Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Settore alberghiero: lavorare tra Ticino e Grigioni con il progetto Mitarbeiter-Sharing
Ambiente e Benessere La dottoressa Maura Zanolari Calderari, pneumologa pediatrica, parla dell’asma dei bambini e di come trattarla adeguatamente per poter condurre una vita normale
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXII 15 aprile 2019
Azione 16 Politica e Economia In Libia pace sempre più lontana tra al-Serraj e il generale Haftar
Cultura e Spettacoli Billie Eilish, la nuova superstar che ha stravolto le regole del mercato musicale mondiale
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Sull’isola della Venere
di Simona Dalla Valle pagine 22-23
Simona Dalla Valle
Democrazia richiede correttezza di Peter Schiesser Non era mai successo: il Tribunale federale ha annullato una votazione popolare, quella del 28 febbraio 2016 sull’iniziativa del PPD contro gli svantaggi fiscali per le coppie sposate, respinta di misura (49,2 % dei votanti e la maggioranza dei cantoni a favore), poiché dei dati erronei forniti dall’Amministrazione federale potrebbero avere falsato l’esito. Il PPD si trova sorprendentemente una vittoria giuridica di peso in tasca, ma anche una nuova gatta da pelare. Che cos’è successo? Durante la campagna per la votazione, il Consiglio federale argomentava che l’attuale sistema di imposizione per le coppie sposate ne penalizza solo 80mila, mentre ne avvantaggia 370mila. In realtà, non è così: già prima della votazione, l’Amministrazione federale era in possesso di dati che alzavano la stima a 140mila (non divulgati per non creare confusione in una campagna in corso, è la giustificazione a posteriori); l’anno scorso nuovi metodi di calcolo e stime più fresche di quelle che hanno portato alla cifra di 80mila (risalenti al 2001!), hanno spinto l’Amministrazione federale a correggere la cifra a 454mila persone. Per il PPD questo era davve-
ro troppo, il partito ha quindi fatto ricorso ed oggi 4 giudici federali su 5 gli hanno dato ragione: troppo esiguo il margine di vantaggio degli oppositori, troppo importante l’errore. Ma allora perché a suo tempo, nel 2011, non venne annullata la votazione federale del 2008 sull’imposizione delle imprese II, come chiedeva il Partito socialista? La realtà dei fatti aveva dimostrato che lo Stato perdeva molti più introiti fiscali di quanto avesse stimato l’Amministrazione federale nelle argomentazioni per la votazione popolare, anche qui un evidente grossolano errore di calcolo che potrebbe aver influenzato i votanti. Vero, lo hanno riconosciuto anche i giudici federali, ma annullare la votazione avrebbe generato delle insicurezze giuridiche che si volevano evitare: la riforma era ormai entrata in vigore, fare dietro-front non era più possibile senza danni maggiori, l’iniziativa popolare del PPD invece era stata respinta, ripeterla non impone nessun cambiamento legislativo. Tutto chiaro, dunque: si ripete semplicemente la votazione? In realtà no, perché in quel testo c’è un passaggio che assieme alle cifre erronee ha determinato la bocciatura dell’iniziativa: laddove si certifica che la famiglia è l’unione di un uomo e una donna. Un passaggio
che anche a suo tempo aveva diviso il PPD, poiché esclude le unioni fra persone dello stesso sesso. Oggi, che i sondaggi attribuiscono una maggioranza a chi è favorevole al matrimonio per tutti, lasciare questo passaggio nel testo dell’iniziativa potrebbe portare ad una seconda bocciatura. Ma il testo di un’iniziativa popolare non può essere cambiato. Ecco perché il PPD vorrebbe che il tema torni dapprima alle Camere federali. In questo modo si potrebbe privilegiare un controprogetto all’iniziativa che riprenda gli elementi chiave della riforma fiscale, estendendone i benefici a tutte le unioni matrimoniali. Per ora si attendono le motivazioni scritte del Tribunale federale, dopodiché partiranno le riflessioni politico-amministrative. La sentenza, unita alle precedenti valutazioni sull’impatto della riforma dell’imposizione delle imprese II, è una critica severa al Consiglio federale e all’Amministrazione federale. Va però riconosciuto che Berna sa imparare dagli errori: il cancelliere Walter Thurnherr ha già istituito un gruppo di lavoro per studiare ogni possibile correttivo. Piuttosto, possiamo chiederci: e se questi criteri di onestà e oggettività dei dati valessero anche per i partiti e per i referendisti? Non sarebbe un enorme vantaggio per la nostra democrazia?
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Società e Territorio Il femminismo e l’arte Una mostra al Migros Museum für Gegenwartskunst indaga l’arte di ispirazione femminista e il suo rapporto con la tecnologia
Educare alla gestione del denaro Alcuni progetti sul territorio si rivolgono ai ragazzi per abituarli a gestire i propri soldi, allestire un budget e prevenire così l’eccessivo indebitamento
A due passi Oliver Scharpf ci accompagna alla scoperta della torre Jürgensen a Les Brenets pagina 13
pagina 11
Un minuto per una medicina responsabile, efficace ed efficiente
Sanità L’Ente Ospedaliero Cantonale promuove un concorso cinematografico rivolto ai giovani tra gli 11 e i 18 anni
intitolato «Choosing Wisely – la miglior cura per te» Alessandra Ostini Sutto
pagina 8
Lo scorso autunno è stata creata la nuova piattaforma online job2share.ch utile a lavoratori e albergatori. (Keystone)
Lavorare tra Ticino e Grigioni
Mitarbeiter-Sharing Un progetto pensato per il settore alberghiero offre la possibilità di lavorare d’estate
nelle strutture ticinesi e d’inverno in quelle grigionesi riducendo così i periodi di disoccupazione
Nicola Mazzi «Estate al lago, inverno sulla neve». Questo il motto del progetto Mitarbeiter-Sharing. Un’idea legata alla sharing economy che coinvolge il settore alberghiero. Una proposta innovativa e interessante che sta prendendo piede alle nostre latitudini grazie anche al sostegno della Confederazione e dei Cantoni. Di che cosa si tratta? È piuttosto semplice da spiegare ma è utile fare un passo indietro, partendo da un fatto: il settore alberghiero in Ticino è per sua natura stagionale. Molte strutture ticinesi, infatti, lavorano dalla tarda primavera all’autunno, ma nella stagione invernale sono chiuse oppure operano a regime ridotto. Di conseguenza numerosi lavoratori devono iscriversi alla disoccupazione per quel lasso di tempo. Allo scopo di evitare agli impiegati di doversi trovare senza un lavoro per un periodo dell’anno e su spinta della Confederazione, il Ticino e i Grigioni hanno stretto una sorta di alleanza. In sostanza hanno creato un progetto in cui alcuni alberghi dei due Cantoni offrono posti di lavoro in alta stagione. In modo che i lavoratori del settore possa-
no lavorare d’estate in Ticino e d’inverno nei Grigioni, evitando quindi la disoccupazione. Un’azione partita qualche anno fa e che ora sta entrando nel vivo. Alla fine del 2018 è infatti terminata una prima fase di prova e da quest’anno l’associazione che ha preso in mano il progetto dovrà autofinanziarsi e camminare con le proprie gambe. Ce lo spiega uno dei responsabili: Marcel Krähenmann, direttore e proprietario del BoutiqueHotel La Rocca, di Ronco sopra Ascona. «Lo scorso autunno – afferma – è stata lanciata la nuova piattaforma online www.jobs2share.ch/it che automatizza il processo di scambio tra i lavoratori e i datori di lavoro. I collaboratori possono creare gratuitamente un profilo personale sul sito e così vedere i posti vacanti nei vari alberghi per la stagione seguente, mentre gli albergatori, iscrivendosi, hanno la possibilità di offrire le posizioni libere». Come detto, il nuovo portale «è il frutto del lavoro svolto negli ultimi anni, in cui abbiamo potuto testare le varie esigenze sia dei lavoratori sia degli albergatori. Ora le esperienze fatte sono state tradotte appunto in questo luogo virtuale, ma molto concreto; un por-
tale nel quale abbiamo investito quasi 300mila franchi per favorire lo scambio del personale da una stagione all’altra». Un progetto nato con un ampio consenso e da una collaborazione tra pubblico e privato. Infatti, oltre alle strutture alberghiere vi hanno partecipato con convinzione le associazioni di categoria come hotelleriesuisse Grigioni e hotelleriesuisse Ticino, così come la Scuola Superiore di Tecnica e Economia HTW (Hochschule für Technik und Wirtschaft) di Coira, ma soprattutto hanno aderito il Canton Ticino, i Grigioni e la SECO (Segreteria di Stato dell’economia). «Il sostegno alla prima fase è di 500mila franchi l’anno per tre anni ed è arrivato dai Cantoni e dalla Confederazione», rileva Krähenmann. «Un investimento sicuramente importante che ha l’obiettivo di ridurre la disoccupazione nel settore alberghiero con conseguente risparmio di diversi milioni per lo Stato. Adesso, finiti i test, stiamo mettendo in pratica quanto abbiamo appreso e i primi segnali che abbiamo ricevuto sono sicuramente positivi». La fase pilota era controllata e i partecipanti sono stati limitati a poco più di un centinaio: «lo abbiamo fatto per seguire al meglio le loro esigenze e per
osservare se e come funzionavano i passaggi lavorativi tra il Ticino e i Grigioni. Era importante analizzare con cura le informazioni raccolte per poi essere pronti con la piattaforma. Ora, invece, le cose cambiano. Più partecipanti avremo, più il progetto Mitarbeiter-Sharing potrà funzionare. L’obiettivo, sul breve termine, è quello di arrivare a 200-300 passaggi dall’inverno all’estate, ma sul medio periodo vogliamo contare su una crescita costante nel tempo di alberghi e collaboratori. Più hotel possiamo inserire nella piattaforma più ampia sarà l’offerta di posti di lavoro da mettere a disposizione dei lavoratori», evidenzia ancora il nostro interlocutore. In questo senso si stanno osservando diverse nuove registrazioni al sito. «Nei primi anni, oltre ai lavoratori abbiamo limitato anche la presenza di strutture alberghiere a una quarantina (divise equamente tra i due Cantoni), ma da quando abbiamo aperto la piattaforma abbiamo potuto contare su una trentina di nuovi registrati, anche da regioni diverse da Ticino e Grigioni». Tuttavia il progetto è stato pensato soprattutto per questi due Cantoni e gli incentivi sono mirati alle due realtà. «Infatti, tengo a precisare che il sito, ol-
tre a offrire delle occasioni di lavoro attraverso scambi tra inverno ed estate, lo fa riducendo al minimo la burocrazia. Questo grazie all’importante sostegno degli Uffici regionali di collocamento (URC) i quali propongono subito l’idea ai nuovi disoccupati del settore alberghiero e ne facilitano lo sviluppo. Tra i vantaggi i collaboratori che vi partecipano hanno diritto a un periodo di sei settimane l’anno di disoccupazione senza essere obbligati a effettuare ricerche di lavoro: un unicum in Svizzera». Ciò consente loro di colmare in maniera snella ed efficace eventuali periodi senza guadagno durante le stagioni intermedie. Da precisare anche che nel caso in cui il progetto pilota dovesse riscuotere successo, questa regolamentazione potrebbe essere estesa al resto del Paese, addirittura con conseguente modifica della Legge sulla disoccupazione. Da notare, per terminare, che la validità del progetto Mitarbeiter-Sharing è stata riconosciuta oltre i nostri confini, in quanto l’idea è arrivata in finale al Premio Innovazione dell’Associazione delle Regioni Alpine Arge Alp, che consiste in 25’000 euro. Un riconoscimento che ne sottolinea il ruolo innovativo e ne esemplifica il potenziale.
L’acqua, lo sappiamo tutti, è un bene prezioso ed essenziale per le varie forme di vita. Ma può anche metterle in pericolo, come accade ad un cactus se viene annaffiato abbondantemente. L’immagine può essere traslata alla medicina: indubbiamente preziosa e, in determinati casi, essenziale, se applicata in eccesso può rivelarsi dannosa.
In un breve video i concorrenti devono trattare temi complessi come i rischi di un’esposizione non necessaria alle radiazioni ionizzanti o l’abuso di antibiotici Si parla in questi casi di sovramedicalizzazione, da cui non è esente nemmeno il sistema sanitario elvetico. Capita infatti anche nel nostro Paese che si ricorra in eccesso a analisi e cure e questo per vari motivi, tra cui l’abitudine e la volontà di soddisfare le richieste del paziente. Per porre un freno a questo spreco di risorse per esami, interventi e trattamenti farmacologici che possono sottoporre i pazienti a rischi supplementari, è nato il movimento Choosing Wisely (traducibile in «Scegliere saggiamente») che promuove una medicina socialmente responsabile, efficace ed efficiente all’insegna del motto «Fare di più non significa fare meglio». «Con l’iniziativa Choosing Wisely, le società scientifiche USA sono state invitate ad individuare 5 test diagnostici e trattamenti diffusi che non hanno dimostrato con sufficiente evidenza scientifica di essere utili per la salute dei pazienti e che quindi devono essere oggetto di aperto dialogo nella relazione con il medico», spiega Angela Greco, responsabile qualità dell’Ospedale regionale di Locarno, «sulla scia di tale iniziativa, numerose società medicoscientifiche nel mondo hanno identificato una serie di pratiche ad alto rischio di inadeguatezza». In Svizzera, nel 2017 è stata costituita l’associazione mantello Smarter Medicine-Choosing Wisely Switzerland, che sostiene le iniziative in linea con i principi del movimento internazionale. Tra di esse figura quella dell’Ente Ospedaliero Cantonale, che nel 2012 ha ritenuto importante promuovere una riflessione su Choosing Wisely. «Nel 2013, l’EOC ha avviato una campagna di sensibilizzazione volta a salvaguardare il paziente da conseguenze indesiderate di certe misure terapeutiche, come danni dovuti a radiazioni o effetti secondari di alcuni farmaci, e da possibili disagi legati alla diagnostica, come i prelievi di sangue non necessari – spiega Angela Greco
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Il movimento internazionale Choosing Wisely promuove una medicina socialmente responsabile.
– una delle sfide più importanti per il movimento internazionale, è quella di mostrare i risultati della campagna, in termini di riduzione delle pratiche che non apportano benefici significativi ai pazienti e di limitazione della sovraprescrizione». Sfida a cui l’EOC ha risposto basando il proprio progetto sul monitoraggio continuo dei dati. «Per poter essere parte attiva della campagna internazionale e diventare protagonisti del cambiamento, abbiamo dovuto monitorare, confrontare e analizzare la strategia prescrittiva dei medici cercando di mirare assieme ad un obiettivo ragionevole», afferma il Prof. Dr med. Luca Gabutti, Direttore medico del Dipartimento di medicina interna dell’EOC e Direttore scientifico della Campagna EOC su Choosing Wisely, che continua: «il monitoraggio ha aiutato a generare consapevolezza ed è stato utilizzato per motivare i clinici ad analizzare nel dettaglio la propria attitudine prescrittiva». Sono stati monitorati diversi medicamenti e gli esami di laboratorio realizzati durante la degenza in ospedale, e sono state poi prodotte raccomandazioni interne. «Prendiamo come esempio i sonniferi: la nostra analisi ha mostrato che 1/3 dei pazienti già ne faceva uso prima del ricovero e un altro 10% li avrebbe ottenuti durante la degenza; cifre preoccupanti, se si tiene conto dell’epidemia planetaria che porta a prescrivere sempre più psicofarmaci e sedativi – spiega il medico – attraverso l’analisi di questi dati e la discussione interprofessionale, si sono elaborate raccomandazioni specifiche, lasciando al clinico il compito di elaborare in modo partecipativo con il paziente la migliore stra-
tegia per prendere in carico il disturbo del sonno. Sembra poco, ma è bastato per diminuire le prescrizioni e trasformare un automatismo in un momento di condivisione medico-paziente». Promuovere un dialogo alla pari tra queste due figure è infatti uno dei punti centrali dell’azione di Choosing Wisely: «L’obiettivo primario è garantire il “bene” più grande possibile, cioè il beneficio globale del quale il paziente ha potuto approfittare, rapportato ai disagi e ai rischi che ha affrontato. Per ottenerlo bisogna considerare anche i valori, le credenze, le preoccupazioni e l’autodeterminazione del paziente», commenta il professor Gabutti. Il movimento celebra così quello che oggi è definito empowerment: «fare cioè in modo che ogni incontro tra curante e paziente sia un’occasione per far crescere in quest’ultimo le conoscenze e la capacità di decisione», continua il professor Gabutti. Per promuovere gli importanti messaggi della campagna, l’EOC ha pensato di dare la parola ai giovani – che saranno, anche, i prossimi professionisti della salute – per mezzo di un concorso cinematografico. «Choosing Wisely – la miglior cura per te» si rivolge infatti agli studenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni degli Istituti scolastici del Cantone come pure ai ragazzi attivi nell’ambito di associazioni sportive, ludiche, culturali, ecc. Una fascia di popolazione che finora non era stata attivamente coinvolta in questa campagna nazionale. «Dopo essere partiti da noi stessi, dai professionisti sanitari degli ospedali, abbiamo voluto coinvolgere i cittadini, cominciando dai giovani, che sono la generazione del futuro. A loro abbia-
mo pensato di chiedere di confrontarsi con alcune tematiche e riuscire a tradurle in un breve filmato», ha spiegato Angela Greco, responsabile dell’organizzazione del Concorso cinematografico, durante una serata informativa aperta a tutti gli interessati. I temi scelti sono cinque: radiologia inutile, evitare i sonniferi, abuso di antibiotici, eccesso di esami di laboratorio e polifarmacoterapia. «Avendo sempre in mano il cellulare, abbiamo deciso di chiedere ai giovani di utilizzare uno smartphone o un tablet per le riprese – continua Angela Greco – i filmati devono essere basati sulla comunicazione non verbale (espressioni mimiche, posture, gestualità), che, by-passando la difficoltà delle parole, è intuibile da diverse realtà socio-culturali». Una breve scritta – in italiano – può sintetizzare il messaggio fondamentale. Le scritte contenute nei filmati vincitori saranno tradotte in inglese, affinché essi possano venir usati durante i convegni organizzati da Choosing Wisely a livello internazionale. «Accettiamo volentieri – e ne abbiamo già ricevuti alcuni – dei disegni animati – precisa Angela Greco – in ogni caso, si possono usare tracce musicali libere da copyright o, meglio ancora, sonorità autoprodotte dai partecipanti». Gli attori devono essere unicamente ragazzi, che recitano quindi anche la parte degli adulti. Insegnanti e familiari possono partecipare in qualità di tutor o facilitatori della libera espressione dei partecipanti. «La campagna Choosing Wisely è un progetto ambizioso, poiché richiede un cambiamento culturale importante, sia dei professionisti sanitari sia dei
pazienti. Di conseguenza, ha una sua complessità anche il concorso cinematografico, non solo per noi che lo abbiamo concepito, ma anche per i giovani ai quali chiediamo di produrre dei videospot di un solo minuto che trattino temi delicati come i rischi di un’esposizione non necessaria alle radiazioni ionizzanti – commenta la responsabile della sua organizzazione – come EOC crediamo profondamente nel progetto e nella creatività dei giovani ticinesi: ciò ci dà l’energia per portare avanti con entusiasmo questa iniziativa». Iniziativa che ha ottenuto finora un riscontro positivo: «Riceviamo molte richieste di informazioni sia da studenti sia da insegnanti e siamo molto felici di vedere che tutti coloro cui presentiamo l’iniziativa riescono a coglierne il senso e l’importanza. Anche l’invito ricevuto da alcuni licei a presentarla durante l’orario scolastico è per noi un segno tangibile dell’interesse rispetto al concorso» aggiunge Angela Greco. «Di fatto abbiamo già ricevuto 19 filmati, alcuni dei quali davvero stupefacenti, e attendiamo di riceverne altri dalle 5 classi di Liceo e dalla classe di scuole medie che si sono pre-iscritte». Tra i filmati che perverranno entro il 30 giugno verranno eletti tre vincitori, che saranno premiati durante il Locarno Film Festival, negli spazi della RSI. La proiezione dei migliori video avverrà invece nel mese di ottobre, sempre a Locarno, nell’ambito di Cinemagia, che è partner dell’iniziativa, assieme ad ACSI.
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Società e Territorio Il femminismo e l’arte Una mostra al Migros Museum für Gegenwartskunst indaga l’arte di ispirazione femminista e il suo rapporto con la tecnologia
Educare alla gestione del denaro Alcuni progetti sul territorio si rivolgono ai ragazzi per abituarli a gestire i propri soldi, allestire un budget e prevenire così l’eccessivo indebitamento
A due passi Oliver Scharpf ci accompagna alla scoperta della torre Jürgensen a Les Brenets pagina 13
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Un minuto per una medicina responsabile, efficace ed efficiente
Sanità L’Ente Ospedaliero Cantonale promuove un concorso cinematografico rivolto ai giovani tra gli 11 e i 18 anni
intitolato «Choosing Wisely – la miglior cura per te» Alessandra Ostini Sutto
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Lo scorso autunno è stata creata la nuova piattaforma online job2share.ch utile a lavoratori e albergatori. (Keystone)
Lavorare tra Ticino e Grigioni
Mitarbeiter-Sharing Un progetto pensato per il settore alberghiero offre la possibilità di lavorare d’estate
nelle strutture ticinesi e d’inverno in quelle grigionesi riducendo così i periodi di disoccupazione
Nicola Mazzi «Estate al lago, inverno sulla neve». Questo il motto del progetto Mitarbeiter-Sharing. Un’idea legata alla sharing economy che coinvolge il settore alberghiero. Una proposta innovativa e interessante che sta prendendo piede alle nostre latitudini grazie anche al sostegno della Confederazione e dei Cantoni. Di che cosa si tratta? È piuttosto semplice da spiegare ma è utile fare un passo indietro, partendo da un fatto: il settore alberghiero in Ticino è per sua natura stagionale. Molte strutture ticinesi, infatti, lavorano dalla tarda primavera all’autunno, ma nella stagione invernale sono chiuse oppure operano a regime ridotto. Di conseguenza numerosi lavoratori devono iscriversi alla disoccupazione per quel lasso di tempo. Allo scopo di evitare agli impiegati di doversi trovare senza un lavoro per un periodo dell’anno e su spinta della Confederazione, il Ticino e i Grigioni hanno stretto una sorta di alleanza. In sostanza hanno creato un progetto in cui alcuni alberghi dei due Cantoni offrono posti di lavoro in alta stagione. In modo che i lavoratori del settore possa-
no lavorare d’estate in Ticino e d’inverno nei Grigioni, evitando quindi la disoccupazione. Un’azione partita qualche anno fa e che ora sta entrando nel vivo. Alla fine del 2018 è infatti terminata una prima fase di prova e da quest’anno l’associazione che ha preso in mano il progetto dovrà autofinanziarsi e camminare con le proprie gambe. Ce lo spiega uno dei responsabili: Marcel Krähenmann, direttore e proprietario del BoutiqueHotel La Rocca, di Ronco sopra Ascona. «Lo scorso autunno – afferma – è stata lanciata la nuova piattaforma online www.jobs2share.ch/it che automatizza il processo di scambio tra i lavoratori e i datori di lavoro. I collaboratori possono creare gratuitamente un profilo personale sul sito e così vedere i posti vacanti nei vari alberghi per la stagione seguente, mentre gli albergatori, iscrivendosi, hanno la possibilità di offrire le posizioni libere». Come detto, il nuovo portale «è il frutto del lavoro svolto negli ultimi anni, in cui abbiamo potuto testare le varie esigenze sia dei lavoratori sia degli albergatori. Ora le esperienze fatte sono state tradotte appunto in questo luogo virtuale, ma molto concreto; un por-
tale nel quale abbiamo investito quasi 300mila franchi per favorire lo scambio del personale da una stagione all’altra». Un progetto nato con un ampio consenso e da una collaborazione tra pubblico e privato. Infatti, oltre alle strutture alberghiere vi hanno partecipato con convinzione le associazioni di categoria come hotelleriesuisse Grigioni e hotelleriesuisse Ticino, così come la Scuola Superiore di Tecnica e Economia HTW (Hochschule für Technik und Wirtschaft) di Coira, ma soprattutto hanno aderito il Canton Ticino, i Grigioni e la SECO (Segreteria di Stato dell’economia). «Il sostegno alla prima fase è di 500mila franchi l’anno per tre anni ed è arrivato dai Cantoni e dalla Confederazione», rileva Krähenmann. «Un investimento sicuramente importante che ha l’obiettivo di ridurre la disoccupazione nel settore alberghiero con conseguente risparmio di diversi milioni per lo Stato. Adesso, finiti i test, stiamo mettendo in pratica quanto abbiamo appreso e i primi segnali che abbiamo ricevuto sono sicuramente positivi». La fase pilota era controllata e i partecipanti sono stati limitati a poco più di un centinaio: «lo abbiamo fatto per seguire al meglio le loro esigenze e per
osservare se e come funzionavano i passaggi lavorativi tra il Ticino e i Grigioni. Era importante analizzare con cura le informazioni raccolte per poi essere pronti con la piattaforma. Ora, invece, le cose cambiano. Più partecipanti avremo, più il progetto Mitarbeiter-Sharing potrà funzionare. L’obiettivo, sul breve termine, è quello di arrivare a 200-300 passaggi dall’inverno all’estate, ma sul medio periodo vogliamo contare su una crescita costante nel tempo di alberghi e collaboratori. Più hotel possiamo inserire nella piattaforma più ampia sarà l’offerta di posti di lavoro da mettere a disposizione dei lavoratori», evidenzia ancora il nostro interlocutore. In questo senso si stanno osservando diverse nuove registrazioni al sito. «Nei primi anni, oltre ai lavoratori abbiamo limitato anche la presenza di strutture alberghiere a una quarantina (divise equamente tra i due Cantoni), ma da quando abbiamo aperto la piattaforma abbiamo potuto contare su una trentina di nuovi registrati, anche da regioni diverse da Ticino e Grigioni». Tuttavia il progetto è stato pensato soprattutto per questi due Cantoni e gli incentivi sono mirati alle due realtà. «Infatti, tengo a precisare che il sito, ol-
tre a offrire delle occasioni di lavoro attraverso scambi tra inverno ed estate, lo fa riducendo al minimo la burocrazia. Questo grazie all’importante sostegno degli Uffici regionali di collocamento (URC) i quali propongono subito l’idea ai nuovi disoccupati del settore alberghiero e ne facilitano lo sviluppo. Tra i vantaggi i collaboratori che vi partecipano hanno diritto a un periodo di sei settimane l’anno di disoccupazione senza essere obbligati a effettuare ricerche di lavoro: un unicum in Svizzera». Ciò consente loro di colmare in maniera snella ed efficace eventuali periodi senza guadagno durante le stagioni intermedie. Da precisare anche che nel caso in cui il progetto pilota dovesse riscuotere successo, questa regolamentazione potrebbe essere estesa al resto del Paese, addirittura con conseguente modifica della Legge sulla disoccupazione. Da notare, per terminare, che la validità del progetto Mitarbeiter-Sharing è stata riconosciuta oltre i nostri confini, in quanto l’idea è arrivata in finale al Premio Innovazione dell’Associazione delle Regioni Alpine Arge Alp, che consiste in 25’000 euro. Un riconoscimento che ne sottolinea il ruolo innovativo e ne esemplifica il potenziale.
L’acqua, lo sappiamo tutti, è un bene prezioso ed essenziale per le varie forme di vita. Ma può anche metterle in pericolo, come accade ad un cactus se viene annaffiato abbondantemente. L’immagine può essere traslata alla medicina: indubbiamente preziosa e, in determinati casi, essenziale, se applicata in eccesso può rivelarsi dannosa.
In un breve video i concorrenti devono trattare temi complessi come i rischi di un’esposizione non necessaria alle radiazioni ionizzanti o l’abuso di antibiotici Si parla in questi casi di sovramedicalizzazione, da cui non è esente nemmeno il sistema sanitario elvetico. Capita infatti anche nel nostro Paese che si ricorra in eccesso a analisi e cure e questo per vari motivi, tra cui l’abitudine e la volontà di soddisfare le richieste del paziente. Per porre un freno a questo spreco di risorse per esami, interventi e trattamenti farmacologici che possono sottoporre i pazienti a rischi supplementari, è nato il movimento Choosing Wisely (traducibile in «Scegliere saggiamente») che promuove una medicina socialmente responsabile, efficace ed efficiente all’insegna del motto «Fare di più non significa fare meglio». «Con l’iniziativa Choosing Wisely, le società scientifiche USA sono state invitate ad individuare 5 test diagnostici e trattamenti diffusi che non hanno dimostrato con sufficiente evidenza scientifica di essere utili per la salute dei pazienti e che quindi devono essere oggetto di aperto dialogo nella relazione con il medico», spiega Angela Greco, responsabile qualità dell’Ospedale regionale di Locarno, «sulla scia di tale iniziativa, numerose società medicoscientifiche nel mondo hanno identificato una serie di pratiche ad alto rischio di inadeguatezza». In Svizzera, nel 2017 è stata costituita l’associazione mantello Smarter Medicine-Choosing Wisely Switzerland, che sostiene le iniziative in linea con i principi del movimento internazionale. Tra di esse figura quella dell’Ente Ospedaliero Cantonale, che nel 2012 ha ritenuto importante promuovere una riflessione su Choosing Wisely. «Nel 2013, l’EOC ha avviato una campagna di sensibilizzazione volta a salvaguardare il paziente da conseguenze indesiderate di certe misure terapeutiche, come danni dovuti a radiazioni o effetti secondari di alcuni farmaci, e da possibili disagi legati alla diagnostica, come i prelievi di sangue non necessari – spiega Angela Greco
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Il movimento internazionale Choosing Wisely promuove una medicina socialmente responsabile.
– una delle sfide più importanti per il movimento internazionale, è quella di mostrare i risultati della campagna, in termini di riduzione delle pratiche che non apportano benefici significativi ai pazienti e di limitazione della sovraprescrizione». Sfida a cui l’EOC ha risposto basando il proprio progetto sul monitoraggio continuo dei dati. «Per poter essere parte attiva della campagna internazionale e diventare protagonisti del cambiamento, abbiamo dovuto monitorare, confrontare e analizzare la strategia prescrittiva dei medici cercando di mirare assieme ad un obiettivo ragionevole», afferma il Prof. Dr med. Luca Gabutti, Direttore medico del Dipartimento di medicina interna dell’EOC e Direttore scientifico della Campagna EOC su Choosing Wisely, che continua: «il monitoraggio ha aiutato a generare consapevolezza ed è stato utilizzato per motivare i clinici ad analizzare nel dettaglio la propria attitudine prescrittiva». Sono stati monitorati diversi medicamenti e gli esami di laboratorio realizzati durante la degenza in ospedale, e sono state poi prodotte raccomandazioni interne. «Prendiamo come esempio i sonniferi: la nostra analisi ha mostrato che 1/3 dei pazienti già ne faceva uso prima del ricovero e un altro 10% li avrebbe ottenuti durante la degenza; cifre preoccupanti, se si tiene conto dell’epidemia planetaria che porta a prescrivere sempre più psicofarmaci e sedativi – spiega il medico – attraverso l’analisi di questi dati e la discussione interprofessionale, si sono elaborate raccomandazioni specifiche, lasciando al clinico il compito di elaborare in modo partecipativo con il paziente la migliore stra-
tegia per prendere in carico il disturbo del sonno. Sembra poco, ma è bastato per diminuire le prescrizioni e trasformare un automatismo in un momento di condivisione medico-paziente». Promuovere un dialogo alla pari tra queste due figure è infatti uno dei punti centrali dell’azione di Choosing Wisely: «L’obiettivo primario è garantire il “bene” più grande possibile, cioè il beneficio globale del quale il paziente ha potuto approfittare, rapportato ai disagi e ai rischi che ha affrontato. Per ottenerlo bisogna considerare anche i valori, le credenze, le preoccupazioni e l’autodeterminazione del paziente», commenta il professor Gabutti. Il movimento celebra così quello che oggi è definito empowerment: «fare cioè in modo che ogni incontro tra curante e paziente sia un’occasione per far crescere in quest’ultimo le conoscenze e la capacità di decisione», continua il professor Gabutti. Per promuovere gli importanti messaggi della campagna, l’EOC ha pensato di dare la parola ai giovani – che saranno, anche, i prossimi professionisti della salute – per mezzo di un concorso cinematografico. «Choosing Wisely – la miglior cura per te» si rivolge infatti agli studenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni degli Istituti scolastici del Cantone come pure ai ragazzi attivi nell’ambito di associazioni sportive, ludiche, culturali, ecc. Una fascia di popolazione che finora non era stata attivamente coinvolta in questa campagna nazionale. «Dopo essere partiti da noi stessi, dai professionisti sanitari degli ospedali, abbiamo voluto coinvolgere i cittadini, cominciando dai giovani, che sono la generazione del futuro. A loro abbia-
mo pensato di chiedere di confrontarsi con alcune tematiche e riuscire a tradurle in un breve filmato», ha spiegato Angela Greco, responsabile dell’organizzazione del Concorso cinematografico, durante una serata informativa aperta a tutti gli interessati. I temi scelti sono cinque: radiologia inutile, evitare i sonniferi, abuso di antibiotici, eccesso di esami di laboratorio e polifarmacoterapia. «Avendo sempre in mano il cellulare, abbiamo deciso di chiedere ai giovani di utilizzare uno smartphone o un tablet per le riprese – continua Angela Greco – i filmati devono essere basati sulla comunicazione non verbale (espressioni mimiche, posture, gestualità), che, by-passando la difficoltà delle parole, è intuibile da diverse realtà socio-culturali». Una breve scritta – in italiano – può sintetizzare il messaggio fondamentale. Le scritte contenute nei filmati vincitori saranno tradotte in inglese, affinché essi possano venir usati durante i convegni organizzati da Choosing Wisely a livello internazionale. «Accettiamo volentieri – e ne abbiamo già ricevuti alcuni – dei disegni animati – precisa Angela Greco – in ogni caso, si possono usare tracce musicali libere da copyright o, meglio ancora, sonorità autoprodotte dai partecipanti». Gli attori devono essere unicamente ragazzi, che recitano quindi anche la parte degli adulti. Insegnanti e familiari possono partecipare in qualità di tutor o facilitatori della libera espressione dei partecipanti. «La campagna Choosing Wisely è un progetto ambizioso, poiché richiede un cambiamento culturale importante, sia dei professionisti sanitari sia dei
pazienti. Di conseguenza, ha una sua complessità anche il concorso cinematografico, non solo per noi che lo abbiamo concepito, ma anche per i giovani ai quali chiediamo di produrre dei videospot di un solo minuto che trattino temi delicati come i rischi di un’esposizione non necessaria alle radiazioni ionizzanti – commenta la responsabile della sua organizzazione – come EOC crediamo profondamente nel progetto e nella creatività dei giovani ticinesi: ciò ci dà l’energia per portare avanti con entusiasmo questa iniziativa». Iniziativa che ha ottenuto finora un riscontro positivo: «Riceviamo molte richieste di informazioni sia da studenti sia da insegnanti e siamo molto felici di vedere che tutti coloro cui presentiamo l’iniziativa riescono a coglierne il senso e l’importanza. Anche l’invito ricevuto da alcuni licei a presentarla durante l’orario scolastico è per noi un segno tangibile dell’interesse rispetto al concorso» aggiunge Angela Greco. «Di fatto abbiamo già ricevuto 19 filmati, alcuni dei quali davvero stupefacenti, e attendiamo di riceverne altri dalle 5 classi di Liceo e dalla classe di scuole medie che si sono pre-iscritte». Tra i filmati che perverranno entro il 30 giugno verranno eletti tre vincitori, che saranno premiati durante il Locarno Film Festival, negli spazi della RSI. La proiezione dei migliori video avverrà invece nel mese di ottobre, sempre a Locarno, nell’ambito di Cinemagia, che è partner dell’iniziativa, assieme ad ACSI.
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Una tradizione che non smette di ingolosire Attualità Una Pasqua con il capretto è per molti un must. Per questa e altre preparazioni esclusive gli specialisti
delle macellerie Migros Ticino sono a vostra disposizione con consigli e suggerimenti personalizzati affinché possiate creare dei menu sfiziosi e squisiti. Abbiamo incontrato Moreno Bonzani, macellaio presso la nuova filiale di Riazzino, e ci siamo fatti raccontare quali specialità pasquali vale la pena portare in tavola… Capretto al forno
Azione 50%
La ricetta tradizionale
sul Capretto al banco scongelato, Francia, 100 g Fr. 1.65 invece di 3.30
Ingredienti per 4 persone 1,5 - 2 kg di capretto tagliato 2 cucchiai d’olio d’oliva extravergine 4 rametti di rosmarino 2 foglie di salvia 4 spicchi d’aglio 100g di burro ½ litro vino bianco secco sale e pepe
Flavia Leuenberger Ceppi
dal 16 al 22.04
Signor Bonzani, quali sono le prelibatezze più richieste durante il periodo pasquale?
Tra i piatti della tradizione non manca naturalmente mai il saporito capretto. Altre prelibatezze particolarmente apprezzate dalla clientela sono l’entrecôte di manzo irlandese, il maialino da latte, il gigot d’agnello, l’agnello da latte oppure ancora tagli nobili quali il filetto e lo scamone di manzo Black Angus svizzero.
Che cosa rende così particolare la carne di capretto?
Sicuramente la sua tenerezza e l’aroma delicato. Essendo già particolarmente saporito di suo, il capretto andrebbe condito con moderazione per non alterarne le caratteristiche. Questa carne inoltre contiene pochi grassi, ma in compenso è ricca di preziose proteine. Infine, è facilmente digeribile. Come si cucina questa carne?
Una delle più classiche ricette del perio-
do pasquale è decisamente il capretto cucinato al forno a tocchetti. Questa gustosa carne può essere però anche preparata in umido, in padella oppure alla griglia. Erbette aromatiche quali rosmarino, timo, menta, salvia, coriandolo si sposano bene con il capretto. Quali sono le parti più apprezzate?
I tagli più ricercati e carnosi sono quelli della zona posteriore dell’animale, vale a dire le cosce, la sella e una parte del carré. Le parti anteriori (spalla, collo e petto),
Un raffinato antipasto
Attualità Sfiziosa ispirazione per la vostra tavola pasquale
Bresaola Punta d’Anca di Black Angus 100 g Fr. 9.80 In vendita nelle maggiori filiali Migros
Per produrre questa aromatica bresaola viene utilizzata solo punta d’anca selezionata di manzi Black Angus, una delle razze bovine più antiche e pregiate di origini scozzesi. Questi animali dal tipico manto nero si caratterizzano per le loro carni ben marezzate e dal sapore dolciastro. La carne viene lavorata artigianalmente seguendo ricette antiche e metodi di elaborazione tradizionali. Dopo essere stati massaggiati con sale e una miscela segreta di spezie, i tagli di carne vengono lasciati stagionare naturalmente per almeno quattro
settimane. Il risultato è un prodotto dal sapore unico e coinvolgente che rende speciale qualsiasi tavola. Questo salume è ottimo gustato da solo al naturale, oppure può essere anche raffinato a piacimento con l’aggiunta di un filo d’olio d’oliva extravergine, qualche goccia di limone e scaglie di buon formaggio parmigiano. La bresaola di Black Angus è prodotta in Italia dallo storico salumificio Rigamonti, azienda da oltre cent’anni specializzata nella produzione di bresaole della Valtellina della migliore qualità.
Preparazione Preriscaldare il forno a 170-180 °C. In una pentola, rosolare per bene il capretto nell’olio d’oliva. Dimezzate l’aglio, privatelo del germoglio verde e tagliatelo a fettine. Staccate gli aghi dai rametti di rosmarino e uniteli al capretto, assieme all’aglio e alla salvia. Salate la carne. Unite il burro a tocchetti e mescolate il tutto. Cuocete il capretto nel forno per ca. 90 minuti. Bagnate con il vino e continuate la cottura per ca. 20-30 min. Regolate di sale e pepe.
anche se meno ricche di carne, contribuiscono tuttavia ad esaltare il sapore della pietanza. Da dove proviene la carne di capretto in vendita a Migros Ticino?
Gran parte dei capretti provengono dalla Francia, dove esiste una lunga tradizione nell’allevamento caprino. Una quantità limitata arriva però anche dalla Svizzera e dal Ticino. Coloro che preferiscono il capretto nostrano, possono riservarlo rivolgendosi alle nostre macellerie.
Moreno Bonzani è macellaio presso il supermercato Migros di Riazzino. (Giovanni Barberis)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Passione per la pasta dal 1789
Attualità Da generazioni il pastificio Garofalo produce a Gragnano pasta di altissima qualità
per un’esperienza culinaria dai profumi tipicamente mediterranei Gli amanti della pasta fresca le conoscono e apprezzano da tempo grazie alla loro tipica consistenza «al dente» e ai ricchi ripieni cremosi. Stiamo naturalmente parlando della pasta fresca premium Garofalo, disponibile nei reparti refrigerati di Migros Ticino in una quindicina di sfiziosi formati pronti in poco tempo. Ricette autentiche della tradizione italiana, un bel colore giallo oro dato dall’utilizzo di uova da allevamento all’aperto, ingredienti naturali privi di additivi e aromi, nonché farciture particolarmente generose caratterizzano i prodotti dello storico pastificio.
*Azione 20%
Tortellini prosciutto crudo Garofalo 250 g Fr. 4.75* invece di 5.95
su tutto l’assortimento di pasta fresca Garofalo dal 16 al 22.04
Ravioli ricotta e spinaci Garofalo 250 g Fr. 4.75* invece di 5.95
Gragnano «culla» della pasta
Garofalo condivide da sempre con Gragnano un antico e indissolubile legame. È in questa cittadina nei pressi di Napoli e vicina a Pompei che nel 1789 il signor Garofalo ottenne il permesso per la produzione e la vendita esclusiva di «Pasta di buona fattura». Da quei giorni Garofalo è stata sinonimo di eccellenza. Già nel 1920 in diversi libri e riviste si menzionava il fatto che la pasta della migliore qualità era associata al «Tipo Garofalo». Gragnano è considerata ancora oggi la «patria della pasta». Il clima soleggiato e la giusta umidità dell’aria ne fecero fin dal XVI secolo il luogo perfetto per la produzione ed essiccazione della pasta, tanto che furono molti i pastifici che vi si insediarono sviluppando ognuno una propria cultura e sensibilità nei confronti di un prodotto unico al mondo. Non sono così lontani i tempi in cui, passeggiando tra le viuzze cittadine, si poteva vedere la pasta lunga appesa ad essiccare e sui tetti assolati veniva essiccata la pasta corta.
Girasoli all’aglio orsino Garofalo 250 g Fr. 5.20* invece di 6.50
Un assortimento variato
La gamma di pasta fresca Garofalo disponibile a Migros Ticino comprende i grandi e irrinunciabili classici della tradizione italiana, come i tortellini prosciutto crudo, i ravioli ricotta spinaci, i girasoli ai funghi, i ravioli al basilico; come pure specialità più ricercate dagli intenditori o stagionali come i quadrucci al brasato, i gi-
rasoli al limone, i ravioli allo speck, i girasoli all’aglio orsino, i ravioli ai carciofi e i ravioli al salmone. L’assortimento è ben completato da alcune paste fresche non ripiene della grande tradizione italiana, nella fattispecie le sfoglie per lasagne, le trofie, le orecchiette e i tagliolini. Collaboratori con decenni di conoscenza e arte del fare la pasta, efficienti processi di pro-
Insalate più invitanti
duzione con l’aiuto delle più moderne tecnologie e deliziose ricette elaborate con cura per ogni singola varietà garantiscono momenti di gusto unici e indimenticabili con le paste fresche firmate Garofalo. Infine ricordiamo che Migros Ticino, oltre alle paste fresche, sui propri scaffali offre pure diversi formati classici di pasta secca del marchio Garofalo.
Sfoglia fresca per lasagne Garofalo 250 g Fr. 2.60* invece di 3.30
Dessert perfetto! Azione 33% su tutto l’assortimento di miscele per insalate Art on Salad Fr. 1.95 invece di 2.90 fino al 22.04
È arrivata la primavera e con essa la voglia di fresche e croccanti insalatone. Oltre ad essere appetitose, le insalate contengono sostanze pregiate come vitamine e sali minerali che favoriscono il benessere e aumentano la resistenza dell’organismo. Chi desidera rendere ancora più appetitosa la propria insalata preferita, può provare le speciali miscele di semi e frutta sec-
ca Art on Salad, disponibili nei reparti frutta e verdura Migros nel pratico sacchetto da 60 grammi. Queste composizioni da cospargere sull’insalata non solo sono incredibilmente invitanti, ma arricchiscono la vostra pietanza con ulteriori sostanze benefiche per il nostro corpo, come proteine, fibre e carboidrati. Le varietà disponibili sono quattro: Classic, con grano sa-
raceno tostato, semi di girasole e zucca tostati; Deliziosa, con grano saraceno, noci di pecan tostate e pomodori secchi; Mediterraneo, con semi di zucca e girasole tostati nonché anelli di oliva e, infine, Vitality, un goloso mix di semi di zucca tostati, noci e cranberries. Conferire quel goloso tocco in più alla vostra insalata non è mai stato così facile.
Ecco il dessert ideale per la tavola pasquale: la morbida torta alle fragole della Jowa. E non poteva essere altrimenti, dato che è iniziata la stagione delle fragole, il frutto tanto amato da grandi e piccini per la sua dolcezza e leggerezza. La torta di fragole è il dolce di fine pasto perfetto per stupire i familiari e gli amici in tutta semplicità e genuinità. È preparata artigianalmente con una base di soffice e delicato pan di spagna, farcita con uno strato di squisita crema alla vaniglia e decorata con fresche e succose fragole. Cosparsa infine con uno strato di gelatina e, per renderla ancora più appetitosa, i lati sono ricoperti con croccanti mandorle a scaglie.
Torta di fragole 550 g/16 cm Fr. 11.20* invece di 14.– *Azione dal 16 al 22.04
Tutto per una Pasqua super festosa. 20%
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50% Paté di Pasqua e terrina alle spugnole Rapelli in conf. da 2 e filetto in crosta Svizzera, per es. paté di Pasqua Rapelli, 500 g, 12.50 invece di 25.–
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Società e Territorio
Femminismi nella rete
Mostre A Zurigo, un’esposizione d’arte contemporanea si interroga sul femminismo nell’epoca digitale,
sul suo rapporto con la tecnologia, internet e il cyberspazio Sebastiano Caroni Capacità critica, spinta visionaria e perspicacia stanno alla base dell’arte più autentica, l’unica che possa pensare di lasciare il segno. E quando l’arte incrocia, assimila e rivendica lo spirito del femminismo, ecco che allora nascono opere che denunciano e immaginano, criticano e propongono. L’arte di ispirazione femminista e il suo rapporto con la tecnologia e il cyberspazio (termine che definisce sia l’insieme delle informazioni che circolano attraverso le grandi reti informatiche sia, più genericamente, la realtà virtuale) è al centro di un’interessante esposizione, presso il Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo, dal titolo Producing Futures – An Exhibition on Post-Cyber-Feminisms. Cronologicamente, il punto di partenza della retrospettiva zurighese si situa a cavallo degli anni 80 e gli anni 90, all’epoca della nascita di internet e dei primi sussulti della realtà virtuale. Già da un paio di decenni alcuni esponenti della scena culturale e imprenditoriale americana sperimentano il progetto di uno spazio informale in cui, superando distanze e differenze, ognuno possa comunicare e condividere idee, scambiare informazioni, apprendere e sperimentare nuove esperienze. In questo contesto, la tecnologia come esperienza di liberazione del corpo e della mente viene sistematicamente riproposta dagli anni 60 in poi, tanto che nel corso degli anni si fanno strada alcune visio-
ni rivoluzionarie del rapporto fra essere umano e computer. Fra queste spicca la visione di Donna Haraway, filosofa statunitense che nel 1985 pubblica A Cyborg Manifesto (Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo), saggio che preconizza la liberazione delle donne attraverso l’associazione con la tecnologia. Purtroppo, la tecnologia è spesso concepita, utilizzata e messa al servizio di progetti che fungono da supporto al potere, incoraggiando la riproduzione di stereotipi e il mantenimento di equilibri gerarchici. La promessa tecnologica caldeggiata dalla Haraway non ha quindi vita facile, tanto che oggi risulta difficile cogliere nel cyberspazio quel potenziale di rottura e di ridefinizione identitaria intravisto allora. Ma è pur vero che se l’arte in ogni sua forma si fa carico di formulare nuove visioni e nuovi modelli di società, d’altra parte essa fornisce un’occasione per riflettere sul mondo in cui viviamo. Producing Futures si interroga, come ci spiega Heike Munde (direttrice del Migros Museum für Gegenwartskunst e curatrice della mostra) «su come (dagli anni 90 in poi) si sia sviluppata la pretesa di una conquista femminista del cyberspazio, e se le nuove generazioni di giovani artiste articolino ancora gli stessi interrogativi. Eravamo interessate ad esplorare il modo in cui il programma femminista è cambiato sull’onda del nostro costante utilizzo di internet, e a come, oggigiorno, le piattaforme informatiche vengono utilizzate per lottare
Mary Maggic, Housewives Making Drugs, 2017, video. (Courtesy the artist/www. migrosmuseum.ch)
per una maggiore giustizia (di genere). Eravamo curiose di sapere come gli artisti odierni potessero usare gli strumenti e le piattaforme a disposizione (che forniscono una certa “libertà” rispetto al corpo fisico reale) per riflettere le questioni di genere e di identità, e come tali esplorazioni artistiche potessero contribuire a costituire nuovi modelli identitari. Molte delle opere esposte rivelano che l’identità stessa è aperta, malleabile, sempre in divenire. Una percezione, che dovrebbe essere adattata alla nostra comprensione dell’identità anche fuori dagli schermi, nel mondo “reale”. I lavori esposti, infatti, offrono una percezione che diffe-
risce in maniera significativa dall’idea dominante dell’identità come qualcosa di fisso e inalterabile». In un’epoca in cui l’arte, la cultura e la politica sempre più si digitalizzano, i social media funzionano come cassa di risonanza tanto per idee e movimenti di denuncia, quanto per dinamiche identitarie sempre più frequenti e imprevedibili. Basti pensare al recente successo del movimento #metoo che, grazie ai social media, nel giro di poche settimane diventa un fenomeno globale. Come ci rivela Heike Munder, «Producing Futures vuole contribuire alla consapevolezza e alle discussioni che sono state ispirate da movimenti come
#metoo, grazie a cui il femminismo è stato integrato maggiormente nella cultura popolare: questo interesse più ampio dovrebbe essere usato per approfondire ulteriormente l’argomento, per presentare diverse voci e approcci; per dimostrare che non esiste un femminismo singolo, ma piuttosto una moltitudine di femminismi che lottano per l’uguaglianza e l’emancipazione in modi diversi e con atteggiamenti diversi. Forse una mostra e un movimento sociale non sono poi così diversi alla fine: ovviamente differiscono molto sia nel loro funzionamento, sia nel modo in cui raggiungono il loro pubblico, ma alla fine entrambi restano legati all’obiettivo di sensibilizzare su temi femministi e convincere la gente a discutere di disuguaglianza illustrando, al tempo stesso, eventuali strategie per combattere l’ingiustizia». Se dunque il cyberspazio permette di muoversi velocemente, plasmando nuovi mondi e nuove identità lungo linee rizomatiche, d’altra parte si corre il rischio di rimanere intrappolati nelle seduttive maglie di quella stessa rete che, come un Giano bifronte, a volte promette scenari di libertà dissimulando limiti e ostacoli che condizionano pensieri e azioni. Dove e quando
Migros Museum für Gegenwartskunst (Limmatstrasse 270), MaMe-Ve 11.00-18.00, Gio 11.00-20.00, Sa-Do 10.00-17.00. Fino al 12 maggio. Annuncio pubblicitario
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Foto: Alexandra Wey
Pubbliredazionale Una lotta quotidiana «Mia figlia di tredici anni ha lasciato la scuola per lavorare in fabbrica», spiega, affranto, Mohammed, 42 anni. Nel 2013, questo padre di dieci figli si è rifugiato insieme alla sua famiglia a Jaramana. Hanno lasciato Maskanah, nel governatorato di Aleppo, a causa dei combattimenti e della crescente insicurezza. Lavorava come bracciante agricolo. Non è mai stato proprietario di terreni. Arrivando a Jaramana, la famiglia ha ottenuto una relativa sicurezza. Ma la sopravvivenza è una lotta quotidiana. «C’è un divario enorme fra quello che possiamo guadagnare e i nostri bisogni», prosegue il padre di famiglia.
Un chilo di patate costa quasi un franco. Se al mattino riesce a trovare del lavoro, in tutta la giornata può sperare di guadagnare qualche franco. Qualsiasi tipo di lavoro va bene. Ma non tutti i giorni è fortunato. È invece ogni giorno che si chiede come riuscire a sfamare la sua famiglia. Il figlio maggiore, di 17 anni, sta terminando la sua scolarità obbligatoria e svolge anche lui dei avori alla giornata, quando ne trova. Due delle figlie di Mohammed e uno dei suoi figli frequentano il Centro a Jaramana sostenuto da Caritas Svizzera.
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Nel 2015, Aïsha* ha perso la madre. Oggi si prende spesso cura della sorella minore. Al Centro San Alberto Hurtado può imparare di nuovo ad essere una bambina.
I bambini rifugiati chiedono solo di imparare
In Siria, Caritas collabora con il Jesuit Refugee Service (JRS) in tre centri a Jaramana (Damasco), Aleppo e Tartus. Circa 2600 bambini beneficiano di un sostegno scolastico e di un’assistenza psicosociale. Per una durata di sei mesi, i bambini frequentano i centri da due a quattro volte alla settimana, per tre ore. A pranzo ricevono un pasto caldo. 150 animatori ed educatori sono formati secondo il metodo «Essence of learning», sviluppato da Caritas Svizzera, che permette una ricostruzione progressiva delle capacità di apprendimento dei bambini. In Libano, insieme al suo partner locale Ana Aqra, Caritas ha creato un contesto pedagogico sicuro e stimolante per 4600 bambini rifugiati siriani e bambini libanesi bisognosi. Gli insegnanti ricevono una formazione specifica per gestire classi che includono allievi traumatizzati e svantaggiati. Anche le direttrici e i direttori scolastici sono aiutati nella loro funzione.
Sono stati costretti a fuggire dalla guerra insieme alle loro famiglie, in Siria o nel vicino Libano. Centinaia di migliaia di bambini devono far fronte quotidianamente ai bisogni legati alla sopravvivenza. Vivono tra la speranza di un futuro migliore e la paura del passato. Caritas li aiuta a ritornare a scuola e ad imparare.
Aïcha ha 11 anni. Il suo sguardo è serio, interrogativo. È fuggita da un giorno all’altro dalla sua casa di Aïn al-Arab (Kobane in curdo) insieme al padre, i fratelli e la nonna anziana. Era il 2015, e i combattimenti infuriavano. La casa è stata distrutta. Peggio ancora, sua mamma è stata uccisa.
nomico oppure dopo essere stati sfrattati per aver pagato con qualche giorno di ritardo. Il padre non ha un lavoro fisso, e ogni giorno deve trovare il modo di nutrire la sua famiglia. È inverno. Mancano sia il gas per la cucina sia l’olio combustibile per il riscaldamento.
Ristrettezze La famiglia è arrivata a Jaramana, una periferia di Damasco dove vivono ammassati quasi due milioni di sfollati interni. In due anni, hanno traslocato quattro volte, per cercare un affitto più eco-
Fra speranza e paura Aïcha non è potuta ritornare subito a scuola, ma adesso frequenta regolarmente le lezioni. Deve recuperare il ritardo, imparare ad avere fiducia in se stessa e osare fare degli sbagli; semplice-
mente, tornare ad essere una bambina. Per qualche ora a settimana frequenta anche il Centro San Alberto Hurtado, una struttura finanziata da Caritas, dove riceve un sostegno scolastico e psicosociale. Un’oasi di pace, dove i bambini imparano giocando, parlando con animatori premurosi e dove un pasto caldo li attende a mezzogiorno. Il Centro, che prende il nome da un prete gesuita cileno, al momento accoglie 300 bambini. Prossimamente dovrebbe trasferirsi in locali più spaziosi e idonei, sempre nel quartiere di Jaramana. Il sostegno che i bambini ricevono al Centro li aiuta a recuperare il ritardo accumulato a causa della loro scolarità interrotta. Esso cerca anche di attenuare gli effetti dei traumi subiti dai bambini. Ogni giorno, uomini e donne si presentano al Centro nella speranza di potervi iscrivere uno o più figli. Gli assistenti del Centro visitano in seguito le famiglie per valutare la situazione dei bambini, i bisogni materiali, sociali e sanitari. Un anno fa, molte famiglie del quartiere ricevevano ancora un aiuto finanziario nazionale, ma questo sostegno è cessato. Non è stato facile per Aïcha ritrovare fiducia in se stessa. Ma, giorno dopo giorno, sembra credere un po’ di più nel futuro. E il suo viso è tornato a sorridere.
Per maggiori informazioni su Aïcha: farelacosagiusta.caritas.ch
* Nome e cognome sono stati cambiati per tutelare la persona.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Società e Territorio
I giovani e i soldi
Incontri Diversi progetti sul territorio si occupano di educazione
alla gestione del denaro per prevenire l’eccessivo indebitamento. Ne parlano Marcello Martinoni e Ilario Lodi
Guido Grilli Pagare oggi è troppo semplice. Può bastare persino un messaggino inviato dallo smartphone e taluni distributori ti servono bibite e merendine. Saldare il conto si direbbe un gioco… da ragazzi. Un gioco che può diventare un guaio, un indebitamento, un naufragio finanziario ed esistenziale. E allora è bene imparare presto a gestire il denaro. Sin da giovani. Perché si vive tra il desiderio irrefrenabile di possedere ogni cosa – tutto e subito – e la saggezza del risparmio prima di esaudire un sogno. Si oscilla tra questi due universi con un’avvertenza: l’inesperienza giovanile si può pagare a caro prezzo. Imparare sin da subito ad avere un sano rapporto coi soldi – spia che convoglia implicitamente una moltitudine di valori – è tra gli obiettivi che si prefiggono molte istituzioni presenti sul territorio. Marcello Martinoni è consulente in ambito di società, territorio e ambiente e tiene da anni corsi a nome dell’Associazione consumatrici e consumatori della Svizzera italiana (Acsi), nelle scuole medie, nelle scuole professionali e nei licei. Titolo delle sue lezioni? «Io e il denaro». «Questa iniziativa si lega agli aspetti dell’educazione finanziaria alla cui base c’è la capacità di saper gestire il budget – spiega – La lezione nelle scuole dura due ore, ma si presta bene ad essere spunto per ulteriori approfondimenti in classe». Ma come si svolge in concreto l’incontro nelle scuole? «Il primo tema – spiega Martinoni – riguarda la relazione con il denaro. Quando uno studente riesce a focalizzare qual è la sua relazione con il denaro ha già compiuto un primo passo per capire poi come può gestirlo. Ci sono, in questo, persone più istintive, persone calcolatrici, persone più tendenzialmente parsimoniose. Il principio di fondo non è quello di risparmiare tanto denaro. Occorre capire che l’attuale società del consumo è molto sollecita nei confronti del nostro borsellino: dal vasto tema delle pubblicità – da quella tradizionale a quella sui social
– all’algoritmo di google, al tema del leasing che non deve essere demonizzato ma richiede di saper fare bene i calcoli». Prosegue il consulente: «Uno dei punti significativi che cerchiamo di prospettare ai giovani durante gli incontri, è quello di capire che cosa sono i soldi invisibili o di plastica, vale a dire tutti quei metodi di pagamento sempre più diversi che facilitano il consumatore a saldare il conto: ad esempio il pagamento oggi richiede un semplice touch con la carta di credito da appoggiare al display senza più la necessità di comporre il proprio codice pin; esiste poi il pagamento via sms nei distributori di bibite con addebiti sulla carta prepagata o con abbonamento ma che tuttavia implica una sovrattassa a ogni acquisto. Uno dei temi su cui riflettiamo con i ragazzi è saper ben valutare e ben distinguere la differenza tra le cose comode e le cose convenienti». Qual è la percezione del denaro nei giovani? «Il più delle volte i giovani non hanno bene in mente dove sono andati a finire i loro soldi, come sono stati spesi. Quando diciamo loro di abituarsi a fare i conti, intendiamo proprio avere un quadro completo, una visione d’assieme della propria spesa. Se usi i soldi invisibili – carta di debito, carta di credito, carta cliente, leasing – avrai a che fare con diverse uscite che se non annoti su un foglio o su una tabella Excel o sul telefonino (è disponibile ad esempio una App scaricabile su www.budgetconsigli.ch) facilmente perdi il controllo. Il problema è che quando uno ormai ha varcato la soglia, ed è già in difficoltà, tende a non rispondere più ai solleciti e allora a quel punto sale l’angoscia. Ma esistono per fortuna – e anzi vanno richiesti – aiuti: assistenti sociali o diverse associazioni, quale ad esempio Sosdebiti.ch che opera senza finalità di lucro e aiuta gli insolventi a risanare i debiti o Caritas Ticino che ha un numero verde gratuito “consulenza debiti”». Come si rapportano i giovani al tema della ricchezza? «Un esempio che raccontiamo spesso nelle classi è quello del cantante Michael Jackson, che è morto lasciando 400 milioni di debiti,
perché ogni anno spendeva 20 milioni in più di quanto realmente possedeva. Ci sono dunque anche persone ricche piene di debiti. E, fatte le debite proporzioni, ci si può indebitare facilmente anche con budget modesti se si spende più di quanto si possiede, il meccanismo è identico. Molti ragazzi cullano il sogno di comprarsi il nuovo telefono o il nuovo snowboard e molti giovani conoscono il principio del risparmio e questo è molto confortante. Devo dire che in linea generale, dal mio osservatorio dopo aver girato in tante scuole, i giovani sono animati da principi sani su come gestire i propri soldi». Ma la lezione non è finita. Prosegue Marcello Martinoni: «Un altro tema dei nostri incontri – dopo l’importanza di saper fare i conti, della conoscenza dei soldi invisibili e della società del consumo – riguarda il principio del budget. Un esempio: la vacanza estiva, che comporta risparmi mensili. L’incontro si conclude con le diverse possibilità di aiuto, cui ricorrere in caso di bisogno. È un tema chiave dell’educazione finanziaria: la lotta ai tabù, perché nella nostra società facciamo ancora troppa fatica a parlare di soldi, soprattutto quando ne abbiamo pochi. Senza contare che ogni allievo ha una realtà finanziaria differente: c’è chi risponde dicendo, “alle mie spese ci pensa papà” e chi invece deve rimboccarsi le maniche con lavoretti nel week end per assicurarsi un budget. Dobbiamo introdurre una dimensione di sensibilità. Non emettere giudizi di valore. I soldi servono a raggiungere obiettivi individuali, quali essi siano, spetta a ciascuno saperlo». Marcello Martinoni è stato anche parte del gruppo di coordinamento de «Il franco in tasca» (www.ilfrancointasca.ch), il Piano cantonale interdipartimentale coordinato dal Dipartimento della sanità e della socialità che ha messo in rete varie attività di prevenzione all’indebitamento eccessivo e che ha visto promosse e coordinate 29 misure nell’ambito della prevenzione, formazione e intervento, in collaborazione con una serie di partner sul territorio. E tra questi figura Pro
Ai ragazzi si propone di riflettere sulla propria relazione con il denaro. (Marka)
Juventute, istituzione impegnata pure sul fronte denaro-giovani che si focalizza su un ampio ventaglio di età, dagli allievi delle elementari fino a liceali e apprendisti. Il direttore della sezione della Svizzera italiana, Ilario Lodi: «È interessante rilevare l’occasione educativa che il denaro porta con sé. Dietro al denaro ci sono valori, relazioni. Il denaro permette di conoscerti per quello che sei, da chi lo usa in modo disinvolto a chi invece si approccia in modo più parsimonioso». Una nuova iniziativa di Pro Juventute si chiama «Il gioco del budget» – «non un fine, bensì un mezzo didattico, che costruisce un’esperienza di senso per i giovani». Il gioco – target ideale: terza e quarta media e semestre di motivazione – sarà implementato a settembre, e permetterà ai giovani di confrontarsi sul salario da apprendista, sull’allestimento di un budget e sulle loro nuove responsabilità. Si usano soldi finti, ma i concetti non sono meno veri delle numerose realtà che il denaro implica. Gli allievi, nel corso di due o tre lezioni, potranno analizzare
a fondo le varie voci di spesa, compiere ricerche su argomenti come le imposte e la cassa malati, e imparare a quali aspetti prestare attenzione. Imparare finalmente a svolgere ricerche sul costo della vita. Insomma, argomenti concreti. Pro Juventute è impegnata a più livelli sul tema denaro. Oltre a libri sull’argomento, tra cui quello illustrato Soldi in vendita, la fondazione promuove un workshop sul denaro tenuto da Manuela Pagani, ogni anno affiancato a una componente nuova, ad esempio quest’anno il tema è denaro e magia. Per la fascia 9-12 anni, invece, Pro Juventute ha coniato il materiale didattico, «Tutto sui soldi» che consente fra l’altro ai destinatari di confrontarsi sui consumi propri e su quelli della famiglia, e di recente ha promosso anche un corso rivolto agli adulti. «S’intitola “Salario giovanile”, denominazione, questa, preferita al termine paghetta», spiega Ilario Lodi, ritenendo che il concetto di salario giovanile si coniuga con l’esperienza educativa e con autentici accordi fra genitori e figli. Annuncio pubblicitario
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PUNTI
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni La verità, fino in fondo Da ragazzino, come tutti gli scolari della mia età, leggevo Pinocchio. Il romanzo di Collodi era una lettura d’obbligo nella scuola di un tempo: non solo perché era un classico della letteratura per ragazzi, ma anche per il suo valore educativo. I genitori e i maestri ci ammonivano così a non dire bugie, altrimenti ci sarebbe venuto un naso lungo come quello del burattino. Così diceva la maestra: ed era, ovviamente, una bugia. Ma noi ci credevamo, e resto ancora convinto del valore educativo di questa salutare menzogna. Più tardi, però, mi sono reso conto che la verità non è cosa che stia a cuore a tutti e che mentire, per ricavarne un profitto o per evitare un danno, è una pratica abbastanza consueta. Ma non è tanto nelle relazioni interpersonali che la menzogna risulta straripante, quanto nella comunicazione di massa. Chi è solito leggere più fonti e confrontare versioni diverse di uno stesso avveni-
mento può cogliere non di rado leggere variazioni, omissioni e silenzi che inducono a giudizi diversi sullo stesso fatto. Ci sono vari modi di mentire, e un esperto dell’informazione come Sergio Lepri porta questo esempio significativo: l’organo direttivo di un partito decide su un’iniziativa e ciascuno dei membri deve esprimersi con un sì o con un no. I membri del direttivo sono sedici; quattro dicono «sì», quattro dicono «sì» con riserve, quattro «no», quattro sono assenti. A questo punto, ecco due diverse versioni di due diversi giornali: nel primo si legge che i «sì» sono stati soltanto quattro su sedici – il che è senz’altro vero; nel secondo risulta che soltanto quattro su sedici sono stati i «no» – e anche questa versione è ineccepibile. Ma l’amara conclusione sarebbe che lo sprovveduto lettore è indotto a farsi un certo giudizio oppure un giudizio opposto secondo il giornale che gli è capitato fra le mani.
Nella nostra epoca dell’informazione – o, secondo alcuni, della disinformazione – riesce sempre più difficile raggiungere la certezza della verità. Quanti episodi del passato, a distanza di tempo, vengono riletti in una differente versione! Riprendo un esempio da Raymond Aron: «Se alla fine del XIX secolo i settantacinquemila russi deportati dallo zar in Siberia erano stati lo scandalo dell’Europa, lo scandalo dei milioni di sovietici segregati nei gulag a metà del Ventesimo secolo veniva ignorato e rimosso dai giustificazionismi dell’ottimismo storico». Più clamoroso l’esempio delle «fosse di sterminio» in Romania. Durante la rivoluzione rumena ci furono giornali che corressero gli articoli dei loro corrispondenti sul posto perché non parlavano dei cadaveri nelle fosse comuni: corpi mutilati che i giornalisti sul posto non avevano visto, ma che apparivano nei servizi televisivi. Solo
più tardi si seppe che le fosse comuni non erano mai state trovate e che quei corpi provenivano da un obitorio. La stampa scritta cedette alla TV: poiché si erano viste le immagini, bisognava che la cronaca ne parlasse. «I media riproducono i media», non la realtà. E quale sarà la verità sul «Rapporto Mueller» a proposito del Russiagate, l’interferenza sovietica sulle elezioni di Trump? Ultimamente è apparsa nei quotidiani, anche ticinesi, la notizia dell’inchiesta condotta sui falsi dipinti di Modigliani. Anche qui, non c’è nulla di nuovo: Carlo Dossi, nelle Note azzurre, riferisce di Tranquillo Cremona, tormentato da un seccatore che insisteva per avere un suo dipinto, «ma proprio suo»; per liberarsene, il pittore gli rifilò un abbozzo del Conconi (un collega con cui divideva lo studio), glielo firmò e glielo diede. Anche Giovanni Segantini autorizzava Vittore Gru-
bicy a firmare quadri suoi, fissare le quotazioni e datare i quadri come più gli piaceva. La verità, insomma, si intreccia sempre con il falso; si vive immersi in questo intreccio. Il che mi ricorda una pagina del Don Chisciotte, dove Sancio Panza racconta di due degustatori chiamati a dare la loro opinione su di una botte che avrebbe dovuto contenere un vino particolarmente buono. Comincia il primo: assaggia, ci pensa sopra e, dopo matura riflessione, stabilisce che il vino sarebbe buono, se non fosse per quel leggero sapore di cuoio che vi sentiva. Poi interviene l’altro: assaggia, conferma la bontà del vino, fatto salvo un certo sapore di ferro che lui avvertiva. Quando poi vuotarono la botte, sul fondo apparve una vecchia chiave cui era attaccata una striscia di cuoio. Insomma, per appurare la verità, sempre ambigua, è necessario vuotare il sacco – e anche la botte.
1871. «Récit d’une infirmière, poème dramatique» è il sottotitolo di questo poema delirante dedicato alla regina del Belgio che ha aiutato i feriti della battaglia di Sedan. Mentre quattro iniziali sono al centro: JFUJ. In mezzo alle due i lunghe di Jules Jürgensen, in piccolo ci sono l’effe e la u. Urban era il nonno, passato alla storia per i cronometri marini. Nel bosco risuona il picchio. L’assonanza tra il meccanismo dietro le quinte di un orologio e il cuore di Jules Frédéric Urban Jürgensen dietro queste mura, non mi molla per un secondo. Anche il sigfridiano «non siamo mai vinti quando siamo immortali» mi segue, per un attimo, ricordandomi non so perché l’insuperabile motto del Liverpool cantato dai tifosi a squarciagola: you never walk alone. Il tempo di girare l’angolo della torre Jürgensen (979 m), alta una dozzina di metri e incomprensibile se non come mausoleo-belvedere. Mirador funereo che si distanzia un po’ dal genere folies da giardino come tempietti, gloriette, torrette moresche per prendere il tè. Benché non
sia lontanissima dalla tenuta qui di un tempo degli Jürgensen conosciuta come Le Châtelard, le dimensioni non sono mica da capricciosa architettura pavillonnaire. Classificata monumento storico nel 1996 dopo anni di oblìo, è stata restaurata a fine anni novanta per l’interessamento di un’associazione che dopo aver ringraziato su una targhetta tutti quelli che hanno sostenuto il restauro, sulla porta in metallo d’entrata stranamente già aperta con chiave dentro il lucchetto che pende, declina ogni responsabilità in caso d’incidente. Spero non sia la trappola di un cacciatore perverso nascosto da qualche parte, in attesa della sua preda umana. Salgo la stretta scala a chiocciola «composta da 66 scalini» come scrive un architetto nella «Nouvelle revue neuchâteloise», trimestrale dell’inverno 1996 tutto dedicato agli Jürgensen. L’ultimo dei quali, figlio unico di Jules II e la moglie Cécile, Jules Philippe Frédéric Jürgensen (18641897), poetastro autore di Rayons brisés (1888) con lo pseudonimo di Robert Dyal, muore avvelenato da sé
stesso dopo aver tentato di avvelenare la madre e tutta la servitù. Sessantatré sono gli scalini, c’è lo sconto di tre scalini a vedere le cose dal vero. E la vista è qualcosa da quassù: il Doubs, navigabile turisticamente da tempo per vedere le sue falesie e il suo salto, tra gli spazi della merlatura, serpeggia coreografico. A sud-ovest si abbraccia con lo sguardo il villaggio francese di Villers-le-Lac, mentre a est le abetaie catartiche sono a perdita d’occhio. «Nero blu» le vedeva ammirato Hans Christian Andersen, il famoso favolista danese amico degli Jürgensen, loro ospite a Le Locle e venuto qui da queste parti, pare, tre volte in un trentennio. Inauguro la mia prima thermos da viaggio versandomi una tazza fumante di tè verde al gelsomino. Un rumore giù di sotto, sulla soglia credo, riecheggia nelle scale. Era una volpe, salita su in un minuto circa a salutarmi. E di colpo mi chiedo perché il numero degli scalini, seppur andandoci vicino, sforando di sole tre unità, sfugge dal sistema sessagesimale usato per misurare il tempo.
«Googlers» e i «TVC» (Temporary, Vendors, Contractors), ossia lavoratori a termine, venditori e liberi professionisti. Quello che emerge è che i TVC sono considerati dai vertici dipendenti di serie b e vengono trattati di conseguenza. Nella lettera che i 900 dipendenti regolarmente assunti hanno firmato chiedendo un migliore trattamento e maggiore rispetto per il lavoro dei colleghi c’è una frase che fa riflettere: «Per anni Google si è vantato della sua abilità di navigare con agilità attraverso il cambiamento. Il prezzo umano di questa agilità è l’incertezza finanziaria nella quale oggi vivono molti dipendenti». Fanno altresì riflettere le rivelazioni di «Bloomberg» dello scorso anno che ci danno un’ulteriore informazione: i dipendenti TVC a Google non sono una minoranza ma, nel 2018, rappresentavano la maggioranza. Una giovane donna coinvolta nella protesta
esprime la sua: «Quando dici che lavori a Google le persone credono che tu sia ricca. Non sanno che non ho neanche un’assicurazione». Questo mi porta a due conclusioni. Ben venga la Tech Worker Coalition. E stiamo attenti perché se tra aziende in crisi e aziende che fatturano milioni ogni anno, e non solo nel mondo del tech, a rimetterci sono comunque le condizioni e i diritti dei lavoratori allora: Houston, abbiamo un problema. Senza contare la questione dei freelance che numericamente sono in crescita in molti settori, sono figure professionali agili e in linea con un mercato del lavoro in profonda evoluzione, eppure da molte aziende considerati dipendenti di serie b. Ma mentalità aziendale e cultura del lavoro dovranno evolvere e sarà un passo avanti agli altri chi prima comprenderà che in un mercato sempre più mobile e volubile certe figure sono un valore aggiunto da rispettare.
A due passi di Oliver Scharpf La torre Jürgensen a Les Brenets Il cuore di un orologiaio di origine danese è murato, si dice, ai piedi di una torre neogotica in mezzo a una foresta in cima a una collina che sovrasta la zona di Les Brenets. Millequarantaquattro anime sulla sponda destra del Doubs che qui segna il confine tra il Giura neocastellano e la Franca Contea, continuando poi come frontiera naturale per cinquantadue chilometri. Lì, scolpita nella pietra, dovrebbe esserci questa iscrizione: On n’est jamais vaincu lorsqu’on est immortel. Perciò, «a passi lunghi e ben distesi» come diceva il drammaturgo Eduardo De Filippo, di buonora a metà aprile, m’incammino in direzione dell’enigmatica torre. Dalla stazioncina di Les Brenets – collegata a Le Locle da un tratto ferroviario a scartamento metrico inaugurato nel 1890 che compie poco più di quattro chilometri in sette minuti – la si avvista a malapena, confusa tra gli abeti della stessa altezza. In mezzora, attraverso la maestosa pecceta odorosa, sono su alla torre dell’orologiaio: Jules Frédéric Urban, noto anche solo come Jules II,
Jürgensen (1837-1894). Pronipote di Jürgen Jürgensen, il primo della celebre dinastia di orologiai la cui storia inizia nel 1773 a Copenaghen con prologo cinque anni prima, quando carpisce i segreti del grande Houriet, il mago dei cronometri, a Le Locle. Cittadina a vocazione orologiera dove nel 1834 Jules Frédéric Jürgensen (1808-1877) – noto come Jules I e papà di Jules II, immortalato sempre con fez in testa e barbetta da folletto stile Abramo Lincoln – apre una fabbrica di orologi. La torre merlata che svetta un po’ inquietante qui davanti, invece, nessuno sa bene quando sia stata costruita di preciso; si presume verso il 1870. Lassù in cima guardano giù due finestrelle gemelle ogivali, coronate da un arco della stessa forma tinteggiato color senape. Trovo, sul lato ovest, il presunto loculo dove si legge, tutto attaccato in semicerchio e cesellato a bassorilievo, l’audace alessandrino. «On n’est jamais vaincu lorsqu’on est immortel»: il verso è tratto da Le soir du combat, poema scritto dallo stesso Jules II e pubblicato a Ginevra nel
La società connessa di Natascha Fioretti Microsoft, Google e i diritti dei lavoratori Si chiama Tech Workers Coalition e, come dice la parola stessa, è una coalizione di lavoratori e operatori attivi nel settore tecnologico. Sono attivisti, persone impegnate nelle questioni civiche ed educative della Bay Area e degli Stati Uniti. Motivati da uno spirito solidale collaborano con altri movimenti esistenti in favore di questioni di giustizia sociale, diritti dei lavoratori e inclusione economica. Per far parte di questa comunità organizzata democraticamente è necessario partecipare agli incontri e lavorare ai vari progetti. Le conversazioni e gli scambi avvengono online su slack, un software ideato nel 2013 per la collaborazione aziendale da Stewart Butterfield, co-fondatore di Flickr. Si tratta di uno strumento di comunicazione all-in-one, perfetto per i cosiddetti smart worker. La Tech Workers Coalition ha un sito web techworkerscoalition.org, ma la piattaforma migliore per capire cosa
fanno è la loro pagina Facebook che tra le informazioni recita «Siamo una comunità di Tech Workers, Vogliamo rafforzare le nostre comunità locali e migliorare i nostri luoghi di lavoro». Pensavamo infatti che i super ingegneri della Silicon Valley e affini vivessero in aziende all’avanguardia e non solo da un punto di vista tecnologico ma anche da un punto di vista di organizzazione, di diritti dei lavoratori e di pari opportunità. Non è così e diversi nodi stanno venendo al pettine. Scorrendo sulla loro pagina Fb balzano all’occhio diverse questioni cruciali. La prima riguarda il trattamento discriminatorio delle donne. Qualche giorno fa un gruppo di dipendenti della Microsoft ha incontrato il CEO Satya Nadella per discutere delle discriminazioni in atto nei confronti delle donne in carriera ma anche dei casi di molestie sessuali che nelle ultime settimane hanno reso
incandescente l’aria all’interno dell’azienda. All’incontro erano presenti 150 persone e diverse tra loro, uomini e donne, erano vestite di bianco come le parlamentari al Congresso degli Stati Uniti in omaggio alle suffragette. Secondo quanto riportato dal settimanale «Wired», la miccia ha preso fuoco quando una donna in attesa da anni di una meritata promozione si è vista passare davanti il solito manager maschio di turno. Ma che il mondo della tecnologia non fosse woman friendly, purtroppo, lo sapevamo. Stupisce un po’ di più leggere sul «Guardian» cosa sta succedendo a Google. A marzo di quest’anno Google senza preavviso avrebbe bruscamente interrotto il contratto di 34 dipendenti a termine del team al lavoro su Google Assistant. Questi tagli hanno creato non pochi malumori all’interno dell’azienda perché pare vi siano evidenti disparità di trattamento tra i cosiddetti
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Ambiente e Benessere Flora mediterranea Uno degli aspetti più clamorosi e appariscenti è la «macchia», che occupa vasti settori litoranei
L’isola della statua di Venere Dai vicoli tradizionali di Milos ai tranquilli villaggi di pescatori, dalle catacombe alle miniere di zolfo pagine 22-23
Un classico dimenticato La combinazione di uova in camicia, spinaci e salsa olandese è ancora unica pagina 24
pagina 17
Quando non è più sport Proprio dove il rispetto fa parte delle regole stesse del gioco, bisogna dire no al razzismo
pagina 25
Io e l’asma
Medicina Trattata adeguatamente, questa
malattia respiratoria permette comunque ai bambini di condurre una vita normale
Maria Grazia Buletti Un bambino su dieci: questa in Svizzera è l’incidenza dell’asma in ambito pediatrico. «In Ticino siamo in linea, sebbene l’impressione sia quella di una reattività un pochino più evidente delle vie respiratorie dei nostri piccoli; il fumo passivo è un fattore predisponente per lo sviluppo delle malattie respiratorie e, per analogia, possiamo desumere che l’inquinamento e le polveri fini potrebbero essere la causa di questa lieve tendenza ticinese al rialzo», esordisce la dottoressa Maura Zanolari Calderari, pneumologa pediatrica, con la quale affrontiamo il tema. «Ai genitori dico che dell’asma bisogna avere rispetto, non paura, perché è una condizione gestibile se impariamo a conoscerla». È una malattia infiammatoria dei bronchi che si manifesta diversamente nel bambino, in rapporto all’adulto: «Il 35-40 per cento dei bambini con i raffreddori possono presentare episodi bronco-ostruttivi non forzatamente sintomo di asma. I più piccoli hanno vie respiratorie “piccole” che, se si infiammano, fischiano a causa del passaggio più difficoltoso dell’aria». La dottoressa definisce in tal modo le cosiddette «bronchiti ostruttive episodiche virali» che non hanno legami di parentela con lo sviluppo dell’asma: «Fra un episodio e il successivo, il bambino sta bene e non è detto che in futuro svilupperà l’asma». A questo quadro d’insieme bisogna aggiungere altre considerazioni inerenti stile di vita e ambiente in cui il bambino cresce: «Sono a rischio di bronchiti ostruttive anche i bambini nati prematuri (i cui bronchi sono talmente piccoli che presentano una maggiore reattività), e quelli esposti al fumo passivo». Una nota positiva è data dall’entrata in vigore della legge che vieta il fumo nei locali pubblici: «Da allora sono diminuiti i piccoli che hanno sempre catarro e nei genitori è aumentata la consapevolezza dei danni del fumo passivo». I fattori di rischio fanno la differenza e le cause effettive dell’asma sono
presto elencate, a cominciare dalla componente di predisposizione genetica: «I bambini con genitori asmatici saranno più predisposti di altri perché, di principio, lo sviluppo dell’asma implica proprio un’evidente componente genetica. I fattori di rischio toccano altresì bambini atopici (che presentano ad esempio una dermatite atopica o degli eczemi), ai quali si sommano quelli con una predisposizione alle allergie». Ad ogni modo, la pneumologa indica che la diagnosi vera e propria si pone di norma dopo i sei anni d’età, quando gli episodi bronco-ostruttivi si susseguono e i sintomi permangono fra l’uno e l’altro: «I polmoni si sviluppano fino ai tre anni circa e in quel periodo le bronchiti ostruttive episodiche virali non rappresentano, da sole, un campanello d’allarme dello sviluppo dell’asma. Dai sei anni, possiamo cominciare a sospettare che un bambino sia asmatico se presenta sintomi fra un raffreddore e l’altro, se ha l’affanno quando corre o quando la concentrazione di pollini nell’aria aumenta». A questo punto, un pilastro importantissimo che permette di raggiungere una diagnosi corretta passa per un’approfondita anamnesi: «Verifichiamo il comportamento del bambino nella sua quotidianità: presenta sintomi sotto sforzo? Ha la sensazione di restringimento al torace? Ha una tossetta secca e stizzosa? È un bimbo che giocando a calcio predilige il ruolo di portiere e si risparmia nella corsa? Abbiamo un figlio che fatica a respirare o di notte si sveglia regolarmente per la tosse? Sono alcune delle preziose informazioni che dobbiamo raccogliere e considerare nel quadro delle indagini che ci porteranno a escludere o a diagnosticare l’asma». Alla raccolta dell’anamnesi potranno seguire gli specifici esami diagnostici: «Dai quattro anni di norma il bambino collabora e possiamo sottoporlo al test di funzionalità polmonare; siccome nell’asma può esserci una buona componente allergica, disponiamo di test allergologici (ciò conferma che asma e allergie “vanno a braccetto”).
La dottoressa Maura Zanolari Calderari, pneumologa pediatrica, con un piccolo paziente. (Vincenzo Cammarata)
E non dimentichiamo che le allergie si possono manifestare a qualsiasi età». Il passo successivo sta nello spiegare alla famiglia e al bambino la sua condizione, sgombrando in tal modo i dubbi e le paure più comuni. «Per poter collaborare con la terapia, il bambino deve innanzitutto comprendere di che si tratta: con l’ausilio di modellini e disegni gli spiego come è fatto un bronco sano, rispettivamente uno che si infiamma. Capisce che quando i bronchi sono infiammati è molto facile che siano più irritabili e che di conseguenza si chiudono non permettendo all’aria di fluire». La dottoressa Zanolari racconta ai suoi piccoli pazienti che: «È come avere la pelle rossa infiammata e ci facciamo cadere sopra l’acqua: brucia. Mentre se hai la pelle curata non sentirai bruciare. Dunque, basta uno sforzo, l’aria fredda, una piccola allergia e un bronco infiammato reagisce chiudendosi subito». L’asma è di principio un’infiammazione bronchiale: «Il migliore anti infiammatorio a uso locale è il cortiso-
ne: non è sistemico e non va in circolo». La specialista spezza una lancia a favore di questo farmaco, prezioso alleato terapeutico, sul quale c’è ancora troppo pregiudizio: «Non va demonizzato ed è un valido alleato nella terapia del controllo dell’asma. Quella migliore è a base di cortisone che viene inalato e associato, a dipendenza della gravità dei sintomi, a un broncodilatatore di lunga durata. Secondo la reattività bronchiale e l’anamnesi del piccolo paziente, si personalizzerà la presa in carico farmacologia». La terapia cortisonica non compromette la crescita dei bambini: «Al contrario, l’asma non curata può avere effetti negativi sulla crescita, perché il corpo utilizza l’energia per ovviare alla fatica di respirare e non per crescere». Come per gli adulti, i farmaci a disposizione sono molteplici e sono somministrati secondo la gravità del singolo caso. Diversi fattori possono modificare il decorso dell’asma: «Bisogna evitare gli allergeni causa di allergie (evitando ad esempio il contatto con gli acari
o col gatto se è appurata l’allergia verso questi); per gli allergici ai pollini si può pensare a una desensibilizzazione. Il bambino dovrà condurre una vita normale, in cui non deve mancare l’attività fisica: curiamo l’asma proprio perché possa vivere normalmente». L’asma è per sempre, dice la dottoressa, ma i sintomi no: «La sintomatologia deciderà il decorso terapeutico, strada facendo».
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista alla dr. Maura Zanolari Calderari
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Ambiente e Benessere
La macchia mediterranea Biodiversità Si trova in Maremma l’attuale miniera di diversità biologica
Alessandro Focarile II richiamo del Sud caldo e luminoso è un sentimento vivo, quasi prepotente per tutte le genti settentrionali, che nei Paesi del sole si affacciano al Mediterraneo, il mare classico sulle cui sponde fiorirono le più antiche civiltà occidentali. Qui si trova il fascino di un mondo diverso, ricco di colori e di aromi, e la dolcezza di un clima tra i migliori nel Mondo. Peculiari di tutte le regioni affacciate sul Mediterraneo, sono l’elevata luminosità, comparabile a quella delle altitudini alpine, la scarsa nebulosità, l’elevata insolazione durante tutto l’anno. Vi predomina la «macchia», il maquis dei Francesi in Provenza, nel Midi, che si può definire come una boscaglia composta di vegetali legnosi sempreverdi, arbustivi di varia statura fino a tre metri, con fogliame coriaceo, lucido e ricco di cellulosa, tipica del clima mediterraneo. Nelle sue fasi vegetative più mature prevale il Leccio (Quercus ilex) con portamento arboreo, mentre in quelle alterate dagli incendi e dai pascoli, essa è composta di corbézzoli, eriche, filliree, ginepri, mirti, ginestre, lentischi e rosmarini. Talvolta dalla quercia spinosa (Quercus coccifera). Nella «macchia» si notano due fasi climatiche distinte: una estiva, calda e asciutta; e una invernale con abbondanti precipitazioni, ma con temperature molto miti. La fioritura e la formazione dei frutti avvengono da febbraio ad aprile. Secondo Rikli (1929), la flora mediterranea (compresa quella che costitu-
isce la macchia) annovera oltre 20mila specie. Questo notevole contingente floristico è superiore a quello di qualsiasi altro territorio a parità di latitudine e superficie, e con un tasso di specie esclusive (endemiche) pari al 38%: ben 8400 finora note e descritte. Ma oggi soffermiamoci sulla Maremma, l’Etruria marittima dei Romani, è quella sub-regione della Toscana meridionale dagli incerti confini e racchiusa entro un’area di 5mila chilometri quadrati. Terra ricca per una ricca agricoltura, per le sue ricchezze minerarie, e per i proficui traffici marittimi. Terra degli Etruschi conquistata dai Romani. Attraverso i secoli, a seguito del progressivo abbandono umano, i disboscamenti, il dissesto idro-geologico, divenne una landa desolata, regno della malaria verso il mare. Attualmente, vi domina in larga parte la macchia mediterranea (il «forteto» dei Toscani), ma anche i cinghiali, che qui sono rappresentati da gran parte del loro contingente, composto di 253mila capi in Toscana. Un’attuale miniera di diversità biologica, fortunatamente protetta e salvaguardata grazie all’istituzione del Parco Regionale dell’Uccellina, in provincia di Grosseto, la meno popolata d’Italia. Nell’area del Parco dell’Uccellina sono stati svolti approfonditi e continuati studi naturalistici (faunistici, floristici ed ecologici) patrocinati e finanziati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Roma). Studi finalizzati che hanno permesso di documentare l’eccezionale valore e interesse della
Un Charaxes esotico. (Alessandro Focarile)
sua flora e della sua fauna di Invertebrati e Vertebrati. Per esempio, le raffleysiacee (piante arcaiche, giunte fino a noi dopo un cammino evolutivo durato milioni di anni, vestigia della lussureggiante foresta dell’epoca Terziaria) sono rappresentate nel Mediterraneo con la specie Cytinus hypocistis, che parassitizza gli steli e le radici delle varie specie di cisti. In Toscana è uno spettacolo ammirare questa vistosa pianta, che fiorisce in aprile-maggio. La quale, pur con le sue modeste dimensioni (fino a 10 centimetri), spicca per la sua presenza nel cuore della macchia che la sovrasta, grazie alle fiammeggianti chiazze di colore scarlatto, motivo di sorprendente bellezza e ornamentalità. A titolo di paragone, la Raffleysia, della omonima famiglia, è un conturbante vegetale privo di clorofilla parassita dei cisti,
con un fiore gigantesco di colore rossosangue con un diametro di un metro e del peso di oltre dieci chili! Esso popola la foresta tropicale a Sumatra e nel Borneo (Asia sud-orientale). Un manto vegetale, particolarmente diversificato e articolato, alberga una fauna altrettanto ricca, specialmente per quanto attiene gli insetti. Dei soli Coleotteri, sono state censite oltre 500 specie, annoveranti anche autentiche rarità, uniche per la loro storia evolutiva e per la loro unicità geografica (specie endemiche). Innanzitutto, vi vive una delle più belle e vistose farfalle diurne europee: il Pascià con lunghe code (Charaxes jasius) unico rappresentante di un genere tropicale, il cui bruco si ciba esclusivamente delle foglie del corbézzolo (Arbutus unedo), emblematico della macchia mediterranea. Inoltre, tra i Coleotteri il Còpride
Ceratophyus fischeri infeudato alle deiezioni dei buoi maremmani, che assicurano l’alimentazione delle sue larve. E il rutilante Cetonide Potosia königi, che si ciba dei dolciastri essudati del Leccio (Quercus ilex), e le cui larve sono ghiotte del legno marcescente ricco di micro-funghi. Infine, un’eccezionale fauna di micro-coleotteri popola la lettiera alla base della macchia, (la fabbrica dell’humus), documentando la storia millenaria della foresta in questi territori dell’Italia peninsulare. Organismi poco mobili che hanno scandito attraverso i millenni l’affermarsi di una fauna relitta (paleo-endemica) le cui origini si trovano nella foresta dell’epoca Terziaria, quando andava configurandosi l’assetto territoriale della futura Penisola italica. Tra i vertebrati, di notevole interesse faunistico sono da segnalare: l’Istrice grande fino a 70 centimetri, i cui aculei (peli modificati) possono raggiungere 30 centimetri, animale emblematico del Parco dell’Uccellina, e il tasso. Entrambi notturni e furtivi abitanti della «macchia». La primavera è alle porte. Il Parco dell’Uccellina, ci attende per un appagante safari fotografico e naturalistico, con tutto il suo esuberante splendore di colori, di luci e di profumi. Qui sembra di entrare in una fornita erboristseria. Bibliografia
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Ambiente e Benessere
In gara sul Ceresio
StraLugano 2019 A meno di 100 giorni dall’evento, il programma
è pronto a sorprendere con un fine settimana elettrizzante Ognuno ha un motivo diverso per attendere con impazienza la 14esima edizione della StraLugano che come ogni anno vuole stupire ed evolversi, mantenendo però ben salde le proprie radici che si basano sul rispetto della salute, dell’ambiente e soprattutto degli appassionati. Si parte il sabato pomeriggio del 25 maggio con la vivacissima KidsRun dedicata ai ragazzi, fiore all’occhiello della StraLugano. Si continua con la competizione da sempre più amata, la 10 KM CityRun, un percorso rapido e lineare che attraversa le vie più affascinanti della città. La domenica mattina, 26 maggio, alle 09.30 si darà il via alla Monte Brè Vertical Race, per poi dare spazio alla Half Marathon, 21’097 metri per mettersi alla prova sul tracciato omologato da Swiss Athletics. Molte anche le novità previste, a partire dalla nuova Stracombinata che unirà da 10 KM in notturna del sabato sera al fascino della Monte Brè Vertical Race.
Iscrizioni in palio «Azione» mette in palio 20 iscrizioni gratuite per una gara a scelta della Stralugano 2019. Per aggiudicarsele basta telefonare mercoledì 17 aprile dalle ore 10.30 (fino ad esaurimento) al numero 091 850 82 76. Buona fortuna!
L’olio d’oliva La nutrizionista Laura Botticelli Gentile Signora, sono sempre stata un’estimatrice dell’olio di oliva. Circa tre anni fa ho scoperto l’olio di riso, che mi è subito piaciuto. Da allora uso solo quello, sia per cuocere che per le insalate. Faccio bene? Quali sono i pregi o eventualmente i difetti di questo olio? / Margherita J.
Un’immagine dell’edizione 2018.
Al pomeriggio la Beach Run 4Charity; 5000 metri di solidarietà il cui ricavato sarà devoluto a enti benefici operanti sul territorio. Ovviamente non mancheranno gli eventi collaterali che in questi anni hanno reso StraLugano una manifestazione in grado di soddisfare non solo i partecipanti, ma anche il pubblico. A meno di 100 giorni dall’evento è già tutto pronto per sorprendervi ancora una volta. Migros, che è sponsor principale della manifestazione, insieme a SportXX, Official Sponsor, e «Azione», Media partner, sarà presente con diverse attività: da un lato in Piaz-
za Rezzonico con spazi dedicati al Warm Up, gestiti da Activ Fitness; dall’altro nella postazione Lungolago/LAC proporrà una FanZone, gestita da SportXX, in cui saranno presenti i giovani atleti del FC Lugano e del Volley Lugano. Immancabile il momento del «Pasta party» allestito anche quest’anno al Centro esposizioni e attivo per la cena del sabato e il pranzo della domenica. Informazioni di dettaglio e iscrizioni su: www.stralugano.ch.
StraLugano, 25 e 26 maggio, Lugano
Gentile Margherita, l’olio di riso, od olio di crusca di riso, viene estratto dal germe e dalle pellicole che avvolgono esternamente il chicco di riso. Popolare nei paesi asiatici, l’olio di riso ha un gusto delicato, neutro, che non si «scontra» con il cibo in generale e per questo lo si può persino usare nei biscotti e nelle torte alle quali può dare un leggero sapore di nocciola. Sia l’olio di riso sia l’olio d’oliva sono ottimi alleati per la nostra salute. Sono entrambi ricchi di antiossidanti, utili a neutralizzare i radicali liberi e proteggere l’organismo dalla loro azione negativa. Nello specifico, l’olio di crusca di riso contiene sia le forme di tocoferolo che di tocotrienolo della vitamina E e quantità significative di orizanolo. La vitamina E, oltre a combattere i radicali liberi, favorisce il rinnovo cellulare. Le sue caratteristiche la rendono quindi un importante strumento di prevenzione del cancro. L’orizanolo aiuta anche a ridurre l’assorbimento e ad aumentare l’eliminazione del colesterolo cattivo, quindi è raccomandato per migliorare i livelli di colesterolo nel siero. L’olio d’oliva contiene solo la forma di tocoferolo della vitamina E – e in quantità minore rispetto all’olio di crusca di
riso – ma contiene più antiossidanti che migliorano la salute noti come DHPEAEDA, conosciuti per la loro capacità di protezione del cuore. Sembra inoltre mostrare un potenziale modesto per ridurre il rischio di cancro al seno, ma sono necessari ulteriori studi per confermarlo. L’olio di riso ha un punto di fumo più elevato dell’olio di oliva, 254°C contro 182°C, ciò significa che i nutrienti importanti come gli acidi grassi non si degradano rapidamente durante la cottura. Può quindi essere usato tranquillamente per friggere, soffriggere, grigliare, marinare ma è ottimo anche in condimenti per insalate perché leggero e abbastanza versatile. Entrambi gli oli sono ad alto contenuto calorico ed è meglio utilizzarli con moderazione. La crusca di riso è più bassa nei grassi monoinsaturi o grassi «buoni» rispetto all’olio d’oliva e non è così facilmente assorbito dagli alimenti durante la cottura perché è meno viscoso, il che significa che non si attacca al cibo e non si sente il grasso sulla lingua, per cui si deve fare attenzione per non aggiungerne più del necessario. Entrambi gli oli, dunque, sono preziosi per la nostra salute e può benissimo preferire l’uno all’altro a seconda dei suoi gusti personali. Informazioni
Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch Le precedenti puntate si trovano sul sito: www.azione.ch Annuncio pubblicitario
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Idee e acquisti per la settimana
Questi tatuaggi regalano i superpoteri I superconiglietti sono ora disponibili non solo come pupazzi in peluche, ma anche come tatuaggi. Le immagini di tutti i personaggi sono raggruppate su un unico foglio, che sabato 20 aprile sarà disponibile gratuitamente per ogni acquisto a partire da 20 franchi
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Sami È dotato per la musica. Suona benissimo la tromba.
I membri Famigros ricevono un bollino supplementare a ogni acquisto.
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Max Fa diventar reale ciò che dipinge con il suo pennello.
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Chi non vorrebbe avere i superpoteri come i cinque «superconiglietti» di Migros? Grazie ai tatuaggi dei diversi personaggi, ora i bambini possono far propri i superpoteri dei supereroi in peluche, Max, Sami, Mira, Mo e Kiki. Su un unico foglio sono riportate le immagini dei cinque personaggi, che possono essere ritagliate singolarmente. I tatuaggi si applicano con un po’ di acqua, con cui possono anche essere facilmente rimossi. I tatuaggi sono disponibili solo sabato 20 aprile.
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Superpoteri per i bambini: con i tatuaggi dei «superconiglietti» la fantasia non ha limiti.
È molto semplice: fino al 22 aprile per ogni acquisto a partire da Fr. 20.– spesi alla cassa di qualsiasi supermercato Migros o su LeShop si riceve un bollino (massimo 15 bollini per acquisto, fino a esaurimento dello stock, escluso l’acquisto di buoni e di carte regalo). Fino al 23 aprile ogni cartolina completata con i 20 bollini può essere scambiata gratuitamente con un pupazzo (offerta fino a esaurimento delle scorte, non disponibili alla vendita).
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
Il fascino inconsueto di Milos
Reportage Dalle peculiari sedimentazioni calcaree alle caverne naturali anticamente utilizzate
come nascondiglio dai pirati Simona Dalla Valle, testo e foto Quando si parla di isole greche la mente conduce alle tipiche abitazioni dalle pareti bianche e dalle porte blu intenso, agli ulivi piegati dal meltemi e al frinire incessante delle cicale, alle acque trasparenti sulle quali le imbarcazioni sembrano volteggiare, ai polpi appesi ad asciugare al sole, ai colori violenti dei cespugli di bouganville, alle accoglienti taverne con musica tradizionale. La graziosa Milos non fa eccezione: l’isola delle Cicladi, celebre per la statua della Venere ora conservata al Louvre,
Bouganville nel centro di Plaka.
si presta a veicolare questo tipo di immaginario. Ma una visita approfondita dell’isola permette di scoprirne la storia e una ricchezza non solo «esteriore». Abitata sin dal Neolitico (70002800 a.C.), Milos si è sviluppata molto più rapidamente delle isole vicine grazie alla presenza di ossidiana, un materiale vulcanico duro, nero e di aspetto simile al vetro. Questo materiale era utilizzato nella fabbricazione di utensili e armi che sono stati successivamente trovati a Creta, Cipro, in alcune aree del Peloponneso e addirittura in Egitto. Si ritiene quindi che la gente del posto fiorì nell’esportazione, soprattutto di merci e minerali provenienti dalle miniere di zolfo. Grazie ai suoi prodotti minerari unici, Milos conobbe una notevole prosperità economica anche sotto il dominio romano. La produzione di trachite, utilizzata per la fabbricazione di macine per la molitura di cereali o di materiali più duri; di zolfo, usato come disinfettante e antisettico e per scopi religiosi; di pietra pomice, usata nella lucidatura dei famosi mosaici romani e delle pelli; e di allume, utilizzato nella preparazione di farmaci come componente attivo. Anche il fisico, filosofo e storico romano Plinio fa riferimento ai minerali presenti sull’isola, soprattutto nell’uso in campo medicinale. Nei suoi scritti racconta dell’allume di Milos, in forma liquida e solida, considerato tra i farmaci migliori, e dello zolfo di alta
Tra le vie di Plaka, capitale di Milos.
metri in più passaggi. Si stima che oltre duemila cristiani siano stati sepolti in 291 arcosoli e tombe a pavimento utilizzate come tombe di famiglia contenenti dalle cinque alle sette salme ciascuna. Attualmente l’accesso al monumento è limitato alla camera prin-
cipale della sezione B, alla «camera dei presbiteri» e alla camera principale della sezione A, più una piccola sezione del passaggio a nord-ovest. Ancora visibili ai visitatori delle catacombe di Milos, sono le iscrizioni sulle pareti tra cui il Monogramma di
Sarakiniko, passeggiando tra le rocce calcaree.
qualità. Plinio loda inoltre le proprietà terapeutiche delle acque termali dell’isola, dal sapore dolce. Le catacombe paleocristiane di Milos che, secondo gli archeologi, sono le uniche di tutta l’area greca, attestano la precoce presenza del cristianesimo sull’isola fin dal I secolo d.C.. L’ingres-
so si trova nel villaggio di Tripiti, vicino alla zona dove si trovava l’antico mercato della città di Milos. È persino possibile che le catacombe di Milos siano più antiche di quelle di Roma. Forse parte di una cospicua necropoli ai piedi del villaggio stesso, le catacombe furono utilizzate dai primi
cristiani prima come luogo di sepoltura e poi anche come luogo di culto e di rifugio dopo la persecuzione dei Romani, e sono considerate il più importante monumento di culto paleocristiano di tutta la Grecia. A oggi sono state rinvenute tre sezioni per una lunghezza totale di 183
Il villaggio Kleftiko, noto per le sue grotte e come rifugio dei pirati.
Cristo e il simbolo ecumenico cristiano ΙΧΘΥΣ (ichthys), le cavità utilizzate per le lampade e i doni votivi ai defunti, oltre a un paio di tombe di neonati. Durante il XVIII secolo, gravi malattie causarono l’abbandono della vecchia capitale, Zephyria, fondata dai Veneziani. Trasferitasi a Kastro, la popolazione in rapida crescita dovette presto affrontare il problema dello spazio insufficiente e così iniziarono a diffondersi nuovi villaggi: Plaka che più tardi divenne la capitale, Triovasalos, Tripiti e Plaka. Quest’ultima è l’attuale capitale di Milos. I suoi numerosi e pittoreschi vicoli lastricati sono stati costruiti secondo le esigenze del periodo di insediamento, per la protezione contro gli attacchi, poiché la pirateria era ancora una minaccia comune sul Mar Egeo. Il Kastro (castello), su una collina di 280 m di altezza ripida, domina l’ingresso del porto. Secondo vari scrittori dell’antichità la pirateria iniziò già in epoca preistorica. Quasi abolita sotto la dominazione minoica, riprese poco dopo il crollo dei cretesi. I pirati, gente dura e senza scrupoli, colpivano sia in mare sia a terra; saccheggiavano, massacravano, distruggevano e prendevano prigionieri. I prigionieri più forti erano poi usati come rematori; gli altri venivano invece venduti come schiavi. I più colpiti dal fenomeno furono gli isolani e le popolazioni costiere. Sostenuta dalla sua posizione geografica al crocevia tra l’est e l’ovest e offrendo un rifugio sicuro con le sue innumerevoli insenature, come le grotte intorno a Sarakiniko e Kleftiko, e soprattutto grazie al porto sicuro di Pollonia, dotato di tre punti di fuga, Milos era il principale avamposto navale dei pirati. Qui vendevano il bottino, compravano rifornimenti, riparavano le navi e trascorrevano serenamente l’inverno; alcuni di loro si sposavano anche con le donne di Milos.
Una galleria delle catacombe.
L’antico teatro romano di Milos.
In tempi più recenti, durante la prima guerra mondiale, Milos fu utilizzata come base navale dalle forze britanniche e francesi. I tedeschi invasero l’isola nel maggio 1941, ma gli abitanti di Milos resistettero eroicamente e il 9 maggio 1945 innalzarono nuovamente
la bandiera greca sull’isola. Molti abitanti, in seguito però l’abbandonarono a causa delle dure condizioni di vita, trasferendosi ad Atene o negli Stati Uniti. Con l’avvento del turismo, tuttavia, Milos e i suoi abitanti nel frattempo hanno conosciuto un rapido sviluppo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
Il fascino inconsueto di Milos
Reportage Dalle peculiari sedimentazioni calcaree alle caverne naturali anticamente utilizzate
come nascondiglio dai pirati Simona Dalla Valle, testo e foto Quando si parla di isole greche la mente conduce alle tipiche abitazioni dalle pareti bianche e dalle porte blu intenso, agli ulivi piegati dal meltemi e al frinire incessante delle cicale, alle acque trasparenti sulle quali le imbarcazioni sembrano volteggiare, ai polpi appesi ad asciugare al sole, ai colori violenti dei cespugli di bouganville, alle accoglienti taverne con musica tradizionale. La graziosa Milos non fa eccezione: l’isola delle Cicladi, celebre per la statua della Venere ora conservata al Louvre,
Bouganville nel centro di Plaka.
si presta a veicolare questo tipo di immaginario. Ma una visita approfondita dell’isola permette di scoprirne la storia e una ricchezza non solo «esteriore». Abitata sin dal Neolitico (70002800 a.C.), Milos si è sviluppata molto più rapidamente delle isole vicine grazie alla presenza di ossidiana, un materiale vulcanico duro, nero e di aspetto simile al vetro. Questo materiale era utilizzato nella fabbricazione di utensili e armi che sono stati successivamente trovati a Creta, Cipro, in alcune aree del Peloponneso e addirittura in Egitto. Si ritiene quindi che la gente del posto fiorì nell’esportazione, soprattutto di merci e minerali provenienti dalle miniere di zolfo. Grazie ai suoi prodotti minerari unici, Milos conobbe una notevole prosperità economica anche sotto il dominio romano. La produzione di trachite, utilizzata per la fabbricazione di macine per la molitura di cereali o di materiali più duri; di zolfo, usato come disinfettante e antisettico e per scopi religiosi; di pietra pomice, usata nella lucidatura dei famosi mosaici romani e delle pelli; e di allume, utilizzato nella preparazione di farmaci come componente attivo. Anche il fisico, filosofo e storico romano Plinio fa riferimento ai minerali presenti sull’isola, soprattutto nell’uso in campo medicinale. Nei suoi scritti racconta dell’allume di Milos, in forma liquida e solida, considerato tra i farmaci migliori, e dello zolfo di alta
Tra le vie di Plaka, capitale di Milos.
metri in più passaggi. Si stima che oltre duemila cristiani siano stati sepolti in 291 arcosoli e tombe a pavimento utilizzate come tombe di famiglia contenenti dalle cinque alle sette salme ciascuna. Attualmente l’accesso al monumento è limitato alla camera prin-
cipale della sezione B, alla «camera dei presbiteri» e alla camera principale della sezione A, più una piccola sezione del passaggio a nord-ovest. Ancora visibili ai visitatori delle catacombe di Milos, sono le iscrizioni sulle pareti tra cui il Monogramma di
Sarakiniko, passeggiando tra le rocce calcaree.
qualità. Plinio loda inoltre le proprietà terapeutiche delle acque termali dell’isola, dal sapore dolce. Le catacombe paleocristiane di Milos che, secondo gli archeologi, sono le uniche di tutta l’area greca, attestano la precoce presenza del cristianesimo sull’isola fin dal I secolo d.C.. L’ingres-
so si trova nel villaggio di Tripiti, vicino alla zona dove si trovava l’antico mercato della città di Milos. È persino possibile che le catacombe di Milos siano più antiche di quelle di Roma. Forse parte di una cospicua necropoli ai piedi del villaggio stesso, le catacombe furono utilizzate dai primi
cristiani prima come luogo di sepoltura e poi anche come luogo di culto e di rifugio dopo la persecuzione dei Romani, e sono considerate il più importante monumento di culto paleocristiano di tutta la Grecia. A oggi sono state rinvenute tre sezioni per una lunghezza totale di 183
Il villaggio Kleftiko, noto per le sue grotte e come rifugio dei pirati.
Cristo e il simbolo ecumenico cristiano ΙΧΘΥΣ (ichthys), le cavità utilizzate per le lampade e i doni votivi ai defunti, oltre a un paio di tombe di neonati. Durante il XVIII secolo, gravi malattie causarono l’abbandono della vecchia capitale, Zephyria, fondata dai Veneziani. Trasferitasi a Kastro, la popolazione in rapida crescita dovette presto affrontare il problema dello spazio insufficiente e così iniziarono a diffondersi nuovi villaggi: Plaka che più tardi divenne la capitale, Triovasalos, Tripiti e Plaka. Quest’ultima è l’attuale capitale di Milos. I suoi numerosi e pittoreschi vicoli lastricati sono stati costruiti secondo le esigenze del periodo di insediamento, per la protezione contro gli attacchi, poiché la pirateria era ancora una minaccia comune sul Mar Egeo. Il Kastro (castello), su una collina di 280 m di altezza ripida, domina l’ingresso del porto. Secondo vari scrittori dell’antichità la pirateria iniziò già in epoca preistorica. Quasi abolita sotto la dominazione minoica, riprese poco dopo il crollo dei cretesi. I pirati, gente dura e senza scrupoli, colpivano sia in mare sia a terra; saccheggiavano, massacravano, distruggevano e prendevano prigionieri. I prigionieri più forti erano poi usati come rematori; gli altri venivano invece venduti come schiavi. I più colpiti dal fenomeno furono gli isolani e le popolazioni costiere. Sostenuta dalla sua posizione geografica al crocevia tra l’est e l’ovest e offrendo un rifugio sicuro con le sue innumerevoli insenature, come le grotte intorno a Sarakiniko e Kleftiko, e soprattutto grazie al porto sicuro di Pollonia, dotato di tre punti di fuga, Milos era il principale avamposto navale dei pirati. Qui vendevano il bottino, compravano rifornimenti, riparavano le navi e trascorrevano serenamente l’inverno; alcuni di loro si sposavano anche con le donne di Milos.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana
Uova alla Benedict Piatto unico Ingredienti per 4 persone: 200 g di spinaci · 1 scalogno piccolo · 1 c d’olio d’oliva
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
· sale · pepe · noce moscata macinata · 1 l d’acqua · 3 c d’aceto di frutta · 4 uova · germogli per guarnire. Salsa olandese: 120 g di burro · 2 tuorli freschi · 2 c di succo di limone · 1 spruzzo di tabasco · sale.
1. Sciacquate accuratamente gli spinaci. Tritate finemente lo scalogno e fatelo appassire nell’olio caldo. Trasferite in padella gli spinaci grondanti d’acqua e lasciate che si affloscino. Condite con sale, pepe e noce moscata, poi coprite gli spinaci e teneteli in caldo. 2. Per la salsa olandese, fate sciogliere lentamente il burro. In una scodella d’acciaio al cromo mescolate i tuorli con il succo di limone, il tabasco e sale. Lavorate i tuorli a bagnomaria e aggiungete a filo il burro fuso, finché la salsa diventa densa. Condite la salsa. Togliete la padella dal fuoco e tenete la salsa in caldo a bagnomaria, mescolandola di tanto in tanto. 3. Per le uova in camicia, portate a ebollizione l’acqua. Rompete ogni singolo uovo in una tazza o una ciotolina. Abbassate la fiamma, l’acqua deve fremere appena. Aggiungete l’aceto, poi fate scivolare nell’acqua le uova, uno dopo l’altro e con un cucchiaio cercate di avvolgere l’albume attorno al tuorlo. Cuocete le uova per 3-4 minuti. Estraetele con una schiumarola e fatele sgocciolare. Accomodatele sugli spinaci e irroratele con la salsa olandese. Guarnitele con i germogli e servitele subito. Preparazione: circa 40 minuti. Per persona: circa 10 g di proteine, 37 g di grassi, 2 g di carboidrati, 390
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Ambiente e Benessere
L’insostenibile pesantezza Giochi per “Azione” - Aprile 2019 dell’urlo razzista Stefania Sargentini
Sport Negli stadi si insultano i giocatori con eccessiva leggerezza sottovalutando le conseguenze in chi,
diverso per colore della pelle o orientamento sessuale, è costretto a subire
(N. 13 - Sicilia, castagno dei cento cavalli)
Giancarlo 1 2Dionisio 3
Kean ha incassato, immagino
4
5 con enorme 6 soddisfazione, il sostegno
La recente vicenda vissuta a Cagliari del proprio compagno di club Blaida 7Moise Kean, giovanissimo attacse Matuidi (al quale pure sono giunti 8 cante della Juventus, di origini ivoria- dei «buuuu» durante la stessa partita), ne, nella sua tragica drammaticità, ha campione del mondo lo scorso anno 9 dei risvolti grotteschi. 10 Il padre pure con la nazionale francese, di origini del calciatore – che, tra l’altro, aveva angolane, il quale, sul suo profilo Inda poco debuttato11con la maglia della stagram, ha scritto: «Bianco+neri, no al Nazionale azzurra, segnando due reti razzismo», aggiungendo una foto in cui in altrettante partite –, alcuni giorni i due amici sorridono felici. 13 suo 14 16 prima che12 il figlio fosse subissato da Dal canto Mario 15 Balotelli, una valanga di «buuuuu» di presunta uno dei calciatori più bersagliati del matrice razzista da parte dei tifosi del- recente passato, anche in virtù della 18 17 la squadra sarda, aveva dichiarato alla sua forte ed eccentrica personalità, dal stampa di essere dalla parte del Vice suo «esilio» francese, dove le tensioni 19 Premier Matteo Salvini: «I migranti – 20sociali e razziali sono molto forti, si è avrebbe dichiarato in un’intervista – espresso così : «Sebbene siamo divisi e aiutiamoli a casa loro!». diversi nel nostro destino, nient’altro 21 22 23 Sta di fatto che, negli stadi di cal- deve dividerci. Condanno il razzismo cio, essere nero di pelle, può compor- in qualunque forma e luogo, sempre». tare reazioni verbalmente violente Possono sembrare delle parole im24 da parte di alcune frange becere delle prontate a uno sterile buonismo, tant’è tifoserie. Quello di Moise è l’ultimo che Tommaso Giulini, presidente del esempio di una serie infinita che parte Cagliari ha minimizzato la vicenda dai campetti di periferia e giunge fino Kean, affermando che non si è trattato ai massimi livelli. Alcuni mesi fa, l’ac- di un episodio razzista, e che la curva coglienza riservata in Montenegro ai avrebbe riservato lo stesso trattamento calciatori inglesi di origini africane è a Federico Bernardeschi, bianchissimo andata vicino allo scatenare un vero trequartista, se fosse stato lui a segnare e proprio incidente diplomatico. Il ri- il gol decisivo, presentandosi poi sotto svolto positivo è da ricercare nelle 1 testi- 2 la curva 3 avversaria. 4 5 monianze di solidarietà che giungono Può darsi. Le intenzioni sono semgeneralmente proprio dal mondo del pre indecifrabili, mentre gli effetti sono 6 8 di calcio, il quale reagisce con fierezza, a più quantificabili. C’è chi 7è capace salvaguardia di un’immagine che ri- farsi scivolare con eleganza il fango schierebbe di essere contaminata di dosso senza apparentemente dare 9 da 10 cotanta stoltezza. un’impressione di sofferenza, ma c’è
S I N O L I C A I P R E T O R O S S R A I O A
C E T S E A R G N R I A C P P
R A T T O
I L E O
C C A O L I A
D E V O N
O T E N T O E L N. 13 FACILE L I Schema A R E 1
3 (N. 14 - Quasi due chilometri e mezzo)Moise Kean abbraccia Blaise Matuidi, in un momento di felicità. (Keystone)
Giochi 13
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Cruciverba Una 20 delle regioni con 21la più alta concentrazione di… Uno di questi si chiama… Termina le frasi 22 23 24 leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate. (Frase: 5, 2, 5, 1, 2, 6 – 7) 25
26
9 5
anche chi sta male. E di brutto, perché non capisce come un essere umano possa essere maltrattato in virtù del colore della sua pelle, delle sue origini, o del suo orientamento sessuale. Sono discriminazioni che la società e il mondo dello sport non possono e non devono
alla procura federale della Figc per «accertamenti istruttori supplementari, riservandosi di disporre l’acquisizione di ulteriori elementi da parte degli organi competenti». Anche alcuni club calcistici stanno reagendo in proprio. L’Inter, ad esempio, ha aderito all’evento «Stop Racism» in occasione del Memoriale della Shoah, invitando le centinaia di ragazzini del suo settore giovanile a partecipare, affinché possano conoscere, capire e condividere idealmente il dramma vissuto alcuni decenni prima da migliaia di loro coetanei. Da più parti, in Germania, Francia, Spagna, e altrove, si chiedono sanzioni esemplari, in modo che non ci si limiti alle pene pecuniarie per le società di appartenenza dei tifosi bacati. Per ora nessuno si è spinto oltre le multe, con l’aggiunta eventuale di una partita da disputare a porte chiuse. Una sanzione che potrebbe 2 sembrare iniqua5poiché penalizza tutti i tifosi, non solo le minoranze violente. In realtà, credo che sia corretta 8 timido 9 passo 2 poiché è un primo, verso lo sgretolamento dell’omertà all’interno delle curve. Nell’era in cui quasi quasi rischi di essere filmato, a tua insaputa, casa, è inammissi7 5nel bagno di 8 9 bile che la tecnologia non possa o non voglia 4 fornire alle società sportive,7alle federazioni e ai tribunali, i supporti filmati che consentano loro di perseguire 2serenità e della credibii rei. Ne3 va della lità di quello che si picca di essere il gio3 8 co più bello del mondo.
3
tollerare, in primo luogo perché la dignità di tutti va salvaguardata, d’altro 6 canto perché il rischio che dalle parole si passi ai fatti, è tutt’altro che remoto. Nel frattempo, il giudice sportivo ha girato il caso degli urli ai danni di Ma1 tuidi e Kean durante Cagliari-Juventus
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P A S Q U A A S T I S D E C O U S I 7 S Eregalo da S 50T franchi I Acon il 4cruciverba Vinci una delle 3 carte 8 5 9 2 6 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi4con C H I L I P O I Mil sudoku ORIZZONTALI R O M A VSudoku E G LN. 14 I MEDIO A 1. Hanno notevole ampiezza 6. L’anima del poeta O T O R Soluzione: I Oi 3 N E 8 N 3 1 5 2 10. Responsabilità Scoprire 11. Bel giovane numeri corretti 12. IlM MessiaE inserire nelle 4 6 S A Ndacaselle T O 5 Z T colorate. 13. Osso del bacino Giochi per “Azione” - Aprile 2019 14. Il gigante figlio di 9 4 A L S A Z I AStefania Sargentini O1 R E 8 Poseidone
15. Città della Normandia 2 9 4 16. Due di spade (N. 13 Sicilia, castagno dei cento cavalli) 17. Ha un nome piccolo ma 1è lunghissimo 2 3 4 5 6 S I N C E R 8I 18. Cambia ogni giorno 8 7 O L I T A L 19. Un quinto di five 9 10 20. Un segno zodiacale C A S E T E 11 21. Fa mangiare di meno e spendere I P A R T9 O 2 5 7 di più 12 13 14 15 16 R E G N O D O T E 23. Congiunzione latina 18 17 T O R R I C E 7N T O 24. Preposizione articolata 19 20 25. Attacco nemico O S S A C A V E L 21 22 23 3 8 R A I C O L O L I VERTICALI 24 O A P P I A N A R E 1. Cura il linguaggio... SUDOKU PER AZIONE - APRILE 2019 Soluzione della settimana precedente 2. Pianta aromatica UN’ACUTA OSSERVATRICE! – L’aquila riesce a vedere fino a: 3. Torna al fornitore N. 13 FACILE (N. 14 un - Quasi due chilometri e mezzo)QUASI DUE CHILOMETRI E MEZZO. 4. Ha braccio di ferro Schema Soluzione 5. L’attore Elizondo (iniz.) 1 2 3 4 5 6. Golfo arabo 1 9 2 8 1 9 2 6 4 P A 5S Q U A 6 7 8 7. Bagno inglese 5 6 7 5 3 1 8 A 8S 9T I 2 S D 8. Tra «l» e «o»9 10 3 2 4 9 7 5 3 E C O U S I 9. Le vie... della11respirazione 12 4 3 2 7 5 6 3 7 5S E 8 11. L’incerto di ogni impresa S 9T I A 13 15 16 17 13.14Contrapposto al dittongo 1 5 6 4 8 9 C H 6 I 4L I P O 7I M 1815. Vicina al cuore19 9 8 7 1 3 2 R O M A 3 2V E G L I A 16. Anno a Parigi 20 21 5 9 1 6 2 7 1 3 8 T O R I O N E N O 18. Sapiente, colta 22 20. Fiume 23della Gran Bretagna 24 2 6 3 8 4 1 M E S 4A N 7T O Z T 2522. Un Bravo... fiume 26 7 4 8 5 9 3 A 4L 8S 5A 9Z I 2A 6 O R E 24. Le iniziali della Tatangelo
1
(N. 15 - ... laghi al mondo è il Canada - ... Ontario) 1
2
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
9
L O G O P E D I A
A N E T O
R G H I E R E S U I O C A D A T T O R O I E T A E T A S S A L T
R I O
L M A O N E' O R N. 15 DIFFICILE A E 4 O N E 8
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14 MEDIO I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la N. luzione, corredata da nome, cogno- concorsi. Le vie legali sono escluse. (N. 15 - ... laghi al mondo è il Canada - ... Ontario) del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku me, 8indirizzo, email del partecipanNon4è possibile 8 3 un 1 pagamento 5 7 9 in 2 con6 3 1 5 2 teggiati tra i partecipanti che avranno 1 nell’apposito pubblicato te deve essere spedita a «Redazione tanti dei premi. I vincitori saranno 2 3 4 5 formulario 6 7 8 9 G 4H 6 C.P. I A L6901 M A avvertiti 5 2per9 iscritto. 3 4 Partecipazione 6 1 7 8 5L A R fatto pervenire la soluzione corretta 10 sulla pagina del sito. 11 Azione, Concorsi, 6315, 1 6esclusivamente 7 8 2 9 a 4lettori 3 che 5 1O N E 8R E 9 4A D O N E 'riservata entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o' Lugano». 12 13 zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so- Non si intratterrà corrispondenza sui risiedono in Svizzera. R 2 3 6 9 8 4 5 1 7 2G E S 9U 4 I L 1E O
4
(N. 16 - “In Africa, su questo non ci piove”) 1
A A D L E E N A
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Politica e Economia Politica estera Usa Quella americana in Medio Oriente di oggi non si discosta tanto da quella del passato, nella scelta del disimpegno politico
Dibattito ideologico In America si discute tanto su che cosa stia diventanto il capitalismo, ma ormai tutti devono ammettere che non possa che essere democratico e senza monopoli, altrimenti si rischia di diventare come la Russia di oggi
Baselworld, aria di crisi Il bilancio della fiera è in chiaro-scuro, come lo stato dell’industria orologiera svizzera pagina 31
pagina 29
AFP
pagina 28
Haftar guarda alla Tripolitania
Libia Il 4 aprile il generale libico ha annunciato con un messaggio vocale diffuso online una campagna militare
per conquistare la capitale Tripoli cogliendo di sorpresa il governo di al-Serraj sostenuto dalla comunità internazionale Lucio Caracciolo L’offensiva del generale Haftar contro Tripoli, dove è asserragliato il debole capo del cosiddetto governo libico internazionalmente riconosciuto, alSerraj, segna un nuovo picco nell’interminabile contesa che incendia l’ex colonia italiana dal 2011. La battaglia, comunque si concluda, non risolverà la partita strategica. Quell’enorme territorio è da tempo oggetto di una guerra per bande che procede per vie carsiche, con fasi visibili e contrasti sottobanco. Protagonisti i principali attori locali – ovvero milizie e tribù – sostenuti dai rispettivi sponsor internazionali. Oggi più che mai lo scontro si configura come il tentativo delle forze della Cirenaica che fanno riferimento ad Haftar di prendere il controllo della Tripolitania. Quasi una riunificazione della Libia, che dopo la morte di Gheddafi non esiste più. Tentativo destinato
con ogni probabilità a fallire. La scacchiera libica è infatti troppo frastagliata, gli attori troppo numerosi per immaginare che una sola fazione, per quanto bene armata, possa riportare sotto il suo controllo tutte le nervature strategiche del Paese. Con al-Serraj, o meglio con Tripoli, si sono schierate milizie e tribù dell’Ovest libico, almeno le più rilevanti. Fra queste, le truppe di Misurata, importante porto mercantile prossimo alla capitale, appaiono le più potenti, dotate anche di una minima aviazione. Sono le brigate che si sono intestate la «rivoluzione» contro il regime gheddafiano, di cui invece Haftar è stato a suo tempo un importante riferimento militare. Sia pure con un passato oscuro e con una lunga permanenza in America, durante la quale ha stretto rapporti con la Cia. Formalmente il governo di alSerraj è sostenuto dalla «comunità internazionale». Di fatto, la stessa Italia,
che si era illusa di potere svolgere un ruolo decisivo – addirittura su mandato americano – nella improbabile risoluzione della mischia libica, e aveva scommesso tutto sulla mediazione Onu, da qualche tempo aveva intensificato i rapporti con Haftar. Giacché l’ipotesi di scartare l’attuale padrone della Cirenaica da qualsiasi «soluzione» politica è evidentemente irrealistica, visto che può contare su quasi centomila soldati. E sui rifornimenti in denaro e in armi di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Russia. Il ruolo francese è particolarmente ambiguo. La diplomazia gioca ufficialmente la carta della mediazione, sempre tenendo d’occhio il Fezzan, ovvero la regione meridionale della fu Libia, porta d’ingresso all’impero francese in Africa – specie ai giacimenti di uranio del Niger. Ma l’Eliseo ha dato mandato ai servizi segreti di puntare su Haftar, il quale se n’è sentito particolarmente gratificato. Così
pure una parte dell’Amministrazione e degli apparati americani ha pensato di puntare sul generale, quantomeno in funzione strumentale. Il problema è che Haftar ha preso molto sul serio i suoi obliqui sponsor occidentali. E imbaldanzito dai rifornimenti che continuano a venirgli dai russi e dalle potenze arabe del Golfo ha deciso di provare a diventare lui il successore del suo ex capo, il «colonnello» Gheddafi, «guida della rivoluzione» anticoloniale libica. L’avventura di Haftar ha inoltre riacceso gli appetiti dell’Egitto sulla Cirenaica, o meglio sui suoi giacimenti petroliferi. Il Cairo soffre di essere l’unico Paese arabo a non disporre di riserve di greggio degne di questo nome, sicché l’allargamento via Haftar della sua sfera d’influenza nell’ex provincia della Libia orientale suscita qualche speranza di colmare tale lacuna. Infine, da segnalare il ritorno della Cina in Libia. Dopo averne evacua-
to brillantemente gli ingegneri e gli operai che vi lavoravano pochi giorni dopo l’inizio della crisi del 2011, Pechino sta cercando di estendere alla Libia la sua rete marchiata «nuove vie della seta». Apparentemente un progetto economico, di fatto una sfida geopolitica a tutto tondo destinata a scalzare gradualmente gli Stati Uniti dalla vetta del mondo. Il vuoto attrae. Se, come probabile, nessuno fra gli attori locali riuscirà a riempirlo in modo più meno definitivo nei prossimi anni, il vero match riguarderà le potenze esterne. Come abbiamo visto, non mancano. Né per rango né per ambizioni. Ciò che fa della battaglia di Tripoli un episodio, certamente rilevante ma non decisivo, in un confronto che verrà deciso altrove, nel retrobottega gestito dagli sponsor delle fazioni libiche. O non lo sarà affatto, lasciando una pericolosa e vasta zona ingovernata ai bordi del Canale di Sicilia.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Politica e Economia
Ritirata graduale
Condannata Nasrin Sotoudeh
Politica estera Usa Trump rilancia la tradizione del disimpegno in Medio Oriente
Iran L’attivista è
ridimensionando l’influenza americana e affidandosi a «proconsoli» come Netanyahu, al-Sisi e MbS
Federico Rampini La politica estera di Trump in Medio Oriente continua a mietere successi. È una storia sorprendente. Contraddice i pareri degli esperti, o almeno di quegli esperti che appartengono alla «saggezza convenzionale». Rovescia i sintomi d’indebolimento, trasformandoli in vittorie. È una politica del disimpegno, della ritirata graduale, che però ha come complemento una delega a tre pro-consoli: Benjamin Netanyahu in Israele, il principe Muhammed bin Salman in Arabia saudita, il generale al-Sisi in Egitto. Quest’ultimo è stato ricevuto in pompa magna alla Casa Bianca la settimana scorsa. Netanyahu col suo quinto mandato conferma che Trump ha fatto un ottimo investimento puntando tutto su di lui (ambasciata a Gerusalemme, Golan, ecc.). Infine il terribile MbS è sopravvissuto all’assassinio di Kashoggi: i mercati finanziari del mondo intero gli hanno perdonato tutto e corrono a sottoscrivere i bond di Aramco (l’ente petrolifero saudita). La vicenda più significativa è Israele. Con questo presidente gli Stati Uniti hanno praticamente «subappaltato» la loro politica mediorientale a Netanyahu. Lo hanno assecondato spostando l’ambasciata, avallando tutto ciò che lui fa e dice nei Territori occupati, abbracciando la sua linea dura sul nucleare iraniano. A leggere i grandi media americani – per non parlare degli europei – queste scelte di Trump oltre che dissennate lo avrebbero portato in un vicolo cieco. Ma la rielezione di Netanyahu, sia pure per un soffio, costringe a correggere questa narrazione. Netanyahu può non piacerci per molte ragioni, però Trump puntando su di lui ha azzeccato il cavallo vincente. A trovarsi in un vicolo cieco è la sinistra americana: all’interno del partito democratico si è aperta una frattura dopo che una neodeputata di religione islamica ha accusato il ceto politico di Washington di vendersi alla lobby filo-israeliana. In quanto alle reazioni di chi grida «Israele non è più una democrazia»: è un copione già visto in altri paesi, un brutto vizio di chi non riesce più a vincere le elezioni e si rinchiude in un’orgogliosa contemplazione della propria superiorità morale. Dall’Egitto all’Arabia saudita, Trump non è particolarmente innovativo: ha semplicemente rilanciato una tradizione, quella per cui l’America non «interferisce» più di tanto sulla politica interna, la qualità democratica, il rispetto dei diritti umani, finché i regimi alleati sono fedeli e affidabili. Gli uomini forti come MbS e Al-Sisi s’inseriscono in una linea di discendenza antica. In quanto all’Iran, fu Barack Obama a interrompere una continuità, tentando la carta del disgelo. Trump è tornato alla politica delle sanzioni e dell’isolamento, con un escalation continua dei provvedimenti punitivi, incluse le ultime misure che prendono
Puntando su Netanyahu, Trump ha azzeccato il cavallo vincente. (AFP)
di mira i «guardiani della rivoluzione islamica». Tutto questo non impedisce che vi sia un oggettivo ridimensionamento dell’influenza americana in Medio Oriente. Affidarsi a dei pro-consoli come Netanyahu, al-Sisi e MbS non è la stessa cosa che agire in prima persona. Ciascuno di quei tre attori ha un’agenda geopolitica locale che può in parte convergere con gli interessi americani, in parte no. Il disimpegno americano però è voluto, rivendicato da Trump. E l’ultimo atto di questa ritirata è in corso in Libia. Un teatro importante, visto che da lì partono i maggiori flussi di profughi e migranti diretti alla sponda settentrionale del Mediterraneo. «La situazione della sicurezza in Liba diventa sempre più complessa e imprevedibile», dichiara il generale Thomas Waldhauser, capo dello United States Africa Command. Conseguenza? Gli Stati Uniti ritirano il loro minuscolo contingente militare, evacuato via mare una settimana fa. Per l’Italia, per l’Europa, per il Nordafrica e il Medio Oriente, il messaggio è chiaro: benvenuti in un mondo post-americano. La presenza in Libia di soldati Usa e di esperti anti-terrorismo, pur molto ridotta, era l’ultimo residuo di una scelta che fece Obama e di cui lui stesso si era pentito. Trascinato da Nicolas Sarkozy e David Cameron nell’intervento militare per deporre Gheddafi (2011), l’allora presidente fornì all’attacco franco-britannico un supporto soprattutto logistico e di bombardamenti aero-navali. Se ne pentì in seguito, dopo aver capito che Parigi e Londra si erano lanciate in quell’operazione senza avere un piano serio per il dopo-Gheddafi. Il caos in cui la Libia è sprofondata, è il risultato di quell’intervento militare: Gheddafi non c’è più, ma al suo posto non c’è una democrazia, bensì una guerra per bande, in cui stando agli ultimi sviluppi sembra prevalere il generale Haftar. Dopo una fase utopistica o ingenua in cui aveva appoggiato le rivolte delle primavere arabe credendo che avrebbero spianato la strada alla democrazia, dall’Egitto in poi lo stesso Obama era già tornato alla Realpolitik. In una confessione autocritica, mentre
stava lasciando la Casa Bianca, disse che la prima regola della politica estera dovrebbe essere «don’t do shit» (traduzione edulcorata: non fare casini). La Libia, Obama la mise nel novero dei casini che si era lasciato dietro. Dopo oltre due anni di presidenza Trump ha aggiunto un principio ulteriore: non fare nulla in politica estera se non sia strettamente necessario alla difesa di un interesse strategico minacciato. Siamo in una fase di crescente isolazionismo. Che viene giustificato anche da una rivoluzione negli assetti energetici mondiali. L’America è ormai quasi autosufficiente per il suo fabbisogno di petrolio e gas. La «motivazione energetica» nella politica estera – che fu una delle costanti in Medio Oriente dalla Seconda guerra mondiale in poi – si è praticamente dissolta. Resta dell’eredità neoimperiale solo un fattore-interdizione: gli Stati Uniti rimangono ben presenti militarmente nelle aree petrolifere come il Golfo Persico, perché da quelle forniture è dipendente la Cina, il che la rende vulnerabile. Ma come si vede nel caso del Venezuela, anche sull’interdizione della penetrazione cinese o russa Trump non è disposto a investire più di tanto. Chi da mesi denuncia le trame di un’invasione militare americana in Venezuela è stato smentito: neppure le riserve petrolifere più abbondanti del pianeta smuovono Trump, che ha una vera allergia all’intervento militare. America First, lo ha sempre detto nei comizi (ed è di nuovo in campagna elettorale), vuol dire anche smetterla di sperperare risorse per fare i gendarmi del mondo. I dietrologi che non riescono a concepire un mondo dove lo Zio Sam si ritira, si eserciteranno a inventare oscure trame americane dietro l’avanzata del generale Haftar. L’ex ufficiale di Gheddafi effettivamente ebbe un passato di legami con la Cia, dopo aver tentato un golpe ed essersi rifugiato in Virginia. Negli ultimi anni però gli Stati Uniti hanno evitato di appoggiarlo; hanno invece sostenuto gli sforzi dell’Onu per una soluzione di governo che unifichi le varie fazioni. Perciò l’Italia ha potuto affermare che la posizione di Washing-
perseguitata dal 2010
ton era più allineata alla sua. Per le sue scorribande, per i suoi finanziamenti, per le sue armi, il generale Haftar si è rivolto di volta in volta alla Francia, alla Russia, all’Egitto, agli Emirati arabi. Anche ora che Haftar sembra lanciato verso la vittoria – o almeno destinato ad avere un’influenza crescente – è singolare il balletto delle alleanze attorno a lui. La Francia di Emmanuel Macron lo appoggia quanto la Russia di Vladimir Putin. Uno spettacolo sconcertante, se si pensa al proclamato «europeismo» di Macron. La linea ufficiale dell’Unione europea infatti era quella italiana, che spingeva verso una soluzione di accordo tra le fazioni. La Libia non è l’unico teatro dove si osserva la ritirata americana. Trump si era già affrettato a chiudere quel poco di coinvolgimento americano in Siria, che aveva ereditato da Obama. La nuova Realpolitik isolazionista di Washington prende atto che la Siria è sempre stata un vassallo di Mosca (per la precisione: da quando l’Unione sovietica vi stabilì la sua prima base militare nel 1971), e non vede cosa l’America possa ricavare da una presenza militare. Ora lo stesso disimpegno si sta realizzando in Libia. Delle ricadute nel Mediterraneo, in particolare sulla tragedia dei profughi, questa Amministrazione Usa si disinteressa. Un proverbio americano dice: «Stai attento a cosa auspichi; i tuoi desideri potrebbero realizzarsi». In Europa un ampio arco di forze – dalla sinistra radicale alle destre putiniane – hanno sempre denunciato le ingerenze americane e desiderato che lo Zio Sam se ne stesse a casa sua. Ora che questo desiderio diventa realtà, fino al punto da logorare le fondamenta dell’Alleanza atlantica, bisogna misurarsi con le conseguenze. La «quasi» Pax Americana fu sempre traballante e precaria, non impedì conflitti sanguinosi in Medio Oriente; fu segnata da errori gravissimi come l’invasione dell’Iraq. Quel che viene dopo, però, è il trionfo del caos. Altri imperialismi più antichi riaffiorano e si affrontano per ritagliarsi sfere d’influenza: dalle nostalgie coloniali di Parigi all’espansionismo di Mosca, dal sultano ottomano ai sauditi, è lungo l’elenco degli attori che aspirano a riempire i vuoti lasciati dall’America. Alcuni di questi attori si possono considerare come appartenenti alla sfera d’influenza americana; altri sono nemici dichiarati come l’impero regionale persiano (un altro soggetto antichissimo, oggi governato dal clero sciita); altri ancora sono rivali strategici come Russia e Cina. Ma anche coloro che si dichiarano amici di Washington, sono parte di una frantumazione. Forse solo Henry Kissinger potrebbe intravvedervi il principio di un nuovo ordine fondato sull’equilibrio delle potenze locali: un po’ Pace di Vestfalia un po’ Congresso di Vienna. Dubito che lo stesso Kissinger consideri questo approdo come imminente.
Luisa Betti Trentotto anni di carcere e 148 frustate, questa la condanna del tribunale rivoluzionario di Teheran all’avvocata Nasrin Sotoudeh, rea di aver difeso le donne dall’obbligo del velo e di aver condotto battaglie per i diritti umani. Un verdetto considerato «scioccante» da parte di Philip Luther, responsabile Medio Oriente e Nord Africa per Amnesty International: l’unica Ong internazionale che chiede il rilascio immediato dell’avvocata. Una persecuzione, quella nei confronti di Nasrin, iniziata nel 2010 quando fu arrestata per propaganda contro lo Stato. Venne liberata nel 2013 ma di nuovo messa in carcere nel giugno del 2018 per spionaggio, con una pena a 5 anni di reclusione, condanna a cui adesso si aggiungono altri 33 anni e quasi centocinquanta frustate. Sentenze emesse in processi dove non le è stato consentito né difendersi né assistere, dato che per certi reati l’avvocato viene imposto da un elenco di 20 approvati dal Capo del potere giudiziario, una farsa cui Nasrin si è rifiutata di partecipare. Sette i capi d’accusa, tra cui «formazione di gruppi con lo scopo d’interrompere la sicurezza nazionale», «propaganda contro il sistema», «raccolta e collusione al fine di commettere crimini contro la sicurezza nazionale», «incitamento alle donne a togliersi il velo», ma anche azioni immorali come istigare alla corruzione e alla prostituzione, partecipazione a movimenti contro la pena di morte e quindi appartenenza a gruppi come il Centro per difensori dei diritti umani e la Campagna Step by Step. Rinchiusa nel tristemente noto penitenziario di Evin, dove ha già fatto due scioperi della fame, anche la sua insistenza a pretendere un avvocato indipendente, ovviamente non concesso, è stato visto dalle autorità giudiziarie come un atto criminale verso lo Stato che non tollera che Nasrin continui a difendere i minorenni nel braccio della morte, gli attivisti e le donne che non vogliono il hijab obbligatorio. Una sentenza arrivata a metà marzo in concomitanza con la decisione delle Nazioni Unite di dare un seggio all’Iran nel comitato dell’Onu che giudica le denunce sulle violazioni dei diritti delle donne. Nomina decisa durante la 63.ma sessione della Commission on the Status of Women che si svolge ogni anno al Palazzo di vetro di New York, su cui nessuno Stato membro ha sollevato obiezioni, malgrado la condanna di Nasrin stesse suscitando in quei giorni reazioni internazionali. Iran che dovrà ora segnalare all’Onu le violazioni dei diritti delle donne in tutto il mondo, compresi arresti arbitrari, morti e torture in custodia, applicazione discriminatoria di pene giuridiche basate sul sesso (incluse pena capitale e corporale), e violazione che riguardano donne che si battono per i diritti umani, la libertà di espressione e di riunione: più o meno i capi d’accusa per cui l’avvocata Nasrin Sotoudeh è in carcere, condannata dal tribunale iraniano. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Politica e Economia
L’America crede ancora nel capitalismo?
Dibattito ideologico Negli Stati Uniti il capitalismo sembra essere minacciato da destra (dal nazionalimo sovranista
di Trump) e da una certa sinistra democratica giudicata troppo socialista
settimane ha raccolto molti e inaspettati consensi ed entusiasmi: «Il capitalismo deve essere democratico – ha detto Buttigieg in televisione – perché se hai un quadro normativo in cui le corporation possono farsi le regole a proprio vantaggio, be’, questo non è vero capitalismo. Il modello di capitalismo senza democrazia esiste già, lo si può vedere molto chiaramente in Russia, dove è diventato capitalismo dei compagni delle merende e quindi oligarchia». Le ragioni a favore di un nuova direzione intellettuale del capitalismo sono un fenomeno contemporaneo, non la riproposizione di idee antiche. Si tratta di una svolta generazionale che si nota anche in Europa, per esempio con il francese Raphaël Glucksman, 39 anni, che si candida con i socialisti alle elezioni europee di maggio, non da nostalgico del socialismo ma da liberale che riflette sulle storture compiute in nome del mercato e della prevalenza dei diritti individuali su quelli della comunità. Non è detto che l’idea di riformare il capitalismo diventi maggioritaria di qua e di là dell’Atlantico, ma certamente è un errore liquidarla come una scoria del passato: semmai fotografa la sensibilità e l’esigenza di una generazione spaesata in cerca di una maggiore protezione.
Christian Rocca
tra i 18 e i 24 anni ha una reazione positiva alla parola «socialismo», contro il 58 per cento alla parola «capitalismo». Probabilmente le parole più chiare per raccontare le proposte e lo sforzo di chi vuole aggiustare il capitalismo
americano, più che fare la rivoluzione socialista, sono di Pete Buttigieg, 36 anni, sindaco di South Bend, nello Stato dell’Indiana, il candidato gay e millennial alle primarie democratiche del prossimo anno che nelle ultime due
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Siamo sempre dentro la cornice capitalista e, in fondo, anche Alessandra Ocasio-Cortez si definisce socialdemocratica e progressista, non socialista, nonostante le accuse di eresia antiamericana che le rivolgono Donald Trump e i media conservatori che scelgono comunque di ignorare i sondaggi, come quello di Axios sulla generazione Z che mostra come il 61 per cento dei giovani
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Negli Stati Uniti, ha scritto il direttore del sito Axios Jim VandeHei, «la realtà dei dati è notevole e allarmante: dal 1980, i redditi del top 1 per cento sono triplicati, quelli del top 10 per cento sono raddoppiati, mentre quelli del 60 per cento più basso sono rimasti uguali». Questa è la chiave di interpretazione della crisi attuale, aggiunge VandeHei, ma anche la prima spiegazione sia del rilancio socialista sia del trionfo del populismo. Il dibattito tra i candidati democratici alle primarie che il prossimo anno sceglieranno lo sfidante di Trump alle elezioni del novembre 2020 riflette questa necessità reale, non solo intellettuale o ideologica, di cambiare registro. I candidati democratici quasi non parlano di Trump, del resto sono tutti d’accordo che sia un pessimo presidente e semmai si dividono sulle modalità di disarcionarlo, se per la via breve delle inchieste giudiziarie e dell’impeachment politico o se è meglio non farsi grandi illusioni sulle scorciatoie e quindi di concentrarsi per trovare il modo di batterlo alle urne. La discussione politica è sulla riforma del sistema capitalistico americano e sulle possibili soluzioni, dalla redistribuzione del reddito a un intervento pubblico più esteso, dalla sanità per tutti a un welfare state più ampio, dalla cancellazione dei debiti universitari a una politica per favorire abitazioni a buon mercato per i meno abbienti. L’altro grande tema è quello della scom-
posizione dei monopoli, in particolare quelli giganteschi delle piattaforme digitali che sfruttano la loro posizione dominante per sopprimere la concorrenza e imporre le proprie regole ai consumatori. Le proposte di alzare le aliquote marginali per i redditi oltre i dieci milioni di dollari e il grande progetto ambientalista e sociale chiamato Green New Deal completano il quadro di un dibattito politico che, a parte le indagini sulle ingerenze elettorali russe nel processo democratico americano, ormai non fa altro che costruire ipotesi di riforma del sistema capitalistico prima che sia troppo tardi. Mentre sulla protezione sociale e ambientale Trump si posiziona sul fronte opposto, i talk show televisivi non smettono di interrogare i nuovi politici democratici per capire se siano ancora capitalisti oppure dei pericolosi socialisti. La prima indiziata di socialismo, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren ora in corsa alle presidenziali, se l’è quasi presa quando le hanno chiesto per l’ennesima volta se avesse abbandonato il dogma capitalista: «Certo che sono capitalista, eddai. Credo nei mercati. Non credo nel furto, non credo nell’imbrogliare. È questa la differenza. Adoro le cose che possono fare i mercati e le cose che possono creare le economie che funzionano, perché ci rendono ricchi e creano opportunità. Ma parlo dei mercati equi, con regole. I mercati senza regole sono invece quelli in cui i ricchi e i potenti si prendono tutto. Questo è quello che è andato in malora in America. Incoraggiare le aziende a costruire modelli di business che si basano sull’imbrogliare la gente non è capitalismo».
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La discussione politica è sulla riforma del sistema capitalistico americano e sulle possibili soluzioni
Donald Trump: le sue guerre commerciali non fanno bene alla libera circolazione di merci e capitali. (AFP)
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Il capitalismo come lo conosciamo sembra destinato a cambiare radicalmente, scrivono un po’ preoccupati, e anche rassegnati, i giornali americani. Non tanto, o non solo, a causa dell’impetuosa diffusione mediatica delle idee socialiste in tutte le loro diverse articolazioni, da quelle vecchio stampo del candidato presidenziale Bernie Sanders e del magazine «Jacobin» a quelle rivisitate dai politici millennial come Alexandria Ocasio-Cortez. Ad aver messo intellettualmente in crisi il capitalismo americano c’è anche, da destra, il nazionalismo sovranista di Donald Trump che nomina o pensa di indicare dei signor nessuno, tra cui l’ex capo di una catena di pizzerie, nei posti di potere alla Banca centrale e altrove, che fa pressioni e minaccia apertamente gli amministratori delegati e le grandi corporation e che, soprattutto, smantella i trattati di libero scambio, pone barriere protezioniste e si intestardisce in guerre commerciali che non fanno bene alla libera circolazione di merci e capitali. L’attacco da sinistra e l’attacco da destra, insieme con le diffuse critiche globali sulle diseguaglianze e sulla rottura degli schemi sociali causata dalla rivoluzione digitale, sono un bel peso da reggere per il sistema capitalistico che ha governato il mondo negli ultimi settant’anni. L’aumento delle diseguaglianze nelle società occidentali non è più in discussione, ma un dato assodato sia nelle sale ovattate di Davos sia nelle periferie metropolitane: il sistema rende i ricchi più ricchi e i potenti più potenti, e crea una divisione sociale molto pericolosa tra i milionari e tutti gli altri.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Politica e Economia
A Basilea l’orologio si è fermato
Baselworld L’industria orologiera svizzera sta vivendo un momento delicato, che si riflette anche sulle fiere
di settore, che vivono un momento di crisi Marzio Minoli Tra le industrie di punta dell’economia svizzera sicuramente l’orologeria occupa uno dei posti più alti. Il settore per decenni è stato uno dei simboli, assieme a cioccolata, formaggi e banche, dell’essenza stessa della Svizzera, perlomeno agli occhi di chi guarda il nostro paese dall’estero. E se cioccolata, formaggi e banche si potevano trovare dappertutto, l’orologio era forse quel simbolo che più di altri stuzzicava l’orgoglio nazionale. Un settore però che ha dovuto e deve combattere ferocemente contro la concorrenza. Prima sono arrivati i giapponesi e ad inizio degli anni 80 sembrava che gli orologi elvetici, quelli di medio e basso costo, fossero destinati all’estinzione. Poi a salvare il tutto arrivò Nicolas Hayek che riuscì a mettere ordine in un settore alla deriva. Fondò la Swatch, e il resto è storia. Negli ultimi tempi però l’industria è tornata a soffrire. L’apertura di nuovi mercati, primo tra tutti la Cina, ha dato grosse soddisfazioni, soprattutto alle marche più prestigiose. Ma dopo 10 anni di crescita ininterrotta con il valore delle esportazioni passato dagli 11 miliardi di franchi del 2004 ai 22 del 2014, ecco che dal 2015 le cose sono peggiorate. Tra le cause la forza del franco svizzero, le campagne contro la corruzione volute dal governo di Pechino, (l’orologio di prestigio era uno degli oggetti più «regalati») il rallentamento economico. Ma non solo. Bisogna tener conto anche di una certa ritrosia da parte dei grossi gruppi, Swatch compresa, a lanciarsi nelle nuove tecnologie, come l’orologio connesso, senza dimenticare anche un cambio culturale, con le nuove generazioni che non vedono più l’orologio di lusso come un simbolo di ricchezza e benessere.
È il concetto di fiera ad essere messo in discussione, dalla digitalizzazione. (Keystone)
Una situazione che si riflette anche sulle grandi manifestazioni fieristiche di settore. Tra tutte Baselworld, la più importante al mondo, che ogni mese di marzo apre i battenti per sei giorni, per permettere di mostrare al pubblico il meglio dell’orologeria svizzera e mondiale. Ma su questo appuntamento si addensano nuvole nere. E le cifre sono impietose. L’edizione 2019 si è chiusa con 81’200 visitatori, il 20% in meno rispetto allo scorso anno. Stessa cosa per gli espositori, che sono stati 520, anche qui un meno 20%. A mancare molti grossi nomi, su tutti il più grande, una sorta di «padrone di casa», ovvero la Swatch. Nel comunicare la rinuncia alla partecipazione, il patron Nick Hayek ha dichiarato che «le esposizioni tradizionali non sono utili per Swatch Group». Un gruppo al quale fanno capo marchi come Omega, Tissot e Longines vere e proprie icone elvetiche. I motivi del malcontento tra gli
espositori sono riassunti nella forza del franco svizzero, che fa lievitare i costi di affitti e di pernottamenti, ma soprattutto nel modello stesso di Baselworld, giudicato datato e non in linea con i tempi. Secondo gli esperti questo genere di appuntamenti ha perso lo spirito originale. Non sono più un luogo nel quale si concludono gli affari. Oggigiorno infatti non vi è più la necessità fisica di incontrarsi, e questo grazie alle nuove tecnologie. Inoltre, si predilige un rapporto diretto con la clientela, che non attraverso le fiere. Sensibilità che, a parole, vengono percepite dagli organizzatori, spesso accusati di arroganza nel non voler ascoltare gli espositori. Le cifre, impietose, dell’edizione appena conclusa non hanno sorpreso gli organizzatori, che l’anno definita di transizione e hanno già presentato un nuovo concetto per il 2020, nella speranza di arginare l’emorragia di espositori. Prima di tutto Baselworld divente-
rà una piattaforma sulla quale poter interagire per 365 giorni l’anno. La fiera, che durerà sempre una settimana, sarà poi il corollario di un anno di contatti. Insomma, prima il digitale, poi il personale. Inoltre, verranno ridotti i costi per le case produttrici presenti, fino al 30% in meno, il tutto accompagnato da una maggiore presenza e disponibilità al confronto dei responsabili delle varie marche. Molte idee dunque, che hanno già avuto un effetto positivo. Alcuni espositori assenti quest’anno hanno detto che ritorneranno. A beneficiare della rinascita, se ci sarà, di Baselworld soprattutto i piccoli imprenditori, i quali approfittano di questi incontri per presentare le loro novità, a volte strabilianti. Ma tutto questo ha un costo, e senza i grossi nomi che coprono buona parte delle spese e attirano visitatori e clienti, anche queste piccole realtà potrebbero non più trovare spazio.
Il problema comunque non riguarda solo Baselworld, ma il concetto di fiera in generale. Già quando si parla di esposizioni universali, come ad esempio all’epoca di Expo 2015 a Milano, si erano sollevate critiche sul senso di queste grandi manifestazioni concepite per presentare prodotti che oggigiorno si possono trovare dappertutto in rete. Eppure, questi appuntamenti sono duri a morire, purtroppo o per fortuna a dipendenza dei punti di vista. Per l’anno prossimo addirittura si è deciso di avvicinare i due maggiori appuntamenti del settore, ovvero Baselworld con il Salone dell’alta orologeria di Ginevra. Un salone, quest’ultimo, che non passa momenti migliori di Basilea in quanto per l’anno prossimo sono già state annunciate le defezioni di due grandi marchi come Audemars Piguet e Richard Mille. L’idea è quella di fare seguire l’uno all’altro nello spazio di due settimane, creando una sorta di maxi-evento a livello nazionale. E si parla di fine aprile, inizio maggio. Un’idea però giudicata «stupida» da Jean Claude Biver, oggi numero uno della divisione orologi del marchio del lusso LVMH, e in passato personaggio di spicco del mondo orologiero elvetico. Secondo lui infatti le due fiere dovrebbero essere concomitanti «da Ginevra a Basilea ci sono solo due ore e mezza di treno» ha sottolineato. E se il futuro di queste fiere sarà soprattutto di carattere conviviale, visto che il grosso degli affari sarà stato fatto sulle piattaforme digitali, si dovranno mettere gli ospiti nelle migliori condizioni di poter approfittare dei due appuntamenti, senza dover far fronte alle spese di due trasferte, soprattutto perché mai come in questo ambiente, il tempo è denaro.
Al sicuro da una crisi finanziaria?
10 anni dopo A Basilea, alla BRI, governatori ed esperti delle banche centrali cercano ancora
indirizzi migliori per stabilizzare il sistema finanziario mondiale Ignazio Bonoli Sono passati poco più di dieci anni dalla crisi che ha sconvolto il sistema finanziario mondiale e ci si sta ancora chiedendo come si è potuto stimare allora la capacità di resistenza a una crisi di questa portata. Si pensava che qualche innovazione, introdotta con prudenza, avrebbe potuto combattere il degradarsi della situazione. In molti si sono però dimenticati di esaminare a fondo la capitalizzazione delle banche, tollerando anche la scarsa capacità di resistenza al rischio. Oggi ci si comincia però a chiedere che cosa abbiamo imparato da questa crisi e se le basi finanziarie create dopo sono ora abbastanza solide. Lo hanno fatto anche 260 dirigenti di alto livello, riuniti nella seconda settimana di marzo nella sede della Banca dei regolamenti internazionali (BRI) a Basilea. La sede del convegno era quanto mai appropriata, essendo la BRI la «Banca delle banche centrali», il cui compito è in sostanza quello di avvertire in tempo le banche centrali dell’avvicinarsi dei pericoli e di favorire la collaborazione fra le autorità monetarie dei vari paesi.
In questi dieci anni sono stati adottati molti provvedimenti, volti appunto a evitare grandi crisi nel sistema monetario internazionale. La Svizzera – visto il rischio di fallimento di alcune grandi banche, in particolare dell’UBS – è intervenuta rapidamente e anche molto in profondità, riuscendo a raddrizzare la situazione. Anche tutti gli altri paesi lo hanno fatto in diversa misura, valutando le singole situazioni e anche gli effetti che misure drastiche di risanamento avrebbero potuto provocare. Ora, a livello internazionale, ci si chiede se le misure adottate sono in grado di evitare un’eventuale crisi di sistema. Nell’ambito della citata riunione di Basilea si è perciò svolta un’inchiesta fra i partecipanti. Si è così venuti a sapere che il 54% dei presenti pensa che una nuova crisi globale potrebbe scoppiare già nei prossimi due anni, mentre l’altro 46% prevede la crisi nel decennio. In sostanza, nessuno crede nella capacità del sistema di resistenza a una crisi globale. E questo nonostante le 2800 pagine di regole emanate nel frattempo dal Comitato di sorveglianza delle banche della BRI.
Non sono del resto pochi coloro che valutano gli ormai celebri «Basilea I, II e III» un nuovo rischio per le attività bancarie. La sentenza provocatoria è attribuita nientemeno che all’ex-presidente del Comitato di sorveglianza ed ex-governatore della Banca centrale olandese Nout Wellink. In realtà, si è fatto molto e in tempi brevi, ma si sono create anche false sicurezze. In particolare Wellink critica la ponderazione in base al rischio dell’aumento di capitale che le banche possono fare. Preferirebbe concentrarsi maggiormente sul grado di indebitamento non ponderato della banche, quello su cui si basa la «leverage-ratio». Secondo Wellimk, sarebbe meglio, e più trasparente, considerare il capitale proprio e gli attivi delle banche, invece di complicati modelli di rischio, che lasciano anche molto spazio di manovra alle banche. Non tutti però condividono questa semplificazione, che non terrebbe conto della diversità delle banche. Dovrebbe insomma valere il principio secondo cui un rischio elevato esige un elevato capitale, un rischio basso esige meno capitale. A Basilea erano comunque tutti d’accordo nel ritenere che il solo
riferimento al capitale proprio non è sufficiente per stabilizzare il settore finanziario. Anzi, l’applicazione di «Basilea III» potrebbe avere l’effetto contrario, annullando la diversità fra le banche, se tutte si mettono a seguire lo stesso modello di rischio. Comunque, anche i rischi sono cambiati. Secondo i rappresentanti delle banche centrali, oggi i rischi principali sono il rischio informatico, i rischi politici e solo dopo vengono i rischi di credito e quelli legati alle nuove tecnologie. Qualcuno ha anche rammentato di considerare il rischio «persone». Cioè se i dirigenti di una banca sono sempre all’altezza della situazione. Ma qui si apre un discorso parecchio complicato. Chi deve valutare la personalità dei dirigenti o le loro capacità di lavorare in gruppo? Sicuramente non gli attuali regolamenti. Sempre più importante è anche il ruolo del Consiglio d’amministrazione, che è l’organo di controllo, ma che spesso non è in grado di svolgerlo pienamente. Un’osservazione particolare è stata fatta anche sugli obiettivi a breve scadenza (per esempio l’utile annuale) che mal si concilia con la gestione dei rischi
La sede della Banca dei regolamenti internazionali, a Basilea. (Keystone)
a lunga scadenza. Infine, da non sottovalutare la volatilità dell’azionariato di una banca, che può cambiare spesso in tempi brevi. Tutti problemi che i regolamenti attuali non risolvono. Anzi, hanno notato alcuni delegati, si sente una certa «stanchezza» nel formulare e applicare regolamenti, perfino già con «Basilea III».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Politica e Economia
La debolezza della crescita frena la BCE La consulenza della Banca Migros
Thomas Pentsy
Dollaro ed euro in trend laterale rispetto al franco svizzero 1.25
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01.07.2018 EURCHF
zioni. Al contrario, in seguito all’annuncio della BCE, la BNS resterà in attesa e probabilmente incrementerà il tasso di riferimento solo dopo un rialzo da parte della Banca centrale europea. Per i prossimi dodici mesi
01.10.2018
01.01.2019
USDCHF
prevediamo dunque una tendenza laterale del franco rispetto all’euro, a circa 1.14. Anche nei confronti del dollaro non ci aspettiamo movimenti significativi, bensì un’oscillazione intorno alla parità di cambio.
Fonte: Bloomberg
Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Dall’inizio dell’anno, a causa dei perduranti timori sulla crescita, la moneta unica europea ha perso terreno rispetto a tutte le maggiori valute. Solo nei confronti del franco svizzero ha registrato un andamento laterale. I dati sulla crescita per l’ultimo trimestre del 2018 hanno evidenziato un rallentamento della dinamica economica nella zona euro. Soprattutto i dati congiunturali provenienti da Germania e Italia hanno ripetutamente suscitato delusione e questa tendenza è proseguita anche nel primo trimestre. Nella sua riunione di marzo, la Banca centrale europea (BCE) si è dunque trovata costretta a rivedere nettamente verso il basso le previsioni di crescita per il 2019. Oltre a questo rallentamento, nell’UE si è assistito anche a una riduzione dell’inflazione. Non sorprende quindi che il presidente della BCE Mario Draghi abbia rinviato il rialzo dei tassi inizialmente previsto per la seconda metà del 2019. Adesso prevediamo che la BCE non aumenterà il tasso di riferimento prima del primo trimestre 2020. Alla luce di queste premesse, la Banca nazionale svizzera non ha motivo di modificare la propria politica monetaria, soprattutto perché anche nel nostro Paese il motore dell’economia tende attualmente a raffreddarsi e l’inflazione non è fonte di preoccupa-
Similmente la banca centrale statunitense resta in attesa e continua a seguire gli sviluppi sui mercati finanziari. Il dollaro dovrebbe mostrare ancora un andamento laterale rispetto all’euro. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Politica e Economia Rubriche
In&outlet di Aldo Cazzullo Netanyahu è lo spirito del tempo Ormai è evidente che Benjamin «Bibi» Netanyahu è quasi invincibile. Gli prospettavano la galera; avrà altri quattro anni di governo. I suoi avversari speravano che una fornitura vitalizia di champagne alla first lady avrebbe cambiato la storia del Medio Oriente. Ma più degli scandali hanno potuto le spoglie di un soldato ucciso 37 anni fa in Siria, il sergente Zacharia Baumel, restituite a Netanyahu da Putin in persona. Un gesto dal forte impatto simbolico su un popolo che ha il senso del sacrificio e della memoria. E anche un messaggio politico: Israele non è isolato; gli americani hanno portato l’ambasciata a Gerusalemme, i russi attestati a Damasco non sono ostili; perché cambiare? Conquistando il quinto mandato che ne farà il premier più longevo, più di David Ben Gurion fondatore dello Stato, Bibi conferma la sua centralità. Non ha stravinto; il rivale, Benny Gantz, ha conquistato lo stesso numero di seggi (con 15 mila voti in meno); ma l’unico che può formare una coalizione di governo è ancora lui. Tutta la sua politica, del resto, si fonda sull’alternanza tra la paura e la forza. Israele è accerchiata dal nemico iraniano, che prepara l’atomica e nel frat-
tempo arma, addestra, finanzia Jihad e Hamas a Sud, Hezbollah a Nord, il regime di Assad a Est. Ma Israele non è mai stata così sicura da quando Netanyahu dialoga con i satrapi del Medio Oriente, da al-Sisi ai sauditi, e stringe accordi con i potenti del mondo. Con Putin parla in russo, la lingua della madre; il padre era polacco. Da ragazzo, Benjamin di cognome si chiamava Mileikowski; in America divenne Netanyahu, che in ebraico significa dono di Dio. Americana è la sua formazione. Con Obama si sono detestati. Bibi si è dato la missione di resistergli; ce l’ha fatta. Ora Obama tiene conferenze, lui ha trovato un presidente che lo capisce. Trump ha riconosciuto la sovranità israeliana sul Golan. E ora appoggerà l’annessione di parte della Cisgiordania. Netanyahu, a parte l’innegabile carisma, è anche un uomo molto odiato. L’inchiesta più chiacchierata è quella sui regali, dallo champagne per la moglie ai sigari per lui, rigorosamente Cohiba Siglo V, i preferiti di Castro: Bibi ne ha ricevuti tanti che potrebbe fumare per 3240 ore di fila, 135 giorni. E poi gioielli, viaggi aerei, pure biglietti per il concerto di Mariah Carey, che una famiglia con un patrimonio di 14
milioni di dollari si sarebbe tranquillamente potuta permettere. Tra i donatori più munifici, Arnon Milchan, il produttore di Pretty Woman, americano nato in Israele, che avrebbe ispirato a Netanyahu la legge per abbattere le tasse ai miliardari di ritorno in patria. Ma sono più gravi le altre due inchieste che incombono. Il premier è accusato di scambiare favori con l’editore di «Yediot Ahronot», il quotidiano più importante, e con il gigante delle telecomunicazioni Bezeq, proprietario di un sito web certo non ostile. Il procuratore generale che ha incriminato Bibi dopo essere stato suo capo di gabinetto, Avichai Mandelblit, ha subìto pressioni terribili: i nemici di Netanyahu l’hanno quasi aggredito all’ingresso della sinagoga dove andava a pregare per la madre morta; mentre la profanazione della tomba del padre è stata attribuita ai sostenitori del premier. In rete la battaglia è accesissima. La dirige il figlio Yair Netanyahu, che martedì scorso, nel giorno del voto, lanciava falsi allarmi – «non vedo mobilitazione…» – per motivare gli elettori del Likud. In passato Yair è stato bloccato da Facebook per incitazione all’odio verso i palestinesi. A differenza di Moshé Dayan, che aveva pianto raccontando
a Sadat la morte in guerra del fratello Zorik, Bibi non ha mai esorcizzato il dolore, non ha mai perdonato agli arabi la sorte del fratello Yonatan, caduto a Entebbe alla testa del commando che liberò 102 ostaggi ebrei. Detto questo, Netanyahu resta senz’altro il capo che meglio interpreta lo spirito del suo popolo in questo tempo. È anche il primo leader israeliano a non cercare la pace. A fare la pace con l’Egitto fu un premier di destra come Menachem Begin. Ma la prima volta in cui fu eletto, nel 1996, Bibi fece di tutto per non applicare gli accordi di Oslo. Alla vigilia delle scorse elezioni rovesciò i sondaggi proclamando che con lui non sarebbe mai nato uno Stato palestinese. Stavolta ha annunciato l’annessione di parte della Cisgiordania, assicurandosi gli elettori degli insediamenti. Sono stato in questi giorni nella periferia di Gerusalemme Est, dove ortodossi e pionieri laici fronteggiano il mare arabo. È chiaro che il Paese si sente ancora in bilico, e quindi coltiva un’identità fortissima. Certo il clima non è quello della guerra del 1967, quando si temevano decine di migliaia di morti, i campi incolti venivano requisiti e benedetti per farne cimiteri, e Radio
La bandiera israeliana sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme. (AFP)
Damasco gracchiava: «Con le budella dell’ultimo soldato imperialista impiccheremo l’ultimo colono sionista». Ma lo spirito è rimasto lo stesso del discorso di trenta secondi che all’alba del 5 giugno il maggiore Yosef Salat, comandante della prima squadriglia spedita al Cairo a bombardare l’aviazione egiziana, tenne ai suoi uomini: «Siede con voi in cabina di pilotaggio il popolo di Israele, intere generazioni di ebrei, ognuno dei quali confida che farete del vostro meglio». Tre ore dopo, l’aviazione egiziana non esisteva più. Damasco si affrettò a nascondere i suoi caccia al confine con l’Iraq, fuori portata da quelli con la stella di Davide. Il comandante dell’esercito, Mordechai «Motti» Hod, guardò senza muovere un muscolo il suo capo di stato maggiore e gli disse: «Abbiamo vinto la guerra». Il mattino del terzo giorno i parà entrarono in Gerusalemme dalla Porta del Leone e salirono al Muro del Pianto. Il quarto giorno Dayan prese il Sinai. Il sesto cadde la cima più alta del Golan. Il capo di Stato maggiore si chiamava Yitzhak Rabin, e il suo sogno di pace fu infranto da un assassino ebreo, Yigal Amir, chiuso da 24 anni in una cella con la luce accesa anche di notte, senza mai pentirsi. Le successive elezioni le vinse Netanyahu. Non si comprende la sua lunga stagione senza sentire nell’aria l’eco di secoli di umiliazioni, molto più antiche della Shoah: i russi sfuggiti ai pogrom, gli ebrei di Palestina cui gli ottomani vietavano di andare a cavallo o a cammello: potevano montare asini, mai però a cavalcioni, solo con le gambe da una parte; i viaggiatori occidentali scrivevano allibiti che il gioco preferito dei bambini arabi era prendere a sassate i coetanei ebrei, e chiunque poteva sputare addosso a un ebreo senza che lui reagisse. Ora a sentirsi umiliati, ovviamente in altre forme, sono i palestinesi. Sia quelli di passaporto israeliano, che hanno disertato le urne, sia quelli della Cisgiordania oggi occupata e domani annessa. Mai isolati come ora, abbandonati dai «fratelli arabi» che li hanno usati e ingannati. Ho intervistato Abraham Yehoshua, lo scrittore, che propone di integrare gli arabi nello Stato di Israele, non solo Stato ebraico dunque. Ma è un traguardo lontanissimo.
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Aperti senza essere subalterni La Svizzera (intesa come Svizzera d’oltralpe) si sta allontanando dalla sua periferia meridionale? Oppure avviene il contrario, ossia una Svizzera italiana sempre meno incollata alla parte maggioritaria della Confederazione? Questi gli interrogativi che lo scorso 11 marzo hanno animato una serata pubblica organizzata da Coscienza svizzera allo studio 2 della RSI. Presenti, quali relatori, il geografo Martin Schuler e il sociologo della comunicazione Sébastien Salerno (la registrazione è già disponibile sul sito www.coscienzasvizzera.ch). Il politologo Oscar Mazzoleni, introducendo i lavori, ha esposto la tesi ispiratrice dell’incontro, ossia che nell’arco transalpino sia in atto una sorta di «rivoluzione silenziosa» che sta scavalcando i confini cantonali, e persino – in determinati campi – la secolare diffidenza-divergenza tra la parte germanofona e la Romandia. Sviluppo economico, crescita dei sistemi di trasporto integrati (autostrade, ferrovie, reti di superficie), dissemina-
zione degli insediamenti hanno dato luogo a macro-regioni con alti tassi di mobilità. È insomma in corso, lungo il Mittelland, dal Lemano al Bodano, un processo di formazione di «poli» dotati di elevato potere magnetico, capaci di assorbire tecnologia, ricerca, istituti superiori, e anche mezzi di comunicazione, dai giornali ai nuovi media. C’è dunque da preoccuparsi? Il Ticino, in particolare, rischia di scivolare in coda al gruppo, e questo nonostante la ciclopica impresa di AlpTransit? La realtà è più sfaccettata, e come ha spiegato Schuler meno fosca. Il cantone ha perso posizioni nella branca turistica, ma complessivamente la sua economia tiene il passo. Gli ultimi dati raccolti da Bak Economics per conto della Camera di commercio compongono un quadro tutto sommato rassicurante. Osservano gli analisti: «la crisi finanziaria, gli anni ardui per il settore finanziario e bancario, l’abolizione della soglia minima di cambio tra franco ed euro e la crisi turistica non hanno intaccato la progressione economica ticinese,
grazie anche al tessuto molto diversificato». Rimane un neo, la bassa produttività, «che risulta migliorabile, come già rilevato lo scorso anno». Detto altrimenti, il Ticino continua a puntare sulla forza-lavoro (di qui l’incremento dell’occupazione) e non ancora a sufficienza sull’automazione. E allora questa benedetta AlpTransit, dalla quale si attendevano miracoli? Altri studi – come quello allestito da Federica Rossi e Rico Maggi (Zurigo Lugano Milano, 2016) – invitano a non dare per scontato l’automatismo «nuova linea uguale prosperità». I progressi, per il tessuto produttivo ticinese, arriveranno solo quando gli attori economici sapranno elaborare un’adeguata strategia di accompagnamento: «senza una politica di promozione economica mirata, affiancata da una politica territoriale complementare, AlpTransit non permetterà di sfruttare i vantaggi di una migliore accessibilità e rischia di soffrire di alcuni effetti negativi quale un aumento dei prezzi dei terreni, uno sviluppo forte nel settore delle resi-
denze secondarie e un aumento delle disparità regionali». Nel 1990, presentando lo studio Ticino regione aperta, i curatori (Remigio Ratti, Raffaello Ceschi e Sandro Bianconi) suggerirono uno schema interpretativo suddiviso in tre tappe: un Ticino periferico ed emarginato (grosso modo dal 1848 alla caduta del nazifascismo), un Ticino periferico ma integrato nel contesto elvetico (gli anni della costruzione della rete autostradale, con al centro la galleria del San Gottardo), un Ticino come spazio emergente, anello di congiunzione vitale e propositivo tra l’area zurighese e la popolosa metropoli milanese. La mossa vincente consisteva dunque nel sapersi incuneare tra i due blocchi con modalità non parassitarie, così da attirare sul territorio iniziative provenienti da Nord e da Sud: non solo attività imprenditoriali, ma anche servizi, iter formativi, fondazioni, aziende innovative e agenzie di supporto. Questo Ticino è effettivamente «emerso» nell’ultimo ventennio, con l’università, le scuole professionali
superiori, i centri di ricerca del settore bancario-finanziario, biomedico e farmaceutico. Purtroppo, nel contempo, l’economia lombarda ha bruscamente frenato, creando un gran numero di disoccupati. Chi ha potuto ha cercato scampo oltrefrontiera, nelle industrie, nell’edilizia, negli ospedali e nei commerci, con pesanti contraccolpi in vari ambiti: traffico, mercato del lavoro (pressione sui salari, condizioni d’impiego «all’italiana»), relazioni italo-svizzere (dalle questioni fiscali alle tensioni socio-culturali). In passato, per molti decenni, l’economia ticinese è rimasta «a rimorchio» (Angelo Rossi), filiale traballante delle centrali d’oltralpe. In seguito è riuscita ad occupare uno spazio suo, a proporsi con uno spirito di «intraprendenza» (Remigio Ratti) puntando sulle tecnologie d’avanguardia e sulla collaborazione con le facoltà scientifiche (ETH e SUPSI). E lungo questa strada bisognerà continuare, perché finora è l’unico percorso che ha dato risultati non aleatori.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Cultura e Spettacoli L’arte di Paolo Bellini Lo Spazio Officina di Chiasso omaggia le produzioni più recenti dello scultore ticinese
Ritratto di un grande filologo Abbiamo incontrato Lucia Kerényi, figlia del grande studioso di origini ungheresi, amico e collega di Jung e di Hesse pagina 37
Qualcosa sta cambiando Tutti i «Bimbi» del produttore italiano Charlie Charles sono in testa alle classifiche, ma ormai non si limitano più a fare «solamente» rap e trap pagina 39
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Enigmatica, eclettica, geniale: Billie Eilish. (Universal Music)
Spaventare incantando Musica L’incredibile caso della cantante Billie Eilish, ai vertici delle classifiche del mondo intero Simona Sala Billie chi? No, non girate pagina quando leggete questo nome. Piuttosto, chiedete alle vostre figlie, ai nipoti, alle bambine dei vicini e ai cuginetti se lo hanno già sentito. Probabilmente sgraneranno gli occhi, increduli per il semplice fatto che avete osato fare una domanda simile (provare per credere!). Billie Eilish Pirate Baird O’Connell (questo il suo nome completo) non è l’ennesima cantante a scalare le classifiche grazie alla nascita e allo sviluppo di un mercato musicale parallelo, quello del web, dove a decidere cosa piace è il pubblico stesso a suon di streaming e download. Oppure sì. Infatti Billie si è affacciata la prima volta al mondo dell’etere nel 2016, quando su Soundcloud ha sfondato con Ocean Eyes. A tre anni di distanza, durante i quali si sono succeduti alcuni singoli diventati virali come Bury a Friend e When the Party is Over, finalmente, è uscito il suo primo album in studio, When We All Fall Asleep, Where Do We Go? Il lavoro è stato accolto ovunque con una sorta di ideale standing ovation, che ha visto i
critici lanciarsi in lodi sperticate (dal «New York Times» a «Rolling Stone USA», passando per il «Corriere della Sera») e una metropoli come Milano dotarsi perfino di un tram con il suo nome. Una domanda, quella del titolo dell’album – tradotta suona «Quando ci addormentiamo tutti, dove andiamo? – che da qualche parte ricalca tutto il modo di essere della giovane artista; una frase che riassume i fantasmi che Billie riesce ad evocare, nonché lo spirito complessivo di un’opera tutt’altro che facile, poiché presenta il pop come non lo avevamo mai sentito e come, con tutta probabilità, avremmo sempre voluto sentirlo. Billie Eilish ha due immensi occhi azzurri e labbra turgide, porta i capelli tinti di bianco (o era grigio? oppure blu?) e indossa tute oversize dai colori improbabili che è lei stessa a disegnare. È affetta dalla sindrome di Tourette e ama la notte, soprattutto perché è al buio che i mostri si acquattano sotto il letto tirandoci le coperte, gettandoci in un terrore paralizzante e costringendoci a guardarci allo specchio. Le piace il buio, e tirare in ballo l’infallibile binomio eros&tanathos
(«Take me to the rooftop / I wanna see the world when I stop breathing, turning blue» – «Portami sul tetto / voglio vedere il mondo quando smetterò di respirare, diventando blu), adora il sangue, anzi, le perdite in genere, anche quando sgorgano da occhi naso orecchie e hanno colori indefinibili, come nell’inquietante video che accompagna la canzone When the Party is Over. Billie Eilish lascia che i ragni le scorrazzino addosso, si fa trafiggere la schiena dalle siringhe, beve un bicchiere pieno di un liquido che sembra petrolio, eppure, in mezzo a immagini per qualcuno urtanti e a un testo che non è di certo un inno alla gioia, spicca una voce che è quasi angelica, che per la sua freschezza e la sua purezza si ficca in testa e da lì non se ne va più. Poi c’è la musica. Un mix di indie, elettronica e pop capace di trasformare ogni brano in un minuscolo viaggio, nell’etere, nei nostri sogni, nel sonno. Atmosfere rarefatte e trasognate, accordi insoliti e inattesi trasformano ogni ascolto in un’esperienza certamente uditiva e visiva, ma spesso anche tattile. Non è la prima volta che un artista
cerchi di attirare l’attenzione su di sé provocando sensazioni forti (parte della carriera di Madonna è stata costruita sugli ammiccamenti sessuali, Lady Gaga per scioccare il pubblico, una volta si presentò con un abito fatto di vere bistecche), ma qui siamo di fronte a qualcosa di diverso, di più grande, abbiamo infatti dimenticato un particolare. Forse il più importante. Questa losangelina che si definisce una visual artist, che canta con la sicurezza di chi lo fa da anni, che recita davanti all’obiettivo come una star navigata (ma in fondo lo è, il video di You Should See Me in a Crown è stato diretto dall’artista giapponese Takeshi Murakami), che compone, che indispone, che evoca scenari onirici in cui tutti possiamo riconoscerci, ha solamente diciassette anni. Detto altrimenti, quando pubblicò Ocean’s Eyes sfondando in tutto il mondo, di anni ne aveva appena quattordici. «My mommy likes to sing along with me / But she won’t sing this song /If she reads all the lyrics / She’ll pity the men I know» (A mia madre piace cantare con me / ma non canterà questa canzone / Se legge tutte le parole /
avrà compassione degli uomini che incontrerò»), recita il refrain di Bad Guy. Maggie Baird, madre di Billie Elish che la accompagna quando gira il mondo per i suoi concerti, tutti sold out, potrà certo avere compassione del futuro compagno della figlia, ma mai si indisporrà per le predisposizioni di Eilish e per quel suo spiccato gusto inequivocabilmente dark. Insieme al marito Patrick O’Connell ha infatti deciso di non scolarizzare i propri figli, crescendoli nella libertà più totale. E forse è dovuto anche a questa decisione il legame strettissimo che c’è fra Billie e il fratello Finneas O’Connoll, cantante e attore a sua volta, che per la sorella minore contribuisce alla stesura dei testi e alla produzione dei brani. «Mi piace spaventare la gente e metterla a disagio, poiché anche a me piace uscire dalla comfort zone e sentirmi a disagio», ha recentemente affermato la giovane artista in un’intervista apparsa su «Das Magazin». Ma crediamo che a spaventare, più di quel gusto un po’ gore e in fondo tanto autentico, vi sia l’immensità di una ragazzina che sa quello che vuole, e fa molto bene quello che sa.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Cultura e Spettacoli
La poesia del metallo
Mostre/1 Lo Spazio Officina di Chiasso ospita le sculture più recenti di Paolo Bellini
Alessia Brughera È un rapporto profondo e di lunga data quello tra Chiasso e Paolo Bellini: l’atelier di via Soldini è stato per un ventennio la culla delle creazioni dello scultore ticinese e fin dagli esordi dell’attività dell’artista, nella seconda metà degli anni Sessanta, la città gli ha dedicato mostre personali e collettive in spazi pubblici e privati. Le esposizioni alla storica Galleria Mosaico e alla sala Diego Chiesa hanno ben documentato il percorso di Bellini, contraddistinto da un’assidua sperimentazione che gli ha permesso di maturare, anche attraverso radicali cambi di rotta, una cifra stilistica peculiare nell’ambito della ricerca plastica. Appare dunque naturale che a ospitare la più recente produzione dell’artista sia ancora Chiasso, con un’importante monografica allo Spazio Officina in cui sono raccolte oltre quaranta opere di medie e grandi dimensioni a testimonianza degli esiti innovativi a cui è approdato lo scultore. Dalla sua ultima rassegna in Ticino sono difatti passati dodici anni, un lungo periodo in cui ha deliberatamente scelto di non esporre per dedicarsi allo sviluppo del suo linguaggio, che solo adesso ha trovato un nuovo punto di arrivo e può essere con-
segnato al pubblico per intessere racconti visivi inediti. Il cammino di Bellini incomincia con l’apprendistato nelle fonderie artistiche mendrisiensi e con gli studi all’Accademia di Brera, dove da Marino Marini, suo maestro, carpisce i primi segreti di una scultura che sa essere insieme costruzione ed espressione, architettura e narrazione. Spirito ricettivo e curioso, Bellini guarda all’arte di Jean Arp e di Remo Rossi, lavora in Belgio con Olivier Strebelle e frequenta a Londra Henry Moore, le cui opere appaiono ai suoi occhi di una «forza massiva» senza eguali. In questo periodo per lui esiste solo il bronzo, materiale classico e nobile a cui affida per due decenni la sua creatività. Poi la svolta. Sentita e voluta. Dalla metà degli anni Ottanta l’artista ha bisogno di nuove sfide: sono le lastre metalliche, adesso, a introdurlo in una dimensione scultorea diversa, lineare ed essenziale. Ora non si tratta più di plasmare l’argilla e la cera da cui trarre l’opera bronzea ma di assemblare laminati, spesso scarti industriali, in nuove composizioni in stretto dialogo con lo spazio. Le figure di riferimento di Bellini diventano Julio González, Robert Müller, Bernhard Luginbühl ed Ettore Colla. Prima con il ferro, poi con l’allu-
Paolo Bellini Icaro, 2017, scultura in ferro. (Collezione dell’artista, foto Franco Mattei)
minio, infine con la lamiera zincata, passando dalla tradizionale ossidazione del materiale alla stesura di patine, lo scultore ticinese riscopre così «l’essenza creatrice di una rigenerazione artistica». Mai figurativa e mai del tutto astratta, l’arte di Bellini, al tempo stesso ludica e impegnata, prende vita da un procedere per aggiunte, da un aggregarsi continuo di elementi in cui ogni frammento contribuisce al poten-
ziale espressivo dell’opera. Le sculture dell’artista, dall’inusuale propensione all’orizzontalità, sono il risultato di una tenace ricerca di soluzioni spaziali governate dall’armoniosa relazione tra i volumi e dal loro interagire con la luce e con i valori cromatici della patinatura, a generare un’immagine compiuta capace di attivare una reazione plurisensoriale nell’osservatore. Nella mostra di Chiasso, con un
Lei ha iniziato con la scultura tradizionale, cioè gesso, cera e fusione in bronzo, oggi usa materiali diversi: laminati di recupero, lastre in metallo, alluminio, ferro, materiale zincato e scarti industriali. Perché?
famosi come Marino Marini, Jean Arp, Remo Rossi o Henry Moore.
Paolo Bellini, folgorato da Spartaco Paolo Bellini ha 8 anni e frequenta le elementari: quando durante la passeggiata scolastica al Museo Vela resta incantato davanti allo Spartaco di Vincenzo Vela informa subito la maestra che da grande farà lo scultore... Al suo atelier di Tremona si arriva passando dai prati. Molti sono gli strumenti del mestiere, come nell’officina di un fabbro, alcune opere sono all’esterno, a poca distanza da capre e cavalli, mentre l’orizzonte spazia sulle colline di un Mendrisiotto dominato dall’urbanizzazione. Cosa è più importante? Lo spazio, la luce o altro?
Descrivere il processo creativo di una scultura non è facile, ogni lavoro ha una
sua specifica storia. In un’opera d’arte sono importanti tutte queste cose: la luce, la componente spaziale, il colore, le forme verticali e orizzontali, la composizione, il vuoto e il pieno... come in architettura, tutto ha importanza ma occorre che gli elementi dialoghino fra loro.
Tre sue opere fatte in tempi diversi si intitolano Dialogo. Che significato attribuisce a questa parola?
Quando l’opera ti parla tu devi rispondere, durante la costruzione e la composizione dell’opera si creano dei dialoghi che a volte sono armoniosi e a volte violenti, cioè alcune opere sono risolte in modo armonioso, altre invece più che un dialogo contengono un contrasto, ma importante è che poi l’insieme funzioni.
Ogni artista ha una sua visione e una sua curiosità, il materiale che si sceglie non è importante in quanto tale, ma bisogna saperlo sfruttare nei suoi valori; di ogni materiale occorre aver compreso il valore espressivo. Che cosa la spinge a cambiare?
Seguo un’esigenza interna. Ho fatto delle Maternità che si vendevano bene, sarei potuto diventare ricco, ma non posso ripetermi, e cambiare rigenera.
Lei ha conosciuto da vicino artisti
Personalmente sono stato fortunato, la Fonderia Brotal di Mendrisio, dove sono entrato da giovane, era vicina al terreno dove lavorava mio padre. Conoscere qui scultori famosi, di correnti diverse, provenienti da altre culture e paesi è stato senza dubbio importante, da tutti ho imparato e sono entrato nel loro mondo, ma senza copiare nessuno. Oggi in campo artistico c’è una sovrabbondanza di stimoli e proposte, cosa consiglierebbe ai giovani innamorati della scultura?
Viva la sovrabbondanza, viva anche il disorientarsi. L’importante è saper scegliere secondo la propria sensibilità. / Eliana Bernasconi
allestimento che lascia libero il visitatore di percorrere la sala espositiva senza direzioni obbligate, ci imbattiamo nei lavori realizzati da Bellini nell’ultimo decennio. Si tratta di opere caratterizzate da una grande leggerezza scaturita dall’abilità dell’artista nel comporre le varie parti metalliche unendole tra loro in un’equilibrata alternanza di pieni e di vuoti, di fluidi piani arcuati e di repentine forme spezzate, di corpi accoglienti e di superfici frantumate. Ne sono un esempio Ricostruzione, del 2017, scultura dalla delicata solidità a cui la patina azzurro-argentea conferisce luminosità e movimento, o ancora Ricordando Ronchamp e Origami-Nido, frutto dell’interesse per l’architettura che Bellini coltiva da sempre. Anche in White Sails, opera donata a Chiasso dall’artista e collocata nel Parco delle Sculture della città, si riscontra quella miscela di robustezza e levità, di stabilità e dinamismo, di consistenza e sottigliezza che Bellini è riuscito sapientemente a cristallizzare in liriche visioni plastiche. Dove e quando
Paolo Bellini, Sensorialità sinestetica. Spazio Officina, Chiasso. Fino al 28 aprile 2019. Orari: ma-ve 14.00-18.00; sa e do 10.00-12.00/14.00-18.00; lu chiuso. Aperto il 21 e il 22 aprile. www. centroculturalechiasso.ch
Giappone a tinte «brut» Mostre/2 Fino al 28 aprile, a Losanna una grande mostra sull’Art Brut dell’Estremo Oriente Daniele Bernardi Attraverso l’ampia esposizione Art Brut du Japon, un autre regard la Collection de l’Art Brut de Lausanne torna a indagare un territorio esplorato nel 1997 col progetto Art incognito e con la mostra Japon nel 2008; nonostante Jean Dubuffet non abbia mai preso in esame il paese del Sol levante nelle sue ricerche, l’interesse dell’istituzione per la realtà nipponica è presente da tempo. In Giappone la nozione di «art brut» appare oggi legata, soprattutto, al contesto dell’handicap e della patologia: in questi ultimi dieci anni sono andate vieppiù moltiplicandosi situazioni e attività che legittimano l’assioma – improprio e riduttivo, poiché per lo stesso Dubuffet la malattia non fu mai un parametro – art brut = arte dei disabili. Ma al di là di ciò, il fenomeno ha esiti notevoli, che non sembrano trovare corrispettivi in altri paesi. Seguendo i saldi principi etici ed estetici che, da sempre, guidano la Collection, la direttrice Sarah Lombardi e il critico e storico dell’arte Edward M. Gómez hanno quindi voluto, con que-
sta mostra, riunire opere provenienti da contesti e regioni diverse, al fine di rendere pubblica anche alle nostre latitudini la ricchezza espressiva di identità artistiche definite, forti e di grande impatto; e la potenza delle opere esposte conferma la validità dell’iniziativa. Fra gli artisti in mostra, spiccano personalità quali il settantatreenne Hiroyuki Doi, il giovane hikikomori – termine che designa una persona che si isola totalmente dalla società – Hebime, Eiichi Shibata e Katsuyoshi Takenaka per l’ossessiva cura del dettaglio;
alcune delle loro opere – veri e propri universi tempestati di micro-forme reiterate all’inverosimile – rammentano i lavori di Henriette Zéphir, o i grandi «mandala» di Augustin Lesage. Vi sono poi i volti scomposti del solitario musicista Issei Nishimura: facce rivoltate come guanti e annodate i cui tratti paiono suggerire un incrocio fra le deflagrazioni di Francis Bacon e le fattezze cadaveriche dei corpi di Schiele; in queste figure torturate c’è qualcosa che riporta a un altro grande dell’art brut: l’austriaco Josef Hofer; «mi con-
Momoka Imura, senza titolo, dopo il 2013. (Marie Humair, coll. privée, David et Sabrina Alaimo)
sacro ogni giorno alla pittura e al disegno», afferma Nishimura parlando del suo lavoro, «lo stesso quando respiro, mangio, defeco, dormo. La linea è un meandro, un’estensione fisica di me stesso, e il colore riflette con intensità lo splendore del mio spirito». Che dire poi delle enigmatiche figure dell’oggi scomparso Toshirō Kuwabara: minute donnine legate con lacci e cordami, nude o seminude, a volte intente a maneggiare altri corpi o, più spesso, minacciate da esseri fantastici o maschi prevaricatori. Un universo inquietante, ma immortalato unicamente dalle tenui tinte delle matite colorate: come non pensare, qui, ai grotteschi teatri di Balthus o, meglio ancora, a quelli di suo fratello Pierre Klossowski? Altrettanto conturbante è la raffinata produzione di Isao Monma, il quale, contrariamente a una larga parte degli artisti esposti, non risulta affetto da alcun disturbo (solitario e posato, è amministratore in un’istituzione per portatori di handicap). Guidato da una forza da lui chiamata «l’entità», armato di matite Monma forgia impressionanti disegni che paiono sorgere dalle vi-
scere di una personale Sagrada familia: mostruose simmetrie in cui si distinguono grotteschi volti di clown, protuberanze lovecraftiane, ectoplasmi e vetrate di stupefacente bellezza. Come sempre avviene con gli artisti dell’Art Brut, sono l’inflessibilità e il rigore – unitamente alle singole ossessioni – a lasciare il visitatore senza fiato: tratti ravvisabili anche in quelle che sono le produzioni plastiche di Kazumi Kamae e Ryūji Nomoto: creatori che con ceramica e colla calda da un singolo elemento sono in grado di far proliferare una vera e propria foresta di forme. In attesa delle prossime iniziative del museo losannese – una sul leggendario Carlo Zinelli e l’altra sul tema del teatro – si consiglia dunque, caldamente, di prendere al volo un treno per andare a scoprire personalmente la straordinaria varietà di quanto ha prodotto il loro indomito immaginario. Dove e quando
Art Brut du Japon, un autre regard, Losanna, Collection de l’Art Brut. Fino al 28 aprile 2019. artbrut.ch
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Cultura e Spettacoli
Un ricordo di Carlo Kerényi In memoriam Il 14 aprile del 1973 moriva il grande filologo e storico delle religioni, che visse a lungo
in Ticino – con l’aiuto della figlia Lucia ne abbiamo tracciato un ritratto Alessandro Zanoli Negli anni 50 e 60 si poteva incontrare frequentemente per le vie di Ascona un uomo con un libro in mano. Lo si riconosceva bene, per la sua folta capigliatura bianca. Spesso le sue mete erano Casa Serodine (dove con l’antiquario discuteva dei nuovi arrivi all’omonima Galleria d’arte) oppure la libreria «La Rondine». Tutti ad Ascona lo conoscevano come un uomo di cultura: forse uno scrittore. Ma era noto anche perché era il padre di una maestra del borgo. Viveva in Ticino già dal 1943. Aveva abitato nel Locarnese e dal 1954 si era stabilito definitivamente ad Ascona. Si trovava perfettamente a suo agio nella patria che si era scelto e di cui andava sinceramente fiero. All’età di 62 anni aveva ottenuto la nazionalità svizzera, dopo aver superato l’esame prescritto dalla procedura. L’esaminatore, un maestro in pensione di Avegno, gli aveva chiesto di parlare dei generali dell’esercito svizzero. Il candidato si era preparato, e nonostante l’esame fosse così diverso da quelli a cui era abituato nella sua carriera, lo superò con grande facilità. Di fatto, il riconoscimento ufficiale e la sua nuova nazionalità gli permisero solo parzialmente di mettere a frutto le sue doti. Nonostante fosse uno dei maggiori studiosi al mondo di mitologia e storia delle religioni, a causa dell’età il professore non poté comunque intraprendere la carriera accademica a cui aspirava. Fin dal termine dei suoi studi universitari, infatti, lo avviava in quella direzione una non comune capacità didattica e comunicativa. Aveva anche insegnato in vari atenei, ma i drammatici eventi storici del ’900 lo avevano costretto ad allontanarsi dalla sua terra d’origine, l’Ungheria. Negli ultimi anni della sua vita lo studioso continuerà la sua attività pubblicistica e di ricerca, dando forma ad alcune opere essenziali nell’ambito della storia della mitologia. Alla sua morte, nel 1973, verrà sepolto nel cimitero di Ascona, dove sua moglie lo raggiungerà molti anni dopo. Sulla loro lapide si legge in greco antico l’epigrafe «Iniziati ai misteri di Hermes», sintetica definizione che riassume l’impegno e la dedizione di una vita allo studio del mondo spirituale dell’antichità. Tra i molti personaggi famosi che hanno vissuto e terminato la loro esistenza in Ticino, Károly Kerényi (anche
se lui preferiva farsi chiamare Carlo) è poco conosciuto dai suoi concittadini. La sua figura è però quella di un gigante della cultura. La foto qui a lato, scattata a Moscia, vicino ad Ascona, ne attesta, ad esempio, il fecondo sodalizio con Carl Gustav Jung. Grazie al lavoro di Kerényi lo psichiatra e psicoanalista zurighese ha potuto dare maggiore sostanza e precisione al proprio concetto archetipico della psicologia individuale. Non a caso Jung aveva voluto Kerényi come cofondatore e collaboratore nel suo Istituto di Küsnacht. Parlando con la figlia di Kerényi, Lucia, che vive oggi a Lugano, abbiamo ricordato il percorso intellettuale del padre. Nato nel 1897 in una regione dell’impero austroungarico, il Banato, che nel corso del ’900 ha subito avvenimenti molto travagliati, Kerényi era avviato, come detto, a una carriera accademica di grande prestigio. Il suo interesse preminente, che viene rievocato in un testo autobiografico del 1963, è stato lo studio della cultura greca, di cui possedeva una conoscenza enciclopedica, maturata attraverso la lettura dei testi classici e la conoscenza dell’arte antica, e tramite le valide esperienze acquisite con i numerosi viaggi nei luoghi dell’antica cultura ellenica. A causa della situazione politica, dovuta all’invasione tedesca dell’Ungheria, nel 1943 Kerényi si allontanò dalla sua patria perché la nazione stava vivendo una svolta nazionalistica alla quale egli difficilmente poteva acconsentire. Colse l’opportunità di trasferirsi in Svizzera, come addetto culturale a Berna, e con la richiesta di poter abitare in Ticino con la famiglia. Lucia Barella-Kerényi precisa che: «Per la sua esigenza esistenziale di autonomia intellettuale e indipendenza politica era l’occasione di rappresentare temporaneamente l’Ungheria liberale e illuminata. Il Ticino era per lui “l’unica repubblica libera e mediterranea, fondata su terra antica”». Kerényi aveva già conosciuto il nostro cantone nel 1939 grazie agli incontri culturali promossi ad Ascona da Olga Fröbe-Kapteyn: «L’incontro con Eranos è avvenuto tramite Jolanda Jacobi, allieva di Jung e autrice di testi importanti sulla psicologia junghiana. Per mio padre il lago, ad Ascona, era “il ʹgolfoʹ più settentrionale del Mediterraneo“. Abitavamo nella Villa Sogno, sulla collina». Kerényi amava molto la regione in cui aveva scelto di insediarsi. Nel suo
Del resto, pur nella comunione di interessi per il mondo mitologico, i due coltivavano prospettive di indagine diverse: «Studiando la mitologia mio padre voleva approfondire la conoscenza della cultura antica, della religione e del pensiero greco. Jung, dal canto suo, ne collocava lo studio all’interno della sua teoria sull’inconscio collettivo: la utilizzava dunque per riconoscere il fenomeno psichico. L’opera che maggiormente rispecchia l’alto valore intellettuale di questa loro collaborazione sono i Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, pubblicati nel 1941». Per avvicinare il pensiero e l’opera di Kerényi al lettore meno specialista, Lucia Barella Kerényi ci segnala un’opera importante, purtroppo non facilmente reperibile sul mercato ma presente nella Biblioteca cantonale di Lugano. «Tra gli asfodeli dell’Elisio è un libro che raccoglie il carteggio tra mio padre e un suo allievo, Angelo Brelich. In questo volume mia sorella Cornelia, che è archeologa, e io, abbiamo potuto inserire alcuni testi che parlano della nostra famiglia: una biografia di mio padre che chiarisce anche i suoi rapporti con Brelich e, da parte mia, una biografia di nostra madre, Magda Kerényi, che è stata la curatrice delle edizioni dei libri di nostro padre». Insieme al libretto edito da Dadò, questi due volumi possono servire come introduzione e riportarci alla memoria il grande contributo scientifico di un nostro concittadino, considerato uno dei massimi eruditi e filologi del ’900. Kerényi e Carl Gustav Jung, ospiti dei convegni di Eranos ad Ascona. (Arch. Azione)
libretto Tessiner Schreibtisch, in cui ha raccolto alcuni dei testi composti, appunto, alla sua «scrivania ticinese», menziona spesso le passeggiate da lui compiute sulle montagne circostanti, in Onsernone, nelle Centovalli e in Valle Maggia. In uno studio (tradotto da Anna Ruchat nel volumetto La Madonna ungherese di Verdasio, Dadò, 1996) analizza il sito archeologico del Castelliere di Tegna, e ne ipotizza la funzione, trovando delle analogie con un simile insediamento osservato in Grecia. Del resto, Kerényi, oltre che con altri intellettuali insediatisi in Ticino, come Herman Hesse (con il quale intrattenne una lunga corrispondenza pubblicata da Sellerio) coltivò amichevoli relazioni con uomini di cultura ti-
Il dramma di una madre
Recensioni Un poemetto di Tiziana Mayer pubblicato
da «Alla chiara fonte» Pietro Montorfani Esiste una letteratura che non teme di addentrarsi, con tutti i rischi che questo comporta, fin nelle viscere del grembo materno, a tu per tu con il mistero della nascita, e perciò della morte, del passato e del futuro, dell’essere umano nella sua più pura essenza. Sono testi spesso scomodi, indipendentemente da quale sia il punto di osservazione privilegiato, perché finiscono per toccare questioni cruciali del nostro tempo (l’aborto, il diritto ai figli, la selezione della vita, il desiderio del mondo). Da Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, pubblicato nel 1975 ma abbozzato già nel 1967, a Factum est di Giovanni Testori, (1981), è un genere che in Italia si è coagulato attorno al dibattito pubblico sulla Legge 194, ma che a distanza di anni non ha perso la sua forza provoca-
toria. Dal piano politico, sedati finalmente gli animi nelle regole in apparenza pacificanti della giurisprudenza, si è potuti passare a quello della testimonianza: il lettore di oggi è chiamato a un ascolto silente e rispettoso, come sempre avviene quando si offrano spaccati di umanità così simili e così diversi dal nostro orizzonte quotidiano. Su questa linea si situa il poemetto Ione, pubblicato lo scorso autunno da Tiziana Mayer nelle edizioni «Alla chiara fonte» di Mauro e Chiara Valsangiacomo. Traduttrice dal russo e dall’ebraico biblico e cabalistico, l’autrice si era fatta conoscere in poesia nel 2016 con la raccolta Apocalissi private, apparsa presso lo stesso editore di Viganello, e ritorna oggi con un testo altrettanto privato e ugualmente apocalittico, nato, si intuisce, da un’esperienza personale. Il riferimento all’omonima
tragedia euripidea è esplicitato nell’introduzione, assieme al suggerimento di tenere l’archetipo sullo sfondo, a distanza, per favorire il dialogo con autori pienamente novecenteschi come Eliot, Montale, la Achmatova, Simone Weil. Protagoniste dell’opera sono due donne in attesa di un figlio, Anna e Miranda, a confronto tra loro e con più evanescenti figure maschili (il compagno, il medico). Cuore della questione è la pratica comune della diagnosi prenatale, cioè quella possibilità di raccogliere informazioni sulla salute del feto che porta in superficie, di rimando, la necessità di scelte terribili, in cui l’amore materno si divide tra il desiderio di accogliere il nascituro n’importe quoi e quello di non offrirgli, in caso di malattia seria, una vita che si ritiene «non degna di vita». Simile dramma non può sciogliersi, naturalmente, con formule
cinesi. «I contatti con il mondo culturale del Cantone sono stati molto proficui e hanno coinvolto diversi scrittori ticinesi come Francesco Chiesa, Vincenzo Snider, Giovanni Bonalumi, Piero Bianconi e Giovanni Orelli» ci racconta la figlia Lucia. A proposito della fotografia, che testimonia di una relazione importante, e del rapporto di Kerényi con Jung, la signora Barella precisa che quella foto «è sempre stata presente nei diversi luoghi dove io ho vissuto con i miei famigliari. Il suo “originale” si trova attualmente alla Casa Jung di Küsnacht. In occasione delle vacanze in Ticino di Jung, i due intellettuali si incontravano normalmente a Minusio, nell’ambito di colloqui amichevoli e cordiali». precostituite e l’autrice si prende tutto il tempo necessario, con il passo lento di una poesia di ascendenza eliotiana, sull’arco di oltre trenta pagine: emerge così la desolante solitudine di queste madri, in cerca di un aiuto «altro dalla medicina», qualcosa a cui aggrapparsi per trovare la forza di non confondere, nel figlio che potrebbe nascere disabile, «il male e chi ne è affetto». Una solitudine e un dramma che contagiano anche il medico, roso dal tarlo del dubbio, che «ritorce / contro sé il baleno prima intuito e stride: / di nuovo incerto». L’autrice affida la conclusione dell’opera a un miracolo negativo, o più prosaicamente a un errore medico: «Il bambino abortito, dopo l’aborto / è morto sano. La malattia non esisteva». È il culmine espressivo del testo, ma forse anche il momento più debole proprio per quella condizione di tesi, di morale conclusiva, che finisce per gravare il dialogo con un’appendice didascalica (in pagine, per di più, fitte di iperbati e di inversioni sintattiche estremizzate, in cui il rischio stilistico – per gli amanti di Guerre stellari – è l’effetto Yoda). Rimane intatta, ciononostante, la qualità di questo piccolo poema coraggioso e intelligente, fitto di rimandi
Bibliografia essenziale di Károly Kerényi
Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Il Saggiatore, 2014. Rapporto con il divino e altri saggi, Milano, Bompiani, 2014. Religione antica, Milano, Adelphi, 2001. Nel labirinto, Torino, Boringhieri, 1984. Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Torino, Boringhieri, 1980 (con Carl Gustav Jung). Corrispondenza con Hermann Hesse, 1943-1956, Sellerio, 1995. Tra gli asfodeli dell’Elisio: carteggio 1935-1959 Károly Kerényi e Angelo Brelich, Roma, Editori Riuniti, 2011. La Madonna ungherese di Verdasio: paesaggi dello spirito e paesaggio dell’anima, Locarno, Dadò, 1996.
a quegli autori che nelle tradizione letteraria italiana più hanno saputo coniugare la dimensione linguistica e quella filosofica (da Leopardi a Montale). Ione di Tiziana Mayer è davvero, alla fine, un inno all’amore nella sua più profonda e ampia accezione, quel «lampo che ferisce / la carne e oltre l’umano confine la dilata, / prendendo nostra forma in ogni nato». Bibliografia
Tiziana Mayer, Ione. Alla chiara fonte 2018. 38 pagine.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 aprile 2019 • N. 16
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Cultura e Spettacoli
Nuovo sound dopo i «Bimbi»
Adrenalina senza troppi pensieri
più spesso a collaborare, come dimostra il recente lavoro di Rkomi
Netflix Triple
Musica G razie a Charlie Charles molte cose stanno cambiando: rap e pop si trovano sempre
Frontier, un gradevole film d’azione
Tommaso Naccari Se quattro anni fa ci avessero detto che le classifiche sarebbero state dominate dai cosiddetti «Bimbi» di Charlie Charles, probabilmente ci saremmo guardati in faccia e avremmo riso, immaginando l’inarrestabile movimento gerontocratico che da anni la fa da padrone in cima alla FIMI. E invece, oggi, nel 2019, la nuova scuola, non solo ha cambiato il concetto di «musica che funziona» in Italia, ma ha cambiato anche se stessa. Rkomi è l’esempio più preponderante, con un disco che ha ridisegnato il concetto di musica pop. Unire nello stesso spazio, per quanto metafisico, Jovanotti, Elisa, Ghali e Sfera ha fatto realizzare al mondo musicale che un nuovo pop, più fresco, più vicino a chi fino a qualche anno fa si gasava con il «bang bang» proveniente da Zona 4 – la zona che comprende Calvairate a Milano – è possibile, che non solo le cariatidi possono canticchiare le canzoni in heavy rotation sulle radio nazionali. Chi ormai è completamente ingabbiato nel ruolo di icona pop è anche Ghali, che dopo aver unito più culture in un solo ritornello con Wily Wily, ha vestito i panni del rapper per famiglie, ma con contenuti sociali, non riuscendo sempre nel suo intento, ma riuscendo – in qualche modo – a sentirsi davvero «troppo Jackson», tanto da aver abbandonato l’etichetta di rapper, perché (cito testualmente) uscirà con «un pezzo pop, poi un altro pezzo pop e infine con un pezzo rap, ma che comunque suona pop». Chi non ha avuto bisogno di alcuna svolta pop è stato Sfera, che ha addirittura imposto il suo mondo nel disco già citato di Rkomi e mentre scrivo queste parole viaggia su un altro pianeta, che tutti noi conosciamo come «U.S.A.». Tra collaborazioni in studio con un capo della musica elettronica come Diplo, uno dei padri della trap come Soulja Boy, sul viaggio di ritorno dagli Stati Uniti, Sfera potrà ripensare di aver vissuto un vero sogno. E se non bastasse, un’altra delle cose che lo ha portato a essere il più chiacchierato rapper del momento – ripeto, non artista pop, che è una conseguenza, ma vero e proprio rapper – è il follow su Instagram di Drake. Da sempre la popstar canadese è attenta ai
Alessandro Panelli
Nel suo nuovo Dove gli occhi non arrivano Rkomi si avvale delle collaborazioni di Elisa e Sfera.
vari sottoboschi: che finalmente abbia addocchiato anche l’Italia? E Izi e Tedua? I due artisti genovesi sono gli unici che nel 2019 si sono fatti sentire poco, il primo, o niente, il secondo. Eppure le novità sono alle porte. Diego, il rapper conosciuto con «Zeta», è pronto a pubblicare il suo terzo album, Aletheia, in uscita il 10 maggio. Si sa poco o niente di quel che sarà, se non che all’interno ci saranno dei testi che l’artista ha scritto ai tempi di «Kidnapped Mixtape», ormai più di un lustro fa, a testimonianza di come l’arte sia sempre attuale. Tedua, invece, sta aspettando che i lavori nello studio del suo rapper Chris Nolan siano terminati per lavorare a nuova musica. Il rapper di Mowgli era il più predisposto al salto verso il pop, eppure ora che la strada sembra così definita, siamo sicuri che in qualche modo ci stupirà, di nuovo, com’è sempre stato solito fare. Alle loro spalle una nuova «nuo-
va scuola» sgomita per farsi vedere: da chi come Chadia cerca di imporre il rap femminile, a chi come i Tauro Boys cercano di ridefinire il concetto di boy band. La realtà è che non è ancora arrivata una rivoluzione musicale della portata dei «Bimbi» di Charlie Charles, ma perché tutto rimanga com’è – ovvero il rap rimanga ai vertici – bisogna che tutto cambi, ovvero che delle nuove sonorità rimescolino nuovamente tutte le carte in tavolo. Ma perché le loro caratteristiche stanno cambiando? Un ottimo spunto potrebbe essere guardare ai cugini francesi di questi artisti italiani: i PNL. Gli artisti che più di tutti gli altri hanno cambiato il mondo di intendere la trap music, hanno pubblicato da poco il loro terzo disco, con un messaggio che fa intendere cosa voglia dire partire da zero e arrivare a cento in così poco tempo. Deux Frères nasconde all’interno un messaggio che è tipo della rap music, ovvero la sofferenza del successo.
Quando si ha sempre avuto zero e in poco tutto cambia, non tutto ciò che è oro luccica. Così i due fratelli si ripresentano con un brano pieno di sofferenza, ma con un video che li ritrae in cima alla Torre Eiffel. Il terzo disco è probabilmente quello più introspettivo mai scritto dal duo franco-algerino, così intimo da mettere all’ascoltatore quasi un senso d’ansia mentre lo si ascolta. Così, i Bimbi di Charlie, per evitare ogni ansia, hanno deciso di ripartire, per riconfermarsi, ma cambiando sempre. Non sappiamo ancora cosa aspettarci nel 2019 da Ghali, Sfera, Tedua e Izi e non sappiamo neanche come trasformerà Rkomi questo suo nuovo successo, ciò che è certo è che a chi dice che quella della generazione post-Muretto era solo una moda, si può rispondere con i fatti e con la logica, e con la dimostrazione che dopo molto tempo tutti quei ragazzi guardano ancora dall’alto il music business italiano, senza spocchia, ma con voglia di reinventarsi.
Cinque ex membri delle forze speciali decidono di derubare un narcotrafficante rischiando la propria vita e il rapporto di lealtà all’interno della squadra: il nuovo film d’azione diretto dallo statunitense J.C. Chandor (All is Lost, A Most Violent Year) con interpreti Oscar Isaac e Ben Affleck, approda su Netflix. Se siete alla ricerca di un film che vi faccia passare due ore all’insegna dell’adrenalina davanti allo schermo senza pensare e riflettere troppo questo è il film che fa per voi. Nonostante l’impostazione narrativa sia piuttosto classica e lineare, il film riserva qualche bella sorpresa: il fatto che il colpo al narcotrafficante avvenga nella prima metà del film e ci si focalizzi solo in seguito sulla fuga dei ladri, trasmette molta più curiosità sul prosieguo dello stesso. E in questo senso la seconda parte non delude, grazie a un ritmo intenso e avventuroso. Laddove la prima parte quasi banalmente presenta personaggi non iconici o in qualche modo non indimenticabili, nella seconda ognuno presenta un proprio carattere specifico e riesce a rivestire un ruolo fondamentale all’interno della squadra e della missione. Nonostante i soggetti coinvolti nella rapina siano cinque, J.C. Chandor ha voluto focalizzarsi su due grandi protagonisti: Oscar Isaac e Ben Affleck. Il primo è la mente. Un uomo determinato a fare fuori il narcotrafficante, ma frustrato dal tempo sprecato nei tentativi falliti e da una relazione con una donna complicata. Il secondo invece,
Tra danza e flussi di coscienza In scena La danza incontra Schubert: un capolavoro fisico, musicale e filosofico Giorgio Thoeni È possibile che ancora oggi il nudo sul palcoscenico possa generare un mugugno da parte di qualche ormai raro benpensante. Bisogna riconoscere che il moralismo è alimentato da buone ragioni laddove c’è esibizionismo gratuito o pretestuosa provocazione. L’esito è di tutt’altra natura quando si riconosce una vocazione per la poetica dell’esteti-
Uno spettacolo forte e meraviglioso. (Compagnia Abbondanza Bertoni)
ca narrativa. Come nella danza, un’arte dove il corpo e il movimento raramente sono oggetto di facili voyeurismi, specie quando sono il frutto di una ponderata e necessaria materia che accompagna al bello, al sublime. Ne potrà convenire l’affollata (e fortunata) platea del San Materno che recentemente ha potuto applaudire La morte e la fanciulla di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, danzatori, coreografi e fondatori dell’omonima compagnia. Un capolavoro formale dove la dimensione coreografica sfiora quella perfezione che affascina nella contemplazione di corpi nudi avvolti nella nebbia e nella trama musicale del celebre Quartetto per archi in Re minore di Franz Schubert, una dimensione esoterica e filosofica del mistero della vita a confronto con la morte, opposti che guardano all’infinito. Non ha avuto dubbi Tiziana Arnaboldi nell’invitare ad Ascona lo spettacolo, forse una leggera preoccupazione per il nudo in scena, presto fugata da 55 minuti di pura bellezza: tre danzatrici dai lunghi e folti capelli scuri e sciolti, tre nude sinfonie con le eccellenti Eleo-
nora Chiocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli. La cifra tre già evoca un’antica simbologia numerologica di compiutezza divina, ma le allusioni si sprecano anche nelle evocazioni figurative. Da Le tre età di Klimt a Le tre grazie del Canova rincorrendo Matisse, Botticelli, Schiele, dove la bellezza dei corpi si staglia in scena, tele pittoriche che cadenzano i tempi musicali (Allegro, Andante, Scherzo allegro molto, Presto) fra immagini che spiano le donne dietro le quinte. La danza è veloce, a tratti nervosa. È precisa, allusiva, ora animalesca tensione di contrasti, ora evocazione di una stregoneria lontana, con i corpi che si rincorrono, sussurrano, ammiccano, da delicati assoli a favolosi intrecci. È danza, con la D maiuscola, un piacere per l’anima. È anche contemporaneità, debitrice di un passato che rivive con elegante riconoscenza la scuola di Carolyn Carlson e l’avventura dei Sosta Palmizi. La morte e la fanciulla (vincitore del Premio Danza&Danza nel 2017 e finalista al Premio Ubu 2018) è fra i più belli e intensi spettacoli di questa stagione.
La mia biografia è un’opera d’arte
Io sono un errore perché voglio essere un errore. È una delle frasi-chiave proiettate sullo sfondo di The Night Writer (Giornale notturno), primo spettacolo in lingua italiana scritto e messo in scena da Jan Fabre, visto al LAC trasformato in gradinate per l’occasione. È un collage drammaturgico composto di stralci di un diario del regista belga scritto tra il 1978 e gli anni 90 e brani tratti da alcuni suoi spettacoli, da La reincarnazione di Dio a Drugs Kept Me Alive. È un patchwork a misura di confessione raccontata, urlata e cantata da Lino Musella, straordinario interprete che vale l’intera performance. Seduto a un tavolino sistemato al centro di un tappeto di sale fra quattro sassi, l’attore sfoglia pagine intime e sprezzanti come nell’atto di costruirne una drammaturgia estranea, sofferta e blasfema per i guerrieri della bellezza di Fabre, in lotta fra biografia, arte e teatro, fra sensi di soffocamento esistenziale, sensualità, provocazione e disciplina del gesto artistico. Un flusso di coscienza, uno sfogo.
Triple Frontier è diretto da J.C. Chandor.
inizialmente poco propenso a fare il colpo, decide di entrare nel team quando pensa al denaro che potrebbe ricavare per il college della figlia. Pur non essendo di fronte a qualcosa di originale, la pellicola riesce comunque a regalare scene emozionanti dominate da plot twist inaspettati. La colonna sonora è un valore aggiunto di tutto rispetto, che comprende brani dei Metallica, dei Creedence Clearwater e di Bob Dylan che si incastrano perfettamente con le meravigliose immagini nell’atmosfera incalzante e frenetica del lungometraggio. Anche la fotografia è di alto livello e l’occhio dello spettatore sarà appagato alla vista di paesaggi tanto diversi, che spaziano dalla giungla pluviale ai villaggi nelle pianure del Sudamerica, passando per favelas e pizzi innevati. Triple Frontier si conferma un film d’azione di tutto rispetto che intrattiene lo spettatore e riesce parallelamente ad avere anche toni drammatici. Penso soprattutto alla fragilità e all’instabilità di un gruppo che si ritrova inaspettatamente a improvvisare una fuga e a dover fare scelte drastiche che comprometteranno il successo della missione e la vita stesse di chi è coinvolto.
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