di informazioni di emozioni attraverso lo sguardo e l’empatia che si costruisce a partire sin dalle prime prove. È molto interessante anche l’estrema capacità dei sordi di interagire con un direttore d’orchestra proprio sul piano di connessione relazionale e unità di intenti. Una forza che ogni volta mi stupisce. Il mio interesse è nel suono, nella suo valore assoluto, per me tutto è lì. La parte visiva la curo ricercando la maggior linearità ed essenzialità, tutto quello che succede è necessario e meraviglioso. La drammaturgia è nella partitura, nel suono.

Lo spazio del LAC è molto grande e progettato per spettacoli più «tradizionali». Come si trova il suo progetto in una dimensione così ampia, così «classica»?

Il LAC è un teatro importante e portare Silent su un palco che generalmente ospita progetti «tradizionali» apre la strada: è un gesto importante per il quale non posso non ringraziare il direttore Carmelo Rifici. La dimensione «classica» non è assolutamente un problema , anzi: ad ogni rappresentazione riprogettiamo tutta la struttura di sonorizzazione sia da un punto di vista proprio di architettura che di installazione. Gabriele Marangoni, ha un consiglio da dare agli spettatori prima della visione? Cosa le sta in particolare a cuore?

Silent è una spirale: consiglio al pubblico di lasciarsi avvolgere, perché tra le sue spire c’è la possibilità di entrare in una dimensione da dove è possibile riorganizzare molte delle cose a cui siamo o ci hanno abituati. È un atto rivoluzionario. Biglietti in palio

Il percento culturale di Migros Ticino mette a disposizione dei suoi lettori biglietti per lo spettacolo Silent. Per partecipare al concorso visita la pagina www.azione.ch/concorsi.

Dove e quando

Il Rinascimento nelle terre ticinesi 2. Dal territorio al museo. Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate. Fino al 17 febbraio 2019. Orari: da ma a ve 9.00-12.00/14.00-18.00; sa do e festivi 10.00-12.00/14.00-18.00, chiuso il lunedì. www.ti.ch/zuest

Lo spettacolo è sostenuto dal Percento culturale di Migros Ticino.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Cultura e Spettacoli

In scena il dramma dell’Alzheimer Teatro I l padre di Florian Zeller con uno straordinario Alessandro Haber

Giovanni Fattorini I mezzi d’informazione che ci ragguagliano sull’aumento a livello globale dell’aspettativa di vita ci dicono altresì che il fattore maggiormente correlato all’insorgere della più comune e a tutt’oggi incurabile forma di demenza – il morbo di Alzheimer – è la longevità. La durata della vita si allunga; di conseguenza, cresce il numero delle persone affette da diverse forme di demenza senile tra cui l’Alzheimer. Stando ai dati delle Nazioni Unite riguardanti la popolazione mondiale, gli individui affetti da demenza – che oggi ammontano a 47 milioni – nel 2050 raggiungeranno i 114 milioni. Non c’è quindi da stupirsi che nella narrativa e ancor più nel cinema degli ultimi vent’anni siano apparsi diversi personaggi che presentano i segni di una degenerazione progressiva delle cellule cerebrali. Affetto da Alzheimer è anche il protagonista del pluripremiato Il padre (Le père, 2012), lungo atto unico del drammaturgo francese Florian Zeller, di cui lo scorso novembre il pubblico ticinese ha avuto modo di conoscere la commedia in due atti A testa in giù (titolo originale: L’envers du décor). Andrea – così si chiama il personaggio principale della pièce – è un anziano e

poco remissivo ingegnere che nella scena iniziale vediamo e ascoltiamo discutere nervosamente con la figlia Anna, turbata da frasi e comportamenti di cui non sa definire la natura: sono manifestazioni di normale invecchiamento o sintomi di demenza incipiente? Una domanda a cui viene data abbastanza rapidamente una risposta. Nelle scene successive, alla perdita di memoria a breve termine si aggiungono infatti manifestazioni sempre più inequivocabili di uno stato patologico che si aggrava: irritabilità, repentini sbalzi d’umore, sospettosità e aggressività nei confronti dei familiari e della badante, perdita della memoria a lungo termine e delle coordinate spazio-temporali, confusione di nomi e di persone: sintomi e segni di una malattia neurologica senza possibilità di cura o remissione: l’Alzheimer. Per alleviarne il disagio e tenerne maggiormente sotto controllo il comportamento imprevedibile, Anna decide, contro la volontà del marito, di accogliere in casa propria il genitore, a cui è molto affezionata. Quando la situazione diventa insostenibile, Andrea viene ricoverato in una clinica psichiatrica (anche perché Anna intende trasferirsi a Londra con un nuovo compagno). Attraverso una sequenza di scene

Alessandro Haber e Lucrezia Lante della Rovere nei panni del padre Andrea e della figlia Anna. (Teatro Manzoni)

brevi o brevissime (che il regista Piero Maccarinelli ha distanziato con intervalli di buio in cui risuonano le musiche inquietanti di Antonio Di Pofi) lo spettatore assiste al progredire di un deterioramento cognitivo e funzionale irreversibile di cui non viene mostrata

Schizzi di storia svizzera – La conquista romana Su www.azione.ch, nella sezione cultura/feuilleton, a partire da questa edizione presentiamo una breve serie di filmati, a cura di Jonas Marti, su alcuni fatti storici che hanno interessato il nostro paese. Realizzati in forma di divertissement, i filmati sintetizzano alcune fasi storiche vissute dai territori che oggi formano la Svizzera. Il primo filmato è dedicato ai tempi della dominazione romana, di cui restano eredità ancora oggi nelle lingue che parliamo, come pure nella quotidianità. Buona visione!

la fase finale. Il dramma si conclude infatti con un’improvvisa crisi di pianto durante la quale Andrea invoca la madre e poi si lascia docilmente guidare da un’infermiera che lo invita a seguirla per una passeggiata nel parco. Lo vediamo per l’ultima volta, immobile e seminascosto dalla porta della sua camera di degente, mentre guarda fissamente il pubblico. Per rendere lo spettatore più intimamente partecipe del dramma di Andrea, Zeller ha pensato di fargli in qualche misura condividere la sua percezione alterata della realtà attraverso lo sdoppiamento di alcuni personaggi. Solo alla fine lo spettatore si rende conto che certe scene sono visioni retrospettive, deformate dalla mente del protagonista. Il calo delle funzioni cognitive di Andrea si accompagna (è un’efficace metafora registica, perché il testo di Zeller è privo di didascalie) al progressivo svuotarsi della scena di Gianluca Amodio, fatta di pochi arredi e di quinte rotanti che fingono i tre luoghi in cui si svolge l’azione. Il padre non è un’opera di particolare complessità e profondità. Che uomo fosse Andrea prima dell’insorgere della malattia, Zeller non ce lo dice. A mio parere, il testo si spinge poco ol-

tre i limiti di un quadro clinico in evoluzione, che nella fase iniziale presenta anche dei tratti comici di sicuro effetto (la gag dell’orologio, i passi di tip tap). Quanto alla figlia affettuosa (interpretata con garbo da Lucrezia Lante della Rovere), mi sembra tratteggiata in modo piuttosto convenzionale (fatta salva la scena – che per qualche minuto sembra aprire una diversa prospettiva – del racconto di un sogno in cui Anna strangola il padre addormentato). Di modesto spessore le figure della badante e dell’infermiera (Ilaria Genatiempo e Daniela Scarlatti), e ancor più quelle del marito di Anna (Paolo Giovannucci), del suo nuovo compagno e del medico (Riccardo Floris). Le ragioni per cui lo spettacolo tiene desta l’attenzione dall’inizio alla fine sono tre: gli sconcertanti sdoppiamenti di cui ho detto sopra; la regia precisa e ben ritmata di Maccarinelli; la straordinaria interpretazione di Alessandro Haber (Andrea), che disegna una figura di forte e singolare rilievo vocale e gestuale. Dove e quando

Milano, Teatro Manzoni, fino al 27 gennaio; Locarno, Teatro di Locarno, il 13 e 14 marzo. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 21 gennaio 2019 • N. 04

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Cultura e Spettacoli

Ma cosa sei tu, amore?

In scena Raccontare l’amore tra endecasillabi e termodinamica e i trent’anni di attività di Tiziana Arnaboldi Rifici ha visto in scena Thomas Couppey, Aurelio Di Virgilio, Camilla Parini, Anahì Traversi, Carla Valente e lo stesso Waldvogel. Bravi interpreti salutati da un pubblico entusiasta alle tre serate di un esordio sold out che si inserisce nella Factory di LuganoInScena.

Giorgio Thoeni Potremmo definirlo un teorema dell’amore quello che si è sviluppato attraverso due spettacoli recentemente andati in scena sui palchi luganesi del LAC e del Foce. Entrambi immersi in quel magma immortale e misterioso che sommerge le pulsioni amorose: dall’innamoramento alla passione, dalla carne all’anima, creando interessanti e spericolati parallelismi grazie a un ponte drammaturgico fortemente significativo lungo quasi cinque secoli.

Una nuova danza al Teatro San Materno

La forza poetica della più discussa fra le emozioni al centro di due applaudite pièces di Torquato Tasso e Simon Waldvogel Dapprima ci immergiamo negli endecasillabi e i settenari di Torquato Tasso con il suo Aminta, dramma pastorale del 1573 con la parola cinquecentesca del poeta sorrentino messa a nudo con una coraggiosa verticalità scenica dal regista Antonio Latella per quattro giovani attori con l’adattamento drammaturgico di Linda Dalisi. La platea del LAC, quasi satura grazie alla presenza di molti studenti liceali, è rimasta attonita e frastornata dalla forza poetica di cotanta essenzialità e passionalità verbale che dall’iniziale rifiuto amoroso della ninfa Silvia arriva a sfiorare la tragedia per l’infelice Aminta fino a trasformarsi in una favola a lieto fine. Ma è la parola teatrale allo stato puro a occupare lo spazio scenico. Una ribalta a fondo nero per quattro bocche ai microfoni e un faro che ruota lentamente su un binario circolare attorno ai personaggi, come descrivendo un ciclo diurno con un continuo cambio di prospettiva ripetuto sui due tempi. Un

La locandina dello spettacolo L’amore ist nicht une chose for everybody (Loving Kills).

oratorio senza concessioni, una trama bucolica che sfida il contemporaneo sugli accordi e le parole di PJ Harvey (Rid Of Me) e dei Can (Vitamine C) per una liturgia dell’ascolto grazie agli ottimi e applauditi Michelangelo Dalisi e Emanuele Buretta con Matilde Vigna e Giuliana Bianca. L’esplosiva solitudine amorosa e l’inquietudine giovanile alle prese con i bilanci della maturità sono invece i binari contemporanei che veicolano L’amore ist nicht une chose for everybody (Loving Kills), originale titolo scelto per il debutto del Collettivo Treppenwitz, nuova e interessante realtà della scena indipendente regionale che riunisce tre giovani compagnie già affermate: Atrè Teatro, Azimut e Collettivo Ingwer. La scena rimanda a

un sala aeroportuale su cui campeggia la scritta You have nothing (non avete nulla). Sempre in alto, poco a lato, un grande schermo e in proscenio un monitor televisivo. Entrambi proiettano stralci di testimonianze di trentenni sull’amore e le sue incognite: quanti modi per amare? Che ruolo ha l’amore nella nostra vita? Perché finisce un amore? Amore a due, a tre…? e via così, in italiano, tedesco, francese, spagnolo, inglese: lingue che abbracciano dimensioni giovanili a tutto campo e che vogliono anche superare le barriere confederali per far «volare» lo spettacolo. La voce di una hostess annuncia la partenza del volo. È il segnale per la termodinamica del gruppo che scoppia e si riunisce e poi torna a esplodere in un caos programmato e posseduto dal

ritmo musicale, come per un’instancabile entropia per cuori solitari, una coreografia suggerita dalla liturgica vestizione del giubbotto di salvataggio e le misure di sicurezza in volo. Un teatro danzato sulle parole di personaggi catturati dalla videocamera, scandito da movimenti e abbracci, slanci e abbandoni nella continua ricerca di un contatto, di una sublimazione amorosa senza soluzione di continuità avvolta in conclusione dal rassicurante cantato di Vasco Rossi (Vivere). Un’ora e un quarto di movimentate situazioni dove Simon Waldvogel (testo e regia) esplora il tema lasciando scoperta qualche possibilità di fuga drammaturgica che forse potrebbe rilanciare il tema con una sorpresa. Lo spettacolo che si è avvalso della supervisione di Carmelo

Dopo i festeggiamenti per i 30 anni di attività di Tiziana Arnaboldi e prima delle iniziative previste per ricordare i 100 dalla nascita del Bauhaus, la stagione del Teatro San Materno di Ascona riparte con Il canto del corpo. «Con questo spettacolo», ci spiega la coreografa, «proseguo il viaggio di esplorazione sulla natura umana iniziato con Il suono delle pietre accanto alla poesia di Fabio Pusterla. È un’evoluzione che dall’animale arriva all’uomo cercando la sua parte più selvaggia. La poesia l’abbiamo lasciata perché è entrata nei corpi, ora è tempo di viaggiare da soli con gesti e suoni che vibrano liberi alla ricerca di memorie che il corpo prova a cantare abbandonandosi al suolo per rimandare il pulsare delle emozioni come forza motrice per una nuova danza». In scena ci saranno 5 danzatori di provata fede arnaboldiana: Eleonora Chiocchini, Marta Ciappina, Pierre-Yves Diacon, Maxime Freixas, David Labanca. Lo spettacolo debutterà sabato 2 febbraio alle 20.30 e verrà replicato domenica 3 alle 17.00.

Concorso Il percento culturale di Migros Ticino mette in palio alcuni biglietti per lo spettacolo Il canto del corpo di Tiziana Arnaboldi che andrà in scena al Teatro San Materno di Ascona sabato 2 febbraio alle ore 20.30. Per partecipare all’estrazione basta seguire le indicazioni sulla pagina web www.azione.ch/concorsi.

Tra Beethoven e Chiambretti Classica Il pianista ligure Andrea Bacchetti, che si esibirà con l’OSI il prossimo 31 gennaio,

racconta come il suo orecchio assoluto sia stato scoperto a cinque anni durante la recita di Natale Enrico Parola Oggi, nell’era dei social dove tutti possono mostrarsi creandosi dei canali youtube, tanti musicisti anche classici promuovono la propria immagine non partecipando ai concorsi o cercando ingaggi prestigiosi, bensì riprendendosi mentre suonano. A suo modo Andrea Bacchetti, seppur involontariamente, aveva anticipato questa moda divenendo popolare a soli 13 anni, senza aver vinto un premio importante o aver suonato alla Scala. Certo, il pianista genovese già due anni prima si era esibito al Conservatorio di Milano accompagnato da Claudio Scimone e i Solisti Veneti; ma fu nel 1980 che tutta Italia conobbe improvvisamente l’estro e il talento di quell’adolescente: Mike Buongiorno lo invitò in una sua trasmissione, schiacciò tre tasti a caso del pianoforte posto in studio e Bacchetti improvvisò un brano funambolico basato su quelle tre note. Orecchio assoluto (cioè la capacità di individuare immediatamente qualsiasi nota) e fantasia conquistarono il pubblico in sala e a casa. Da allora il pianista ligure gira il mondo alternando il grande repertorio a rarità come la produzione pianistica di Cherubini o di semisconosciuti autori veneziani riscoperti in un manoscritto della Bibliote-

ca Marciana, intervallando l’attività di concertista a progetti televisivi ad esempio con Piero Chiambretti. «Non sono nato in una famiglia di musicisti, sono cresciuto tra le canzoni di Gino Paoli, De André e Lucio Battisti, oltre alla classica: un po’ ma decisamente non troppa; quindi non sono un purista nel senso deteriore, integralista del termine» ricorda Bacchetti, che ha firmato un disco con Antonella Ruggiero. Il 31 gennaio chiuderà il ciclo «Osi in Auditorio» come solista nel sontuoso Concerto K 503 di Mozart; Markus Poschner dirigerà l’Orchestra della Svizzera Italiana anche nell’ouverture dal Coriolano e nella prima sinfonia di Beethoven. Pur non aven-

Biglietti in palio «Azione», mette in palio alcuni biglietti per il concerto del pianista Andrea Bacchetti con l’OSI diretta da Markus Poschner che avrà luogo giovedì 31 gennaio 2019 all’Auditorio Stelio Molo RSI di Lugano. Per partecipare all’estrazione basta seguire le indicazioni sulla pagina web www.azione.ch/concorsi.

do parenti musicisti, Bacchetti si avviò sui sentieri dell’arte già a cinque anni: «Durante la recita di Natale la maestra si accorse che sapevo distinguere tutte le note, mi fecero un test e si vide che avevo l’orecchio assoluto, così decisero che dovevo studiare e lavorare su questa mia capacità: mi imposero anche di suonare il pianoforte, pensando che fosse lo strumento più completo». All’inizio non fu dunque un’infatuazione col suono o l’estetica dello strumento, ma il piccolo Andrea vi si appassionò, mostrando una facilità d’apprendimento non comune e sorprendendosi lui stesso di quanto la musica lo aiutasse: «Anche a scuola. Già alle medie e poi al liceo mi veniva spontaneo confrontare il pensiero di un grande statista con quello di un grande compositore, le idee di un interprete con quelle di un esecutore, fare parallelismi tra i metodi di studio del solfeggio e del latino, della storia musicale con quella generale. A livello puramente mnemonico ricordare una Sonata di Mozart o Beethoven è estremamente più complesso che imparare a memoria una poesia di Pascoli o Carducci. Al liceo, quando ci assegnavano temi letterari, mi veniva spontaneo confrontare un certo scrittore con il tal compositore coevo: mi sembrava bello vedere come

Il pianista italiano Andrea Bacchetti.

due artisti che vissero nello stesso periodo storico e nella stessa temperie culturale riuscissero ad esprimere in due modi diversi emozioni uguali, bellissime o bruttissime che fossero». La consapevolezza piena di quale fosse l’anima del pianoforte fu raggiunta grazie a Luciano Berio, uno dei massimi compositori italiani dell’ultimo mezzo secolo: «Lo conobbi a Salisburgo nel 1989, era ligure come me e scattò immediata una sintonia anche umana;

mi ripeteva che il pianoforte non è una macchina da scrivere o una palestra dove bisogna dimostrare velocità, muscoli e forza, ma che lo strumento musicale si chiama così perché è appunto uno strumento per emozionare, coinvolgere, entrare nel cuore della gente. Il virtuosismo esibito su youtube può colpire e sorprendere, ma è imparagonabile con l’emozione profonda suscitata da un concerto dal vivo di un grande interprete».


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Cordon bleu di maiale TerraSuisse imballati, per 100 g

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Minestrone bio Svizzera, imballato, per 100 g

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2.70 invece di 3.90 Ananas Costa Rica/Ecuador, il pezzo

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1.80 invece di 2.30 Datteri Majoul USA, imballati, per 100 g

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11.45 invece di 13.50 Tutti i tulipani M-Classic disponibili in diversi colori, per es. rossi e gialli, mazzo, 20 pezzi

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3.90 invece di 4.90 Tutto l’assortimento di composte e succhi freschi Andros per es. succo d'arancia, 1 l

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4.90 invece di 6.15 Caprice des Dieux 330 g

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Lasagne M-Classic in conf. da 3 3 x 400 g

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15.10 invece di 21.60 Cafino Classic in conf. da 2, UTZ in busta, 2 x 550 g

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6.70 invece di 9.60 Mini pizze Casa Giuliana in conf. da 2 alla mozzarella o al prosciutto, surgelate, 2 x 270 g, per es. al prosciutto

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Tutto l’assortimento Farmer’s Best prodotti surgelati, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

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4.60 invece di 5.80

Tutto l'assortimento Oh! per es. High Protein al cioccolato, 150 g, 1.05 invece di 1.35

conf. da 3

33% Confezione di biscotti freschi in conf. da 3 per es. nidi alle nocciole, 3 x 216 g, 6.20 invece di 9.30

Torta alle fragole 2 x 141 g

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12.30 Leckerli 1,5 kg

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3.– invece di 3.50 Treccia al burro TerraSuisse 500 g

30% Zucchero fino cristallizzato Cristal da 1 kg e in conf. da 10 x 1 kg per es. 1 kg, –.70 invece di 1.–

20% Tutto l'assortimento Sarasay per es. succo d’arancia, Fairtrade, 1 l, 2.30 invece di 2.90

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Tutte le conserve di pesce Rio Mare e Albo a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

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7.80 invece di 11.70 Coca-Cola in conf. da 6 x 1,5 l per es. Classic

20% Jumpy’s alla paprica e popcorn M-Classic nonché Pom-Bär Original e alla paprica in conf. da 2 per es. Pom-Bär Original, 2 x 100 g, 3.65 invece di 4.60


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10.50 invece di 17.55 Crispy di tacchino impanati Don Pollo in conf. speciale surgelati, 1 kg

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25% Biscotti Walkers in conf. da 3 Shortbread Highlanders, Chocolate Chip Shortbread o Belgian Chocolate Chunk, per es. Chocolate Chip Shortbread, 3 x 175 g, 11.20 invece di 15.–

20% Zampe d’orso da 760 g, bastoncini alle nocciole da 1 kg, sablé al burro da 560 g e schiumini al cioccolato da 350 g per es. bastoncini alle nocciole,, 1 kg, 6.70 invece di 8.40

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Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g e da 400 g, UTZ (Suprême, M-Classic e confezioni multiple escluse), a partire da 3 pezzi, 20% di riduzione

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5.30 invece di 8.85 Sugo di pomodoro al basilico Agnesi in conf. da 3 3 x 400 g

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Tutta la pasta e tutti i sughi Agnesi a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione

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14.55 invece di 24.30 Gamberetti tail-on Pelican cotti, ASC surgelati, 750 g

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15% Mars, Snickers o Twix in conf. da 12 10 pezzi + 2 gratis, per es. Snickers, 600 g, 4.15 invece di 5.–

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