Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 26 novembre 2018
Azione 48 M sho alle pa pping gine 4 9-55 / 69-7 3
Società e Territorio I Patriziati guardano ai giovani per riuscire a tramandare l’amore e la cura per il territorio
Ambiente e Benessere Il cardiologo Davide Girola, attivo nella medicina riabilitativa cardiovascolare alla Clinica Hildebrand Centro riabilitazione Brissago, parla dei percorsi riabilitativi cardiaci
Politica e Economia Tornata di colloqui Usa-talebani preludio a una conferenza di pace sull’Afghanistan?
Cultura e Spettacoli Isaac Bashevis Singer torna a deliziare il pubblico con l’imperdibile romanzo Nemici
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di Federico Rampini pagina 27
Keystone
Il volto nascosto di Facebook...
Un argine all’imperialismo cinese di Peter Schiesser La strategia americana di contenimento della Cina sta prendendo forma: dopo il discorso in cui il 4 ottobre ha attaccato senza mezzi termini la Cina, al vertice APEC nella Papua Nuova Guinea il vice presidente Mike Pence ha alzato il livello delle critiche, definendo la Belt and Road Initiative (BRI, il progetto cinese di rete di trasporti terrestri e marittimi che dovrà collegare Asia e Europa, ma anche la Cina con l’Africa) una «cintura opprimente» e una «strada a senso unico». Come analizza a pagina 25 Lucio Caracciolo: la guerra fredda fra le due maggiori potenze mondiali è cominciata. Non è un caso che il vertice APEC si sia chiuso senza una dichiarazione comune. Il gelo fra Stati Uniti e Cina è palpabile e il nervosismo dei cinesi pure, come rivela un episodio: in violazione di qualsiasi norma diplomatica, quattro funzionari cinesi sono penetrati nell’ufficio del ministro degli esteri della Papua Nuova Guinea, Rimbink Pato, per indurlo a modificare il testo della dichiarazione finale, suggerito dagli Stati Uniti con l’appoggio di altri paesi. I funzionari sono poi stati allontanati dalla polizia, ma nessuno, nemmeno la popolazione,
ha gradito questa dimostrazione di arroganza da parte cinese. E così la visita di Xi Jinping sull’isola, così ben orchestrata, con striscioni di ringraziamento alla sua persona e folle di indigeni che impugnavano bandierine cinesi, è finita male: la Cina si è trovata isolata. Ciò suggerisce una prima lezione di geopolitica: non comandi il mondo se non crei una rete di alleanze. E la Cina questa rete non ce l’ha. Non cerca alleati, cerca vassalli, da poter dominare o controllare. Per esempio, la Cina non concede mai capitali a fondo perso, solo crediti interessanti per chi presta, e bada a finanziare infrastrutture che possano servirle nell’ottica della sua BRI e di altri interessi economici, oppure progetti di prestigio che danno lustro ai governanti locali che con tanto servilismo hanno lasciato mano libera ai cinesi. Nella Papua Nuova Guinea ha finanziato strade (Xi Jinping ha inaugurato un tratto di autostrada a sei corsie) e per 50 milioni di dollari la ristrutturazione di un centro di congressi. Questa politica cinese, fino a ieri baciata dal successo, oggi comincia a scricchiolare. Malaysia e Pakistan hanno rinunciato ad alcuni mega-progetti (stipulati con Pechino da precedenti governi) per non cadere in una dipendenza imperiale, le Maldive hanno cambiato presidente,
considerato troppo filo-cinese. L’esempio dello Sri Lanka, costretto a cedere per 99 anni il rinnovato porto di Hambantota e dei terreni industriali circostanti (con a poca distanza il nuovissimo e inutilizzato Rajapaksa International Airport, a Mattala, perfetto per le future esigenze cinesi) ha spaventato molti paesi, finalmente consapevoli del pericolo della trappola del debito. E la riconquista del Pacifico da parte degli Stati Uniti parte proprio dalla Papua Nuova Guinea. Se nei primi mesi della sua presidenza Trump ha denunciato il trattato TTIP per la cooperazione economica fra i paesi che si affacciano sul Pacifico, lasciando così l’iniziativa a Pechino, oggi con Mike Pence gli Stati Uniti segnalano che sono tornati sullo scacchiere del Pacifico. Per cominciare, si impegnano assieme a Australia e Giappone a portare elettricità al 70 per cento degli otto milioni di abitanti della Papua Nuova Guinea (grande 10 volte la Svizzera), rispetto al 13 per cento attuale, inoltre stanno valutando se non creare una base navale militare sull’isola. Assieme a India, Giappone e Australia, l’America sta creando una cintura di contenimento della Cina, nella consapevolezza che ogni superpotenza ha bisogno di alleati, checché ne pensi Trump.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Attualità Migros
M A Natale nemmeno i folletti restano soli...
Campagna di Solidarietà 2018 N elle filiali Migros inizia la raccolta fondi natalizia per le associazioni di aiuto
a chi ha bisogno, promossa da un nuovo spot televisivo
Flinn è tornato: il folletto che vive nelle casse della Migros anche quest’anno, all’avvicinarsi delle feste di Natale, non può fare a meno di sentire la nostalgia degli amici e della sua casa. Nel nuovo video che ci racconta le sue avventure (pubblicato su Youtube all’indirizzo https://www.youtube.com/ watch?v=8N_I4JA_zcI) lo vediamo dunque intraprendere un avventuroso viaggio alla ricerca della sua famiglia. Grazie alla serie di peluche natalizi proposti da Migros alla sua clientela, scopriamo inoltre quest’anno che Flinn, oltre ad avere un papà e una mamma, ha anche due care amiche, Eli e Lucy, gnome da supermercato anche loro. La nuova campagna natalizia di Migros, grazie a questi simpatici personaggi vuole sensibilizzare il pubblico al tema della solitudine e sollecitare il senso di solidarietà di tutti noi. Un esempio di impegno concreto a favore di tutti coloro che non potranno trascorrere un Natale sereno sarà possibile acquistando una delle tavolette di cioccolata speciali presenti alle casse delle filiali Migros. Il cioccolato solidale sarà in vendita, fino al 24.12.2018, a 5, 10 o 15 franchi e per ogni tavoletta venduta Migros aggiungerà 1 franco, prenden-
Ecco i folletti di peluche
do a proprio carico tutti i costi di produzione, imballaggio e distribuzione. Il ricavato delle vendite, come negli scorsi anni, viene devoluto interamente a Caritas, HEKS – Aiuto alle chiese protestanti, Pro Juventute, Pro Senectute e Soccorso d’inverno Sviz-
zera, impegnate in progetti che intendono alleviare le difficoltà di chi soffre per la solitudine e l’isolamento. Chi non volesse partecipare all’azione di solidarietà tramite l’acquisto del cioccolato gnomesco può farlo anche tramite i canali tradizionali,
versando l’importo che desidera sul Conto corrente postale 30-620742-6 (IBAN: CH75 0900 0000 3062 0742 6, BIC: POFICHBEXXX) intestato a Federazione delle Cooperative Migros, Limmatstrasse 152, 8031 Zurigo, con l’indicazione «Donazione di Natale».
Dal 27 novembre per ogni acquisto da Migros si potranno raccogliere dei punti autoadesivi che dovranno essere incollati su una apposita cartella: ogni cartella completata darà diritto ad ottenere un folletto di peluche, scegliendo Flinn, uno dei suoi genitori o una delle sue amiche, Eli e Lucy. Naturalmente i pupazzetti sono provvisti della loro lampadinascanner, dotata del suo «biip!» d’ordinanza. Fino al 24 dicembre dunque, per ogni acquisto da 20 franchi ad una delle casse dei supermercati Migros o su LeShop.ch si otterrà un autodesivo (al massimo 15 bollini per ogni acquisto, fino a esaurimento delle scorte, sono escluse le carte per acquisti o carte regalo). Una volta che la tessera da 20 bollini sarà completata, sarà possibile richiedere (fino al 31 dicembre, fino a esaurimento delle scorte, senza possibilità di acquisto) un pupazzo gratuito. Maggiori informazioni
migros.ch/folletti
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Società e Territorio progettiamo.ch Una piattaforma degli Enti regionali per lo sviluppo, per finanziare progetti legati al territorio
Eterni adolescenti I figli lasciano sempre più tardi la casa paterna: al Caffè delle mamme ci si interroga su come aiutarli a diventare adulti pagina 8
Gioventù difficile In Ticino si sta progettando un Centro educativo chiuso per minorenni fra i 12 e i 18 anni, ma non tutti la ritengono una buona idea pagina 10
pagina 4
I Patriziati guardano ai giovani Ticino Incontro con Tiziano Zanetti
presidente dell’Alleanza Patriziale Ticinese
Stefania Hubmann Una tradizione propositiva incentrata sulla cura del territorio a favore dell’intera comunità. Così si presenta oggi in Ticino il Patriziato, corporazione di diritto pubblico di origine ottocentesca proprietaria del 70% del territorio cantonale. Per apprezzare il lavoro dei 201 Patriziati ticinesi occorre conoscere le loro molteplici attività e l’indotto economico che ne deriva. La collaborazione con la Fondazione Lingue e Sport per sensibilizzare le nuove generazioni o la recente iniziativa degli enti luganesi «PatriziAmo», esposizione allestita nel patio di Palazzo Civico durante la Festa d’Autunno, dimostrano la volontà di tramandare l’impegno a favore di una gestione sostenibile del territorio coinvolgendo tutta la popolazione. Realtà patriziali molto diverse – da quelle alpestri a quelle urbane ricche di infrastrutture – sono riunite dal 1938 nell’ALPA (Alleanza Patriziale Ticinese), sostegno per i suoi membri nella collaborazione fra i medesimi e con i Comuni, nonché punto di riferimento per il Cantone. Da tredici anni è presieduta da Tiziano Zanetti di Bellinzona, la cui storia patriziale è significativa rispetto alle sfide con le quali è confrontato oggi un numero crescente di Patriziati. La famiglia Zanetti è infatti patrizia di Daro che con Ravecchia e Carasso nel 1907 si aggregò a Bellinzona. Il fenomeno delle aggregazioni, che negli ultimi anni ha subito un’accelerazione, induce i Patriziati a nuove forme di intesa, come spiega il presidente dell’ALPA. «A Lugano l’iniziativa “PatriziAmo”, che ha avuto un ottimo riscontro di pubblico, rappresenta sì l’occasione di farsi conoscere verso l’esterno offrendo un’immagine aggiornata dei Patriziati, ma anche il punto di partenza per una collaborazione più intensa fra enti con il medesimo statuto operanti in realtà territoriali diverse». La maggior parte dei Patriziati si occupa di territorio non urbanizzato. Pascoli e boschi vanno curati. Una rete di sentieri di montagna ben tenuta, strutture alpestri affidate alla gestione di casari che offrono prodotti di qua-
lità, aziende forestali con altrettante ricadute economiche, sono esempi di attività importanti non solo per la gestione del territorio. Esse favoriscono infatti tutta la comunità, in alcuni casi con benefici economici di rilievo, così come avviene nei Patriziati urbani. Tiziano Zanetti: «Ad esempio golf, lido e porto di Ascona sono di proprietà del Patriziato che offre così nel contempo posti di lavoro e aree di svago per la popolazione. In altre situazioni troviamo terreni concessi in diritto di superficie come nella zona industriale dello Zandone a Losone al cui sviluppo il locale Patriziato ha contribuito in modo determinante alcuni decenni or sono. Va infine sottolineato che i Patriziati sono obbligati a reinvestire nel territorio i profitti derivanti dalle loro attività». Alcuni, soprattutto nel Sopraceneri, sono finanziariamente più solidi. Se la situazione a livello economico e di popolazione diventa precaria, l’ALPA cerca di promuovere aggregazioni fra enti confinanti. Filo guida delle decisioni è lo studio strategico «Visioni e prospettive per il Patriziato ticinese» realizzato nel 2009 dalla Sezione degli enti locali del Dipartimento istituzioni in collaborazione con l’ALPA e di cui è previsto un aggiornamento. Per il Cantone le amministrazioni patriziali rappresentano infatti un partner importante nella gestione del territorio. Questo è d’altronde il senso delle loro origini risalenti alle Vicinìe medievali, prima forma di organizzazione delle comunità rurali. Con la nascita del Cantone Ticino nel 1803 vennero istituiti i Comuni con compiti prettamente amministrativi, mentre dagli antichi organismi per la gestione delle proprietà comunitarie derivarono i Patriziati. In questi ultimi i diritti di voto ed eleggibilità sono riservati ai discendenti delle famiglie patrizie. I patrizi ticinesi sono oggi stimati in oltre 90mila, ma manca un catalogo patriziale elettronico che ne attesti il numero e ne faciliti la gestione. Potrà essere allestito una volta approvata la revisione della Legge organica patriziale in vigore dal 1992, revisione parziale attualmente in corso. Precisa al riguardo il presidente: «La revisione prevede
Una visita alla segheria patriziale di Faido nell’ambito delle giornate di Lingua e Sport . (Tiziano Zanetti)
l’inserimento di un articolo che offrirà la base legale per avviare questo impegnativo progetto. Nella fase di consultazione della nuova Legge, l’ALPA ha dato la possibilità a tutti i Patriziati di far pervenire le loro osservazioni e la rispondenza è stata quasi totale a dimostrazione dell’interesse che anima le amministrazioni patriziali». Tiziano Zanetti sottolinea inoltre come le aggregazioni comunali abbiano favorito la disponibilità di tempo di alcune persone prima impegnate nella gestione del Comune. I Patriziati guardano però anche ai giovani per riuscire a tramandare l’amore e quindi la cura del territorio. Come avvicinarli? Innanzitutto facendo loro scoprire quali sono le attività nelle quali i Patriziati rivestono un ruolo essenziale. L’ALPA e il suo presidente sono particolarmente fieri della collaborazione con la Fondazione Lingue e Sport, avviata oltre vent’anni fa e in-
tensificata nell’ultimo decennio. «Durante i loro corsi estivi – spiega Tiziano Zanetti – vengono organizzate numerose giornate di lavoro e sport basate sul principio “provare a fare” abbinando impegno e divertimento. La scorsa estate sono state allestite dodici proposte animate da persone competenti che hanno consentito a circa tremila giovani di conoscere più aspetti della realtà patriziale: dal funzionamento di un’antica segheria a quello delle cantine, dalla vita degli animali selvatici alla cura del bosco, al lavoro nelle cave. Ogni anno l’offerta è aggiornata per assicurare nuovi stimoli». La «Rivista Patriziale» e il sito internet sempre aggiornato – ricorda ancora Zanetti – risultano poi essere i veicoli determinanti per trasmettere tutto quanto di buono viene proposto. Il principio caro al presidente dell’ALPA e a tutti i patrizi che operano quali volontari a favore del territorio
ticinese di «conoscere la nostra realtà per apprezzarla, curarla e tramandarla» ben riassume lo spirito secondo il quale operano i Patriziati nell’era moderna. Il territorio è in continua evoluzione e con esso le attività che l’uomo vi svolge, ma la sua gestione sostenibile a favore della comunità resta l’obiettivo prioritario. In Svizzera i Patriziati sono oltre duemila in 18 Cantoni e l’associazione mantello SVBK (Schweizerischer Verband der Bürgergemeinden und Korporationen/Federazione svizzera dei Patriziati), nel cui comitato siede anche Tiziano Zanetti, è stata costituita proprio in Ticino nel 1947. L’attività patriziale ticinese per il suo funzionamento e sviluppo gode da parte della Federazione di particolare attenzione e rispetto. Informazioni
www.alleanzapatriziale.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Società e Territorio
Sostenere, donare, finanziare
Crowdfunding L’impegno dei quattro Enti regionali per lo sviluppo per la gestione della piattaforma online
progettiamo.ch: un’occasione per realizzare progetti e idee legati al territorio
Guido Grilli «Yes, we can». Ricordate? Era il vincente slogan di Barack Obama che contribuì al suo ingresso alla Casa Bianca nel 2009. L’ex presidente Usa aveva usato, con una mobilitazione dal basso, anche un’altra idea per sopperire ai costi della campagna elettorale: il crowdfunding, da crowd (folla) e funding (finanziamento), cioè una raccolta fondi online per il finanziamento di progetti di qualsiasi natura. Ebbene, da allora questa singolare modalità di raccolta di versamenti via Internet s’è fatta strada nel mondo, salendo alla ribalta, fino a toccare le nostre latitudini, coniugandosi con il sogno di realizzare progetti locali, coinvolgendo e convincendo gli utenti a contribuire a un’idea innovativa.
Fra i compiti dei promotori della piattaforma, la supervisione e il supporto dei progetti Dal furgone ecologico alla sala prove per una filarmonica, da un museo del legno alla creazione di un sentiero biogeologico. In Ticino opera da quattro anni e mezzo – e in questo momento si trova nel suo pieno rilancio e rinnovo – la piattaforma di crowdfunding www.progettiamo.ch, una delle prime a carattere pubblico che illustrando minuziosamente scopi e finalità di decine di progetti si prefigge di realizzare iniziative di respiro locale messe a punto da chiunque voglia portare a buon fine un’idea, un evento, un servizio, una struttura «purché il progetto abbia un chiaro legame con il territorio ticinese». Promotori di progettiamo.ch sono i quattro Enti regionali per lo sviluppo presenti nel Cantone che hanno quale finalità pubblica – sostenuta da Confederazione, Cantone e Comuni nell’ambito della politica regionale – di promuovere e valorizzare il potenziale economico e territoriale della propria regione. Ad oggi progettiamo.ch ha realizzato 86 progetti. Per saperne di più sul
funzionamento di questo sito online, luogo in cui ogni sogno può divenire realtà, abbiamo avvicinato l’ideatore della piattaforma nonché uno dei promotori attivi in uno dei quattro enti regionali per lo sviluppo, quello del Locarnese e Vallemaggia, Igor Franchini, 41 anni, economista, che dedica parte del suo lavoro come regional manager ad amministrare e gestire la piattaforma. «Chiunque abbia un progetto valido – una persona singola, un’associazione, un gruppo di amici – ha diritto di accesso alla piattaforma» – esordisce il nostro interlocutore, che tuttavia distingue: «Il crowdfunding non è un bancomat, è una vetrina, una possibilità di comunicare al pubblico il proprio messaggio. E non vi è nessun incasso se le promesse di versamento non raggiungono la somma complessiva richiesta». Come s’inizia? «I progetti – gestiti a livello regionale: 4 amministratori per le 4 regioni, Locarnese, Bellinzonese, Luganese e Mendrisiotto – devono avere un chiaro legame con il territorio ticinese. In generale il nostro obiettivo – sottolinea Franchini – non è quello di scartarli o selezionarli ma di garantire quel livello minimo affinché il progetto abbia reali chances di successo. Spesso i promotori che si rivolgono a noi hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a mettere bene a fuoco gli elementi chiave dei loro progetti. Tra i nostri compiti, quali enti pubblici, c’è quello di supervisionare l’intero processo e fungere da supporto ai promotori dei progetti per rafforzarli nei diversi aspetti: presentazione, foto, video, finalità, preventivo di spesa, somma richiesta e via di seguito». Come avviene concretamente l’iter? «Facciamo firmare un contratto ai promotori di progetto nel quale si assumono precisi impegni: intanto quello che, se la raccolta fondi va a buon fine, devono ad esempio inviare una lettera di ringraziamento personalizzata a tutti i finanziatori, indicando i benefit di cui hanno diritto. Per benefit s’intende che per ogni fascia di finanziamento può essere prevista una contropartita, non in denaro, ma simbolica, per creare coinvolgimento, perché chi investe si senta parte del progetto. Ricordo ad
La pagina web di progettiamo.ch.
esempio che un gruppo di giovani che aveva realizzato degli “snow-food” aveva convenuto come benefit in occasione della prima uscita in montagna di gridare al cielo un grazie seguito dal nome di ogni investitore. Una trovata simpatica ed emozionale nello stesso tempo. Ma, aspetto importante, i promotori dei progetti sono tenuti a inviarci i giustificativi contabili di come vengono concretamente utilizzati i fondi. In questo senso noi fungiamo da garanti. Controlliamo il processo da cima a fondo, dalla presentazione online fino alla sua realizzazione. Diamo così garanzia di serietà. Per i finanziatori è fondamentale sapere che c’è un ente terzo che assicura e verifica che i soldi versati siano effettivamente investiti per la realizzazione del progetto». Accedendo alla piattaforma gestita dai 4 Enti regionali di sviluppo si visualizzano immediatamente e chiaramente le finalità di ogni crowdfunding: aprendo ogni scheda di progetto vi si possono inoltre leggere gli scopi, i nomi dei promotori, la somma complessiva richiesta e le modalità, e con pochi e semplici clic gli utenti interessati possono aderire ai progetti con il loro sostegno. «Quel che noi diciamo ai promotori è che maggiore è il loro attivismo, via e-mail o social ma soprattutto attraverso il contatto diretto
con tutti i potenziali interessati, più il crowdfunding funziona», sottolinea Franchini, che aggiunge: «I progetti sono suddivisi in tre sezioni: la sezione “sosteniamo” (progetti legati al territorio, iniziative culturali, ecc.); la sezione “doniamo” (sono i classici progetti di solidarietà legati ad esempio all’infanzia, a un orto didattico biologico o alla protezione degli animali) e la sezione “finanziamo” che prevede progetti a scopo di lucro ma che in genere si distinguono per un forte legame sociale e con il territorio, ad esempio l’aiuto per la produzione della farina bona, o l’acquisto di un furgone per una società attiva nel riciclaggio di rifiuti, sempre e comunque al centro c’è una causa sociale e il potenziale interesse di una comunità locale, una peculiarità essenziale affinché l’iniziativa sia attrattiva e possa ottenere riscontri concreti». Ma come vi distinguete dalle altre piattaforme di crowdfunding? «Una differenza importante è che la nostra piattaforma è completamente gratuita, non tratteniamo alcuna commissione sugli importi raccolti. Garantiamo così che il 100% dei fondi vada a beneficio dei progetti. Aiutiamo inoltre i promotori ad accedere anche ai canali tradizionali per finanziare i progetti, quali i Fondi di promovimento regionale. In media si riescono a raccogliere con il
solo crowdfunding 4mila franchi a progetto. La rimanenza viene racimolata con i canali e i tipi di raccolte tradizionali, dai mezzi propri dei singoli promotori, i quali si attivano, in taluni casi, a ricercare aiuti anche da fondazioni o altri enti terzi. Tutte le modalità di finanziamento sono esplicitate in modo trasparente nel sito». Ma tutti onorano poi effettivamente la promessa di pagamento? «Più del 95% delle somme promesse vengono versate. Il contributo medio singolo è di 200 franchi. I tempi di realizzazione? Ogni progetto può fissare le proprie tempistiche. In media qualche mese è sufficiente per portare a buon fine un’iniziativa». Qual è il consuntivo odierno di progettiamo.ch? «Attualmente i progetti realizzati sono 86. Il tasso di successo è pari al 76%, una percentuale superiore alla media internazionale, che si attesta attorno al 60%». Significa dunque che 1 su 4 fallisce? «Sì, ed è fisiologico. Ma 3 su 4 ce la fanno». A quali nuovi orizzonti guarda progettiamo.ch, al traguardo dei suoi quattro anni e mezzo di attività? «Stiamo completamente rinnovando il sito. Prevediamo pertanto entro dicembregennaio di potenziare e rilanciare la piattaforma, lasciando comunque immutato il suo spirito e le sue finalità».
Tutto il fascino del vecchio West
Videogiochi Con Red Dead Redemption 2 esce sul mercato un gioco tecnicamente raffinato, ma con tempi lenti Davide Canavesi Fantascienza, guerra, fantasy e avventure in mondi inesplorati sono tutti temi ricorrenti nelle produzioni videoludiche moderne. Il western invece è un genere decisamente più raro, forse perché si tratta di un filone più difficile con cui lavorare, basato su canoni tutto sommato piuttosto specifici. Tutto questo però allo studio statunitense Rockstar Games non importa e, nel 2018, pubblica un sequel estremamente atteso dai giocatori di tutto il mondo:
Red Dead Redemption 2. Un gioco d’azione western su console decisamente appassionante. L’anno è il 1899 e la frontiera verso l’ovest degli USA è ormai chiusa. La civiltà dell’uomo bianco si è praticamente estesa in tutto il territorio americano fino alla California e c’è sempre meno posto per le bande di fuorilegge e tagliagole che scorrazzano libere tra un insediamento di pionieri e l’altro. Il giocatore impersona Arthur Morgan, membro di una temuta banda guidata dal carismatico Dutch Van Der Linde.
La sua storia si apre con la gang in fuga disperata tra le montagne innevate, in seguito ad un colpo andato tragicamente male che costringe l’eterogeneo gruppo di persone ad affrontare neve, orsi e lupi affamati per evitare di finire sulla forca. Superata questa prova, dall’altro lato della catena montuosa, la banda di Dutch si ritroverà temporaneamente al riparo dalla legge, accampata in una foresta poco lontana dalla cittadina di Valentine. I problemi però non sono finiti: servono cibo, risorse, medicinali. La nostra avventura può finalmente iniziare. Red Dead Redemption 2 è un gioco in cui la libertà d’azione è pressoché totale. Potremo scegliere di seguire unicamente la storia del gioco, facendoci coinvolgere in assalti a treni, rapine in banca, estorsioni e sparatorie oppure potremo cimentarci in una delle tantissime attività accessorie proposte. Il gioco di Rockstar Games aspira quasi ad essere una simulazione più che un semplice gioco d’azione. Se, per esempio, decideremo di dedicarci alla caccia dovremo prepararci. Procurarci armi adeguate, creare esche, recarci in zone discoste tra le foreste e seguire metico-
losamente le tracce prima di sperare di incontrare l’animale che cerchiamo. Nel frattempo dovremo anche prenderci cura delle nostre armi, del nostro cavallo e di noi stessi. Potrà capitare di restare bloccati in montagna ben oltre il calar del sole e saremo quasi costretti ad accamparci, onde evitare attacchi di lupi ed orsi. Gli sviluppatori di questo gioco hanno infuso una dose di realismo nella loro creatura che raramente vediamo, anche in una produzione ad alto budget come questa. Il mondo di Red Dead Redemption 2 è straordinariamente vivo e credibile. Basterà recarsi al saloon di Valentine, passeggiare per le strade cittadine di Saint Denis, oppure perderci per i pascoli e le fattorie per sentirci davvero parte del vecchio West. La ricerca del realismo ha però anche qualche lato negativo. In particolar modo, si tratta di un gioco dal ritmo decisamente lento. Non esiste un modo davvero rapido per spostarsi da un lato all’altro della enorme mappa di gioco: potremo andarci a piedi, a cavallo, in treno oppure in diligenza. Il risultato è che tra una missione adrenalinica e l’altra potremo spendere anche un’ora a cavalcare, mangiare, pulire il cavallo e via dicendo. Il ritmo del
gioco viene continuamente spezzato da questi tempi morti. Si tratta di una scelta cosciente di Rockstar Games che può piacere o meno, a dipendenza dei gusti del giocatore. Red Dead Redemption 2 è un gioco che lascia tecnicamente sbalorditi. Che si tratti di praterie sconfinate, cittadine di frontiera o foreste, è un mondo che invita il giocatore all’esplorazione. Potremo imbatterci in tormente di neve, in spettacolari notti stellate o in assolati pomeriggi il tutto senza soluzione di continuità. Il ciclo giorno-notte è decisamente credibile il che impreziosisce ancora di più il tempo speso con questo gioco. Sicuramente si tratta di uno dei titoli open world tecnicamente più validi mai prodotti fino ad oggi. Red Dead Redemption 2 è un titolo maestoso, un must non solo per i fanatici del genere western ma anche per tutti gli amanti dei giochi d’azione. Si tratta davvero di un capolavoro che va assaporato al suo ritmo, traendo piacere dal prendersela comoda per vivere coi ritmi di inizio ’900. Si tratta di un gioco molto violento, adatto esclusivamente ad un pubblico adulto, sia per tematiche che per immagini cruente.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Società e Territorio
L’adolescenza prolungata
Il caffè delle mamme Nel suo nuovo saggio lo psicanalista Massimo Ammaniti si chiede perché i figli
non crescono più e quali sono gli errori da evitare come genitori Simona Ravizza Attenzione, genitori. Se oggi i figli rischiano di restare eterni adolescenti la responsabilità può essere anche nostra. È il grido di allarme di uno dei più noti psicoanalisti italiani, Massimo Ammaniti, che ha permesso a Il caffè delle mamme di leggere in anteprima il suo nuovo saggio Adolescenti senza tempo, in uscita il 29 novembre (ed. Raffaello Cortina Editore). La domanda a cui il professore di Psicopatologia dello Sviluppo alla facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza di Roma vuole rispondere è: perché i figli non crescono più? E, soprattutto, che errori possiamo evitare? In Svizzera tra gli anni Settanta e gli Ottanta si usciva di casa in media a 21 anni. Ma da allora i tempi si sono allungati: oggi la media svizzera è di 24,5 anni e quella ticinese di 26. È uno dei segnali, forse il più tangibile, del prolungamento a dismisura dell’adolescenza: «È sempre più evidente l’asimmetria cronologica fra lo sviluppo somatico puberale e i cambiamenti psicologici dell’adolescenza – sottolinea Ammaniti –. Mentre la maturazione biologica puberale è circoscritta nel tempo, e anzi inizia più precocemente, il raggiungimento di un’identità più stabile si prolunga ben oltre gli anni dei teenager, per raggiungere e addirittura superare i 30 anni». L’ingresso nel mondo adulto viene sempre più rimandato: i giovani si trovano a vivere in una dimensione senza tempo.
Il prof. Antolini, uno dei pochi per cui Il giovane Holden dell’omonimo romanzo di J.D. Salinger nutre stima, spiega al suo scapestrato studente, espulso a 16 anni dal collegio perché non aveva sostenuto abbastanza esami e in giro per New York in un indimenticabile viaggio iniziatico: «Io credo che uno di questi giorni ti toccherà scoprire dove vuoi andare. E allora devi metterti subito in marcia. Ma immediatamente. Non puoi permetterti di perdere un minuto». Ma noi genitori oggi siamo in grado di aiutare i figli a uscire dalle nebbie dell’adolescenza e portarli a diventare adulti? «L’adolescente, oggi, si colloca al centro dello scenario familiare, anche perché le famiglie si sono ristrette e il numero dei figli si è ridotto – scrive Ammaniti –. È inevitabile che l’attenzione dei genitori si concentri sul figlio o sulla figlia: tramite i figli, nei quali tendono a incarnarsi, essi rivivono la propria adolescenza. Attraverso i figli, i genitori cercano di realizzare quello che non sono riusciti a conseguire nella loro vita. E diventano i loro confidenti, ne condividono le esperienze personali, le storie sentimentali, i primi turbamenti e le esperienze sessuali». Così, come spiega ad «Azione» lo psicoterapeuta, mamme e papà si preoccupano troppo di essere buoni genitori, mentre un po’ di contrasto durante l’adolescenza va bene, perché utile a rompere il cordone ombelicale. Di qui tre consigli su cui a Il caffè delle mamme siamo spinte a riflettere.
Gli adolescenti hanno bisogno di persone di riferimento, non di genitori amici. (Keystone)
Uno: gli adolescenti hanno bisogno di confrontarsi con adulti più stabili, convinti delle proprie idee, in grado di assolvere in modo fermo il proprio ruolo educativo. «Questo perché, nella lotta contro i genitori per far valere il proprio punto di vista – insiste Ammaniti – i giovani imparano a riconoscere i propri limiti e a trovare una propria coerenza personale». Due: bisogna riaffermare l’autorevolezza, anche e soprattutto con gli adolescenti che, tra ormoni sballati e crisi d’identità, hanno bisogno più che
mai di riferimenti rassicuranti. «Spesso i genitori reagiscono con un corto circuito emotivo: urla, minacce, punizioni oppure con un distacco risentito o addirittura con ricatti affettivi, tutti segni della propria debolezza – si legge in Adolescenti senza tempo –. In queste situazioni si gioca l’autorevolezza dei genitori. Invece di reagire a caldo conviene mostrarsi fermi e rimandare il chiarimento al giorno dopo, per esempio dicendo al proprio ragazzo: “Vai a dormire. Ne parliamo domani, quando ti svegli”. Il figlio viene preso in contro-
piede: non si aspetta che il padre o la madre controllino la situazione al punto di rimandare lo scontro, riaffermando in questo modo la propria autorità». Tre: meglio non essere genitori amici, il rispetto dei ruoli è fondamentale. «Oggi, a differenza del passato, le madri tendono a reincarnarsi nelle figlie e a rivivere tramite loro la propria adolescenza, forse mosse dal desiderio di compensare i propri insuccessi – scandisce Ammaniti –. E, una volta, i padri accettavano e sollecitavano il distacco del figlio adolescente. Oggi patiscono il fatto di non sentirsi più interessanti per i figli. Sembrano aver perso l’autosufficienza: li seguono, li assecondano, vogliono continuare a condividere la loro vita. Ma gli adolescenti – va ribadito – non hanno bisogno di genitori amici, bensì di figure di riferimento». Se i genitori ritornano adolescenti – domanda lo psicoterapeuta – perché i figli dovrebbero diventare adulti? Oskar Matzerath, protagonista del romanzo Il Tamburo di latta del Nobel Günter Grass, all’età di tre anni decide di non crescere e di creare fra sé e gli adulti una barriera invalicabile suonando incessantemente il suo strumento musicale: faticosamente e dolorosamente Oskar accetterà di diventare adulto solo quando seppelliscono l’odiato padre Alfred, morto soffocato dal distintivo del Partito Nazista che ha cercato di ingoiare di fronte ai russi invasori entrati nella sua cantina. Meglio non arrivare a tal punto. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Società e Territorio
Protezione o punizione? Gioventù difficile Il Ticino vuole dotarsi di un Centro educativo chiuso per minorenni (CECM). Non deve essere
un carcere, ma un istituto per accogliere e osservare i giovani in crisi Fabio Dozio
«Le abbiamo provate tutte! Ho un ragazzo che nelle ultime due settimane è scappato nove volte dal centro educativo per minori dove viveva. Ha sedici anni, consuma regolarmente alcol, viene da una famiglia in preda alla violenza domestica, dove lui è autore ma anche vittima. È fuggito nove volte e la polizia è sempre andata a cercarlo per ricondurlo al centro, da dove poi se ne andava ancora. È stato in ospedale e anche alla Farera, al penitenziario cantonale, una settimana in detenzione preventiva. Doveva sottoporsi alle cure del centro medico psicologico, ma non ci è mai andato. L’obiettivo è di ascoltarlo e accogliere la sua sofferenza per poi cercare uno sbocco professionale. Inizia un tirocinio ma poi lo interrompe». Questo è l’accorato racconto del magistrato dei minorenni Reto Medici, confrontato per mestiere con i giovani difficili. «In udienza – continua il giudice – mi dice di sì, che è disponibile, ma poi aggiunge che è confuso. Venerdì scorso è sparito e l’abbiamo rintracciato martedì. Adesso, paradossalmente, e lo sottolineo, è un vero paradosso, l’abbiamo rimandato a casa e dovrebbe andare al Centro educativo durante il giorno. Se a un ragazzo così succede qualcosa, vengono a prendermi, divento responsabile del suo destino. Questo è un caso in cui è necessario l’internamento! La settimana in cui è stato in Farera era tranquillissimo, perché la giornata è strutturata e tutto è regolato. L’educatore andava a trovarlo quasi ogni giorno e hanno lavorato assieme. È vero che non avere la libertà è una cosa bruttissima, ma per questi casi la sicurezza aiuta». Questa è la storia di uno dei ragazzi per cui in Ticino si sta progettando un Centro educativo chiuso per minorenni (CECM). Ma mandare in prigione, al di là delle definizioni edulcorate, un minorenne, non è sempre negativo? chiedo a Reto Medici. «Per favore – risponde in modo risoluto – non chiamiamola prigione, perché non lo è. Il CECM non è un carcere minorile, sono due cose diverse, non bisogna confondere!» La storia di questo centro è vecchia di anni. Se ne parla fin dal 2006, quando un gruppo di esperti propone la creazione di una nuova struttura di pronta accoglienza in modalità di contenimento per minorenni di 12-18 anni. Nel 2009 si elabora un rapporto che dopo aver monitorato la situazione fissa a una cinquantina il numero dei ragazzi che potrebbero usufruire di un centro simile nel corso di un anno. Si chiarisce anche la tipologia dei giovani indicando i criteri, cumulativi, per l’identificazio-
Nove giovani problematici su dieci vivono situazioni famigliari disastrate. (Ti-Press)
ne della crisi: a) urgenza: la loro situazione non può essere procrastinata; b) gravità: mettono a rischio la loro e/o altrui incolumità; c) rifiuto: sono refrattari a qualsiasi tipo di proposta. Nel 2015 il progetto prende forma e prevede di destinare otto posti alla pronta accoglienza e all’osservazione e altri due all’esecuzione di pene di breve durata. «In assenza del centro educativo chiuso – scrive il Consiglio di Stato – alcuni giovani sono rimasti a casa, altri sono stati ricoverati alla clinica psichiatrica o collocati in un centro educativo. Tutte soluzioni ritenute inadeguate per gestire la crisi di questi giovani che mettono a rischio la propria e l’altrui incolumità e che non si riesce a coinvolgere in nessun tipo di proposta. Nella nuova struttura sono obbligati a fermarsi; questo crea le condizioni per l’osservazione, la valutazione approfondita e la costruzione di premesse per l’avvio di un nuovo progetto». Lo scorso anno il Governo incarica la SUPSI di rifare i conti per capire se il centro è necessario: in sostanza si conferma l’esistenza di una cinquantina di casi all’anno. Il rapporto rivela alcuni dati significativi sulla condizione dei giovani in crisi. Solo l’11,3% dei casi vive una condizione famigliare normale: la famiglia costituisce un fattore di criticità decisivo nella vita dei giovani che finirebbero in CECM. Stessa cosa sul fronte del lavoro: l’85% dei casi vive in una situazione di disadattamento, di insuccesso e di abbandono. Nove ragazzi su dieci presentano un quadro condizionato da problematiche psicologiche e da abuso di sostanze. «Due delle dimensioni cardine per lo sviluppo dell’identità personale e dell’inte-
grazione nella società – si legge nel rapporto SUPSI – quali sono la famiglia e la formazione e il lavoro, risultano essere assenti, problematiche, fonte di frustrazione e di insuccesso». La maggioranza di questi ragazzi difficili fanno capo alla Fondazione Amilcare, diretta da Raffaele Mattei, che dice di non essere contrario per principio al Centro chiuso: ogni tanto un ragazzo va fermato, ma questo va fatto cercando di convincere il giovane e non costringendolo: «Se un minorenne ha bisogno di essere rinchiuso perché pericoloso per se stesso o per gli altri, – sottolinea Mattei – significa che gli adulti hanno fallito nel loro compito educativo, i genitori prima e la rete di professionisti poi. Un giovane minorenne che compie trasgressioni non lo fa per il gusto di farlo, o semplicemente per trasgredire le regole. Sono convinto che il minorenne vuole dirci qualcosa, magari non sa come dirlo, oppure ha subìto maltrattamenti e non è mai stato ascoltato e/o creduto dagli adulti. Questi ragazzi non hanno più fiducia negli adulti, sono stati traditi troppe volte. Si arriva all’idea di rinchiudere un minorenne poiché questi non ha un adulto significativo a cui si può riferire». Il giudice Medici è convinto della necessità del Centro e dice che quest’anno la situazione è peggiore rispetto al passato. «Il CECM avrà dieci posti per giovani, ma non è un cambiamento sistemico nei confronti dei casi problematici. La maggioranza, più di trecento, sono collocati nei foyer. Prioritario rimane il lavoro di prevenzione. Un franco speso a favore della prima infanzia genera in futuro un risparmio da cinque a nove franchi, sono dati delle Nazioni Unite. Proprio ieri un papà, dispe-
rato, mi ha detto che è gravissimo che in Ticino non ci sia questa struttura». Il progetto di CECM è ora al vaglio del Gran Consiglio, che dovrà decidere se stanziare i 6 milioni di franchi necessari per la realizzazione di quello che un tempo veniva definito riformatorio. Ma non mancano le voci critiche e contrarie. Il sindacato dei servizi pubblici VPOD ha raccolto 472 firme – soprattutto fra addetti ai lavori del settore – contro la decisione del Consiglio di Stato di aprire il Centro. «Come è possibile – si chiede il sindacato – che nel 2018 vi sia la possibilità di segregare qualcuno senza processo o senza la presenza di un reato accertato? Come usciranno, una volta maggiorenni, i soggetti sottoposti a tali trattamenti? Con quale fiducia potranno guardare al futuro? Si prevede un investimento di sei milioni di franchi. Sarebbe, a nostro avviso, più opportuno investire queste risorse in reali politiche di reinserimento». Si è anche costituito un Coordinamento contro il CEMC che fa capo al circolo anarchico Carlo Vanza: «Si vogliono davvero sprecare milioni di franchi per realizzare un centro chiuso inutile che è sinonimo di esclusione? Bisogna assolutamente sostenere progetti che favoriscano l’inclusione dei giovani nel tessuto sociale. Gli interventi pedagogici devono rimanere tali e non diventare repressivi, autoritari, diseducativi». Va chiarito che i giovani potranno essere collocati nel CECM per massimo 90 giorni, tre mesi. «Cosa succede quando escono? – si chiede Raffaele Mattei – non saranno più aggressivi di quando sono stati rinchiusi? È evidente che la gestione del rischio in certe situazioni è alta. Ma siamo sicuri che piuttosto di un intervento violento con polizia
e ambulanza per rinchiudere un minorenne non sia meglio aspettare, stargli vicino prendendo qualche rischio?». Critiche pure per le misure disciplinari che potranno essere eseguite nel nuovo centro: la consegna semplice in camera per al massimo 21 giorni (in cui i minorenni passano in camera solo il tempo del riposo) e la consegna restrittiva in camera per al massimo 7 giorni (ove il minorenne passa in camera tutto il tempo). Inoltre il messaggio del Governo cita misure di contenzione, volte a proteggere il minorenne stesso o gli altri ospiti o il personale. In questo caso si prevede la chiusura in camera e, perfino, le cinghie al letto. «Cinghie? – tuona il direttore di Amilcare – non esiste, non siamo nel Medioevo». Si spera che siano provvedimenti eccezionali, certo non sembrano intonati al concetto di «educazione» contenuto nella definizione del centro. «A subire la contenzione saranno casi estremamente rari, ma è importante che ci siano le basi legali. – spiega il magistrato dei minorenni – Sono cose che si facevano, come avviene nelle case per anziani, ma eravamo nell’illegalità. La base legale è importante per definire i limiti di gestione della contenzione». Il giudice cita, a giusta ragione, le case per anziani, che in Ticino negli ultimi anni hanno dimostrato lacune non indifferenti. Questo dimostra che è fondamentale la modalità di gestione di questi istituti e, soprattutto, che bisogna insistere sulla qualità dei professionisti che vi operano, dal direttore a tutti gli addetti. «Ho proposto – dice Reto Medici – di mandare operatori e direttori in istituti della Svizzera interna un anno a lavorare per capire come funzionano queste strutture. Inoltre ci deve essere un comitato etico scientifico che accompagna la messa esercizio del Centro. La qualità della gestione è determinante». Case per anziani, penitenziari, ospedali, cliniche neuropsichiatriche, foyer per giovani, sono tutte strutture molto sensibili: dalla qualità del loro funzionamento dipende la qualità della democrazia di un Paese. Il Parlamento dovrà decidere sull’avvio di questa esperienza. Resta aperto un interrogativo: è proprio necessario costruire una struttura che, volenti o nolenti, a Castione sarà identificato, in modo stigmatizzante, come istituto dedicato alla sorveglianza e alla punizione? Non è possibile far gestire dalle strutture aperte esistenti (Amilcare, Vanoni, Torriani, ecc.) qualche camera da utilizzare a questo scopo, finanziando gli istituti affinché possano preparare gli spazi e il personale adeguati?
Folletti che salvano il Natale
Teatro per l’infanzia Domenica 9 dicembre alle 15.00 a Minusio
Un nuovo appuntamento con il magico teatro per bambini dei Minispettacoli, vede protagonisti sul palco di Minusio, gli aiutanti di Babbo Natale della compagnia bolognese La Baracca Testoni Ragazzi, nella pièce Storie di elfi e folletti. Come ogni anno, da ormai duemila anni, gli elfi e i folletti si apprestano a preparare la consegna dei doni natalizi, fra letterine, regali da incartare e renne da sfamare. Un lavoro impegnativo che non termina il 25 di dicembre, ma inizia. Babbo Natale, dopo aver lasciato a tutti i bambini i loro regali, a Santo Stefano fa ritorno a casa e si riposa fino a Pasqua, mentre i suoi aiutanti conti-
nuano il suo lavoro. Quest’anno però, qualcosa va storto: aprile è arrivato e Babbo Natale, che supervisiona tutti i passaggi, ancora non si è visto. Perché? Dov’è? Che fare? Attimi di panico e smarrimento sopraffanno gli elfi, le renne e gli orsi, abbandonati e senza la guida del loro omone panciuto. Babbo Natale non c’è , ma ci sono tante cose da fare, così passato lo sconforto iniziale, tutti decidono di tornare al lavoro fra peripezie e guai per salvare il Natale. Lo spettacolo Storie di Elfi e Folletti, adatto a bambini dai 4 anni, racconta con semplicità e genuinità quanto Babbo Natale, in particolare per i più pic-
coli, sia un simbolo di gioia, speranza e desideri realizzabili. Narra l’importanza di continuare a sognare, nonostante non sempre sia facile, superando le difficoltà. Storie di elfi e folletti andrà in scena il 9 dicembre alle ore 15.00 al Teatro Oratorio Don Bosco di Minusio e dopo lo spettacolo verrà offerta una gustosa merenda a tutti i bambini. «Azione» offre ai suoi lettori dei biglietti gratuiti per questo evento della rassegna Minispettacoli sostenuta dal Percento culturale di Migros Ticino. Per partecipare al concorso basta seguire le indicazioni riportate sul sito www.azione.ch/concorsi.
Quando Babbo Natale non c’è... (www.testoniragazzi.it)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni La città e la casa I centri urbani crescono: è normale ed è segno di vitalità, sia economica, sia imprenditoriale, sia demografica. Ma, a quel che leggo in questi giorni, si costruisce troppo: certo, «investire nel mattone» – come si usa dire – corrisponde alla speranza in una collocazione di capitali più sicura e più redditizia di quanto oggi assicurino le banche, con i loro tassi d’interesse negativi; e però, se si costruiscono più appartamenti di quanti siano i potenziali inquilini, l’investimento rischia di deludere. A Lugano gli appartamenti sfitti sono 790, ma anche a Bellinzona, Locarno,
Mendrisio e Chiasso il fenomeno è rilevante. A prescindere da qualsiasi considerazione economica, ci sono aspetti positivi nel fatto che la crescita trovi un freno o subisca un rallentamento: la città che cresce fuor di misura rischia di perdere la sua identità e di sprofondare nell’anonimato. È vero che ci sono i piani regolatori a tutelare le aree che si ritiene vadano conservate; ma una città è ben più che l’insieme dei suoi edifici: è – o almeno dovrebbe essere – una comunità. Così infatti suggerisce l’etimologia della parola «città» (da civitas),
Una delle case abitate da Ludwig van Beethoven a Vienna. (Keystone)
che designa l’insieme dei cittadini: nei villaggi, nei borghi, nei piccoli centri urbani questo senso di appartenenza e di identità si mantiene ancora; ma la mobilità sociale e la crescita immobiliare, costante soprattutto nei centri maggiori, tendono ad indebolire il legame comunitario. Trovo comunque una fortuna che non ci siano, nel Ticino, le gigantesche metropoli che straripano altrove, con le loro banlieues degradate e anonime, dove anche l’ordine, la pulizia e la sicurezza risultano trascurate o mancanti. Di tanto in tanto riprendo con piacere libri che descrivono il Ticino del passato e che conservano immagini di quartieri che ora non ci sono più (come il Sassello a Lugano) o che sono irriconoscibili per le trasformazioni avvenute; e devo dire che quelle case, quei vicoletti stretti, i passanti vestiti di tutto punto o alla contadina, i piccoli negozi senza insegne luminescenti mi suscitano molta simpatia. Ma poi, realisticamente, mi rendo conto che quei luoghi sono belli da osservare in un percorso nostalgico puramente immaginario; viverci sarebbe assai meno bello. Abituati come
siamo alle comodità del giorno d’oggi ci sentiremmo spaesati e a disagio. E poi, la consuetudine con il passato, che esploro sempre con curiosità in tanti libri di storia e nelle opere letterarie, mi impedisce di idealizzare troppo i mondi scomparsi. Ricordo, ad esempio, che nella Roma imperiale del I secolo d.C. Giovenale ammoniva, in una sua satira: «Chi esce di notte per andare a cena dagli amici, meglio che faccia testamento»; e ancora nell’Ottocento il poeta romano Giuseppe Gioachino Belli scrisse un sonetto dal titolo Chi va la notte va alla morte. Alessandro Tassoni, il poeta secentesco di Modena, a proposito della sua città scriveva «che nel pantan mezza sepolta siede; ove si suol smerdar da capo a piede / chi s’imbatte a passar per quella via». Così, benché gli agglomerati urbani siano oggi assai più imponenti e ingombranti che in passato, le strade e le abitazioni sono non solo più comode, ma indubbiamente migliori per igiene, ordine, pulizia… È pur vero che queste ultime doti dipendono in gran parte da chi ci abita: proprio recentemente sono stati segnalati in qualche appar-
tamento casi di sporcizia e di disordine difficilmente immaginabili, ma questi casi, almeno, sembrano rari. Nei secoli andati probabilmente non era così: un visitatore, entrato in una casa di Vienna all’inizio dell’Ottocento, la descrive come il luogo più lurido e più puzzolente che si possa immaginare, con resti di cibo sparsi dappertutto, vasi da notte da svuotare, abiti lerci e due pianoforti sepolti sotto un mare di polvere e di carte. Di chi era quella casa? Di Beethoven! Anche per il grande compositore la casa restava comunque il luogo di raccoglimento e di ispirazione creativa: soprattutto quando l’incipiente sordità lo rese sempre più solitario e schivo, l’isolamento nella sua abitazione privata, per quanto in disordine, costituì il suo buen retiro. E tale dovrebbe essere, infatti, per chiunque cerchi qualche pausa di silenzio e di quiete solitaria dopo la baraonda dei supermercati e dei percorsi cittadini; in fondo, malgrado vi trovi un po’ di esagerazione, penso che ci sia pur sempre anche molto di vero nella riflessione di Pascal: «Quasi tutti i nostri mali nascono dal non aver saputo rimanere nella nostra stanza».
introduttivi ricalcano quella piega a nordovest che porta il torrente, tra non molto, a gettarsi nell’Adda. Curvilineo è così il camminare tra queste mura torrentizie che accarezzo subito, senza tante storie. L’ispirazione di prelevare i sassi levigati dal letto del Bitto è tratta da antichissimi muretti della regione. «Ricordo che feci fare una fotografia di un paio di muri di Delebio e di Regoledo, così che i muratori costruissero il muro più vicino possibile a come erano quelli di allora» rivela lo stesso architetto in un’intervista trovata tra le pagine di Luigi Caccia Dominioni, architettura in Valtellina e nei Grigioni (2010). Sviluppandosi a spirale, con due corpi cilindrici di diversa altezza, l’edificio lo abbraccio ora con lo sguardo, dominando a stento un ricordo che riaffiora riguardo la stessa forma di un portapenne di plastica che avevo da bambino. Dalle finestre, a feritoia, esce una luce che incide questa mattina dopo le dieci e mezza circa di una fredda giornata brumosa verso
fine novembre. Dentro è subito un po’ una delusione. Nella sala di lettura c’è qualcosa che non va. Sparite di sicuro le sedie disegnate da Caccia Dominioni, anche designer rinomato con più di un Compasso d’oro nel palmarès. Al loro posto delle odiose poltroncine viola vomitevoli che perdipiù fanno a pugni con i pertinenti tavoli in legno ondivaghi. Originari credo, ma diligentemente mi sono portato nello zaino il libro citato prima curato da Alberto Gavazzi e Marco Ghilotti e lo consulto, sedendomi a uno di questi tre tavolini reduci, perché ricordo una bella foto dell’ariosa sala di lettura. Infatti, c’erano. Si sposavano bene con le eleganti sedie svanite. E nient’altro in giro. Durante il «riassetto degli spazi della biblioteca» come li hanno chiamati in una targhetta di plastica trasparente all’entrata, l’arredamento d’interni sarà stato appaltato a una ditta che ne ha fatto uno scempio. Non posso credere che i due architetti dell’ampliamento discreto del 2014 siano gli stessi autori di questo
inquinamento dello spazio. Prima non c’erano tutti questi mobili di metallo grigio topo che opprimono l’ambiente. La vista conquistata del Monte Disgrazia, attraverso l’unica ampia vetrata, è ammorbata da disgraziati autocollanti a forma di libri aperti che si spacciano banalmente per farfalle in volo, come annoto ora in matita tra le mie immediate impressioni della biblioteca Vanoni di Morbegno (262 m). Bella fuori non altrettanto dentro: non certo per colpa di Caccia Dominioni la cui vertiginosa tromba delle scale, nella Torre del Sapere, è un capolavoro assoluto a guardarla con il naso all’insù. «Ma vaffambagno» sbotta una bibliotecaria rivolta al suo computer. Esco sul davanti, in terrazza, per immergermi di nuovo nell’insuperabile superficie verticale e cilindrica dei ciottoli portati a valle dal Bitto che scorre impetuoso quissotto. Il greto di un torrente riportato pazientemente sulla facciata arrotondata di una biblioteca che sembra una fortezza, continua a essere, straordinaria notizia.
E qui Pinker chiama nuovamente in causa i numeri e le statistiche per dire che il progresso non è una questione di fede ma è un evento inconfutabile della storia umana. Ora, con Steven Pinker e le sue tesi si può essere in accordo o in disaccordo, ma è innegabile che una voce fuori dal coro come la sua induca a riflettere. Soprattutto se si unisce ad altre voci fuori dal coro che si distanziano dal discorso mainstream globale e prendono pubblicamente posizioni differenti su temi come la religione, la differenza biologica tra uomo e donna, la libertà di parola, la politica dell’identità, le nuove tecnologie e altre questioni attuali che investono l’individuo, la società, l’economia e la politica. Steven Pinker insieme ad altre personalità controcorrente del nostro tempo fa parte di un gruppo che si riunisce
su una piattaforma online chiamata «Intellectual Dark Web». Si tratta di un network di pensatori di diverso orientamento politico confinati ai margini del discorso e dei canali mainstream per il loro pensiero anticonformista. Mattia Ferraresi su «il Foglio» li ha definiti «una specie di carboneria digitale che cospira, senza un piano preciso, contro il mainstream ideologico». Il «New York Times» in una recente copertina li ha definiti «i Renegades del Dark Web» e «un’alleanza di eretici» che dovremmo chiederci se vale la pena stare a sentire. In molto già lo fanno sul Web dove gli intellettuali oscuri si muovono abilmente da tempo attraverso Youtube, i social media e il loro sito di riferimento. Vi garantisco che vale la pena dare un’occhiata: intellectualdark.website.
A due passi di Oliver Scharpf La biblioteca Vanoni a Morbegno L’esistenza di un edificio pubblico tutto rivestito di pietre di fiume è saltata fuori per caso. Un pomeriggio di pioggia, ordinando per tema, ritagli di giornale rimasti in giro e ritagliandone di nuovi da vecchie pagine di giornale tenute da parte. Come la pagina del «Corriere della Sera» di quindici anni fa, piegata in sei, dove ho riletto e ritagliato un articolo a proposito di un primatologo olandese che studia le scimmie prendere il tè. Stavo per appallottolare lo scarto del ritaglio e gettarlo a palombella nel camino, quando mi è caduto l’occhio sulle pietre di fiume nel titolo di un trafiletto sfuggito, nella pagina dietro, dedicato a Luigi Caccia Dominioni (1913-2016). Noto architetto milanese che ha passato tutte le vacanze d’infanzia e tutti gli anni della prima guerra mondiale a Morbegno. Paesone all’inizio della Valtellina dove, dopo un paio di corriere dal Ceresio al Lario, sto arrivando in treno. Tragitto breve ma storico visto che su questa tratta è un po’ nato, pare, il treno elettrico. Grazie
all’invenzione nel 1902 della linea elettrica trifase ad alta tensione dell’ingegnere ungherese Kálmán Kandó, in memoria del quale, al binario uno della stazione di Colico, c’è una targa in marmo a lettere dorate. La notizia straordinaria però per me rimane l’utilizzo delle pietre del Bitto per rivestire un’intera biblioteca costruita proprio lì, sulla sua sponda sinistra. Alla quale approdo superando il ponte con la statua di San Giovanni Nepomuceno, opera settecentesca niente male dello scultore ticinese Giovanni Battista Adami che raffigura il santo tipico dei ponti: gettato vivo nella Moldava dal ponte Carlo di Praga. La biblioteca ideata da Luigi Caccia Dominioni e dedicata a Ezio Vanoni – economista e ministro nato qui nel 1903 e morto a Roma per uno scompenso cardiaco a cinquantadue anni – vede la luce nel 1966. Eccola là, nascosta un po’ dagli alberi e contenuta nella curva del torrente che si chiama come l’antico formaggio per i pizzoccheri o la polenta taragna. Due muretti
La società connessa di Natascha Fioretti Gli intellettuali Dark del Web L’undici novembre scorso Steven Pinker è stato a Zurigo per presentare il suo ultimo saggio che negli Stati Uniti e in Inghilterra ha già fatto molto discutere. Enlightment is now è il titolo e fa riflettere su molte questioni care allo psicologo e neuroscienziato di Harvard secondo il quale non siamo mai stati bene come oggi, e a dircelo non è la fede o una strana convinzione ma fior fior di studi e di statistiche. Come ha raccontato durante il suo intervento alla TED Conference di aprile, se paragoniamo i più recenti dati con quelli di trent’anni fa, ci rendiamo conto di quanta verità risieda nelle parole pronunciate oltre mezzo secolo fa dal giornalista Franklyn Pierce Adams: «Nulla è così responsabile dei bei giorni andati come la cattiva memoria». I dati dicono che nel 2017 negli Stati Uniti il tasso di
omicidi era del 5,3% ogni centomila abitanti, il 7% della popolazione versava in povertà e 21 milioni di tonnellate di polveri sottili sono state immesse nell’aria. Nel 1998 invece il tasso di omicidi era dell’8,5% ogni centomila abitanti, il 12% viveva in povertà e le polveri sottili immesse nell’aria arrivavano a 35 milioni di tonnellate. Senza contare che c’erano più guerre, più dittature, armi nucleari e morti. Per Steven Pinker, questi e altri, sono segni inequivocabili di come il mondo stia migliorando e di come oggi vi sia maggiore benessere. Ma allora perché questo pessimismo dilagante nelle narrazioni dei media e degli intellettuali? Secondo quanto Steven Pinker ha rivelato in un’intervista alla «Neue Zürcher Zeitung» i media da tempo sono rei di offrirci una visione distorta
della realtà raccontandoci il più delle volte di un mondo là fuori che versa in una valle di lacrime. Chi si preoccupa di scrivere di tutte quelle persone che grazie al progresso vivono più a lungo? Chi racconta di tutti quei conflitti che si sono potuti evitare grazie al lavoro di istituzioni impegnate per la pace? La verità è che le società occidentali sono più ricche rispetto al passato e le persone più felici. Ma hanno paura di perdere quello che hanno conquistato e dunque tendono a concentrarsi sui pericoli piuttosto che sulle opportunità in gioco. E per quanto riguarda il pessimismo imperante di giornalisti, critici e intellettuali, il neuroscienziato di Harvard dice che è dovuto al loro odio per il progresso. Non ne odiano i frutti, di cui godono e approfittano volentieri, ma l’idea stessa di progresso.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Ambiente e Benessere La libertà di movimento? Il passaporto sembrava diventato un residuo del passato, ma potrebbe tornare di moda
Un monumento vegetale La storia evolutiva della quercia e la sua capacità di popolare zone dal clima molto differente
Profumo autunnale Una variante toscana dei ravioli senza pasta, con ricotta e funghi
Anche i cronisti sbagliano Nello sport è facile lasciarsi andare a commenti del momento e poi ricredersi
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Questione di cuore
Medicina Alla Clinica Hildebrand di
Brissago un percorso riabilitativo favorisce il processo di recupero e guarigione dopo un evento cardiovascolare
Maria Grazia Buletti Un piccolo dolore somatico che persiste anche dopo aver smesso di fumare, una visita dal medico di famiglia per un dolore toracico e l’elettrocardiogramma che mostra «onde anomale». A seguire: un’ecocardiografia dalla quale si desume che alcune zone del cuore sono pigre («ipocinetiche») e si contraggono male. La coronarografia mostra che due delle tre coronarie sono malate («stenotiche, con placche che ostruiscono circa il 70 per cento del lume»). «Per questo paziente c’è un’indicazione all’impianto di stent coronarico, mentre in alcuni altri casi bisogna ricorrere a un bypass»: il cardiologo Davide Girola si occupa di medicina riabilitativa cardiovascolare alla Clinica Hildebrand Centro riabilitazione Brissago e ci presenta l’esempio di un paziente oggi in percorso riabilitativo cardiaco. Di cuore, ne abbiamo uno solo, può capitare che non ci avvisi in anticipo quando fa le bizze: «Il paziente si ritrova in ospedale nel giro di 15 giorni per un intervento chirurgico che supera brillantemente, e giunge in riabilitazione dopo 4 o 5 giornate nel reparto acuto». La riabilitazione cardiologica accoglie pazienti reduci da un intervento di cardiochirurgia o da un episodio cardiaco acuto come, ad esempio, l’infarto del miocardio. Rari sono quelli che vi fanno capo in modo preventivo e in previsione di un intervento chirurgico che ha lo scopo di portare la persona al massimo della sua condizione affinché il periodo post chirurgico possa essere affrontato in modo ottimale. Possiamo definire questo periodo post-acuto come «la somma degli interventi richiesti per garantire le migliori condizioni fisiche, psicologiche e sociali in modo che i pazienti con cardiopatia cronica o post-acuta possano conservare o riprendere in mano la propria vita e il proprio ruolo sociale», afferma il cardiologo che sottolinea la dimensione multidisciplinare degli interventi riabilitativi, legata a
diverse figure professionali: cardiologo, altri medici consulenti specialisti, infermiere, fisioterapista, psicologo, dietista, nutrizionista. «La multidisciplinarietà è una condizione fondamentale per assicurare una cura integrata e complessiva del paziente che rimane l’attore principale, ed è necessaria per intervenire efficacemente sull’evoluzione della malattia cardiovascolare, migliorando l’aderenza ai trattamenti raccomandati nel tempo». Oggi la medicina riabilitativa cardiovascolare assume ancora più importanza a fronte dell’incremento della complessità clinica dei pazienti, della presenza costante di comorbilità (cioè la coesistenza di più patologie) e dell’invecchiamento della popolazione. «Inoltre, il nostro è un intervento importante per l’ottimizzazione della durata del ricovero in fase acuta, e permette di perfezionare risorse e appropriatezza di cura», puntualizza il dottor Girola sintetizzando così la moderna medicina cardiologica riabilitativa che per ogni caso non si riduce a un «training fisico», ma «si sviluppa attraverso un’accurata presa in carico con la valutazione diagnostica, la definizione della prognosi e il conseguente programma terapeutico riabilitativo per favorire il processo di recupero funzionale e di guarigione» che segue l’evento acuto o l’intervento chirurgico cardiovascolare. «Punto di forza della nostra presa a carico cardioriabilitativa è la stretta collaborazione all’interno di una rete professionale con il Cardiocentro Ticino: un approccio clinico e organizzativo che assicura proprio la continuità degli interventi clinici, fino alla prevenzione delle recidive». Recidive che potrebbero essere in agguato se il paziente non si responsabilizzasse sul percorso riabilitativo che vuole traghettarlo verso una corretta igiene di vita. «Il paziente che ha avuto una diagnosi precoce di malattia cardiovascolare è fortunato, ma la malattia cardiaca si fa viva quando di norma è tardi, anche se poi le capacità di recupero del
A livello mondiale le malattie cardiovascolari sono la causa principale di mortalità e di ricovero ospedaliero. (Marka)
muscolo cardiaco possono essere straordinarie». Dunque, insieme a una corretta pianificazione farmacologica per controllare eventuali fattori di rischio (come il diabete, per fare un esempio), l’esercizio fisico è il fulcro della riabilitazione cardiovascolare: «Un corretto esercizio aerobico (o di resistenza, come una camminata a ritmo sostenuto e la cyclette) svolto con regolarità (almeno 3 sedute settimanali di 30 minuti ciascuna) costituisce una vera e propria medicina preventiva in grado di ridurre la recidiva di malattia». Ecco gli obiettivi posti dinanzi ai pazienti: «Vogliamo prevenire o rallentare l’insorgenza delle malattie cardiovascolari, rallentare la progressione della malattia conclamata e migliorare la prognosi vitale dei pazienti, aiutare nel recupero delle posizioni guadagnate nella società e in famiglia con le migliori condizioni psicofisiche e orientare il paziente sulla malattia e sulla terapia». Tutto questo, dicevamo, attraverso un approccio terapeutico globale multidisciplinare che dovrebbe produrre i seguenti effetti: «Una riduzione della mortalità (soprattutto di morte im-
provvisa nel primo anno post infarto miocardico), il miglioramento della tolleranza allo sforzo, dei sintomi di angina e di scompenso, l’abbassamento del rischio cardiovascolare con conseguente migliore qualità di vita, il ritorno all’attività professionale e una maggiore autonomia funzionale con indipendenza e riduzione della disabilità». Considerando che a livello mondiale le malattie cardiovascolari sono la causa principale di mortalità e di ricovero ospedaliero (il medico le etichetta come big killer), dedichiamo l’ultima parte del nostro colloquio con il cardiologo a tutte le persone che possono soffrire di una particolare forma di cardiopatia, quella da stress e che secondo lo specialista sono soprattutto donne: «Un evento stressante oppure anche l’incapacità di sentire e adeguarsi alle proprie emozioni (fenomeno conosciuto come “alessitimia”), unito all’incapacità di dare un significato ai messaggi del proprio corpo, possono avere come esito un evento cardiaco». Così succede che, nell’ambito delle malattie cardiovascolari che meritano un percorso riabilitativo, da decenni è ricono-
sciuta anche la Sindrome di Tako-tsubo: «Si tratta della cardiopatia da stress che la cardiologia riconosce oramai come una malattia psicosomatica che diventa cardiologica per la sintomatologia identica agli eventi cardiovascolari». Ciò significa che i nostri avi erano saggi nel parlare di crepacuore: situazione dettata da stress, talvolta anche prolungati, che dovremmo imparare a gestire per la salute del nostro muscolo cardiaco, visto che non disponiamo di quello di scorta.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al cardiologo Davide Girola.
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Ambiente e Benessere
Trasferta a Big Smoke
Il lento viaggiare in corriera
Viaggiatori d’Occidente Storie di passaporti abbandonati e riscoperti
Bussole I nviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin
«È notte fonda e sono in viaggio. Dormo e sto sognando, o sono sveglio e sto fantasticando? All’improvviso apro un occhio e guardo fuori dal finestrino. Nel buio vedo solo un cartello stradale illuminato di sguincio dalla luce incerta dei lampioni: Cosenza 101 km. Felice come un impiegato del catasto il giorno prima della pensione, ripiombo nel sonno del giusto cullato dall’andamento lento della mia corriera notturna per Roma…».
Pxhere.com
Qualche tempo fa un amico che non vedevo da anni mi ha chiesto di passare a trovarlo. Adesso viveva – come diceva lui – a Big Smoke e non mi sarei pentito della deviazione, ne era sicuro. Alla fine incuriosito ho accettato di fare un salto. Big Smoke era stata un remoto avamposto dell’Impero romano ma i suoi fondatori non l’amavano molto per via del clima. Secoli fa gli abitanti del luogo, popolazione di navigatori, erano noti per la loro avidità e il coraggio in battaglia, grazie al quale fondarono un vasto impero. A Big Smoke le culture si incontrano e si mescolano: qui potete vedere un film in un cinema francese e poi cenare in un autentico ristorante italiano. Già sull’autobus, del resto, sento parlare le più diverse lingue e tra esse l’arabo, naturalmente. Intorno a me siedono uomini dalla pelle scura e donne con ampie vesti; alcune indossano il velo integrale (niqab), con solo una stretta fessura per gli occhi. Sui marciapiedi numerosi mendicanti e senza tetto chiedono l’elemosina. Davanti a una moschea decorata con piastrelle colorate i fedeli fanno la fila. Ora la situazione è più tranquilla, ma non molto tempo fa degli attacchi suicidi hanno seminato il terrore. «Benvenuto a Londra!». Così il mio amico mi accoglie alla fermata dell’autobus. Non ricordavo quanto questa meravigliosa città fosse multietnica e cosmopolita. Ma sarà ancora così in futuro? Per la Brexit è giunta l’ora della verità e la tensione è palpabile. Il giorno del mio arrivo quattro membri del governo May hanno rassegnato le dimissioni e forse non è finita qui; lo stesso Primo ministro potrebbe essere presto messo in discussione, anche con nuove elezioni. La notizia ha provocato un forte calo nel valore della sterlina e la quotazione delle banche è andata a picco. Fuori da Downing Street e Westminster decine di persone hanno manifestato. Per una curiosa coincidenza quando nel giugno 2016 il referendum vide prevalere di stretta misura (51,9 per cento) i favorevoli all’uscita dall’Unione europea, ero proprio nel Regno Unito, in navigazione tra le isole Orcadi e Shetland, e guardando in faccia i miei compagni di viaggio ebbi subito l’impressione che nessuno volesse veramente quel risultato. Ma il dado è tratto e ora siamo alle prese con le conseguenze di quelle scelte, in ogni campo. Naturalmente l’economia attira molta attenzione su di sé: le croci sulle
schede di 638mila britannici o lo 0,008 per cento dell’umanità – la differenza decisiva fra Remain e Leave – hanno messo in moto spostamenti di migliaia di miliardi su tutti i mercati finanziari del pianeta. Secondo l’ultimo indice Z/ Yen Global Financial Centres, la City di Londra non è più il principale centro finanziario del mondo, superata da New York. Ma le conseguenze saranno rilevanti anche per i viaggiatori. La mia carta d’identità italiana stropicciata è stata ancora accettata al controllo doganale dell’aeroporto, ma potrebbe essere l’ultima volta; poi servirà il passaporto, anche per gli inglesi diretti verso il continente.
L’obbligo del passaporto fu introdotto in Inghilterra solo durante la Prima guerra mondiale Quando nell’Ottocento gli inglesi cominciarono a sciamare per tutta Europa e nel Mediterraneo, nessuno possedeva un passaporto. Quando Phileas Fogg, l’eccentrico inglese creato dalla penna di Jules Verne, parte per Il giro
del mondo in ottanta giorni porta con sé un passaporto al solo scopo di permettere ai suoi compagni di club, con i quali ha scommesso una fortuna, di controllare l’itinerario effettivamente seguito, grazie ai diversi visti. L’obbligo del passaporto fu introdotto in Inghilterra solo durante la Prima guerra mondiale, per controllare i movimenti dei viaggiatori, e poi mantenuto. Prima del 1915 però il governo di Sua Maestà non richiedeva un passaporto per lasciare il Paese, né alcuno Stato europeo lo richiedeva per aprire le sue frontiere, tranne due Paesi notoriamente dispotici quali la Russia e l’Impero ottomano. Nel periodo tra le due guerre, lo scrittore Norman Douglas lamentava apertamente il «fastidio del passaporto» e il giornalista Charles Edward Montague ricordava con rimpianto il tempo quando «l’Europa era aperta ai piedi girovaghi… Tutte le frontiere erano spalancate. Si poteva vagare liberamente per il continente, come se fosse stato il proprio Paese. Moltissimi di noi avevano percorso Francia, Italia, Svizzera e Paesi Bassi per venti o trent’anni senza sapere che aspetto avesse un passaporto». Certo, questa libertà di movimento aveva anche dei risvolti di classe. Per esempio quando le gran di navi di
linea arrivavano a New York scivolavano accanto alla Statua della libertà per poi attraccare sul fiume Hudson. Lì, i passeggeri di prima e seconda classe sbarcavano dopo minime formalità, sbrigate a bordo, mentre solo gli emigranti più poveri venivano portati sulla vicina Ellis Island per essere sottoposti alla visita medica e al controllo dei documenti. La maggior parte di loro, comunque, veniva accolta, se oggi il 40 per cento della popolazione statunitense conta un antenato passato per Ellis Island. Con l’Unione europea, il passaporto sembrava diventato un residuo del passato, ma ora potrebbe tornare di moda. In attesa di capire come andrà a finire, le autorità inglesi hanno confermato che a partire da marzo 2019 il passaporto dei sudditi di Sua Maestà tornerà blu, com’è stato per sessant’anni, dal 1921 al 1981, quando l’Europa ha imposto il rosso porpora. Il parlamentare conservatore Andrew Rosindell ha affermato che «l’umiliazione di avere un passaporto dell’Unione europea sarà presto finita e i cittadini del Regno Unito potranno ancora una volta provare orgoglio e fiducia in se stessi e nella propria nazionalità quando viaggiano, proprio come gli Svizzeri». Ma non tutti condividono la sua soddisfazione…
Gli autobus gialli della Posta hanno un lato poetico che non sempre riusciamo a cogliere? Il nostro collaboratore Paolo Merlini ne è convinto. Il suo ultimo libro celebra proprio la felicità di chi si abbandona al viaggio lento e profondo in corriera: non i prestigiosi torpedoni azzurri (Greyhound) americani e neppure gli efficienti collegamenti internazionali di FlixBus, ma proprio le umili corriere di linea italiane, con le loro oscure sigle e le ancora più misteriose fermate mai chiaramente indicate. È un’idea di viaggio nuova, lungo le strade provinciali di un’Italia interna e commossa, attraverso colline, campagne e piccole città di nascosta bellezza. Un viaggio lento, profondo, autentico, lontano dal facile consumo turistico, srotolando chilometri, scoperte, incontri. Soprattutto i tanti volti restano nella memoria del viaggiatore perché la corriera è prima di tutto un contenitore di storie, una babele traballante e felice. A bordo si mescolano le voci di pendolari, commessi viaggiatori, operai, studenti universitari fuori sede, casalinghe, anziani, perditempo, squadre di calcio giovanili, immigrati… Alla fine viene inevitabilmente coinvolto anche il guidatore, informatissima guida turistica del territorio all’ombra di un severo cartello che inutilmente ammonisce: «Vietato parlare al conducente!» Bibliografia
Paolo Merlini, La felicità viaggia in corriera, Ediciclo, 2018, pp. 160, € 13.–.
Fiumi di parole Giochi Significanti, non significati, da concatenare
1. poeta – posta – posto – pesto – pesato – spesato – sposate – posate – posare – sapore – spore – sport – sporta – porta – porti – orti – erti – reti – resi – seri – servi – versi. Soluzione
6. numeri – preso – sapore – super – sarte – optare – ruspe – presto – osare – sorte – tersa – raspe – potare – porte – persa – polare – superi – sporte – stare – posare – spore – Sumeri – ostare – parole.
2. scuola – suola – suolo – suono – tuono – nuoto – noto – note – notte – netto – letto – lotte – cotte – conte – cento – vento – venti – eventi – esenti – tesine – lesine – lesione – lezione.
3. rosso – nero – rosa – amare – rospo –
5. ricchi – cenoni – cortei – canti – veroni – porti – ceroni – circhi – cenci – peroni – corti – cornei – santi – proti – cechi – sorti – cenni – proni – cerchi – noveri – sarti – ceci – conti – poveri.
3. rosso – rospo – raspo – raso – rosa – resa – reso – resto – serto – servo – nervo – nero – mero – remo – ramo – orma – erma – mare – amare – avare – avere – vere – verde.
2. scuola – venti – tesine – cento – lotte – note – cotte – lesine – suono – netto – noto – eventi – notte – letto – vento – tuono – lesione – suola – conte – suolo – nuoto – esenti – lezione.
4. vincere – censire – rendere – calore – polare – vendere – valore – celere – prendere – potere – colare – vedere – celare – sincere – tensore – volare – tenore – potare – pendere – velare – tepore – cedere – censore – perdere.
4. vincere – sincere – censire – censore – tensore – tenore – tepore – potere – potare – polare – colare – calore – valore – volare – velare – celare – celere – cedere – vedere – vendere – rendere – prendere – pendere – perdere.
1. poeta – sport – posate – orti – seri – porta – posare – spore – sposate – erti – posta – servi – pesto – reti – pesato – sapore – spesato – posto – sporta – porti – resi – versi .
reso – servo – avere – erma – resa – orma – nervo – raspo – resto – mero – ramo – vere – avare – serto – raso – remo – mare – verde.
5. ricchi – circhi – cerchi – cechi – ceci – cenci – cenni – cenoni – ceroni – cornei – cortei – corti – conti – canti – santi – sarti – sorti – porti – proti – proni – peroni – veroni – noveri – poveri.
Un interessante gioco, basato sui significanti e non sui significati lessicali, è il seguente, denominato fiumi di parole. Cercate di concatenare tutte le parole appartenenti a ognuno dei seguenti sei gruppi, in modo che da ciascuna di esse si possa passare alla successiva, mediante un anagramma, o un cambio o un’aggiunta o uno scarto di una sola lettera. Ogni catena deve iniziare con la prima parola del gruppo e finire con l’ultima. Quando sono possibili più passaggi, uno solo di essi consente di ricavare una soluzione valida. Si prenda in considerazione, ad esempio, il seguente gruppo: pentola – levate – dente – fesso – mesto – volante – fisco – levante – mente – tonde – menate – tende – venate – monte – volente – mento – fioco – messo – fisso –
valente – tonte – velate – ventola – fuoco. La soluzione è la seguente: pentola – ventola – volante – volente – valente – levante – levate – velate – venate – menate – mente – dente – tende – tonde – tonte – monte – mento – mesto – messo – fesso – fisso – fisco – fioco – fuoco.
6. numeri – Sumeri – superi – super – ruspe – raspe – persa – tersa – stare – sarte – sorte – porte – sporte – presto – preso – spore – sapore – posare – osare – ostare – optare – potare – polare – parole.
Ennio Peres
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Ambiente e Benessere
Erba della Pampas per un giardino country-chic
Il biologico e il naturale
Mondoverde Meravigliosi lunghi piumini che fluttuano
Laura Botticelli
La nutrizionista
rivestendo un importante ruolo scenografico
Gentile signora Laura, sono rimasta molto delusa dall’esito delle recenti votazioni federali sulle tematiche legate all’alimentazione, continuo a chiedermi perché i miei concittadini abbiano votato no. Dove andremo a finire di questo passo? Possiamo ancora fare qualcosa oppure è ormai troppo tardi? Sono interessata al suo parere, in quanto persona del settore. Mi scuso comunque per lo sfogo e la ringrazio se mi darà una gentile risposta. / Mara
Nella vasta famiglia delle graminacee, un gruppo di piante molto decorative, largamente utilizzate da qualche anno per caratterizzare terrazzi e zone verdi regalando una nota di prateria naturale, riveste un ruolo importante e scenografico: si tratta dell’erba della Pampas o Cortaderia solloana. Alta fino a due metri e mezzo e larga altrettanto, ha lunghe foglie molto strette, taglienti, verde glauco quasi grigio e meravigliosi pennacchi bianchi che svettano in alto ai lunghi fusti. Le foglie lunghe fino a un metro e mezzo, hanno un portamento ricadente e dal centro del grande cespuglio i lunghi piumini spuntano alla fine dell’estate, rimanendo belle e ornamentali fino all’arrivo della prima neve. A fine inverno si tagliano tutte le foglie e anche i piumini ormai sfioriti, ma prestando attenzione: questa operazione va eseguita infatti con l’ausilio di un buon paio di guanti robusti. In questo stesso periodo si possono moltiplicare tramite divisione delle radici: si sradicano le zolle e con una vanga ben affilata si creano due o più porzioni di radici, da interrare prontamente in altre zone del giardino o in capienti vasi. Se messa in contenitore, oltre a scegliere varietà nane, è consigliabile utilizzare un miscuglio in parti uguali di terra universale e torba, per rendere il substrato leggero e soffice.
Pxhere.com
Anita Negretti
L’erba della Pampas ama posizioni soleggiate e terreni drenati, concimazioni leggere in marzo e in settembre con prodotti a lenta cessione. Sono piante molto rustiche, resistenti e che difficilmente si ammalano se vengono rispettate le loro esigenze idriche, specie durante le estati più calde e se messe in vaso. Tra le varietà presenti sul mercato si trova facilmente la «Pumila» con pennacchi bianco-argento, «Rosea» dai fiori grandi e rosa intenso che con
il passare delle settimane diventano bianche, e la più rara «Scarlet Wonder», una varietà a marchio registrato, rosa molto intenso con un’altezza fino a 270 centimetri. In giardino possono venir piantate come esemplari unici, lasciando solo un po’ di prato intorno oppure in gruppi di tre o cinque piante se si dispone di vasti spazi, rispettando la distanza di un metro e mezzo tra le piante, per permettere un ottimo sviluppo.
Gentile signora Mara, la ringrazio per la fiducia, ma, sinceramente, non mi sento la persona giusta per entrare in merito all’argomento da lei richiesto. Non risponderò quindi a tutte le sue domande ma solo a una: «possiamo fare ancora qualcosa?» Di recente sono stata a una formazione il cui tema principale era proprio questo, e quindi mi permetto, qui, di proporle una breve sintesi. In 30 anni il «mondo del biologico e del naturale» è passato da un mercato di nicchia a un mercato di massa. Secondo indagini del 2007, nel mondo, erano coltivati a biologico circa 31 milioni di ettari da oltre 634mila aziende agricole. Se si considerano però i prodotti biologici spontanei – le cui superfici ammonterebbero, secondo stime, a circa 62 milioni di ettari – si raggiungerebbe un ammontare estremamente cospicuo di estensioni bio; si tratta di terreni che rispettano la natura sfruttandone la spontanea fertilità. Il bio è un modo di operare che favorisce l’esclusione di prodotti di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogami-
ci, insetticidi, pesticidi in genere) che inquinano, e di organismi geneticamente modificati (i famosi OGM). Questi dati continuano ad aumentare perché alimentati dal desiderio dei consumatori di rispettare maggiormente salute e ambiente; la domanda di prodotti biologici è in crescita – per fare un esempio, solo tra il 2000 e il 2011 c’è stato un +251% di vendita mondiale di prodotti biologici – inoltre è aumentata la sensibilità delle aziende nei confronti di processi produttivi «naturali». Quanto sopra è la premessa alla risposta che mi sento di darle qui di seguito. Noi consumatori abbiamo un potere immenso: se lei continua a comprare i prodotti in cui crede, siano essi biologici, del territorio, di qualità Svizzera, che rispettano gli animali e/o i coltivatori ecc. tutto questo ha un’importanza fondamentale perché da una parte sostiene i produttori che si sono impegnati in tale senso e dall’altra invita le grandi catene di distribuzione a continuare ad offrire questi prodotti, magari ampliandoli, perché naturalmente sono interessate a non perdere clienti e a renderli soddisfatti. Non mi resta dunque che augurarle buoni acquisti. Informazioni
Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch Le precedenti puntate della rubrica e altri interessanti quesiti su temi nutrizionali si trovano sul sito: www.azione.ch Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Ambiente e Benessere
La forza della quercia
Alberi Un monumento vegetale con un profondo significato simbolico per le vicende umane
e la storia forestale dell’Europa Alessandro Focarile, testo e foto Dal «dub» in russo al «duir» in irlandese, le querce hanno marcato la vita umana da oriente a occidente attraverso molti secoli di storia: su suoli asciutti e soleggiati la rovere (Quercus petraea), e su quelli tendenzialmente umidi la farnia (Quercus pedunculata). Le due querce hanno costruito il fondamento della foresta europea di latifoglie, che ha popolato l’Europa dagli Urali all’Irlanda. Non dimentichiamo che l’attuale Gran Bretagna ha cominciato a staccarsi dal Continente all’incirca 450 mila anni fa, dopo lo straripamento di un lago glaciale aveva dato inizio ad una lenta erosione della dorsale di gesso che univa il sudest dell’Inghilterra al nord-ovest della Francia. Ricordiamo che la Manica attuale è profonda soltanto 200 metri, ciò che crea la possibilità di un popolamento arboreo continuo attraverso migliaia di chilometri. Più a sud erano già presenti da lungo tempo altre specie di querce: il cerro, la roverella e il leccio, documentando la presenza di climi più miti. E, infine, nella regione mediterranea la quercia da sughero, quella coccifera, e il farnetto. Nel loro insieme, le querce sono diffuse nelle zone con clima temperato (Eurasia, Nord-America); in quelle con clima mediterraneo, (Europa, California); e nelle zone montuose tropicali (Indonesia, Himalaya, Messico). Sono conosciute attualmente circa 600 specie, cinque delle quali presenti nel Cantone Ticino. Il doppio di quelle comprese nel genere Salix.
Attraverso la storia, le querce hanno avuto per i popoli un ruolo del tutto particolare nella vita economica, sociale e religiosa Per il loro sontuoso portamento ricco di fogliame, le querce erano venerate dagli uomini sin dai primordi della civiltà in Europa. Erano «l’Albero», e le loro foreste più belle erano consacrate alle divinità, perciò intangibili. Alberi dedicati a Giove, il padrone dei fulmini, lo ricorda già il Boccaccio (1313-1375), e a Thor, il dio degli antichi Germani, le querce furono anche le prime chiese, perché alla loro ombra si radunava il popolo per recitare preghiere, per costituirsi in assemblee e per apprendere
II coleottero sigaraio Attelabus nitens, su querce e castagno.
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
la sapienza degli anziani. Le loro erano selve protette, per un inconscio residuo dell’antica reverenza religiosa che fino all’alto Medioevo la quercia ispirava ai popoli europei. Attraverso la storia, le querce hanno avuto un ruolo del tutto particolare nella vita sociale, religiosa ed economica dei popoli. Dopo la definitiva ritirata della calotta glaciale scandinava, il cui limite meridionale raggiungeva l’attuale Berlino, l’Europa era ricoperta da un’ininterrotta foresta. Uno sfruttamento selettivo (oggi si definirebbe «selvicoltura») del bosco da parte dell’uomo, che privilegiava la quercia a scapito di altre specie (tigli, olmi, faggi) portò la quercia ad essere l’albero più comune e caratteristico della foresta centro-europea. Ma, più a sud, questo albero venne sacrificato per fare posto al castagno, albero grandemente favorito dai romani. Sino a oggi, in Italia 780mila ettari di castagneti hanno sostituito la quercia nel corso di molti secoli. Geneticamente, il nostro albero è un’essenza «giovane». La sua storia evolutiva è documentata dall’elevato numero di specie e dalla sua capacità di avere popolato zone climaticamente molto differenti, come si è detto. Nel corso del tempo, le querce hanno creato un «ecosistema» particolare, complesso e variato. Tale è la ricchezza e la varietà delle relazioni e delle interdipendenze che il querceto alberga, offrendo cibo, dimora e protezione a un elevato numero di organismi vegetali e animali. Soltanto nei querceti europei sono conosciute oltre 300 specie di insetti, e 30 specie di licheni. Le foglie ospitano le galle di oltre 30 specie di minuscole vespe e di moscerini galligeni. Dalla ricca chioma e dai tronchi fino all’apparato radicale, dai coleotteri sigarai (foto) fino ai tartufi. Una vasta e complessa comunità di funghi, di muschi, di licheni, fino alle essenziali micorrize. Dal coleottero ptiliide di 1,5 millimetri al cervo che può pesare fino a 130 chili e divora oltre un chilo di fogliame al giorno. Tutto questo immenso mondo vivente dipende dalla quercia. Vive nel legno, sulle foglie, sotto le cortecce e nello strato al suolo: la lettiera. Fino a creare una complessa rete di rapporti tra produttori primari, demolitori e trasformatori della materia vegetale viva e morta. Con la formazione di numerose e insospettabili «nicchie ecologiche», di dimensioni minime, come sono le raccolte di acqua piovana nei buchi dei tronchi, popolate da una fauna del tutto specializzata. Gli incendi hanno poco effetto sulle querce, il loro forte contenuto di tannino rallenta la combustione, e i polloni (i cosiddetti «succhioni») possono conoscere una forte proliferazione dopo l’incendio, e producono importanti arricchimenti clonali: dove è passato l’incendio, la quercia esprime una forte rinnovazione. Le querce hanno perfezionato, nel corso della loro lunga storia evolutiva, un sofisticato meccanismo di difesa chimica che le aiuta a proteggere i germogli dai bruchi defogliatori. Durante la primavera, man mano che le foglie si sviluppano, l’albero produce rilevanti quantità di tannino, alcaloide il quale non soltanto ha un gusto sgradevole (e già di per sé repulsivo), ma riduce anSede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Un bell’esemplare di rovere al bosco della Motela.
che la digeribilità delle proteine contenute nelle foglie, ed essenziali per lo sviluppo dei bruchi. Quando la stagione avanza, aumenta il quantitativo di tannino. La co-evoluzione fogliainsetto è così ben congegnata che i bruchi iniziano la loro attività alimentare precocemente in primavera, prima che si sviluppi l’aumento di tannino, e in tal modo le foglie sono meno tossiche! Uno degli insetti defogliatori sulle querce è la farfalla Lymanthria monaca. Le periodiche infestazioni sono efficacemente combattute da un vistoso coleottero (v. «Azione» del 12.1.2012) la Calosoma sycophanta, che è in grado di ridurre in maniera significativa il numero dei bruchi. Interessante è rilevare che dove il castagno ha sostituito la rovere, la limantria ha attaccato il primo albero, come è avvenuto anni or sono nel Bellinzonese, quando estese superfici di bosco avevano assunto i colori autunnali nel corso della primavera. Molto precocemente l’uomo ha agito sulle selve primitive, e i suoi interventi hanno costituito un fattore ecologico di primaria importanza. Come i fattori climatici e quelli legati alla natura dei suoli forestali (pedologia). Da diversi millenni, l’uomo e il bosco combattono aspramente per l’occupazione del territorio. Il manto silvestre, che vediamo attualmente in Europa, rappresenta soltanto una ben modesta
testimonianza sopravvissuta a questa lotta. Una conseguenza decisiva del glacialismo del Quaternario è stata la considerevole diminuzione delle specie arboree presenti in Europa. La ricca flora dell’era Terziaria, testimonianza di un clima ben più caldo, era stata ricacciata verso sud a causa del freddo, vedendo sbarrato il cammino di espansione dalle Alpi, dai Pirenei e dal Mediterraneo. Nulla di paragonabile con le ricche flore di clima temperato presenti nell’Estremo Oriente e in Nord America, dove le migrazioni si sono avvicendate e sviluppate senza ostacoli geografici. Alcune specie di alberi hanno potuto creare caratteristiche concorrenziali tali da assumere aspetti di dominanza sulle altre specie nell’ambito di un bosco. Si sono sviluppate perciò le faggete, i querceti, le pinete, le abetaie, e i lariceti a scapito delle specie minoritarie: olmi, aceri, tigli, frassini, sorbi. Nell’Europa centrale, tra il ’700 e l’800, un’incisiva politica selettiva attuata dall’uomo, aveva visto la realizzazione di estese piantagioni di abete rosso (Picea abies), una nuova forma di gestione del bosco a favore di un albero in passato estraneo all’ambiente. Fino al 1850, e cioè prima dell’utilizzo industriale del «carbone di terra» nei Paesi che possedevano i giacimenti, l’unica fonte di combustibile era il «carbone di legna», utilizzato in larga scala per
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
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Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
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Pollini di rovere. Da Walter-Straka. (Elaborazione grafica di Alessandro Focarile)
la fusione dei metalli, nelle fabbriche di vetro e per il riscaldamento, causando un drastico impoverimento del bosco. E prima di questa rivoluzione industriale erano state principalmente le querce a farne le spese. «Forte, longeva e generosa» (Mario Rigoni Stern, 2003). Bibliografia
Luigi Fenaroli, Gli alberi d’Italia, Martello Editore (Milano), 1967, 320 pp.; Richard Lewington & David Streeter, The Natural History of the Oak tree, Dorling Kindersley (London-New York), 1993, 60 pp. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Ambiente e Benessere
Gnudi di ricotta con funghi saltati e burro alla salvia
Migusto La ricetta della settimana
Primo piatto Ingredienti per 2 persone, circa 8 pezzi: 200 g di ricotta · 30 g di parmigiano
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
grattugiato fresco · 1 tuorlo · 20 g di farina · ¼ di limone (solo la scorza) · sale · pepe · noce moscata · 150 g, ca. di farina per spätzli o semola di grano duro · 300 g di funghi misti, ad es. cardoncelli, champignon, shiitake · 2 c. d’olio d’oliva · 50 g di burro · 3 rametti di salvia · qualche foglia di barba. 1. In una scodella versate la ricotta, il parmigiano, il tuorlo, la farina e un po’ di scorza di limone grattugiata finemente. Condite con sale, pepe e noce moscata e mescolate fino a ottenere un composto omogeneo. Cospargete di semola di grano duro un piatto da portata e sulla superficie di lavoro. Con la massa formate otto quenelle uniformi, aiutandovi con due cucchiai. Quindi fatele rotolare nella semola. Modellate le quenelle con cura e formate delle palline. Accomodatele nel piatto. Cospargetele di semola e fatele riposare in frigo per 8-10 ore senza coprirle. 2. Mondate i funghi. Tagliate a fette i funghi grossi e lasciate interi quelli piccoli. Rosolateli nell’olio per qualche minuto. Conditeli con sale e pepe. Fate fondere il burro in un tegame. Unite le foglie di salvia e rosolatele finché non diventano croccanti. 3. Nel frattempo, liberate gli gnudi dall’eccesso di farina e cuoceteli in acqua salata per circa tre minuti. Aggiungete due cucchiai di acqua di cottura al burro e salvia. Estraete gli gnudi con una schiumarola e versateli nel tegame. 4. Conditeli bene e serviteli con i funghi, le foglie di barbabietola e le scaglie di parmigiano.
Preparazione: circa 20 minuti + ammollo tutta la notte. Per persona: circa 44 g di proteine, 59 g di grassi, 101 g di carboidrati,
1140 kcal/4750 kJ.
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Tra giornali, giornalisti e giornalai 25
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Sport I fragili equilibri su cui36si dipana la critica 37 in ambito sportivo 38
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5 Giancarlo Dionisio Si fa in fretta a passare da eroe a traditore, da genio a imbecille. E viceversa. Questo vale, per rimanere nell’ambito sportivo, sia per atleti e allenatori, sia per i giornalisti. Per chi pratica sport a livello professionistico, il confine fra il bene e il male è molto sottile. Pensate a cosa è stato detto e scritto giovedì 15 novembre, l’indomani dell’imprevedibile sconfitta della Nazionale elvetica di calcio, a Cornaredo, contro il Qatar. Il selezionatore Vlado Petkovic, così come i suoi ragazzi, sono stati fatti a pezzi, sia dalla critica ufficiale, quella che si manifesta attraverso i Media tradizionali, sia dalla vox populi. Molti addetti ai lavori, ma anche parecchia gente comune si è ritrovata a pronunciare frasi del tipo: «io lo avevo detto che quello lì non era al posto giusto», «è un sopravvalutato», «la squadra non ha gioco, non ha idee», «non se ne può più di questi giocatori che manco escono dal campo con la maglia sudata». Passano quattro giorni e i Rossocrociati scendono in campo a Lucerna, alla caccia della vittoria di gruppo nella neonata Nations League e della conseguente qualificazione per le Final Four, in programma nel giugno del prossimo anno in Portogallo. L’impresa non è facile. Avversario della nostra Selezione è il Belgio, terzo ai recenti mondiali in Russia, e primo nel Ranking FIFA. Dopo 17’ la Svizzera è sotto di due gol. Normale. Contro una squadra che schiera stelle di caratura mondiale come i fratelli Hazard, Mertens e Courtois, c’è poco da fare. Tanto più
Giochi Cruciverba Tra amiche: «Maria, se cerchi un uomo che sia paziente e curato…» Scopri il resto della frase leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere evidenziate. (Frase: 5, 2, 3, 4, 2, 8)
(N. 43 - L’orca e il coccodrillo marino) '
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C A C 3 C I 8 I D 3 2I N E S R 7I 6 V A 1
( N. 44 - ... ma nell’avere nuovi occhi) 1
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quattro giorni. Da parte di chi lo aveva flagellato sui social e nei bar. Da parte di chi lo aveva crocefisso, anche sulle pagine dei media tradizionali. Inten8 5ci può stare. Il cambiamento diamoci, di prospettiva e di opinione è segnale di elasticità e di vivacità mentale. 7 Questa virata a 180 gradi viene vista con autoindulgenza da 6 3parte degli stessi naviganti da social, ma non viene perdonata ai rappresentanti dei 4 come media, ai cosiddetti «giornalai», vengono definiti sovente con disprezzo, i quali, a detta di molti fruitori,9dovrebbero limitarsi a raccontare i fatti. 8 dovendo giustificare 1 Ecco quindi che, l’imbarazzo scaturito dalla prestazione 6 stellare dei Rossocrociati, e non potendo esimersi dall’esaltarla e magnificarla, l’osservatore 1 5 medio sfoga 4 la sua frustrazione (così immagino) per le sue precedenti errate valutazioni, su 7 di giudizi sbachi invece, secondo lui, gliati non ne dovrebbe fornire. Semplicemente perché il giornalista non ne avrebbe il diritto. Troppo facile metterla via così. Il pubblico può permettersi di distruggere e di ricostruire, 6 2 di criticare e di osan9 nare, e i giornalisti no? Non ci sto. Rivendico 7 1il diritto alla5critica, all’errore, e, se necessario, al mea culpa. Dopo la disfatta contro il Qatar era lecito met2 tere a nudo le pecche della squadra, in modo anche pesante, sia pure nel rispetto delle buone maniere. Così come dopo il trionfo contro il Belgio era più che doveroso 2 togliersi il cappello e inchinarsi, per rendere omaggio a una delle 4 prestazioni5più esaltanti della Nazionale Svizzera. Tutti: tifosi, giornalisti… e giornalai.
N. 42 MEDIO
O R D A D E A L E 6 I O D O O F E L R U B 7I A C R A A 3 N A 5
S T E A O S L I I D L I L E V O M A I N R R O
N. 43 DIFFICILE M A N I E R O della pausa. Nel secondo tempo tutto pubblico dell’Allmend di tributargli la O L E D E L continua a girare come se la Nati fosse meritata standing ovation. E così, un rasotto incantesimo. La porta belga viene gazzo che un anno prima aveva lasciato ' T Jakob Park V di IBasileaSsommerI profanata una quarta volta, da Nico El- L il Sankt vedi, che riscatta l’errore commesso in so dai fischi, nel giro di un’ora, si ritrova T 7O occasione della prima rete degli ospiti,O nei panniG di un A eroe. T e una quinta di La memoria è di per sé labile, in 13 volta 14 a opera 15 16 Haris Se7 O 5di più.4R E N I ferovic. È la terza rete personale per l’at- ambito V sportivo E Nlo èTancora taccante del Benfica, che faceva parte «Vlado è un grande»; «nessuno sa leg18 della straordinaria nidiata di talentiC gere di lui»; «Shaqiri Ule partite L meglio T O S èA V I O che nel 2009 aveva conquistato il titolo un fenomeno»; «Xhaka è il regista dimondiale U17. Pochi secondi prima delO fensivo D ideale»; I O«Con Seferovic C 6abbiaE 8T O I triplice fischio finale, Mister Petkovic mo trovato il bomber che cercavamo». 23 lo toglie dal campo per consentire al Ovvero: come rimangiarsi la parola in S U D W A L T 9C 4D per - Novembre A Giochi A “Azione” G 50 H I AZIONE F2018 O- NOVEMBRE Ril cruciverba M 72018 E 5con Vinci una delle 3 carte regalo da franchi SUDOKU PER
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7 che gli Elvetici palesano lo stesso8atteggiamento abulico e irritante della parti9 10 aspettata precedente. «Ce lo si poteva re»; «lo si sapeva che Petkovic le partite da dentro o fuori le 11 sbaglia tutte»; «del resto, con quella squadra, dove vuoi che si arrivi». Tutto 12 ciò per citare solo una minima parte di ciò che il senso della decenza17concede di scrivere su questa pagina. Poi però, alla mezz’ora, la svolta, il crescendo, il miracolo. Rodriguez20 19 trasforma il calcio di rigore dell’1 a 2. Nel sacco ci finiscono pure i palloni del 21 22 pareggio e del sorpasso, ancora prima
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Stefania Sargentini
e una delle 2 carte regalo da 50 franchi 3 con9 il sudoku 1 41 FACILE (N. 45 - “... fatti un bel giro in ospedale!”) (N. 42 - Le valli, i monti innevati, ilN. sangue dei patrioti) 1
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Schema L E V 8 Sudoku 7 8 A L I 7 Soluzione: N A T I 3 2 9 Scoprire I N i 3A N 3 20 4 numeri 2 corretti D C da 6 1 inserire 9 nelle3 I colorate. A L caselle 7 2 3 1 30 9 N G U 7 35 4 8 6 5 I N O P 38 1 A R I A
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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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VERTICALI 1. È formata da trefoli 2. Sono senza voce 3. Nelle torte e nel timballo 4. Un frutto 5. L’attrice Valle 6. Pronome personale 7. Isola dell’oceano Atlantico settentrionale 8. Si adatta alle circostanze 10. Ubriaconi 13. Lo sono i russi 15. Scrisse Il Corsaro Nero (iniz.) 17. Depongono le uova 18. Antico strumento musicale 20. Sommo ingegno 21. Grappolo ripulito 23. Frivola, superficiale 24. Responsabilità
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T O N. 44 M GENI A R 28 T91 11 4 E6 O B A N 3 4 14 15 A T NI A S E T1N 6 5 E S A 18 9 7 O L OD G L E A 3A 74 2 20 R T A V A NOI O G 1 I8 I I 5 3 9 8 1 2 5 6 23 24 R I V I F E U (N. 43 - L’orca e il coccodrillo marino) 27 28 N. 42 MEDIO MD PA IC A S PT E A N 4 T7 ' L'A8O 5R 7 9 8 31 L E 7 CP A A O ST 6 3I SD EI A A I 6 O5 2 9 8C I O 6 D O 3 C I L I 8 34 35 P R D T U O E O F E L I D I D 7 3 7 3 2 4 O R U B I N 37 1 8 9 I 6L I O D 8 AI CSE1 S L EE V A I 9 4 3 3 62 R A S O2 M A 3 7 6 26. Nota musicale 4
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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ORIZZONTALI 1. Destino, sorte 4. La Colombari 9. Un disco in cielo 10. Vieta l’accesso ad un gruppo in rete 11. Il trasteverino... 12. Un avverbio 13. Fiume francese 14. Monete rumene 16. Esperta di vini 18. Ultimo ad Harvard 19. Nome maschile 20. In molti cocktail 22. In quel luogo... poetico 23. Concesso dal sovrano al vassallo 25. Vasti, spaziosi 27. Terreno fangoso e melmoso 29. Congiunzione 30. Cortile delle case spagnole 31. Articolo spagnolo 32. Pari di grado 34. Possessivo 35. Anagramma di rio 36. Serie di avventure e peripezie 37. Un tratto dell’intestino
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R N 1 A 5 4 I I N A V A R R O 1 Soluzione della 7 settimana precedente
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3 8 6 N A 6 4 2 2 1B 59 1 5 7 E9 7 I3 4 3 1 S T 8 6 5 5 2O 4 7 7 9 8 O N O 5 3 6 3 2 E 9 4 L1 8 1 7 26 4 O R 2 5 1 9 I8 61 4 2 7 3 L E O 5 3 6 8 2 7 6 4 5 1 9 5
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27. Pasticcio di27carne 28. È grasso per natura 5 1 4 9 8 2 7 6 3 5 33. Le iniziali dell’attore Sutherland SAGGE VERITÁ – Il viaggio verso la scoperta non consiste nel cercare nuovi Due d’olio paesaggi… : … MA NELL’AVERE NUOVI OCCHI ( 35. N. 44 - ...gocce ma nell’avere nuovi occhi) N. 43 DIFFICILE
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M A O 7L I vincitori 10 ' 7 L' T 11 Vincitori del concorso Cruciverba 7 5 4O 13 14 15 16 su12«Azione 46», del 12.11.2018 V A. Guglielmetti, R. Tosello, 18 6 8C 4U F. Ossola 20 O D Vincitori del concorso Sudoku 22 su «Azione 46», del 12.11.2018 23 5S U 24 D. Varone, G. Morinini 3 9A 1 8
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(N. 45 - “... fatti un bel giro in ospedale!”) N. 44 GENI Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 1 2 3 4 5 6 7 8 9 7 I vincitori 4 8 2saranno 6 3 avvertiti 5 1 9 6T Odel5 partecipante 1 A R TdeveI NdeiApremi. soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, F A email M 9 nell’apposito 10formulario 11 pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori sarà 1 4 N U F 7O B A E R B 6 1 2 5 3 7 8 9 4 sulla pagina del sito. Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 12 13 14 15 3 1 4 9 6 2 7 5 o 3Non Nsi 4intratterrà O S corrispondenza E N N A I 5 8esclusivamente Partecipazione postale: la lettera suiL Eriservata a lettori che 16 17 18 9 6 1 3 7 8 5 5 escluse. E NLeO L O sono G A LNon A Srisiedono T 2 4in Svizzera. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. vie7legali 19
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Politica e Economia Nervi scoperti per Taiwan Gli Stati Uniti riprendono la vendita di armi a Taiwan e la Cina non gradisce
Scandalo Facebook Un’inchiesta del «New York Times» svela i movimenti segreti di Facebook nel caso Cambridge Analytica e il suo tentativo di screditare i critici più accesi, come il celebre filantropo liberal George Soros pagina 27
Ora è il turno di Londra Theresa May vince l’ultima manche nel difficile negoziato con la Ue ma a metà dicembre l’aspetta al varco il voto di ratifica di Westminster
Urge ridurre il CO2 Anche la Svizzera può e deve fare di più per rispettare gli accordi di Parigi sul clima
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La nuova Guerra fredda Usa-Cina Vertice Apec L’organizzazione
internazionale dei 21 Paesi che si affacciano sul Pacifico ha registrato l’ennesimo scontro tra Pechino e Washington. Uno dei più violenti finora proprio alla vigilia del summit G20 di Buenos Aires a cui parteciperanno anche Donald Trump e Xi Jinping
Lucio Caracciolo Il 1. dicembre, in una sala del miglior ristorante di Buenos Aires, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, incontrerà il suo omologo americano Donald Trump. Sarà un’occasione importante per verificare lo stato delle decisive relazioni fra il Numero Uno a stelle e strisce e il suo sfidante cinese. La rivalità fra le due potenze ha raggiunto negli ultimi anni un’intensità senza precedenti. Secondo Washington, Pechino ha approfittato da quarant’anni dell’apertura americana, che ha fra l’altro permesso l’ingresso della Repubblica Popolare nel Wto (2001), senza concedere nulla in cambio. La Cina si è servita a man bassa delle tecnologie made in Usa, talvolta rubandole, e ha manipolato la sua moneta per favorire le esportazioni. Ha ottenuto che alcune fra le più importanti aziende statunitensi installassero sul suo suolo rami produttivi e pezzi rilevanti della loro catena del valore, a scapito dei lavoratori americani – che infatti hanno votato Trump puntando sulla sua dichiarata volontà di riportare a casa fabbriche e imprese di servizi. Washington ha inoltre concesso tariffe molto basse per le merci cinesi. In cam-
bio, i governi americani speravano che almeno si avviasse un processo di liberalizzazione, di apertura e in ultima analisi di democratizzazione della società e dello Stato cinese. Niente di tutto questo. Semmai il contrario. Da quando Xi Jinping ha scalato prima il partito – di cui è diventato segretario generale nel 2012 – poi lo Stato (di fatto subordinato al partito), assurgendo l’anno dopo alla presidenza della Repubblica, il rapporto è vistosamente peggiorato. Xi ha avviato un robusto progetto di «risorgimento» del Dragone che dovrebbe culminare nel 2049, centenario della nascita della Repubblica Popolare Cinese, con l’affermazione del suo Paese come principale potenza mondiale. A riscattare il secolo del declino, avviato negli anni Quaranta-Cinquanta dell’Ottocento con le guerre dell’oppio, con la penetrazione delle potenze occidentali nell’Impero del Centro, e con la conseguente frammentazione geopolitica da cui solo cent’anni dopo con Mao, fondatore della «dinastia rossa», la Cina ha cominciato a riprendersi. Il marchio di questa strategia sono le «nuove vie della seta». Un progetto di sviluppo infrastrutturale Asia-Europa, centrato sulla (e largamente sovvenzionato dalla) Cina. Così almeno sulla
Il vice presidente Usa Mike Pence davanti ai giornalisti al termine del vertice Apec a Port Moresby, Papua Nuova Guinea. (AFP)
carta. Nella realtà, una sorta di controglobalizzazione alla cinese, destinato a proiettare l’economia e la potenza di Pechino negli Oceani, a oggi controllati dalla Marina statunitense, e lungo la massa continentale eurasiatica. Grazie a questo marchio Pechino sta costruendo attorno a sé una sfera d’influenza asiatica. Qui però incontra la crescente resistenza americana, materializzata in una strategia di contenimento imperniata sul Quad – un’intesa fra Stati Uniti, India, Giappone e Australia – e destinata a impedire la materializzazione di un nuovo impero cinese. In Asia e non solo. Di questo scontro l’ultimo episodio è stato il recente vertice Apec – l’associazione delle principali economie dell’Asia-Pacifico – tanto
che alla fine non si è riusciti a varare un comunicato finale congiunto fra tutti i paesi. Il vertice ha seguito di pochi giorni quello che alcuni hanno ribattezzato come «nuovo discorso di Fulton», ricordando il discorso pronunciato da Churchill nel 1946 con il quale l’ex premier britannico denunciava la «cortina di ferro» Stettino-Trieste e di fatto apriva la Guerra fredda. A pronunciarlo, il vice di Trump, Mike Pence. Nel quale, insieme alle più gravi accuse lanciate alla Cina, si invitavano i paesi della regione a non accettare investimenti cinesi per non finire strangolati dal debito verso Pechino e venire quindi inghiottiti nell’impero cinese. Tutto ciò ha scatenato in Asia e non solo una gara fra gli altri paesi coin-
volti nelle vie della seta per ottenere il massimo dalla competizione fra i due arcirivali. Essenzialmente puntando a mantenere e sviluppare i rapporti economici con Pechino e a garantirsi l’ombrello di sicurezza offerto – non gratuitamente – dalla superpotenza a stelle e strisce. È il caso del Giappone, che da un lato rilancia il rapporto con la Cina a causa della forte integrazione economica e commerciale, dall’altro non rinuncia alla protezione americana. Comunque vada l’incontro di Buenos Aires, la sfida sino-americana è destinata perciò a segnare il futuro del pianeta per i prossimi decenni. È consigliabile per tutti, europei compresi, allacciare le cinture di sicurezza. Perché da questo duello dipende il futuro di ciascuno di noi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Politica e Economia
Cina-Taiwan, si aggrava il confronto Mar cinese meridionale Lo status politico dell’isola continua ad essere un nodo non risolto, fondamentale
in ogni possibile strategia di contenimento della Cina da parte degli Stati Uniti
Beniamino Natale Gli Stati Uniti hanno ripreso la vendita di armi a Taiwan su vasta scala, la Cina ha risposto minacciando l’isola e intensificando la campagna internazionale per il suo isolamento. Dal canto loro i taiwanesi hanno espresso la loro opinione in modo piuttosto chiaro: tra i dieci referendum che sono stati recentemente proposti ai circa 19 milioni di elettori dell’isola c’è uno che ha provocato una rabbiosa reazione da parte di Pechino: quello, solo apparentemente innocuo, sul cambiamento del nome con il quale l’isola parteciperà alla prossima edizione delle Olimpiadi a Tokyo nel 2020, dall’attuale «Chinese Taipei» a «Taiwan». Il referendum è stato lanciato da un comitato del quale fanno parte sia politici indipendentisti che esponenti della cosiddetta «società civile», tra cui Chi Cheng, la prima atleta taiwanese ad aver vinto una medaglia alle Olimpiadi (quelle del 1968 a Città del Messico). «Dopo più di tre decenni di democrazia – ha affermato Chi – la maggior parte della gente ora pensa che il nostro
nome sia “Taiwan” e che continuare ad usare “Chinese Taipei” nella partecipazione agli eventi olimpici, non rifletta veramente il fatto che rappresentiamo Taiwan e non la Cina». Yoshi Liu, portavoce del Team Taiwan Campaign for the 2020 Tokyo Olympics, ha spiegato: «vogliamo cambiare il cosiddetto modello olimpico che ha posto per tanto tempo una serie di restrizioni alla nostra partecipazione alle manifestazioni sportive internazionali». «Il problema di Taiwan riguarda la sovranità e l’integrità territoriale della Cina», ha replicato il ministro della Difesa cinese Wei Fenghe. «Se qualcuno vuole separare Taiwan dalla Cina – ha aggiunto – le Forze Armate cinesi prenderanno le misure necessarie a qualsiasi costo». Taiwan fu ceduta dalla Cina al Giappone nel 1895 dopo la guerra tra i due paesi asiatici. Tornò sotto la sovranità cinese nel 1945, dopo la sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. Nel 1947 le truppe del Kuomintang, il partito nazionalista che governava la Cina, uccisero migliaia di persone che manifestavano contro la dittatura che era istituita sull’isola. Due anni dopo, sconfitto sulla terra-
ferma dai comunisti di Mao Zedong, fu lo stesso leader del Kuomintang, Chang Kai-Shek, a trasferirsi sull’isola con quello che era rimasto del suo esercito. Chang governò con un pugno di ferro che non aveva nulla da invidiare a quello usato da Mao a Pechino. La comunità internazionale, USA in testa, riconobbe il governo di Taiwan, che aveva assunto il nome di «Repubblica di Cina» (in opposizione alla Repubblica Popolare di Cina fondata da Mao) come entità sovrana su tutto il Paese. Una forzatura che durò fino al 1971 quando, dopo il riavvicinamento tra Cina e USA, la «Repubblica di Cina» fu espulsa dalle Nazioni Unite e il seggio cinese fu assegnato alla «Repubblica Popolare». L’impasse diplomatica nella quale ci si trova oggi deriva da quelle decisioni. Allora sembrò «naturale» assegnare Taiwan alla Cina – che era una delle potenze vincitrici della guerra – togliendola allo sconfitto Giappone. La decisione fu presa sulla base dell’errata convinzione che i nazionalisti avrebbero ripreso il controllo di tutto il territorio cinese. Il riconoscimento come «unica Cina» della Repubblica Popola-
A Taipei la statua di Sun Yat-Sen, tra i primi a considerare il problema della democrazia in Cina. (AFP)
re fu deciso sulla base di un’altra errata convinzione, cioè quella che la Cina comunista, ora alleata degli USA nella Guerra fredda contro l’allora Unione Sovietica, si sarebbe certamente democratizzata entrando nell’orbita americana. Invece, mentre in Cina si rafforzava la dittatura del Partito Comunista, i successori di Chang Kai-shek iniziavano negli anni Ottanta il processo che ha portato alla creazione di istituzioni democratiche, con l’emergere di istituzioni indipendenti e di una serie di partiti – in primo luogo il Democratic Progressive Party (DPP), oggi al governo – concorrenti del Kuomintang. Da colonia di una potenza «nemica» che deve tornare alla «madrepatria», l’isola si è ora trasformata in una piccola democrazia minacciata da una grande potenza autoritaria. Il confronto si è aggravato con la coincidenza temporale di tre avvenimenti: l’elezione alla presidenza di Taiwan di Tsai Ing-wen, che ha promesso di non forzare la situazione ma che non nasconde le sue simpatie indipendentiste; la stretta autoritaria realizzata dal presidente Xi Jinping in Cina, dove si sono rafforzate le tendenze nazionalistiche ed egemoniche con la rivendicazione della sovranità su tutto il Mar Cinese Meridionale; l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Dopo un primo, breve periodo di «luna di miele» seguito al loro primo incontro nella residenza estiva di Trump, l’uomo forte americano e l’uomo forte cinese sono arrivati all’inevitabile scontro; in primo luogo sul commercio, ma anche sugli equilibri strategici nel Pacifico. I rapporti degli USA con Taiwan sono regolati dal Taiwan Relations Act, che fu varato contestualmente alla normalizzazione delle relazioni con Pechino e che obbliga Washington a proteggere l’isola in caso di attacco militare cinese. Le relazioni commerciali sono rimaste forti, quelle diplomatiche sono gestite da un ufficio «commerciale» che ha sede a Taipei. Sotto la gestione di Trump,
gli USA hanno venduto per due volte armamenti sofisticati a Taiwan, abbandonando la politica di prudenza seguita dalle precedenti Amministrazioni e suscitando la reazione di Pechino. La freddezza delle relazioni tra le due superpotenze è emersa con chiarezza nell’ultimo incontro tra i capi delle diplomazie, l’americano Mike Pompeo e il cinese Wang Yi. Parlando all’inizio di ottobre a Washington i due diplomatici non hanno nascosto le divergenze sempre più ampie tra i loro governi. Ecco come l’agenzia di stampa AGI ha riportato lo scambio sulla questione di Taiwan: «Gli USA (secondo Wang) hanno anche adottato azioni sulla questione di Taiwan che minano i diritti della Cina, e hanno prodotto critiche senza fondamento delle politiche interne ed esterne» di Pechino. «Sulle questioni che lei ha descritto», ha replicato Pompeo, «abbiamo un fondamentale disaccordo. Abbiamo grandi preoccupazioni per le azioni che la Cina ha intrapreso», ha proseguito il capo della diplomazia USA, «e non vedo l’ora di discutere ognuna di queste cose oggi, perché questa è una relazione incredibilmente importante». Lo scontro su Taiwan sta uscendo dall’ambito delle polemiche tra Washington e Pechino e presto interesserà una serie di organismi internazionali all’interno dei quali Taiwan continua ad essere rappresentata con nomi fantasiosi come «Chinese Taipei» nel caso del Comitato Olimpico Internazionale. Un compromesso che ha funzionato fino a quando a sostenerlo erano proprio le parti interessate, vale a dire Pechino, Taipei e Washington. Ora che quell’equilibrio è rotto e la cosiddetta «questione di Taiwan», torna d’attualità. L’isola è davvero stata «sempre» parte della Cina, come afferma Pechino, oppure ha diritto a dichiararsi indipendente dato che lo è stata di fatto per quasi 60 anni, come sostengono gli indipendentisti? Domande difficili e scomode, alle quali la comunità internazionale si troverà presto a dover rispondere.
USA al tavolo con i talebani Afghanistan Tornata di colloqui a Doha con l’inviato americano
Zalmay Khalilzad. Obiettivo: organizzare una conferenza di pace Francesca Marino Secondo un articolo del «Wall Street Journal» uscito giorni fa, gli Stati Uniti stanno facendo pressione sul governo afghano perché le elezioni presidenziali, che si dovrebbero tenere ad aprile 2019, vengano rimandate. L’articolo, che cita indiscrezioni e commenti di personaggi di spicco legati a Kabul, ha suscitato un vero e proprio vespaio nell’area geopolitica ma ben poca sorpresa tra analisti e osservatori. La mossa degli USA, che appare in totale dispregio di tutto quanto strenuamente perseguito fino a questo momento da Washington e dall’occidente tutto – il ritorno della democrazia in Afghanistan – farebbe parte di una strategia più ampia rivolta a chiudere finalmente e per sempre dopo diciassette anni, la guerra più lunga combattuta nei tempi moderni. All’inviato speciale per l’Afghanistan Zalmay Khalilzad la Casa Bianca avrebbe dato difatti un mandato di soli sei mesi per sbrogliare una matassa che sembra ormai inestricabile. E Khalilzad non sta perdendo tempo. I talebani hanno dichiarato di avere incontrato l’inviato speciale USA il mese scorso,
e che i colloqui sono stati «produttivi» nonostante non sia stata fissata una data per ulteriori colloqui. Washington non ha confermato, ma non ce n’è bisogno. Dietro le quinte, e dietro la campagna militare particolarmente aggressiva degli ultimi mesi dei talebani che tengono ormai in ostaggio più di metà del Paese, le cose si muovono a ritmo ormai vertiginoso. Think-thank e agenzie varie delle Nazioni Unite organizzano incontri più o meno riservati a ritmo serrato, gli uffici dei talebani in Qatar non sono mai stati tanto frequentati e l’ultimo meeting organizzato a Mosca si è rivelato fruttuoso nonostante gli Stati Uniti non sedessero ufficialmente al tavolo delle trattative e ufficialmente le parti in causa abbiano dichiarato che non ci sono stati progressi sostanziali. Eppure, per i russi, si è trattato di un trionfo diplomatico che, come ha dichiarato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, mira ad «aprire, attraverso gli sforzi congiunti di tutti, una nuova pagina nella storia afghana». A Mosca è andata una delegazione dei talebani ma non una del governo di Kabul, che ha inviato soltanto alcuni rappresentanti dell’High Peace Council, un’organizza-
zione non governativa accreditata però presso i talebani. Traduzione: anche i russi, che in settembre avevano rimandato il meeting proprio per la mancanza di rappresentanti ufficiali di Kabul, come gli americani hanno accettato le istanze dei jihadi: che si rifiutano da sempre di parlare con quello che definiscono il «governo fantoccio» di Ghani e Abdullah. I talebani hanno ottenuto un primo risultato, oltre a intavolare trattative senza condizioni preliminari, e cioè parlare direttamente con gli americani: che a questo punto vorrebbero concludere l’accordo affidando a un governo ad interim la gestione dell’Afghanistan per organizzare, nel frattempo, una conferenza di pace sul genere della conferenza di Bonn (che si è tenuta nel 2001, e poi nel 2011). Alla conferenza parteciperebbero questa volta anche i talebani, e le elezioni dovrebbero quindi essere rimandate fino alla conclusione dell’auspicato accordo di pace. Cioè, fino al momento in cui i talebani stessi potrebbero ufficialmente rientrare sulla scena politica afghana e partecipare alle elezioni. Se poi, una volta che i talebani si siano reinsediati ufficialmente a Kabul, le elezioni si terranno davvero,
Un ferito all’ospedale Wazir Akbar Khan di Kabul dopo un attacco talebano . (AFP)
è tutta un’altra storia ma a questo punto agli americani non sembra importare più di tanto. La volontà di Trump, ma anche di tutte le altre parti in gioco, di farla finita con una guerra infinita, è evidente ormai da mesi: perché se è vero che non ci sono ancora accordi sul ritiro delle truppe USA da Kabul e dintorni, è vero anche che la leadership talebana e l’ufficio in Qatar stanno serrando i ranghi e costituendo una vera e propria task-force in grado di trattare sia diplomaticamente sia con i militanti sul campo. Cinque comandanti talebani rilasciati nel 2014 da Guantanamo in cambio di un ufficiale dell’esercito americano, si sono uniti all’ufficio di Doha. E il Pakistan, convinto probabilmente da cinesi e russi o in cambio di un trattamento di favore da parte dell’Fmi, si capirà in seguito,
ha rilasciato mesi fa il Mullah Baradar e qualche giorno fa altri tre alti ranghi dei talebani afghani. La trattativa diplomatica con l’occidente, difatti, è solo parte del problema: perché i rappresentanti che siedono in Qatar non rappresentano in realtà tutte le forze in campo dalla parte di jihadi e combattenti vari e non è detto che, all’indomani dell’accordo, l’Afghanistan venga automaticamente pacificato. Anzi. Ormai le fazioni combattenti sono tante, troppe, e ubbidiscono a diversi padroni: la Russia, l’Iran, il Pakistan tanto per fare dei nomi. Padroni che spesso giocano su più tavoli, come il Pakistan, che finanzia sia i talebani afghani che qualche gruppo di loro oppositori. Non è detto che la pace tra alleati e talebani, una volta firmata, si riveli per gli afghani assenza di guerra.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Politica e Economia
La grande crisi della Silicon Valley Scontro fra i giganti del web Dal crollo dei titoli tecnologici in Borsa, allo scontro ai vertici di Facebook
innescato dal «New York Times» alle accuse del Ceo di Apple Tim Cook indirizzate al fondatore del social media Mark Zuckerberg
Federico Rampini «Attacchi anti-semiti contro George Soros? Non sapevo nulla». «Anzi sì, sapevo tutto». Nel giro di 48 ore la numero due di Facebook, la direttrice generale Sheryl Sandberg, si contraddice, smentisce se stessa, e così facendo rilancia alla grande lo scandalo. L’ultima puntata risale al lungo reportage investigativo del «New York Times». Dove si ricostruisce nei minimi dettagli la campagna di lobbying e disinformazione lanciata da Facebook, come controffensiva dopo i numerosi scandali di privacy violata (la vicenda Cambridge Analytica legata alle interferenze russe in campagna elettorale è la più celebre). Il retroscena rivela una contraddizione enorme tra l’immagine pubblica di Zuckerberg, che andò al Congresso a fare atto di contrizione e a elargire promesse solenni di emendarsi; mentre nella realtà stava montando un contrattacco spietato. Tra le rivelazioni c’è l’impiego presso Facebook della figlia del capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer, uno dei tanti conflitti d’interessi che avviluppano il rapporto tra la sinistra e la Silicon Valley. Non a caso alcune proposte di legge per regolare i social media sono cadute nel nulla, sabotate dalla stessa leadership del partito democratico. Il risvolto più grave nelle bugie di Sandberg riguarda George Soros. Il celebre miliardario e filantropo liberal è molto critico verso i giganti dell’economia digitale. All’ultimo World Economic Forum di Davos ha denunciato il loro oligopolio come un pericolo per la democrazia. Inoltre la sua fondazione, Open Society, ha finanziato una coalizione di attivisti che combattono lo strapotere del social media, la «Freedom from Facebook». Una vera e propria dichiarazione di guerra, agli occhi di Zuckerberg e della sua direttrice generale Sandberg. Il «New York Times» ha svelato la reazione di Facebook: aggredire Soros con ogni mezzo possibile. Assoldando una società di consulenza e relazioni pubbliche, la Definers, ben nota per i suoi legami con la destra più radicale. E questa società ha lanciato contro Soros una serie di attacchi assai familiari nella narrazione dell’estrema destra americana, dove riecheggiano da tempo gli stessi temi delle campagne naziste sul «complotto giudaico e plutocratico». La Sandberg in un primo momento ha smentito di esserne al corrente, poi ha fatto retromarcia, e un po’ di autocritica. «Non era intenzionale – ha scritto su Facebook la top manager – sfruttare una narrazione anti-semita contro Soros o chiunque altro. Essere ebrea è una parte essenziale della mia identità e la nostra azienda è nettamente contraria ad ogni forma di odio. L’idea che il nostro lavoro sia interpretato come anti-semita è abominevole ai miei occhi, e la prendo come una questione molto personale».
L’ultima puntata dello scandalo è arrivata alla vigilia del ponte festivo di Thanksgiving, quando i mercati USA erano chiusi. Mercoledì l’ultima seduta di Wall Street aveva dato un po’ di tregua e un recupero per i titoli hi-tech. Ma nelle settimane precedenti proprio i titoli dei colossi digitali hanno guidato al ribasso i listini azionari. Per Facebook le perdite sono state pesanti e questo rilancia le pressioni di alcuni azionisti per un ricambio totale ai vertici. Zuckerberg è intervenuto a respingerlo nuovamente, smentendo sia la propria uscita sia il licenziamento della sua vice. Ma il senatore democratico Mark Warner ha messo il dito nella piaga: «È importante che Facebook riconosca questo: non ha un problema d’immagine e di relazioni pubbliche, questa è una sfida a tutta la sua piattaforma e modello di business». Sembra lontano il tempo – era appena un anno fa – in cui di Zuckerberg si parlava come possibile candidato alla Casa Bianca, e lui stesso era partito in una tournée esplorativa degli Stati Uniti. Ma non è solo Facebook ad avvitarsi in una spirale di crisi. Siamo forse vicini alla caduta degli dèi? I signori della Silicon Valley, i Padroni della Rete, i dittatori dell’universo digitale, sprofondano a gran velocità in un mare di guai. Al punto da litigare tra loro, come sempre quando s’intravvede un disastro e la ricerca dei colpevoli si fa urgente. Tim Cook (Apple) accusa Zuckerberg, il quale se la prende con tutti: i suoi collaboratori, la stampa cattiva. Da Facebook prosegue l’esodo di dirigenti. Anche Google come tutti gli altri ha perso circa il 20% del suo valore di Borsa, oltre a sperimentare i primi scioperi nella storia della Silicon Valley. Le fiamme tossiche dei grandi incendi della California, il fumo spesso che per una settimana ha intossicato gli abitanti di San Francisco, sono la metafora di un altro inquinamento. Etico, politico, valoriale. Nel grande romanzo della Silicon Valley in crisi, per trovare un’ordine cronologico e d’importanza bisogna partire dai soldi. La caduta di Borsa non risparmia nessuno, a spingere gli indici azionari al ribasso sono proprio le star dell’economia digitale, le stesse che avevano trainato i rialzi degli ultimi anni. Il cambio di atmosfera tra gli investitori è brutale, improvvisamente tutti i problemi convergono. Dal calo di vendite di certi modelli di iPhone alla guerra commerciale USA-Cina che minaccia la complessa catena logistica delle multinazionali tecnologiche; dagli scandali politici di Facebook alle multe dell’Unione europea contro Google. Perfino l’unica buona notizia delle ultime settimane, cioè l’apertura della nuova sede di Amazon a New York, è macchiata da polemiche: Jeff Bezos ha estorto esenzioni fiscali così esorbitanti che ogni nuovo assunto «costerà» al contribuente newyorchese 40’000 dollari di mancato gettito. La sinistra del
Replicando alle accuse del NYT, Mark Zuckerberg annuncia di essere entrato in guerra. (AFP)
partito democratico attacca quei «liberal» della West Coast che finora l’avevano coccolata. La storia ha inizio più di un anno fa quando Amazon lancia un annuncio: vuole creare una seconda sede, oltre a quella originaria di Seattle. Non si tratta di uno dei tanti stabilimenti-depositi dove transitano le merci, che danno lavoro a fattorini sottopagati, bensì di un secondo quartier generale che assumerà ingegneri informatici, esperti di marketing, manodopera qualificata e ben pagata. Cinquantamila nuovi posti di lavoro. Amazon spiega che sceglierà la nuova sede in base a diversi criteri tra cui l’efficienza delle infrastrutture, la vicinanza di grandi università che formano giovani talenti. Fin qui tutto bene. Ma Bezos aggiunge un altro messaggio: la nuova sede sarà ubicata in questa o quella città anche a seconda del carico fiscale. Comincia una gara tra le città americane. Si mettono in mostra come reginette a un concorso di bellezza, vantando i propri attributi. In parallelo, governatori e sindaci mandano a dire al chief executive e principale azionista di Amazon quanti sgravi fiscali gli offriranno. È l’ennesimo remake di un film classico, un déjà vu terribilmente scontato. Le multinazionali mettono in concorrenza fra loro gli Stati, di fatto li ricattano: se mi vuoi, e se vuoi l’occupazione che io creo, devi
farmi pagare meno tasse possibile. È questa logica che ci ha portati al mondo attuale, dove le mega-imprese e gli straricchi hanno cento modi legali per eludere le tasse, mentre il ceto medio viene spremuto. Nel caso di Amazon abbiamo battuto ogni record. Alla fine l’azienda, commossa dalle offerte generose, ha deciso di creare non una ma due nuove sedi. La prima sorgerà a New York, nel quartiere di Long Island City che fa parte del borough di Queens. La neodeputata Alexandria Ocasio-Cortez ha calcolato che sommando le esenzioni fiscali offerte dal Comune e dallo Stato di New York, ogni posto di lavoro creato da Amazon costerà 40’000 dollari di mancato gettito fiscale. Il crollo d’immagine più disastroso resta quello che colpisce «faccia di cherubino» Zuckerberg. L’ultimo scoop del «Wall Street Journal» da una gola profonda: in una riunione ai vertici di Facebook, il fondatore e chief executive ha usato toni durissimi coi suoi. «Siamo in guerra», ha detto. Lui che un tempo usava le assemblee del personale per consigliare bei libri da leggere e corsi di mandarino, adesso dà la caccia ai dissidenti interni e attacca la stampa. Il problema strutturale per Facebook è che il suo mercato si è fermato. I giovani disertano questa rete sociale; il governo cinese non la vuole in casa propria.
Vanno meglio filiali come Instagram, i cui dirigenti però si sono dimessi in polemica col saccheggio della privacy degli utenti. Ai miasmi che intossicano l’aria della Silicon Valley contribuisce il duro attacco di Tim Cook, il chief executive di Apple che prende una posizione diametralmente opposta a Facebook, Google e Amazon: «Il mercato non sta funzionando, l’auto-regolazione è un fallimento, dobbiamo accettare un maggiore intervento dello Stato». Eresìa pura per il credo liberal-libertario della West Coast, e forse Steve Jobs si sta rivoltando nella tomba. Alle tensioni contribuisce il crescente disagio dei dipendenti. Quelli di Google sono all’avanguardia, hanno inscenato manifestazioni di protesta contro il proprio top management, roba mai vista nel paradiso strapagto delle stock-option. Proteste contro la cultura di tolleranza verso le molestie sessuali; contro la cooperazione con l’industria bellica; contro l’acquiescenza verso la censura cinese. Intanto la California brucia nel rogo degli incendi veri e dell’emergenza sociale dei senzatetto. Ma anche questo chiama in causa i super-miliardari del digitale. Ci promettono un futuro «user-friendly» e una società iperefficiente. Non risolvono neppure i problemi nel loro cortile di casa. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Politica e Economia
Theresa May, la donna delle missioni impossibili
Fra i libri di Paolo A. Dossena
Brexit Ora è necessario chiudere tutto il prima possibile con Bruxelles per arrivare
all’appuntamento del pericoloso voto parlamentare a Westminster di metà dicembre
Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Ue con la May mercoledì scorso a Bruxelles. (AFP)
Cristina Marconi Alla fine questa manche l’ha vinta Theresa May: si va avanti con il suo piano, per ora l’unico piano, per uscire dall’Unione europea e rispettare la volontà degli elettori. Gli euroscettici che le stavano alle costole hanno dimostrato di sapere fare poco altro, oltre che starle alle costole e criticarla senza avere una visione chiara. Per quanto il Paese sia diviso e volubile, per ora il pragmatismo prevale. L’ipotesi di precipitare nella confusione di un no deal spaventa troppo anche i deputati Tories, di cui solo 25 circa sui 48 necessari hanno inviato una lettera di sfiducia contro la loro leader, mettendo in serio imbarazzo chi, come il presidente dello European Research Group, think tank euroscettico con un certo seguito e poche idee, Jacob Rees-Mogg, aveva solennemente annunciato davanti alla porta di Westminster che la premier sarebbe stata detronizzata da lì a poco. Uno spettacolo, quello della May aggredita da una muta di uomini inferociti, che non è piaciuto alla gente, che nel giro di una settimana ha cambiato di molto il suo atteggiamento nei confronti dell’inquilina di Downing Street: in pochi giorni la percentuale di coloro che vogliono che resti è passata dal 33% al 46%. Ora bisogna solo chiudere tutto il prima possibile con Bruxelles per arrivare all’appuntamento del voto parlamentare di metà dicembre consolidando quel rafforzamento che la May ha saputo ancora una volta operare in tempi rapidissimi. Non è la prima volta che esce da una crisi che a tutti appare terminale e con queste premesse anche l’ipotesi di raccogliere i voti necessari nel voto in agenda l’11 dicembre prossimo non appare del tutto peregrina: da garante di una pace un po’ narcotica all’interno dei Tories, Theresa May è diventata negli ultimi mesi la donna delle missioni impossibili. Calcolatrice alla mano, non ci dovrebbe riusci-
re, ma in tempi come questi è difficile fare previsioni. Gli irlandesi del Nord del DUP, sui cui dieci deputati si regge la maggioranza a Westminster, hanno detto che non voteranno il testo in protesta per il «backstop» irlandese, ossia la misura temporanea per evitare una frontiera fisica tra le due parti dell’isola in attesa che venga negoziato un accordo definitivo sul futuro post-Brexit. Con la soluzione proposta, che si potrà interrompere solo con il consenso congiunto di Londra e di Bruxelles, il Regno Unito resta parte dell’unione doganale mentre l’Ulster anche del mercato interno, che vuol dire che avrà delle regole diverse da quelle vigenti nel resto del paese. Il DUP è pronto a rompere l’accordo, ma la May potrebbe racimolare qualche voto tra i Labour delusi dall’indecisione del leader Jeremy Corbyn, uno che ha detto che non saprebbe cosa votare a un eventuale secondo referendum.
L’ultimo nodo da sciogliere era quello di Gibilterra. Madrid vuole esplicite garanzie che la Spagna verrà consultata sui dettagli del futuro accordo commerciale Secondo referendum che appare come un’ipotesi sempre meno lontana, anche se estremamente difficile da fare nella pratica: i tempi sono quelli che sono e per gli europeisti, che contano nelle loro file personaggi di primo piano come la pugnace deputata Tory Anna Soubry e una delle eterne promesse del Labour Chuka Umunna, oltre alla simpatia di pubblicazioni come «The Economist», «Financial Times» e altri, occorre che l’allineamento astrale sia perfetto per poter procedere. Anche perché i sondaggi sono ancora troppo
indefiniti e incerti – con un vantaggio inferiore ai dieci punti per il «remain» – per dirigersi con sicurezza ad un secondo voto, considerando che ci dovrebbero essere tre possibili scelte e non due come il 23 giugno del 2016: accordo della May, no deal o permanenza nella Ue. L’impatto economico delle tre ipotesi verrà rivelato questa settimana con la pubblicazione di un documento che fino ad ora il governo ha voluto tenere per sé ma che, grazie alla pervicacia di Soubry e Umunna, sarà finalmente a disposizione di tutti. Londra non è l’unica capitale irrequieta, quando si tratta di Brexit. Risolti i problemi di Downing Street e fugato almeno per ora ogni rischio di crisi di governo, dalle altre cancellerie sono arrivate un po’ di perplessità e di richieste che hanno indispettito la leader tedesca Angela Merkel, la quale ha minacciato di non presentarsi al vertice di domenica a Bruxelles qualora non ci fosse un testo già pronto da approvare sulle relazioni future tra il Regno Unito e il blocco europeo, oltre a quello di 585 pagine sulla Brexit, già firmato anche da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Ue che la May è andata a trovare mercoledì scorso per mettere a punto gli ultimi dettagli. Testo che prontamente è comparso in forma di una bozza preliminare di 26 pagine e che contempla una partnership «ambiziosa, ampia, profonda e flessibile» che include tutto, da una vasta liberalizzazione commerciale a una «cooperazione operativa» tra le forze di sicurezza. Vago, aperto a interpretazioni: in una parola, perfetto. Tra gli ultimi nodi da sciogliere per poter firmare l’accordo nella mattinata di domenica a Bruxelles c’era quello di Gibilterra e delle proteste del governo di Madrid che non voleva che il problema della rocca fosse incluso nella dichiarazione finale, esigendo un negoziato separato. I diplomatici europei hanno definito la questione più che legittima, ma il rischio di un veto spa-
gnolo sul testo ha preoccupato più delle pretese francesi, olandesi, danesi e belghe sulla pesca. La May ha parlato con il premier spagnolo Pedro Sanchez, riferendo di un «accordo nell’accordo di uscita e nel memorandum of understanding allegato su Gibilterra». La Merkel, saggiamente, aveva previsto anche l’intenzione di Londra di cercare di spingere per quegli scambi commerciali «senza frizioni» descritti nel piano dei Chequers l’estate scorsa e bollati come inaccettabili da più di un paese. Sia la Francia che l’Italia, infatti, non vogliono che al Regno Unito sia permesso di portare a termine il piano di mantenere ampie porzioni del mercato interno senza dover ottemperare ai suoi doveri in materia di libera circolazione dei cittadini. Perché alla fine questa è, la Brexit nell’interpretazione di Theresa May: uno stop all’immigrazione di giovani continentali, fenomeno che ha dato molto al Paese ma che ha tanto irritato le fasce meno competitive e meno cosmpolite della società britannica. Lo ha detto chiaro e tondo tra le boiseries di Downing Street quando, il 15 novembre scorso, al termine di una giornata di fuoco, ha voluto mostrare di essere capace di rimanere in sella enunciando i punti più importanti dell’accordo raggiunto e poi, qualche giorno dopo, quando davanti alla platea della confindustria britannica, la CBI, ha detto che il sistema futuro sarà basato «sulle competenze» e non permetterà agli europei «di saltare la coda» come avvenuto fino ad ora. Parole irritanti, che infatti hanno infuriato tutti in Europa, ma che hanno permesso alla May di fare piazza pulita dall’accusa di essere troppo morbida verso l’Unione europea e gli europei. Anche quando questi portano un’energia, una produttività e, non ultimo, un gettito fiscale nelle casse dello Stato che meriterebbero un sentito «grazie». Ma non sono tempi adatti alla gratitudine, questi.
Guy Verhofstadt, Europe’s Last Chance, Hachette UK, 2017 Brexit a Londra, governi sovranisti a Budapest e a Roma. Da quelle parti Guy Verhofstadt non è particolarmente ben visto. E nemmeno si può dire che lo sia Oltreoceano. Per esempio, in maggio, lo abbiamo visto in azione, all’interno del Parlamento Ue, contro Mark Zuckerberg, il cui social network Facebook è non solo il ricettacolo del turpiloquio mondiale, ma anche una macchina di spionaggio e di propaganda di massa. Verhofstadt, ex primo ministro del Belgio e capo dell’Allenza dei Liberali e dei Democratici nel Parlamento Europeo, fu sostenuto da Berlino e Parigi per la Presidenza della Commissione Europea, ma fu affondato da Tony Blair. Già allora, Londra aveva un rapporto difficilissimo con la Ue, e molti analisti ritenevano che fosse entrata nel mercato comune per minarlo dall’interno. Comunque, lo statista belga è fondamentalmente un centrista. Da un lato attacca infatti sinistrorsi come Alexis Tsipras, dicendogli di farla finita col clientelismo in Grecia, dall’altro critica nazionalisti come l’ungherese Viktor Orban, accusandolo di prendere i soldi della Ue senza accettarne i valori. Nel suo consueto stile schietto, forte e chiaro, Guy Verhofstadt, spiega che l’Unione Europea è arrivata al dunque: questa è la sua ultima possibilità di riformarsi. L’alternativa è la dissoluzione. Occorre formare un Governo Federale Europeo, sul modello del Governo Federale Americano. In questo modo, scrive Verhofstadt, si andrebbe oltre l’assurdo di un sistema in cui ogni Stato membro ha diritto di veto sulla legislazione, accettare o meno la moneta unica, o decidere, da un momento all’altro, di chiudere le frontiere. I bersagli dell’autore includono anche l’abisso di corruzione della Grecia, che Alexis Tsipras non ha combattuto abbastanza, e gli atteggiamenti grotteschi dell’Italia (le proposte da barzellette di Silvio Berlusconi, prima, il governo sovranista poi). Ma gli atteggiamenti di Grecia, Italia e Ungheria non sono che un aspetto della crisi più grave nella storia dell’Unione. I maggiori problemi vengono dalla tragedia degli emigranti nel Mediterraneo, che ha destabilizzato il continente; dalla crisi economica, che ha spezzato l’Europa tra un nord e un sud; dalla minaccia costante del terrorismo, con attacchi eclatanti come quelli in Francia, Belgio e Germania; dal «terrificante autocrate Putin» a est; dal partito dei duri negli Usa e in Israele (in Iraq non c’era nessun’arma di distruzione di massa, e la caduta di Gheddafi è stata altrettanto destabilizzante, mentre «il muro tra Israele e Palestina è niente meno che un atto di aggressione»). Secondo Verhofstadt, l’Ue non è stata in grado di affrontare nessuno di questi problemi, ed è in questo modo che si spiega il fenomeno Brexit, così come la disaffezione di altri Stati membri che potrebbero decidere di seguire l’esempio britannico. Le conseguenze dell’implosione dell’Ue sarebbero, tra le altre, una destabilizzazione globale, che metterebbe a repentaglio la sicurezza collettiva mondiale, a partire dall’Atlantico (Stati Uniti e Gran Bretagna). È dunque nell’interesse di tutti che l’Europa rimanga unita. Anzi, che si unisca anche maggiormente, secondo il modello federale offerto dall’America. Un libro imprescindibile per chiunque sia interessato al destino dell’Unione Europea.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Politica e Economia
Non solo rallentare, ma ridurre le emissioni di CO2
Mutamenti climatici I dati sull’inquinamento atmosferico sono impressionanti. Tutti concordano sull’obiettivo,
ma divergono sui metodi per raggiungerlo. Anche la Svizzera deve fare di più Ignazio Bonoli L’assegnazione del Premio Nobel per l’economia a due ricercatori nel campo dei cambiamenti climatici, in contemporanea con il nuovo rapporto dell’ONU sullo stesso argomento, ha rilanciato il dibattito, per altro in atto da tempo, sulle conseguenze dei mutamenti climatici e sulle misure da adottare per contrastare questa evoluzione. I dati sono preoccupanti: rispetto all’epoca pre-industriale, la temperatura media globale della terra è aumentata di un grado circa. Ma il processo si va accelerando, di modo che l’obiettivo deciso con l’accordo di Parigi (riscaldamento dell’atmosfera significativamente sotto i 2 gradi), tuttavia senza l’appoggio di uno studio scientifico, non sarebbe raggiungibile entro il 2030. Le analisi del Consiglio dell’ONU che si occupa del clima dicono che l’obiettivo deve scendere a 1,5 gradi. Oggi però le emissioni di CO2 sono ancora tali da mettere in forse qualsiasi obiettivo di riduzione del surriscaldamento. Del resto gli esperti non si fanno illusioni sulla pratica realizzazione degli obiettivi climatici, fanno però notare che finora non era mai stato così impellente dover intervenire con misure drastiche. Infatti, per scendere all’obiettivo di 1,5 gradi sarà necessario non solo ridurre le emissioni, ma perfino sottrarre
CO2 all’atmosfera. Senza drastici provvedimenti, nel 2100 la temperatura della terra sarà aumentata di tre gradi. Se oggi un aumento di mezzo grado significa un aumento di 10 cm del livello dei mari, si possono immaginare le difficoltà che tre gradi possono creare. Sarà quindi necessario inasprire le misure adottate con l’accordo di Parigi. Ma come? Qui le politiche si dividono. L’Europa, accanto a provvedimenti nazionali (per esempio sui motori a scoppio) ha adottato il sistema dei certificati, applicato anche in Svizzera (vedi «Azione» del 6.8.2018). Col difetto che però non contribuiscono a una riduzione dell’inquinamento, tuttalpiù a un freno all’aumento. Ma proprio uno dei due premiati con il Nobel sostiene che a questo sistema va affiancato uno strumento fiscale, cioè una tassa sul CO2. Così il professor Nordhaus è stato l’ispiratore della politica americana di tassare le emissioni nocive. Con questo sistema gli Stati Uniti sono riusciti a ridurre le emissioni di CO2. La Svizzera, nonostante alcuni provvedimenti mirati, in generale sul modello europeo, è tra i paesi che producono parecchio CO2, a causa soprattutto del traffico automobilistico. Ciò è dovuto a una densità di automobili con motore a scoppio superiore alla media e all’intenso traffico di attraversamento del paese. Anche Berna ha comunque
Il primo impianto commerciale di estrazione di CO2 dall’atmosfera attivo in Svizzera, a Hinwil, della ditta Climeworks, con una capacità di risucchiare 900 tonnellate all’anno. (Keystone)
già detto di voler seguire le raccomandazioni internazionali di lotta contro l’inquinamento atmosferico. Si è quindi impegnata a ridurre del 50% le emissioni di CO2 entro il 2030. Anche gli ambienti economici sostengono questo obiettivo e chiedono tre cose: flessibilità attraverso misure attuate sia in Svizzera, sia all’estero; possibilità di concludere convenzioni sugli obiettivi e rinuncia all’aumento della tassa sul CO2. Dal 2012, anno di introduzione della tassa sul CO2, esiste anche una «Borsa del
CO2». Ma per la Svizzera è molto importante la cooperazione internazionale. Lo sottolinea anche la firma dell’accordo di Parigi, ratificato dalle Camere federali nel giugno 2017. Come altri paesi, anche la Svizzera utilizza il sistema dei certificati che, in sostanza, autorizzano una certa emissione di CO2. Il sistema è però sotto accusa a livello europeo, a causa dei prezzi troppo bassi. In pratica un disincentivo ad attuare misure mirate contro l’inquinamento. A fine 2017, erano stati emessi
certificati per 1,7 miliardi, ma in pratica non erano utilizzati, ma detenuti da imprese o da investitori. Da allora si è però assistito a un sensibile aumento dei prezzi nell’ambito del sistema europeo di emissione. Il certificato per l’emissione di una tonnellata di CO2 è passato da poco di 5 a oltre 20 euro in un anno. L’aumento è certamente dovuto alla riforma del sistema prevista dal 2021 al 2030. L’UE fissa annualmente un limite massimo di CO2, che diminuisce di anno in anno del 2,2%, mentre oggi scende solo dell’1,74%. L’obiettivo è quello di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030. Non solo, ma dal 2019 l’UE toglierà dal mercato il 24% di certificati (dal 2024 il 12%) all’anno, tenendoli in riserva. Se questa riserva viene superata, i certificati verranno annullati. Queste decisioni hanno indotto molte aziende ad acquistare ora i certificati, facendone aumentare i prezzi. Questo intervento sui certificati, che hanno anche avuto effetti positivi, sottolinea la volontà dell’UE di intensificare la lotta contro le emissioni di CO2. Nel 2050, l’UE vuole eliminare tutte le emissioni e questo obiettivo crea qualche problema sul mercato dei certificati. In sostanza, rincareranno al punto che non sarà più sostenibile rispetto alla soppressione pura e semplice dell’emissione e quindi la ricerca di fonti alternative. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Politica e Economia
«Dazio punitivo» è il leitmotiv della finanza per il 2018 La consulenza della Banca Migros
Thomas Pentsy
Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Quest’anno nessun altro tema ha agitato il mondo economico e finanziario quanto il programma di dazi punitivi messo in atto dall’attuale governo statunitense sotto la guida di Donald Trump. Una giuria composta da cinque esperti finanziari ha quindi scelto il termine «dazio punitivo» come leitmotiv della finanza svizzera per il 2018. All’inizio dell’anno si trattava solo di dazi «straordinari», ancora modesti e innocui, imposti da Washington contro i suoi partner commerciali sull’importazione di pannelli solari e lavatrici. Al contrario, la successiva tornata di misure protezionistiche, con tariffe doganali più elevate sull’acciaio e l’alluminio, ha già suscitato indignazione in tutto il mondo. Da allora sono soprattutto gli Stati Uniti e la Cina a sfidarsi a colpi di dazi e la disputa tra Pechino e Washington sta ora assumendo toni visibilmente più aspri. Anche le relazioni tra l’Europa e gli Stati Uniti appaiono turbolente. In generale, i «dazi protezionistici statunitensi» hanno «avvelenato» il clima della politica economica e commerciale a livello globale. Strettamente connessa ai dazi punitivi è dunque un’altra parola d’autore che nel 2018 era sulla bocca di tutti: conflitto commerciale. I dazi punitivi rappresentano un’inver-
La giuria è composta da cinque membri (da sinistra): lo scrittore Michael Theurillat, l’imprenditore fintech Adriano B. Lucatelli, la professoressa di finanza Sita Mazumder, l’analista di mercato e dei prodotti della Banca Migros Thomas Pentsy e il fondatore di finews.ch Claude Baumann. (Sabine Rock)
sione di tendenza nell’economia mondiale: per decenni si è tentato di ridurre le tariffe all’importazione e le barriere commerciali presenti nell’economia mondiale e invece adesso, con queste misure punitive, si erigono nuovi baluardi difensivi. In vista della Brexit questo diventerà un tema essenziale anche nei rapporti tra l’UE e la Gran Bretagna.
Per giustificare il suo programma di dazi punitivi, spesso e volentieri Trump fa riferimento ai deficit commerciali bilaterali degli Stati Uniti con i suoi partner commerciali. Sebbene i dazi doganali possano parzialmente indirizzare e deviare i flussi commerciali, in ultima analisi hanno un impatto limitato sulla bilancia delle partite correnti di un Paese. Quest’ultima è infatti determi-
nata dalla propensione al risparmio e all’investimento che caratterizza una nazione. Se i risparmi arrancano dietro gli investimenti, come avviene negli Stati Uniti, il bilancio complessivo non potrà che risultare deficitario. Che cosa ne pensate dei dazi punitivi? Partecipate al dibattito su: blog.bancamigros.ch Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Federalismo e solidarietà confederale Da 170 anni abbiamo il privilegio di vivere in uno Stato federalista. I vantaggi di questo sistema di governo, rispetto agli altri, sono tanti e vano sarebbe volerli elencare nel breve spazio di un articolo di giornale. Comunque tra i vantaggi dello Stato federato si cita spesso la solidarietà tra le unità istituzionali che lo costituiscono. Non dovrebbe quindi sorprendere se, facendo il bilancio dei flussi finanziari che corrono tra Cantoni e Confederazione, come ha fatto recentemente il Consiglio federale per il periodo 20132016, si scoprisse che vi sono Cantoni che ricevono di più di quanto versano al governo centrale e Cantoni invece che versano di più di quanto ricevono dallo stesso. Ma, a mente mia, è invece sbagliato definire i saldi di questi flussi – come hanno fatto di recente diversi organi di stampa – come un indicatore della portata della politica
di redistribuzione territoriale. È facile spiegare perché. In uno Stato federalista come la Svizzera i compiti dello Stato sono distribuiti tra i tre livelli di governo. Non solo, ma anche le singole funzioni amministrative sono distribuite tra Confederazione, Cantoni e Comuni. Così nel caso di molte leggi, la Confederazione legifera e cofinanzia, mentre Cantoni e Comuni si assumono l’onere di eseguire le disposizioni di legge e, naturalmente, anche di cofinanziare le stesse. Ora, per la natura stessa dei compiti dello Stato, ci sono compiti che riguardano maggiormente le zone urbane o il centro del paese e compiti che, invece, riguardano maggiormente le zone periferiche e di frontiera. Prendiamo il caso del Canton Uri. Questo Cantone riceve molto dalla Confederazione. In termini di franchi per abitante, il suo saldo finanziario rispetto alla
Confederazione è positivo ed è il più elevato. Si sa poi che nella classifica dei Cantoni svizzeri per Pil pro-capite Uri occupa uno degli ultimi posti. Va però precisato che Uri riceve molto dalla Confederazione non perché è un Cantone meno sviluppato degli altri, ma perché continua a costituire uno dei baluardi della strategia militare nazionale, perché è uno dei maggiori Cantoni produttori di elettricità e anche perché occupa una posizione altrettanto strategica nella rete dei trasporti e delle comunicazioni nazionale. Una parte importante dei contributi che Berna invia a Altdorf sono remunerazioni per prestazioni che il Canton Uri si assume per il resto della Confederazione. Da questo punto di vista si tratta dell’applicazione del principio «uno per tutti» piuttosto che di quella del principio «tutti per uno». Uri riceve certamente molto
dalla Confederazione, ma le dà anche molto. Detto questo per precisare che non tutti i saldi positivi dei flussi tra Cantoni e Confederazione riguardano eccedenze dovute a una politica redistributiva, vediamo di riassumere quanto ha messo in evidenza il nuovo rapporto del Consiglio federale sui flussi finanziari. Misurati con il metro dei franchi per abitante i Cantoni con il saldo positivo più importante sono Uri, Giura, Grigioni, Berna, Vallese e Friburgo con un saldo annuale per abitante superiore ai 2000 franchi. All’altra estremità della distribuzione abbiamo i Cantoni di Zugo, BasileaCittà, Ginevra, Sciaffusa, e Svitto, nei quali il saldo negativo dei flussi con la Confederazione supera, annualmente, i 2000 franchi. Possiamo ancora aggiungere, per dare un’idea più generale della natura di questa distribuzione, che solo 9 dei 26 Cantoni sviz-
zeri pagano di più di quanto ricevano dalla Confederazione, mentre gli altri 17 ricevono di più di quanto pagano. Vi sono però 5 Cantoni, tra i quali il Ticino, per i quali il saldo dei flussi è quasi uguale a zero. Questo significa che, nel loro caso, i flussi di denaro in entrata e in uscita quasi si equivalgono. Può sorprendere che il saldo dei flussi con la Confederazione sia, per il Ticino, quasi nullo in quanto il Cantone riceve dalla Confederazione, per la sua posizione alla frontiera e per la difesa della sua cultura, diversi aiuti speciali. Il fatto è che dal Ticino partono verso Berna, flussi di risorse fiscali altrettanto importanti. Bisogna quindi sempre stare attenti a non giudicare in modo troppo rapido la natura di eventuali saldi positivi (per i Cantoni) nei flussi finanziari tra Cantoni e Confederazione. Non sempre si tratta di elemosine!
se, soprattutto, la lotta interna non ha effetti concreti – anzi forse è soltanto controproducente – sulla battaglia più importante, che è quella contro i rivali repubblicani. La guerricciola attorno alla Pelosi è il sintomo di un fenomeno più grande che è ben sintetizzato dall’entusiasta in chief, la deputata più giovane e più famosa, Alexandria Ocasio-Cortez (foto), eletta a New York e artefice prima di un successo antiestablishment alle primarie e poi dell’avanzata democratica al voto di metà mandato. Lo svecchiamento inizia con la Ocasio-Cortez, che ancora non si è ufficialmente insediata – la legislatura comincia il 3 gennaio – ma ha già pubblicato molte stories su Instagram per raccontare la quotidianità di Washington, la politica vista da una che vuole fare la rottamatrice dell’ordine costituito – rottamatrice creativa, s’intende. Nel frattempo la Ocasio-Cortez si è gettata in una serie di botta e risposta con chi ha deciso di commentare ogni dettaglio che la riguarda, a cominciare dai vestiti per finire con le ricette per il Thanksgi-
ving (o per il pranzo, tanto è tutto in diretta per la giovane deputata), e se questo nuovo linguaggio ha fatto esultare molti, aria fresca per l’appunto, ha anche preoccupato parecchi altri. Non soltanto i più anziani che ovviamente vedono in questa ingenuità prorompente un pericolo, ma anche chi teme che al metodo si sostituisca l’ideologia, che come si sa è molto più a sinistra di quella corrente. Quando la Ocasio-Cortez dice che bisogna fare primarie per rinnovare l’establishment, di fatto fa la lista dei moderati e dei centristi e dice agli elettori: sbatteteli fuori. Il ricambio generazionale diventerebbe così ricambio ideologico, con virata radicale a sinistra, e questo senza che ci sia una chiara strategia a livello di partito. Ancora non si è capito se i democratici vogliono combattere il trumpismo dal centro o dai lati, ma se il traino sono gli esuberanti che sono arrivati alla Camera, con la loro giovinezza e le loro storie irresistibili da raccontare, la scelta avverrà di fatto, e poi sarà difficile tornare indietro. Poiché il 2020 è dietro l’angolo – non sembra, ma il
sistema americano impone campagne elettorali semipermanenti – l’onda blu si forma più o meno adesso, e poi toccherà adeguarsi. Resta inoltre la quotidianità. La Camera ha il potere di fare chiarezza sulla posizione fiscale di Trump, di convocare i ministri dell’Amministrazione per discutere del loro operato – il primo potrebbe essere il neosegretario alla Giustizia che ha molti legami con l’inchiesta del Russiagate – e di investigare sui legami con la Russia. In più naturalmente i democratici possono fare opposizione sulle iniziative legislative, dai finanziamenti al muro con il Messico alle misure sull’immigrazione. Le aspettative in questo senso sono molto alte, perché è la prima occasione da quando è iniziato il mandato di Trump in cui l’opposizione ha i numeri per farsi sentire: sarebbe invero deludente che si perdesse di vista ancora una volta l’obiettivo (Trump), tra sit-in degni della stagione di Occupy, stories su Instagram e battibecchi continui su cosa vuol dire essere democratico nell’America di oggi.
unicamente locale, mentre nella regione al di là del S. Gottardo conseguirono uno sviluppo così brillante e positivo da porre le fondamenta di un edificio politico che dura oggi ancora». Esageravano naturalmente, ma sotto quella cappa opprimente insistere sulla ribellione e l’amore per libertà aveva un senso ben preciso; altri autori, come Guido Calgari e Reto Roedel, avevano evocato le Alpi come «sorgente di vita morale», come spazio genuino ed incorrotto, in antitesi ai vizi e alle sregolatezze che invece caratterizzavano la città. Sul piano della rappresentanza politica a Berna, finora ha prevalso la montagna. Consideriamo la presenza dei leventinesi in Consiglio federale, il collegio esecutivo supremo della Confederazione: Stefano Franscini, Giuseppe Motta, Enrico Celio, Nello Celio; se aggiungiamo i locarnesi (Giovan Battista Pioda e Flavio Cotti), il numero dei sopraccenerini sale a sei. Il Sottoceneri
si è finora dovuto accontentare di due esponenti: Giuseppe Lepori e Ignazio Cassis. Segno che le teste non erano così quadre come spesso si è inclini a pensare... Tornando alla val Blenio, non sarà inutile ricordare la figura e l’opera di Vincenzo Dalberti, abate nato a Milano ma originario di Olivone, al quale lo storico Alessandro Ratti ha dedicato un profilo che vedrà la luce in volume l’anno prossimo. Dalberti fu, dal 1803 al 1814, la guida effettiva del neocostituito cantone, una scheggia di terra che si ritrovava sulle spalle un fardello gravosissimo, dalla rigenerazione della macchina legislativa e amministrativa al riassetto della rete viaria, dalla riorganizzazione del sistema scolastico e sanitario ad una maggiore integrazione dell’economia locale nel circuito nazionale. Il carteggio che egli intrattenne con il liberale zurighese Paul Usteri ci appare come un monumento di interessi, passioni,
curiosità, interrogativi; uno scambio di lettere che accompagna la faticosa costruzione di un cantone appena uscito da tre secoli di sudditanza. Ad aiutare la giovane repubblica a muovere i primi passi vi fu dunque un sacerdote; un chierico di idee moderatamente liberali; in seguito gli equilibri politici mutarono. Dopo il 1830 il testimone passò al movimento liberale e democratico, capeggiato questa volta non da un bleniese, ma da un leventinese: Stefano Franscini. Anch’egli si era formato a Milano. Come tanti giovani promettenti avrebbe dovuto intraprendere la carriera ecclesiastica. Come sappiamo, preferì imboccare un’altra strada per occuparsi di glottologia, didattica, educazione, statistica, diritto, nella persuasione che per governare bene occorresse conoscere il paese a fondo. Non erano teste di legno, questi due, ma teste ben fatte.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Che cosa vuole dire essere dem I democratici americani hanno conquistato la Camera alle elezioni di metà mandato e ora portano il carico – oneri e onori – di dare forma alla «onda blu» che deve scalzare il presidente Donald Trump dalla Casa Bianca, nel 2020. L’entusiasmo è grande, perché in questa tornata elettorale si è concretato un enorme cambiamento generazionale nella compagine dei
deputati, che porta aria fresca nelle dinamiche paludate del Congresso: i babyboomers continuano a essere i più rappresentati (sono più della metà), ma il tasso di ricambio non è mai stato tanto elevato negli ultimi cinquant’anni, e tutti gli occhi sono rivolti ai giovani – e alle giovani – che ora si vogliono intestare la battaglia per depotenziare lo strapotere repubblicano (e trumpiano). Il primo test, come spesso capita nel mondo liberal, è tutto in casa e ha a che fare con la nomina dello speaker della Camera: la più accreditata a ricoprire il ruolo è Nancy Pelosi, che è già stata speaker, ma c’è una fronda contro di lei, non particolarmente esuberante, ma reale. Molti neodeputati vogliono dare subito un segnale di cambiamento, e non confermare la veterana Pelosi potrebbe essere un modo per cominciare (Trump ci ha messo come sempre lo zampino dicendo che la Pelosi sarebbe la migliore speaker: se piace a lui, vuol dire che non va bene ai liberal), anche se il sistema di potere della dama californiana è molto solido e anche
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Quei testoni che fecero il Ticino «Scarpe grosse cervello fino»: lo si diceva, un tempo, per qualificare i montanari. Ma sarà vero? Diciamo subito che la verifica di tale asserzione è assai ardua. Dovremmo ricorrere alla frenologia, scienza che nel diciannovesimo secolo conobbe una certa fortuna in base all’ipotesi che fosse possibile dedurre i caratteri psichici di un individuo dalla conformazione cranica… Terreno minato, meglio esplorare il passato, il contributo che l’area alpina, inclusa la valle di Blenio, dette alla formazione della «repubblica e stato» del canton Ticino. Già solo un rapido sguardo alla valle del Sole rende l’idea di quanto sia pregiato il blasone, nomi come Bolla, Bertoni, Genucchi, Gianella, Pagani, Biucchi, Beretta, Donetta… I villaggi ambrosiani fornirono un bel contingente di teste pensanti, e non solo vetrai, facchini, mungitori, castagnai, pontieri al servizio di Napoleone… Certo, molti dovettero lasciare la casa
natale per guadagnarsi il pane nel vasto mondo. La vicenda di Mosè Bertoni in Paraguay desta ancora oggi stupore, oltre che l’interesse della comunità degli studiosi su entrambe le sponde dell’Atlantico; meno nota, ma altrettanto affascinante, la vita del cugino Luigi (Louis), agitatore anarchico a Ginevra tra Otto e Novecento. Nel patto di Torre, siglato nel 1182 tra Blenio e Leventina, alcuni medievisti intravidero la scintilla libertaria che un secolo dopo avrebbe provocato la rivolta di Uri, Svitto e Untervaldo contro gli emissari degli Asburgo. Nel 1941, in pieno clima resistenziale al nazifascismo trionfante, Giulio Rossi ed Eligio Pometta vollero sottolineare con forza questo innato anelito nella loro Storia del Canton Ticino: «Nelle alte Valli ticinesi questi moti di liberazione dai signori e dai paesi feudali erano maturati molto prima che non nei paesi silvani; ma colà essi ebbero una portata
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Cultura e Spettacoli Da Aranno al mondo Enzo Pelli ha recentemente dato alle stampe un libro in cui ripercorre la ricca vicenda genealogica dei suoi antenati artisti
Viktoria Mullova al LAC Il nostro settimanale mette in palio dei biglietti per il concerto dell’OSI del 6 dicembre
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Van Gogh al manicomio Alessandro Preziosi è forse fin troppo bello per interpretare il pittore maledetto nella versione di Stefano Massini
Fotografia protagonista A Chiasso e a Minusio va in scena una fotografia che si interroga sul nostro presente
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Isaac Bashevis Singer ritratto a New York negli Anni Settanta. (Keystone)
Tragici ebrei erranti
Narrativa Adelphi ha dato alle stampe un nuovo capolavoro del Premio Nobel Isaac Bashevis Singer Luigi Forte Hermann Broder ha almeno tre vite quante sono le donne che si porta appresso. Forse per debolezza, forse per mancanza di coraggio il figlio del reb Shmuel Leib di Cywków in Polonia inganna tutti, a cominciare dal corrotto rabbino Milton Lambert per il quale scrive libri, articoli e discorsi. Fa il ghostwriter a New York verso la fine degli anni quaranta quel simpatico e volubile impostore, la cui famiglia è stata spazzata via dalla Shoah. Si è salvato grazie alla sua domestica Jadwiga che lo tenne nascosto in un fienile nel villaggio di Lipsk. Poi con lei ha attraversato l’oceano e, giunto in America, l’ha sposata con rito civile. Lui ebreo, lei cattolica ma pronta a convertirsi. Sembra una storia a lieto fine che s’ingarbuglia proprio quando la realtà si tinge di rosa come le guance di quella contadinotta che non sa né leggere né scrivere, non parla yiddish e biascica solo poche parole di inglese. Qui ha inizio Nemici lo splendido romanzo del premio Nobel Isaac Bashevis Singer proposto ora da Adelphi nell’ottima versione di Marina Morpurgo. Pubblicata a puntate nel 1966 sul quotidiano yiddish «Forverts»,
poi tradotta in inglese, questa storia che fonde commedia e tragedia, nel 1989 è diventata un film con Ron Silver e Angelica Huston grazie al regista ebreo Paul Mazursky. Jadwiga ha trovato il paradiso accanto al suo uomo che sostiene di dover viaggiare per vendere libri. Lei fresca e timida si porta ancora dietro i profumi della lontana Lipsk, lui subdolo peccatore viaggia fra Brooklyn e il Bronx, dove l’aspetta la giovane amante ebrea Masha, una sopravvissuta bella e imprevedibile, che ha conosciuto con la madre Shifrah in Germania e ritrovato nella Grande Mela. È separata dal marito Leon, un medico fasullo, e aspetta con impazienza di sposare il suo nuovo spasimante, quell’Hermann sentimentalmente ubiquo e del tutto incapace di mettere ordine nella propria vita. Gli è rimasto addosso qualcosa di Yasha Mazun, il protagonista di un precedente romanzo di Singer, Il mago di Lublino, un incorreggibile dongiovanni, ambiguo e inquieto, diviso fra la tradizione ebraica e l’incapacità di vivere secondo le regole dei Padri, pronto ad abbandonare la moglie per fuggire con una vedova cattolica che soddisfa la sua lussuria. Ma Hermann è un soggetto
molto più domestico: passa dalla noiosa quiete casalinga alla seduzione erotica con poche fermate di metro che lui trasforma in immaginarie scorribande per l’immensa America. I suoi pensieri sono inarrestabili: sogna processioni funebri, combatte la guerra quotidiana contro i nazisti anche in tempo di pace, dubita del Dio della misericordia. Il passato sembra non passare mai e i suoi sogni si popolano di fantasmi perché vita e speranza affondano nell’incubo della Shoah. Ma Singer, erede di un’affabulazione generosa maturata nell’Europa orientale nel corso dei secoli, osserva le cose con sguardo obliquo, che si apre al sorriso e scopre il grottesco dietro la facciata del dolore. Al pari del fratello maggiore Israel Joshua, emigrato come lui negli Stati Uniti, autore di romanzi straordinari come I fratelli Ashkenazi e La famiglia Karnowski, che morì poco più che cinquantenne nel 1944. Isaac Bashevis evoca un ebreo errante incalzato dal passato, senza una vera un’identità, un edonista pieno di dubbi che si avviluppa nella menzogna e soccombe ai giochi del destino. Mentre Masha dà in escandescenze ricompare come dal nulla la prima moglie, Tamara, sopravvissuta all’Olocausto che ha
invece travolto i loro due bambini. Dice di essere ormai una donna morta la cui vita è stata sbucciata come una cipolla. Ma alla fine sarà la più intraprendente, capace di gestire la libreria di uno zio coinvolgendo lo stesso Hermann. E che dire ora a Jadwiga che, a suo tempo, era stata a servizio a casa Broder? La signora di oggi è ancora sempre la domestica di allora: di fronte a Tamara è pronta ad andarsene. Se non ci fosse di mezzo l’imprevedibile Masha che crede di essere incinta e riesce a farsi sposare. Una vera farsa, dice la madre di lei, che diventa quasi surreale nel momento in cui si scopre che l’unica donna gravida è Jadwiga. Una girandola di eventi da cui lo stesso Hermann, sempre più fatalista, non riesce ormai a sottrarsi: si lascia condurre dai Poteri, che si «chiamino Caso, o Provvidenza o Tamara». E non riesce a dominare nemmeno quello strano riso che smuove dentro di sé l’infelicità più nera. Certo, Tamara lo lascia libero e preferisce accompagnarsi alla domestica di un tempo, ma c’è sempre ancora Masha afflitta da incubi e visioni allucinanti dopo la falsa gravidanza. In una New York talvolta misteriosa e fiabesca, dove s’aggira l’eterno
viandante Hermann vittima dei propri inganni, Singer evoca un mondo di fantasmi che attraversano la vita con l’espressione amara della disperazione e la smorfia, l’urlo di Masha di fronte al cadavere della madre suicida. L’amore soccombe nella memoria dei sopravvissuti, in un mondo caotico e crudele dove anche l’Onnipotente sembra implacabile e spietato. Ecco i veri nemici dell’amore che questo libro declina fra un uomo e tre donne senza alcuna via d’uscita dispensando però ludiche e gioiose bizzarrie velate di malinconia. Singer ha scritto un formidabile romanzo che si affaccia sul vuoto e la perdita: della famiglia, della patria, della fiducia in se stessi e nella vita. Masha segue il destino di sua madre, mentre Hermann, sempre in fuga anche da se stesso, scompare. Chissà dove sarà, si chiede Tamara, che il rabbinato dichiara sciolta da ogni legame matrimoniale. Potrà risposarsi. Magari, dice lei, nel mondo a venire. Chissà, forse con Hermann. Bibliografia
Isaac Bashevis Singer, Nemici. Una storia d’amore, trad. di Marina Morpurgo, Adelphi 2018, p. 257, € 18,00.
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Cultura e Spettacoli
I migranti dell’arte Pubblicazioni Un libro racconta la storia della famiglia Pelli di Aranno
Alessia Brughera «Non è una pubblicazione scientifica destinata agli specialisti, ma un racconto semplice e scorrevole dove sono descritte vicende che hanno coinvolto dieci generazioni di Pelli, costruttori e pittori», sono queste le parole che ci introducono al volume L’emigrazione artistica della famiglia Pelli di Aranno, uscito per i tipi di Giampiero Casagrande Editore.
Attraverso i secoli la famiglia Pelli si è distinta all’estero per le proprie competenze artistiche L’autore, Enzo Pelli, classe 1948, per anni produttore di programmi, documentari e sceneggiature per la Televisione Svizzera e dedito all’arte calligrafica, appartiene alla dodicesima discendenza del capostipite Pietro, nato alla metà del Cinquecento, l’antenato più antico di cui si possiedono notizie. Attraverso la sua narrazione sciolta dallo stile divulgativo, Enzo Pelli ci porta a conoscenza della lunga storia intrisa di arte del suo lignaggio, con la genuina fierezza di chi è consapevole della rilevanza del proprio passato e di come sia doveroso custodirlo e renderlo noto. Sebbene non si tratti di un testo per gli addetti ai lavori, il libro è redatto con dovizia di particolari, testimonianza di una complessa attività di ricerca incominciata molto tempo fa. La pubblicazione, difatti, non fa che dare un senso compiuto alla raccolta di informazioni iniziata nei secoli scorsi dai membri della famiglia Pelli, attraverso la ricostruzione dei primi alberi genealogici e la messa per iscritto di notizie fino ad allora tenute vive solo oralmen-
Veduta di Novgorod di Luigi Pelli I (1826).
te, e proseguita poi dal padre di Enzo, l’avvocato Ferruccio Pelli, che è stato anche sindaco di Lugano, con una scrupolosa sistemazione di tutti gli attestati e gli oggetti rinvenuti nelle due dimore di famiglia, quella originaria nel nucleo del paese di Aranno e quella di Pura. Quest’ultima è la casa che Enzo Pelli frequentava assiduamente da bambino e in cui apprendeva dai racconti delle tre anziane sorelle del nonno i primi aneddoti sui suoi stimati predecessori, che avevano lavorato con abilità e onore in molti paesi stranieri. Dal XVII al XIX secolo per i Pelli l’emigrazione artistica non ha avuto alcuna interruzione, e benché documentata solo a partire dal Seicento è ipotizzabile con molta probabilità che sia iniziata prima. Le mete erano la Danimarca, la Russia, l’Italia, la Francia, la Germania e la Spagna, dove con la
dovuta preparazione gli uomini della famiglia di Aranno praticavano mestieri legati all’arte e all’architettura. Qui soggiornavano per lunghi periodi facendo ritorno alla terra d’origine solo saltuariamente, per sposarsi con ragazze ticinesi e per vedere di tanto in tanto quanto era cresciuta la loro prole. Solo nella vecchiaia il rimpatrio era definitivo, trascorso accanto alle mogli che negli anni della loro assenza avevano cresciuto i figli e badato alla casa. Si susseguono così, corredate da molte immagini, le vicende di tutti quei Pelli che «senza raggiungere la fama di un Borromini o di un Trezzini, hanno operato in modo dignitoso e competente, talvolta raggiungendo posizioni e risultati importanti». Come il Domenico nato nel 1590 circa, che in qualità di ingegnere militare parte dal piccolo paese di Aranno per par-
tecipare ai grandi avvenimenti bellici europei, lasciando anche un prezioso trattato manoscritto di architettura militare e civile molto raro per i tempi. O il suo omonimo pronipote, anche lui costruttore militare, che dopo aver lavorato a Strasburgo viene inviato da Luigi XIV presso Cristiano V, re di Danimarca e Norvegia, da cui viene insignito nel 1697 di un prestigioso titolo per le sue imprese architettoniche. O, ancora, come Cipriano, nato nel 1750, pittore molto apprezzato a Venezia per le decorazioni di palazzi e per le scenografie teatrali. Le sue opere richiamano le tele dei maestri lagunari del Settecento e quelle dei grandi artisti rinascimentali, come si evince ad esempio dalla bella Adorazione dei Magi, riprodotta nel libro, in cui non passano inosservati il taglio compositivo, le pose delle figure e gli effetti
cromatici memori di pittori quali Jacopo Bassano. Interessante, poi, è come Cipriano, a questo e a molti altri lavori, non rinunci a conferire una connotazione familiare, rappresentando sullo sfondo i paesaggi del Malcantone a lui molto cari, caratterizzati dai dolci contorni dei monti che si intravedono da Aranno osservando il panorama verso Breno e il monte Lema. Scorrono poi anche le vicende del cugino Luigi, attivo prima come architetto a Milano, al fianco di Luigi Canonica nel cantiere dell’Arena, e in seguito in Russia, dove il suo operato viene particolarmente gradito dallo zar Nicola I che in segno di stima gli dona preziose tabacchiere in argento. Giù per l’albero genealogico, si arriva a Vittore, nato sul finire del Settecento e ultimo rappresentante della dinastia di artisti della famiglia Pelli. Scenografo, vedutista e pittore di teatro in quel di Venezia, nel 1824 parte per un avventuroso viaggio al seguito di una compagnia teatrale fino a che non si vede costretto a stabilirsi nella Serenissima per poter ricevere l’eredità dello zio deceduto. Qui, caso unico nella storia degli artisti Pelli, viene raggiunto dalla moglie, con cui fa poi ritorno ad Aranno nel 1845 aggirando l’obbligo di risiedere a Venezia con un escamotage messo in atto con la complicità del suo medico, che, a causa dei numerosi «malanni» che affliggevano i componenti della famiglia, consigliava caldamente di cambiare aria tornando in patria. Sarà proprio Vittore ad acquistare e ristrutturare verso la metà dell’Ottocento la dimora di Pura, tra le cui pareti riecheggiano ancora oggi le secolari imprese artistiche dei Pelli di Aranno. Bibliografia
Enzo Pelli, L’emigrazione artistica della famiglia Pelli di Aranno, Lugano, Giampiero Casagrande, 2018.
Viaggio al centro dell’immagine Saggistica Tre artisti fanno il punto sullo stato dell’arte, della pittura e della fotografia nei loro recenti saggi Emanuela Burgazzoli Che cosa succede quando uno dei più grandi artisti contemporanei prende la parola al Collège de France per tenere lezioni e seminari? Si viene proiettati dal celebre artista tedesco Anselm Kiefer in un viaggio inaspettato e anticonvenzionale nella storia dell’arte e nel significato dell’immagine artistica, partendo dalla considerazione che la necessità di esprimere l’arte si scontra con l’impossibilità di definirla e afferrarla con la parola teorica. L’autore di opere memorabili come Lilith, che da sempre si interroga sul passato e sull’identità del proprio Paese, compie questo percorso attingen-
do al mito, alla religione, alla scienza e alla letteratura (ricorrono i nomi di Paul Célan, Ingeborg Bachmann, Paul Valéry, Jean Genet). Nonostante l’arte sembri oggi sull’orlo dell’abisso, soffocata dal mercato, dalla quantità e dalla ripetizione, «sopravvivrà alle sue rovine» (titolo del saggio uscito per Feltrinelli), afferma Kiefer che si (e ci) pone alcuni interrogativi cercando ipotesi di risposte. L’artista, come il poeta, osserva Kiefer, esaurisce il mondo per sostituirlo con uno nuovo. Partendo dall’analisi di proprie opere, e di quelle di altri artisti contemporanei e del passato, Kiefer porta a riflettere sullo statuto dell’artista, un essere che tende alla totalità, e sul rapporto fra materia,
L’artista Anselm Kiefer davanti alla sua opera Der fruchtbare Halbmond in un’immagine del 2011. (Keystone)
natura e idea. Del resto il linguaggio, non soltanto descrive, ma determina anche il pensiero. E allora è inevitabile pensare alla prassi artistica di Kiefer stesso che si affida al tempo e agli agenti naturali per completare l’opera (mai finita), ma anche all’utilizzo di materiali di transizione come il piombo, perché rinvia a un’idea di evoluzione; il piombo «racchiude una scintilla di luce che sembra appartenere a un altro mondo», con riferimento al sapere degli alchimisti. La ricerca dell’artista insomma è fatta di deviazioni faticose, in cui intervengono il caso e le scelte personali, da percorrere per poter imbattersi in una sorpresa. I fili delle riflessioni di Kiefer, come quelli della costellazione di Andromeda che nell’omonima opera affondano nelle profondità marine, uniscono quasi magicamente le cattedrali di Monet agli autoritratti di Rembrandt, le opere di Lorenzo Lotto ai disegni di Victor Hugo. Gli ultimi due capitoli danno infine accesso ai suoi luoghi di creazione; Barjac – un complesso di edifici e gallerie sotterranee – e l’atelier di Croissy, uno spazio labirintico e monumentale dove idee e materiali «producono una sorta di cristallizzazione chiamata Arte». Un’arte che Kiefer ha proibito ai suoi agenti di esporre alle fiere internazionali per sottrarla alle logiche del mercato e del-
la pura speculazione, molto lontana quindi dal geniale cinismo di Damien Hirst che mise all’asta molte delle sue opere nei giorni seguenti al crac finanziario del 2008. Ma se l’arte è ridotta a puro consumo, è legittimo chiedersi se esista ancora: certamente sì, almeno finché ci porremmo queste domande, risponde Kiefer. Altro attualissimo saggio l’indagine sistematica che l’artista, curatore e critico spagnolo Joan Fontcuberta, propone sulla così detta epoca postfotografica (La furia delle immagini, Einaudi). La rivoluzione digitale ha travolto anche l’immagine fotografica, soggetta ormai a una completa smaterializzazione, condivisa e accessibile a tutti grazie alle nuove tecnologie. L’autoritratto, un tempo appannaggio dei soli artisti, si rinnova oggi nella pratica del rito collettivo del «selfie» (che, si scopre, ha avuto dei precedenti agli inizi del Novecento): Fontcuberta definisce copernicana la rivoluzione che ha visto la macchina staccarsi dall’occhio per rivolgersi al soggetto. Un gesto che ha messo in crisi la fotografia documentaria e creato una nuova categoria, la fotografia discorsiva: «Prima la fotografia era linguaggio, ora è scrittura». Ma questa evoluzione – che al culmine vede l’apparizione dell’homo photographicus – comporta anche delle perdite: di senso, di memoria e di valori. I nuovi valori sono l’errore e il caso.
Stimolante anche la lettura del saggio del pittore e scrittore inglese Julian Bell – nipote di quel Julian Bell figlio della sorella di Virginia Woolf –, che a distanza di qualche tempo dal racconto di John Berger, cerca di proporre alcune ipotesi alla domanda: «Che cos’è la pittura?» (edizione rivista del saggio uscito nel 1999, pubblicata da Einaudi), in risposta a chi dava ormai in via di estinzione la pratica del dipingere. Bell individua alcuni snodi fondamentali nella storia della pittura; fra questi il concetto di rappresentazione, l’opposizione fra realismo e idealismo (forse soltanto apparente), la grande sfida dell’astrazione alla figuratività; l’evoluzione di concetti quali lo spazio e la prospettiva; l’importanza della dimensione temporale e della dimensione conoscitiva («Che cosa c’è da conoscere in quello che vediamo?», sembrano chiederci le nature morte di Giorgio Morandi). Teorie sull’arte riviste con l’occhio del pittore per ritrovare il piacere di guardare. Bibliografia
Anselm Kiefer, L’arte sopravvivrà alle sue rovine, Milano, Feltrinelli, 2018. Joan Fontcuberta, La furia delle immagini, Torino, Einaudi, 2018. Julian Bell, Che cos’è la pittura?, Torino, Einaudi, 2018.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Cultura e Spettacoli
Dalla Russia con furore Musica La grande violinista russa Viktoria Mullova al LAC
per un concerto con l’OSI; «Azione» mette in palio alcuni biglietti
Una transizione difficile Cinema Esce nelle sale Girl del regista belga
Lukas Dhont
Enrico Parola Mstislav Rostropovich, uno dei massimi musicisti dell’ultimo secolo, sintetizzava efficacemente la differenza tra Shostakovich e Ciajkovskij: «Ciajkovskij è l’autore russo più popolare, Shostakovich è l’autore del popolo russo». In effetti le sinfonie, i concerti, il Lago dei cigni e lo Schiaccianoci di Ciajkovskij sono universalmente noti, mentre Shostakovich «era l’autore in cui la gente riconosceva la propria storia. Quando lo dirigevo venivano a teatro operai, cameriere e casalinghe, non solo la classe colta, perché nelle sue note riconoscevano fatti, personaggi e luoghi reali della Russia, dalla Leningrado assediata dai nazisti alle parate del 1° maggio davanti al Cremlino. Ma, ed è questo il segreto della sua «popolarità», la gente capiva che se una storia così drammatica e dolorosa poteva essere raccontata da una musica così bella, allora il male non era la parola definitiva, c’era ancora una speranza». È splendido e interessante dunque il confronto che Markus Poschner e la Osi hanno scelto per il programma del 6 dicembre: il primo Concerto per violino di Shostakovich e l’ultima sinfonia del pietroburghese, la celeberrima Patetica. Due brani a loro modo dirompenti rispetto alla tradizione e vertiginosi quanto a intensità emotiva. Di contro ai canonici tre movimenti, il Concerto si articola in quattro parti, sorta di suite che si apre con un lirico Notturno, prosegue con uno Scherzo brillante e poi, prima della virtuosistica e travolgente Burlesca finale, inserisce una Passacaglia, dove su una linea al basso costantemente ripetuta il violino e le diverse sezioni orchestrali danno vita a otto variazioni. Basterebbe ascoltare il canto del violino in questo movimento per rendersi conto della novità, a tratti sconvolgente, di questa musica: un canto freddo, tagliente, nel quale però si sente vibrare un ardore appassionato e tormentato. Sempre Rostropovich, che del compositore fu amico intimo oltre che interprete sommo, spiegava a un giovane e già talentuosissimo Maxim Vengerov (con l’Osi ci sarà un’altra stella assoluta dell’archetto, Viktoria Mullova), che qui «il so-
Nicola Mazzi
Viktoria Mullova sarà in scena al LAC il 6 dicembre.
lista non deve cercare il bel suono, ma deve suonare pensando all’esperienza di questo autore ostracizzato dal Partito, che vede la propria musica bollata come «degenerata» e quindi censurata, che aveva passato le durezze della guerra e si ritrovava, era la fine degli anni 40, con l’incubo Stalin». Non a caso Shostakovich compose una sinfonia ispirata alla morte di Stalin facendola iniziare con una sorta di requiem e terminandola con un vero e proprio inno alla gioia. Se comune a tanti connazionali fu l’esperienza di Shostakovich, personalissima e tutta intima fu la tormentata vicenda di Ciajkovskij. Forse in nessun’altra musica come nella Patetica echeggia il male di vivere, il senso della fine. Che giunse per un attacco di colera solo nove giorni dopo il 16 ottobre 1893, quando lo stesso autore diresse la sua sesta sinfonia. Ciajkovskij visse malissimo la sua omosessualità, temendo costantemente la condanna pubblica; e il matrimonio di facciata, naufragato rapidamente, non fece che peggiorare la sua già fragile condizione psichica. Mai s’era sentita una sinfonia iniziare con un fagotto che al grave, su uno scurissimo tappeto degli archi, intona un canto triste e pensoso;
un primo movimento lento, seguito dall’illusione di un Allegro con grazia danzante e uno Scherzo che fa scattare l’applauso tanta è l’energia che sprigiona col suo ritmo travolgente. Ma sono illusioni: il vero finale è un Adagio lamentoso, un recitativo a pieni archi su dolenti note dei fiati che sanno già di addio alla vita. Commiato che arriva nelle battute conclusive, un ultimo palpito affidato ai soli violoncelli e contrabbassi dove l’autore prescrive un pianissimo appena percepibile. Un naufragio leopardiano, la cui dolcezza è però tutt’altro che evidente; ma, miracolo delle note, la cui musica è una delle più belle e commoventi dell’intera storia musicale.
Tra i film più applauditi all’ultimo Festival di Cannes (presentato nella sezione Un Certain Regard e vincitore della Caméra d’or), è arrivato anche nelle nostre sale Girl dell’esordiente belga Lukas Dhont. Il film è un racconto lieve e potente di un adolescente che non trovandosi bene nel suo corpo inizia un doloroso e difficile percorso di trasformazione da maschio a femmina. Essere una Girl, diventare cioè una ragazza, è l’obiettivo che si pone Lara, la quale, parallelamente, segue anche un altro percorso – fatto di duri allenamenti – che la dovrebbe portare a diventare una ballerina classica. La cinepresa è quasi sempre attaccata al corpo di Lara. La segue ovunque: negli spogliatoi insieme alle altre ragazze, mentre si allena in palestra, quando effettua le regolari visite mediche con il padre e in quel forte gesto – anche simbolico – in cui, con il nastro adesivo, si attacca le parti intime al corpo. Anche il viso e la voce sono importanti in Girl, perché oltre al corpo la macchina da presa indugia spesso e volentieri sulla faccia androgina e i capelli biondi di Lara. Il tono di voce, in transizione anch’esso, la costringe a molti silenzi. Lara parla solo quando è
davvero necessario, probabilmente infastidita anche da questa caratteristica maschile. Il tutto è inquadrato in una serie di azioni quotidiane (la scuola, lo sport, la vita familiare) che rendono la sua una storia qualunque, non eccezionale. Certo, ci sono momenti difficili da gestire (la festa con le amiche è il più significativo), ma tutto sommato Lara è ben accettata: sia dal padre sia a scuola. Il regista non ha voluto insistere sullo sguardo degli altri, preferendo concentrarsi sulla protagonista, sui suoi travagli interiori e sulle sue trasformazioni. E lo ha fatto molto bene, cogliendo ogni piccolo cambiamento di emozione, ogni recondito pensiero. In questo senso Dhont deve molto ai fratelli Dardenne, suoi connazionali. Ma c’è una differenza importante: i Dardenne oltre ad aver fatto dello stile naturalistico – contraddistinto dalla macchina a mano, da ambienti reali e dalla ripresa di momenti in cui non succede nulla di significativo – un vero e proprio marchio di fabbrica, si rivelano piuttosto pessimisti sulla società moderna (perché alla fine è quella che descrivono). Quando guardi un loro film ti resta l’amaro in bocca. Dhont, invece, lascia trapelare una luce più ottimista che osserviamo metaforicamente, nella scena finale, sul volto tranquillo e sereno di Lara.
Per partecipare «Azione» mette in palio per i suoi lettori alcuni biglietti per il concerto del 6 dicembre al LAC. Dirigerà Markus Poschner, al violino Viktoria Mullova. Per partecipare all’estrazione vogliate seguire le istruzioni pubblicate sulla pagina www. azione.ch/concorsi
Il giovane Victor Polster (classe 2002) è il protagonista di Girl.
Freddo dentro
Danza L’Opernhaus di Zurigo propone il balletto Die Winterreise, ispirato all’omonimo ciclo di Lieder schubertiano
e diretto dal sempre bravo Christian Spuck Marinella Polli Christian Spuck è ormai internazionalmente acclamato grazie soprattutto a indimenticabili coreografie su capolavori della letteratura, per esempio Anna Karenina, Leonce und Lena, Woyzeck, Der Sandmann, o su grandi opere musicali preesistenti, e peraltro già perfettamente eloquenti di per sé. L’instancabile direttore del Ballett Zürich ci riprova, mettendo in repertorio in prima mondiale una nuova coreografia di Die Winterreise, il capolavoro di Franz Schubert nella versione ricca di contrasti per tenore e orchestra del 1993 di Hans Zender (Die Winterreise fu composto in origine da Schubert per pianoforte e tenore, e non per baritono o per mezzosoprano), già egregiamente coreografata nel 2001 dal grande John Neumeier. Pur rimanendo convinti che tali compiutissimi capolavori non abbiano alcun bisogno di immagini, riconosciamo di aver trascorso, come d’altronde il folto pubblico presente alla prima, una se-
Un suggestivo momento di Winterreise, in scena a Zurigo. (© Gregory Batardon)
rata incentivante e ricca di emozioni. Per Christian Spuck, ognuno dei 24 Lieder del ciclo schubertiano ha i suoi protagonisti completamente governati da quello che è un paesaggio non concreto, bensì interiore; un sug-
gestivo caleidoscopio di emozioni e impressioni, sensazioni e sentimenti, ossessioni e angosce, sogni o incubi, qui esemplificabili con situazioni quali il rifiuto, le pene d’amore e l’esilio, il desiderio di vicinanza e a un tempo di
lontananza, le insicurezze, la solitudine e il disorientamento che accompagnano l’errante lungo il suo eterno viaggio. Se Franz Schubert racconta nel suo ciclo di Lieder (su testi di Wilhelm Müller) quello che può essere definito il destino di tutti gli uomini: fuggire, vagare e peregrinare verso una meta sconosciuta, le intense ed eloquenti immagini coreografiche di Spuck, gli ensemble, i Pas-de-deux danzati per esempio da Inna Bilagh e Alexander Jones (Der Lindenbaum), ma anche le prestazioni degli altri solisti (un grande Jan Casier) ne sono senz’altro la perfetta interpretazione. Tutto ciò viene ancor più evidenziato dalla scenografia di Rufus Didwiszus, limitata a uno sfondo rigorosamente grigio, dunque mantenuta essenziale e disegnata quasi soltanto dai movimenti e dai corpi, da qualche accessorio come corvi e cornacchie impagliate, trampoli, rami secchi e fiocchi di neve, e dal gioco delle luci perfetto come di consueto di Martin Gebhardt.
Resta ancora da dire, anzi da ribadire come il ricco, variegato e moderno vocabolario di Spuck si sposi perfettamente con tecnica, purezza e rigore di stile dell’arte coreografica più tradizionale. Inoltre, dei costumi semplici ma suggestivi – grigio, nero o nude calzamaglia – di Emma Ryott, nonché dell’impeccabile prestazione della Philarmonia Zürich diretta da Emilio Pomàrico. Alla fine della rappresentazione, il pubblico premieristico ha salutato a suon di lunghi e scroscianti applausi all’indirizzo di Spuck e dell’intera compagine del Ballett Zürich davvero in smagliante forma, di orchestra e maestro, nonché del tenore Thomas Erlank il quale, sostituendo l’indisposto Mauro Peter, ha fornito un’esemplare interpretazione dei Lieder. Dove e quando
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Cultura e Spettacoli
Van Gogh in manicomio
Teatro Un dramma di Stefano Massini con Alessandro Preziosi protagonista
Giovanni Fattorini Un pittore (una pittrice) è propriamente tale quando dipinge, così come uno scrittore (una scrittrice) lo è quando scrive, e un musicista (una musicista) quando compone musica. È per questa ragione che i cosiddetti «biopic» (i film biografici) di cui sono protagonisti un pittore, uno scrittore o un musicista risultano sempre, anche se in misura diversa, ingannevoli e riduttivi. Ciò che ritraggono è principalmente quello che Proust chiamava «l’uomo mondano», cioè l’artista nella sua vita di relazione. Solo in piccola o minima parte ce lo mostrano durante il processo di elaborazione di un’opera d’arte: un processo che in quanto «discorso mentale» (per usare un’espressione leonardesca) non è traducibile in immagini cinematografiche, e in quanto «operazione manuale» (altra espressione leonardesca) è ben poco allettante a livello narrativo, perché di non breve durata e variamente disseminato di esitazioni, «pentimenti», abbandoni e riprese, indugi e accanimenti su particolari anche minimi. Per un biopic di successo serve un artista con una vita fitta di situazioni e accadimenti sconcertanti, di eccessi temperamentali, di comportamenti trasgressivi e provocatorî, di aspetti nevrotici o psicotici. Ecco perché non esistono biopic su Matisse o sul Beato Angelico (pittore grandissimo), mentre ne esistono diversi su Caravaggio e Van Gogh. La vita del pittore olandese (come quella di Caravaggio) è costellata infatti di situazioni e comportamenti abnor-
Alessandro Preziosi è Van Gogh. (teatromanzoni.it)
mi. Basti pensare a quando, nel corso di un litigio, minacciò Gauguin con un rasoio; alla mutilazione che poi si inflisse tagliandosi parzialmente l’orecchio sinistro; alle crisi depressive, alle allucinazioni e ai ricoveri ospedalieri; al tentato suicidio in un campo di grano – dove si era recato per dipingere – con un colpo di pistola nella pancia, che il giorno seguente ne causò la morte. A un particolare ricovero ospedaliero si è interessato Stefano Massini, autore di un testo teatrale il cui titolo, L’odore assordante del bianco, è un esempio di traduzione in figura retorica di un fenomeno percettivo – l’associazione sincronica di sensazioni diverse dovute alla stimolazione di un solo organo di senso – che in ambito psico-
logico si designa col termine «sinestesia». Se l’associazione è inconsapevole e del tutto incontrollabile, si parla di «allucinazione»: fenomeno di cui Van Gogh – nel lungo atto unico di Massini, ambientato in uno stanzone del manicomio provenzale di Saint-Paul-deManson, dove il pittore venne internato (dietro sua richiesta) nel maggio del 1889 – sembra di volta in volta ignorare o riconoscere la natura abnorme. Il biancore accecante e asettico delle pareti, del pavimento e del soffitto accrescono l’angoscia e la rabbia dell’artista, a cui il dottor Vernon-Lazare ha vietato di dipingere, nella convinzione che per una personalità tanto eccitabile i colori costituiscono un pericolo. Costruito circolarmente, il dram-
ma di Massini termina là dove comincia, rendendo definitivamente incerto il confine tra allucinazione e realtà degli accadimenti che sembrano legati fra loro da un rapporto stringente di causa-effetto. Massini ha dichiarato che scrivendo di Van Gogh ha provato a chiedersi cosa significhi essere sicuri di ciò che vediamo, sicuri di ciò che definiamo realtà. Un interrogativo che si accompagna a un raffronto tra diversi tipi di psichiatria: quello più arcaico, dispotico e repressivo dello spocchioso dottor Vernon-Lazare, e quello più sperimentale, che prelude alla terapia analitica, del dottor Peyron. Eliminato il problema di cui dicevo all’inizio a proposito dei biopic attraverso la collocazione della vicenda in un intervallo temporale di forzata inoperosità dell’artista, Massini ha indagato in modo coinvolgente la tormentata personalità del pittore, basandosi fra l’altro sulle numerose e bellissime lettere che Vincent scrisse al fratello Theo. Rendere incerto il confine tra realtà e allucinazione è ciò che si è proposto anche il regista Alessandro Maggi, che ha ambientato l’azione (la scena è di Marta Crisolini Malatesta) in uno spazio di pressoché assoluta nudità (dove vengono introdotti per breve tempo un letto di contenzione e una sedia), formato da piani sghembi e spigolosi. Più difficile è stato risolvere il problema a livello di recitazione. Alessandro Preziosi (Van Gogh) è a tratti convincente e a tratti manifestamente alle prese con un personaggio che gli è poco affine. E a mio parere non ha il physique du rôle: è troppo aitante, trop-
po bell’uomo, benché il regista lo abbia costretto, per rafforzare l’immagine di un forte disagio psichico, a recitare quasi costantemente col busto piegato in avanti di 45 gradi. Nei panni di Theo, Massimo Nicolini è ininterrottamente in sovrattono: ora enfatico, ora accademico. Roberto Manzi è un dottor Vernon-Lazare in chiave caricaturale (allucinatoria?). Francesco Biscione (dottor Peyron) è per lo più di efficace naturalezza. Ultima nota: troppi interventi musicali, alcuni sbagliatissimi. Dove e quando
L’odore assordante del bianco, Milano Teatro Manzoni, fino al 2 dicembre; Lugano, LAC, 22 e 23 gennaio.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Cultura e Spettacoli
Quei paesaggi insoliti Mostre/1 La piattaforma per l’arte contemporanea di Minusio
propone la ricognizione paesaggistica di alcuni fotografi
Fotografo, dunque sono
Mostre/2 A Chiasso sono esposte
le fotografie di Thomas Krempke Giovanni Medolago
Veduta dell’esposizione in corso a Minusio.
Gian Franco Ragno Nello spazio di Minusio di OnArte, che si definisce «piattaforma per l’arte contemporanea», assistiamo a una collettiva assai composita sul tema del paesaggio contemporaneo: sei autori che propongono un’interpretazione del tema in chiave autoriale. Apre l’esposizione Maurizio Montagna, uno dei più interessanti fotografi italiani di paesaggio della nuova generazione, il quale – dopo una fase iniziale in cui ha indagato a lungo sulle forme dei billboard, ovvero i grandi cartelli pubblicitari nella provincia italiana – si è immerso nella luce e nei terreni ocra della Spagna attuale, tra mito e contemporaneità, usando come guida, forma, metro e richiamo la sagoma del toro di Osborne.
I paesaggi inusuali che danno il titolo alla mostra sono prove della ricerca artistica sulle contraddizioni dell’oggi Riprendendo le sue fotografie sull’estrazione del marmo, nei «paesaggi improbabili», Stefania Beretta ricuce letteralmente il filo delle sue esperienze sopra la superficie della fotografia – come già fece in occasione di un’importante esposizione monografica al Museo di Ascona nel 2016 – e, al tempo stesso, dialoga con le vicine opere della scultrice Veronica Bran-
ca-Masa; un legame dato non solo dal richiamo alla materia raffigurata e lavorata, ma soprattutto all’assenza della stessa nei vuoti rappresentati. Nell’allestimento comune sembrano qui confermate le parole dello storico della fotografia Michel Frizot secondo il quale fotografia e scultura hanno una parentela indissolubile: nascono entrambe dalla luce. Utilizzano i nuovi media e internet non solo come interfaccia ma come veri e propri canoni e impianti di conoscenza capaci di offrire immagini inedite – dimenticando nello stesso tempo volontariamente la macchina fotografica – due artisti di generazioni differenti, Jean-Marc Yersin e Domenico Scarano. Il primo, vodese, da sempre più legato alle tematiche proprie dell’utopia e alle memorie industriali, sfrutta Google Earth per isolare e celebrare frammenti dal sapore postmoderno di questo catalogo mondiale offerto dal gigante del web: egli ripropone immagini a tratti ancora imperfette, inesatte, poco definite e quindi quasi espressioniste per distorsione e colori. Il secondo, ticinese di adozione, compie l’operazione concettuale di rintracciare – laddove possibile – i luoghi fotografati da Gabriele Basilico per il libro Bord de Mer: un lavoro che evoca l’assenza non solo della morale del grande fotografo milanese (vero punto di riferimento per tutta una generazione di fotografi) ma anche, nella ricognizione digitale, delle sue celebri atmosfere e tonalità di
bianco e nero, quasi si trattasse di un impossibile ritorno. Ne risultano delle immagini piatte e uniformi, marcate dai segni di navigazione tramite remoto, ma non contraddistinte da quell’essenzialità, da quella necessità dell’esperienza diretta dei luoghi. E infine, attualmente esposto alla galleria ConsArc di Chiasso (vedi articolo a lato), Thomas Krempke, autore di un libro fotografico per l’editore Patrick Frey, Das Flüstern der Dinge. Il libro, delicato diario visivo, in alcuni momenti sfiora la confessione («Là dove guardo il mondo cambia», scrive). Presente negli spazi di OnArte a Minusio con un progetto site specific, ideato per il luogo in esposizione, Krempke compie una ricognizione dei territori più prossimi allo spazio locarnese, scovando oggetti, segni, tracce in qualche misura significativi del mondo che lo circonda. Sono questi quindi i «paessaggi inusuali» del titolo; prove di ricerca artistica intorno a un genere che non può più contemplare solamente la bellezza del paesaggio senza considerare le sue contraddizioni. A partire dall’onnipresenza e prepotenza dei media – che ne modellano la percezione – fino a quella sensazione di straniamento che ci assale anche nei luoghi più vicini a noi.
A chi gli chiedeva se le montagne non rappresentassero una preclusione/ chiusura, René Burri era solito rispondere «Al contrario: hanno acceso in me la curiosità, volevo sapere cosa ci fosse là dietro!» Thomas Krempke è nato a Zermatt, nel 1957. È dunque probabile che anche per lui, lassù tra le alte vette, sia scattata la molla della curiosità. Lasciata l’ombra del Cervino, a 20 anni è a Zurigo, dove studia dapprima letteratura tedesca e francese all’università; poi nel ’79 si iscrive alla Kunstgewerbeschule. Giusto il tempo di apprendere qualche nozione ed ecco che Zurigo brucia: sulle rive della Limmat scoppia una lunga rivolta giovanile. Il 23enne Thomas sarà coautore del documentario cult Züri brännt, preziosa testimonianza di controinformazione. Il cinema resterà una sua viva passione che lo spingerà, tra le varie attività, a offrire un supporto a giovani aspiranti registi, con iniziative in America Latina (Messico, Columbia, Cuba). Ha inoltre curato la post-produzione di pellicole firmate da nomi illustri quali il serbo Goran Paskaljevic, l’argentino Fernando Solanas o ancora l’autore USA Hal Hartley. Immagini in movimento, tante esperienze in giro per il mondo e solidi studi, dunque, per Krempke, prima d’approdare alla fotografia. Subito ne scopre la formidabile forza emozionale: quanto ha immortalato con i suoi clic lo spinge a riflettere, a commentare. Dal 2008 Krempke mette nero su bianco le sue impressioni, dando vita a un diario che diventa dapprima un libro (Das Flüstern der Dinge, Patrick Frey Verlag) e poi lo spunto da cui è nata l’attuale, omonima mostra alla Galleria Cons Arc di Chiasso, Il sussurrare delle cose.
Non sarà stato facile scegliere tra le oltre 500 foto del libro, ma dalla selezione e soprattutto dall’allestimento che Krempke ha voluto, emerge la sua innata voglia di raccontare storie («Le cinéma… c’est conter des histoires», confessava del resto un grande come Luis Buñuel). Nessuna foto resta da sola sulle pareti della Cons Arc: si parte dal dittico per poi passare a immagini in grande formato che accolgono quelle di dimensioni più ridotte. «Un aménagement (allestimento) musical», lo definisce lo stesso Krempke, il quale accompagna i suoi puzzle con scritte che sarebbe riduttivo definire semplici didascalie e attraverso le quali l’artista spiega, spingendosi volentieri nella speculazione filosofica, la sua visione della fotografia: la sua magia? Quella di «reinventare il mondo ricreandolo una seconda volta (…) è una specie di eco del mondo». Ma è anche «un inventario criminologico, un rilevamento delle impronte del mio quotidiano. Potrei usarla anche contro di me»! Krempke si interroga poi sulla sua opera: «Le mie foto sono tempo congelato, cubetti di ghiaccio dai quali ogni volta, quando li guardo, un pezzetto del passato evapora nel presente». Inutile cercare, tra queste «didascalie», un indizio che aiuti a cogliere il nesso che intercorre tra le varie immagini disposte in estrema libertà: allo spettatore Krempke lascia altrettanta libertà di viaggiare con la mente, accompagnandolo con intriganti aforismi: «La fotografia mi aiuta a non capire, è così com’è!». Dove e quando
Il sussurrare delle cose. Fotografie di Thomas Krempke. Chiasso, Galleria Cons Arc. Fino al 15 dicembre 2018. L’autore incontrerà il pubblico in Galleria domenica 2 dicembre (ore 11.00).
Dove e quando
OnPhotography 3 – Unusual Landscapes, Minusio, OnArte, in collaborazione con la galleria ConsArc di Chiasso. Fino al 1. dicembre 2018.
Thomas Krempke, Das Flüstern der Dinge. (© Thomas Krempke) Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta I materiali di Dieter l’artista Andate a visitare una mostra d’arte, quelle di una volta, con i quadri appesi alle pareti e portate con voi, appeso alla schiena, uno zaino con un bambino dentro. Tornati a casa, fategli trovare dei fogli e delle matite colorate. Nasceranno dei lavori fantastici. Attenzione: non tutti i grandi maestri funzionano. Chagall e Mondrian vanno bene, Fontana no, stimola il bambino a praticare tagli nella tappezzeria. Anche Burri può essere pericoloso, non è mai bello dar fuoco alla plastica. Mi ha fatto lo stesso effetto la contemplazione di un’opera, da molti giudicata la migliore fra le molte migliaia esposte in quattro grandi spazi, in una Torino capitale mondiale dell’arte con Artissima, Flashback, Paratissima, Flat. Stregato dal suo fascino, per prolungarne ancora l’effetto, arrivato a casa, non ho cercato tele e colori ma sono corso in cortile nella speranza che non avessero ancora svuotato il contenitore giallo della carta. Sono stato fortunato, c’erano i diari, le agende, i quaderni che la mattina,
in preda a un raro attacco di riordino, avevo buttato, senza sapere che mi stavo liberando di materiali preziosi. Mi spiego. Ho voluto visitare, nella «Nuvola Lavazza», la mostra intitolata Flat perché pensavo al verbo della frase latina «Spiritus flat ubi vult», cioè «Lo spirito soffia dove vuole», un’affermazione per molti di noi consolante. Si tratta invece di un acronimo, per «Fiera Libri d’Arte Torino». In questo edificio avveniristico inaugurato di recente, l’intero terzo piano era occupato dal lavoro di Dieter Roth, un artista che, per mia colpa, non avevo mai sentito nominare. Erano esposte 161 opere: 73 libri confezionati con le sue mani, 43 fra agende e quaderni più manufatti vari. Nato nel 1930 in Germania, ad Hannover, da madre tedesca e padre svizzero, è morto a Basilea nel 1998, dopo essere vissuto per qualche anno a Reykjavik per aver sposato nel 1957 una islandese. Dalla metà degli anni ’50 fino alla morte, il nostro amico non ha mai smesso un istante di scrivere, co-
struire libri e disegnare e per fare prima sovente impugnava le matite con due mani come documentato dalle fotografie e forse riusciva a tenerne una terza in mezzo ai denti. Dieter ha annotato i suoi pensieri, gli incontri con gli amici e tutto quello che gli capitava, giorno per giorno, in vari formati. Fabbricava a mano libri, compresa una serie di storie per bambini. Inventava una nuova corrente critica, battezzandola «Literaturwurst»; per fare un esempio, ha tradotto la Metafisica di Hegel in venti grandi salsicce, macinandone le pagine fino a farle diventare minutissimi brandelli per poi insaccarle in budelli. Adesso tutti quei materiali, compresa una salsiccia, sono esposti dentro bacheche di vetro e fanno pensare alle reliquie di un santo. Martire no, caso mai erano martiri i suoi famigliari, guai se buttavano via anche un semplice appunto, fosse anche stata la lista della spesa. Eravamo in tanti, in quel grande spazio in penombra, chini in religioso raccoglimento sopra quelle bacheche
illuminate, in silenzio ma con la voglia di recitare non dico una preghiera ma qualche versetto di un salmo. Esiste naturalmente una «Fondazione Dieter Roth», si trova ad Amburgo e annovera fra i collaboratori il figlio Björn, a sua volta artista. Ci sarà qualcuno che ha letto e schedato tutte quelle migliaia di pagine? Se nel trasporto da un’esposizione all’altra, si rompe una salsiccia, come faranno a restaurarla? Possono macinare una copia qualunque della Fenomenologia del povero Hegel o devono procacciarsi sul mercato antiquario la medesima edizione usata da Dieter? Nella sua biografia non è annotato quale voto avesse in filosofia, ma scommetterei che non fosse molto lusinghiero. Se Dieter fosse ancora vivo, conserverebbe anche le mail e i twitter? Tornato a casa, carico di entusiasmo, mi sono chiesto: perché lui sì e io no? Dopo aver recuperato quaderni di appunti e vecchie agende ho provato a immaginare il tutto dentro bacheche trasparenti. Le mie sono piene di
annotazioni materiali, per metà si parla di cibo, con l’indicazione di dove si trova la migliore porchetta di Torino. O la farinata. Dieter, almeno nelle pagine leggibili, non ne parla mai, sembra che viva d’aria. Sulle mie annoto il peso, (adesso sono a 97,1 ma sono arrivato a pesare 109,6). Dieter com’era? Grasso? Magro? Si vaccinava contro l’influenza? Prendeva delle multe per eccesso di velocità? Annotava il giorno in cui doveva fare il cambio delle gomme alla sua auto? Lo ammetto, il modello è inimitabile. Dieter sapeva fin da piccolo di essere un artista e perciò non buttava via niente. O utilizzava delle agende parallele che poi distruggeva, dove segnare gli appuntamenti e gli impegni, oppure aveva vicino qualcuno che lo sollevava da tutte le incombenze pratiche. Io sono stato allevato nel contesto dei valori del vecchio Piemonte; mio padre, quando disapprovava il modo di fare e lo stile di vita di qualcuno, diceva con un tono di voce sprezzante: «quello lì è un artista».
zione di Dante Alighieri va soprattutto ai fraudolenti, che occupano la maggior parte dei gironi, ai violenti (che possono essere anche tiranni o mercenari, quindi non necessariamente spinti dall’odio, o solo dall’odio), in maniera più blanda a lussuriosi, accidiosi e così via. Nel Purgatorio, invece, dove a ogni balza del monte corrisponde uno dei sette vizi capitali, sono puniti iracondi e invidiosi. Questi ultimi hanno gli occhi chiusi da fil di ferro, perché non possano vedere la bellezza del mondo e le sue cose buone, secondo la classica definizione di invidia come dispiacere per il bene altrui. L’invidia è quindi la forma più meschina di relazionarsi, è permettere al cuore e alla mente di farsi prendere dal dolore perché altri hanno qualcosa. Magari di mai desiderato, che però si nota in quanto possesso altrui, senza considerare che necessariamente non potremmo mai avere tutto, per quel nostro banale essere finiti: se siamo biondi non siamo neri, per esempio.
L’invidia è tipica poi dei posti piccoli, dei paesini, dei cortili. Luoghi in cui ci si scruta, si tagliano i panni addosso, si fanno i conti in tasca. Forse proprio questo piccolo sentimento è alla radice dell’odio in rete: si vuole punire chi si suppone possa aspettarsi qualcosa di positivo, dalla sua arte, dalla sua bellezza, o semplicemente dall’essere uscito vivo da un’attraversata del mare su un barcone. Mi piace poi pensare che anche la misoginia, diffusissima sui social, spesso con toni beceri, anche l’odio per le donne in fondo derivi dall’invidia per alcune di noi, che spesso sono belle, brave, intelligenti, insomma troppo. Vengono prese di mira le cantanti, le politiche, le imprenditrici. Si insulta Emma perché è stata malata di cancro, la Boldrini perché è stata presidente della Camera e ha difeso i migranti (per carità, non è che gli uomini si salvino, ho appena saputo che viene preso in giro il judoka Fabio Basile, medaglia d’oro olimpica, ventitré anni di potenza
e bellezza, perché ha una cicatrice sulla tempia che viene scambiata per alopecia: di nuovo si pensa di colpire chi ha una malattia, la stupidità non ha limiti). Certo, queste donne poi denunciano, anche perché sono ascoltate dai giornali e dai giornalisti (si maltrattano anche i giornalisti, comunque), e poi, dando esempio, denunciano anche penalmente. Ben peggio è invece l’attività dei bulli nelle scuole (negli asili!), nei gruppi di ragazzini, fragili e quindi più violenti contro i più fragili. E questa rete che doveva cambiarci in meglio la vita, rendere possibile a tutti la libera espressione, ci ha portato, per ora, a rendere tutto il mondo un cortile. Ma non è detta l’ultima parola, perché si possono fare delle leggi, come da qualche mese in Germania, si possono educare i ragazzini, si può anche ricordare che tante volte la storia ha capovolto le organizzazioni umane, gli imperi, le sorti luminose e progressive, che spesso seguono vie per noi inimmaginabili.
da funeste trasparenze di canottiere o reggiseni, gli occhiali neri sulla fronte, la camera a tracolla, il souvenir di serie stretto in pugno, è impossibile per chi li vede sfilare considerarli individui». Si tratta di pezzi scritti negli anni Ottanta, ma per un aggiornamento efficace basta pochissimo: sostituire il telefonino alla camera a tracolla o aggiungere piercing e tatuaggi qua e là. Si ironizza sulla persistente fissazione per quelle che un tempo si chiamavano «vacanze intelligenti», una formula che nascondeva una discreta dose di moralismo: «Si proponeva un’alternativa a vacanze crassamente strascicate da un’enorme mangiata a un’enorme dormita, vissute in ebete torpore, senza toccare un libro, sfiorando appena il giornale, senza impegnare la mente altro che nella scelta tra ventiquattro gusti di gelati». Anche in questo caso viene facilissimo l’aggiornamento: togliendo il giornale (ormai neanche sfiorato) e aggiungendo un sito internet o un videogioco a caso
(che diventa «videogiogo» per i bambini, prigionieri incustoditi del cellulare persino a colazione, a pranzo e a cena). Profetici, Fruttero & Lucentini, nel farsi beffe dell’orgia spiritual-culturale che vedevano materializzarsi sotto i loro occhi e che sarebbe grottescamente esplosa negli anni successivi (i nostri): «Guardiamoci intorno: ogni piazzetta di ogni paesetto allinea centonovanta sedie per il balletto di stasera, ogni rudere di ogni abbazia ospita un festival di prosa, ogni torrione in cima a ogni collina contiene una mostra del chiodo rinascimentale, in ogni palazzo di ogni comune siede la giuria di un premio letterario, da ogni andito, loggia, cappella, sottoportico, molo, bastione si diffondono trilli di quartetti d’archi, arie barocche, cavatine, arpeggi, cori gregoriani». Si possono aggiungere, con l’occhio di oggi, le presentazioni di libri, i festival del giallo, del nero, del rosa, del blu notte e del blu ultramarino… «Impossibile restare sordi a questi ubiqui richia-
mi…», scriveva la premiata ditta F&L. «Se poi questi nuovi bisogni siano o no un progresso, se vengano soddisfatti nel miglior modo o se abbiano soltanto dato luogo a una tristissima crapula culturale, ce lo diranno i decenni futuri». Ce l’hanno già detto, perché il futuro è qui presente. Dunque? Dunque il cretino non molla. Anzi, si riproduce in forme nuove e reclama sempre più spazio, assume la postura tra l’ebete e soprattutto l’arrogante del supercilioso intenditore d’arte, di letteratura, di musica, di giornalismo, di politica, di economia, di biotecnologia, di medicina, di epidemiologia… Meno sa e più si spaccia per esperto. Oggi, dall’alto al basso, dalla destra alla sinistra, da nord a sud, da est a ovest, l’ideal-tipo del cretino, che forse nemmeno Fruttero & Lucentini avrebbero mai immaginato tanto egemone e diffuso, è l’incompetente arrogante che sale in cattedra per accusare di cretineria i pochi che non sono incompetenti (e arroganti e dunque cretini) come lui.
Postille filosofiche di Maria Bettetini I social sono il nuovo cortile Definizioni di amore, nella storia della filosofia, se ne trovano tantissime: mancanza che origina il desiderio, pienezza di felicità, compenetrazione degli spiriti, passione, sentimento, assolutezza. Non ho trovato invece una definizione di odio. Forse non l’ho cercata abbastanza, forse non è argomento per filosofi. Nelle pagine di Brunetto Latini, invece, leggo che l’odio è «ira invecchiata». Il notaio, politico, scrittore, vissuto a Firenze nel tredicesimo secolo, ha una geniale intuizione: l’odio è il sentimento che ci porta ad aggredire qualcuno, ma non nella sua esplosione, piuttosto nel suo sedimentarsi, con tutto quello che di negativo comporta l’aggettivo «vecchio», ossia polveroso, stantio, ammuffito, sgradevole. Perché questa attenzione a un termine così brutto come l’odio? Perché se ne parla tanto, in particolare a proposito della vita sui social media. Sembra che la grande partecipazione di giovani e non giovani a Facebook, Instagram e altri meno noti mezzi di comunicazione
via internet, abbia portato a una incontenibile diffusione di parole di odio. Alcune vittime vengono prese di mira, bollate come «diverse» e distrutte da un anonimo, violento linciaggio. Pare che proprio questo anonimato favorisca lo scatenarsi delle belve che si nascondono nelle persone «normali», in particolare nelle donne. Dicono i sociologi che di persona la donna si farebbe più problemi dell’uomo, di solito, a colpire e aggredire, sia perché si sentirebbe più debole, sia per timore di perdere e quindi di fare brutta figura, sia per una maggiore empatia con la vittima, ebbene, invece il fatto di poter agire non viste libererebbe le energie negative. Se ne può fare una questione di colore della pelle, di religione, di politica, di grassezza o magrezza, o semplicemente di invidia. Lo spiega bene un contemporaneo di Brunetto Latini, il poeta che nella Divina Commedia non dedica spazio all’odio, ma all’ira e all’invidia sì. Nell’Inferno non sono puniti coloro che odiano, l’atten-
Voti d’aria di Paolo Di Stefano L’egemonia del cretino Uno dei primi a usare il neologismo «cretino» fu il poeta Giosuè Carducci. Si trattava in origine di un aggettivo di area scientifica, riferito alla persona affetta da cretinismo, vera e propria malattia endemica, diffusa soprattutto nelle aree montuose. Poi si estese genericamente allo sciocco, allo stupido, all’imbecille. Da allora, fine Ottocento, ne è passata di acqua (e di cretini) sotto i ponti, finché la coppia Fruttero & Lucentini ha fatto del cretino contemporaneo (o «post-fesso») il protagonista di una serie di interventi giornalistici e di libri memorabili. Carlo Fruttero e Franco Lucentini hanno firmato insieme un gran numero di romanzi, soprattutto gialli (veri capolavori La donna della domenica e A che punto è la notte), ma hanno anche scritto, con totale libertà di irrisione e di sarcasmo, diversi «manuali di difesa e offesa» contro la cretineria diffusa. Ora, dopo una famosa trilogia sull’argomento (La prevalenza del cretino, Il ritorno del cretino,
Il cretino in sintesi), esce un’antologia postuma curata dalla figlia di Fruttero, Carlotta, per gli Oscar Mondadori. Titolo: Il cretino è per sempre (6 e lode). Naturalmente si tratta del cretino-tipo osservato dentro la società italiana, ma ciò non toglie che l’identikit tratteggiato dalla premiata Ditta F&L possa comprendere e interessare il cretino globalmente inteso, tant’è vero che la trilogia è stata tradotta in varie lingue con eguale successo. Il cretino transnazionale è, come dice Michele Serra nell’introduzione, una figura divenuta egemone i cui princìpi hanno finito per informare la società di massa. Per esempio, F&L mettono alla berlina la cretineria pseudoculturale che impone alle folle di turisti, visitatori, lettori di correre compatti verso gli stessi luoghi di culto, le stesse mostre di culto, gli stessi libri di culto. Una sorta di «allucinazione collettiva», di cieca coazione a ripetere: «trattati come numeri dalle loro agenzie, uniformati da berrettini di tela o paglia,
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Carne d’eccellenza per le vostre fondue Attualità Lo scamone di manzo svizzero è un taglio di prima scelta, ideale per esempio per una deliziosa
bourguignonne
Azione 55% 1 Lo scamone di manzo è un taglio di prima categoria, tenero e aromatico, ottenuto dall’anca del bovino. È indicato per essere preparato alla griglia come bistecca, arrostito, cotto a bassa temperatura, oppure per le tradizionali fondue chinoise e bourguignonne. Essendo particolarmente magro, è ottimo anche consumato crudo, per esempio sotto forma di carpaccio o tartare.
2 Per gli aficionados della fondue bourguignonne lo scamone di manzo è una delle carni preferite da intingere brevemente nel grasso bollente. La carne dovrebbe essere tagliata a dadini di ca. 2-3 cm: se troppo piccoli, infatti, si induriscono subito rendendo il boccone asciutto, mentre con dei pezzi più grandi la cottura diventa troppo lunga. Per non sbagliare, potete chiedere al vostro macellaio Migros di fiducia di tagliare la carne per voi.
3 La fondue bourguignonne può essere preparata con diversi tipi di grasso: grasso di cocco, più leggero, oppure con varie tipologie di olio quali girasole, arachidi, colza o per frittura. Per evitare degli schizzi di olio, si consiglia di immergere una mezza patata cruda nel grasso bollente. Il burro non è indicato, in quanto se si riscalda troppo, brucia velocemente.
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4 Oltre al tenerissimo scamone di manzo, chi desidera variare la propria fondue bourguignonne può optare anche per altri tipi di carne, come il pregiato filetto di manzo, il filetto di vitello, il filetto di agnello o quello di puledro, oppure ancora, il filetto o il magatello di maiale. Per persona sono da calcolare all’incirca 300 g di carne.
5 I bocconcini di carne si accompagnano con delle golose salsine nei gusti più variati e ovviamente degli stuzzicanti contorni. Salse quali curry, cocktail, aglio, tartare e al pepe verde sono il complemento perfetto per la bourguignonne. Alla Migros trovate una vasta scelta di salse per fondue, come pure i contorni azzeccati quali pane croccante, cetriolini sott’aceto, mais, mostarda, cipolline, patate fritte, riso...
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
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È dal lontano 1974 che la Jowa di S. Antonino produce per tutte le Migros della Svizzera i classici dolci del periodo natalizio: il panettone e il pandoro. Oggi come allora, le due bontà sono preparate con minuziosa attenzione per il dettaglio e ancora molta artigianalità dagli abili panettieripasticceri del panificio di Migros Ticino. «Per ottenere un prodotto finale ineccepibile è importante avere degli ingredienti di prima qualità, come farine di provenienza esclusivamen-
te svizzera, e poter contare su una lenta lievitazione naturale con lievito madre, un delicato processo che dura fino a 48 ore», spiega Tommaso Cariboni, panettiere-pasticcere della Jowa. Grazie alla lunga fermentazione, tutti i prodotti hanno un’ottima digeribilità. Per assaporare appieno il delicato aroma e l’inconfondibile morbidezza del panettone e del pandoro firmati Jowa, si consiglia di lasciarli a temperatura ambiente qualche ora prima del consumo.
Tommaso Cariboni con il panettone e il pandoro Jowa appena usciti dal forno. (Giovanni Barberis)
Momenti di dolcezza
Novità Due irresistibili specialità piemontesi
da condividere con le persone più care
I tartufi dolci firmati Ori di Langa non possono mancare quando si tratta di accogliere gli ospiti con qualcosa di delizioso e raffinato. Questi tipici prodotti delle Langhe nascono dall’incontro perfetto tra le eccellenti materie prime di questa terra ricca di storia e cultura: le Nocciole Piemonte e il cioccolato di pasticceria. Disponibili nelle ricette con cioccolato bianco o nero, i deliziosi tartufi dolci vengono lavorati con cura artigianale da esperti cioccolatai. Unicità, originalità e individualità: queste sono le qualità espresse dai prodotti firmati Ori di Langa. Un filosofia che parte dalla ricerca dei migliori ingredienti e dalla combinazione di materie prime eccelse per ottenere un’inconfondibile personalità.
Tartufo Dolce Bianco Ori di Langa* 180 g Fr. 11.80
Tartufo Dolce Nero Ori di Langa* 180 g Fr. 11.80
*Nelle maggiori filiali
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
«Svizzeritudine» da indossare e regalare T-Shirt unisex* taglie S-XL Fr. 19.90
Inspirato al mito di Heidi, personaggio nato dall’immaginario della scrittrice Johanna Spyri, Heidi.com è un innovativo marchio svizzero di abbigliamento uomo/donna/bambino fondato a Neuchâtel agli inizi del Duemila da due intraprendenti amici e cognati: Andreas Doering e Willy Fantin. Fin dagli esordi i capi Heidi.com si caratterizzano per il loro originale design, la qualità dei materiali, la sostenibilità, l’autenticità e l’apertura al mondo. Dalla creazione allo sviluppo, passando per la lavorazione, l’azienda controlla ogni fase della produzione. Dal momento che in Svizzera la produzione tessile è limitata, Heidi. com ha optato per una soluzione in prevalenza europea, in aziende che garantiscono una condotta responsabile, etica e morale. Inoltre, le distanze di fornitura ridotte, contribuiscono alla salvaguardia dell’ambiente. Per assicurare ai consumatori un’assoluta trasparenza dall’origine al punto vendita, ogni prodotto Heidi.com può essere tracciato online, inserendo il codice del capo sul sito RESPECT-CODE.org. I prodotti Heidi.com sono subito riconoscibili grazie al caratteristico logo rosso che raffigura il personaggio di Heidi stilizzato e sono proposti in differenti capi – T-Shirt, pantaloni, maglioni, bluse, giacche, felpe, camicie, accessori – in quattro frizzanti collezioni annuali.
L’atmosfera delle Feste
Impossibile immaginare le festività di fine anno senza il tradizionale albero di Natale avvolto nello splendore di luci e decorazioni. In Svizzera, l’abete Nordmann, è uno degli alberi più gettonati quando si tratta di scegliere uno dei simboli caratteristici delle Feste. Non è un caso, infatti, questa pianta si distingue per la sua bella forma piramidale, gli aghi lucenti di un intenso colore verde, come pure per il fatto che, una volta tagliato, gli aghi si mantengono bene a lungo. Data la sua eccellente resistenza, l’abete Nordmann può essere collocato in casa diverse settimane prima di Natale. Se reciso, è consigliabile utilizzare un piedistallo con serbatoio d’acqua. Il nome della pianta deriva dal botanico finlandese Alexander von Nordmann, il quale nell’Ottocento lo scoprì in Ucraina, quando insegnava storia naturale a Odessa. Gli abeti Nordmann sono già disponibili in diverse grandezze in gran parte delle filiali Migros, come pure nei Do it + Garden.
Blusa da donna* taglie S-XL Fr. 49.90
Maglione senza maniche da uomo* taglie S-XL Fr. 49.90
Pullover da uomo* taglie S-XL Fr. 39.90 *In vendita secondo disponibilità solo presso Migros S. Antonino
Masha e Orso al Centro Migros Agno
Imperdibile appuntamento per i bambini, quello proposto sabato 1. dicembre al Centro Migros di Agno. A partire dalle ore 13.30 e fino alle 16.30, i protagonisti del cartone animato più seguito al mondo saranno in visita al centro commerciale sottocenerino per incontrare tutti i piccoli fan e scattare
delle foto ricordo insieme a loro. Ma c’è di più: oltre alla presenza dei due simpatici personaggi, sono previsti anche laboratori creativi, truccabimbi, spettacoli di danza e altre spassose e coinvolgenti attività a cui è impossibile non partecipare. Vi aspettiamo numerosi!
Viene l’Avvento e un lumino brucia lento. 24.95
Candele dell'Avvento con brillantini in conf. da 4 disponibili in diversi colori, per es. bianco, offerta valida fino al 26.12.2018
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Cesto a stella con portalumino il pezzo
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Composizione con candela su stella di legno il pezzo
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
Apéritiv
Per drink da veri intenditori Agli aperitivi festivi sono protagoniste le bibite targate Apéritiv della Migros. Come novità è arrivata la Ginger Beer senz’alcol che, grazie agli estratti di zenzero e chili, possiede una piacevole nota speziata-piccante. Con la Tonic Water Zero arriva invece la variante senza zucchero di una delle più apprezzate bevande dell’assortimento. Entrambe le versioni sono pronte da gustare e sono perfette per la preparazione di drink, quali per esempio il Ginger-Beer-Mule e il Tonic-Cocktail. I classici Bitter Lemon, Tonic Water e Ginger Ale sono disponibili anche nella nuova bottiglia da 1 litro, ideale per gli aperitivi con tanti famigliari e amici. Apéritiv Ginger Beer 0,5 l* Fr. 1.50
Suggerimento
Tonic-Cocktail Mettere in uno shaker cubetti di ghiaccio, succo di limetta, succo d’arancia, succo di limone e sciroppo di melagrana. Shakerare bene per ca. 20 secondi. Passare al colino e versare nei bicchieri riempiti di cubetti di ghiaccio. Aggiungere della Tonic Water e decorare con delle scorze d’arancia.
Apéritiv Bitter Lemon 1 l* Fr. 1.35
Apéritiv Tonic Water Zero 0,5 l* Fr. 1.35
Apéritiv Ginger Ale 1 l* Fr. 1.30 *Nelle maggiori filiali
Aromatici e frizzanti drink senza alcol.
Ginger-Beer-Mule Sminuzzare della menta e aggiungerla in un bicchiere a dello sciroppo di zucchero. Aggiungere del ghiaccio triturato. Versarvi della Ginger Beer e del succo di mela. Miscelare il tutto con un cucchiaio. Decorare con delle foglioline di menta.
Foto Christine Benz; Styling Esther Egli
Suggerimento
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le bevande Apéritiv di Aproz.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
aha!
Preparare biscotti seguendo l’ispirazione Buone notizie per tutte le persone che hanno un’intolleranza al lattosio o al glutine: i dolci natalizi a marchio «aha!» possono essere gustati senza preoccupazioni, così come quelli preparati da sé con i giusti ingredienti
La proprietaria della Migros Edith Frischknecht (36) ha la celiachia da oltre dieci anni.
Testo Melanie Michael, Foto e Styling Veronika Studer
Le persone che hanno un’allergia o un’intolleranza alimentare trovano un’ampia gamma di prodotti per loro idonei. La variegata offerta viene costantemente ampliata. Durante l’avvento e nel periodo natalizio sono così disponibili croccanti brunsli basilesi, soffice pan di zenzero e altri classici
Edith Frischknecht
della pasticceria di Gesù bambino. Gli articoli sono sempre riconoscibili grazie al marchio «aha!» presente sulla confezione. I prodotti sono raccomandati da aha! Centro Allergie Svizzera e controllati dall’istanza di certificazione indipendente Service Allergie Suisse (SAS).
«Apprezzo l’assortimento di prodotti senza glutine» «Apprezzo molto l’ampia scelta di prodotti della Migros, in particolare di prodotti senza glutine. Poiché nel periodo che precede il Natale propone molti dolci privi di glutine, posso godermi l’avvento senza troppe rinunce. Grazie alla pasta per milanesini senza glutine non mi devo privare dei biscotti e con la miscela di farina senza glutine posso preparare da me anche altri tipi di dolci. Diversi prodotti della marca Patissier sono anch’essi senza glutine, di modo che posso divertirmi ancor di più decorando i biscotti».
iMpuls-Suggerimento per i lettori
Come convivere con la celiachia? Per saperne di più: • aprire Discover nell’app Migros • scansionare questa pagina • scoprire di più sull’argomento migros-impuls.ch/celiachia
*Nelle maggiori filiali
Pasta per milanesini aha! senza glutine, senza frumento, senza lattosio 400 g Fr. 4.90
Milanesini aha! senza glutine, senza frumento, senza lattosio 3 x 50 g Fr. 4.90
Panpepato al cioccolato bio aha! senza glutine, senza frumento 200 g* Fr. 5.–
Muffin Spekulatius aha! senza glutine, con avena, senza frumento, senza lattosio 75 g Fr. 2.20
Panpepato aha! senza glutine, senza frumento, senza lattosio 85 g Fr. 1.90
Brunsli di Basilea senza glutine, senza frumento, senza lattosio 55 g Fr. 2.10
Miscela di farina aha! senza glutine, senza frumento 1 kg* Fr. 5.80
Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.
iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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3.95 invece di 5.70 Carré d’agnello M-Classic Nuova Zelanda/Australia/Irlanda/Gran Bretagna, per 100 g
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4.– invece di 5.05 Prosciutto affumicato bio in conf. speciale Svizzera, per 100 g
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6.90 invece di 8.65 Carne secca dei Grigioni affettata in conf. speciale Svizzera, 95 g
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30%
2.65 invece di 3.80 Prosciutto al forno Svizzera, per 100 g
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15.90 invece di 23.10 Salmone affumicato bio in conf. speciale d’allevamento, Norvegia, 260 g
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3.40 invece di 7.60 Scamone di manzo Svizzera, al banco a servizio, per 100 g
30%
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9.90 invece di 16.50
Tutto l’assortimento di salmone fresco norvegese per es. filetto dorsale di salmone, Norvegia, per 100 g, 4.30 invece di 6.20, valido fino al 1.12.2018
Bratwurst di vitello TerraSuisse Svizzera, in conf. da 6 x 140 g / 840 g
25%
7.– invece di 9.50 Pollo Optigal Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg
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2.80 invece di 3.50 Aletta di manzo TerraSuisse Svizzera, imballata, per 100 g
20%
6.30 invece di 7.90 Fettine fesa di vitello fini TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g
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2.80 invece di 4.90
3.80 invece di 5.50
Arance bionde Spagna, rete da 2 kg
35%
3.60 invece di 5.90 Cachi Persimon bio Spagna, in vaschetta da 700 g
33%
3.90 invece di 5.90 Clementine a foglia Italia, confezione da 1.5 kg
Finocchi Italia, sciolti, al kg
35%
1.95 invece di 3.– Banane Fairtrade bio Perù, imballate, al kg
45%
2.70 invece di 4.95 Cavolfiore Italia, al kg
25%
25%
3.60 invece di 4.80
1.20 invece di 1.65
Patate Amandine Svizzera, imballate, 1,5 kg
Asiago pressato DOP in self-service, per 100 g
conf. da 3
conf. da 2 conf. da 2
20% Tutti i succhi freschi bio refrigerati per es. succo d'arancia, 75 cl, 2.70 invece di 3.40
20% Focaccia all'alsaziana Tradition in conf. da 2 per es. focaccia alsaziana originale, 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.11 AL 3.12.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30%
3.– invece di 4.30 Il Pesto di Pra’ in conf. da 90 g
20%
14.70 invece di 18.40 Raccard al naturale a fette, in conf. da 2 2 x 400 g
20%
1.80 invece di 2.30 Sbrinz AOP in self-service, per 100 g
20%
5.40 invece di 6.75 Formaggio grattugiato Grana Padano in conf. da 3 3 x 120 g
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4.45 invece di 6.40 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
conf. da 2
conf. da 8
33% Nidi alle nocciole, discoletti e biscotti al cocco in conf. da 2 per es. nidi alle nocciole, 2 x 216 g, 4.15 invece di 6.20
20% Tutte le coppette ai vermicelles da 95 g 2.30 invece di 2.90
– .4 0
di riduzione
3.60 invece di 4.– Pane della fattoria del sole, bio 400 g
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20% Tutti i drink Bifidus per es. alla fragola in conf. da 8, 8 x 100 ml, 5.10 invece di 6.40
20%
7.20 invece di 9.– Uova svizzere da allevamento all’aperto 15 x 53 g+
conf. da 3
33% Pasta bio in conf. da 3 per es. agnolotti all’arrabbiata, 3 x 250 g, 9.80 invece di 14.70
conf. da 3
50%
Pizze Finizza in conf. da 3 surgelate, al prosciutto, alla mozzarella e al tonno, per es. al prosciutto, 3 x 300 g, 6.60 invece di 13.20
20% Tutti i cereali in chicchi, i legumi, la quinoa e il couscous bio per es. quinoa bianca Fairtrade, aha!, 400 g, 3.95 invece di 4.95
a par tire da 2 pe z zi
40%
Tutte le salse per fondue Thomy a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione
50%
9.80 invece di 19.60 Crispy di pollo impanati Don Pollo in conf. speciale surgelati, 1,4 kg
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
Frey
Dolcezza da regalare Azione 20X Punti Cumulus
Nel sacchetto di Babbo Natale ci sono le deliziose specialità di cioccolato natalizie della Frey, che sono azzeccate in qualsiasi momento come regalo per l’aperitivo festivo oppure da mettere sotto l’alberello. Gli amanti dei cioccolatini saranno felicissimi delle confezioni regalo colme di palline Adoro nella varianti Noir, Blond e Latte, invece, i fan dei Freylini, possono optare per l’abete ripieno delle varietà più apprezzate di queste palline di cioccolato. Chi preferisce i praliné sceglierà di sicuro i Prestige Créations Exquises, mentre nessuno rinuncerebbe mai ai Frey Babbo Natale.
su tutti gli articoli illustrati (esclusi palline Freylini e Classic Mix Abete) dal 20.11 al 03.12
Concorso
Partecipa adesso al grande concorso della Chocolat Frey e vinci uno dei tre pernottamenti in Hotel! Condizioni di partecipazione su freylini.ch
Frey Freylini Palline Classic Mix Abete 340 g* Fr. 9.60
Frey Pralinés Prestige Créations Exquises 235 g Fr. 16.50
Inutile impacchettare: le specialità di cioccolato si presentano già in una confezione regalo.
Frey Babbo Natale 100 g* Fr. 3.70
*Nelle maggiori filiali
Frey Adoro Palline assortite 250 g* Fr. 9.80
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber e John Adams
Concedersi una pausa distensiva senza aver freddo: i leggins per lei sono morbidi come il cachemire ma mantengono la forma. Sono realizzati con uno speciale filato che, grazie a piccole camere d’aria, immagazzinano il calore. Anche i collant di Ellen Amber con una quota di lana del 50 percento mantengono le gambe belle calde. Ma nemmeno gli uomini devono soffrire il freddo: le spesse calze a coste sono per l’85 percento in fine lana vergine.
Piedi sempre piacevolmente caldi Sia che si tratti di passare un momento tranquillo sul divano o di fare una bella passeggiata nei boschi autunnali, le morbide e avvolgenti calze di Ellen Amber e John Adam garantiscono piedi caldi
Il modo giusto di coccolarsi: le soffici calze da donna mantengono i piedi caldi. I calzerotti per la casa sono realizzati in filato extra morbido di poliestere e sono dotati di suola antiscivolo. Le pantofole di John Adams sono comode e hanno una fodera interna particolarmente morbida e calda. Le calze abbinate nell’immagine sono in lana.
Azione 40% sulla calzetteria per donna e uomo
Foto Christian Dietrich, Styling Mirjam Käser
dal 27.11 al 03.12
Calze da uomo in lana John Adams grigio Fr. 7.65* invece di 12.80
Collant da donna Ellen Amber lana, antracite Fr. 8.85* invece di 14.80
Leggins da donna Ellen Amber Keep Warm, marine Fr. 10.65* invece di 17.80
Calze da donna Ellen Amber Keep Warm, grigio Fr. 9.80* invece di 15.85
Calzerotti da donna per la casa Lily Lane rosa Fr. 7.05* invece di 11.80
Calze da uomo John Adams cotone/lana, marrone Fr. 4.70* invece di 7.90
Calze da uomo per la casa John Adams antracite Fr. 4.10* invece di 6.90
Pantofola John Adams grigio Fr. 19.80
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber e John Adams
Concedersi una pausa distensiva senza aver freddo: i leggins per lei sono morbidi come il cachemire ma mantengono la forma. Sono realizzati con uno speciale filato che, grazie a piccole camere d’aria, immagazzinano il calore. Anche i collant di Ellen Amber con una quota di lana del 50 percento mantengono le gambe belle calde. Ma nemmeno gli uomini devono soffrire il freddo: le spesse calze a coste sono per l’85 percento in fine lana vergine.
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Il nostro burro è un prodotto naturale, dal sapore genuino e dal gusto inconfondibile. Prodotto esclusivamente con panna svizzera, a sua volta prodotta esclusivamente con latte svizzero. Niente di piÚ regionale. Niente di piÚ naturale. Niente di migliore.
Il latte e i latticini svizzeri. Che forza!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 novembre 2018 • N. 48
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Idee e acquisti per la settimana
Sanactiv
Belle sensazioni di pancia L’apparato digerente è una meraviglia della natura. Metabolizza gli alimenti e ha quindi una grande influenza sul nostro benessere. Problemi di cattiva digestione o di mal di stomaco sono molto frequenti. Flatulenza, spossatezza e stitichezza sono segnali che indicano la necessità di modificare l’alimentazione
La frequenza con cui si va di corpo può variare. Se occasionalmente non si va in bagno per alcuni giorni, il più delle volte non c’è motivo di inquietarsi. In molti soffrono di quando in quando di problemi di digestione, per esempio in occasione di viaggi, in caso di cambio di dieta o di stress. Se la situazione si fa spiacevole, il lassativo Sanactiv è d’aiuto. Libera dalla stitichezza e agisce contro l’atonia intestinale.
Capsule di carbone Sanactiv 30 pezzi Fr. 6.90 Nelle maggiori filiali
Lassativo Sanactiv 10 bustine Fr. 6.20
Foto MGB Fotostudio, Styling Miriam Vieli-Goll
In caso di diarrea si utilizza il carbone medicinale in diverse forme. Se capita di dover andare in bagno più volte al giorno e di notare feci acquose, il corpo deve ricevere sufficienti liquidi ed elettroliti. Il carbone medicinale è un principio attivo naturale da tempo utilizzato e dalla comprovata efficacia.
Adesso su iMpuls
Cosa fa bene all’intestino?
Mangiare in un ambiente conviviale mette di buonumore. Tuttavia, a volte capita comunque di sentirsi gonfi e di provare un senso di pesantezza. Per esempio quando mangiando si ingerisce aria, a causa di formazione di gas a livello gastro-intestinale o di insufficiente eliminazione dei gas dal tratto digestivo. Il principio attivo Simeticon dissolve le bolle di gas presenti e porta rapidamente sollievo.
In molti sanno cosa vuol dire avere un leggero bruciore di stomaco. Compare spesso dopo aver consumato troppo caffè o aver mangiato cibi molto grassi. Anche l’alcol, le sigarette e lo stress possono causare bruciore alla bocca dello stomaco e alla gola. Il bruciore di stomaco si manifesta quando i succhi gastrici rifluiscono nell’esofago. Le compresse Sanactiv contro il bruciore di stomaco agiscono velocemente ed efficacemente.
Pastiglie Sanactiv per lo stomaco e l’intestino 30 pezzi Fr. 7.90
Compresse Sanactiv contro il bruciore di stomaco 30 pezzi Fr. 8.90
Si fa così: • aprire Discover nell’app Migros • scansionare questa pagina • scoprire di più sull’argomento migros-impuls.ch/digestione
iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.
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Prodotto in Svizzera con carne svizzera. OFFERTA VALIDA SOLO DAL 26.11. AL 8.12.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Raclette Barrique Sélection 225 g, in vendita solo nelle maggiori filiali
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Duo Mousse Sélection in conf. da 2 2 x 75 g
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Sinfonia di formaggi Sélection 180 g
In vendita nelle maggiori filiali Migros, fino a esaurimento dello stock.