Azione 10 del 24 febbraio 2025

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edizione 09

MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

SOCIETÀ Pagina 3

Lewis Dartnell nel suo ultimo libro spiega come la biologia ha influenzato l’evoluzione umana

Come si posiziona la Svizzera in un contesto dominato dal nuovo «sceriffo di Washington»

ATTUALITÀ Pagina 13

A Bologna le opere della svizzera Silvia Bächli entrano in dialogo con le tele di Giorgio Morandi

CULTURA Pagina 19

Il carnevale che sospende la saudade

I balzani bovindi e i capolavori della palazzina orchestrata da Piero Portaluppi a Milano

TEMPO LIBERO Pagina 35

Saranno solo bufale, ma uccidono

Chissà a cosa pensano, la sera, tornando stanchi a casa, i docenti delle scuole americane, vedendo che ciò che spiegano di giorno ai loro allievi – la summa dello scibile umano, raccolta nei secoli grazie alla fatica, allo studio, e ai colpi di genio dei migliori intelletti – viene soavemente smantellato dal proprio governo, attraverso la sconfessione teorica e pratica del loro insegnamento?

Potranno ancora bocciare gli studenti che negano l’impatto delle attività umane sul surriscaldamento del clima, quando il primo a non crederci è il Signor Presidente, che ha ritirato il proprio Paese dagli Accordi di Parigi? Potranno rimandarli agli esami di settembre se non descriveranno i vaccini come potenti armi contro l’espandersi delle malattie, quando il segretario americano alla salute si è fatto megafono delle più retrive tesi cospirazioniste sul tema e l’America abbandonerà l’Organizzazione mondiale della Salute che promuoveva le vaccinazioni? Riusciranno a difendere una lettura inclusiva del

mondo, che nel loro vivere quotidiano si traduce nello sforzo di far rispettare le diversità e le minoranze in classe, quando le eccellenze della ricerca Usa sono costrette a ritirare articoli in fase di pubblicazione per epurarli da termini non graditi dalla nuova Amministrazione, come: genere, transgender, persona incinta, Lgbt, transessuale, non-binario, biologicamente maschio, biologicamente femmina? (E se non lo fanno gli tagliano i viveri?). Quanto credibilmente potranno raccontare che l’America è la terra delle opportunità per tutti, se dal sito della NASA sono sparite le pagine che descrivono le politiche che rendono possibile agli impiegati con disabilità svolgere il proprio lavoro? Come spiegheranno che le istituzioni scientifiche del loro Paese sono serie e affidabili, quando ci sono deputati del partito di maggioranza secondo cui HAARP, un programma di ricerca sulla ionosfera, è stato il responsabile dell’uragano Elena?

Già durante il primo mandato di Trump alla presidenza Usa, un cospicuo numero di scienziati aveva organizzato una marcia per la scienza (#ScienceMarch, @ScienceMarchDC) per contestare il crescente negazionismo climatico e le conseguenti politiche energetiche ad alto impatto ambientale, i consistenti tagli alle politiche verdi, all’istruzione e alla ricerca, bilanciati dall’incremento delle spese militari (e delle balle spaziali). Potremmo riderne. Come ha osservato l’epidemiologo Gregg Gonsalves, la nomina del complottista no-vax Robert F. Kennedy alla segreteria della Salute è paragonabile a quella di un terrapiattista alla guida della NASA. Raccontare panzane è uno sport vecchio come il mondo. Ma questo non è un «semplice» problema di disinformazione, che naturalmente esiste e chiama in causa i media e i giornalisti, chiedendo loro di lottare in modo ancora più deciso per tutelare il pilastro della buona informazione che consiste nella ricerca della verità e nella ve-

rifica delle fonti dubbie e ballerine (quello che si chiama fact checking). Questo è un problema di sicurezza pubblica e di sopravvivenza. Tollerare le macroscopiche bufale del potere significa sabotare la logica, lo spirito critico e il metodo scientifico, cioè sabotare la scuola (o quello che la scuola dovrebbe trasmettere), cioè sabotare il futuro. Siamo precipitati nell’era della post-verità, che consiste – Treccani docet –nella «subordinazione della realtà alla politica, quando qualcuno cerca di utilizzare la propria ideologia o quel che si augurerebbe fosse vero per influenzare o leggere gli eventi reali». Buttare in discarica secoli di scoperte, intuizioni e intelligenza costruttiva, ci condanna ai danni irreparabili dell’ignoranza. Quando sostituiamo il falso al vero non è che ci cresce il naso come a Pinocchio: si rende il pianeta un luogo assurdo e pericoloso, sempre più fragile, litigioso, diviso, inquinato, esposto alle epidemie. Saranno solo bufale, ma uccidono.

Enrico Martino Pagine 30-31
Enrico Martino
Carlo Silini

La varietà vi sta a cuore?

#iniziativavarieta ◆ Una Svizzera più diversificata necessita di idee nuove, in grado di favorire la coesione sociale: sono 25 i progetti giunti in finale nel concorso di idee del Percento culturale Migros

Il tema

Come possiamo far incontrare persone di origini, generazioni, sesso e opportunità diverse? Il concorso di idee dell’#iniziativavarieta del Percento culturale Migros cercava delle risposte a questa domanda. La risposta del pubblico è stata enorme: sono state inoltrate 164 idee di progetto da tutto il Paese, in collaborazione con le istituzioni sociali o culturali. Si tratta di circa 100 iscrizioni in più rispetto ai concorsi sul vicinato e sull’amicizia.

I progetti

I progetti ruotano intorno ad attività culturali, luoghi aggregativi o campagne a favore di una maggiore visibilità di chi è svantaggiato. Traguardo comune è la costruzione di ponti all’interno di una società variata come la nostra. I progetti affrontano temi co-

me la diversità, la disabilità, le generazioni, l’origine, la religione o le opportunità finanziarie.

Chi è giunto in finale?

Una giuria composta da cinque persone – tre persone del Percento culturale Migros e due esperti del settore, ma esterni – ha esaminato attentamente le candidature effettuando una selezione. Dei 25 progetti rimasti in gara, 15 hanno la possibilità di aggiudicarsi un sostegno da parte del Percento culturale Migros. Sarete voi a decidere quali attraverso un Voting pubblico (v. codice QR). Potrete scegliere fra molti temi, dai rapporti genitori-figli all’abbattimento delle barriere architettoniche, passando per i luoghi aggregativi interculturali.

Il sostegno

I progetti premiati ricevono un sostegno unico compreso tra i 10’000 e i 50’000 franchi – a dipendenza dell’impegno materiale e personale messo in campo. In caso di necessità, è inoltre previsto un coaching professionale sul tema del volontariato, con consigli utili per ulteriori finanziamenti o per un volontariato di successo. Inoltre, a Lucerna e a Bienne avranno luogo dei workshop per permettere uno scambio tra i diversi progetti.

Come funziona il Voting

25 progetti sono giunti in finale. Dal 24 febbraio al 9 marzo il pubblico potrà votare i propri progetti preferiti. È

necessario avere un account Migros. Le partecipanti e i partecipanti riceveranno un buono di 2×7 cuori che potranno assegnare ai loro progetti preferiti. I cuori si potranno distribuire tra progetti diversi o assegnare a un unico progetto. I primi sette cuori sono da utilizzarsi entro il 2 marzo, dopodiché non saranno più validi. I restanti sette cuori saranno validi a partire dal 3 marzo.

Informazioni

Raccolta della plastica, bilancio positivo

Info Migros ◆ Da inizio 2024 la clientela di Migros Ticino beneficia in diversi supermercati del Cantone di un’opportunità per la raccolta e lo smaltimento di plastiche miste e tetrapak

Il nuovo sistema di raccolta della plastica è stato reso possibile grazie alla proficua collaborazione instaurata con oltre una ventina di Comuni e Città ticinesi: la Cooperativa regionale Migros Ticino ha così avuto la possibilità di offrire in 21 supermercati su 32 degli appositi sacchi, che durante tutto lo scorso anno sono stati riempiti con tetrapak e plastiche di tutti i tipi e riconsegnati direttamente in filiale: nel sacco Migros sono stati raccolti, oltre al tetrapak, tutti i tipi di plastica, ad eccezione di giocattoli di plastica, oggetti composti anche da altri materiali, contenitori molto sporchi o con liquido.

Il sistema attuato in Migros Ticino è pratico per la clientela, efficiente e porta importanti benefici all’ambiente: la filiera di riciclaggio delle plastiche, in effetti, sfrutta l’impianto ticinese realizzato a Riva San Vitale dalla ditta Fratelli Puricelli SA, mentre per il trasporto delle stesse vengono utilizzati camion Migros di ultima generazione, che prima tornavano dai negozi al magazzino centrale non pienamente carichi, e che invece oggi possono essere riempiti con le plastiche riciclabili della clientela, sfruttando ancor meglio la logistica e ottimizzando l’efficienza e il bilancio ecologico complessivo dei trasporti di Migros Ticino.

Nelle scorse settimane è stato fatto il punto della situazione e Migros Ticino è orgogliosa nel comunicare che il sacco Migros per la raccolta delle plastiche miste e del tetrapak nel 2024 (primo anno parziale di attività) ha contribuito a raccogliere 9.1 tonnellate di materiali, che corrispondono a circa 32’974 chilogrammi di gas a effetto serra e a circa 7’498 litri di petrolio: in sostanza il nuovo sistema per-

mette concretamente di proteggere l’ambiente, risparmiando energia, riducendo i rifiuti e preservando le risorse naturali. Attraverso una cernita complessa e la successiva lavorazione, la ditta Fratelli Puricelli SA è riuscita a recuperare ben il 78% del materiale consegnato dalla Cooperativa, trasformandolo in pregiata materia prima per diverse attività locali, quale ad esempio il settore edile o dei mobili.

Un sorriso e un pizzico di creatività

Anniversari ◆ 25 anni in Migros Ticino

In realtà gli anni di Rosanna Bonetti Curti in Migros sono 28, ma tra i primi tre e i secondi venticinque ci sono stati dei figli, e un tempo dedicato alla famiglia. Rosanna Bonetti Curti è una delle anime della filiale Migros di Lugano Molino Nuovo. Nel suo tempo libero ha una vera e propria passione per i viaggi, che l’ha già portata in diversi angoli del mondo (e che la farà viaggiare ancora di più dopo il pensionamento ormai imminente, ci tiene a sottolineare ridendo). Essendosi già occupata di ristorazione, e avendo lavorato come aiutante nelle tombole, il contatto con la gente le risulta particolarmente facile, tanto che molte e molti clienti negli anni sono diventati suoi amici («qui abbiamo un occhio di riguardo per tutti, molti conoscono il mio nome, così come io conosco il loro»).

Rosanna Bonetti Curti, quale è il suo ruolo in Migros? Sono responsabile merceologica dei latticini. Poiché quella in cui lavoro è una filiale piccola, mi capita di fare un po’ di tutto.

di Melano.

L’ambizioso obiettivo dichiarato per il futuro del progetto è quello di aumentare ancor più sia il numero di filiali coinvolte sia il tasso di riciclaggio. Il residuo non riciclabile ha poi comunque permesso all’Impianto Cantonale di Termovalorizzazione dei Rifiuti di Giubiasco di recuperare l’energia contenuta nei rifiuti, trasformandola in energia elettrica e termica.

Cosa le piace ancora dopo venticinque anni in azienda? Io non ho problemi in nessun ruolo, ma mi piace soprattutto lavorare con i latticini: trovo che il mio sia un lavoro creativo, e dunque cerco di disporli al meglio. Mi piace anche lavorare in cassa, un luogo multietnico e multigenerazionale dove posso dare sfogo alla mia creatività.

Quali sfide vede all’orizzonte?

Fra un anno andrò in pensione e voglio godermi la mia famiglia e dedicarmi a viaggiare ancora di più. Ma so già sin d’ora che passerò da qui non appena ne avrò l’occasione.

Cosa augura a Migros per i suoi 100 anni?

A Migros auguro di continuare per altri 100 anni, ma di farlo in salute, e soprattutto che il pensiero del fondatore Gottlieb Duttweiler non vada dimenticato.

Cosa rappresenta Migros per lei? Per me è la seconda famiglia, e non lo dico per dire, ma perché lo penso davvero. Visto che mi manca poco alla pensione, a chi arriverà dopo di me auguro di avere la voglia e di trovare la soddisfazione che ho io.

E a noi non resta che fare gli auguri a Rosanna e dirle «grazie!».

La positiva esperienza della filiale
Partecipate al voto pubblico e scegliete il vostro progetto del cuore.
(Percento culturale Migros)
Rosanna Bonetti Curti Lavora per Migros Ticino dal 14 febbraio 2000

SOCIETÀ

Come si cura il linfedema Il 6 marzo sarà la giornata dedicata a questa frequente patologia del sistema linfatico

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Educazione digitale

Niente telefonino fino a 14 anni:

Obiettivo 14+ propone un patto digitale tra famiglie

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Le app per l’amicizia

Sono sempre più usate da giovani adulti tra i 25 e i 35 anni: rischi e benefici di una tendenza

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Teatro: Talento e Impiego

Un percorso ideato da SOS

Ticino si rivolge a giovani alla ricerca di lavoro

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Cooperazione: il superpotere che ci rende umani

Intervista ◆ Il racconto di come la biologia ha influenzato la nostra evoluzione in un nuovo libro di Lewis Dartnell

La nostra evoluzione è stata influenzata dalla biologia in modi ai quali spesso non pensiamo. Per ricordarci che cosa ci rende «umani» vale la pena addentrarsi tra le pagine di un libro appena pubblicato in italiano, scritto da Lewis Dartnell, docente di Comunicazione scientifica alla University of Westminster di Londra e giornalista scientifico pluripremiato. Essere umani. Come la biologia ci ha reso ciò che siamo (Il Saggiatore) è un racconto di quanto il nostro corpo, con i suoi difetti e le sue capacità, ha modellato la società, la cultura e l’economia. La nostra vulnerabilità a virus e batteri ha influito sullo sviluppo di certe civiltà rispetto ad altre, ed eventi epocali del passato sono stati determinati da pregiudizi mentali introiettati con l’evoluzione. Il volume è un excursus sulle modalità con cui abbiamo cercato di liberarci dai vincoli della genetica, modificando la nostra stessa natura.

Lewis Dartnell, che cosa ci rende umani?

Ciò che ci rende umani è la nostra storia evolutiva da quando abbiamo intrapreso una strada diversa da quella dei nostri antenati, gli scimpanzè, circa sette milioni di anni fa. Da allora ci siamo evoluti per diventare molto più intelligenti e capaci con il linguaggio e con l’uso degli strumenti. Alcuni di questi adattamenti evolutivi sono stati decisivi nell’influenzare la storia umana.

Nel suo libro usa l’analogia dell’hardware e dei software. Può spiegarla?

Il cervello è come l’hardware del computer, cioè un sistema che usiamo per elaborare le informazioni, percepire il mondo che ci circonda e scegliere i nostri comportamenti. Nel cervello, l’hardware esegue i software. In questi ultimi ci sono dei difetti, i pregiudizi cognitivi, che accompagnano da sempre la nostra psicologia. Esistono diversi esempi, nel corso della storia, che dimostrano come non sempre pensiamo in modo perfettamente razionale. Ad esempio, Cristoforo Colombo ha messo in atto una straordinaria ginnastica mentale per conservare la propria convinzione di aver raggiunto l’Oriente e non una strana nuova terra (era sbarcato ai Caraibi). Eppure i segnali erano chiari. L’interprete che lo accompagnava parlava diverse lingue asiatiche, ma non riusciva a farsi comprendere dagli abitanti che incontrarono. Le popolazioni locali andavano in giro nude, vivendo un’esistenza diversa da quella dei racconti di Marco Polo sull’Asia. Colombo non riuscì nemmeno

a trovare le spezie orientali come la cannella, il pepe, la noce moscata, lo zenzero e il cardamomo. Però, nei suoi quattro viaggi che lo portarono a esplorare il Nuovo mondo per oltre dodici anni, non accettò mai di avere raggiunto un luogo diverso da quello che si aspettava perché guardava tutto attraverso la lente delle proprie convinzioni.

Qual è stata l’influenza della genetica nella storia umana?

Rispondo a questa domanda molto ampia con un esempio tratto dal mio libro. Pochissimi altri esseri sulla terra hanno la nostra particolare mutazione genetica che ha messo fuori uso la capacità di produrre la vitamina C. Questo difetto nel nostro Dna si è manifestato in certi periodi storici, quando le persone non avevano molto da mangiare, come durante le carestie. Divenne una mancanza determinante per i marinai che stavano mesi sulle navi, all’epoca del commercio marittimo e delle marine militari. La carenza di vitamina C provoca lo scorbuto. Alla fine ci si è resi conto che mangiare agrumi come limoni o lime era particolarmente efficace per evitare di ammalarsi. Dopo le guerre napoleoniche, la Royal Navy, la marina militare britannica, trasformò la Sicilia in un’enorme «fabbrica» di limoni per fornire antiscorbutici ai suoi equipaggi in tutto il mondo. L’aumento della domanda di agrumi, dovuta agli approvvigionamenti navali, creò un boom della merce e iniettò un flusso enorme di contanti. Questa situazione, combinata a un’incapacità di far rispettare le leggi in tutte le aree della Sicilia da parte dei diversi governi, portò all’emersione della mafia.

Perché la cooperazione è «il superpotere della nostra specie»?

Se ci confrontiamo con altri primati come le scimmie notiamo che i loro tassi di aggressività fisica – anche tra i più pacifici bonobo – sono oltre cento volte più alti dei nostri. La riduzione della violenza reattiva, di cui parlano gli psicologi evoluzionisti e i paleontologi, ha permesso agli esseri umani di vivere in grandi popolazioni e stabilirsi nei villaggi dove tutti cooperavano insieme per creare i prodotti del lavoro di squadra. La stessa civiltà è costituita da grandi gruppi di persone che convivono in modo relativamente pacifico e si sostengono a vicenda.

Nel suo libro lei considera non solo la biologia, ma anche la cultura come fattore decisivo quando pensiamo all’evoluzione. I fattori biologici sono stati estremamente importanti nel corso della sto-

ria umana, ma non ne siamo schiavi. Non credo nel semplice determinismo. Le società che abbiamo costruito ci hanno permesso di andare oltre il nostro patrimonio biologico. Alcuni aspetti della cultura sono rappresentati dalle invenzioni, sviluppate per compensare le nostre debolezze: tutta la tecnologia del mondo moderno, dall’elettricità a Internet, serve per permetterci di vivere in modo più confortevole.

Dobbiamo affrontare le conseguenze delle conquiste tecnologiche, come il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. Lei è ottimista rispetto a questi problemi. Perché? Il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono la conseguenza non intenzionale di un problema cominciato nel 1700. In quel periodo gli esseri umani si sono resi conto che non riuscivano ad abbattere abba-

stanza alberi per la legna da ardere e hanno iniziato a cercare sottoterra e a bruciare le foreste fossilizzate, cioè i giacimenti di carbone. Da allora abbiamo rilasciato troppa anidride carbonica nell’atmosfera, condizionando il clima. Abbiamo creato dei problemi con la nostra intelligenza e la tecnologia, ma io sono ottimista sul fatto che possiamo risolverli. Però dobbiamo lavorare sodo, tutti insieme, cambiando i nostri stili di vita.

Stefania Prandi

El Noè: un formaggio da campioni!

Novità ◆ Carattere deciso e cuore morbido, il formaggio nostrano autografato da Noè Ponti sarà disponibile a partire da sabato 1° marzo nella maggioranza dei supermercati Migros Ticino. Abbiamo intervistato il pluricampione ticinese

Noè Ponti, quando hai iniziato a praticare il nuoto?

Ho iniziato a nuotare a circa tre anni, ma ho chiesto di iniziare a fare i primi allenamenti con la Nuoto Sport Locarno quando avevo 6 anni, seguendo le orme di mia sorella, che aveva iniziato l’anno prima.

Cosa ti piace e cosa non ti piace di questo sport?

Non c’è niente che non mi piaccia del nuoto, anche se è necessario avere molta costanza e allenarsi intensamente anche quando si è da soli. Adoro stare nell’acqua (sia in superficie sia sotto), mi piace allenarmi con i miei compagni e amo la competizione.

Qual è stata la vittoria più importante per te?

Direi che le tre vittorie ai recenti mondiali, impreziosite dai record del mondo nei 50 e nei 100 farfalla, sono state bellissime da vivere. Naturalmente, la medaglia di bronzo alle olimpiadi di Tokyo 2020 continua ad avere la sua grande importanza!

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

I risultati ottenuti finora mi pongono stabilmente nell’élite mondiale. Di conseguenza, i miei obiettivi non possono che essere adeguati alla situazione. Vincere almeno un titolo a un mondiale in vasca lunga (il prossimo sarà quest’estate a Singapo-

re) e ottenere l’oro alle Olimpiadi di Los Angeles 2028 sono certamente i miei obiettivi principali.

Come descriveresti il tuo amore per il nostro territorio?

Io viaggio molto in tutti i continenti e apprezzo le particolarità di ogni luogo e cultura. Se paragono il Ticino a molte altre parti del

mondo, posso affermare che da noi si vive bene, sia economicamente, sia dal punto di vista dell’ambiente e dei rapporti umani. Il Ticino offre anche molto come paesaggi e come cultura. Gambarogno, situato tra monti e lago, che oltre a essere un comune unico è una regione del Locarnese, ha un posto speciale nel mio cuore.

Ci sono dei piatti ticinesi che ti piacciono in modo particolare?

Mi piace mangiare di tutto. La «polenta cunscia» mi piace molto, ma anche gli altri piatti tipici della nostra regione; e in generale ho una passione per i formaggi.

Ti piace cucinare?

Il tempo che mi resta per cucinare è poco e a casa cucinano mia mamma o mio papà. Però m’interesso di cucina e ogni tanto preparo volentieri qualcosa anch’io, principalmente la pasta alla carbonara, oppure il pollo con spezie e ingredienti orientali.

Quali sono i prodotti dei Nostrani del Ticino che apprezzi di più?

La luganighetta, la mortadella e, naturalmente, il formaggio che ora porterà il mio nome!

Che effetto fa avere la tua foto su un formaggio nostrano?

Sono particolarmente orgoglioso di essere abbinato a un formaggio di qualità prodotto in Ticino. Mi fa sicuramente piacere finire nelle case dei ticinesi anche attraverso un canale inusuale. / I.L.

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El Noè è un formaggio a pasta molle, prodotto con latte ticinese pastorizzato. Il suo sapore è delicato e irresistibile quando giovane, ma acquisisce maggiore intensità con la maturazione. È perfetto per arricchire un tipico piatto di formaggi misti, è ottimo a fine pasto, oppure, accompagnato da verdure grigliate o insalate, si trasforma in un piatto unico gustoso e nutriente.

Noè Ponti vi invita ad assaggiare il suo formaggio. (Flavia Leuenberger)

Piacere genuino

Attualità ◆ Il pane Twister Rustico promette un gusto autentico ad ogni morso, grazie all’utilizzo di ingredienti di qualità e ad una lavorazione tradizionale

Gusto genuino, freschezza duratura, ingredienti 100% naturali biologici e lunga lievitazione di almeno sei ore: gli atout del pane Twister Rustico Bio della Migros sono inequivocabili. A base di farina di frumento, con l’aggiunta di segale, semi di lino, semi di sesamo e amaranto, questo pane dal sapore pronunciato cotto su pietra conserva al meglio la croccantezza della sua crosta e la morbidezza della mollica anche per alcuni giorni. Unendo una lavorazione tradizionale a metodi di produzione moderni, si ottiene un prodotto dal perfetto equilibrio tra genuinità e innovazione.

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Riconoscere e curare il linfedema

Salute ◆ È ancora poco noto il percorso diagnostico e di cura di questa frequente patologia del sistema linfatico

Giovedì 6 marzo si celebra la Giornata Mondiale del Linfedema, una patologia cronica e progressiva del sistema linfatico, ma che può causare gravi disabilità. Si tratta di una patologia ancora poco nota malgrado molte persone ne soffrano. Di fatto, nonostante non esistano dati precisi sulla sua incidenza nella popolazione, le statistiche dicono che circa 140-250 milioni di persone al mondo ne soffrono. Da qui l’importanza di accendere i riflettori sulle malattie del sistema linfatico che la Giornata mondiale ad esse annualmente dedicata sviluppa in parecchi cantoni della Svizzera attraverso diverse iniziative (conferenze pubbliche, simposi e altro a tema).

Il termine deriva dal greco ed è composto da linfo e edema: «Il linfedema interessa solitamente gli arti inferiori o superiori, ma può manifestarsi in qualsiasi parte del corpo come viso, collo, bacino, torace, bocca, con il caratteristico gonfiore che determina cambiamenti della pelle e dei tessuti. In pratica, parliamo di linfedema quando siamo dinanzi a un ristagno di liquidi dei tessuti dovuto a una compromissione o un blocco del sistema linfatico».

Il linfedema interessa solitamente gambe o braccia e si manifesta con un caratteristico gonfiore dovuto a un accumulo di liquidi

Così esordisce il dottor Corrado Campisi, specialista in Chirurgia plastica e ricostruttiva che dal novembre scorso coordina il Centro multidisciplinare specializzato nella diagnosi e nella cura delle patologie linfatiche alla Clinica Sant’Anna di Sorengo, sottolineando in prima battuta l’importante funzione del nostro sistema linfatico: «Per l’organismo, la circolazione linfatica è uno dei sistemi di difesa fondamentali contro le infezioni: è indispensabile per espellere sostanze tossiche e i liquidi che filtrano dai capillari sanguigni». Svolge questa sua importante funzione per mezzo della linfa: «Scorrendo nei vasi linfatici, essa si raccoglie nei linfonodi (ndr: centri di filtraggio specifici) adibiti alla depurazione dell’organismo».

Diverse le cause che possono condurre a questa patologia, così riassunte dal dottor Campisi: «Fra i fattori di rischio vi sono infezioni ripetute derivanti, ad esempio, dal diabete (che diminuisce la resistenza immunologica alle infezioni) e l’obesità, alla quale si riconosce una valenza importante per lo sviluppo di questa patologia perché ogni punto aumentato di indice di massa corporea aumenta esponenzialmente il rischio delle problematiche linfatiche (e non solo del linfedema). Vi sono inoltre alcune cause minori come, ad esempio, una semplice manicure o pedicure non effettuata ad opera

Tra le possibili cause dell’insorgenza del linfedema al

al seno. (Freepik.com)

d’arte». Infine, egli parla dei «fattori costituzionali, ormonali e genetici»: «Sono tutti potenzialmente associati, e a questi si aggiungono quelle patologie che stimolano l’attivazione del sistema immunitario come, ad esempio nelle donne, le alterazioni della tiroide e la tiroidite di Hashimoto». In base alle cause che ne hanno determinato l’insorgenza, il linfedema si può distinguere in primario e secondario: «Primario, o genetico, è dovuto a un insufficiente sviluppo delle strutture anatomiche deputate al drenaggio della linfa. Si distingue

L’APPUNTAMENTO

tra quello congenito (già presente alla nascita), precoce (insorge prima dei 35 anni) o tardivo (dopo i 35 anni). Mentre quello secondario (o acquisito) riguarda l’ostruzione o la distruzione dei vasi linfatici». Queste cause sono metà e metà: «Nel 50 per cento l’origine è una malformazione e un mal funzionamento dei vasi linfatici e/o dei linfonodi. L’altra metà ha origine post-chirurgica come trattamento di tumori maligni della sfera urogenitale maschile e femminile o del melanoma, senza però dimenticare i trattamenti chi-

Conferenza medica alla Clinica Sant’Anna

In occasione della Giornata mondiale del Linfedema (vedi articolo principale) la Clinica Sant’Anna organizza una conferenza medica dedicata a questa patologia. L’appuntamento è previsto per: Giovedì 6 marzo 2025 alle 18.00 presso la Sala Conferenze in Via Sant’Anna 7 a Sorengo (Stabile Villa Anna 2).

Programma

• 18.00 – Presentazione del Centro Linfedema & Lipedema e della Giornata mondiale del Linfedema

Dr. med. Corrado Campisi, Specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica e Specialista in Chirurgia linfatica e microchirurgia

• 18.15 – 52 anni di esperienza nel trattamento delle malattie linfatiche

Dr. med. Corradino Campisi

• 18.30 – Sensibilizzazione ed elevazione degli standard di cura

W illiam Repicci, LE&RN Lymphatic education & research network

• 18.40 – Colmare il divario tra terapisti e chirurghi del linfedema e del lipedema: maggior consapevolezza, migliore trattamento

Tim Decock, Scuola Vodder MLVD

• 18.55 – Prospettive per i pazienti Resperienze, risultati e testimonianze Consigli e suggerimenti per vivere con il linfedema

• 19.30 – Domande & Risposte

• 19.45 – Rinfresco Entrata libera.

È gradita l’iscrizione (https://www. swissmedical.net/it/news-eventi/ giornata-mondiale-del-linfedema)

Per informazioni: events@clinicasantanna.ch

Il Centro Linfedema e Lipedema della Clinica Sant’Anna è il primo Cen -

l’asportazione

rurgici per l’asportazione del tumore al seno al seguito dei quali si possono manifestare condizioni di sofferenza a carico della cicatrice, dell’articolazione della spalla e dell’ascella». Lo specialista ne descrive le conseguenze: «Sensazione di dolore più o meno grande, e difficoltà nella circolazione linfatica che, precocemente o anche dopo molto tempo, può sfociare in un linfedema».

Significativa la testimonianza di una paziente attualmente in cura dal dottor Campisi: Roberta (nome noto alla redazione) che oggi si

Pubbliredazionale

tro multidisciplinare integrato a 360° in Svizzera, comprendente percorsi diagnostico-terapeutici d’eccellenza, tra cui quelli riabilitativi fisioterapici e quelli chirurgici.

Inoltre, il Centro Linfedema e Lipedema presenta all’interno anche un team nutrizionale dedicato e un servizio ambulatoriale specifico di cura delle ferite difficili. Sono presenti tecnologie all’avanguardia e il servizio è in rete con altri Istituti di cura, tra cui la medicina nucleare dell’EOC, che esegue gli esami linfoscintigrafici per lo studio accurato della funzione linfatica.

trova a fare i conti con un linfedema manifestatosi parecchio tempo dopo l’intervento del 1993 per la rimozione di un tumore al seno durante il quale le furono asportati parecchi linfonodi ascellari: «Dopo l’intervento avevo il braccio un po’ diverso da quello sano, ma niente di ché: all’inizio non ho avuto disturbi fino a quattro anni fa quando, cadendo, mi sono rotta l’omero di quel braccio e sono stata operata per mettere una placca. A quel punto il mio braccio ha iniziato a gonfiarsi; il medico ha detto che la causa risaliva alla mastectomia durante la quale mi erano stati rimossi tanti linfonodi». Roberta affronta dapprima terapie conservative che pare abbiano un buon effetto: il linfodrenaggio e la pressoterapia. Poi qualcosa cambia: «Dopo un paio d’anni, il braccio ha iniziato a gonfiarsi nuovamente e le sedute di linfodrenaggio funzionavano sempre meno». Fino allo scorso mese di maggio, quando è approdata dal dottor Campisi che, spiega la paziente, «ha dapprima percorso la via conservativa (con linfodrenaggio e pressoterapia) e visto che non aveva più effetto, oggi abbiamo pianificato l’intervento chirurgico». Dal canto suo, lo specialista spiega che la presa a carico del linfedema è indirizzata alla riduzione del gonfiore e al miglioramento della sintomatologia e dei disturbi funzionali correlati. «L’approccio è multidisciplinare e i metodi terapeutici sono strettamente dipendenti dalla causa che ha provocato la condizione. Essi comprendono una terapia conservativa finalizzata alla mobilizzazione dell’edema attraverso compressione, linfodrenaggio, massaggi e bendaggi, fino a un trattamento chirurgico (bypass per permettere lo scorrimento della linfa, riduzione o ricostruzione dei tessuti molli). Anche la terapia farmacologica può essere parte del percorso terapeutico». Ad ogni modo: «La scelta chirurgica comporta un intervento di microchirurgia, derivativa o ricostruttiva e la persona va seguita e monitorata nel decorso post-operatorio che, comunque, implica un veloce ritorno alle attività quotidiane».

Lo specialista sottolinea che per un buon esito è essenziale l’approccio multidisciplinare. Inoltre «non dobbiamo dimenticare che, fra le malattie linfatiche, il linfedema registra annualmente decine di migliaia di nuovi casi; è una patologia il cui gonfiore manifesto può causare dolore, ingombro, difficoltà nelle attività quotidiane, come vestirsi o lavarsi». Infine, un cenno importante sulla prevenzione. «Il linfedema si può tanto curare quanto prevenire: abbiamo a disposizione test genetici e la Scintigrafia linfatica che permettono di individuare il rischio che si formino linfedemi. Questo “giocare d’anticipo”, insieme a un’igiene di vita adeguata, andranno a tutto vantaggio della salute e della cura dei pazienti e delle pazienti».

braccio ci sono anche i trattamenti chirurgici per
del tumore

Un patto digitale tra genitori e figli

Famiglia ◆ Niente telefonino fino ai 14 anni: gli adulti si mettono in rete attraverso l’associazione Obiettivo 14+

Approvare l’utilizzo dei dispositivi digitali e in particolare dello smartphone da parte dei figli con meno di 14 anni solo se accompagnati, educati e quindi supervisionati dalle famiglie. È quanto pensano diversi genitori sulla base delle evidenze scientifiche legate allo sviluppo del cervello negli adolescenti. Genitori che a Sorengo sono passati dalle discussioni informali ai fatti, costituendo lo scorso dicembre l’Associazione Obiettivo 14+ per realizzare un Patto digitale con altre famiglie e favorire maggiore consapevolezza soprattutto nelle madri e nei padri che cedono all’acquisto di uno smartphone individuale più che altro per una questione di pressione sociale. Nel nome dell’associazione sta il concetto di base, ossia mettere in rete i genitori che desiderano attendere almeno fino ai 14 anni prima che i loro figli possano disporre di uno smartphone o un tablet personale e fino ai 16 anni per l’accesso ai social media. Sostenuti dalle direzioni della Scuola Elementare di Sorengo e della Scuola Media di Lugano – Besso, i promotori possono già contare sul coinvolgimento di famiglie di diverse località grazie a un prezioso passaparola. Lo dimostra anche il notevole interesse suscitato dalle prime conferenze organizzate.

I quattro genitori impegnati nel promuovere il Patto digitale legato a Obiettivo 14+ non sono quindi contrari all’uso delle nuove tecnologie.

Lo conferma Olivier Bremer con un trascorso professionale in questo settore e che accetta lo smartphone come strumento della vita quotidiana il cui impiego da parte dei più giovani va però regolato. «Le soluzioni per non far sentire nessuno escluso esistono –spiega ad Azione – perché si può accedere a Internet o far parte della chat di classe anche attraverso un dispositivo di famiglia di cui gli adulti gestiscono il tempo di utilizzo e le relative finalità». Gli fa eco Laura Brenni, che con Simona Casati Pagani e Julia Frohneberg fa parte dei fondatori dell’associazione, accomunati da un figlio o una figlia in quarta elementare. «L’e-

ducazione digitale è importante e la vediamo come un processo graduale in sintonia con l’età. Desideriamo accompagnare i nostri figli affinché siano in grado più avanti di utilizzare da soli i vari strumenti in maniera consapevole e sana». Il cammino verso l’indipendenza in questo ambito passa pertanto dall’educazione e dai limiti, proprio come avviene nella vita reale. La riflessione del gruppo di genitori di Sorengo si spinge oltre, evidenziando come paradossalmente oggi la tendenza dei genitori sia quella di essere iperprotettivi a livello di esperienze reali fuori casa (bambini controllati proprio attraverso lo smartphone)

Lo smartphone è ormai strumento della vita quotidiana il cui impiego da parte dei più giovani va però regolato. (Freepik.com)

e nel contempo molto permissivi nel mondo digitale. Perché fissare a 14 anni l’età per consentire l’uso di uno smartphone personale? Risponde Olivier Bremer: «Evidenze scientifiche indicano che prima di questa età il rischio di sviluppare una dipendenza è elevato, perché il cervello non è ancora in grado di reagire in modo controllato agli stimoli provenienti dai dispositivi digitali. Inoltre, per un sano sviluppo delle capacità di apprendimento sono necessarie esperienze vissute nel mondo reale e non in quello digitale, esperienze di interazioni personali a cui gli strumenti digitali tolgono tempo». Dopo un primo incontro con la Fondazione ASPI – Aiuto, Sostegno e Protezione dell’Infanzia (organizzato in collaborazione con la Scuola Elementare di Sorengo), Obiettivo 14+ ha ospitato in gennaio la dottoressa Raffaella Ada Colombo, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile medico dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC), proprio per capire come si sviluppa il cervello nella fase adolescenziale.

L’educazione digitale è importante e deve essere affrontata come un processo graduale in sintonia con l’età

Veniamo al Patto digitale, punto centrale dell’associazione alla quale si può aderire quali soci attivi (sottoscrivendo il documento), simpatizzanti o sostenitori. I suoi contenuti sono ancora in fase di elaborazione, ma si ispirano a esperienze analoghe già collaudate. In Svizzera si può prendere spunto dall’iniziativa bernese Smartphone – Freie Kindheit (www.smartphonefreiekindheit.ch), il cui slogan è «Smart Kids, not Smartphones!». Un punto di riferimento è pure l’associazione statunitense Wait Until 8th (www.waituntil8th.org), il cui numero è riferito all’ottava classe. «Nella realtà scolastica – spiega Olivier Bremer – succede non di rado che un adolescente sia l’unico in classe a non possedere uno smartphone con conseguente rischio di esclusione dal gruppo. Il Patto digitale favorisce la nascita di una rete di genitori che condividono lo stesso principio e quindi di figli che si trovano nella medesima situazione. L’adesione al Patto implica anche il coinvolgimento dei figli, ai quali vanno spiegate la decisione, le motivazioni e le modalità per utilizzare insieme i dispositivi digitali».

Restrizioni sull’utilizzo di questi strumenti da parte dei giovani iniziano ad apparire in più ambiti, dalle scuole a interi Paesi. Fra questi ultimi,

ad esempio, l’Australia dove lo scorso autunno è stata votata una legge che vieta l’accesso ai social media ai giovani con meno di 16 anni. Età minima di 14 anni per lo smartphone e di 16 per i social media è quanto propone anche l’appello rivolto al Governo italiano da un gruppo di specialisti fra i quali spicca il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai. Sarà proprio lui il prossimo ospite dell’Associazione Obiettivo 14+ in una serata prevista il 26 marzo. «In maggio organizzeremo invece un incontro dal carattere più pratico – spiegano Olivier Bremer e Laura Brenni – presentando il Patto digitale e i suoi contenuti. I genitori disporranno così di indicazioni concrete su come affrontare questa scelta e discuterla con i figli». Seguirà in autunno una conferenza di Gabriele Barone, psicologo e psicoterapeuta specializzato in psicologia della comunicazione, dello sviluppo e delle nuove tecnologie. Al centro della presentazione i videogiochi, altra attività ambivalente con potenziali benefici per determinate capacità e nel contempo rischi di abuso. La giovane associazione è già quindi molto attiva e conta sul sostegno di enti e privati per continuare in questa direzione, coinvolgendo in futuro direttamente anche i giovani a partire dagli 11-12 anni.

In maniera generale per Gabriele Barone – confrontato nell’attività professionale con i disturbi dei giovani derivanti da un abuso dei dispositivi digitali – i rischi legati allo smartphone riguardano due aspetti principali: il tempo di utilizzo e la qualità dei contenuti. «Il primo è sovente eccessivo, pari a diverse ore al giorno, mentre i secondi possono risultare inadeguati in rapporto all’età». Inoltre bisogna considerare che «con questi strumenti i giovani sono bravi dal punto di vista funzionale, ma non altrettanto capaci di valutare le conseguenze delle loro azioni. Un chiaro esempio è l’abilità di montare e diffondere un video che riprende però un compagno mentre viene picchiato». Lo psicologo, che condivide quindi i principi di Obiettivo 14+, evidenzia pure come in famiglia grazie alle nuove generazioni di genitori si stia riducendo il gap fra le competenze digitali degli adulti e quelle dei giovani, facilitando ai primi il compito di affrontare la tematica, per la quale devono però dimostrare un interesse. Precisa al riguardo Gabriele Barone: «L’educazione digitale spetta alla famiglia che può regolare il tempo di utilizzo, i contenuti e anche la logistica fra le mura domestiche (non portarlo a tavola, non tenerlo nella camera da letto durante la notte), perché uno dei problemi riscontrati a scuola, già a livello di elementari, è la stanchezza degli allievi che passano ore notturne di fronte a uno schermo». Il ruolo dei genitori resta essenziale anche quale esempio di comportamento nell’utilizzo delle nuove tecnologie. L’associazione Obiettivo 14+ attraverso il sito e i suoi incontri intende offrire ai genitori gli strumenti necessari per prendere decisioni ragionate ed essere in grado di argomentarle con i propri figli. Consapevoli che la problematica è complessa, per cui richiede tempo e impegno, i genitori di Sorengo puntano a unire le forze per raggiungere un obiettivo comune.

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Le amicizie corrono attraverso le app

Relazioni ◆ Sono i giovani adulti tra i 25 e i 35 anni i principali fruitori delle piattaforme create per conoscere nuovi amici

Tutti oggigiorno conoscono – almeno per sentito dire – le app di dating, Tinder in primis. Meno note sono, invece, delle piattaforme che si posizionano accanto a queste, pensate anch’esse per far conoscere persone tra di loro, ma a scopo di amicizia. Tra queste ci sono app che si concentrano sul mettere in contatto persone con interessi comuni o più in generale sulla socializzazione, altre che permettono di trovare qualcuno nelle proprie vicinanze con cui più facilmente le conversazioni virtuali possono trasformarsi in una conoscenza reale. Ci limitiamo a citarne alcune popolari tra i giovani che ci sono parse interessanti: Bumble BFF, sezione dell’app di incontri Bumble, all’interno della quale solo le donne possono prendere contatto con gli uomini, Meetup o GetYourGuide, che permettono di partecipare a eventi e attività condivise in diverse parti del mondo, Geneva, la quale consente di connettersi con amici e gruppi online al sicuro da bullismo e odio purtroppo presenti su altri social, e la divertente Monkey, creata da due adolescenti, nella quale persone sconosciute vengono abbinate casualmente in una videochiamata in tempo reale. Facevamo riferimento ai giovani perché sono loro, di fatto, ad essere i principali fruitori di queste app, come dimostrano, ad esempio, le statistiche di Spontacts (applicazione in origine sviluppata da studenti del Politecnico di Zurigo), la quale l’anno scorso ha registrato una forte crescita soprattutto tra i 25-35enni. Oggi Spontacts, che ha superato il milione di membri, fa parte di «Gemeinsam Erleben» ed è attiva in Svizzera, Germania e Austria. «L’idea di Spontacts è di facilitare la ricerca di persone con interessi comuni con le quali organizzarsi per un incontro e per condividere attività spontanee o programmate. Tra gli interessi e le attività più popolari troviamo lo sport, la cucina, il gioco da tavola, le lingue e la musica. L’aspetto interessante di questa app è che propone un’alternativa economica ad attività o corsi a pagamento tipicamente offerti da centri sportivi o scuole serali», afferma Anne-Linda Camerini, ricercatrice e docente presso l’Institute of Public Health dell’Università della Svizzera italiana di Lugano. Il ricorso a questo genere di app soprattutto da parte dei giovani sembra spiegarsi con il fatto che esse rispondono a una certa difficoltà nello stringere amicizie. «Sebbene si tratti di studi incentrati più in generale sulle app di incontri, sono diversi quelli che confermano un maggior utilizzo da parte di giovani adulti con età compresa tra i 25 e i 35 anni, una fase della vita oggi più che mai carica di incertezze», afferma Matilde Melotto, laureata in psicologia e comunicazione della salute, che sta svolgendo un dottorato nel gruppo di ricerca di Anne-Linda Camerini sullo sviluppo socio-emotivo dei giovani. «Considerando che molti proseguono gli studi fino a un livello universitario, il sistema scolastico rappresenta uno spazio protetto e un facilitatore dell’aggregazione sociale proprio fino ai 25 anni circa, che viene a cadere con l’entrata nel mondo del lavoro. Le posizioni lavorative si fanno sempre più instabili e digitalizzate, costringendo i giovani a cambiare spesso nel corso degli anni e a lavorare sempre più in autonomia e, nell’ambito dei contatti, a doversi attivare per ricercare altrove connessioni reali significative». Un altrove che può coincidere con le piattaforme di

cui stiamo parlando, la cui diffusione è piuttosto recente: «È in particolare dagli anni della pandemia che queste applicazioni riscontrano un interesse crescente, collegato a una altrettanto crescente necessità di trovare connessioni sociali e spazi d’aggregazione che possano andare oltre il digitale – continua la psicologa – infatti, per i giovani adulti in questione le app rappresentano un mezzo per raggiungere l’obiettivo, che è la socializzazione».

Un’epidemia di solitudine

Il Covid, assieme ad altri cambiamenti sociali e culturali, ha negli ultimi anni amplificato l’isolamento sociale, rendendo la solitudine tra i ragazzi un fenomeno sempre più al centro dell’attenzione, oltre che, purtroppo, in crescita. E i dati a riguardo non mancano. «Per la fascia d’età di cui ci stiamo occupando, secondo il BiB (Das Bundesinstitut für Bevölkerungsforschung), in Germania nel 2022 il 44% dei giovani tra i 19 e i 29 anni si sentiva solo, rispetto al 33% degli adulti tra i 30 e 53 anni», afferma Anne-Linda Camerini. Una tendenza riscontrata anche in Svizzera, dove nello specifico uno studio dell’Istituto Gottlieb Duttweiler indica che è un adolescente su tre a sentirsi solo. «La solitudine va considerata un fattore di rischio per la salute in quanto legata a problemi mentali, di sonno e a un maggior rischio di dipendenza da sostanze e da comportamenti, come nel caso dell’abuso digitale. Di conseguenza, che un terzo della popolazione giovane si senta solo è da considerarsi un problema di salute pubblica». È bene soffermarsi sul concetto di solitudine: «Va fatta la distinzione tra “solitudine sociale”, ovvero quando ci si sente soli perché le relazioni effettivamente mancano, e “solitudine emotiva”, quando ci si sente soli nonostante le relazioni, che non vengono percepite come strette (in inglese strong ties) ed autentiche – spiega la ricercatrice – ad oggi, penso che gli studi si riferiscano più che altro a questo secondo tipo, espresso in modo significativo dall’espressione inglese together alone (“insieme soli”), il quale non da ultimo è il risultato delle

relazioni deboli (weak ties) che spesso intratteniamo nel mondo virtuale in cui abbiamo tanti “amici” e followers che non abbiamo mai visto e in genere non conosciamo davvero».

La digitalizzazione e un’eccessiva focalizzazione sulla professione possono dunque portare a trascurare il proprio ambiente sociale. «Le relazioni sono dinamiche interpersonali complesse che richiedono uno sforzo attivo del soggetto, a differenza di quanto avviene nel mondo virtuale, il quale offre un piacere immediato, alimentato dalla stimolazione dei circuiti neurali dopaminergici, esente dal confronto con le difficoltà e le sfide tipiche del mondo reale. Questo ha però un prezzo, perché meno ci relazioniamo e meno siamo in grado di farlo, più cerchiamo di evitare il confronto e più ci isoliamo», commenta Matilde Melotto.

Accorciare le distanze

La vita virtuale fornisce insomma gli strumenti ideali ai giovani per rifugiarsi in un mondo ampiamente pervasivo ed accessibile con poco sforzo, ma purtroppo anche per isolarsi. «Importante è avere la consapevolezza della necessità di saper usare in modo positivo il digitale, imparando a destreggiarsi nel delicato equilibrio tra reale e virtuale e limitandone, per quanto possibile, le criticità», commenta la psicologa. Utilizzato in questa maniera, il virtuale può infatti rappresentare una risorsa nell’ambito dei rapporti sociali: «Basti pensare alla possibilità di accorciare le distanze geografiche o alla facilità con cui trovare individui affini attraverso la condivisione di interessi comuni», aggiunge. Possibilità, queste ultime, che diventano il cuore e lo scopo delle applicazioni concepite proprio per coltivare nuove amicizie. «Le app di incontri, comprese quelle per fare amicizia, sono a mio avviso l’evoluzione dei social media nella misura in cui consentono di compiere quel passo che inizialmente essi si erano posti come obiettivo, ossia riunire le persone, rappresentando un punto di congiunzione tra le interazioni digitali e gli incontri faccia a faccia», spiega

Matilde Melotto. Un obiettivo, quello originario dei social, purtroppo almeno in parte vanificato da un uso sempre più passivo, che da strumenti di aggregazione, li ha visti passare ad «anestetici relazionali», come ci spiega la dottoranda. Tra i benefici che i giovani possono trarre dalla frequentazione delle

cretamente la possibilità di incontrare persone oltre il limitato contesto sociale di appartenenza, che apre la strada a una più ampia rete di amicizie potenziali e a una maggior probabilità di trovare persone con caratteristiche affini ed interessi condivisi, con ripercussioni positive sul benessere. Purtroppo però accanto a questi benefici vi è pure qualche criticità. «Rispetto al mondo reale, nel quale le occasioni di incontro possono essere casuali e sfaccettate, nelle app il processo risulta semplificato e filtrato. In genere infatti la scelta delle persone con cui interagire avviene a priori sulla base di presentazioni autoriportate e di un numero limitato di interessi che si sceglie di condividere – racconta la psicologa – oltre a ciò, diversi studi hanno dimostrato come in queste app gli utenti possano sviluppare una percezione alterata della propria desiderabilità basata sui feedback ricevuti, ciò può portare a un aumento dell’autostima per chi ha successo e a un senso di inadeguatezza per chi riceve poche interazioni». Infine, le app per fare amicizia non sono esenti da nuove tendenze relazionali presenti nell’ambito delle piattaforme digitali, come il ghosting (l’interruzione improvvisa e priva di spiegazioni di ogni tipo di comunicazione) e l’orbiting (quando una persona smette di interagire direttamente ma continua a seguire l’altra sui social). «Dinamiche rischiose in quanto producono un senso di abbandono peggiore del rifiuto e lasciano una condizione di vuoto complessa da interpretare e

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Candidatura

Candidature da inoltrare attraverso il sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» – «Posizioni disponibili».

Rispetto al mondo reale, nel quale le occasioni di incontro possono essere casuali e sfaccettate, nelle app di amicizia il processo risulta semplificato e filtrato. (Freepik.com)
Per il Servizio Risorse Umane, presso la Centrale di S. Antonino, cerchiamo
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La ricerca di un impiego passa dal palcoscenico

Giovani ◆ SOS Ticino ha ideato un corso di teatro gratuito rivolto ai giovani dai 18 ai 25 anni che vogliono conoscere e sviluppare le proprie competenze trasversali utili per l’inserimento professionale

«Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena». Intuizione del grande Shakespeare, perla di saggezza, immagine da conservare e magari spendere per appianare le difficoltà della vita. Metti, ad esempio, la ricerca di un posto di lavoro o del primo impiego. La creatività può davvero offrire una valida carta per farsi strada nel mondo del lavoro? La risposta è decisamente affermativa per SOS Ticino, che con la collaborazione del Teatro Sociale di Bellinzona e il supporto di Percento Culturale Migros, ha ideato un progetto avvincente condensato in tre parole – Teatro: Talento e Impiego. Un corso di teatro gratuito e rivolto ai giovani dai 18 ai 25 anni che vogliano conoscere e sviluppare le proprie competenze trasversali utili per l’inserimento professionale. Per iscriversi è sufficiente una chiamata su WhatsApp allo 079 725 54 95 o una e-mail a ct2@sos-ti.ch. Il percorso contempla dieci lezioni a cadenza settimanale, da marzo a maggio, e si propone di offrire una moltitudine di opportunità: acquisire maggiore consapevolezza delle proprie competenze e dei propri talenti, migliorare le proprie doti comunicative e relazionali. La parte scenica dell’iniziativa è affidata all’attrice e regista Ledwina Costantini. Per saperne di più abbiamo interpellato Paola Santini, consulente sociale e responsabile del Servizio CT2 di SOS Ticino, in cui ha visto la luce il progetto. Il teatro è un’ottima palestra per migliorare le competenze di comunicazione e di consapevolezza di sé

Paola Santini, come nasce l’iniziativa?

Siamo sempre alla ricerca di nuove modalità di accesso al mondo del lavoro per i giovani. Lavorando a stretto contatto con loro ci siamo resi conto che parte delle difficoltà dei giovani nel superare un colloquio di lavoro o nel portare a termine un apprendistato, così come nel proporsi in maniera efficace per un impiego risiedono in quelle che oggi vengono chiamate soft skills, vale a dire quelle competenze di comunicazione e di consapevolezza di sé e dei propri punti forti che sempre più le aziende ricercano nei candidati. Il teatro ci è sembrato un’ottima palestra per offrire ai giovani interessati l’opportunità di acquisire e approfondire quelle conoscenze trasversali utili per ottenere un impiego, ma spendibili in tutti gli ambiti della vita. La nostra proposta di creare un corso in tal senso è piaciuta a Teatro Sociale Bellinzona che ha subito accettato di collaborare con entusiasmo.

Il progetto Teatro: Talento e Impiego è vincitore del bando «Vivi la vita» indetto da Percento culturale Migros che sostiene finanziariamente l’iniziativa. Da qui è partito tutto? L’idea di creare un progetto che coinvolgesse le arti sceniche esisteva prima che uscisse il bando di concorso del Percento culturale Migros, ma come per altri progetti che ancora sono nel nostro cassetto, aspettava di poter essere trasformato in realtà. Il bando «Vivi la vita» si è presentato come un’occasione da cogliere al volo e fra tutte le idee abbiamo deciso

di proporre questa: un corso gratuito, accessibile quindi anche a coloro che vivono con un budget misurato, che valorizzi la creatività, le competenze tipicamente umane – di relazione, di miglioramento continuo, di problem-solving – e ci è parso che meritasse di essere implementato prima degli altri.

Come si articolerà il progetto proposto ai giovani?

Il corso prevede 10 incontri al termine dei quali vi sarà uno spettacolo gratuito aperto al pubblico sul palco del Teatro Sociale di Bellinzona. I primi quattro incontri prevedono un’introduzione teorica condotta dai formatori del nostro team, che fornirà ai partecipanti le basi per conoscere da vicino le competenze trasversali, gli strumenti per poterle sviluppare e per la loro messa in opera relativamente al mondo del lavoro e nella vita quotidiana. La teoria occuperà solo una parte dei primi quattro incontri, poiché, a seguire, Ledwina Costantini porterà i contenuti teorici all’atto pratico, permettendo ai giovani partecipanti di portare alla luce, scoprire, sperimentare, fare proprie queste competenze. Nelle sei lezioni successive, accanto a un lavoro di continua «messa a terra» di quanto appreso, i ragazzi co-costruiranno con la regia di Ledwina uno spettacolo-restituzione, con l’obiettivo di affinare sempre più le proprie abilità e di lasciare emergere i propri talenti specifici, i propri punti di forza, e di renderli tangibili al termine del percorso.

Quali contenuti cercherete di proporre concretamente, e come si orienteranno in rapporto al mondo del lavoro e a un mercato sempre più esigente e competitivo?

I concetti che verranno trattati sono quelli della struttura dell’autostima, che cos’è concretamente, come viene promossa, cosa fare per aumentarla, come coltivarla nel quotidiano; verranno sviscerati i concetti di giudizio, pregiudizio e stereotipo, che tanto frenano lo sviluppo del potenziale e l’incontro fra persone. Queste tematiche, assieme a quella della fiducia e della responsabilità, sono alla base di un’efficace promozione di sé, sia in fase di accesso al mondo del lavoro sia una volta inseriti in un contesto lavorativo, nel difficile equilibrio dei rapporti di team o fra colleghi. La comunicazione efficace, in particolare l’attenzione al linguaggio del corpo, alle modalità di interazione, alle dinamiche di gruppo, senza tralasciare la gestione emotiva, l’ascolto attivo e alcuni ragguagli di risoluzione dei conflitti. Il tutto condito da un approccio creativo e partecipativo. L’obiettivo è quello di trasmettere ai partecipanti quegli strumenti necessari per una buona promozione di sé, per un’efficace interazione e collaborazione sul posto di lavoro e di affiancare a questi contenuti un lavoro di scoperta di sé e di crescita personale che rafforzi la fiducia nelle proprie risorse e il desidero di portare il proprio contributo.

Come può il teatro aiutare i giovani ad attrezzarsi di strumenti per affrontare il difficile universo professionale? Su quali aspetti, a suo avviso, è necessario lavorare maggiormente? Il teatro è un’arte trasformativa, lavora tanto sul corpo quanto sulla men-

te. L’acquisizione delle competenze trasversali passa inevitabilmente da quella che è la percezione che ogni individuo ha di se stesso. Per questo motivo la sola teoria sarebbe poco efficace. Per poter avere accesso alle proprie risorse interiori, sulle quali poi sarà possibile lavorare e costruire un bagaglio di competenze sempre maggiore, la persona deve aver fiducia

nelle proprie risorse e nel proprio potenziale. Il teatro viene spesso usato anche come terapia, proprio perché ha questo potere catartico, capace di aprire porte senza forzarle. Chiunque può leggersi un libro sulle soft skills e conoscere a menadito tutte le loro applicazioni. Tuttavia non è da tutti riuscire a calarle sulla propria persona, imparare a farvi capo, non con

uno sforzo razionale, bensì in maniera spontanea. Questo è ciò che il teatro permette di fare, poi un corso soltanto, ovviamente, non creerà degli esperti di soft skills, ma spalancare le porte sul giardino segreto agevola senz’altro la sua esplorazione.

La regista e attrice Ledwina Costantini all’opera con i giovani del progetto di Teatro Sociale Bellinzona e Giovane Teatro Grigioni. (Massimiliano Rossetto)
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«Hoi Alice und grüezi mitenand». Così, in dialetto svizzero-tedesco, inizia il video messaggio inviato all’inizio di febbraio dall’ex consigliere federale Ueli Maurer ad Alice Weidel, co-presidente dell’Alternative für Deutschland e candidata alla Cancelleria tedesca alle elezioni federali che si sono svolte questa domenica in Germania. Un messaggio di auguri in cui l’ex ministro UDC si dice preoccupato dalle notizie in arrivo da Berlino, dove a quanto pare alcuni suoi cari amici «sono all’improvviso diventati degli estremisti». Il suo è un appello alla libertà, che in Germania ma anche altrove in Europa, è sempre più in pericolo, così almeno ritiene l’ex consigliere federale, che dal 1996 al 2008 è stato anche presidente dell’UDC. «Ci vuole un’alternativa», ha poi affermato nel video messaggio, diffuso durante un comizio elettorale dell’AfD, con un chiaro riferimento al partito di Alice Weidel, considerato in Germania un movimento di estrema destra, in particolare nei Länder orientali.

James David Vance ha tenuto un discorso a Monaco di Baviera dicendo su per giù le stesse cose di Ueli Maurer

Il filmato ha sollevato diverse polemiche, anche all’interno della stessa UDC, partito che si è sempre rifiutato di farsi sentire nelle campagne elettorali di altri Paesi. Una distanza richiesta più volte da Christoph Blocher in persona, che nella sua lunga carriera non si è mai voluto mostrare a fianco di altri leader della destra radicale del Vecchio continente. Una scelta che a ben guardare ha una sua logica, questo tipo di intromissioni si pone in antitesi rispetto alla neutralità «tutta d’un pezzo», che il partito è ora pronto a promuovere anche attraverso un’iniziativa popolare, iniziativa che verrà discussa in Parlamento durante la sessione primaverile delle Camere federali. Sul caso è intervenuto persino lo stesso Blocher, che si è espresso nei seguenti termini: «Queste cose non si possono vietare, ma io non lo avrei fatto». Non è la prima volta che il pensionato Maurer si prende la libertà di dire la sua, dopo aver lasciato il Governo ormai più di due anni fa. Lo ha fatto di recente anche con un’inserzione a pagamento pubblicata a tutta pagina sulla «NZZ» dello scorso 11 gennaio. Il titolo di questo articolo ricalca quanto dichiarato nel video inviato ad Alice Weidel: La nostra libertà è in pericolo. Per Maurer i rischi si annidano nella nostra vicinanza all’Unione europea e alla Nato. L’ex ministro se l’è poi presa anche con

la cultura «woke», la politica in difesa del clima e con Greta Thunberg. E qui val la pena di passare al neo vice-presidente degli Stati Uniti James David Vance. Una decina di giorni fa il numero due della Casa Bianca ha tenuto un discorso a Monaco di Baviera, dicendo su per giù le stesse cose di Ueli Maurer.

Non è da escludere che il presidente americano prima o poi voglia imporre dazi anche alla Confederazione

Anche a detta di Vance la libertà e la democrazia in Europa sono in pericolo, in particolare perché i responsabili politici ascoltano sempre meno la voce della popolazione e cercano di escludere movimenti come quello dell’Alternative für Deutschland. A suo dire i rischi per la democrazia sono maggiori in Europa di quanto non lo possano essere in Cina o in Russia, Paesi che, aggiungiamo noi, fanno pensare a delle dittature. Pure Vance ha parlato di Greta

Thunberg, affermando: «Noi ce la siamo sopportata, voi adesso sopportatevi per qualche mese Elon Musk». Nel suo complesso il discorso del vice di Trump ha raccolto il parere positivo di Karin Keller-Sutter. La presidente della Confederazione era presente a Monaco e in un’intervista al quotidiano romando «Le Temps» ha affermato che le parole di Vance rientrano in una visione liberale del mondo, in sintonia con la democrazia diretta elvetica. I propositi della presidente della Confederazione hanno a loro volta fatto discutere in Svizzera, tra chi ha difeso le sue parole e chi invece le ha criticate aspramente, tra questi anche un altro ex consigliere federale, il vallesano Pascal Couchepin, anche lui esponente del PLR come Keller-Sutter. Ma non è finita qui perché mercoledì scorso la presidente della Confederazione è intervenuta anche durante la trasmissione «Infrarouge» della radio-televisione romanda. Karin Keller-Sutter ha voluto precisare i suoi propositi, affermando di aver commentato soltanto un aspetto del discorso di Vance, quello relativo alla vicinanza tra autorità e popolazione. «Alcuni sviluppi

che osserviamo oggi nelle nostre società sono forse dovuti anche a questa mancanza di ascolto», ha fatto notare la ministra delle finanze, che ha voluto commentare pure il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca: «Il suo è un sistema di annunci, un sistema-choc. Si dicono delle cose e poi si guarda l’effetto che fa».

In ogni caso il nostro Paese è chiamato a ridefinire il suo posto nel mondo, ora dominato dal «nuovo sceriffo di Washington», come affermato sempre da JD Vance a Monaco di Baviera. «In questo contesto dobbiamo navigare nel miglior modo possibile per difendere i nostri interessi», ha fatto notare la ministra delle finanze, ricordando che in questi ultimi anni gli Stati Uniti sono diventati il primo mercato di esportazione per l’economia svizzera. Berna ha sicuramente tutto l’interesse a mantenere queste buone relazioni con la «Sister Republic» a stelle e strisce. Anche se su questo punto non è da escludere che Trump prima o poi voglia imporre dazi anche al nostro Paese, visto che la bilancia commerciale è al momento a vantaggio dell’economia svizzera. D’altro canto comples-

sivamente il nostro partner principale è e rimane l’Unione europea, con cui stiamo cercando di portare a termine un nuovo pacchetto di accordi per il rinnovo della via bilaterale. Un’Europa però indebolita, con le due «locomotive» – Germania e Francia – alle prese con parecchi problemi interni e con l’Unione che si è fatta prendere in contropiede dalle mosse di Donald Trump sull’Ucraina e dall’apertura di un dialogo tra Washington e Mosca. Qui Karin Keller-Sutter è stata chiara, una pace si può ottenere solo con il coinvolgimento dell’Ucraina e anche dell’Unione europea. Una visione che in questo momento si pone in contrasto con quella statunitense. Diplomaticamente il Consiglio federale si ritrova dunque lì in bilico, tra le esigenze, del tutto imprevedibili, di Washington, e la necessità di conservare delle buone relazioni con i vicini europei. E con una parte dell’opinione pubblica svizzera che è di certo in sintonia con il pensiero di Maurer e anche con quello di JD Vance. In altri termini, l’onda d’urto del «nuovo sceriffo» si farà sentire anche tra le Alpi elvetiche.

Keystone
Roberto Porta

Trump è davvero il «grande Satana»?

L’analisi ◆ Bugie, volgarità e verità scomode sul conflitto in Ucraina; le guerre commerciali americane e il protezionismo europeo

Donald Trump ha la capacità di seminare il panico tra i suoi avversari, e di incarnare ai loro occhi il «male supremo». Di recente si fa affiancare da Elon Musk in questo ruolo del «grande Satana». È facile cadere nel gioco, e addebitargli tutti i mali dell’umanità: la sconfitta dell’Ucraina ora è colpa sua, come pure la tragedia dei palestinesi a Gaza, e naturalmente il protezionismo commerciale con tutti i danni che esso genera. A seguire certe narrazioni, si ha quasi l’impressione che il mondo sia all’«Anno zero»: tutto andava così bene prima di lui… Per non cadere in queste semplificazioni, è bene guardare dietro le apparenze. Sul dialogo con Putin e sulle guerre commerciali, per cominciare. Trump ha detto cose sconvolgenti sull’Ucraina, provocando l’ira di Zelensky che si sente tradito, pugnalato alla schiena. Alcune delle affermazioni del presidente americano sono insulti gratuiti e volgari contro un leader che ha saputo guidare la resistenza del proprio Paese contro un’aggressione militare. Altre appartengono alla categoria delle «verità scomode». Altre sono delle bugie o forzature, che colludono con la propaganda russa, e però circolano da tempo anche in Occidente: nelle destre putiniane, nelle sinistre radicali, in un vasto mondo che si considera pacifista.

Trump ha detto che per sedersi a un tavolo di negoziati Zelensky dovrebbe sottoporsi al verdetto dei suoi elettori. Qui il presidente Usa solleva un tema imbarazzante e delicato. In Ucraina dovevano tenersi le elezioni

tiva locale non si può andare al voto finché è in vigore lo stato di emergenza o legge marziale. Quindi formalmente il rinvio delle elezioni è ineccepibile. Tuttavia fa aleggiare un dubbio

, presso gli uffici amministrativi di S. Antonino, cerchiamo

Stagista controllo

Requisiti

Bachelor of Science BFH in Tecnologia alimentare con orientamento in qualità e sicurezza alimentare o esperienza equivalente in ambito di qualità e sicurezza alimentare; Padronanza della lingua italiana; La conoscenza della lingua tedesca e/o francese, parlata e scritta costituisce requisito preferenziale.

Competenze personali Spiccate capacità organizzative; Autonomia e spirito di iniziativa; Buone doti di comunicazione e attitudine al lavoro in team.

Mansioni previste dalla funzione Controllo e approvazione di ricette secondo l’OID (Ordinanza del DFI concernente le informazioni sulle derrate alimentari) sul portale interno M-Rezept (database per tutte le ricette della gastronomia di Migros Ticino); Aggiornamento del manuale HACCP della pasticceria interna, in base alle nuove modifiche dei nuovi processi produttivi ed alla Legge federale sulle derrate alimentari e gli oggetti d’uso (Legge sulle derrate alimentari, LDerr); Formazione al personale interno sull’aggiornamento del manuale.

Candidatura

Candidature da inoltrare attraverso il sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» – «Posizioni disponibili» includendo la scansione dei certificati d’uso, entro il 15.3.2025.

fettivo consenso del popolo ucraino verso le sue scelte. Naturalmente è paradossale che Trump sollevi dubbi sulla qualità della democrazia ucraina, nel momento stesso in cui legittima un autocrate criminale come Putin. E tuttavia le riserve sul mandato popolare a Zelensky sono fondate. Sempre nella categoria delle verità scomode: Trump ha fatto allusione alla mancanza di trasparenza sul modo in cui l’Ucraina ha speso gli aiuti americani. Difficile dargli torto.

Non appena è cambiata la linea della Casa Bianca con l’arrivo di Trump le divisioni europee sono riesplose

Anche perché le molteplici «purghe» ai vertici del Governo e delle forze armate ucraine hanno avuto come sfondo anche scandali di corruzione. Trump ha detto che Zelensky poteva evitare di cominciare questa guerra. Per il modo in cui questa frase gli è uscita di bocca è probabile che non intendesse accusare l’Ucraina di aver iniziato le ostilità, bensì di non aver fatto il necessario per impedire il conflitto. Qui il retroterra è noto: esiste una corrente di pensiero – putiniana ma non solo, è una teoria accreditata da tempo in ambienti diplomatici dell’Europa occidentale – secondo cui Kiev non sarebbe del tutto innocente, perché avrebbe contribuito ad aizzare Putin calpestando alcuni elementi degli accordi di Minsk. Trump ingigantisce l’entità delle spese americane per l’Ucraina, minimizza quelle europee, sfoggiando la sua abituale disinvoltura con i numeri. Qui lo sfondo e il retroscena è duplice. Da una parte Joe Biden non è riuscito a convincere in modo durevole una maggioranza di americani che in quella guerra siano in gioco interessi vitali della Nazione. D’altra parte l’Europa ha mantenuto una parvenza di unità (con eccezioni e distinguo sulle sanzioni) finché c’era lo «Zio Sam» a disciplinarla e mante-

mondo stia scivolando verso un’assurda guerra commerciale per colpa del nuovo presidente americano. La maggioranza dei cittadini europei ignora, per esempio, che l’Imposta sul valore aggiunto (Iva) funziona come un gigantesco sussidio all’esportazione, quindi va ad aggiungersi ai dazi come strumento protezionista che distorce la concorrenza tra Nazioni. Non a caso Trump prende di mira anche l’Iva europea, tra quelle misure che vuole contrastare e compensare con i suoi dazi (per adesso Trump ha incaricato il suo dicastero del Commercio di completare un’indagine conoscitiva, ad aprile deciderà il da farsi, cioè se varare dazi «di reciprocità» contro l’Europa).

nerla coesa. Ma anche nella fase della massima unità apparente sotto Biden, in Europa vaste aree di opinione e forti lobby economiche mugugnavano, lamentando di essere asservite agli interessi americani. Non appena è cambiata la linea della Casa Bianca con l’arrivo di Trump, le divisioni europee sono riesplose. Il vertice convocato da Macron a Parigi è stato visto a Washington come la conferma che Trump ha ragione a non coinvolgere gli europei nelle trattative di Riad sulla tregua: che bisogno c’è di includere al tavolo del negoziato un gruppo di Paesi così poco compatto? Con il britannico Starmer che promette truppe in Ucraina mentre il tedesco Scholz le nega?

Sulle guerre commerciali, Mario Draghi ha spazzato via l’idea che i dazi siano una malefica invenzione trumpiana. L’Europa – ha spiegato – è malata di protezionismo da molto tempo, lo pratica perfino contro se stessa, con una montagna di barriere interne che vanificano i vantaggi del suo mercato unico. Draghi si riferiva al protezionismo infra-europeo, il suo discorso vale a maggior ragione per quello extra-Ue. Nei confronti degli Stati Uniti le grida europee che denunciano i dazi di Trump sono ingiustificate o disinformate. L’opinione pubblica europea spesso non lo sa, e quindi in buona fede pensa che il

L’effetto dell’Iva come sussidio all’export va ad aggiungersi alla questione dei dazi veri e propri: anche su questi, che sono tasse doganali, l’America è uno dei Paesi meno protezionisti al mondo. L’ultima stima dell’Organizzazione mondiale del commercio valuta i dazi medi americani al 2,2% pur dopo gli aumenti di Trump nel 2018 e di Biden nel 2021; sono la metà di quelli europei e un quarto di quelli cinesi. Un esempio specifico, nel settore dell’auto, indica un divario ancora maggiore: l’Europa punisce le importazioni di vetture Usa con un dazio del 10% mentre il reciproco, cioè il dazio Usa sulle auto europee importate, è del 2,5%. Questi dati dovrebbero spingere a ridurre il baccano che incolpa Trump di trascinare il mondo verso un’Apocalisse economica scatenata dalle guerre commerciali. I Paesi che sono presi di mira, e l’Ue nel suo insieme, hanno un potente strumento per contrastare i nuovi dazi di Trump: mettere sul tavolo del negoziato transatlantico delle concrete proposte per ridurre le loro barriere. I margini ci sono, per offrire contropartite sostanziose a Trump, visto il livello di protezionismo da cui parte l’Europa.

A questo si aggiunge un tema ancora più generale sollevato da Draghi. L’Europa soffre di una crescita debole e asfittica da decenni. L’America è diventata da molto tempo la sua locomotiva trainante, con un mercato aperto che assorbe i prodotti, ad esempio, del made in Germany e del made in Italy. Se l’Ue vuol essere meno dipendente dagli Stati Uniti deve affrontare le ragioni strutturali della sua stagnazione. E molto spesso le terapie necessarie consistono nel rendere l’Europa un po’ più simile all’America. In questo contesto la demonizzazione di Trump rischia di diventare un ulteriore diversivo, che distoglie l’attenzione dai problemi veri, inventa un capro espiatorio, e fornisce all’Europa nuovi alibi perché tutto rimanga come prima.

Donald Trump seguito da Elon Musk. In basso: un momento del vertice di Parigi convocato da Emmanuel Macron, nella foto accanto a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. (Keystone)
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Egitto, tra megalomania e rischio di tracollo

Prospettive ◆ Il decennio di Al Sisi ha visto il Paese lanciarsi in ambiziosi progetti di modernizzazione che però hanno un costo

La notizia è recente. Dopo il raddoppio del Canale di Suez, terminato nel 2015, l’Egitto completa un’altra delle sue opere monumentali: l’estensione dello stesso Canale di oltre 10 chilometri di lunghezza in più su un totale di circa 90 chilometri. Prospettiva incoraggiante poiché incrementerà i traffici marittimi lungo il braccio di mare che collega il Mediterraneo al Mar Rosso ed estenderà i piani occupazionali. Ma che porta con sé l’amara consapevolezza che quella lingua d’acqua, nazionalizzata da Nasser nel 1956, ha conosciuto una perdita di guadagno, con il recente calo dei transiti, di ben 7 miliardi di euro nel solo 2024.

La governance dell’ultimo raìs egiziano trae la propria ispirazione dai Paesi del Golfo Persico, Emirati Arabi e Arabia Saudita in primis

Che cosa allora funziona e cosa non funziona nei piani faraonici del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi?

E quanto potrà concretamente prodursi di questa politica a forte tasso di investimento, in un quadro mediorientale che vede l’Egitto esposto sempre più alle pressioni e ai condizionamenti della Casa Bianca che, come sappiamo, ha chiesto al Cairo di accogliere, insieme alla Giordania, quelli che Washington chiama «sfollati» palestinesi e l’Egitto viceversa veri e propri «deportati» dal massacro? E quanto potrebbero incidere le sanzioni che Trump minaccia di imporre al Governo egiziano – tanto più dopo il garbato rifiuto di Al Sisi di raggiungerlo negli Stati Uniti – in caso di una reticenza del Cairo ad affollare il Sinai di scampati al «genocidio» (secondo il lessico egiziano)?

Le risposte sono nelle cifre ma anche in larga misura nello spettro di osservazione, che naturalmente è soggetto in primo luogo – anche se non solo – agli sviluppi della questione israelo-palestinese e all’irrealistica

possibilità, come Washington vorrebbe, di «liberare» Gaza dalla presenza di Hamas. Se i dati relativi all’ammodernamento dello Stato parlano infatti di investimenti miliardari, un giudizio sulla loro efficacia è possibile solo diversificando le prospettive. A fronte delle spese colossali che stanno indebitando le casse egiziane, nessuno può in effetti prevedere se e in che misura avranno un favorevole impatto economico nel medio e lungo termine.

Solo un dato è certo: che nello specifico delle mastodontiche opere infrastrutturali di questo decennio si può leggere qualcosa di rivoluzionario. Mai nella sua settantennale storia moderna la governance del Cairo ha infatti espresso una simile ambizione all’ammodernamento e una tale quantità di opere. L’elenco è addirittura sterminato, ma alcuni progetti ci aiutano a stilare un possibile bilancio. In primo luogo la creazione (dal 2015) di una nuova capitale a una cinquantina di chilometri dal Cairo: la cosiddetta New Capital, che ospiterà il nuovo Parlamento, le diverse ambasciate, gli uffici amministrativi centrali, il più alto grattacielo e la più grande moschea d’Africa. A seguire la costruzione del nuovo Grand Egyptian Museum, ritenuto il più vasto museo archeologico del mondo (in grado di ospitare circa 5 milioni di visitatori all’anno, si estende su una piattaforma di 81’000 metri quadrati, comprendendo un cinema, un’intera sezione dedicata al Tesoro di Tutankhamon e la gran parte del patrimonio archeologico dell’Egitto faraonico).

Poi altri progetti di portata colossale: la creazione della avveniristica Nuova Al Alamein, accanto a quella vecchia (vi sorge anche un albergo a 7 stelle), l’incremento del numero dei musei faraonici, islamici e cristiani, la moltiplicazione dei percorsi viari (molti dei quali ad alta velocità), la costruzione di decine e centinaia di sopraelevate e ponti (tra cui, al Cairo, quello più largo del mondo),

la creazione di un nuovo spazio idrico nella Valle della Tushka (una sorta di «area produttiva» costruita nel deserto occidentale per drenare acqua verso diversi laghi partendo dal Lago Nasser), l’edificazione di centinaia di città satelliti e via elencando, lungo quella che potrebbe essere definita l’ambiziosissima «strategia arabica» di Al Sisi. «Arabica» in che senso? Nel senso che la governance dell’ultimo raìs egiziano trae in primo luogo la propria ispirazione dai Paesi del Golfo Persico (Emirati Arabi e Arabia Saudita in primis), che negli ultimi anni hanno trasformato le loro terre in avamposti internazionali dell’economia, del turismo, dello sport e della cultura. Modelli discutibili e altamente controversi, i quali, visto il portato di «snaturalizzazione» che li accompagna, potrebbero prima o poi manda-

re a picco porzioni consistenti dell’economia e dei rispettivi ecosistemi. Ma che di fatto, seppur in dispregio di ogni regola ambientale, si presentano come «modelli virtuosi» agli occhi delle altre Nazioni mediorientali, in grado di lanciare le rispettive economie verso il cielo della competitività mondiale.

Una competitività al cui appuntamento Al Sisi non vuole mancare. Non solo per il tradizionale ruolo di «Paese-traino» dell’Egitto, ma perché una competitività mancata rischierebbe di procurare al Paese una drastica marginalizzazione su tutto il tavolato regionale. Ma qui si apre la vexata quaestio della sostenibilità di tale approccio. Non solo in termini di debito ma anche di welfare e tenuta politica.

L’Egitto sta infatti pagando tali scelte economiche (diciamolo pure, tale «megalomania») su almeno tre fronti:

1) Quello del deficit di bilancio, che di fatto pregiudica vere politiche di sostegno alle fasce più disagiate, assorbendo nel debito nazionale quanto potrebbe essere destinato all’equilibrio sociale. 2) Quello della povertà, che si attesta intorno al 60% della popolazione totale, concentrandosi il rimanente 40% nelle mani della casta militare e dei grandi imprenditori affiliati. 3) Quello della stabilità politica, minacciata dal risentimento delle classi indigenti ma anche da questioni regionali come le acque del Nilo (il contenzioso con l’Etiopia, sulla distribuzione idrica indotta dalla Diga del Gran Rinascimento etiope, è vecchio di anni) e l’afflusso di profughi (ormai oltre 200mila) dalla guerra sudanese. Tre ambiti che, se il futuro non garantirà i frutti degli investimenti dell’ultimo decennio, rischiano di portare l’Egitto al default.

Vorrei acquistare delle azioni Ne bastano cinque diverse per contenere i rischi?

La consulenza della Banca Migros ◆ L’idea di fondo è giusta, ma investire il denaro in cinque titoli differenti non basta a proteggere adeguatamente dalle perdite

Purtroppo no, ma l’idea di fondo è giusta. Investendo il denaro in azioni di diversi settori e regioni, i rischi si distribuiscono: le perdite di un’azione possono essere compensate dai profitti di altre azioni. Chi invece investe in una singola azione dipende dalla performance della rispettiva azienda. Se questa va in bancarotta, il denaro investito è perso.

Cinque azioni diverse diversificano leggermente il rischio, ma non abbastanza da proteggere adeguatamente il portafoglio dalle perdite di corso, ad esempio in caso di crolli congiunturali, scandali societari, conflitti commerciali o innovazioni tecnologiche. Diversi settori e regioni sono attualmente colpiti da crisi globali. Non è possibile rispondere in modo generico a quante azioni singole siano necessarie per disporre di una suf-

ficiente diversificazione. Come valore indicativo approssimativo si possono considerare da 20 a 25 titoli. Ma quello che è ancora più importante rispet-

to al numero di azioni nel portafoglio, è la loro distribuzione per settore, regione e comparto, la quale permette di ridurre al minimo la dipendenza tra i titoli e quindi le oscillazioni di valore.

Orientamento sul lungo termine

Allo stesso tempo gli investitori dovrebbero completare il proprio portafoglio con altre classi di asset, come le obbligazioni o gli investimenti alternativi come gli immobili o l’oro. La composizione ottimale del mix dipende dalla propensione al rischio. In linea di massima, quanto più elevata è la quota azionaria, tanto maggiore è anche il rischio di fluttuazioni di valore nel portafoglio.

Chi vuole investire in singole azioni dovrebbe informarsi costantemente sull’andamento dei mercati. Inoltre è necessaria una certa dose di pazienza per non reagire impulsivamente alle oscillazioni di mercato a breve termine. Si tratta invece di prendere decisioni ben ponderate e orientate verso obiettivi a lungo termine. A coloro che non hanno mai investito in borsa si consiglia di investire in azioni tramite un fondo a gestione attiva, ad esempio un fondo strategico della Banca Migros. In questo caso sono i gestori del fondo a occuparsi della gestione, adeguando il fondo costantemente alla rispettiva situazione di mercato. Il denaro viene investito in classi di asset come azioni, obbligazioni o immobili a seconda della propensione al rischio. Ne risulta una distribuzione del rischio più am-

pia rispetto a un investimento in singole azioni. In alternativa si può investire in fondi indicizzati quotati in borsa (ETF). Questi replicano un determinato indice azionario, ad esempio l’MSCI World, comprendente azioni di circa 1600 società di 23 Paesi industrializzati, offrendo in questo modo anche un’ampia diversificazione dei rischi.

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Barbara Russo, consulente alla clientela presso la Banca Migros ed esperta in tematiche d’investimento.
Dettaglio del Grand Egyptian Museum, noto anche come Museo di Giza. (Keystone)

Le donne cancellate dai talebani

Afghanistan ◆ Gli estremisti al potere vietano le finestre nelle case per evitare che le persone di genere femminile siano viste dai passanti, mentre l’Occidente continua ad ignorare cosa sta succedendo in questa parte di mondo

«Vedere le donne che lavorano nelle cucine, nei cortili oppure che raccolgono l'acqua dai pozzi può provocare atti osceni», per non parlare dei pensieri… Secondo il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, che parla per conto del leader supremo Hibatullah Akhundzada, la visione di un grosso fagotto di stracci neri che in religioso silenzio «spignatta» per la famiglia o trascina anfore piene d'acqua è suscettibile di scatenare indicibili turbamenti nell'animo (e zone adiacenti) dei «guerrieri della fede» che governano l'Afghanistan, e nei sensibili virgulti che compongono le milizie e la pubblica amministrazione dei terroristi al Governo.

Così – dopo avere impedito a ragazze e bambine di andare a scuola, di passeggiare nei parchi, di andare in palestra o dal parrucchiere, di lavorare fuori casa e di uscire senza un maschio che le accompagni, di andare dal medico, di rivolgere la parola a un qualunque uomo fosse anche per comprare le patate, di recitare, di cantare o anche di parlare tra di loro se possono essere udite dalle suddette sensibilissime orecchie maschili – i talebani sono arrivati alla terribile apoteosi. Le donne, pur occultate sotto la indegna montagna di stracci che sono obbligate a indossare, non possono essere viste nemmeno dentro casa loro. Ergo: i nuovi

edifici devono essere costruiti rispettando i nuovi canoni, cioè l'assenza di finestre in tutti i luoghi in cui una donna potrebbe essere vista dai passanti. Secondo il decreto, le finestre non

devono affacciarsi o guardare in aree come cortili o cucine. Se una finestra si affaccia su uno spazio di questo tipo, come in tutte le case attualmente esistenti in Afghanistan, la persona re-

COME LE GALLETTE DI RISO, MA PIÙ SAPORITE.

sponsabile della proprietà deve trovare un modo per oscurare questa vista e «rimuovere il danno», installando un muro, una recinzione o uno schermo «per evitare fastidi ai vicini». Il fastidio, cioè, di cogliere anche per un momento la visione oscurata e silenziosa di un essere umano di sesso femminile. Il cui valore, è bene ricordarlo, per molti ideologhi è pari o di un gradino inferiore a quello di un qualunque capo di bestiame. Negli stessi giorni i citati «guerrieri della fede», verosimilmente terrorizzati a morte dalla figura femminile che cercano di cancellare, hanno inviato un ultimatum a tutte le organizzazioni internazionali che lavorano ancora in Afghanistan e che impiegano ancora delle donne: o le rimandano a casa immediatamente oppure, «in caso di mancata collaborazione, tutte le attività di quell'istituzione saranno cancellate e anche la licenza di attività concessa dal Ministero sarà annullata».

«Vedere le donne che lavorano nelle cucine, nei cortili o che raccolgono l'acqua dai pozzi può provocare atti osceni»

Non solo: le organizzazioni internazionali non sono autorizzate nei documenti ufficiali nemmeno a usare la parola «donna». Basta il termine, a quanto pare, per provocare gli inenarrabili turbamenti di cui sopra ai funzionari deputati a leggere i rapporti: funzionari, soldati o governanti che, per inciso, non hanno alcun problema a giocare a pallone con le teste dei nemici e altre amenità del genere ma tremano anche soltanto nel leggere la parola «donna». Così come non hanno alcun problema, come esplicitamente ribadito dal Governo nel marzo 2024, a lapidare a morte le adultere sulla pubblica piazza. Dove per «adultera» si intende nella maggior parte dei casi una donna stuprata che è stata così incauta da denunciare il suo stupratore: se lo stupro non viene infatti confermato da quattro testimoni maschi e musulmani (che sono in genere gli stupratori), la donna che denuncia viene processata per adulterio. La giustizia secondo i talebani.

Che però, ai tempi dello sciagurato Accordo di Doha del 2020 – trattato di pace tra la fazione afghana dei talebani e gli Usa che prevedeva di porre fine al conflitto armato in Afghanistan, disponendo il totale ritiro delle forze armate statunitensi – non avevano mai fatto mistero delle loro intenzioni: di «assicurare» cioè i diritti delle donne e di tutti i cittadini afghani «secondo la Sharia», la legge islamica. E tutti, però, anche quelli che sapevano e che ricordavano benissimo l'Afghanistan prima dell'11 settembre, hanno fatto finta di nulla applaudendo ai «talebani 2.0», così «socievoli» e «amichevoli». Un coro di nefaste cheerleader capeggiate dall'attuale segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres, che chiedeva a gran voce di dare una possibilità alla pace e, soprattutto, di dare una possibilità a quel manipolo di terroristi misogini. I risultati sono davanti agli occhi di tutti e tutte. Se le donne sono la metà del cielo, il cielo dell'Afghanistan è per metà oscurato. Un buco nero che ha inghiottito donne, ragazze e bambine, assieme a qualunque parvenza di dignità dell’Occidente e delle istituzioni internazionali. Quelle stesse istituzioni che denunciano fiaccamente le violazioni di qualunque legge civile, umana e morale ai danni delle donne, ma che continuano ad ammettere i talebani, alle loro condizioni, in qualunque consesso internazionale e a fare affari con loro con varie giustificazioni di lana caprina: la pace si fa con i nemici, bisogna usare il dialogo per non creare la prossima generazione di terroristi, bisogna rispettare la loro cultura. Le stesse giustificazioni usate a suo tempo dall'ineffabile primo ministro inglese Chamberlain nei confronti di Adolf Hitler: sappiamo tutti come è andata a finire… E sappiamo tutti come finirà, come è già finita a Kabul e dintorni, ma non ci importa. Nessuno marcia in solidarietà delle afghane: non l’Occidente, non i loro uomini. I rapporti pubblicati diventano carta straccia il giorno stesso della loro pubblicazione, l'indignazione nasce e muore nello spazio di un mattino. Ciò che rimane, per le donne afghane, è soltanto silenzio. Il silenzio delle loro case tramutate in sepolcri. In cui la vita somiglia ogni giorno di più alla morte.

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Il Mercato e la Piazza

Gli economisti e il salario minimo

Il nostro articolo di fine anno sull’etica kantiana e la sua possibile applicazione alla scienza economica tradizionale ha suscitato la reazione di alcuni lettori che ringraziamo per l’attenzione che ci dedicano. Commentando la serie di esempi nei quali gli economisti hanno cercato di superare le difficoltà etiche loro imposte dall’ipotesi di assoluta razionalità dell’ homo oeconomicus, uno dei lettori ha suggerito di aggiungere alla lista il caso del salario minimo, più precisamente il modo nel quale una larga parte degli economisti, nel corso degli ultimi due decenni, ha cambiato la sua posizione di ferma opposizione nei confronti di questa misura di politica sociale. I rappresentanti della scuola tradizionale combattevano, e combattono, l’introduzione del salario minimo perché per loro non faceva che rincarare il costo del lavoro, obbligando così aziende marginali a chiudere e influendo negativa-

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mente sulla domanda di lavoratori. Di conseguenza l’introduzione di un salario minimo di fatto otteneva l’effetto contrario di quello che intendeva raggiungere: faceva crescere la disoccupazione e riduceva il reddito delle fasce di popolazione meno abbienti. Sono questi argomenti di peso che, oggi ancora, impediscono l’introduzione generalizzata del salario minimo. Ricordiamo per esempio che di recente, con argomenti del genere, a Soletta e Basilea Campagna in votazione popolare è stata respinta la proposta di introdurre il salario minimo.

Per quel che riguarda la teoria economica, la svolta nell’interpretazione delle conseguenze dell’introduzione di un salario minimo viene nel 1994 con un articolo pubblicato nell’«American Economic Review», da Alan B. Krueger e David Card. Per i risultati esposti in questo articolo Card ottiene nel 2021 il premio Nobel per l’e-

conomia. Krueger era morto qualche anno prima. Utilizzando dati relativi alla situazione in uno dei piccoli Stati degli Stati Uniti, il New Jersey, questi due economisti dimostrano che l’introduzione del salario minimo non determina una diminuzione dell’occupazione. Nel 1995 i due autori raccolgono i risultati delle loro ricerche nel libro Mito e misura che sconfessa l’interpretazione della teoria tradizionale relativamente agli effetti del salario minimo. Rifacendosi a più esempi dimostrano appunto che l’introduzione del salario minimo non ha un’influenza negativa sul livello di occupazione. In secondo luogo Krueger e Carr provano che, contrariamente a quanto ipotizzava la teoria economica tradizionale, le aziende hanno potere di mercato e possono influenzare la formazione dei prezzi, salari compresi. In terzo luogo i risultati delle loro ricerche dimostrano che non è possibi-

Sanremo: le idee che lasciano il segno

In Italia raccontano che Sanremo sia lo specchio del Paese. Nel 2023, prima edizione dopo la grande vittoria di Giorgia Meloni, diede scandalo il bacio tra Rosa Chemical e Fedez. In realtà le cose che canta e fa Rosa Chemical, Renato Zero le cantava e le faceva 45 anni fa: il Triangolo è del 1978; e se davanti alla tv i miei nonni, più incuriositi che scandalizzati, mi chiesero se Renato Zero fosse maschio o femmina, già allora qualcuno fece notare che prima di Renato Zero c’era stato David Bowie. Nel 2024 la polemica si accese su Geolier, che cantò in napoletano. Poi, siccome si è sempre meridionali di qualcuno, c’erano gli italiani di origine araba. Che non sono meno italiani per questo, come ha ricordato Ghali. Nell’anno della morte di Cutugno, in pochi avrebbero avuto il coraggio di cantare «sono un italiano vero», una canzone che Toto aveva scritto per Ce-

lentano, cui parve troppo nazionalpopolare. Che l’abbia fatto un milanese nato alla Baggina da genitori tunisini è un segnale incoraggiante. Anche se il miglior talento della sua generazione si conferma a ogni occasione Mahmood, anzi Alessandro come lo chiama Amadeus, che fece davvero venire i brividi portando la canzone con cui Lucio Dalla esordì come autore di testi, ed ebbe l’effetto di una fucilata: «Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte, per paura degli automobilisti, dei linotipisti. Siamo i gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri; e non abbiamo da mangiare. Com’è profondo il mare…». Questo festival è stato vinto da Olly, con una canzone nata vecchia: pare una cover degli anni Cinquanta, proprio come la canzone dei Måneskin sembrava un remake di un brano degli anni Settanta. Ma la polemica stavolta è esplosa sul brano di Simone Cristicchi,

Il presente come storia

Consigliere federale? No, grazie

Meglio di no, non fa per me, mi dedico ad altro, non ne ho voglia… Una sfilza di «no grazie» ha accompagnato il processo di selezione dei candidati alla successione di Viola Amherd. Stupore e meraviglia. Un po’ tutti ci siamo chiesti: ma allora la carica di Consigliere federale non è più attrattiva, non seduce più i politici come una volta? Di Flavio Cotti si diceva che aveva studiato da consigliere fin da piccolo, che la carriera l’aveva nei cromosomi. E si pensi a quante rivendicazioni in passato sono state avanzate, specialmente in Ticino, affinché nel collegio governativo entrasse anche un rappresentante della minoranza italofona. Come spiegare simile riluttanza? Ci sono sicuramente fattori personali e familiari; altri impegni già assunti in precedenza, che si vuole portare a termine nel proprio Cantone o in una delle due Camere federali. Sedere in Consiglio federale vuol dire disponi-

bilità al dialogo e al compromesso, e non tutti dispongono di questa qualità. Alcuni fanno fatica, vivono questa condizione come una camicia di forza, una limitazione della libertà, dato che il desiderio di primeggiare è altamente sconsigliato. Pensiamo all’estromissione dello scomodo Blocher, all’insofferenza di Couchepin, all’alterigia di Furgler, anzi del Doktor Kurt Furgler. Reggere le critiche che provengono dal Parlamento e dal fronte dei media non è da tutti. Molti si ritrovano a mangiarsi il fegato perché le considerano infondate o ingenerose. C’è poi l’onere della carica, la responsabilità di guidare dipartimenti che nel corso del tempo sono cresciuti a dismisura, conglomerati di settori anche molto diversi tra loro, strutturalmente complessi, eppure presenti sotto il medesimo tetto. Spaventa, in particolare, il gigantismo del Dipartimento federale della difesa, della protezione della

le stabilire a priori quali possono essere gli effetti di una misura economica. Bisogna sempre valutarli nel contesto in cui viene applicata. Essi aprono così la porta agli esperimenti dell’economia comportamentale, un ramo della teoria economica che si è sviluppato nel corso dell’ultimo ventennio. In Svizzera il salario minimo è stato introdotto in cinque Cantoni, tra i quali il Ticino. Il Cantone di Neuchâtel, che è stato tra i pionieri di questa nuova tendenza nella politica dell’occupazione, ha pubblicato lo scorso anno un rapporto stando al quale l’introduzione del salario minimo non ha avuto che effetti positivi. L’economia ticinese conosce il salario minimo dalla fine del 2021. Fino ad oggi l’introduzione di questa misura non ha avuto effetti negativi sull’evoluzione dell’occupazione nel suo insieme. Dopo la flessione nell’effettivo degli occupati del 2020, che deve es-

sere attribuita alla pandemia da Covid, l’occupazione in Ticino ha ripreso a crescere. Nel 2021 il tasso di aumento dell’effettivo delle persone occupate è stato pari all’1,2%; nel 2022 al 2,1% e nel 2023 allo 0,2%. Il salario minimo non sembra aver influito negativamente. Se però confrontiamo i tassi annuali di crescita post-Covid dell’occupazione in Ticino con quelli nazionali ci accorgiamo che, mentre nel 2021, ultimo anno senza salario minimo generalizzato, il tasso di aumento dell’occupazione in Ticino era il doppio di quello realizzato a livello nazionale, nei due anni seguenti (gli ultimi per i quali si dispone attualmente di informazioni statistiche) il rapporto tra il tasso di aumento del Ticino e quello della Svizzera è sceso all’1,4, nel 2022, e allo 0,09 nel 2023. Non possiamo escludere che tra le ragioni di questa decelerazione ci sia anche l’introduzione del salario minimo.

stroncato come se fosse una lagna o un tentativo di strumentalizzazione della malattia.

A me il brano di Cristicchi è piaciuto molto. Dal titolo, Quando sarai piccola, alla frase: «Ti stringerò talmente forte, che non avrai paura nemmeno della morte». Forse è l’unica canzone che mi abbia davvero appassionato. E in effetti è difficile oggi, almeno per uno della mia generazione, appassionarsi a questi trapper tatuati, a questi rapper delinquenti, a queste canzoni un po’ tutte uguali, anche perché sono scritte dalle stesse persone. Giorgia è meglio della canzone che ha portato a Sanremo. Quella di Gabbani è orecchiabile, ma in passato aveva fatto di meglio. Lucio Corsi con Volevo essere un duro ha l’effetto che ebbero Lodo Guenzi e Dargen D’Amico: la salutare increspatura nel vetro, infatti è arrivato secondo. Tra i testi soltanto due sono, a mio avviso, destinati a restare. Quello

di Brunori Sas, dedicato allo straniamento dei padri che non riconoscono più i figli: un’esperienza che abbiamo fatto tutti, l’adolescenza dei nostri ragazzi dura un centesimo di secondo, il tempo di distrarci dietro al lavoro e alla vita e loro sono già altrove, irriconoscibili. Ma il testo di Simone Cristicchi è di un altro pianeta. Non conosco una persona che l’abbia ascoltato senza commuoversi. Anche chi non ha avuto una mamma malata di Alzheimer non può restare insensibile di fronte a parole così dolci, così definitive, così dirette. Cristicchi è un artista meraviglioso. I suoi spettacoli su san Francesco, sulla spedizione in Russia, sugli esuli istriani, giuliani e dalmati, sul trentatreesimo canto del Paradiso di Dante sono straordinari. «Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura / questa è malattia mentale e non esiste cura» è il verso più forte scritto da un italiano dai tempi di Povera patria di Franco

Battiato e, appunto, Com’è profondo il mare di Lucio Dalla. Dalla il festival non l’ha mai vinto e non lo amava. Cristicchi sì. Non aveva bisogno del festival; ma il festival aveva bisogno di lui. Eppure, al di là delle critiche, tutte legittime, colpisce il clima di disprezzo, ai limiti dell’odio, che non da oggi accompagna Cristicchi (accanto all’affetto dei suoi estimatori). Gli si imputa, tra le tante cose, di essere «di destra». Fondamentalmente per due motivi. Ha criticato la gestazione per altri. E ha fatto uno spettacolo sulle foibe, che gli è costato contestazioni, occupazioni di teatri, minacce. Forse però sarebbe davvero il momento di andare oltre le categorie di destra e sinistra; se non in politica, dove conservano senso, almeno nell’arte e nello spettacolo. Agli artisti di politica non importa molto; importa, giustamente, di loro stessi e della loro arte. Che parla a tutti.

popolazione e dello sport: 12mila addetti distribuiti nei vari comparti, dal Servizio informazioni, alle aziende incaricate di produrre armi e munizioni per l’esercito (Ruag e Armasuisse). Ogni decisione di acquisto (velivoli, droni, sistemi di sorveglianza dello spazio aereo) deve passare al vaglio delle Camere e spesso del voto popolare. E anche quando arriva il benestare generale non tutto fila liscio, con aerei che restano a terra e droni che precipitano. Le iniziative per riorganizzare il Governo in modo razionale inserendo nell’organigramma nuove figure apicali col compito di sgravare il capo-dipartimento sono puntualmente fallite. Sempre si è temuta l’esplosione dei costi e un incremento abnorme del potere dell’amministrazione. Sta di fatto che la gestione di un simile «Tanker», o nave-cisterna (come la chiamano a Berna), succhia energie e inghiotte risorse, rendendolo poco appetibile.

Per fortuna finora il sistema ha retto. Caso unico al mondo, con i suoi sette membri (numero invariato dal 1848), il Consiglio federale non ha almeno apertamente nemici che brigano per riformarlo alla radice. I tentativi, che pur non sono mancati nel corso dei decenni, di farlo eleggere direttamente dal popolo non sono mai andati in porto. E si capisce: nessuno ha interesse a sovvertire un sistema fondato su un’impalcatura di delicati equilibri: partitici, linguistici e regionali (un tempo anche confessionali, cattolici e protestanti). È un consesso che garantisce soprattutto stabilità e continuità, ovvero assenza di sorprese spiacevoli come una crisi di Governo. Chi esce di scena lo fa solitamente in punta di piedi, come conclusione naturale di un percorso. Strana creatura, il Governo centrale. Solo alcuni dei suoi membri restano conficcati nella memoria collettiva

per particolari meriti o per la durata del mandato. I più svaniscono nelle nebbie della dimenticanza, per ricomparire soltanto nei repertori degli storici (tra questi spicca l’opera di Urs Altermatt, autore che al Consiglio federale e ai suoi protagonisti ha finora dedicato tre volumi e una galleria di ritratti disponibile – in seconda edizione – anche in italiano presso l’editore Dadò). Difficile anche trarre un bilancio dell’opera dell’uno o dell’altro (o dell’altra), dei risultati raggiunti, dei progetti rimasti sospesi. Da segnalare infine questa particolarità, molto elvetica: al di fuori del bacino elettorale di riferimento, che è di solito il Cantone, pochi osservatori possono dire di conoscere davvero i candidati in lizza con i loro pregi e difetti. Solo chi frequenta il Palazzo sa inquadrarli e valutarli. Per la maggioranza della popolazione i prescelti rimangono dei perfetti sconosciuti fino al giorno dell’elezione.

di Aldo Cazzullo
di Orazio Martinetti

CULTURA

Novità musicali

In due imperdibili uscite: le atmosfere profonde dell’irlandese Hozier e le sperimentazioni jazz del ticinese Ivano Torre

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Immersione nell’editoria ticinese Da L’eco del sì di Sganzini alle riflessioni di Sargenti su Manzoni e la Svizzera italiana, passando per romanzi, poesie e Cartoline dal nord

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L’aleatoria cattura del momento

Teatro Pan, da mezzo secolo in scena Dalle piazze alle scuole, un faro di creatività, educazione e impegno sociale svolto con passione nel territorio luganese dal 1975

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Mostre ◆ A Bologna l’affascinante dialogo tra alcune opere di Morandi e quelle dell’artista svizzera Silvia Bächli

Cinque opere d’arte dell’artista svizzera Silvia Bächli sono poste su una parete. Negli altri tre lati della stanza sono posizionate le nature morte create da Giorgio Morandi, il noto pittore e incisore italiano morto nel 1964. Le opere d’arte dell’una e dell’altro non si limitano a condividere una delle stanze del complesso che ospita il MamBO, il Museo d’arte moderna di Bologna. Quelle opere conversano. Dialogano visivamente tra loro, riecheggiando tonalità e creando una linea prospettica in movimento che attraversa tutte le pareti. È ciò che hanno voluto l’artista Silvia Bächli e il curatore Lorenzo Balbi quando hanno pensato all’istallazione artistica before, ospitata al Museo Morandi (nelle sale del MamBO) fino al 30 marzo, insieme alla mostra permanente del Museo: 250 opere di Morandi, tra cui dipinti a olio, acquerelli, acqueforti e disegni. Una collezione organizzata in un percorso cronologico che illustra le diverse fasi artistiche del pittore, evidenziando la sua evoluzione stilistica e tematica.

«Si tratta di un dialogo tra le opere di Morandi e la contemporaneità», ha spiegato ad «Azione» Lorenzo Balbi. «La mostra si propone di aggiornare la lezione morandiana, mettendola in relazione con la ricerca contemporanea. Silvia Bächli è una delle artiste più rilevanti a livello internazionale per la sperimentazione sul medium pittorico e ci è sembrato naturale invitarla a Bologna per riflettere sul maestro Morandi e sull’attualità delle sue suggestioni», ha continuato il curatore della mostra e direttore del Museo Morandi.

Giorgio Morandi (bolognese, classe 1890), è stato uno dei pittori italiani più influenti del Novecento, noto per le sue nature morte essenziali e sospese nel tempo. La sua arte si distingue per un approccio intimo e meditativo, basato su una ricerca incessante della luce, del colore e della composizione. Attraverso la ripetizione di oggetti semplici (bottiglie, vasi, scatole) Morandi ha esplorato le infinite possibilità della pittura, dimostrando come variazioni minime potessero generare emozioni profonde.

Considerato un maestro della modernità, Morandi ha influenzato generazioni di artisti con la sua capacità di sintetizzare l’essenza delle cose. Tra questi senza dubbio rientra Silvia Bächli, che conosceva e apprezzava l’opera di Morandi già prima di questa esperienza, come ci ha raccontato lei stessa: «Giorgio Morandi è stato un riferimento fin dagli anni dell’adolescenza, quando tutti noi provavamo a replicare uno dei suoi dipinti: naturalmente, era un compito impossibile».

Anche agli occhi più attenti e sensibili le opere di Morandi e di Bächli potrebbero sembrare lontane anni luce le une dalle altre. Silvia Bächli, nata nel 1956 a Wettingen, si concentra sulla linea e sulla forma, con opere che oscillano tra astrazione e figurazione, attraverso l’uso di materiali come inchiostro, carboncino e gouache. Il suo stile si distingue per l’eleganza minimalista e la padronanza della linea, che esplora i confini tra astrazione e figurazione.

Usando il corpo e i suoi movimenti come punto di partenza, il suo lavoro prende forma intorno a espres-

sioni considerate parte della sfera del sensibile. In questo modo Bächli presenta una realtà fatta di frammenti e impressioni. Il risultato non sono solo «momenti pittorici», ma questi sembrano avere una predisposizione cinematica nel catturare corpi, oggetti e i loro dettagli, ma anche paesaggi, gesti, strutture e processi. Sono storie senza un inizio o una fine, che catturano un determinato momento. La palette cromatica di Bächli è caratterizzata da tonalità che vanno dal grigio chiaro al nero profondo, con occasionali accenti di colori più vividi. Questa scelta cromatica con-

tribuisce a creare un’atmosfera intima e meditativa nelle sue opere, invitando lo spettatore a una contemplazione profonda.

E allora, cosa ha avvicinato Silvia Bächli al lavoro di Morandi tanto da spingerla a cercare con il maestro bolognese un dialogo vero? Durante una sua visita a Casa Morandi a Bologna, in Bächli scattò qualcosa. «Quella scintilla per me sono stati i suoi pigmenti, notati su uno scaffale a Casa Morandi: sono rimasta colpita dalla brillantezza e dalla varietà delle tonalità, che di certo non sono ciò che solitamente associamo a Mo-

randi, ma che esistono sulle sue tele, nascoste tra i toni smorzati. Se guardiamo da vicino le sue tele, ai bordi o lungo le linee dei vasi e degli oggetti, si possono vedere emergere questi colori, ed è stato proprio questo il mio punto di partenza», ci ha raccontato l’artista.

Da questa epifania è partita la ricerca artistica di Bächli nel proprio universo artistico e in quello di Morandi. Trovando un’infinità di convergenze, a partire dall’approccio all’arte.

Lo stesso titolo della mostra, before, vuole sottolineare l’importanza del tempo e del processo. Bächli, come Morandi, dedica molto tempo alla preparazione artistica di un’opera. Un processo di riflessione, quasi meditativa, durante la quale l’opera dialoga con l’artista… ma con i suoi tempi. Quei tempi necessari a scegliere i pigmenti giusti, alla stesura della pennellata, alla ricerca dell’equilibrio perfetto tra le opere. L’impressione che si ha quando si entra nella sala del Museo Morandi dedicata all’esposizione before è che nulla sia stato lasciato al caso. Un’impressione confermata dal curatore Lorenzo Balbi.

Dopo la visita di Silvia Bächli a Casa Morandi e dopo aver compreso il legame che l’artista elvetica stava sviluppando con il maestro bolognese, è arrivata la decisione di creare qualcosa appositamente per il Museo Morandi. «L’ingaggio con l’artista è stato ancora più profondo – racconta Balbi – perché lei stessa ha chiesto di esporre le sue opere accanto a quelle di Morandi. Abbiamo accolto questa richiesta con piacere e lavorato insieme alla selezione delle opere più adatte. Silvia Bächli ha scelto otto nature morte ad olio su tela dipinte da Morandi negli anni Cinquanta, gli ultimi della sua carriera. La scelta non è stata casuale. In quel periodo, nel 1959, Morandi aveva l’età che Silvia Bächli ha oggi, il che ha creato un ulteriore livello di dialogo tra le loro esperienze artistiche. Le nature morte di Morandi e le nuove opere di Bächli sono state quindi allestite secondo un preciso equilibrio compositivo, risultato di settimane di studio e ricerca».

Un equilibrio che permea l’intera sala. Che evidenzia la sorprendente attualità dell’arte di Giorgio Morandi, capace di risuonare nelle indagini contemporanee di Silvia Bächli.

Dove e quando

Silvia Bächli. before Bologna, Museo Morandi (Via Don Minzoni 14). Orari: ma e me 14-19; gio 14-20; ve, sa, do e festivi 10-19. Fino al 30 marzo 2025. Info: www.museibologna.it

Silvia Bächli, Farbfeld 019, 2024 (Courtesy l’artista e Galleria Raffaella Cortese Milano)
Mario Messina

Prendersi cura di tutto con tetesept

Tornare sui propri passi

Musica – 1 ◆ L’edizione ampliata dell’ultimo disco del cantautore irlandese Hozier lo conferma come una realtà imprescindibile all’interno dell’attuale scena pop-rock

Questo articolo è dedicato a coloro che, al pari di chi scrive, non mancano mai di lamentare come, oggigiorno, l’accezione più popolare e mainstream della scena pop-rock non brilli esattamente per raffinatezza o cultura: ascoltatori perlopiù disillusi, i quali, però, sanno riconoscere un’eccezione quando ne vedono una – e che, di conseguenza, sono in grado di apprezzare l’integrità e sincerità di un nome di richiamo (il cui momento di massima fama risale, in effetti, a qualche anno fa), tuttora capace di incidere brani di grande impatto.

Mi riferisco al 34enne cantautore irlandese Hozier, salito alla ribalta nel 2013 grazie al successo vertiginoso della sua ballata Take Me to Church, uno dei pezzi più efficaci degli ultimi anni; un artista ancora giovane ma non esattamente prolifico, il quale, tuttavia, ha appena fornito un’ulteriore prova della propria onestà e coerenza compositiva con la recente pubblicazione di Unreal Unearth: Unending, versione ampliata del suo terzo album, risalente al 2023. Si tratta infatti di un’edizione nella quale l’autore ha deciso di includere diverse tracce extra, all’epoca escluse dalla tracklist originale: il risultato è un’opera ancora più completa, la quale, lungi dall’accettare di piegarsi alle sonorità idealmente più commerciali, riesce a creare un equilibrio pressoché perfetto tra le necessità del pop-rock radiofonico e quelle del cantautorato alternativo. Il che permette a Hozier di mantenere intatto uno stile ormai collaudato, caratterizzato da riferimenti di tipo storico e letterario particolarmente intriganti, in quanto per nulla scontati. Una tendenza che, del resto, risplende già in Eat Your Young, prescelto come singolo apripista al tempo dell’uscita dell’album: un vero e proprio tour de force all’interno dell’ambiguità lirica da sempre tanto cara al cantante, qui alle prese con una rievocazione della caustica satira che, in risposta alla devastante povertà settecentesca del popolo irlandese, lo scrittore Jonathan Swift (sì, proprio quello de I Viaggi di Gulliver) rivolse ai politici inglesi – suggerendo come i mendicanti avrebbero fatto meglio a vendere i propri figli per farne (letteralmente) cibo per ricchi.

E in effetti, in Unreal Unearth: Unending, il gioco dei rimandi colti coinvolge quasi tutti i brani della tracklist, legati tra loro da un evidente fil rouge – ovvero, quello del trapasso, qui inteso come momentanea dissoluzione corporea e metafisico viaggio in un’altra dimensione: non a caso, l’intero lavoro è stato ispirato da una rilettura della Divina Commedia, in particolare dell’Inferno, come evidenziato dalla ballata Francesca, incentrata sul tragico legame con Paolo che fa della protagonista la metà femminile dei celebri amanti, da Dante relegati a un infausto destino; oppure lo straziante lento I, Carrion (Icarian) –in cui la morte di Icaro diventa una riflessione romantica basata sulle assonanze linguistiche – o il lapidario All Things End, il cui videoclip mostra esplicitamente la morte all’opera su un tavolo operatorio, tracciando un parallelo tra la dipartita fisica e la fine di un amore («ogni cosa finisce / e tutto ciò che intendiamo compiere è costruito sulla sabbia»).

Tuttavia, la vera gemma di quest’album sono le tracce extra, semplici outtakes ora promossi al rango di brani a tutti gli effetti, quasi tutti già pubblicati in due EP usciti nel corso del 2024 – tranne l’inedito Hymn to Virgil, pezzo di grande forza espressiva che ci accompagna di nuovo negli abissi dell’ignoto, dove Dante viene condotto dal suo mentore Virgilio; mentre il suggestivo Empire Now vede

una riflessione sulla fragilità tramutarsi in una strenua, disperata rievocazione dell’indipendenza irlandese dall’impero britannico. Eppure, anche nel mezzo di tanta aspra intensità, Hozier sa offrire all’ascoltatore aperture all’ironia e a quella che, nonostante tutto, si potrebbe definire una forma di scanzonata fiducia nel futuro – come in Too Sweet, esempio da manuale del genere di ballata d’amore equivoca e disturbante da sempre cara all’autore; o Fare Well, che sembra addirittura suggerire la possibilità di una guarigione emotiva dall’infinito dolore di un amore malato.

E se è vero che, pur in questa versione «riveduta e corretta», nemmeno Unreal Unearth può del tutto competere con l’immediatezza dell’album d’esordio di Hozier, il CD rappresenta comunque una nuova, gradita conferma dell’integrità di un artista che, lungi dall’arrendersi a un qualsiasi cliché, ha deciso di correre più di un rischio con quest’ultimo disco – si vedano, ad esempio, le nenie gaeliche di De Selby (Part 1) e To Someone From a Warm Climate (Uiscefhuaraithe). Il che porta a pensare che il giovane Hozier, con i suoi brani ricchi di riferimenti letterari e mitologici, le ossessive metafore e gli oscuri simbolismi d’altri tempi, abbia tutte le carte in regola per promettere di rimanere ancora a lungo uno dei cantautori più originali e creativi dell’attuale scena pop-rock angloamericana, e non solo.

Il jazz del bosco

Musica – 2 ◆ Il batterista Ivano Torre racconta il suo nuovo album Cantus Avium, di ispirazione… ornitologica

Alessandro Zanoli

Non sarà il disco più accattivante che abbiate mai sentito, ma dopo aver ascoltato il suo artefice raccontare l’origine di questa pubblicazione, non potrete non esserne incuriositi. Ivano Torre, percussionista bellinzonese attivo da molti anni sulla scena musicale con una serie di proposte sempre estremamente originali e imprevedibili, si è confrontato in questo suo ultimo lavoro con il canto degli uccelli, che è diventato un suo ambito di studio e di ricerca, in particolare nel periodo del lockdown. «Sono sempre stato affascinato dall’aspetto musicale del mondo naturale» ci ha raccontato. «Come artista e come amante della natura. Mi capita spesso di camminare nei boschi e di fermarmi ad ascoltare questi meravigliosi canti. Finché, a un certo punto, ho pensato di farli diventare la traccia guida di un lavoro». Torre, oltre a essere un valente performer, è anche un profondo ricercatore nel mondo dei suoni, e ha quindi iniziato a registrare il canto di alcune specie di uccelli, tra cui alcune tra le più comuni nei nostri boschi. Pettirosso, fringuello, tordo, merlo, barbagianni, cardellino e usignolo gli hanno fornito quindi la materia prima per un viaggio di esplorazione, potremmo dire, «microscopica» in un mondo sonoro assolutamente inaspettato. «Ho cominciato a cercare un tratto comune nel canto di quelle varie specie e mi pareva di averlo trovato in una cellula ritmica minima, una frase musicale tenuta su un tempo di sette ottavi. Ho chiamato questa cellula sonora “codice” e ognuna delle composizioni che ho creato ne contiene una for-

ma specifica per ogni specie». Oltre a questa componente ritmica, Torre ha poi elaborato il frammento di canto, rallentandolo fino a mille volte con un programma di trattamento digitale del suono. Il risultato dell’esperimento si è dimostrato sconvolgente: «Un piccolo estratto dal canto di merlo, ad esempio, ha rivelato caratteristiche incredibili. Se noi rallentiamo di mille volte un frammento di parlato umano, non sentiamo praticamente più nulla, solo un brontolio molto basso. Gli uccelli invece modulano il loro canto su frequenze altissime, che, rallentate, riescono ancora a produrre suoni all’interno della gamma che noi possiamo udire. E quello che si sente è semplicemente straordinario».

Torre ci fa ascoltare questa nuova versione rallentata del canto del merlo. E quello che si può percepire, incredibilmente, è una composizione sinfonica fantascientifica, fatta di suoni lunghi e armoniosi, ma anche di scricchiolii, di rintocchi percussivi, di timbri di strumenti mai esistiti, con una sua bellezza coinvolgente e quasi miracolosa. «In pratica» continua il batterista, «ho semplicemente cercato di trascrivere questi brani, che la natura stessa fornisce, in partiture visuali che io con le mie percussioni insieme al pianista Carlo Maria Nardoni abbiamo eseguito e registrato negli studi di Rete Due Rsi».

Il disco, intitolato Cantus Avium, è edito da Altrisuoni; ha all’interno della copertina la riproduzione delle partiture stesse, che si presentano in forma di grafici iconografici, simili a quelli dei grandi compositori del Novecento, come Berio o Stockhausen: più che spartiti nel senso tradizionale sono indicazioni di intenti che i musicisti interpretano secondo un preciso e preordinato percorso cronometrico. Non mancano, infatti, nonostante la trama apparentemente aleatoria e improvvisativa, degli ostinati suonati all’unisono, parti coordinate tra i due strumentisti. Il tutto per dar forma a un’esperienza d’ascolto davvero straordinaria e sorprendente che conferma il genio imprevedibile del bravo e coraggioso Ivano Torre. Musicista che non si accontenta del «già sentito» ma cerca sempre nuove vie di espressione per la sua unicità artistica.

Scansiona ora e inizia subito:

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La simbolica cover del nuovo album di Hozier, all’anagrafe Andrew John Hozier-Byrne.
Cantus Avium, un’esperienza d’ascolto dal sapore unico.

Tracce culturali lungo frontiere condivise

Saggio letterario ◆ L’ultimo libro di Lorenzo Sganzini è dedicato alla ricerca dei luoghi e dei simboli

«Sono partito dal duomo di Milano seguendo l’indicazione di Giovanni Pozzi a proposito di una spinta religiosa che è anche culturale. Ma c’ è dell’altro. A ricordarmelo è un foglietto di appunti che tengo accanto al computer: “…spinta culturale da sud: vedi Milano; cultura e religione: sempre Milano e Carlo Borromeo (approfondire le visite pastorali); cercare nelle chiese le parole (cioè la lingua) e le immagini; guardare oltre la religione: di nuovo Milano, Risorgimento, esuli, arte; controspinta dal nord. Riforma e Controriforma”».

Lorenzo Sganzini è stato autore, un paio di anni fa, di In Svizzera. Sulle tracce di Helvetia (Mendrisio, Gabriele Capelli editore, 2022), sorta di viaggio condotto con buon piglio alla ricerca delle simbologie letterarie, monumentali, artistiche eccetera dell’idea di Svizzera e in parte dell’idea sorella di Svizzera italiana. Vi erano presentate e discusse le rappresentazioni artistiche, la tradizione di taluni luoghi sacri del Paese come il Ridotto nazionale o il Passo del Gottardo, la concezione dei confini, le rappresentazioni geografiche e cartografiche, l’importanza e la portata simbolica delle vie di comunicazione alpine, le religioni e, ovviamente, le lingue.

Quel libro era stato un’opera decisamente orientata alla dimensione elvetica, che aveva lasciato in secondo piano e tutto sommato quasi rinviata la riflessione a proposito di una magnifica ossessione di gran parte della produzione letteraria e saggistica della Svizzera a noi più prossima, il tema dell’essenza e delle forme dell’italianità del Paese. Una italianità che da sempre assume geometrie diverse: quella essenziale del territorio geografico tradizionale ticinese e grigionitaliano, l’espressione nelle al-

Renato Simoni

La costruzione della linea ferroviaria Lugano-Chiasso

Fond. Pellegrini Canevascini

1873: l’immagine di migliaia di lavoratori impegnati nella costruzione della ferrovia Lugano-Chiasso evoca un momento storico cruciale per il Ticino. Non solo un’impresa ingegneristica, ma un vero e proprio banco di prova sociale che Renato Simoni indaga nel suo nuovo libro. Il suo studio evidenzia come l’afflusso di lavoratori, prevalentemente italiani, abbia avuto un impatto significativo sull’industria locale e sulle infrastrutture sanitarie. Ospedali come il San Giovanni di Bellinzona e il Santa Maria di Lugano furono chiamati a fronteggiare una vera e propria emergenza sanitaria, tra incidenti sul lavoro e malattie. Documenti inediti e una narrazione coinvolgente, svelano dunque come la ferrovia abbia trasformato l’economia, la sanità e la vita quotidiana di un’intera regione. Un viaggio nel passato che restituisce identità e voce a protagonisti dimenticati, tra successi e drammi di quest’impresa colossale: colmare la distanza tra Lugano e Chiasso non fu solo una questione tecnica. Questo volume è dunque molto più di una semplice ricostruzione storica di una grande epoca di trasformazione: è un tributo a quei lavoratori, le cui storie, sepolte nelle carte d’archivio, riemergono con forza e nitidezza.

tre regioni della Svizzera o ancora la tentazione continua di un equilibrio culturale finalmente pacificato con la madrepatria d’Italia. È così che giunge quasi annunciato l’appuntamento con L’eco del sì. Presenze di cultura italiana in Svizzera, che esce ora presso l’editore Giampiero Casagrande di Lugano e che chiarisce fin dalle prime pagine l’esigenza di ricercare «luoghi capaci di raccontare qualcosa sui rapporti tra la Svizzera e la cultura italiana». Il libro è retto da una gradevole narrazione che potremmo definire “itinerante”, che si appoggia principalmente sulla capacità evocativa di luoghi via via raggiunti, cui legare simboli, figure di mediazione, agenzie del sapere, libri. In entrata, il viaggio non può non registrare le testimonianze sul territorio e il loro spirito essenzialmente locale. Così il culto di Carlo Borromeo, che affratella le terre della Svizzera italiana alla Lombardia (di San Carlo «nel solo Ticino si contano 351 dipinti, 78 reliquiari e 38 statue»), è introdotto dall’immagine dell’affascinante struttura interna della chiesa romanica dei santi Pietro e Paolo a Biasca, costruita sulla roccia, che affiora primigenia nell’edificio, e che contiene un ciclo di affreschi raffiguranti la vita del santo; poco accanto, quasi per una ulteriore sottolineatura, sorge un altro edificio sacro dedicato molti secoli dopo allo stesso San Carlo. Più avanti, in tutt’altro contesto, colpirà la dolente visita alla Villa Favorita di Castagnola, sede dismessa da decenni di memorabili mostre del passato, nel contesto della Collezione Thyssen-Bornemisza poi migrata a Madrid. L’edificio è significativamente malconcio: ci si è premurati di portare via tutti i quadri di pregio e di rimuovere le maniglie delle porte, ma è stato lasciato, con gesto disattento e irrispettoso, il ritratto di

Dario Galimberti

Una lezione di rivalsa Indomitus Publishing

Un omicidio efferato, un poliziotto tormentato dal passato e una città avvolta nel mistero: in Una lezione di rivalsa, il giallista luganese Dario Galimberti intreccia noir e dramma psicologico nell’atteso ritorno del delegato di polizia Ezechiele Beretta, tanto amato dai lettori ticinesi. In questo nuovo giallo storico, la scena del crimine, inquietante e oscura, segna l’inizio di un’indagine che scava nelle profondità della giustizia personale. Beretta e il suo compagno Bernasconi si trovano di fronte a un caso in cui ogni pista sembra condurre a un enigma più grande, e la verità, tra inganni e vendette, appare sfuggente. Il romanzo, tenendo alta la suspense fino all’ultimo capitolo, esplora la psicologia dei protagonisti e i luoghi simbolici di un Ticino misterioso, dove il passato non è mai del tutto sepolto.

una donna opera di Luigi Rossi, «forse il più rappresentativo tra i pittori ticinesi del periodo a cavallo tra Otto e Novecento».

L’opera di Lorenzo Sganzini insiste molto sul libro e sulle sue istituzioni, sui luoghi della sua conservazione. A San Gallo, l’abbazia benedettina e la biblioteca costituiscono l’esempio più vivido del culto del documento medievale, centro di trascrizioni di codici e di custodia del sapere; la tappa in quei luoghi è pure occasione per un discreto sondaggio dell’ipotesi che Umberto Eco vi avesse soggiornato preparando il Nome della rosa: lo sostengono alcuni siti internet, quantificando in qualche mese il periodo della visita in città dello scrittore e semiologo; ma il fatto resta indimostra-

Vera Lombardi Comunità e dissenso Armando Dadò editore

Negli anni Sessanta, il Ticino fu attraversato da un’ondata di cambiamenti sociali e culturali che mise in discussione molte certezze tradizionali. In questo contesto, una figura emerse come simbolo di resistenza e innovazione: padre Callisto Caldelari. Animato da una visione progressista e da un forte senso di giustizia, il frate non temeva di confrontarsi con temi scottanti come il divorzio, la sessualità e l’aborto, in un momento in cui la Chiesa cattolica manteneva posizioni rigide. Fu in quel periodo che, assieme a un gruppo di coppie conosciute durante i corsi per fidanzati a Bigorio, fondò l’associazione Comunità Familiare, destinata a diventare un punto di riferimento per il dibattito sociale e religioso. Il volume curato da Vera Lombardi ripercorre le vicende di questo movimento, intrecciando le voci dei protagonisti con i documenti dell’epoca. Attraverso una rigorosa analisi delle fonti e un approccio empatico, la studiosa ticinese ci restituisce una narrazione avvincente di un momento cruciale per la storia del cantone. L’opera, oltre a essere un contributo alla storiografia locale, è anche una riflessione sulle tensioni tra conservazione e cambiamento che ancora oggi attraversano la società.

to e misterioso, come molte cose relative a quel romanzo. Tanti posti visitati da Sganzini sono luoghi variamente legati ai libri: le storiche tipografie nel borgo di Poschiavo, critico crocevia geografico, linguistico e di confessioni religiose; i fondi di Giuseppe Prezzolini, Massimo Mila, Guido Ceronetti, Fulvio Tomizza depositati presso istituzioni svizzere e svizzere italiane; le attività di pubblicazione settecentesche e ottocentesche avviate dalla storica tipografia Agnelli di Lugano: «I volumi della Bibliografia ticinese dell’Ottocento segnalano 5586 edizioni di almeno 9 pagine pubblicate tra il 1800 e il 1899», per la maggior parte uscite nei primi decenni del secolo. Impressionano, e il lettore trarrà gran-

Renato Martinoni Ricordi di suoni e di luci Manni Editore

Con una commozione che sembra attraversare il tempo, una donna nascosta dietro un velo, pronuncia il nome di Dino Campana. Si è fermata davanti alla lapide del poeta, di cui dice il nome prima di allontanarsi senza mai svelare il proprio volto. Il romanzo del filologo locarnese Renato Martinoni, Ricordi di suoni e di luci – Storia di un poeta e della sua follia uscito il 17 gennaio di quest’anno (e candidato allo Strega), è un viaggio nell’anima tormentata di Campana, dalla sua ricerca instancabile di bellezza alla spirale discendente che lo porterà alla reclusione. La storia intreccia la vita del poeta alla finzione, con momenti di lucidità e follia che si confondono, rivelando una figura fragile e geniale. Un racconto che esplora i confini tra realtà e pazzia, in un contesto che mescola il sublime con l’oscuro.

de profitto dalle pagine loro dedicate, la fondazione Bodmer di Cologny e la Biblioteca Oechslin ad Einsiedeln. Ad esempio, la prima conserva «150’000 documenti in 120 lingue con centinaia di papiri, di manoscritti medievali occidentali e orientali, 270 incunaboli tra cui uno degli esemplari ancora esistenti della Bibbia di Gutenberg e la più antica copia manoscritta del Vangelo secondo Giovanni».

Tra i percorsi possibili di questo itinerario alla ricerca delle presenze reciproche della cultura italiana in Svizzera e svizzera in Italia ci sono anche quelli legati ai centri di diffusione del sapere e della cultura; «sono gli studi e il luogo dove si studia a determinare il nostro sguardo sul mondo»:

Cindy Fogliani Taxio e l’anomalia universale Gente Sana

Cosa succede quando un alieno proveniente da Koinous decide di osservare il caos umano sulla Terra?

La risposta arriva in modo originale e ironico grazie a Taxio e l’anomalia universale di Cindy Fogliani. Arrivato sul nostro pianeta con l’intento di capire come una specie che si definisce «intelligente» possa comportarsi in modo tanto irrazionale, Taxio diventa il testimone delle disfunzioni della società terrestre, come si evince dal sottotitolo: consumismo, automazione, misure Covid, crisi energetica e tante altre chicche dal pianeta Terra, viste da occhi alieni, senza dimenticare i comportamenti bizzarri e le ossessioni dei suoi abitanti.

La raccolta di racconti, pubblicata mensilmente su Gente Sana dal 2018 al 2023, raccoglie 50 episodi di sagace osservazione, dove la realtà è amplificata dalla prospettiva extraterrestre. Questi racconti non sono solo comici, però: offrono anche spunti di riflessione sulle nostre contraddizioni quotidiane. Lo stile di Fogliani è asciutto e pungente, ma mai eccessivamente polemico. Anzi, l’ironia che permea le storie sembra indicare un’analisi lucida, come quella di un osservatore che non giudica ma esplora, scoprendo la tragicomica realtà delle nostre esistenze.

La Biblioteca Oechslin di Einsiedeln. (© Stiftung Bibliothek Werner Oechslin e Robert Rosenberg)

condivise

dell’elveticità in Italia

numerosi ticinesi prima dell’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo, nel 1882, sceglievano volentieri l’Italia per la loro formazione superiore; soprattutto le università di Pavia e Padova o l’Accademia di Brera, nella quale il «Regesto delle iscrizioni porta oltre mille nomi di ticinesi, alfabeticamente compresi tra Pietro Adamini e Giovanni Zuccotti». Anche qui, il viaggio di Sganzini tocca tappe e istituzioni diverse: l’ETH di Francesco De Sanctis, o Friburgo e la sua università: nell’inverno del 1948, un giornale locale annuncia la conferenza in città di Eugenio Montale, presentato per l’occasione da Gianfranco Contini. Sono, queste, figure di mediazione tra molte altre del libro, che, volendo, conducono verso ulteriori prospettive e altri avvenimenti culturali: il soggiorno dell’umanista Poggio Bracciolini alle terme di Baden («gli usi, i costumi, la piacevole maniera di vivere dovuta alla libertà estrema delle abitudini»), il viaggio a Basilea di Enea Silvio Piccolomini, Pio II («gli appartamenti sono così ben arredati e così puliti da superare quelli di Firenze»), i giudizi sugli svizzeri di Machiavelli e Guicciardini, le testimonianze di Giorgio Orelli e Mario Botta. Strada maestra del libro di Sganzini è ovviamente il ragionamento dedicato alla lingua italiana. Tra le immagini più riuscite di questo riuscito libro ci sono quelle che testimoniano la conquista spesso faticosa di un italiano dell’uso medio, che sapesse prendere le distanze dal latino e dalla varietà dotta ma anche dal dialetto, per consegnare finalmente anche alla comunità della Svizzera italiana un proprio codice naturale, quello di tutti i giorni espresso in uno scritto equilibrato e accessibile.

Quello della seicentesca Bibbia del lucchese-ginevrino Giovanni Diodati

è tutto teso a «una frase il più possibile lineare e diretta, nella quale appianare tutte quelle strutture sintattiche che avrebbero potuto pregiudicare la chiarezza e la semplicità del discorso». Ma soprattutto, quello dell’italiano nascente dei Sonetti di Petrarca è oggetto di una esperienza rivelatrice, colta sul codice basilese del 1554 conservato all’Archivio di Stato a Bellinzona.

Certo, dei rapporti linguistici e forse anche di quelli culturali nella Svizzera italiana, e soprattutto di una relazione più ampia che forse ancora non ha trovato la pace per tanto e tanto tempo auspicata, restano intense e marcanti le parole di quasi quaranta anni or sono del linguista Sandro Bianconi, nell’osservazione di un concreto e insieme metaforico contrasto architettonico e culturale nel suo stesso villaggio di origine, in una delle migliori immagini parlanti dell’essenza socioculturale svizzera italiana. Parole che ancora richiamano l’esempio dell’edilizia religiosa, sia essa nobile o rurale, e che sono rivelatrici di una sorta di destino dicotomico; frasi che non avrebbero forse stonato tra le pagine di questo comunque molto bel libro di Lorenzo Sganzini: «Il sagrato di Mergoscia, con la bellezza e l’armonia dei volumi, degli spazi e dei linguaggi architettonici “colti”, fortemente contrastanti con la rusticità dell’ambiente naturale e dei poveri insediamenti urbani circostanti; deve essere nato lì in me il senso dell’esistenza di due anime, due culture, due linguaggi come elementi costitutivi di questa terra lombarda».

Bibliografia

Lorenzo Sganzini, L’eco del sì. Presenze di cultura italiana in Svizzera, Lugano, Giampiero Casagrande editore, 2024.

Il verso alle cose

Poesie ◆ L’ordinarietà come luogo di scoperta, nelle opere di Buletti, Lupi, Di Corcia e Fariña

Le recenti pubblicazioni di tre raccolte poetiche offrono uno sguardo su voci diverse che esplorano, ciascuna con il proprio stile, temi come la natura, la memoria e la condizione umana. Aurelio Buletti, Laura Di Corcia con Begoña Feijoo Fariña, e Jonathan Lupi si muovono tra l’umorismo, la storia e l’osservazione scientifica, mettendo in evidenza la varietà delle prospettive nella poesia contemporanea ticinese.

Aurelio Buletti, scomparso nel 2023, ci ha lasciato in eredità Smilza raccolta di poesie sparse (Edizioni Casagrande), una raccolta che unisce riflessioni leggere e profonde sulla vita e la morte. In queste poesie, animate da immagini di animali come l’asino stanco, si trova il tono ironico e delicato che caratterizza la sua scrittura. Buletti continua a offrire, con semplicità, pensieri che oscillano tra leggerezza e riflessione.

In La parola alle cose (Armando Dadò Editore), Laura Di Corcia e Begoña Feijoo Fariña danno voce agli oggetti dei musei della Valposchiavo. Con il supporto delle foto-

Manzoni di qua dal confine

Pubblicazioni ◆ Un’antologia sul lungo rapporto della Svizzera italiana con l’autore dei Promessi sposi

Pietro Montorfani

Nel novero delle celebrazioni, passate in realtà piuttosto sottotono, che nel 2023 hanno ricordato anche da noi i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, si è segnalata per qualità e rigore un’iniziativa giustamente ambiziosa, curata da Aurelio Sargenti e dal compianto William Spaggiari per l’editore Giampiero Casagrande di Lugano, con prefazione di Angelo Stella (lui pure, nel frattempo, venuto a mancare). Si trattava in sostanza di mettere un po’ di carne attorno alla ben nota lapide di via Magatti che ricorda, dal 1923, gli anni luganesi del giovanissimo Alessandro, ospite del Collegio di Sant’Antonio tra gli undici e i tredici anni, nel triennio 1796-98. Quel lampo, coevo alle conquiste napoleoniche nell’alta Italia, è sempre stato l’emblema del rapporto di Manzoni con la Svizzera italiana: poca cosa, cui chi scrive aveva provato a suo tempo ad aggiungere qualche tassello (l’amicizia con la famiglia Airoldi, la presenza a Lugano di alcuni cugini, un processo di Bedano che anticipava alcune scene del romanzo, il tardo engagement di Manzoni per scongiurare la chiusura dell’odiata-amata scuola dei padri somaschi).

Spaggiari e Sargenti rovesciano radicalmente questa prospettiva e si chiedono, con il loro libro, quale sia stato invece il rapporto della Svizzera italiana con Manzoni e la sua opera: quali le pubblicazioni sue o su di lui uscite dai torchi ticinesi sin dagli anni venti dell’Ottocento, quali gli studiosi locali di cose manzoniane o le grandi firme italiane ospitate sulle nostre testate. Insomma tutta una piccola galassia di contributi distribuiti su un paio di secoli, costellata di nomi noti (da Giuseppe Mazzini a Giovita Scalvini, da Francesco Chiesa a Giuseppe Zoppi

giù giù fino agli Orelli, padre Pozzi, Gianfranco Contini, Dante Isella, Franco Gavazzeni, Remo Fasani) ma anche di episodi più marginali e però significativi di una lunga e radicata fedeltà. Si pensi al caso di don Francesco Maria Travella, che in veste di ispettore scolastico del distretto di Locarno si adoperò per far conoscere le opere di Manzoni sin dal 1834. O ancora a quello di Annina Volonterio, prima ticinese a laurearsi all’Università di Friburgo, che nel 1960 pubblicò a Torino un saggio precocemente dedicato alle Donne nella vita di Alessandro Manzoni. Né si può evitare di citare il nome di Romano Amerio, filosofo e latinista, che investì anni di ricerca nello studio e nel commento delle Osservazioni sulla morale cattolica (l’edizione uscì da Ricciardi nel 1965) e che ebbe la possibilità di accedere, tra i primi, alle carte e ai libri conservati nella tenuta di Brusuglio. Tolti i casi isolati dei professionisti di cose letterarie, l’impressione è che il Ticino amante di Manzoni si sia attivato quasi sempre – e qua-

si soltanto – in coincidenza degli anniversari: nel 1923, nel 1940, nel 1973 e ancora nel 1985, con l’intento non tanto di spingere avanti il perimetro delle ricerche, quanto di ricordarci il valore della nostra italianità (ma non c’è nulla di male). I meriti dell’antologia di Sargenti e Spaggiari stanno insomma anche in questa prospettiva storica, che permette di recuperare testi di autori celebri (Contini, Isella, Pozzi, Prezzolini) apparsi in sedi minori, come il «Messaggero serafico», «Scuola ticinese» o gli inserti dei quotidiani locali, e perciò quasi invisibili ai lettori italiani. Senza dimenticare l’unico vero inedito – e però preziosissimo – proposto dai curatori: una lezione di Adriano Soldini letta alla radio nel 1973 e dedicata proprio al tema che sta al cuore del libro, Manzoni e il Ticino.

Bibliografia Alessandro Manzoni e la Svizzera italiana, a cura di Aurelio Sargenti e William Spaggiari, Giampiero Casagrande editore, 2024.

Una finestra privilegiata

Corrispondenze ◆ Da ticinese, Mario Frasa ci regala una serie di riflessioni sull’essere svizzero tedeschi

grafie di Maria Svitlycha, le poetesse creano un dialogo tra il passato e il presente, restituendo una nuova vita agli oggetti del Complesso Aino, di Casa Besta e di Casa Tomé. Il loro lavoro, che attraversa memorie storiche e osservazioni poetiche, invita a riflettere sul valore degli oggetti e sulla loro relazione con l’esperienza umana.

Ecosistemi (Dadò Editore) di Jonathan Lupi combina invece la precisione scientifica con una sensibilità attenta alla natura e al quotidiano. Lupi, docente di scienze naturali in Ticino, osserva il mondo naturale attraverso una lente scientifica, ma con un approccio personale. Le sue poesie esplorano il dettaglio della vita e dei suoi cicli, trovando nella quotidianità spunti di riflessione che intrecciano oggettività e introspezione. Queste tre raccolte, ognuna con il proprio stile, mostrano un interesse comune per la tensione tra l’osservazione del particolare e la riflessione su temi più ampi, offrendo spunti di lettura sulla complessità della vita e della natura.

Come tutti gli expat, anche il ticinese che si trasferisce a vivere Oltre San Gottardo si ritrova in una sorta di no man’s land in cui fa parte di un nuovo luogo, pur non facendone mai davvero parte fino in fondo (perlomeno all’inizio). Lo stato di sospensione in quello che si trasforma in una sorta di limbo, però, porta con sé anche degli evidenti vantaggi, offrendo un osservatorio privilegiato; in altre parole, garantendo quella giusta distanza dalle cose che ci permette di vederle nel loro insieme.

È un po’ così che immaginiamo debba essersi sentito anche il ticinese Mario Frasa, alle prese con una città stratificata come Zurigo, di facile comprensione solo a uno sguardo distratto, ma che si rivela sempre più complessa a mano a mano che la si indaga. In questo senso, le Cartoline dal Nord edite da Pagine d’Arte vogliono in qualche modo essere una risposta speculare alle Lettere iperboliche di Francesco Chiesa risalenti all’inizio del 900. Come faceva Chiesa, seppur in chiave più morbida, dall’osservatorio privilegiato di

cui sopra, Frasa osserva usi e costumi di una società per molti versi funzionante in un modo altro rispetto al nostro. Ed è così che lo storico Café Mohrenkopf del Niederdorf, dopo decenni di attività, si è visto costretto a modificare il proprio nome sulla scia di una cultura woke che si insinua a ogni livello della società, mentre a poche centinaia di metri di distanza ancora imperversano le polemiche sul «prestito» della controversa Collezione Bührle ai nuovi, imponenti spazi del Kunstmuseum. Ma Oltre San Gottardo si possono trovare anche inattese sorpre-

se, come un cimitero avvolto dalla nebbia in cui James Joyce dialoga in religioso silenzio con Elias Canetti, oppure un carnevale fragoroso come quello basilese, o ancora, l’arguzia del cantautore Mani Matter, scomparso prematuramente nel 1972 (ma a oggi indimenticato). Peccato che i testi ogni tanto perdano la loro patina di «considerazioni fuori dal tempo» (garantita loro da una buona scelta linguistica) a causa degli accenni al periodo del Covid dove, anche a Zurigo, quasi tutto era fermo. I testi di queste Cartoline, come illustrato nella prefazione dello stesso Frasa, riprendono quelli pubblicati tra il 2021 e il 2023 su «Cenobio», e sono arricchiti dagli interventi grafici dell’artista bernese Han Ulrich Siegenthaler. Chiude il libro (forse un po’ a sbalzo), un breve e vivace testo su una città che è un po’ l’antitesi di tutto ciò che Zurigo rappresenta: Napoli. / Si.Sa.

Bibliogfafia Mario Frasa, Cartoline dal Nord Tesserete, Pagine d’Arte, 2024.

Una rivoluzione che dura da cinquant’anni

Teatro ◆ Dal 1975, quella del Teatro Pan di Lugano è una storia di spettacoli itineranti, impegno sociale e dialogo culturale, dalle piazze alla scena contemporanea

Giorgio Thoeni

In Europa, dopo la metà degli anni Settanta, il cosiddetto terzo teatro aveva già suscitato interesse un po’ dappertutto trascinando l’entusiasmo di molti giovani operatori del settore (o aspiranti tali) che vedevano nella scena alternativa la potenzialità per uscire dalle sale istituzionali e conquistare le piazze. Sulla scia americana del Living Theater e dei Bread and Puppet, dei catalani Els Joglars e Els Comediants, dell’Odin Teatret di Eugenio Barba nato da una costola del regista polacco Grotowski, solo per citarne alcuni, il teatro subiva uno scossone, nascevano gruppi spontanei, altri organizzati o altri ancora che si facevano conoscere con nuove tecniche e pratiche di spettacolo. Senza dimenticare quanto era successo in Italia nel 1969 con l’Orlando Furioso di Luca Ronconi, un prototipo di spettacolo globale e itinerante che ha certamente influenzato molte forme teatrali d’avanguardia. Tornando al terzo teatro, se non lo si vuole ingabbiare in definizioni, almeno deve farci considerare il cambio di registro di una scena che vuole porsi in alternativa.

Per un pubblico di ragazzi

Succede anche in Svizzera. Nell’area romanda per esempio assistiamo alla nascita di gruppi come il Théâtre Trec, il Théâtre O, il Théâtre Tel Quel, come altri anche nell’area germanofona con un teatro spesso rivolto a un pubblico di ragazzi. Un fenomeno che nel 1973 porta alla nascita dell’Astej (Association suisse du théâtre pour l’enfance et la jeunesse), l’associazione svizzera del teatro per l’infanzia e la gioventù che raggruppava persone e gruppi con lo scopo di scambiarsi informazioni sui problemi della ricerca e del riconoscimento del teatro al servizio di quella fascia di pubblico.

Il contagio si estende alla nostra regione con l’esigenza di leggere la scena con una funzione più sociale.

Teatro Panzinis’ Zirkus

Ed è proprio con questo spirito che nel 1975 viene fondata la Cooperativa di animazione culturale Teatro Panzinis’ Zirkus che fin dalle sue prime mosse si pone il problema dell’animazione diretta come maniera di intervenire nel campo dei bambini con spettacoli itineranti per un dialogo con la popolazione e la scuola, dove il teatro e l’infanzia possono essere protagonisti.

«Eravamo dei giovani che avevano fatto la scuola pedagogica di animatore socioculturale, ci avevano promesso un centro di animazione culturale a Lugano: avevamo un progetto che però non è mai andato in porto. Insieme abbiamo creato una Cooperativa che oltre all’animazione comprendeva anche il teatro e ci siamo immaginati di essere dei nomadi, il motivo per cui avevamo messo il nome Zirkus». Così raccontava Vania Luraschi (19422019) in occasione del quarto decennale di un’avventura divenuta Teatro Pan e di cui aveva preso le redini.

«Come tutti in Europa in quel momento, abbiamo cominciato a fare animazione teatrale dappertutto, in Italia, in Francia e così via. Facevamo animazione con i ragazzi ma anche con gli adulti. Nel 1977 abbia-

mo inventato il primo Festival Internazionale del Teatro che ai tempi si chiamava Giostra del Teatro, ed era dedicato all’infanzia. Doveva essere biennale, è stato però sospeso per sei anni in assenza di sovvenzioni. Abbiamo sempre lavorato con tanto volontariato pur essendo dei professionisti e cercando di fare del nostro meglio. In questo campo possiamo proporci alla prima infanzia, mentre è più difficile per gli adulti: ci sono tante, troppe proposte, le persone non sanno come orientarsi. Non ci sono più quella curiosità e quell’approfondimento che spingono ad andare a vedere e a ricercare. Il futuro? Continuiamo a proporci, poi si vedrà». E fino al 2025, anno del 50esimo, è andata così.

Cinzia

Dopo la prematura scomparsa di Vania Luraschi, l’attività del Teatro Pan viene gestita da Cinzia Morandi, una delle storiche attrici che ha condiviso un lungo percorso in questa realtà: «Posso raccontare da quando sono arrivata nel 1990… da allora abbiamo sempre cercato di mantenere la stessa linea programmatica. Venivo da esperienze con Coco Leonardi e con il Teatro delle Radici. Sono arrivata per un progetto dal titolo L’alieno con la regia di Andrea Novicov. Sempre con lui, l’anno dopo, abbiamo creato uno spettacolo con le poesie di Alfonsina Storni, vincendo come miglior spettacolo al Festival Kukart di San Pietroburgo. Da allora ho cominciato a collaborare con la struttura alternandomi con Elena Chiaravalli, con cui avevo creato spettacoli come Giù per terra, finalista del Premio Stregagatto italiano. […] Grazie al Pan mi sono presto affezionata al teatro per ragazzi. Venivo da un percorso di teatro per adulti, anche se non amo differenziare per fasce d’età in quanto l’attenzione per le tematiche trattate ha sempre abbracciato tutto il pubblico».

Finalità sociali

Il Teatro Pan nasce dalle ceneri del Panzinis’ che aveva delle finalità sociali, un’eredità ancora nell’aria: «Molto sta riaffiorando proprio in questi ultimi anni, soprattutto con il Teatro Forum (ndr: una metodologia teatrale interattiva sviluppata dal brasiliano Augusto Boal, che consente di esplorare problemi sociali, politici o organizzativi attraverso la partecipazione attiva del pubblico), che abbiamo ripreso nel 2018 e che Vania Luraschi aveva già realizzato in precedenza.

Siamo molto attenti a ciò che emerge nella nostra società

Negli anni del Panzinis’ andavamo nelle piazze, nelle comunità, si portava l’arte dappertutto. Nel nostro magazzino abbiamo ancora fari enormi e tutto il necessario per costruire un teatro nelle piazze, dal tendone al sipario. Quando sono arrivata c’erano già tematiche importanti per l’infanzia su cui discutere e riflettere. Oggi portiamo al Forum temi come il razzismo o la violenza di genere e domestica, quest’ultimo tema ripropo-

Il libro di tutte le cose […] Siamo molto attenti

a ciò che emerge nella nostra società, aspetti a cui dar voce e con cui portare a una riflessione. Dal 75 a oggi ci

sono stati molti cambiamenti: ma se prima forse si tendeva a fare la morale su ciò che è giusto o sbagliato, negli spettacoli di oggi ci lasciamo sempre con una domanda, come un’apertura alla discussione».

Nel 1992 il Teatro Pan ha poi creato il Festival Internazionale di Teatro per ragazzi e giovani la cui direzione dal 2016 è passata al FIT di Paola Tripoli, una manifestazione con un’attenzione particolare alla scena contemporanea.

L’avventura continua

L’avventura del Teatro Pan prosegue ancora instancabile e oltre a dover essere ricordata come un capitolo importante della storia del teatro e delle compagnie indipendenti della nostra regione va anche considerata per il suo costante dialogo con le scuole. E fra le iniziative importanti di cui è stato creatore ci sono appuntamenti annuali quali la rassegna Senza Confini: grandi e piccini insieme a teatro in collaborazione con il LAC nell’ambito di LAC edu (6, 10 e 24 marzo) e il Festival Il Maggiolino giunto alla sua 14esima edizione (4-11 maggio).

Informazioni https://teatro-pan.ch

sto con il gruppo veronese Bam!Bam! Teatro con la produzione de
Cinzia Morandi, responsabile delle attività del Teatro Pan.

ATTUALITÀ

Il prodotto archetipico: l’Eimalzin

La Migros lancia Eimalzin nel 1929 ed è subito un successo. Questo prodotto in polvere è un’alternativa ben fatta all’Ovomalti ne, che il fondatore di Migros Gottlieb Duttweiler ritiene troppo costosa. La composizione, la confezione e la qualità dell’Eimalzin riecheggiano quelle dell’originale. Quanto al nome Eimalzin, non è altro che la germanizzazione di «Ovo» in «Ei» (uovo) e «Malt» in «Malz» (malto). La stessa Migros fa esplicito riferimento alla concorrenza nei propri cartelloni pubblicitari: «Il merito di aver in trodotto questo tipo di preparato di malto spetta a una nota azienda bernese (Ovomaltine); il merito di averlo reso più economico spetta al sistema Migros». E in effetti l’Eimalzin costa solo 2.50 franchi, mentre l’Ovomaltine ne costa 4.20. Si sarebbe anche potuto dire: «La Migros non la farà meglio, ma la fa più conveniente».

E oggi?

Sono ancora le compagne perfette del latte, però alla Migros 400 grammi di Ovomaltine in polvere costano 7.95 franchi mentre la stessa quantità di Eimalzin ne costa 3.96.

Dall’Eimalzin all’Energy Drink

La Migros vanta da sempre marche proprie a prezzi imbattibili. Ecco quattro prodotti con cui la Migros ha fatto arrabbiare le grandi marche con prezzi più bassi e buona qualità.

Testo: Lisa Stutz

Quello provocatorio: il caffè Zaun

Il lancio del caffè Zaun nel 1931 fu una deliberata provocazione del fondatore della Migros Gottlieb Duttweiler: il nome, la confezione e lo slogan del suo decaffeinato erano ispirati al caffè Hag, all’epoca il produttore di caffè decaffeinato dominante sul mercato. In particolare, il termine scelto per il prodotto, «Hag», è un sinonimo di «Zaun» (entrambi significano «siepe, recinto»). Il caffè di Dutti, più economico e di migliore qualità, venne prodotto dalla Haco AG di Gümligen, il primo produttore in assoluto di marche proprie della Migros. All’epoca Duttweiler punzecchiò argutamente il capo dell’azienda Kaffee Hag: «Naturalmente sappiamo bene che essendo voi un gruppo agguerrito, ora verrete a tirarci le orecchie». Tuttavia, Kaffee Hag presenterà una causa per concorrenza sleale solo nel 1937. Ad ogni modo i tribunali ingiunsero a Duttweiler e alla Migros solo di corrispondere piccole sanzioni pecuniarie, di usare moderazione nei toni della pubblicità o di apportare modifiche di lieve entità. Si leggeva infatti nelle sentenze che la Migros stava contribuendo in modo significativo a una riduzione generale del livello dei prezzi, cosa che va tanto più sottolineata alla luce della situazione economica di quegli anni.

E oggi?

Alla Migros c’è ancora l’Exquisito Decaf Zaun, in vendita al prezzo di 10.95 franchi per 200 grammi (caffè solubile). Anche il caffé Hag resta molto popolare, ma non è disponibile alla Migros: su galaxus.ch, 200 grammi della versione solubile di questo caffè costano 16.90 franchi.

Bevanda al malto Eimalzin
500 g Fr. 4.95

ATTUALITÀ

Qui si entra nella leggenda: il detersivo Ohä

Nel 1931 la Migros lancia un detersivo dallo strano nome «Ohä». Cosa significhi, la Migros lo scrive sulla confezione:»Ohä» sta per «Ohne Hänkel», letteralmente «senza Hänkel», con un evidente gioco grafico e fonetico sul nome dell’industria saponiera Henkel. L’acronimo tiene a sottolineare che il detersivo non viene appunto dalla Henkel (i cui prodotti Gottlieb Duttweiler, il fondatore di Migros, ritiene troppo costosi), ma dalla produzione propria della Migros stessa. Il detersivo viene fatto a Basilea, dove la Migros fabbrica anche altri prodotti a base di sapone. La Henkel non trova lo slogan poi così divertente e lo fa vietare dall’autorità giudiziaria. Lo slogan scompare, il detersivo rimane; nel 1980, la produzione e l’amministrazione vengono trasferite a Frenkendorf, nel cantone di Basilea Campagna. Qui verrà poi prodotto anche il detersivo «Total», successore di «Ohä».

E oggi?

Tanto il detersivo in polvere Persil della Henkel che il «Total», il suo omologo della Migros, puliscono come si deve il bucato. Però: alla Migros la confezione da 20 lavaggi del detersivo in polvere «Persil Universal» costa 12.95 mentre lo stesso numero di lavaggi può essere fatto con il detersivo in polvere «Total 1 for All» per 8.86 franchi (prezzo calcolato sul quantitativo di prodotto necessario per 20 lavaggi).

Il campione di vendite: l’Energy Drink

Nel 2005 la Migros piazza un altro bestseller con il suo Energy Drink, che si propone come alternativa alla Red Bull. Questa nuova bevanda nella sua livrea arancio-verde M-Budget va a ruba: in sole quattro settimane, secondo il quotidiano «Sonntags Blick», ne vengono vendute 600’000 lattine. La Migros si era prefissata di arrivare a venderne un milione nel corso dell’intero anno. Ma bastano poche settimane perché diventi palese che l’obiettivo sarà ampiamente superato. E non c’è da stupirsi: mentre una lattina da 250 ml di Red Bull costa 2.10 franchi, la sua gemella Migros ne costa 1.20, sempre per 250 ml.

E Oggi?

Entrambe continuano a dare la sveglia. Ed entrambe si sono fatte più economiche: alla Migros, una lattina di Redbull (250 ml) costa ora 1.50 franchi mentre una lattina di Energy Drink M-Budget (250 ml) costa 0.55 franchi.

Detersivo Total 1 for all 36 cicli, 2,16 kg Fr. 15.95

La pelle sensibile richiede un trattamento quotidiano particolarmente delicato.

Quando la pelle è sensibile?

È considerata sensibile la pelle che reagisce in modo eccessivo agli stimoli esterni, come il freddo, il caldo e i prodotti per la cura del corpo. I sintomi includono arrossamenti, bruciori, prurito o desquamazione. «La pelle sensibile è spesso associata a un indebolimento dello strato protettivo della pelle», spiega Margarida Amaral, dermatologa dell’Ospedale universitario di Basilea. Lo strato protettivo dell’epidermide protegge la pelle dalla disidratazione, dai germi e dall’inquinamento ambientale. Se questo strato è indebolito, la pelle perde più liquidi e le sostanze irritanti possono penetrare più facilmente.

Cosa aiuta contro la pelle sensibile?

Se la pelle è facilmente irritabile, è opportuno utilizzare prodotti detergenti delicati e a pH neutro e idratare la pelle. «Principi attivi come la glicerina, il pantenolo, l’acido ialuronico o le ceramidi aiutano a rafforzare la barriera cutanea», precisa Amaral. Vale quindi la pena di dare un’occhiata agli ingredienti prima di acquistare qualsiasi prodotto per la cura del corpo. Se hai la pelle sensibile, inoltre, evita le docce troppo calde e applica quotidianamente la protezione solare sul viso e, in estate, anche su tutte le altre zone del corpo esposte. Se la pelle delle mani reagisce negativamente ai prodotti per la pulizia della casa o ad alcune fragranze contenute nei prodotti per la cura del corpo, è opportuno evitarli o indossare guanti quando li si usa.

Cosa fare in caso di prurito?

Il prurito alle gambe o alle braccia è spesso provocato dalla pelle secca. Alle persone colpite si consiglia di usare creme con urea o sostanze che alleviano il prurito come il polidocanolo o il mentolo. Anche un bagno tiepido in fiocchi d’avena lenisce il prurito, infatti hanno proprietà antinfiammatorie, lenitive e idratanti. A tale scopo, aggiungi all’acqua calda fiocchi d’avena finemente macinati e immergiti in essa. «Oppure si possono strofinare le zone interessate con olio di cocco, che può avere un effetto calmante», dice Amaral. Chi soffre di prurito dovrebbe evitare anche tutti i tessuti che graffiano o pizzicano e gli indumenti stretti. Se non ci sono miglioramenti, le persone colpite dovrebbero consultare un dermatologo.

CONSIGLI Beauty

Cura adeguata per la pelle sensibile

Epidermide ruvida e secca? Una dermatologa spiega come prendersi cura correttamente della pelle sensibile e cosa evitare assolutamente

Testo: Barbara Scherer

E in caso di pelle desquamata?

La pelle squamosa indica secchezza o un’alterazione della barriera cutanea. Un trattamento idratante intensivo e un’esfoliazione delicata saranno d’aiuto. «Un leggero peeling enzimatico può rimuovere le cellule morte senza irritare la pelle», afferma la dermatologa. Se le squame perdurano per un periodo di tempo relativamente lungo, è necessaria una visita dal medico, perché possono anche manifestarsi con eczemi o micosi.

Cosa aiuta a contrastare gli arrossamenti?

L’arrossamento della pelle del viso, delle gambe o delle mani indica un aumento della circolazione sanguigna o un’infiammazione. Si consiglia di utilizzare prodotti rinfrescanti e lenitivi a base di aloe vera, camo-

milla o pantenolo. Inoltre, i vestiti fatti di materiali che sfregano la pelle provocando arrossamenti dovrebbero restare nel guardaroba. Ma anche in questo caso, se il rossore perdura per un periodo di tempo prolungato, le persone colpite dovrebbero rivolgersi a un medico.

Posso aiutare la pelle anche dall’interno?

Sì. L’idratazione è particolarmente importante: bere molta acqua sostiene la pelle dall’interno. La dermatologa raccomanda anche una dieta ricca di antiossidanti: «La frutta e la verdura, per esempio, possono aiutare a ridurre l’infiammazione», sostiene Amaral. Chi soffre di irritazioni cutanee dovrebbe anche ridurre lo stress perché può esacerbare la sensibilità della pelle.

Cosa danneggia la pelle sensibile?

1 Irritazione meccanica, come lo sfregamento sotto la doccia o gli indumenti ruvidi.

2 Eccessiva pulizia, cioè troppo sapone, acqua troppo calda, docce troppo frequenti.

3 Prodotti per la cura del corpo sbagliati, come saponi con un elevato valore di pH o prodotti contenenti tanti profumi e alcol.

4 Mancanza di cure idratanti, con conseguente secchezza e ulteriore irritazione.

5 Fattori ambientali come temperature estreme, raggi UV e aria secca.

6 Alcuni tessuti, ad esempio la lana o i tessuti sintetici.

Foto: Getty Images

TEMPO LIBERO

Tracce culturali lungo frontiere co

Saggio letterario ◆ L’ultimo libro di Lorenzo Sganzini è dedicato alla ricerca dei luoghi e dei simboli dell’italianità in Svizzera e

Teneri pupazzi di stoffa: compagni per la nanna

Un divertente tutorial per realizzare con creatività dolci amici della Buonanotte, che accompagneranno i bambini nel loro viaggio verso un sonno sereno

Essaouira: storie di donne e sogni hippie

La città marocchina, un tempo importante porto, oggi

è un crocevia di testimonianze di cambiamento e identità, rispetto al passato che sopravvive nel cuore della medina

Olinda, centosettanta ore di follia

«Sono partito dal duomo di Milano seguendo l’indicazione di Giovanni Pozzi a proposito di una spinta religiosa che è anche culturale. Ma c’ è dell’altro. A ricordarmelo è un foglietto di appunti che tengo accanto al computer: “…spinta culturale da sud: vedi Milano; cultura e religione: sempre Milano e Carlo Borromeo (approfondire le visite pastorali); cercare nelle chiese le parole (cioè la lingua) e le immagini; guardare oltre la religione: di nuovo Milano, Risorgimento, esuli, arte; controspinta dal nord. Riforma e Controriforma”».

Lorenzo Sganzini è stato autore, un paio di anni fa, di In Svizzera. Sulle tracce di Helvetia (Mendrisio, Gabriele Capelli editore, 2022), sorta di viaggio condotto con buon piglio alla ricerca delle simbologie letterarie, monumentali, artistiche eccetera dell’idea di Svizzera e in parte dell’idea sorella di Svizzera italiana. Vi erano presentate e discusse le rappresentazioni artistiche, la tradizione di taluni luoghi sacri del Paese come il Ridotto nazionale o il Passo del Gottardo, la concezione dei confini, le rappresentazioni geografiche e cartografiche, l’importanza e la portata simbolica delle vie di comunicazione alpine, le religioni e, ovviamente, le lingue.

All’aperto, un teatro barocco di chiee conventi. Sembra nato spontaneamente, sparso nella vegetazione tropicale di una collina che sa di vento e di mare, mentre giù in basso una lunga mezzaluna di sabbia si perde fino alla skyline di grattacieli di Recife, ruggente capitale dello stato brasiliano di Pernambuco. Un contraltare perfetto per le sinuose architetture coloniali di Olinda, A Linda, «la Bella» come i portoghesi l’avevano tezzata ancora prima di costruirla. Oggi è una capsula del tempo arrivata intatta fino a noi, con il suo labirinto di stradine che serpeggiano verso il cielo incastrate tra le geometrie di muri dal bianco accecante della Cidade Alta, la «Città Alta» oggi Patrimonio UNESCO.

Madonne e chiese dorate

Quel libro era stato un’opera decisamente orientata alla dimensione elvetica, che aveva lasciato in secondo piano e tutto sommato quasi rinviata la riflessione a proposito di una magnifica ossessione di gran parte della produzione letteraria e saggistica della Svizzera a noi più prossima, il tema dell’essenza e delle forme dell’italianità del Paese. Una italianità che da sempre assume geometrie diverse: quella essenziale del territorio geografico tradizionale ticinese e grigionitaliano, l’espressione nelle al-

Renato Simoni

La costruzione della linea ferroviaria Lugano-Chiasso Fond. Pellegrini Canevascini

Nella fresca penombra del cinquecentesco monastero di São Bento, che trasuda devozione e horror vacui, madonne luccicanti come la vetrina di un gioielliere sorvegliano le tonache bianche di monaci che svaniscono dietro misteriose porticine, mentre l’ultima nota di un canto gregoriano è ancora sospesa nell’aria. Non avevano badato a spese gli antichi signori della canna da zucchero, ricoprendo d’oro le loro chiese, forse per farsi perdonare il modo in cui trattavano gli schiavi o piuttosto per dimenticare che, anime in pena o no, erano pur sempre dei precari ridotti a pregare tutti i santi del loro paradiso di tenere lontani i pirati. Arrivarono invece gli olandesi, che nel 1631 bruciarono Olinda e poi, prima di essere cacciati, da gente pratica quali erano, si impadronirono dei segreti per coltivare la canna da zucchero.

Il Regno degli Sconvolti

tre regioni della Svizzera o ancora la tentazione continua di un equilibrio culturale finalmente pacificato con la madrepatria d’Italia. È così che giunge quasi annunciato l’appuntamento con L’eco del sì. Presenze di cultura italiana in Svizzera, che esce ora presso l’editore Giampiero Casagrande di Lugano e che chiarisce fin dalle prime pagine l’esigenza di ricercare «luoghi capaci di raccontare qualcosa sui rapporti tra la Svizzera e la cultura italiana». Il libro è retto da una gradevole narrazione che potremmo definire “itinerante”, che si appoggia principalmente sulla capacità evocativa di luoghi via via raggiunti, cui legare simboli, figure di mediazione, agenzie del sapere, libri. registrare le testimonianze sul territo rio e il loro spirito essenzialmente lo cale. Così il culto di Carlo Borromeo, che affratella le terre della Svizzera italiana alla Lombardia (di San Carlo «nel solo Ticino si contano 351 dipinti, 78 reliquiari e 38 statue»), è introdotto dall’immagine dell’affascinante strut tura interna della chiesa romanica dei santi Pietro e Paolo a Biasca, costrui ta sulla roccia, che affiora primigenia nell’edificio, e che contiene un ciclo di affreschi raffiguranti la vita del santo; poco accanto, quasi per una ulteriore sottolineatura, sorge un altro edificio sacro dedicato molti secoli dopo allo stesso San Carlo. Più avanti, in tutt’al tro contesto, colpirà la dolente visita alla Villa Favorita di Castagnola, se de dismessa da decenni di memorabili mostre del passato, nel contesto della Collezione Thyssen-Bornemisza poi migrata a Madrid. L’edificio è signi ficativamente malconcio: ci si è pre murati di portare via tutti i quadri di pregio e di rimuovere le maniglie del le porte, ma è stato lasciato, con gesto disattento e irrispettoso, il ritratto di

Reportage ◆ Tra le sinuose architetture coloniali, il carnevale avvolge la Città Alta come un serpente danzante, mentre le stradine trasudano storia, spiritualità e un’intrinseca saudade sospesa per cinque giorni

de profitto dalle pagine loro dedicate, la fondazione Bodmer di Cologny e la Biblioteca Oechslin ad Einsiedeln. Ad esempio, la prima conserva «150’000 documenti in 120 lingue con centinaia di papiri, di manoscritti medievali occidentali e orientali, 270 incunaboli tra cui uno degli esemplari ancora esistenti della Bibbia di Gutenberg e la più antica copia manoscritta del Vangelo secondo

Tra i percorsi possibili di questo itinerario alla ricerca delle presenze reciproche della cultura italiana in Svizzera e svizzera in Italia ci sono anche quelli legati ai centri di diffusione del sapere e della cultura; «sono gli studi e il luogo dove si studia a determinare il nostro sguardo sul mondo»:

I portoghesi ricostruirono la città, ma da allora Olinda è scivolata per sempre in un tempo sospeso impregnato di saudade. Una malinconia che però, una volta all’anno, si concede una pausa di centosettanta ore di follia da reggere senza perdere un colpo per sopravvivere. Un carnevale che scivola tra i vicoli come un gigantesco serpente umano, che ti avvolge, quasi ti soffoca in un grumo di emozioni.

Gli abitanti lo chiamano Regno degli Sconvolti, per il marketing turistico è il «Carnevale più lungo del mondo» ma per gli avventori di un bar in rua do Amparo, dove anche i colori delle case ricordano i costumi di carnevale, «è la cosa più importan-

1873: l’immagine di migliaia di lavoratori impegnati nella costruzione della ferrovia Lugano-Chiasso evoca un momento storico cruciale per il Ticino. Non solo un’impresa ingegneristica, ma un vero e proprio banco di prova sociale che Renato Simoni indaga nel suo nuovo libro. Il suo studio evidenzia come l’afflusso di lavoratori, prevalentemente italiani, abbia avuto un impatto significativo sull’industria locale e sulle infrastrutture sanitarie. Ospedali come il San Giovanni di Bellinzona e il Santa Maria di Lugano furono chiamati a fronteggiare una vera e propria emergenza sanitaria, tra incidenti sul lavoro e malattie. Documenti inediti e una narrazione coinvolgente, svelano dunque come la ferrovia abbia trasformato l’economia, la sanità e la vita quotidiana di un’intera regione. Un viaggio nel passato che restituisce identità e voce a protagonisti dimenticati, tra successi e drammi di quest’impresa colossale: colmare la distanza tra Lugano e Chiasso non fu solo una questione tecnica. Questo volume è dunque molto più di una semplice ricostruzione storica di una grande epoca di trasformazione: è un tributo a quei lavoratori, le cui storie, sepolte nelle carte d’archivio, riemergono con forza e nitidezza.

Cosa succede quando un alieno proveniente da Koinous decide di osservare il caos umano sulla Terra?

Un omicidio efferato, un poliziot to tormentato dal passato e una città avvolta nel mistero: in di rivalsa Galimberti intreccia noir e dramma psicologico nell’atteso ritorno del de legato di polizia Ezechiele Beretta, tanto amato dai lettori ticinesi. In questo nuovo giallo storico, la sce na del crimine, inquietante e oscu ra, segna l’inizio di un’indagine che scava nelle profondità della giustizia personale. Beretta e il suo compagno Bernasconi si trovano di fronte a un caso in cui ogni pista sembra con durre a un enigma più grande, e la verità, tra inganni e vendette, appare sfuggente. Il romanzo, tenendo alta la suspense fino all’ultimo capitolo, esplora la psicologia dei protagoni sti e i luoghi simbolici di un Ticino misterioso, dove il passato non è mai del tutto sepolto. oggi attraversano la società.

La risposta arriva in modo originale Taxio e l’anomalia di Cindy Fogliani. Arrivato sul nostro pianeta con l’intento di capire come una specie che si definisce «intelligente» possa comportarsi in modo tanto irrazionale, Taxio diventa il testimone delle disfunzioni della società terrestre, come si evince consumismo, automazione, misure Covid, crisi energetica e tante altre chicche dal pianeta Terra, , senza dimenticare i comportamenti bizzarri e le ossessioni dei suoi abitanti. La raccolta di racconti, pubblicata mensilmente su Gente Sana dal 2018 al 2023, raccoglie 50 episodi di sagace osservazione, dove la realtà è amplificata dalla prospettiva extraterrestre. Questi racconti non sono solo comici, però: offrono anche spunti di riflessione sulle nostre contraddizioni quotidiane. Lo stile di Fogliani è asciutto e pungente, ma mai eccessivamente polemico. Anzi,

l’ironia che permea le storie sembra indicare un’analisi lucida, come quella di un osservatore che non giudica ma esplora, scoprendo la tragicomica realtà delle nostre esistenze.
Taxio e l’anomalia
La Biblioteca Oechslin di Einsiedeln. (© Stiftung Bibliothek Werner Oechslin e Robert Rosenberg)
Carnevale: bambole e pupazzi di Silvio Botelho; di fianco, i gruppi di Maracatù, unici nel Pernambuco, sono in prevalenza neri e indossano costumi sgargianti. In basso, Olinda: la città ora è come un villaggio Greenwich di Recife; saudade.
Enrico Martino, testo e foto
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te che possediamo. Qui non ci sono scuole di ballo né competizioni come a Rio o a Bahia, puoi divertirti senza differenze sociali e non devi comprare un costume per partecipare, c’è un bloco chiamato “A corda”, un gruppo che trascina una grande corda, nient’altro. C’è chi arriva dall’altro capo del mondo, dopo aver lavorato tutto l’anno per potersi permettere questi cinque giorni che valgono un anno. Dalla mezzanotte di Giovedì Grasso il centro storico viene invaso da fiumane di gente che balla e si diverte, magari ha una vita piena di sofferenza, ma durante il carnevale si libera. Qui la parola carnevale significa proprio questo, fare il contrario di quello che si fa tutti i giorni, per questo il carnevale non morirà mai».

Sesso, droga e frevo

Fatima però la pensa diversamente e mi arpiona da dietro una porta per rivelarmi che «il carnevale è morto, soffocato da sesso e droga. Prendi il lança-perfume, una volta era il profumo che i ragazzi spruzzavano per galanteria sulle spalle delle ragazze, oggi ti sparano addosso un micidiale solvente che ti lascia dieci secondi KO con un effetto poing poing capisci?». Per altri «serve una buona alimentazione, un buon addestramento fisico e una buona idratazione» come spiega con incrollabile fede Francisco, coordinatore di un gruppo di danza. «Dobbiamo allenarci tutto l’anno perché qui ogni festa finisce sempre in frevo. La capoeira, l’arte marziale degli schiavi, è la madre o il padre, non saprei, del frevo che qui è cultura e non folklore come a Bahia dove un mese dopo il carnevale non se lo fila più nessuno». Il frevo è un inestricabile mix di musica e danza a partire dal nome, corruzione della parola «febbre», in varie versioni, dal frevo da rua accompagnato dall’indispensabile ombrellino per equilibrare i movimenti del corpo, a frevo de bloco o frevo de cançao cantati. Pochi però sono disposti a svelare che il vero segreto per affrontare questo carnevale è il Pau do indio, il «Palo dell’Indio», un intruglio infernale indispensabile per le ventiquattro ore di delirio, da martedì a mercoledì che trasformano Olinda in un serpente mobile di corpi danzanti. Un tempo dilatato che per gli irriducibili dura fino a venerdì mattina, carburato da cachaça, l’acquavite di canna da zucchero, e frevo, prima di crollare sul selciato.

Arte e cultura popolare

Per Josè, in arte Ze Som pittore con le mani, «il carnevale lo stanno rovinando i politici che per soldi e voti lo

hanno svenduto alle multinazionali della birra». Lui è uno dei tanti artisti che hanno trasformato Olinda in un gigantesco atelier dove arte e cultura popolare convivono con i grandi tamburi di legno di palma che suonano i ritmi del maracatù , sottofondo quasi ossessivo dell’incoronazione del Rey do Congo e della Reina da Angola, un’antica tradizione degli schiavi, che ancora oggi volteggiano per le strade circondati da damas do paço, le dame di palazzo, vassallos e bahianas

Un rito che esplode ogni anno il sabato mattina a Recife con il Galo da Madrugada, roba da Guinness

dei primati. «Perché a Rio una scuola di samba mette insieme non più di cinquemila persone, qui siamo un milione e mezzo, senza di noi il carnevale non può cominciare» sibila roteando gli occhi spiritati come se parlasse di un’apparizione divina l’engenheiro responsabile di un faraonico carro allegorico.

Pupazzi di carta

Al pomeriggio tutti si riversano a Olinda per veder sfilare i bonecos gigantes, giganteschi pupazzi di cartapesta alti come una casa di due piani, capitanati dall’Homem da Meia Noite Il loro padre indiscusso regna su un diabolico groviglio di mani e piedi di cartapesta che sembra un reparto di ortopedia oversize. «È il pronto soccorso dei miei quattrocentosettantasei figli, i bonecos » spiega con una risata omerica Silvio Botelho. «Li comprano per il carnevale, ma li usano anche i politici per i comizi e le aziende per le campagne pubblicitarie perché si sono trasformati in un veicolo di marketing. Ho altri figli in carne e ossa ma loro sono i migliori, non si lamentano del cibo, non si

ammalano, non dicono mai parolacce né si comportano da maleducati, vuoi mettere la soddisfazione di essere padre di gente così?»

D’altronde qui i personaggi mitici sono di casa, e se non ci sono più, le loro immagini a volte sbiadiscono lentamente sui muri come Mário Medeiros Raposo, O lord de Olinda che se ne è andato nel 2006 dopo oltre sessant’anni in cui ogni giorno è uscito per strada in costume da nobile inglese, cilindro incluso. Hanno visto di tutto i vicoli di Olinda, capaci di esplosioni che fanno tremare i muri quando le finestre del «Club delle canaglie» si spalancano per un frevo forsennato, ma anche di romantiche Serenatas di celestiali e anziane signore che suonano ritmi dolcissimi al violino. Poco lontano la strada si riempie di pensionati sbronzi e felici che ballano furiosamente mentre una drag queen appollaiata in cima a un balcone si contorce come un serpente.

Olinda va vissuta, sorseggiando una caipirinha e respirando l’elettricità del carnevale che arriva e, giorno dopo giorno, si infila tra strade che precipitano verso l’azzurro dolce dell’Oceano.

Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide dal 25.2 al
fino a esaurimento dello stock.

Gli amici della buonanotte

Crea con noi ◆ Un’attività divertente per realizzare morbidi personaggi e accessori, ideali per rendere speciale il rituale serale

Piccoli pupazzi nati da scampoli di stoffa, corredati di lettino e accessori, pronti a diventare dolci compagni della buonanotte. Questi teneri amici, ideali per i bambini, possono trasformarsi in un prezioso alleato nel rituale serale, aiutando i più piccoli a sviluppare una routine serena prima di dormire. In questo tutorial, scoprirete passo dopo passo come realizzarli, dando vita a morbidi personaggi che renderanno il momento della nanna ancora più speciale.

Procedimento

Stampate e ritagliate il cartamodello. Per iniziare, preparate la striscia di tessuto colorato che fungerà da vestito. Risvoltate il bordo di 0,5 cm

e stiratelo per fissarlo bene.

Posate la striscia su un rettangolo di stoffa abbastanza grande da contenere entrambi i lati del pupazzo, con il diritto dei tessuti rivolto verso l’alto. Posizionate anche il tessuto marrone per i capelli, già sagomato con la frangia sulla parte frontale. Utilizzate sempre il cartamodello come riferimento e, una volta posizionati correttamente i tessuti, fissateli con gli spilli.

Utilizzate la macchina da cucire per fissare sia la striscia colorata sia il tessuto marrone per i capelli. Successivamente, tracciate il cartamodello sulla stoffa con una penna evanescente. Disegnate i contorni e il viso, quindi ritagliate dal feltro la piccola tasca.

Giochi e passatempi

Cruciverba

Il marito vede la moglie stanca dopo una lunga giornata di lavoro e le dice: «Amore dai, i piatti lasciali, non…» Termina la frase leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate. (Frase: 12, 6, 2, 4, 5, 1, 2, 4)

ORIZZONTALI

1. A vantaggio

4. Un uccello... poco furbo

8. Le iniziali dell’attrice Capotondi

10. Famoso quello di Colombo

12. Una famosa porta di Roma

13. Arte francese

14. Nome femminile

16. Particelle ricche di energia

18. È fatto per essere afferrato

21. L eandro morì per raggiungerla

23. Il nonno di Priamo

24. Focosi sostenitori...

26. Al centro della frizione

27. Tredicesima lettera dell’alfabeto greco

28. Avvolgimento di molla

29. Davanti a «line» nell’aviolinea inglese

30. Depone uova verdi

31. Nome femminile

33. Tutt’altro che robusti

35. Il prefisso che dimezza

36. Nipote di Abramo

37. Capostipite della razza nera

39. Luogo di delizie

41. Le iniziali dell’attore Solfrizzi

42. Un politico di nome Giuseppe

43. Un anagramma di via

VERTICALI

1. Piccolo autobus

2. La diciassettesima lettera greca

3. Mammifero domestico

5. Le iniziali dell’indimenticabile

Presley

6. Così è a volte la sorte

7. Posto di fianco

8. Il grido francese

9. Le iniziali dell’attrice Theron

11. Poesie classiche

13. Un gancio sinistro

Ricamate i dettagli del viso, e cucite la tasca sulla stoffa, assicurandovi che sia ben fissata. Infine, con una matita colorata rosa, sfumate leggermente le guance per donare un tocco di colore e vivacità al volto del pupazzo.

Ripiegate la sagoma del pupazzo sulla stoffa in modo che il lato esterno sia rivolto verso l’interno. Assicuratevi che la striscia di tessuto colorato combaci perfettamente.

Con una penna evanescente tracciate nuovamente i contorni del pupazzo sulla stoffa. Fissate con gli spilli e cucite lungo la linea, lasciando un’apertura laterale di qualche centimetro per poter risvoltare il tessuto con facilità.

Risvoltate aiutandovi con una bacchetta, imbottite con l’ovatta sintetica e chiudete l’apertura con qualche punto a mano.

Lettino in cartone e stoffa

Prendete la ciotola di cartone. Ritagliate due rettangoli di stoffa da 12x17cm per la coperta e due da 10x6cm per il cuscino. Unite i rettangoli dritto contro dritto con una cucitura su tutto il perimetro lasciando qualche cm per risvoltare. Risvoltate e ribattete il perimetro dopo aver inserito nel cuscino l’imbottitura.

Con lo stesso procedimento create anche il gatto o i vostri personali personaggi. Avere più pupazzi permetterà al bambino di farli interagire.

Materiale

• Scampoli di cotone e feltro

• Imbottitura sintetica

• Ciotole di cartone

• Macchina da cucire

• Penna evanescente

• Forbici

• Ago e filo da ricamo nero e rosso

• Una bacchetta per risvoltare

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Accessori per il rituale della buonanotte

Per completare il set potete aggiungere delle mini stelle luminescenti (anche adesive) per simulare un cielo notturno e un piccolo libro per «leggere» una favola al pupazzo. Buon divertimento!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

15. Porto del Messico

17. Comprendono il settebello

19. Ai piedi di Mercurio

20. Sono anche combustibili

22. Despoti

25. Faro senza testa

26. Hanno almeno un nipote

28. Dispari in sommi

29. Non è mai sazia

30. Si distingue all’alba

32. Poste in basso

33. La dea madre di Zefiro

34. Lo scrittore Fleming

36. Articolo

3 8. Le iniziali della tennista

Trevisan

40. Evolvere senza volere

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba

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Viaggiatori d’Occidente

Un’anima marocchina che evolve nel tempo

Sosto a Essaouira, sulla costa atlantica del Marocco. Un tempo, quando si chiamava Mogador, era il principale porto del Paese, gestito da una nutrita colonia di ebrei, superiori per numero agli stessi abitanti marocchini. Ma dopo la nascita dello Stato di Israele gli ebrei di qui sono tornati nella terra dei padri (sia pure a malincuore) e altri porti, per esempio Casablanca, hanno attratto i commerci. Oggi Essaouira vive di pesca e turismo, si respira una piacevole aria di provincia.

Come tutti i porti Essaouira è luogo di incontri. Ghizlane, per esempio. È una trentenne con un’aria da ragazzina e una storia da raccontare. Viene da Guelmim, piccola città nel sud del Marocco sul confine col Sahara, famosa per il suo suq (mercato) di dromedari. Intorno ai vent’anni, Ghizlane ha accettato un matrimonio combinato («Non imposto»,

precisa) con un giovane connazionale emigrato in Canada. Come sempre la trattativa è stata affidata alle madri; e negli accordi di matrimonio Ghizlane ha ottenuto di poter studiare medicina, invece di occuparsi della casa. Dopo qualche anno di vita a Montreal il matrimonio è finito pacificamente, con la comprensione di genitori e suoceri. Nel tempo incerto dopo il divorzio Ghizlane ha frequentato come volontaria un caffè gestito da una ONG e proprio in Canada ha scoperto la mite religione dei sufi, i mistici dell’Islam, fortemente radicati nella storia e cultura del Marocco. Ghizlane ha ritrovato soprattutto la passione per il canto, coltivato durante l’infanzia ma poi accantonato per le resistenze incontrate. Infatti cantare in pubblico sarebbe proibito (haram) alle donne nella religione islamica, ma il tollerante Marocco di oggi ha attenuato questi divieti. E così Ghizlane

Cammino per Milano

Casa Boschi Di Stefano

Più predisposto alla deriva psicogeografica stile Debord, messa in atto anche da Rumney – del quale tra non molto vedremo quattro tele – e in tempi bui alla deriva bella e buona, questa mattina fredda a metà febbraio andando svelto dalla centrale a via Jan quindici, traccio la traiettoria più breve. Dodici minuti neanche e da via Bartolomeo Giuliano (pittore, specialista in onde) svolto l’angolo in via Giorgio Jan (1791-1866): erpetologo emerito e direttore per anni del museo di storia naturale di Milano. Ma rimango fermo all’angolo: è lì che sono innestati, in diagonale, balzani bovindi. Peculiarità della palazzina orchestrata tra 1929-1931 da Piero Portaluppi (1883-1967): stravagante architetto elegantissimo le cui tracce – per via dei resti del folle Wagristoratore – sono andato a cercare su in cima al passo San Giacomo e a bocca aperta mi aveva lasciato il camino ettagona-

le in malachite proprio qui a Milano, dove avremo modo di studiarlo come si deve in almeno tre posti. Per ora, avventurandomi con gli occhi lungo questa polarità angolare di gusto borrominiano, imbattendomi al secondo piano nel luogo del giorno, racimolo alcuni elementi enigmistici portaluppiani: due sfere incastonate nello spigolo, la forma a punta di stella delle coppie di finestre dei bovindi di sbieco, fregi-rebus in rilievo come pezzi stilizzati di puzzle. Un motivo che ritrovo nell’ingresso, levigato e sviluppato in verticale, appena prima di entrare e salire le scale in ferro battuto a tema torchio da stampa, corrimano in legno, triangolini del pavimento a mosaico giù a capofitto con lo sguardo, pareti ondeggianti in strepitoso falso marmo. Nell’anticamera, i protagonisti di questo appartamento divenuto dal febbraio di ventidue anni fa casa-museo, ognuno con in brac-

Sport in Azione

è un’apprezzata interprete di poesie e canzoni sufi. Qualche ora dopo, incontro Meryem (delicata declinazione islamica di un nome cristiano) nel suo minuscolo caffè nei vicoli della medina. «È una scatola di fiammiferi!» dice sorridendo. Sul muro, una libreria raccoglie i suoi libri preferiti, all’interno tre tavoli soltanto, anche se gli avventori si sistemano nel tranquillo vicolo davanti. Se Ghizlane appartiene a una famiglia di modesta condizione, Meryem al contrario è figlia di gente importante e ben introdotta. Non a caso ha studiato in un’ottima università parigina. Dopo la laurea e un anno a New York è tornata in patria, nella sua Casablanca, dove ha fondato una società di comunicazione e avviato una promettente carriera. E tuttavia anche Meryem, come Ghizlane, si sentiva insoddisfatta. Dopo una lunga maturazione interiore, la svolta è

stata repentina: nel giro di pochi mesi si è sposata («Per amore» sottolinea) e ha chiuso la sua società per aprire questo caffè. Dal punto di vista sociale è un notevole passo indietro, si capisce, ma Meryem sorride spesso mentre parla, come chi non ha rimpianti. Anche nel suo caso, religione e famiglia – i pilastri della tradizionale società marocchina – hanno lasciato spazio alle scelte di una giovane donna, sia pure con pazienti mediazioni. La via principale della medina di Essaouira è un grande mercato, brulicante di contrattazioni. In un vicolo laterale un hippie americano, Alex, suona stancamente la chitarra davanti a un bar, mentre la sua ragazza lo ascolta un po’ svogliata. Avvio facilmente la conversazione. Negli anni Sessanta e Settanta, in alternativa a più impegnativi viaggi verso l’India, Essaouira era molto frequentata dai figli dei fiori, attratti dai suoi

paesaggi sospesi tra oceano e deserto, così come dall’ipnotica musica Gnawa, eredità di antichi commerci di schiavi. Da queste parti, si racconta, nel 1969 avrebbe sostato Jimi Hendrix, presto imitato da altri musicisti famosi: Cat Stevens, Frank Zappa, Bob Marley, i Rolling Stones e i Led Zeppelin. Ma il sogno hippie di costruire una società alternativa e nuove relazioni umane all’insegna della libertà è presto svanito. Alex, il mio interlocutore, non riesce a farsene una ragione: «Dove abbiamo sbagliato?» chiede. Vorrei rispondergli che troppo spesso proiettiamo sugli altri popoli i nostri sogni e desideri, quando invece in viaggio dovremmo ascoltare di più e provare a misurarci con la realtà, tanto più imprevedibile e interessante delle nostre idee. Ma sarebbe un discorso troppo lungo, mentre già scende la sera in questo fresco inverno marocchino.

cio un gatto, sono ritratti in un goffo dipinto della loro collezione. Antonio Boschi (1896-1988): ingegnere alla Pirelli, inventore di un giunto importante che del suo nome ne porta un pezzetto, Giubo. E Marieda Di Stefano (1901-1968), ceramista niente male il cui padre è il committente di questa palazzina dove al secondo piano, in undici stanze, sono appesi trecento quadri. Accumulo-catasta con pezzi di pregio, certo, però bisogna andare a sentimento. Salto il corridoio, a parte un paio di lievi Marussig. Mi aspetta, in bagno, Ralph Rumney: artista inglese situazionista autore di una passeggiata psicogeografica veneziana in forma di fotoromanzo, abitatore dell’isola di Linosa per un anno, vive un più breve periodo qui a Milano passando anche in questa casa per un whisky. Illuminato da un lampadario Venini in ottone e vetro di Murano opalescente, il

primo dei quattro quadri astratti che occupano l’ex bagno con pavimento alla veneziana e marmo verde tundra, s’incontra sopra la vasca da bagno nera dove le piastrelle giallo senape all’antica si sposano con le spatolate ocra. Macchie blu genziana e rosso garanza, tra traiettorie bianco panna, completano il quadro intitolato come gli altri tre, tra i quali uno svela sotto articoli di giornale, Composition (1957). Spazio espositivo inusuale per un pittore misconosciuto tra tachismo e riflessi di Augusto Giacometti, la sala da Rumney vale la visita. Come pure anche solo, nella stanza successiva, una minuscola scultura di grazia debordante: opera di Arturo Martini dove le collegiali pettegolano. Nella sala Sironi, piena zeppa di quadri, agguanto quelli con gli scorci di periferia per via dei quali l’avevo tirato in ballo per l’angolo fuori il bar Luce e come aggettivo esplorando il

Come cantavano i Gotthard: One Team One Spirit

Verrebbe la tentazione di pensare che le sciatrici svizzere delle discipline veloci, per una questione di pudore nei confronti delle rivali, abbiano espressamente rinunciato alla loro porzione di medaglie ai Mondiali, ma non è così. Con il loro apporto, il record di quattordici medaglie conquistate a Crans-Montana nel 1987 sarebbe stato demolito. Non mi soffermo a celebrare i fasti della nostra Nazionale. Von Allmen, Meillard, Rast, Odermatt e gli altri, sono già stati universalmente osannati. Mi focalizzo invece su alcune immagini che raccontano più delle parole. Penso alla corsa di Lara Gut-Behrami per abbracciare Wendy Holdener nel momento in cui la coppia rossocrociata realizza di aver conquistato la medaglia d’argento in combinata. In quell’istante, tutto viene ribaltato. La regina Lara tributa alla principessa Wendy tutta la

sua gratitudine, confermando quanto la rivalità interna sia prima di tutto costruita su un profondo senso del rispetto e dell’amicizia. Facile, direte, quando le cose vanno bene. Il giorno seguente, gli abbracci a fine gara fra i sei rossocrociati che hanno monopolizzato il podio della combinata, sono stati un’ulteriore conferma dello straordinario spirito di squadra degli elvetici. Difficile capire chi avesse conquistato l’oro, chi l’argento, e chi il bronzo. Era un autentico tripudio collettivo. Un paio di giorni prima era circolata la fotografia di tutta la squadra svizzera maschile, con la calotta cranica devastata da una serie di rasature improponibili, per festeggiare i trionfi dei nostri uomini-jet. «La mia fidanzata non era molto contenta», dichiarerà Marco Odermatt. Poco importa, non sarà un taglio alla Kojak a compromettere una storia d’amore. Queste scelte goliardiche sono figlie di

dinamiche di gruppo in cui tutto funziona alla perfezione. A conferma di quanto sia cresciuta la nazionale svizzera di sci alpino negli ultimi dieci, quindici anni, racconto un aneddoto di cui fui spettatore ai Mondiali del 1999 a Vail, nel Colorado. Fu un’edizione avara di soddisfazioni per i colori rossocrociati. Il grigionese Paul Accola conquistò il bronzo in combinata. Il vallesano Steve Locher quello in gigante. In una competizione svolta lontano dalle nevi di casa, si instaurarono delle relazioni di maggiore vicinanza tra atleti e giornalisti. Eravamo, tutti insieme, degli esuli provvisori. Ma scattò anche un sentimento di frustrazione tra noi suiveurs. Al punto che la scommessa tricologica la fece una collega dai capelli scuri. «Se Steve Locher va sul podio, mi tingo di biondo». Detto, fatto. Da allora, le coordinate sono cambiate radicalmente. Negli ultimi

anni la Svizzera è la nazione dominante. Ha scalzato dal vertice le aquile austriache, che anche nel Mondiale in casa loro, hanno dovuto ascoltare più volte il salmo svizzero. Non conosco le alchimie che si creano all’interno di una squadra di sci. Immagino che nascano delle relazioni più profonde rispetto a quelle di una squadra di calcio, i cui membri (ritiri a parte) ogni sera se ne tornano a casa loro. Nello sci, ci si alza alla stessa ora, di regola molto presto. Si vive il rito comunitario della prima colazione. Si sale sulle piste di buonora, spesso quando è ancora buio, per preparare tutto quanto serve per la gara. Dopo di che, arriva l’unico momento di solitudine, quando ogni atleta cerca di isolarsi nella sua personalissima bolla, per ritrovare memoria e concentrazione. Alla fine, di nuovo tutti insieme, a condividere delusioni e tristezza, gioia e onori. È inevitabile? Forse. Biso-

Gallaratese di Aldo Rossi. Portaluppi torna, magistrale, nel taglio-rebus della porta a vetri a righe intramezzata da ferro battuto a quadri alla Josef Hoffmann. Stanza dopo, vetrinetta: un miniacromo di Piero Manzoni che avevamo incontrato svaccato al Jamaica, fa da sfondo al giunto Giubo esposto come opera d’arte. Nel soggiorno, un grande quadro di De Chirico e più in disparte, l’Annunciazione (1932) di Alberto Savinio, suo fratello meno conosciuto ma che io preferisco, soprattutto come scrittore finissimo del quale qualche frammento del suo libro-faro su questa città abbiamo già incontrato. Cornice poligonale, Maria con testa di pellicano alla finestra sghemba che richiama la cornice dove si affaccia la testa gigante dell’angelo che mi sembra de Sade. Passo oltre i nucleari e nell’ultima stanza ammiro di Marieda Di Stefano, il toro trafitto.

gna disporre di leader e di mentori dalle capacità relazionali straordinarie, per iniettare nel gruppo il senso dell’empatia e della condivisione. L’immagine di Marco Odermatt che vive autenticamente l’emozione di Franjo Von Allmen per l’oro in libera, colpisce quanto quella in cui, da spettatore, saluta il trionfo dei suoi compagni in combinata. Lui leader, re, numero 1, a soli 27 anni ha assunto il ruolo del «vecchio saggio» capace di riporre nel cassetto più intimo la sua delusione, per celebrare il successo dei compagni. Anche in questo caso, come per le discesiste, ci sarebbe da rallegrarsi. Marco, l’alieno, torna sulla terra. Tutti noi lo sentiamo come più umano. Per fortuna, verrebbe da dire. È stimolante sapere che ogni tanto qualcuno lo sconfigge. Ma sotto sotto diciamo così perché sappiamo che questo accade, e accadrà, solo ogni tanto.

di Giancarlo Dionisio
di Oliver Scharpf

Hit della settimana

25. 2 – 3. 3. 2025

3.90

articoli

Settimana Migros Approfittane e gusta

3.90

Zucchine

Un mix di super offerte

3.90

invece di 5.20 Mele jazz Svizzera, al kg 25%

2.30 invece di 2.80

Arance bionde Spagna, rete da 2 kg, (1 kg = 1.15) 17%

2.–

Cavolfiori Italia/Spagna, al kg

1.80 Patate dolci USA/Egitto, 1 kg

2.35 invece di 2.95

Banane Migros Bio, Fairtrade Colombia, al kg 20%

4.50

Asparagi verdi fini Messico, mazzo da 500 g 24%

invece di 5.95

2.50

invece di 3.20

Pomodori Perla Italia/Spagna, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.50) 21%

Mondata e lavata

2.95

Lattuga XL 350 g, (100 g = 0.84) Hit

6.01

invece di 7.80

Tutti i minestroni (escl. bio) Svizzera/Italia/ Turchia, al kg, per es. Minestrone nostrano 23%

Quando la pesca

9.95

invece di 12.60 Salmone selvatico Sockeye M-Classic, MSC pesca, Pacifico nordorientale, 280 g, in self-service, (100 g = 3.55)

Pronti da gustare in pochi minuti

Filetti di limanda, filetti di merluzzo, croccantini di pangasio, Anna's Best e Fish & Chips M-Classic per es. filetti di limanda Anna's Best, pesca selvatica, Pacifico nordorientale, MSC, 200 g, 3.96 invece di 4.95, in self-service, (100 g = 1.98)

6.95

invece di 8.70

Filetti di platessa M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, 300 g, in self-service, (100 g = 2.32)

Formaggi e latticini

Da mordere, sorseggiare e assaporare

1.36

Emmentaler dolce circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 20%

invece di 1.70

Vacherin Mont-d'Or, AOP 400 g, 600 g e 1/2 forma, per es. 400 g, per 100 g, 2.30 invece di 2.70 15%

conf. da 3 20%

7.05

invece di 8.85

Le Gruyère grattugiato AOP 3 x 130 g, (100 g = 1.81)

Stagionato da 5 a 8 mesi

Formaggio a pasta dura M-Classic dolce e piccante, per es. piccante, per 100 g, 1.30 invece di 1.85, prodotto confezionato 30%

Tutti i formaggi per raclette a fette aromatizzati Raccard (senza al naturale), per es. al pepe, IP-SUISSE, 240 g, 4.76 invece di 6.80, (100 g = 1.98) 30%

Sbrinz AOP per 100 g, prodotto confezionato 16%

2.10 invece di 2.50

1.95 invece di 2.35

Formaggella grassa Nostrana per 100 g, prodotto confezionato 17%

Migros Ticino

Bevande energetiche Emmi disponibili in diverse varietà, per es. Protein Vanilla, 330 ml, 2.28 invece di 2.85, (100 ml = 0.69)

a partire da 2 pezzi 20% Philadelphia al naturale, balance o alle erbe aromatiche, per es. al naturale, 2 x 200 g, 4.40 invece di 5.50, (100 g = 1.10)

conf. da 4 15%

Yogurt Pur Emmi disponibili in diverse varietà, 4 x 150 g, (100 g = 0.65)

conf. da 2 20%

a partire da 2 pezzi 20% 2.20 invece di 2.60 Formaggini freschi, aha! per 100 g 15%

Tutti i drink, gli yogurt e i budini, High Protein Oh! per es. drink al cioccolato, 500 ml, 1.66 invece di 1.95, (100 ml = 0.33) 15% Philadelphia (confezioni multiple escl.), disponibile in diverse varietà, per es. al naturale, 200 g, 2.20 invece di 2.75, (100 g = 1.10)

Grande Caffè Macchiato, Cappuccino e Zero, per es. macchiato, 250 ml, 1.16 invece di 1.65, (100 ml = 0.46) 30%

Benecol Emmi lampone, fragola o mirtillo, per es. lampone, senza zucchero cristallizzato, 12 x 65 ml, 9.35 invece di 11.70, (100 ml = 1.20) conf. da 12 20% 3.90 invece di 4.60

Ticino

Migros

Pane e prodotti da forno

Dal forno al piatto

Finalmente è tornato il classico di Pasqua

Il nostro pane della settimana: la nota dolce dei pezzetti di patate è sottolineata dalla curcuma. I semi di girasole ne arrotondano il sapore.

3.35

Twister alle patate dolci cotto su pietra IP-SUISSE

Limited Edition, 400 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.84)

Tutte le tortine pasquali in conf. da 2 e le torte di Pasqua da 475 g, Petit Bonheur per es. tortine pasquali, 2 pezzi, 150 g, 2.32 invece di 2.90, prodotto confezionato, (100 g = 1.55) 20%

2.55

invece di 3.20

Frittelle di carnevale grandi Petit Bonheur (chiacchiere escluse), 6 pezzi, 216 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.18) 20%

Biberli d'Appenzello 6 x 75 g, (100 g = 1.54) conf. da 6 25%

6.95 invece di 9.30

2.64 invece di 3.30

Tortina al limone 2 pezzi, 100 g, prodotto confezionato 20%

24.90 invece di 35.60

Bull Energy Drink o Sugarfree, 24 x 250 ml, (100 ml = 0.42)

a partire da 2 pezzi –.50 di riduzione

Tutti gli sciroppi in bottiglie di PET 750 ml e 1,5 litri, per es. al lampone, 750 ml, 2.45 invece di 2.95, (100 ml = 0.33)

13.97 invece di 19.95

Prodotti freschi e pronti

Tutta la pasta fresca Anna's Best, refrigerata (confezioni multiple escluse), per es. ravioli ricotta e spinaci, 250 g, 3.18 invece di 4.75, (100 g = 1.27) a partire da 3 pezzi 33%

Ravioli Anna's Best refrigerati ricotta e spinaci o mozzarella e pomodoro, per es. ricotta e spinaci, 3 x 250 g, 9.50 invece di 14.25, (100 g = 1.27) conf. da 3 33%

Pizze dal forno a legna Anna's Best, refrigerate prosciutto, lardo & cipolle o pomodorini e mozzarella, per es. prosciutto, lardo & cipolle, 2 x 430 g, 9.90 invece di 13.90, (100 g = 1.15) conf. da 2 4.–di riduzione

Cornatur scaloppine con mozzarella e pesto o nuggets, per es. scaloppine, 2 x 240 g, 9.50 invece di 11.90, (100 g = 1.98)

Più varietà nella dispensa

Tutto l'assortimento Mister Rice per es. Carolina, 1 kg, 3.44 invece di 4.30 20%

a partire da 2 pezzi 30%

Tutti i tipi di farina M-Classic da 1 kg per es. farina per treccia, IP-SUISSE, 1.47 invece di 2.10, (100 g = 0.15)

conf. da 2 33%

Lasagne La Trattoria prodotto surgelato, verdi o alla bolognese, per es. verdi, 2 x 600 g, 6.90 invece di 10.40, (100 g = 0.58)

2.95 invece di 5.90

Pasta Garofalo penne, farfalle o spaghetti, in confezione speciale, 1 kg 50%

Tonno M-Classic, MSC in olio o in salamoia, 6 x 155 g, 9.35 invece di 11.70, (100 g = 0.78) conf. da 6 20%

Tutti i brodi Knorr in barattolo per es. brodo di verdure, 500 g, 17.95 invece di 19.95, (100 g = 3.59) a partire da 2 pezzi 2.–di riduzione

Tutto l'assortimento di sottaceti e di antipasti, Condy per es. cetrioli alle erbe, 290 g, 2.08 invece di 2.60, (100 g = 0.72) 20%

conf. da 3 33%

5.90

invece di 8.85

Sugo di pomodoro Agnesi al basilico o alla napoletana, 3 x 400 g, (100 g = 0.49)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutto l'assortimento Pancho Villa per es. Tortillas Flour, 8 pezzi, 326 g, 3.64 invece di 4.55, (100 g = 1.12)

5.25 invece di 6.60 Chips Farm alle erbe svizzere, al naturale o al rosmarino, in confezione speciale, 300 g, per es. alle erbe svizzere, (100 g = 1.75) 20%

a partire da 2 pezzi 20%

Tutto l'assortimento Kellogg's per es. Tresor Choco Nut, 620 g, 5.56 invece di 6.95, (100 g = 0.90)

di erbe biologiche

5.70 invece di 8.17

Wedges Denny’s, Classic o Mexican prodotto surgelato, in conf. speciale, 1 kg 30%

Tutte le noci e le noci miste, Sun Queen Apéro e Party, salate e tostate per es. noci miste Sun Queen, 170 g, 3.72 invece di 4.65, (100 g = 2.19) 20%

Miele di fiori Fairtrade cremoso o liquido, 2 x 550 g, per es. cremoso, 11.10 invece di 13.90, (100 g = 1.01) conf. da 2 20%

a partire da 2 pezzi

2.–di riduzione

12.95 invece di 14.95

Tutte le capsule Café Royal (prodotti CoffeeB eclusi), in confezioni grandi, 36 pezzi, per es. Café Royal Lungo, (100 g = 6.82)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutte le tisane bio Yogi Tea per es. zenzero-limone, 17 bustine, 3.84 invece di 4.80, (10 g = 1.28)

Una pagina irresistibile

Consiglio: per una consistenza croccante, conservare in frigorifero

Toblerone Milk o Tiny Mix in confezioni speciali e multiple,

es. milk, 5 x 100 g, 12.35 invece di 16.50, (100 g = 2.47)

Prodotto testato da organi indipendenti

di cioccolato Pérou Frey bio 72%, Fairtrade

Cialde finissime Classico, Noir o Black & White, M-Classic per es. Classico, 3 x 190 g, 7.55 invece di 10.80, (100 g = 1.32)

al latte

invece di 38.32

Lindt in conf. speciale, 800 g, (100 g = 2.99)

6 varietà di cioccolato in formato bocconcino

invece di 33.75 Cioccolatini Selection Frey assortiti, in conf. speciale, 1 kg

Haribo Phantasia in conf. speciale, 750 g
Palline
Nutella Biscuits

Articoli di base

Per una bellezza che viene da dentro e da fuori

Mascara Paradise Big Deal L'Oréal Paris disponibile in nero, il pezzo

4.95 Sapone schiumoso vaniglia e orchidea Dettol 250 ml, (100 ml = 1.98)

8.50 Spray nasale antiallergico Tetesept

igienizzante No Touch al miele in conf. di ricarica Dettol

3.95

8.95 Vitamina B12 Tetesept Vita-Kick 7 flaconcini, (1 pz. = 1.28)

6.95

Tetesept A–Z Complex Direkt 20 stick 20x

3.95

7.60

Pastiglie limone zenzero Grether's in conf. di ricarica, 110 g, (100 g = 6.91) 20x CUMULUS

Parola d’ordine: igiene

cosmetiche e fazzoletti, Kleenex, FSC® in

Tutto l'assortimento Secure e Tena (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Secure Ultra Light, FSC®, 28 pezzi, 3.76 invece di 4.70

6.75

Salviettine cosmetiche o fazzoletti di carta, Linsoft, FSC® in confezioni multiple o speciali, per es. salviettine cosmetiche in scatola quadrata, 4 x 90 pezzi, 5.40 invece di 9.–

5.50

conf. da 4
Fazzoletti di carta Linsoft Classic in scatola, FSC® 4 x 100 pezzi
conf. da 4
a partire da 2 pezzi

Il meglio per piccoli intenditori

Cose belle per la casa

Detersivo Perwoll in conf. speciale, 2,6 litri, per es. Black, (1 l = 6.13) 30%

15.95 invece di 23.02

7.–

invece di 10.50

Sfere profumate per ambienti o mini spray per ambienti, Migros Fresh per es. sfere profumate Lemon Lime, (100 ml = 2.33)

9.90 Tulipani disponibili in diversi colori, mazzo da 20, il mazzo

Detersivi Total in confezioni speciali XXL, per es. 1 for all, 5 litri, 19.90 invece di 39.88, (1 l = 3.98) 50%

Detersivo per lavastoviglie e a mano per stoviglie, Nature Clean (confezioni multiple escluse), per es. detersivo a mano per stoviglie al limone, 500 ml, 2.36 invece di 2.95, (100 ml = 0.47)

Carta igienica o salviettine igieniche umide, Hakle in confezioni multiple o speciali, per es. pulizia trattante, FSC®, 24 rotoli, 17.– invece di 28.65

Essendo perenni, i bulbi si possono piantare in giardino anche dopo che lo stelo è sfiorito

Cestino primaverile con piantine di fiori Ø 18 cm, il pezzo

Prezzi imbattibili del weekend

riduzione

Offerte dell’anniversario

50%

conf. da 12 50%

Tutto l'assortimento Kneipp (confezioni multiple e da viaggio escluse)

Tavolette di cioccolato Frey al latte finissimo o al latte con nocciole, 12 x 100 g, per es. al latte finissimo, 14.70 invece di 29.40, (100 g = 1.23)

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