Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Nel Locarnese sta prendendo forma il progetto di un’ampia area di svago tra i fiumi Maggia e Melezza
Ambiente e Benessere L’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030 invita a conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine: un aiuto arriva dallo spazio
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXII 14 gennaio 2019
Azione 03 Politica e Economia La senatrice Elizabeth Warren si candida per la nomination democratica alla Casa Bianca
Cultura e Spettacoli Orson Welles e gli altri: breve viaggio nel mondo dell’arte alla scoperta di veri falsari
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di Lucio Caracciolo pagina 27
AFP
Un muro che divide l’America
A caccia di vittorie simboliche di Peter Schiesser Un muro che divide l’America, abbiamo intitolato la fotografia di copertina: la divide al suo interno, come simboleggiato dal parziale shutdown del governo statunitense, e la divide dal resto del mondo. Il muro agognato da Trump è un potente simbolo di arroccamento, vagamente medievale, in una società chiusa, possibilmente in maggioranza bianca e protestante. E il suo effetto lo raggiunge: il messaggio al mondo di una superpotenza che si chiude in casa è passato. Il presidente americano ha creato il muro nelle menti delle persone prima ancora che sul territorio. Come detto dal commentatore del «New York Times» Jorge Ramos, Trump ha ottenuto quel che voleva: lui è il muro. Non a caso, ad oggi non esiste un progetto con un programma concreto. Trump parla di aggiungere 1600 chilometri di muro ai 1100 esistenti (i 5,7 miliardi di dollari, riguardo ai quali c’è il braccio di ferro con la Camera dei rappresentanti, servono per 400 chilometri scarsi), ma non si sa neppure con quale materiale, in quale forma e altezza realizzarlo. Le stime dei costi variano da 25 a 70 miliardi di
dollari. Alla fine, risulterebbero cintati 2700 dei 3200 chilometri di confine con il Messico. Un’opera mastodontica che probabilmente non vedrà mai la luce, per l’opposizione politica dei democratici ma anche per le difficoltà ad espropriare i terreni ai privati: sono ancora aperti nei tribunali dei procedimenti intentati ai tempi di Bush padre. Ma se anche lo fosse, sarebbe inutile, poiché la maggior parte degli immigrati clandestini negli Stati Uniti vi giunge con un visto da turista e poi non fa ritorno a casa, i traffici di droga trovano altri canali, soprattutto via mare. Inoltre, come argomentano gli oppositori al muro, «se ne fate uno alto 15 metri ci saranno scale di 15,5 metri», oppure, come afferma il deputato repubblicano del Texas Will Hurd, si cercano «soluzioni del terzo secolo per problemi del ventunesimo». Ma, appunto, a Trump interessa vincere sul piano simbolico, mostrare al suo elettorato che mantiene le promesse, che dà risposte alle loro paure; gli serve anche in vista delle prossime presidenziali, che si avvicinano rapidamente. Per ottenere queste vittorie simboliche è disposto a tutto: ad assumere poteri speciali per scavalcare il Congresso in barba alla Costituzione, a lasciare senza paga 800mila dipendenti pubblici e le
loro famiglie (persino i membri della scorta del presidente e della sua famiglia, tutti agenti dei servizi segreti, stanno lavorando gratuitamente, al momento). Focalizzarsi su un tema emotivamente carico aiuta inoltre a dimenticare che finora, a parte i massicci sgravi fiscali decisi con il favore del Congresso ancora interamente nelle mani dei repubblicani, la presidenza Trump ha concluso poco, si è distinta soprattutto per l’ostinazione a smantellare ogni riforma introdotta da Obama e da un enorme caos, nella politica estera e all’interno della sua Amministrazione. Le dimissioni eccellenti nel suo governo sono state numerose in questi due anni e altre sono in arrivo. In arrivo sembra esserci anche la fine dell’inchiesta del procuratore speciale Robert S. Mueller sui presunti rapporti fra la squadra elettorale di Trump e i russi, con conseguenze imprevedibili. Tuttavia, The Donald resta l’animale politico del momento, quello da battere. Senza scrupoli, sa sbarazzarsi di chiunque, avversario o alleato. Resta imprevedibile, unica certezza e costante: il suo egocentrismo. Il muro ai confini del Messico più che un progetto è una visione, con le reazioni e le azioni che suscita, Trump ci sta mostrando che per ora le sue visioni hanno più impatto dei fatti concreti, misurabili.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Un concentrato di bontà e salute
Attualità In forma nei mesi più freddi grazie alle deliziose e freschissime verdure invernali della vostra Migros
In questo periodo dell’anno non c’è nulla di più buono e corroborante di una fumante minestra o zuppa a base di ortaggi tipicamente invernali. Che siano antipasto, piatto principale o semplicemente uno spuntino caldo da gustare in ogni momento della giornata, queste pietanze offrono un piacere semplice, saporito e sano, capace di saziare rapidamente senza appesantire troppo lo stomaco. Inoltre, grazie alla presenza di verdure ricche di vitamine e sali minerali, le zuppe ci aiutano a sostenere il nostro organismo ed affrontare al meglio i malanni tipici dei mesi freddi. Alcuni tra gli ortaggi particolarmente gettonati in cucina in questa stagione, sono ad esempio il porro, la verza, il sedano a coste e la carota. Il porro possiede un effetto riscaldante e tonificante dato dalla ricchezza di olio di senape. Più le sue foglie sono scure, più intenso sarà il suo sapore. Una delle verdure più amate dagli svizzeri è naturalmente la carota, una vero toccasana per la vista grazie all’alto contenuto di betacarotene. Tenute al fresco, le carote si conservano a lungo senza perdere le proprietà. La verza figura tra le verdure più sane al mondo ed è molto diffusa anche sui nostri campi, dove è in grado di resistere persino a temperature di qualche grado sotto zero. È un ingrediente imprescindibile della «Cazöla», tipico piatto lombardo. Infine, benché imparentato con il sedano rapa, il sedano a coste ha un sapore decisamente più delicato del tondo cugino, con un apporto calorico inferiore.
Che ne direste di un buon minestrone di verdure invernali fatto in casa?
Porro
Verza
Sedano
Carote
Quando la raclette è firmata Nostrani del Ticino
Novità Una specialità del Caseificio Dimostrativo del Gottardo di Airolo che farà la gioia
degli amanti di uno dei simboli gastronomici elvetici
Dobbiamo ai vallesani la creazione di una delle specialità svizzere tra le più conosciute al mondo. Il suo nome deriva dal verbo «racler», che in italiano sta a significare «raschiare». I più tradizionalisti gustano la raclette appunto raschiando direttamente nel piatto una mezza forma di formaggio lasciata fondere lentamente sul fuoco del camino. Per i meno esperti esistono per fortuna i pratici fornelli da raclette, i quali permettono ad ognuno di apprezzare questa saporitissima pietanza, accompagnandola con tipici contorni quali patate lesse con la buccia, cipolline, cetrioli o pannocchiette di mais sotta-
ceto, come pure carne secca. E cosa ne direste, per provare nuovi sapori, di assaggiare un’aromatica raclette al 100% ticinese? Come novità i supermercati Migros con banco del formaggio propongono infatti la raclette Gottardo. Prodotta artigianalmente con latte di montagna pastorizzato, raccolto presso alcuni contadini della regione del Gottardo, si presenta in una forma quadrata, la cui crosta lavata è commestibile. I nostri specialisti del reparto casaro saranno lieti di consigliarvi questo prodotto della regione, affettato sul momento secondo i vostri desideri ed esigenze.
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Idee e acquisti per la settimana
Riecco le mitiche frittelle di carnevale Attualità Ogni anno la Midor SA di Meilen produce oltre 20 milioni di ondulate frittelle
Nei supermercati Migros sono arrivate le tanto amate frittelle e mini frittelle di carnevale. Oltre alla variante tradizionale, sugli scaffali sono disponibili anche altre tre specialità per sottolineare con gusto e fantasia la festa più divertente dell’anno: le riccioline, le frittelle to go e le frittelle al cacao. Le frittelle di carnevale classiche Migros sono prodotte fin dal 1935 dall’azienda del Gruppo Migros Midor SA, a Meilen sul lago di Zurigo. Ogni anno, da dicembre e fino al tradizionale Morgestraich di Basilea, Midor lavora a ritmi frenetici per poter rifornire i supermercati Migros di tutta la Svizzera di oltre 20 milioni di frittelle. Da sempre la ricetta originale dei tradizionali dolcetti invernali è rimasta invariata, mentre la produzione negli anni è stata per quanto possibile automatizzata. Farina di frumento, uova, olio di girasole e zucchero: questi sono i semplici ingredienti principali delle deliziose frittelle. L’impasto così ottenuto viene spianato a sfoglie di pochi millimetri di spessore e fritto brevemente nell’olio bollente affinché i dolci acquisiscano la loro tipica forma ondulata. Infine, la ciliegina sulla torta prima del confezionamento e dell’invio ai negozi Migros: una bella spolverata di zucchero a velo.
Igiene a tutto tondo
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Per aiutare a tenere lontani i virus dell’influenza – che circolano soprattutto durante il periodo più freddo dell’anno – ma anche batteri e alcuni funghi, può essere efficace l’utilizzo regolare dell’Hygiene Spray di Potz. Questo pratico disinfettante elimina il 99.9% dei microbi ed è ideale su superfici metalliche, plastiche, come pure altri materiali quali il vetro e la ceramica. Prima dell’utilizzo, ruotare il sigillo blu verso sinistra per liberare la testina di vaporizzazione. Per un risultato ottimale, vaporizzare e lasciar agire durante 30 secondi sulla superficie da trattare. Assicurarsi che essa resti umida durante tutta la durata dell’azione. Passare la superficie con un panno asciutto o lasciare asciugare completamente. Dopo l’uso, riposizionare il sigillo di chiusura blu. Il prodotto non è adatto per l’igiene personale o sulle ferite, tanto meno su superfici sensibili all’alcol, verniciate o porose. Annuncio pubblicitario
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Società e Territorio Cittadini digitali Il software gestionale e-Cittadino pensato per i Comuni è ormai una realtà
Separazione e mediazione Quando la coppia si separa la mediazione familiare può giocare un ruolo importante nel ristabilire un canale di comunicazione: l’esperienza del Consultorio di Comunità familiare
Curarsi cucinando Un progetto di prevenzione della salute nella collaborazione tra Scuola Club di Migros Ticino e Lega Svizzera contro il reumatismo
Il governo ora è elettronico
Comuni I l software gestionale per le amministrazioni comunali, e-Cittadino, realizzato dal centro di calcolo
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elettronico di Gordola, ha superato con successo la fase sperimentale messa in atto a Magliaso
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Guido Grilli L’informatica apre letteralmente nuove porte: quelle della… cancelleria del proprio Comune. Ora, comodi comodi, direttamente da casa, persino la trasferta alla casa comunale ci può essere risparmiata. Dopo l’ormai diffuso sistema di home banking, anche gli enti pubblici fanno il loro ingresso nel futuro e con pochi clic e una password gratuita e personalizzata possono consentire ad ogni cittadino di accedere a servizi e documenti senza doversi recare allo sportello: dalla richiesta di un certificato di domicilio alla consultazione dello stato delle proprie imposte, da richieste di dilazione delle tasse a uno sguardo al contatore.
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e-Cittadino offre la possibilità di accedere a servizi e documenti senza recarsi allo sportello comunale
Spazi liberi e tante idee
Il progetto prevede lo sviluppo delle attività di svago tenendo conto delle diverse vocazioni dell’area: agricola, naturalistica, turistica, ricreativa.
Locarnese Il progetto di un’ampia area di svago tra i fiumi Maggia e Melezza ha messo d’accordo cinque Comuni Nicola Mazzi «Tra i vari obiettivi del progetto vi era anche quello di far sedere i Comuni della regione attorno al medesimo tavolo, al fine di portare avanti lo stesso concetto: credo proprio si stia andando in questa direzione. Lo si fa per valorizzare il Locarnese, per tutti i cittadini della zona, ma anche per i turisti. Un processo osservato con particolare attenzione sia dal Cantone che dalla Confederazione». Queste le parole dell’ingegnere forestale Giovanni Monotti, curatore del progetto sull’area di svago del Locarnese, che proprio in queste settimane sta prendendo forma. Un’idea lanciata qualche anno fa e che, dopo un minuzioso lavoro preparatorio, si sta facendo strada con decisione. Partito nel 2013, grazie all’intuizione dell’allora Ente regionale del turismo, il progetto denominato «Dall’Europa all’Africa lungo una golena» è stato selezionato dalla Confederazione, al pari di altri 32 meritevoli su una rosa di 149 studi inoltrati, quale Progetto modello Sviluppo sostenibile del territorio 2014-2018. «Questo, in particolare, rientra nel tema priorita-
rio degli spazi liberi multifunzionali negli insediamenti e nelle zone di riposo di prossimità negli agglomerati», spiega Monotti. Ma di che cosa si tratta in concreto? «L’idea di fondo è quella di elaborare un concetto condiviso di sviluppo delle attività legate allo svago che sia identitario del comprensorio, tenendo conto delle molteplici vocazioni dell’area: agricola, naturalistica, paesaggistica, ricreativa e turistica. Il tutto nelle aree circostanti i due fiumi Maggia e Melezza. In buona sostanza si vogliono mettere in rete le aree pubbliche e gli spazi verdi esistenti, grazie ad una serie di interventi e di progetti volti a migliorare l’accessibilità alle zone e ad aumentarne la loro fruibilità» aggiunge ancora l’ingegner Monotti. «Abbiamo prima di tutto definito un perimetro all’interno del quale operare – una superficie di poco più di 800 ettari – e poi abbiamo lanciato un sondaggio online per raccogliere i pareri dei fruitori di queste aree, le loro esigenze, puntando quindi su un processo partecipativo democratico, non su qualcosa calato dall’alto. Abbiamo avuto più di 5mila visite al sito e oltre
400 risposte al questionario. Questa indagine ci ha permesso di capire che cosa funziona e dove invece ci sono degli aspetti da migliorare o da correggere. In parallelo abbiamo anche eseguito un’attenta e scrupolosa analisi tecnica della zona per scovarne pregi e difetti, punti deboli ma anche le sue qualità. È stato un lavoro importante che ha permesso di caratterizzare nel dettaglio le varie zone, distinguendole per le loro peculiarità e le loro modalità d’uso». I risultati dell’analisi di dettaglio, come pure quelli del sondaggio, hanno evidenziato gli aspetti positivi e le caratteristiche della zona, ciò che la gente apprezza, ma al contempo anche quei punti che andrebbero migliorati. Ecco perché «abbiamo elaborato una serie di misure concrete, raccolte in un catalogo di schede, distinte in funzione della loro priorità nell’ottica del conseguimento degli obiettivi di progetto». Ma cerchiamo di capire meglio e nel concreto che cosa si potrebbe fare all’interno di questo grande perimetro: «ad esempio mancano panchine, occorre creare delle rampe tra i due argini in modo che anche le mamme con le carrozzine e le persone con difficoltà motorie possano
usufruire con maggior facilità degli spazi pianeggianti inferiori». O ancora: «alcune tratte del tracciato principale che si snoda attorno ai due fiumi necessitano di migliorie, anche nell’ottica della loro messa in sicurezza. Inoltre è emerso chiaramente che in tutta la zona c’è penuria di servizi igienici o di aree grill organizzate». Insomma molteplici sono le proposte volte a migliorare queste aree privilegiate e suggestive del Locarnese dove è possibile trascorrere il tempo libero da soli o con tutta la famiglia. Ma come spiega ancora lo stesso curatore del progetto, accanto a queste proposte sul tavolo ce ne sono molte altre, anche di carattere culturale o di tutela del contesto naturalistico come ad esempio la creazione di itinerari tematici sulla scorta dell’astrovia lungo la Maggia, rispettivamente la promozione di importanti misure volte a contrastare la proliferazione delle piante infestanti, o ancora per valorizzare il patrimonio naturale delle Gole della Maggia. Ci sono quindi tante idee e la voglia di concretizzarle non manca. «Ora abbiamo uno strumento di lavoro che definisce delle linee guida ed elenca quali misure occorre realizzare per consegui-
re gli obiettivi prefissati. Bisogna quindi chiarire chi fa che cosa. Per questo stiamo creando un gruppo operativo composto da cinque rappresentanti dei Comuni coinvolti (Locarno, Ascona, Terre di Pedemonte, Losone, Centovalli). Vi sono anche dei partner esterni come il Cantone, l’Ente regionale di sviluppo, il Concordato intercantonale dei trasporti e l’Organizzazione turistica regionale che verranno coinvolti di volta in volta su progetti specifici. Il progetto nel suo complesso ha raccolto gli interessi degli enti e a breve si potrà partire con l’attuazione di alcune misure definite prioritarie, quali la realizzazione e la posa di una cartellonistica unitaria, la realizzazione di panchine e di un sistema di accesso agevolato alle aree di svago» rileva ancora Monotti. «Dall’Europa all’Africa lungo una golena» è, dunque, un importante progetto che ha permesso di mettere d’accordo più comuni coalizzandoli attorno all’obiettivo principe di promuovere l’area centrale del Locarnese e affermare ancora di più la sua vocazione ricreativa a pieno vantaggio della popolazione locale e dei turisti che la raggiungono e vi soggiornano.
L’avveniristica soluzione si chiama e-Cittadino, un software gestionale dell’amministrazione comunale realizzato in Ticino dal Centro di calcolo elettronico di Gordola e che ha già superato con successo le prime fasi sperimentali. Primo Comune ad aver introdotto la novità, lo scorso anno, è stato Magliaso, 1630 abitanti. Con quale esito? Il segretario comunale, Moreno Rezzadore: «L’idea piace e funziona. I riscontri sono positivi. In generale gli orari di apertura della cancelleria non si conciliano troppo con chi lavora e dunque e-Cittadino facilita molti abitanti. Basta richiedere la password e il sistema è subito operativo. Con questo sistema riceviamo l’ordine di documenti, che inviamo a chi ne fa richiesta via e-mail o, nel caso in cui occorra la nostra firma della cancelleria, via posta e il pagamento del documento, anziché allo sportello, si sbriga facilmente da casa con la carta di credito». «Nel pacchetto di e-Cittadino – spiega dal canto suo il sindaco, Roberto Citterio – è inclusa anche un’area riservata accessibile unicamente ai municipali per le sedute di Municipio. Noi ci riuniamo
il lunedì sera e il venerdì precedente il nostro segretario ci trasmette tutti i documenti relativi all’ordine del giorno, risparmiandoci così le trasferte in Comune». L’obiettivo perseguito da quello che viene definito il «governo elettronico» è evidente: porre le autorità in condizione di fornire le proprie prestazioni alla popolazione in modo sicuro e senza discontinuità dei sistemi di trasmissione. Ma come e quando è nata l’idea di sviluppare il software e-Cittadino? Lo abbiamo chiesto ai responsabili del Centro di calcolo elettronico (CCE), Giorgio Rastrelli e Marco Guerra. «L’idea è nata nel 2016. Da tempo osservavamo l’evolversi delle direttive della Confederazione in tema di e-governement. Tali direttive non riguardano esclusivamente la digitalizzazione dei processi che vedono coinvolto il cittadino ma anche altri processi dell’amministrazione. Infatti il CCE ha sviluppato una soluzione di e-governement, denominata eGov.Ti., che prevede la presenza di altri moduli non strettamente legati al cittadino ma che vedono come utenti i municipali, gli agenti della polizia e i consiglieri comunali. La peculiarità di tutti i moduli della soluzione eGov.Ti, è che sfrutta appieno il patrimonio informativo disponibile nel nostro software Ge.Co.Ti. Web, software appositamente studiato per le Amministrazioni comunali e ad oggi adottato da più di 70 Comuni di ogni dimensione, tra cui le quattro città del Cantone. Tornando al modulo e-Cittadino, la soluzione ha visto la luce alla fine del 2016 per poi consolidarsi nel corso del 2017 con l’aggiunta di diverse funzionalità». Come state procedendo per estendere e convincere altri Comuni della bontà del vostro servizio? «Magliaso è stato il primo Comune a mettere la soluzione online e già altri quattro Comuni la stanno testando. Mentre il processo di adozione degli altri moduli della soluzione eGov.Ti, come ad esempio e-Municipio, la soluzione per la gestione delle sedute del Municipio, è proceduto velocemente. Pur avendo la stessa data di disponibilità, l’adozione del modulo e-Cittadino è più legato a una volontà “politica” di rendere di-
I cittadini possono richiedere un certificato senza muoversi da casa, bastano un clic e una password. (Keystone)
sponibile ai cittadini questa tipologia di servizi. Tali soluzioni, largamente diffuse in alcuni Cantoni della Svizzera interna, pur ricevendo l’apprezzamento per quanto riguarda le funzionalità, la facilità di utilizzo e il basso costo di implementazione, non vengono ancora percepite come “prioritarie” dai Comuni. Il CCE sta svolgendo, attraverso newsletter informative e incontri annuali, un’attività di sensibilizzazione dei Comuni in merito all’adozione della soluzione e-Cittadino, consapevole che questo percorso richiederà tempi più lunghi». L’informatica, è noto, offre sempre maggiore efficienza agli enti pubblici – da un proprio sito web, inaugurato ormai da quasi tutti i Comuni, alla più diffusa posta elettronica. Con e-Cittadino, tuttavia, non si corre il rischioboomerang di causare una riduzione di personale in seno alle amministrazioni comunali? «È un rischio inesistente ed è facilmente dimostrabile dato per assodato che l’obiettivo di e-Cittadino è di rendere più efficiente la disponibilità di tempo del personale delle amministrazioni, utilizzandolo per attività
a più alto valore aggiunto senza tenere conto dei vantaggi che derivano al cittadino dalla possibilità di evadere una serie di richieste senza dover necessariamente recarsi fisicamente allo sportello o sottostare a determinati orari. Il personale delle amministrazioni comunali ha sempre più la necessità di svolgere attività di conoscenza e adempimento a nuove normative o a cambiamenti organizzativi. Cambiamenti che richiedono la disponibilità di tempo per la formazione e per lo svolgimento dei nuovi compiti cui il personale è tenuto ad assolvere. E-Cittadino vuole così dare una mano al personale per sollevarlo da attività a più basso valore aggiunto, lasciandogli il tempo di dedicarsi ad attività prioritarie». Qual è il consuntivo? E quali sviluppi si prevedono? «e-Cittadino è in fase di test in altri quattro Comuni che contano di partire nel corso del 2019 o al più tardi nel 2020. A tal proposito abbiamo avuto conferma dal comune di Biasca dell’entrata in funzione di e-Cittadino all’inizio di quest’anno. Continuiamo intanto la nostra attività di sensibilizzazione presso i Comuni.
a sentirsi sicuro solo lassù; o la signora grassa che ci sembra brutta e sciatta in coda davanti a noi «forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata meno pagata della motorizzazione...». La vita adulta, osserva Wallace, include anche «noia, routine e meschina frustrazione». Sembra davvero ispirarsi a tutto ciò questo romanzo dell’autrice americana Jennifer Castle, in cui due ragazzi, come simbolico risarcimento per non essere intervenuti in una situazione che aveva causato un incidente, decidono di compiere degli atti di gentilezza estemporanea nei confronti di perfetti estranei. Ecco allora profilarsi figure di passanti di ogni età e provenienza, dei quali conosciamo delle brevi tranches di vissuto, anche perché il romanzo è costruito con continui cambi di prospettiva. I capitoli sono raccontati di volta in volta da punti di vista di-
versi: quello di Max e quello di Kendall (i due protagonisti), ma anche quelli dei loro amici e dei vari adulti che fanno o entrano a far parte della loro vita. E poi c’è l’amore, tanto, con tutte le incertezze e le confusioni emotive che l’età alle soglie della vita adulta comporta.
Siamo convinti che appena partiranno anche gli altri Comuni ci sarà molta più attenzione da parte delle amministrazioni comunali nostre clienti che finora hanno rimandato l’adozione di tale soluzione. Siamo cioè convinti che vi sarà un effetto “imitazione” una volta che la soluzione incomincerà a diffondersi». Una delle frontiere ancora inesplorate rimane quella della firma elettronica in grado di autentificare con validità giuridica i diversi documenti ufficiali. Si rimedierà anche a questo ostacolo? «Premesso che siamo attenti a indicazioni e direttive da parte di Confederazione e Cantone su modalità e standard da utilizzare, sicuramente quello della firma elettronica lo vediamo come uno sviluppo futuro importante. Notevoli sarebbero infatti i vantaggi nel poter trasmettere documenti firmati aventi valenza legale, sia da parte del cittadino sia dell’amministrazione. Siamo consapevoli che forse oggi i tempi appaiono ancora prematuri. Possiamo certamente garantire che sarà questo uno degli obiettivi di sviluppo futuri del nostro portale e-Cittadino».
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Jennifer Castle, Insieme a mezzanotte, Il Castoro. Da 14 anni Una lettura leggera ma non priva di un’onesta adesione a quel faticoso lavoro di crescere che ogni adolescenza comporta, un romanzo young adults adeguato al periodo perché è ambientato attorno a Capodanno – in una New York suggestiva di interni domestici o di caffetterie, di mezzi pubblici, di vie illuminate e innevate, di un Hudson scintillante nell’aria invernale – questo Insieme a Mezzanotte parla di un gruppo di ragazzi ma si incentra fondamentalmente intorno alla considerazione che ognuno di noi stia combattendo la sua dura battaglia personale. «Sii gentile perché ogni persona che incontri sta combattendo una dura battaglia» è una frase citatissima e attribuita dal web a vari autori (da Platone a Carlo Mazzacurati, per intenderci), mentre più probabilmente risale al teologo scozzese Ian McLaren (1850-1907): Be pitiful, for
every man is fighting a hard battle. Ciò che conta è comunque il concetto che essa esprime e che, anche con parole diverse, altri autori hanno espresso, penso ad esempio al celebre discorso This is water che David Foster Wallace tenne nel 2005 ad una cerimonia di lauree, nel quale invitava i giovani a non pensarsi come il centro del mondo, considerando «la trincea quotidiana in cui si svolge la vita degli adulti», dove magari il tizio che ci sembra arrogante alla guida del suv che ci sta superando, nel passato ha avuto un terribile incidente e ora riesce
Laura Knowles-Chris Madden, Viaggi straordinari. Storie di animali che migrano, De Agostini. Da 5 anni In epoca di ansie collettive intorno ai popoli migranti, ben venga questo albo illustrato sugli animali che migrano. Per mare, nel cielo, sulla terra, tanti animali percorrono instancabilmente lunghissime distanze per sopravvivere. Ad ogni doppia pagina un animale diverso: ci sono ad esempio le megattere, «pellegrine degli oceani», in cerca di acque accoglienti dove far nascere i loro piccoli; le aragoste tropicali, che si muovono nei fondali «in lunghe carovane»; o i colibrì,
così piccoli eppure capaci di volare per 12’000 chilometri ogni anno; le oche indiane, «viaggiatrici di alta quota»; e anche tutti i viaggiatori a piedi, come i caribù, che lasciano le impronte dei loro zoccoli nella neve da nord a sud e viceversa; o i rospi, che avanzano superando ogni ostacolo «nella notte fredda e scura». Il bisogno di migrare è legato alla necessità di vivere e riguarda tante creature: animali umani e non umani. E «la prossima volta che vedrai un uccello volare in cielo, sopra la tua testa, saprai che forse è partito dall’Africa!».
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Società e Territorio Cittadini digitali Il software gestionale e-Cittadino pensato per i Comuni è ormai una realtà
Separazione e mediazione Quando la coppia si separa la mediazione familiare può giocare un ruolo importante nel ristabilire un canale di comunicazione: l’esperienza del Consultorio di Comunità familiare
Curarsi cucinando Un progetto di prevenzione della salute nella collaborazione tra Scuola Club di Migros Ticino e Lega Svizzera contro il reumatismo
Il governo ora è elettronico
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elettronico di Gordola, ha superato con successo la fase sperimentale messa in atto a Magliaso
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Guido Grilli L’informatica apre letteralmente nuove porte: quelle della… cancelleria del proprio Comune. Ora, comodi comodi, direttamente da casa, persino la trasferta alla casa comunale ci può essere risparmiata. Dopo l’ormai diffuso sistema di home banking, anche gli enti pubblici fanno il loro ingresso nel futuro e con pochi clic e una password gratuita e personalizzata possono consentire ad ogni cittadino di accedere a servizi e documenti senza doversi recare allo sportello: dalla richiesta di un certificato di domicilio alla consultazione dello stato delle proprie imposte, da richieste di dilazione delle tasse a uno sguardo al contatore.
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Spazi liberi e tante idee
Il progetto prevede lo sviluppo delle attività di svago tenendo conto delle diverse vocazioni dell’area: agricola, naturalistica, turistica, ricreativa.
Locarnese Il progetto di un’ampia area di svago tra i fiumi Maggia e Melezza ha messo d’accordo cinque Comuni Nicola Mazzi «Tra i vari obiettivi del progetto vi era anche quello di far sedere i Comuni della regione attorno al medesimo tavolo, al fine di portare avanti lo stesso concetto: credo proprio si stia andando in questa direzione. Lo si fa per valorizzare il Locarnese, per tutti i cittadini della zona, ma anche per i turisti. Un processo osservato con particolare attenzione sia dal Cantone che dalla Confederazione». Queste le parole dell’ingegnere forestale Giovanni Monotti, curatore del progetto sull’area di svago del Locarnese, che proprio in queste settimane sta prendendo forma. Un’idea lanciata qualche anno fa e che, dopo un minuzioso lavoro preparatorio, si sta facendo strada con decisione. Partito nel 2013, grazie all’intuizione dell’allora Ente regionale del turismo, il progetto denominato «Dall’Europa all’Africa lungo una golena» è stato selezionato dalla Confederazione, al pari di altri 32 meritevoli su una rosa di 149 studi inoltrati, quale Progetto modello Sviluppo sostenibile del territorio 2014-2018. «Questo, in particolare, rientra nel tema priorita-
rio degli spazi liberi multifunzionali negli insediamenti e nelle zone di riposo di prossimità negli agglomerati», spiega Monotti. Ma di che cosa si tratta in concreto? «L’idea di fondo è quella di elaborare un concetto condiviso di sviluppo delle attività legate allo svago che sia identitario del comprensorio, tenendo conto delle molteplici vocazioni dell’area: agricola, naturalistica, paesaggistica, ricreativa e turistica. Il tutto nelle aree circostanti i due fiumi Maggia e Melezza. In buona sostanza si vogliono mettere in rete le aree pubbliche e gli spazi verdi esistenti, grazie ad una serie di interventi e di progetti volti a migliorare l’accessibilità alle zone e ad aumentarne la loro fruibilità» aggiunge ancora l’ingegner Monotti. «Abbiamo prima di tutto definito un perimetro all’interno del quale operare – una superficie di poco più di 800 ettari – e poi abbiamo lanciato un sondaggio online per raccogliere i pareri dei fruitori di queste aree, le loro esigenze, puntando quindi su un processo partecipativo democratico, non su qualcosa calato dall’alto. Abbiamo avuto più di 5mila visite al sito e oltre
400 risposte al questionario. Questa indagine ci ha permesso di capire che cosa funziona e dove invece ci sono degli aspetti da migliorare o da correggere. In parallelo abbiamo anche eseguito un’attenta e scrupolosa analisi tecnica della zona per scovarne pregi e difetti, punti deboli ma anche le sue qualità. È stato un lavoro importante che ha permesso di caratterizzare nel dettaglio le varie zone, distinguendole per le loro peculiarità e le loro modalità d’uso». I risultati dell’analisi di dettaglio, come pure quelli del sondaggio, hanno evidenziato gli aspetti positivi e le caratteristiche della zona, ciò che la gente apprezza, ma al contempo anche quei punti che andrebbero migliorati. Ecco perché «abbiamo elaborato una serie di misure concrete, raccolte in un catalogo di schede, distinte in funzione della loro priorità nell’ottica del conseguimento degli obiettivi di progetto». Ma cerchiamo di capire meglio e nel concreto che cosa si potrebbe fare all’interno di questo grande perimetro: «ad esempio mancano panchine, occorre creare delle rampe tra i due argini in modo che anche le mamme con le carrozzine e le persone con difficoltà motorie possano
usufruire con maggior facilità degli spazi pianeggianti inferiori». O ancora: «alcune tratte del tracciato principale che si snoda attorno ai due fiumi necessitano di migliorie, anche nell’ottica della loro messa in sicurezza. Inoltre è emerso chiaramente che in tutta la zona c’è penuria di servizi igienici o di aree grill organizzate». Insomma molteplici sono le proposte volte a migliorare queste aree privilegiate e suggestive del Locarnese dove è possibile trascorrere il tempo libero da soli o con tutta la famiglia. Ma come spiega ancora lo stesso curatore del progetto, accanto a queste proposte sul tavolo ce ne sono molte altre, anche di carattere culturale o di tutela del contesto naturalistico come ad esempio la creazione di itinerari tematici sulla scorta dell’astrovia lungo la Maggia, rispettivamente la promozione di importanti misure volte a contrastare la proliferazione delle piante infestanti, o ancora per valorizzare il patrimonio naturale delle Gole della Maggia. Ci sono quindi tante idee e la voglia di concretizzarle non manca. «Ora abbiamo uno strumento di lavoro che definisce delle linee guida ed elenca quali misure occorre realizzare per consegui-
re gli obiettivi prefissati. Bisogna quindi chiarire chi fa che cosa. Per questo stiamo creando un gruppo operativo composto da cinque rappresentanti dei Comuni coinvolti (Locarno, Ascona, Terre di Pedemonte, Losone, Centovalli). Vi sono anche dei partner esterni come il Cantone, l’Ente regionale di sviluppo, il Concordato intercantonale dei trasporti e l’Organizzazione turistica regionale che verranno coinvolti di volta in volta su progetti specifici. Il progetto nel suo complesso ha raccolto gli interessi degli enti e a breve si potrà partire con l’attuazione di alcune misure definite prioritarie, quali la realizzazione e la posa di una cartellonistica unitaria, la realizzazione di panchine e di un sistema di accesso agevolato alle aree di svago» rileva ancora Monotti. «Dall’Europa all’Africa lungo una golena» è, dunque, un importante progetto che ha permesso di mettere d’accordo più comuni coalizzandoli attorno all’obiettivo principe di promuovere l’area centrale del Locarnese e affermare ancora di più la sua vocazione ricreativa a pieno vantaggio della popolazione locale e dei turisti che la raggiungono e vi soggiornano.
L’avveniristica soluzione si chiama e-Cittadino, un software gestionale dell’amministrazione comunale realizzato in Ticino dal Centro di calcolo elettronico di Gordola e che ha già superato con successo le prime fasi sperimentali. Primo Comune ad aver introdotto la novità, lo scorso anno, è stato Magliaso, 1630 abitanti. Con quale esito? Il segretario comunale, Moreno Rezzadore: «L’idea piace e funziona. I riscontri sono positivi. In generale gli orari di apertura della cancelleria non si conciliano troppo con chi lavora e dunque e-Cittadino facilita molti abitanti. Basta richiedere la password e il sistema è subito operativo. Con questo sistema riceviamo l’ordine di documenti, che inviamo a chi ne fa richiesta via e-mail o, nel caso in cui occorra la nostra firma della cancelleria, via posta e il pagamento del documento, anziché allo sportello, si sbriga facilmente da casa con la carta di credito». «Nel pacchetto di e-Cittadino – spiega dal canto suo il sindaco, Roberto Citterio – è inclusa anche un’area riservata accessibile unicamente ai municipali per le sedute di Municipio. Noi ci riuniamo
il lunedì sera e il venerdì precedente il nostro segretario ci trasmette tutti i documenti relativi all’ordine del giorno, risparmiandoci così le trasferte in Comune». L’obiettivo perseguito da quello che viene definito il «governo elettronico» è evidente: porre le autorità in condizione di fornire le proprie prestazioni alla popolazione in modo sicuro e senza discontinuità dei sistemi di trasmissione. Ma come e quando è nata l’idea di sviluppare il software e-Cittadino? Lo abbiamo chiesto ai responsabili del Centro di calcolo elettronico (CCE), Giorgio Rastrelli e Marco Guerra. «L’idea è nata nel 2016. Da tempo osservavamo l’evolversi delle direttive della Confederazione in tema di e-governement. Tali direttive non riguardano esclusivamente la digitalizzazione dei processi che vedono coinvolto il cittadino ma anche altri processi dell’amministrazione. Infatti il CCE ha sviluppato una soluzione di e-governement, denominata eGov.Ti., che prevede la presenza di altri moduli non strettamente legati al cittadino ma che vedono come utenti i municipali, gli agenti della polizia e i consiglieri comunali. La peculiarità di tutti i moduli della soluzione eGov.Ti, è che sfrutta appieno il patrimonio informativo disponibile nel nostro software Ge.Co.Ti. Web, software appositamente studiato per le Amministrazioni comunali e ad oggi adottato da più di 70 Comuni di ogni dimensione, tra cui le quattro città del Cantone. Tornando al modulo e-Cittadino, la soluzione ha visto la luce alla fine del 2016 per poi consolidarsi nel corso del 2017 con l’aggiunta di diverse funzionalità». Come state procedendo per estendere e convincere altri Comuni della bontà del vostro servizio? «Magliaso è stato il primo Comune a mettere la soluzione online e già altri quattro Comuni la stanno testando. Mentre il processo di adozione degli altri moduli della soluzione eGov.Ti, come ad esempio e-Municipio, la soluzione per la gestione delle sedute del Municipio, è proceduto velocemente. Pur avendo la stessa data di disponibilità, l’adozione del modulo e-Cittadino è più legato a una volontà “politica” di rendere di-
I cittadini possono richiedere un certificato senza muoversi da casa, bastano un clic e una password. (Keystone)
sponibile ai cittadini questa tipologia di servizi. Tali soluzioni, largamente diffuse in alcuni Cantoni della Svizzera interna, pur ricevendo l’apprezzamento per quanto riguarda le funzionalità, la facilità di utilizzo e il basso costo di implementazione, non vengono ancora percepite come “prioritarie” dai Comuni. Il CCE sta svolgendo, attraverso newsletter informative e incontri annuali, un’attività di sensibilizzazione dei Comuni in merito all’adozione della soluzione e-Cittadino, consapevole che questo percorso richiederà tempi più lunghi». L’informatica, è noto, offre sempre maggiore efficienza agli enti pubblici – da un proprio sito web, inaugurato ormai da quasi tutti i Comuni, alla più diffusa posta elettronica. Con e-Cittadino, tuttavia, non si corre il rischioboomerang di causare una riduzione di personale in seno alle amministrazioni comunali? «È un rischio inesistente ed è facilmente dimostrabile dato per assodato che l’obiettivo di e-Cittadino è di rendere più efficiente la disponibilità di tempo del personale delle amministrazioni, utilizzandolo per attività
a più alto valore aggiunto senza tenere conto dei vantaggi che derivano al cittadino dalla possibilità di evadere una serie di richieste senza dover necessariamente recarsi fisicamente allo sportello o sottostare a determinati orari. Il personale delle amministrazioni comunali ha sempre più la necessità di svolgere attività di conoscenza e adempimento a nuove normative o a cambiamenti organizzativi. Cambiamenti che richiedono la disponibilità di tempo per la formazione e per lo svolgimento dei nuovi compiti cui il personale è tenuto ad assolvere. E-Cittadino vuole così dare una mano al personale per sollevarlo da attività a più basso valore aggiunto, lasciandogli il tempo di dedicarsi ad attività prioritarie». Qual è il consuntivo? E quali sviluppi si prevedono? «e-Cittadino è in fase di test in altri quattro Comuni che contano di partire nel corso del 2019 o al più tardi nel 2020. A tal proposito abbiamo avuto conferma dal comune di Biasca dell’entrata in funzione di e-Cittadino all’inizio di quest’anno. Continuiamo intanto la nostra attività di sensibilizzazione presso i Comuni.
a sentirsi sicuro solo lassù; o la signora grassa che ci sembra brutta e sciatta in coda davanti a noi «forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata meno pagata della motorizzazione...». La vita adulta, osserva Wallace, include anche «noia, routine e meschina frustrazione». Sembra davvero ispirarsi a tutto ciò questo romanzo dell’autrice americana Jennifer Castle, in cui due ragazzi, come simbolico risarcimento per non essere intervenuti in una situazione che aveva causato un incidente, decidono di compiere degli atti di gentilezza estemporanea nei confronti di perfetti estranei. Ecco allora profilarsi figure di passanti di ogni età e provenienza, dei quali conosciamo delle brevi tranches di vissuto, anche perché il romanzo è costruito con continui cambi di prospettiva. I capitoli sono raccontati di volta in volta da punti di vista di-
versi: quello di Max e quello di Kendall (i due protagonisti), ma anche quelli dei loro amici e dei vari adulti che fanno o entrano a far parte della loro vita. E poi c’è l’amore, tanto, con tutte le incertezze e le confusioni emotive che l’età alle soglie della vita adulta comporta.
Siamo convinti che appena partiranno anche gli altri Comuni ci sarà molta più attenzione da parte delle amministrazioni comunali nostre clienti che finora hanno rimandato l’adozione di tale soluzione. Siamo cioè convinti che vi sarà un effetto “imitazione” una volta che la soluzione incomincerà a diffondersi». Una delle frontiere ancora inesplorate rimane quella della firma elettronica in grado di autentificare con validità giuridica i diversi documenti ufficiali. Si rimedierà anche a questo ostacolo? «Premesso che siamo attenti a indicazioni e direttive da parte di Confederazione e Cantone su modalità e standard da utilizzare, sicuramente quello della firma elettronica lo vediamo come uno sviluppo futuro importante. Notevoli sarebbero infatti i vantaggi nel poter trasmettere documenti firmati aventi valenza legale, sia da parte del cittadino sia dell’amministrazione. Siamo consapevoli che forse oggi i tempi appaiono ancora prematuri. Possiamo certamente garantire che sarà questo uno degli obiettivi di sviluppo futuri del nostro portale e-Cittadino».
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Jennifer Castle, Insieme a mezzanotte, Il Castoro. Da 14 anni Una lettura leggera ma non priva di un’onesta adesione a quel faticoso lavoro di crescere che ogni adolescenza comporta, un romanzo young adults adeguato al periodo perché è ambientato attorno a Capodanno – in una New York suggestiva di interni domestici o di caffetterie, di mezzi pubblici, di vie illuminate e innevate, di un Hudson scintillante nell’aria invernale – questo Insieme a Mezzanotte parla di un gruppo di ragazzi ma si incentra fondamentalmente intorno alla considerazione che ognuno di noi stia combattendo la sua dura battaglia personale. «Sii gentile perché ogni persona che incontri sta combattendo una dura battaglia» è una frase citatissima e attribuita dal web a vari autori (da Platone a Carlo Mazzacurati, per intenderci), mentre più probabilmente risale al teologo scozzese Ian McLaren (1850-1907): Be pitiful, for
every man is fighting a hard battle. Ciò che conta è comunque il concetto che essa esprime e che, anche con parole diverse, altri autori hanno espresso, penso ad esempio al celebre discorso This is water che David Foster Wallace tenne nel 2005 ad una cerimonia di lauree, nel quale invitava i giovani a non pensarsi come il centro del mondo, considerando «la trincea quotidiana in cui si svolge la vita degli adulti», dove magari il tizio che ci sembra arrogante alla guida del suv che ci sta superando, nel passato ha avuto un terribile incidente e ora riesce
Laura Knowles-Chris Madden, Viaggi straordinari. Storie di animali che migrano, De Agostini. Da 5 anni In epoca di ansie collettive intorno ai popoli migranti, ben venga questo albo illustrato sugli animali che migrano. Per mare, nel cielo, sulla terra, tanti animali percorrono instancabilmente lunghissime distanze per sopravvivere. Ad ogni doppia pagina un animale diverso: ci sono ad esempio le megattere, «pellegrine degli oceani», in cerca di acque accoglienti dove far nascere i loro piccoli; le aragoste tropicali, che si muovono nei fondali «in lunghe carovane»; o i colibrì,
così piccoli eppure capaci di volare per 12’000 chilometri ogni anno; le oche indiane, «viaggiatrici di alta quota»; e anche tutti i viaggiatori a piedi, come i caribù, che lasciano le impronte dei loro zoccoli nella neve da nord a sud e viceversa; o i rospi, che avanzano superando ogni ostacolo «nella notte fredda e scura». Il bisogno di migrare è legato alla necessità di vivere e riguarda tante creature: animali umani e non umani. E «la prossima volta che vedrai un uccello volare in cielo, sopra la tua testa, saprai che forse è partito dall’Africa!».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Società e Territorio
Separarsi insieme
Coppia La mediazione familiare cerca di ristabilire un canale
di comunicazione tra i partner. Incontro con l’avvocato Deborah Solcà Roberta Nicolò Quando si forma una coppia e magari una famiglia, ci si augura che sia per tutta la vita. Ma non sempre l’auspicio si trasforma in realtà. Sono molte le coppie che, a un certo punto del loro percorso decidono di separarsi. Una scelta dolorosa con implicazioni pratiche ed emotive che spesso risultano complicate e, a volte, scaturiscono in un duro conflitto tra i partner. La proposta di mediazione familiare del Consultorio dell’Associazione Comunità familiare è condotta da professionisti che accompagnano le coppie durante la fase della separazione. Può essere messa in campo anche quando si vive già separati o perfino dopo il divorzio laddove è richiesta una modifica dell’organizzazione familiare. È un percorso che racchiude un impegno concreto: si propone come un luogo per tentare di spiegarsi e di fare ordine. Per provare a ridefinire i bisogni e le priorità di ciascun membro della famiglia. Per cercare di trovare soluzioni sostenibili e sufficientemente soddisfacenti per tutti e, quando è opportuno, per fissare in tribunale gli accordi presi. Ci si può davvero dividere senza iniziare una guerra legale? È possibile trovare un accordo che sia condiviso dalle parti? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Deborah Solcà, direttrice generale dell’Associazione Comunità familiare e direttrice del Consultorio familiare. «La mediazione familiare è una tipologia d’intervento nell’ambito della separazione o del divorzio, finalizzata ad aiutare le coppie a prendere accordi funzionali durante tutte le tappe. Si distingue sia dalla terapia, che si concentra nel superamento di uno stato di sofferenza, sia dal patrocinio legale, che è invece improntato sulla difesa dei diritti del cliente. La coppia che si rivolge a noi ha bisogno di costruire un accordo “su misura”, che tenga conto delle esigenze di ogni membro della famiglia e della contingenza nel rispetto delle norme legali. Uno degli elementi di base della mediazione è l’accoglienza. Le coppie hanno bisogno di essere accolte e aiutate a ristabilire un canale di comunicazione. Comunicare, per una coppia che è in crisi e che ha scelto di separarsi, è spesso l’ostacolo principale da superare. L’incapacità di comunicazione impedisce loro anche l’ascolto reciproco. In mediazione diamo spazio alle emozioni dei partner che, in situazioni di forte disagio, sono spesso negative ed esasperate. Dare voce in maniera organizzata e accogliente alle proprie paure ed emozioni aiuta ad affrontare in maniera più costruttiva anche il momento di separarsi. Dare importanza alle emozioni è un punto cardine di questo percorso per evitare l’insofferenza e non lasciare in preda alla disperazione chi si sente abbandonato o crede di aver subito un torto e per non creare frustrazione in chi, invece, ha già maturato la necessità di lasciare andare il passato. Occorre altresì mantenere vivo il dialogo e l’unione negoziale tra
La salvezza verrà dal paywall? Media Il «CdT» investe nell’offerta online,
ma il futuro della stampa rimane incerto Enrico Morresi
Deborah Solcà, direttrice generale dell’Associazione Comunità familiare. (Ti-Press)
le due parti per recuperare la voglia di trovare soluzioni costruttive. La proposta della mediazione è quella di tendersi la mano invece di farsi la guerra». Una strada, quella della mediazione, che presuppone la volontà dei partner di affrontare un lavoro attivo. Sono quindi chiamati al confronto con se stessi e con il proprio ex partner. «C’è la necessità di mettersi in gioco e occorre quindi che si sia pronti ad affrontare un lavoro che può essere faticoso. A volte alcune coppie hanno bisogno di tempo prima di iniziare un percorso mediazione o serve loro, magari, un percorso di terapia individuale. Può capitare che due partner facciano con noi alcuni incontri e poi decidano di rinviare la mediazione ad un momento nel quale entrambi si sentano maggiormente pronti. Altre volte, invece, si tratta di riallineare la coppia per affrontare al meglio la strada della separazione. Difficilmente i partner hanno lo stesso grado di elaborazione della rottura. Capita che uno dei due abbia sviluppato una maggiore consapevolezza. Il nostro compito è quindi quello di trovare un punto di incontro sul quale intavolare il resto del processo – continua la direttrice del Consultorio Deborah Solcà – quando ci sono dei figli è ancora più importante trovare una soluzione che non metta in conflitto i due genitori. La mediazione familiare si propone di preservare e valorizzare il ruolo genitoriale pur accompagnando la coppia alla separazione, per garantire ai figli una continuità e la giusta serenità nel rapporto con i propri genitori. Quando i figli sono adolescenti si possono coinvolgere, laddove ritenuto opportuno, nel percorso di mediazione, questo li rende partecipi e aiuta tutta la famiglia a costruire una nuova dinamica relazionale. Una strada che implica un conflitto continuo rischia di risultare, a lungo andare, più faticosa. Ecco perché imparare a gestire i rapporti du-
rante la mediazione, anche se impegnativo, dà in prospettiva una soluzione di maggiore leggerezza e successo». Al termine del percorso di mediazione familiare può essere elaborato un protocollo sulla base degli accordi presi che regola una separazione di fatto o una convenzione sulle conseguenze accessorie del divorzio o della separazione da inoltrare, per l’omologazione, alla Pretura competente con l’istanza di separazione o di divorzio. «Spesso le persone pensano che il Pretore deciderà la soluzione più idonea per i coniugi che stanno divorziando. Ma una convenzione elaborata dalle parti è, secondo la mia esperienza, di gran lunga più funzionale anche in un’ottica di prospettiva per il futuro. Quando una soluzione è calata dall’alto si rischia sempre che prima o poi vada stretta. Soprattutto laddove ci sono dei figli, il rapporto tra ex nella veste di genitori durerà ancora molti anni. Le esigenze, in questo arco di tempo, possono cambiare notevolmente così come la situazione quadro. Ecco allora che, se le coppie separate hanno imparato a comunicare e a trovare insieme delle soluzioni, potranno affrontare meglio le sfide che il futuro metterà loro di fronte». Per aiutare le persone ad affrontare con maggiore equilibrio e serenità la separazione o il divorzio il Consultorio dell’Associazione Comunità familiare ha pubblicato un libro intitolato Separarsi insieme. L’opportunità della mediazione familiare (Fontana Edizioni). Il testo, scritto da Mauro Aldeghi (Mediatore FSM con specializzazione in mediazione familiare, in organico da 15 anni presso il Consultorio), ha il patrocinio del Dipartimento delle istituzioni – Divisione della giustizia. Informazioni
www.comfamiliare.org
Con una bella foto in prima pagina, il 4 dicembre 2018 il «Corriere del Ticino» annunciava la creazione di una newsroom, cioè di una redazione integrata che proporrà al lettore contenuti di qualità anche sul rinnovato portale cdt.ch. A chi fosse curioso del retroscena segnalo un articolo di Gerhard Lob, corrispondente dal Ticino di varie testate della Svizzera tedesca, pubblicato sul sito online «Medienwoche» il 6 dicembre 2018 («Paywall-Premiere im Tessin: “Corriere del Ticino” baut und stuft Zeitung zurück»). Ma quel che interessa qui è l’adozione – la prima volta in Ticino – del paywall, cioè dell’offerta a pagamento di articoli e servizi leggibili finora solo sull’edizione cartacea. Chiarisco il concetto per chi… non mastica l’internettese. Fino a pochi anni fa dei giornali esisteva solo la versione a stampa, che si comprava all’edicola oppure ci veniva recapitata in casa. Gli abbonati pagavano un abbonamento. Questo modo di fruizione vale ancora ma la diffusione del cartaceo (la tiratura, in senso classico) tende a stagnare, mentre si diffonde la lettura sul computer, sul tablet o sul cellulare, cioè online. Sul sito web del «Corriere» si poteva già accedere gratis alle notizie del giorno, godendo della tempestività con cui le notizie sono messe in rete, talvolta integrate da foto e piccoli filmati. Questo servizio era gratis, ma non comprendeva gli approfondimenti, cioè l’editoriale, le inchieste, gli articoli lunghi. Ora, pagando, si possono ricevere via web anche quelli, mentre gratis rimane l’offerta di base (le notizie). Si intende andare incontro così a chi il giornale vuole leggerlo tutto anche solo in rete. Sul successo o l’insuccesso del paywall gli editori di giornali per ora sono abbastanza discreti: si direbbe che un’opinione definitiva non se la siano ancora fatta. Il paywall è offerto dai grandi giornali americani ed europei (compresi «Corriere della Sera» e «laRepubblica»). Ed è significativo che sia stato adottato anche da testate fruibili solo online, come «Médiapart», «Huffington Post», «Correctiv». Ma Lugano (si può obiettare) non è New York: vi saranno persone disposte a pagare per un giornale che si può ancora leggere al bar più vicino? Rispondo che al «Corriere del Ticino» avranno fatto i loro calcoli... e gli auguri sono perlomeno dovuti. Ma la novità è importante anche per un altro aspetto. Questa offerta giornalistica coraggiosa e generosa è rivolta anche a chi non legge (o non legge più) i giornali di carta, ma porta in giro il tablet o lo smartphone e desidera così tenersi informato su un po’ di tutto: dai programmi del cinema al menu del ristorante in cui vuol prenotare un tavolo. I servizi offerti con il paywall tendono a raggiungere i lettori più esigenti, tra essi ovviamente i cittadini-elettori. E poiché la democrazia è un regime esigente, la domanda
è: sarà efficace l’online per migliorare l’informazione del cittadino? Oppure gli utenti di tablet e smartphones li usano per tutt’altro? Una constatazione poco rallegrante l’ha fatta «le Monde» mandando i suoi giornalisti a intervistare i gilet jaunes che presidiavano i blocchi stradali. Dalle interviste raccolte e pubblicate si apprende che quasi nessuno usava quegli apparecchi per accedere ai siti dei giornali, e neppure alla radio o alla televisione. È un popolo che frequenta piuttosto i social media, Facebook, Twitter, Google: informazioni ridotte ai minimi termini, non verificate e spesso inquinate da fake news, cioè da notizie false oppure manipolate. Ai giornalisti di «Le Monde» fu mostrata per esempio una notizia che dimostrava come il comunicato della polizia francese sulla strage di Strasburgo fosse stato pubblicato qualche minuto prima della sparatoria ai mercatini, prova del tentativo di Macron di distogliere l’interesse dall’agitazione! Finché, guardato bene il sito da cui proveniva l’imbarazzante news, si scoprì una differenza di fuso orario: la prova provata che l’interpretazione complottista non stava in piedi. In Svizzera saremmo migliori dei francesi? Il dato fornito dal più recente studio dell’Università di Zurigo sul consumo di notizie taglia corto alle illusioni: il 36% dell’insieme dei cittadini svizzeri e il 53% delle persone tra i 16 e i 29 anni non «consuma» notizie: né stampate né online. Mai, punto e basta. Servirà il paywall – che implica un sacrificio finanziario per migliorare il proprio grado di informazione – per ridurre il numero dei newsdeprivierter (ossia dei non-interessati alle notizie)? Il grado d’informazione dell’elettorato tende a calare quasi ovunque in Europa. Vi concorrono non solo il declino della stampa d’opinione ma anche altri sviluppi della società: per esempio la diminuita incidenza dei corpi intermedi (i partiti, i sindacati), che un tempo pure editavano giornali ed erano luoghi di apprendimento della democrazia e del suo esercizio. Su questo punto da anni insiste l’ex consigliere di Stato Alberto Lepori: ora in particolare con l’opuscolo Riflessioni e proposte per una politica alta (edizioni del «Popolo e Libertà», Locarno 2018), che nasconde un’ironia feroce: raccoglie infatti gli articoli che l’ex consigliere scriveva per «Pegaso», la rubrica di approfondimento che il «Popolo e Libertà» ha soppresso. Non può soddisfare, allora, la giustificazione del Consiglio federale (purtroppo spalleggiata dall’associazione degli editori di giornali), che spiega l’impossibilità di finanziare la stampa con la mancanza di un articolo costituzionale specifico. Parlamentari sono per fortuna all’opera per rimediare alla lacuna. Rimane da augurarsi che si vi arrivi prima che la moria delle testate riduca il mondo dell’informazione allo stato delle foreste delle Dolomiti devastate dal «tornado». Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Società e Territorio
In cucina si migliora la qualità della vita Scuola Club Migros Ticino Nasce un’importante collaborazione con la Lega svizzera contro il reumatismo
Nella sola Svizzera ben due milioni di persone soffrono di reumatismo, un termine che la medicina utilizza per raggruppare circa 200 patologie che impattano negativamente sull’apparato locomotore, come l’artrite, l’artrosi e l’osteoporosi. Chi è affetto da reumatismo non è però lasciato solo. Agli aiuti già disponibili si aggiunge ora la collaborazione a livello nazionale tra la Scuola Club Migros e la Lega svizzera contro il reumatismo che ha portato al lancio di un primo corso di cucina per chi e con chi soffre di questa patologia. Dal 1958, anno della sua fondazione, la Lega svizzera contro il reumatismo si impegna al miglioramento della
Cucinare per chi e con chi soffre di reumatismi Incontri di 4 ore-lezione, Fr. 130.– Serata informativa: Lugano, martedì 29 gennaio 2019, ore 19.00 Corsi in partenza: Lugano mercoledì 13 febbraio 2019 Bellinzona venerdì 15 febbraio 2019 Orario: dalle 18.00 alle 22.00 Informazioni e iscrizioni: Tel. 091 821 71 50 scuolaclub.ticino@migrosticino.ch www.scuola-club.ch In collaborazione con la Lega svizzera contro il reumatismo.
qualità di vita dei malati, informa e sensibilizza l’opinione pubblica e aiuta gli specialisti nel loro lavoro con i pazienti reumatici. Il suo lavoro è su due fronti: da un lato, aiuta le persone a mantenersi sane attraverso azioni mirate alla prevenzione; dall’altro, offre ai malati un importante sostegno attraverso consigli medici, terapeutici e sociali. In Ticino, la Scuola Club dal 1957 non cessa di riattualizzare il suo mandato di fare della formazione per tutti un’occasione di promozione personale e di integrazione sociale. Ma perché proprio un corso di cucina? Da tempo gli studi di settore confermano l’influenza dell’alimentazione, accanto all’attività fisica regolare, sui disturbi reumatici e la loro evoluzione. Da qui l’esigenza di diffondere comportamenti corretti nella scelta e nella preparazione del cibo, sia in chiave preventiva, sia nel contrasto allo sviluppo delle patologie reumatiche. «L’alimentazione è alla base del nostro benessere e la qualità di ciò che mangiamo può fare davvero la differenza. Ciò vale per molte patologie e certamente per il reumatismo: una dieta completa ed equilibrata previene e limita i processi infiammatori che ne sono alla base» puntualizza la dottoressa Anna Robbiani Agustoni, medico e consulente nutrizionale ticinese, referente della Lega svizzera contro il reumatismo e docente alla Scuola Club di Migros Ticino nel settore Salute. «Ai miei pazienti suggerisco la completezza dei nutrienti, senza demonizzare nessuna categoria. Nella giusta misura è concesso tutto!» Se passiamo in rassegna i gruppi
di nutrienti, in pole position troviamo l’assunzione di frutta e verdura. Le 5 porzioni tradizionalmente raccomandate devono però essere di stagione, trattate con riguardo per non perdere il loro contenuto vitaminico, consumate anche crude, variate nel colore. Da favorire ad ogni pasto l’uso di cereali integrali. Grande attenzione va dedicata alla scelta delle proteine animali, come la carne, il pesce, le uova e i latticini, che vanno assunti con moderazione e selezionando le varianti più magre, limitando affettati ed insaccati. Ai crostacei, ricchi di grassi, meglio preferire il pesce azzurro ricco di acidi grassi Omega 3, protettivi e anti-infiammatori. Da reintegrare nelle abitudini alimentari sono invece le proteine vegetali, come le leguminose, che vanno pre-
miate per l’apporto di fibre e la naturale scarsità di grassi. Queste indicazioni rimandano alla cosiddetta «dieta mediterranea» caratterizzata dalla presenza di olio d’oliva, che può essere integrato da olio di colza o di lino per migliorare la qualità dei grassi assunti quotidianamente. Ciò che emerge dal confronto con la dottoressa Robbiani è l’importanza di non rinunciare al gusto. Per questo sono le benvenute occasioni come il corso in partenza alla Scuola Club di Migros Ticino: per imparare ad esaltare anche gli ingredienti più semplici, come le lenticchie o le sardine, e rendere sempre più attraente la tavola. «Occorre essere curiosi per provare nuove soluzioni e fantasiosi per trovare presentazioni sfiziose, così da rende-
re un piatto sano anche estremamente appetitoso» continua la dottoressa Robbiani. «Chi segue questi consigli ne trae un indubbio beneficio. I pazienti riferiscono da subito maggiore energia vitale, riposo migliorato, facilità digestiva. Quando poi l’alimentazione diventa un’abitudine consolidata è possibile assistere anche alla remissione di alcune condizioni cliniche, sebbene non tutte le malattie possono essere guarite…». Gli effetti sono promettenti e i vantaggi ricadono su tutta la famiglia. «La presenza di un paziente che richiede una nuova impostazione nutrizionale si rivela una buona occasione per trarne i massimi vantaggi per tutti» conclude Anna Robbiani. «Migliorare l’alimentazione significa recuperare in qualità di vita».
Il mondo nascosto dei draghi Anteprima e concorso Nei cinema ticinesi è in arrivo l’ultimo episodio della trilogia di Dragon Trainer.
In palio 20 inviti per l’anteprima al Cinestar di Lugano domenica 27 gennaio e fantastici zainetti
© UNIVERSAL PICTURES INTERNATIONAL SWITZERLAND. ALL RIGHTS RESERVED
L’avventura dei due improbabili amici Hiccup, giovane vichingo, e Sdentato, il suo drago Furia Buia, volge al termine con il terzo appassionante episodio di Dragon Trainer – Il mondo nascosto. Le peripezie, che i due protagonisti della saga animata affronteranno in quest’ultimo capitolo, segneranno il destino di entrambi. Sull’isola di Bark uomini e draghi vivono ormai in simbiosi, forse addirittura troppo. Una terribile minaccia però sta arrivando dal mare: un’armata con sufficienti gabbie per catturare tutti i draghi mette in grave pericolo la pace dell’isola, un pericolo molto diverso
da quelli delle precedenti avventure. È giunto il momento che si compia quanto predetto a Hiccup da ragazzo riguardo al suo destino. Deve trovare il luogo nascosto, oltre i confini del mondo, dove vivono tutti i draghi e riuscire a salvarli. Nella sua impresa però non sarà solo, ma accompagnato da tutti i personaggi, umani e draghi, che hanno incantato il pubblico nelle prime due pellicole della trilogia, e da nuovi impavidi amici, tra cui una splendida Furia Chiara, una brillante draghessa, mai vista prima, di cui Sdentato si innamorerà. Il mondo nascosto ha bisogno di Hiccup e Sdentato: allora tutti in sella
ai propri draghi, per i vichinghi è ora di difendere ciò che davvero amano! Un’avventura speciale che svelerà molti aspetti dei protagonisti, ma anche del loro ultimo supermalvagio nemico, un’avventura che si chiuderà con un epico sapore dolce-amaro. Un film d’animazione imperdibile per tutti coloro che si sono appassionati ai primi due episodi, e che troveranno in questo finale, magia, emozioni e il forte spirito d’avventura che caratterizza la saga. Per partecipare al concorso visitate la pagina web del sito di «Azione» all’indirizzo www.azione.ch/concorsi.
Dragon Trainer – Il mondo nascosto dal 31 gennaio, anche in 3D La Universal Pictures International Switzerland e Migros Ticino invitano i lettori di «Azione» a partecipare
al concorso dedicato al Dragon Trainer – Il Mondo Nascosto, film di animazione realizzato e diretto da Dean
DeBlois, sceneggiatore e regista di Lilo & Stitch. In palio 10 coppie di biglietti omaggio per assistere alla proiezione in anteprima ticinese, domenica 27 gennaio 2019 al Cinestar di Lugano. Il programma della manifestazione propone alle 10.30 l’accoglienza degli invitati nel foyer all’entrata, una colazione offerta e la presenza di make-up artists che truccheranno i bimbi inspirandosi al film. Alle 11.00 inizierà poi la proiezione del film in anteprima. Oltre a questo sono a disposizione di 3 zainetti con lo sguardo di Furia Buia e 3 con quello di Furia Bianca. Biglietti a pagamento per l’anteprima e altre informazioni su: www.arena.ch/lugano.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Il Rubicone, ovvero il Pisciatello Non proprio un nome adatto per un fiume che ha fatto la storia, ma quando nel XV secolo il revival di interessi per il mondo Romano che fece da preludio alla riscoperta rinascimentale del mondo classico portò gli eruditi alla mappatura «sul campo» degli idronimi romani, la scelta cadde proprio sul Pisciatello, un fiume della portata di poco più di un fosso. Tanto che una lapide di epoca classica poi risultata falsa fu strategicamente piazzata e «scoperta» dagli studiosi presso un ponte sul suddetto. Epoca che vai, fake news che trovi: il fervore di far rivivere le gesta dei temporis actis era tale che un umanista del calibro di Flavio Biondo – colui per intenderci che coniò il termine «Medioevo» (Forlì 1392, Roma 1463) – si guadagnò fama imperitura come il grullo che ci aveva creduto sottoscrivendo la suddetta nella grande opera Roma Restaurata sulla toponomastica e l’archeologia romane pubblicata fra il 1444 ed il 1446.
La lapide in questione era peraltro inequivocabile, in quanto recava il testo della cosiddetta sanctio. Era questo un provvedimento del Senato Repubblicano secondo il quale i promagistrati – ai quali i governatori delle province erano assimilati – potevano esercitare il proprio imperium (il diritto ovvero di comandare truppe) solamente all’interno della propria giurisdizione. Un promagistrato che avesse oltrepassato il confine italiano a capo delle sue truppe vedeva automaticamente decadere il suo diritto di imperium, sotto pena di morte. E chiunque ne avesse obbedito agli ordini incorreva nella stessa sanzione. Queste le condizioni che Giulio Cesare si trovò a dover ben ponderare in quella fatale vigilia del 10 gennaio del 49 A.C. Governatore delle Gallie dove si era pazientemente creato un seguito leale personale – sua la famosa frase «meglio primi in provincia che secondi a Roma» riportata da Plutarco – si era presentato al guado fatale in seguito
alle turbolenze che agitavano gli assetti del potere romano nella fase terminale del periodo Repubblicano. Al suo seguito era la Tredicesima Legione Gemina. Il suo simbolo del Leone era diventato leggendario durante le campagne contro i Belgi e nelle Gallie. Creazione diretta di Cesare, che l’aveva arruolata nel 57 A.C., a lui restò fedele fino alla fine. Lo storico Svetonio riporta dell’indecisione di Cesare di fronte al dilemma se attraversare o meno il Rubicone, che segnava allora il confine fra la Gallia Cisalpina e l’Italia. La decisione estrema sarebbe stata presa dopo che una visione non meglio specificata lo avrebbe persuaso sull’esito positivo di un gesto che altro non era se non alto tradimento – mica noccioline per un servitore di Roma. Pare che la sera successiva all’attraversamento Cesare abbia cenato coi fedelissimi Sallust, Hirtius, Oppius, Lucius Balbus e Sulpicius Rufus: fu allora che la famosa frase alea jacta est – il dado è tratto – sarebbe
entrata nella storia. Quando la notizia del fatale passaggio giunse a Roma fu il panico. Nessuno aveva ben chiaro cosa di preciso avesse in mente Cesare (posto che lo sapesse lui stesso). Ma per buona misura i Consoli Claudius Marcellus e Cornelius Lentulus Crus seguirono l’esempio di Pompeo – il nemico dichiarato di Cesare – e scapparono da Roma presto imitati da una buona parte dei Senatori. Ne seguirono le devastanti Guerre Civili culminate con la vittoria di Cesare che misero fine non solo alla Repubblica, ma anche alle accuse di alto tradimento nei confronti del giocatore di dadi più famoso della storia. Al momento di varcare il Rubicone del Nuovo Anno con una rubrica sul tema del «trapasso» piace al vostro Altropologo pensare che l’idea di piazzare la solenne storica lapide grondante di Storia, testimone di Grandi Eventi e monito sempiterno etc… sul Pisciatello sia stata nient’altro che uno di quegli
scherzi deliberati che in Romagna – che è dopotutto la terra di Fellini – si consumano da sempre. Caduto l’Impero, dimenticati confini e res gestae e discesa l’intera Europa nelle penombre dei cosiddetti «secoli bui», l’area dell’entroterra romagnolo fra Rimini, Cesena e Forlì diventò terreno di paludi incerte e malsane, ora che i terreni non erano più drenati dalle fatiche dei coloni. Di conseguenza i fiumi che scendevano dagli Appennini si impantanavano senza più percorsi definiti e memoria propria, per così dire, ricacciati verso l’entroterra dalla bora e dalle mareggiate. Così fino a quando, in una temperie di rinnovata curiosità ed interesse storico, anche per la ripresa economica e demografica seguita agli anni bui della Morte Nera (1348) che comportò un notevole sforzo per recuperare terre e regolare i fiumi, a qualcuno venne in mente una sorta di Amarcord ante litteram: «E il Rubicone!? Dove mai sarà finito il Rubicone?!». Il resto è Storia: buon anno a tutti!
o crearne uno proprio. Ma procedere senza mappe non è mai facile. Soprattutto nella pubertà può accadere che la più prepotente s’imponga e scelga con acume una vittima da respingere, isolare e perseguitare con insinuazioni e calunnie. Intorno a lei si crea un gruppo di spettatrici che, pur rendendosi conto di assistere ad azioni malvagie, si rassicura dicendo: «meno male che non capita a me!», un atteggiamento di omertà che diventa spesso complicità. Mentre i maschi impongono il loro potere colpendo soprattutto il fisico, le femmine utilizzano piuttosto la parola. Col risultato che mentre i lividi del corpo sono evidenti e curabili, quelli dell’anima sono invisibili e indelebili. Non a caso, ma seguendo le suggestioni dei mass-media, le bulle prendono di mira soprattutto gli inestetismi, come essere sovrappeso, avere i capelli unti, i foruncoli, vestirsi «come vuole la mamma». Ma è a rischio anche primeggiare, come accade alla «secchiona» o alla
preferita dall’insegnante, spesso isolate e derise. La difficoltà, propria dell’età, di delineare un’identità femminile, sollecita la prepotente a proiettare su una compagna più debole le parti inaccettabili di sé sino a farne un alter-ego negativo da emarginare e cancellare. Non solo il coro che assiste a questi soprusi si chiude in un mutismo omertoso, che diviene spesso complicità, persino la vittima tace, sino a convincersi che in lei qualcosa non va. La perdita dell’autostima è una delle conseguenze più preoccupanti del bullismo sistematico e prolungato. In questi anni il danno è poi aggravato dalla possibilità di utilizzare la Rete per divulgare all’infinito, protetti dall’anonimato, le proprie bravate. Mentre la bulla sente il bisogno di riscuotere il più vasto consenso, una folla d’ignoti corrispondenti s’immedesima con lei infierendo sulla vittima con le peggiori ingiurie. Spesso queste dinamiche sfuggono all’attenzione dei genitori e al controllo degli insegnanti,
che dovrebbero invece comunicare e collaborare tra di loro. Poiché ogni condotta asociale messa in atto dagli adolescenti esprime una richiesta di aiuto, occorre innanzitutto affinare la nostra sensibilità per decifrare sintomi quali l’iperconnessione, l’isolamento, disturbi psicosomatici come l’insonnia e l’inappetenza. Senza ammetterlo, vittime e carnefici chiedono il nostro intervento per superare il conflitto interno che genera quello esterno e far pace con se stessi. Non è facile, ma per aiutarli davvero dobbiamo convincerli ad abbandonare i circuiti della violenza e indurli a uscire dal mondo virtuale per costruire, in quello reale, il futuro che le attende.
diretto contatto con gli ambienti politici e economici d’oltre Gottardo. E così puntò sulla carta giusta e aggiornata ai tempi. In altre parole, s’impegnò per aprire il «Corriere» alla dimensione nazionale e internazionale, sottraendolo al rischio di un campanilismo spesso associato al fanatismo rissoso. Che, infatti, erano stati la ragion d’essere tipica della stampa ticinese d’antan: con sei quotidiani, di cui tre organi di partito, diretti da politici, prestati al giornalismo, che si affrontavano in schermaglie, tra il feroce e il pittoresco. Nei loro editoriali, facevano rivivere, con l’arma dell’insulto, un clima da duello paesano, magari divertente, ma di certo non informativo né educativo. Intanto, il Paese cambiava, e come. Locarnini aveva avvertito gli umori e i comportamenti di un pubblico, che chiedeva altro. E proprio negli anni 70/80, il «Corriere», il CdT nell’era delle sigle, aspirava a diventare la credibile espressione di una società in piena cre-
scita, per lettori esigenti. Prende avvio, allora, una forma di comunicazione mirata, nei più svariati ambiti, affidati a specialisti di settore, che stavano sostituendo i giornalisti tuttologi delle precedenti generazioni. Con i vantaggi e i pericoli che incombono su una professione, dai connotati imprecisabili, che spesso produce ambizioni spropositate. Guido Locarnini ne rimase sempre al riparo. Nei suoi scritti e discorsi, ritornano parole come «lealtà, comprensione reciproca, senso della relatività di fronte a ogni causa». Come dire, nessuna sarà mai quella buona in assoluto. E quindi bisogna imparare a mediare, in vista di un accettabile compresso. Questa la ricetta, o meglio lo stile, di un direttore come, forse, oggi non usa più. Sul piano personale, l’ho sempre chiamato «dottor Locarnini», negli anni in cui collaboravo assiduamente al «Corriere». Impensabile, nei suoi confronti, il tu, la pacca sulle spalle, il camerati-
smo. Ciò che, tuttavia, non sottintendeva un’intransigenza altezzosa, da parte sua, e neppure una sottomissione umiliante, da parte mia. Si trattava, invece, di rispettare le regole di un rapporto fra chi detiene un potere e chi ne dipende. È una forma di reciprocità che, sia pure con possibili frizioni, funziona. Come, per quel che mi concerne, ha funzionato lavorando per questo settimanale, finanziato dalla Migros, guidata da Hansueli Hochstrasser, direttore, certo alla mano, ma al quale non avrei potuto dare del tu. Non è, evidentemente, una questione linguistica. Ma quel lei rispecchiava chiaramente una condizione reale, il riconoscimento di un’autorità che, invece, il tu camuffa. Il direttore, anche quello stile compagnone, ha la facoltà di licenziare l’impiegato, presunto amico. Quindi, nell’era del tu generalizzato, ci si sta rendendo conto che quel pronome non è più un simbolo di amicizia e affinità, insomma una garanzia.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Bullismo femminile Cara Silvia, sono una insegnante, madre di una ragazzina di 14 anni, fino a ieri serena ma ora (l’ho scoperto troppo tardi) tormentata da un gruppetto di compagne di classe che l’hanno presa di mira approfittando di ogni occasione per isolarla, prenderla in giro, denigrarla. Lei non diceva niente ma è diventata inappetente, silenziosa, irascibile, scontenta della scuola e di se stessa. Spesso sostiene, in modo poco credibile, di aver mal di pancia e di non poter andare a scuola. Solo ora sono riuscita a farla parlare e a comprendere da che cosa deriva il suo malessere. Ma perché in epoca di emancipazione femminile accade tutto questo? E come mai le compagne non denunciano questa aggressività assurda e immotivata? La ringrazio sin d’ora della risposta che mi darà. / Lidia Cara Lidia, condivido il suo smarrimento di fronte a un fenomeno che contraddice il
cammino che abbiamo percorso verso l’emancipazione femminile, e incrina l’amicizia e la solidarietà tra donne che in tanti ambiti abbiamo conquistato. Ma nessuna méta è mai completa e definitiva, per cui è giusto e opportuno interrogarci. Di che cosa stiamo parlando quando diciamo «bullismo femminile?» Di un processo di omologazione che rende le ragazze simili ai ragazzi? No perché, anche se certi comportamenti sembrano gli stessi, lo stile è profondamente differente. Innanzitutto è diversa la nostra storia: da sempre gli uomini hanno gestito l’aggressività incanalandola in forme di competizione regolata: la guerra, l’agonismo sportivo, la concorrenza, persino la delinquenza organizzata. Sino a pochi decenni fa invece i rapporti tra donne sono stati limitati ai legami di parentela e vicinanza. Di conseguenza, mentre i ragazzi si relazionano tra loro seguendo un copione precostituito, alle ragazze non resta che imitarli
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Un direttore, uno stile Lo confermano visibilmente le nostre cronache: un secolo di vita è un traguardo ormai raggiungibile. Lo tocca, il prossimo 16 gennaio, Guido Locarnini, nel miglior modo: fedele al riserbo e al senso di misura che l’hanno contrassegnato nel ruolo di giornalista e direttore del «Corriere del Ticino». Raccontando la storia di questo quotidiano, nel volume che nel 1997 ne celebrava il centenario, Mario Agliati aveva definito Locarnini, appunto, «un riservato signore cinquantenne». Si era nel 1969, in un clima di sconvolgimenti ideologici indecifrabili, quando questo signore assunse la direzione del più importante giornale ticinese, considerato un baluardo di conservatorismo benpensante. Significava mettersi alla prova, con coraggio e accortezza. E, come prima cosa, farsi accettare, a Lugano, dov’era una sorta di estraneo. Girava la battuta: è nato a Bellinzona, si chiama Locarnini, e adesso fa il luganese. Per giunta, il suo predecessore, il simpaticissimo
avvocato Giovanni Regazzoni, era stato un autentico campione della luganesità di vecchio stampo. Rivendicava, sia pure bonariamente, il privilegio di essere nato e cresciuto proprio a Molino Nuovo. Anticipando uno spirito di quartiere, poi sfruttato dalla Lega, nata lì, in via Monte Boglia. Ben diversi, invece, i propositi e gli strumenti di Guido Locarnini. Aveva alle spalle una laurea in germanistica e un’esperienza professionale a Berna, a
Guido Locarnini. (CdT-Gonnella)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Ambiente e Benessere Terra sul limite dell’Europa La Tracia storica, dalla Bulgaria straripava in Grecia e Turchia, oggi è capitale della cultura 2019
La storia di un disastro naturale A mettere in ginocchio in novembre l’intero Veneto boschivo sono stati i violenti e improvvisi nubifragi ma non solo pagina 19
A tavola con gli elvetici Seconda parte della panoramica gastronomica dedicata alla tradizione culinaria svizzera pagina 23
pagina 17
Il futuro dell’elettronica Al salone di Las Vegas si va oltre l’immaginazione navigando in una fantascienza non impossibile anche per le auto
pagina 25
Gli oceani, arbitri della nostra vita
Agenda 2030 L’imperativo di proteggere
i mari, tra i primi quindici obiettivi principali
Loris Fedele Abbiamo già avuto modo di parlare dell’Agenda 2030 con i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile sottoscritti da molte nazioni, tra le quali la Svizzera. Ogni anno i risultati delle azioni sviluppatesi in questo senso sono oggetto di verifica nazionale e internazionale. Regolarmente si aggiornano le situazioni. Tra i temi che vale la pena menzionare e approfondire c’è la protezione dei mari. L’Obiettivo 14 dell’Agenda invita a conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine. Gli oceani sono il motore del nostro sistema climatico e hanno il pregio di assorbire enormi quantità di CO2 prodotte dall’attività umana, impedendo al riscaldamento climatico di raggiungere valori catastrofici. I satelliti di osservazione terrestre sono uno strumento di fondamentale importanza per capire come il nostro pianeta e il suo clima stiano cambiando e quale ruolo giochino le attività umane. La coppia di satelliti europei Sentinel 3 controlla, tra le altre cose, tutti gli oceani e lo farà per almeno altri sette anni. Primo dato preoccupante: l’innalzamento dei mari sta subendo un’accelerazione. Da 25 anni il livello è cresciuto a una media di tre millimetri all’anno. I dati dei radar altimetrici dei Sentinel, combinati con quelli degli omologhi satelliti franco-americani Jason, denunciano che questa quota sta aumentando. Lo ha riferito in un recentissimo simposio la dottoressa Anny Cazenave, del Laboratorio studi geofisici e oceanografici spaziali di Tolosa. L’aumento sarebbe del 10 per cento circa. Non allarmante, per ora, ma significativo. La colpa è attribuita al riscaldamento globale in atto. Se la tendenza media generale è importante non lo è di meno la conoscenza delle differenze regionali. In certi posti, infatti, l’altezza del mare cresce e in altri decresce. Ci sono diverse ragioni che lo spiegano. Nella seconda metà del secolo scorso gli oceani si sono riscaldati parecchio e oggi conservano oltre il 90 per cento di quel calore accumulato, ma la sua ripartizione non è uniforme. Per esempio: quando le acque si riscaldano, si espandono. Il fenomeno è classificato come termo-espansione degli oceani. Ma ci sono differenze locali causate da altri fattori, come il conosciuto fenomeno periodico di El Niño. Inoltre, nel processo globale, il 45 per cento dell’innalzamento dei mari
è dovuto allo scioglimento dei ghiacci terrestri e delle calotte polari. Tutto questo ce lo confermano le misure dei satelliti. I Sentinel viaggiano a 800 km di quota, sorvolando la Terra da un polo all’altro. Sono velocissimi e fanno il giro 14 volte al giorno, cosa che permette loro, dato che la Terra gira, di effettuare una copertura totale del pianeta in 3 giorni. Ogni 35 giorni si ritrovano esattamente a sorvolare i luoghi che avevano già osservato, cosa utilissima per verificare le variazioni a breve termine. Coi sensori a microonde e i radiometri ai raggi infrarossi lavorano giorno e notte. Sentinel-3A e 3B sono separati tra loro di 140°. Si misura anche l’altezza delle onde, con la precisione di un centimetro. Il dato si abbina alle misurazioni locali delle boe, che però non sono disponibili in alto mare per le difficoltà tecniche di installazione e gli alti costi. A cosa serve quella misura? Prima di tutto per la navigazione. Visto che la segnalazione è istantanea si possono scegliere rotte che evitino nei limiti del possibile onde alte e burrasche, per non parlare degli eventi estremi quali gli tsunami. Il 90 per cento dei commerci mondiali viaggia per mare. Le onde alte sono anche una minaccia per le strutture delle piattaforme marine d’estrazione di petrolio e per chi vi lavora: forse ne abbiamo costruite troppe e se al danno ecologico si accoppia il danno economico è sicuramente il caso di ripensare molte strategie. Anche le correnti dipendono dalla temperatura delle acque e la loro conoscenza è fondamentale per la navigazione. Ritornando alla temperatura superficiale dei mari, si sa che alimenta gli uragani e i cicloni tropicali, intensificandone la velocità e la potenza. Meglio conoscerla bene per prevedere e limitare i danni. Senza parlare delle famose grandissime correnti calde che dalle zone tropicali vanno verso i poli, riscaldando le coste delle nazioni che ne vengono lambite e quindi favorendo la vita degli abitanti su estese aree della terra. Se pensiamo che il 60 per cento della popolazione mondiale vive in una fascia inferiore ai 60 km da tutte le coste e che i due terzi delle città con più di 2,5 milioni di abitanti sono in riva al mare, capiamo che il benessere del mare è il nostro benessere. La salute dell’intero ecosistema marino, che va assolutamente salvaguardato e per il quale i comportamenti umani giocano un ruolo importante, è molto vulnerabile e condiziona la vita dei pesci e di chi vive nel mare e del mare.
Elaborazione grafica con la posizione di sette satelliti altimetrici in orbita attorno alla Terra: Sentinel-6B, SWOT, Sentinel-6A, Jason 3, TOPEX/Poseidon, Jason 1 and OSTM/Jason 2. (Nasa)
I Sentinel 3 verificano anche in tempo reale una varietà di prodotti biologici, geologici e chimici marini che sono indicatori della salute del mare: vedono la fioritura delle alghe e, dai colori, la distribuzione del fitoplancton, tutti elementi chiave nella catena alimentare dei pesci. Misurano anche altri processi dell’attività biologica marina, la concentrazione di taluni pigmenti, la materia totale in sospensione, organica e inorganica. Il discorso sulla allarmante presenza di plastiche e microplastiche, oggi molto di moda, meriterebbe un capitolo a parte (e l’anno scorso il collega Franco Banfi ha proposto una serie di articoli
sul tema proprio in «Azione»). Dallo spazio è possibile identificare habitat critici, non solo per gli inquinamenti, ma anche per la vita sott’acqua. Citiamo i corridoi migratori dei pesci: il Canale del Mozambico, per esempio, che separa il Madagascar dal continente, è importante per il passaggio dei tonni, ma è anche una battutissima rotta per il traffico marittimo dell’Africa orientale. Bisogna cercare di conciliare tutte le esigenze in nome della sostenibilità. In questo senso il controllo della pesca dallo spazio può diventare un valido supporto alla regolamentazione internazionale dello sfruttamento dei mari. È ora che la politica e i governi capi-
scano che certi interventi riparatori non sono più procrastinabili. Persino nell’erosione delle aree costiere dovuta al moto ondoso, quindi un fatto naturale, l’attività dell’uomo gioca un ruolo importante. Ce ne accorgiamo tragicamente solo quando le mareggiate fanno disastri, come capitato recentemente in diverse regioni d’Italia. Il monitoraggio via satellite di questi cambiamenti ci fornisce mappe sempre aggiornate. Gli squilibri ambientali mondiali provocati dall’uomo sono evidenti anche se, in certi settori, non è sempre facile dire quanta percentuale sia attribuibile all’azione umana e quanto ai processi naturali.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Ambiente e Benessere
Cuore Trace
Viaggiatori d’Occidente Ai confini dell’Europa verso Plovdiv, assieme a Matera Capitale europea della cultura 2019 Paolo Brovelli Trace è stato il cuore bulgaro. Terra sul limite dell’Europa, la Tracia storica dalla Bulgaria straripava in Grecia e Turchia. I Traci: un popolo di barbari inventori d’Orfeo e dei riti orfici, i precursori degli omaggi a Dioniso e poi a Bacco. Le loro femmine erano streghe proverbiali. Di vere città, quelle tribù ne hanno create poche. La storia più antica di Bulgaria è un viaggio tra i sepolcri; si scorgono da lontano, tumulati sotto collinette, come usava nelle pianure che da qui giungono fino ai confini della Cina, al modo degli antichi Indoeuropei, i primi cavalieri della steppa. Anche i Traci erano indoeuropei, come noi. Proprio nel centro del paese, nella zona di Kazanlak – a maggio sfoggia i colori delle rose, dalle quali si ricava un’essenza tra le più pregiate al mondo – di tombe di notabili ce ne sono centinaia: è la Valle dei Re traci. Una, in un parco cittadino, è patrimonio Unesco. Se ne visita la copia, costruita esatta accanto all’originale. Nell’entrata a vetri, un vecchio con un berretto in testa e una scarpa rotta mi si presenta in una nuvoletta alcolica dicendo d’essere il custode d’un tempo. Ora è in pensione, ma non può fare a meno di venir qui tutti i giorni. Dopo più di cinquant’anni qua sotto, azzarda, avrebbe tutto il diritto di far parte del corteo funebre degli affreschi ellenistici del IV sec. a.C., dipinti lungo questo corridoio e sulla cupola della camera funeraria, tra cavalli, bighe e banchetti. Parla per un’ora, come solo chi è alticcio sa fare, della finezza dei gioielli, dei crateri e degli ori ritrovati coi defunti e che vedrò al museo, insieme alle corone reali, folti serti di foglie di quercia d’oro. «Ne avevamo di tempo, per noi, per studiare», dice ricordando con gli occhi lucidi le giornate lente dell’epoca comunista, terminata nel 1990. A lui sembra l’età dell’oro, tanto più che con la pensione non campa e gli tocca arrabattarsi e accettare quel che trova. Non lontano da lì, Trace era anche Plovdiv. Si chiamava Eumolpias, fino alla conquista dei vicini macedoni, di Filippo II, il padre di Alessandro Magno, che la ribattezzò Filippopoli (341 a.C.). Posta sul cammino verso l’Asia Minore, ne ha passate di mani, Plovdiv. Roma la ribattezzò Trimontium, poi i Visigoti, i Bizantini, gli Slavi… Infine i
Il Monastero di Backovo. (Paolo Brovelli)
Il Teatro romano di Plovdiv. (Paolo Brovelli)
Bulgari, gente misteriosa di stirpe turca, venuta dalle steppe dell’Eurasia per affogare qui nella marea slava. L’ultimo invasore fu ottomano e ci stette mezzo millennio, fino al XIX secolo. Per questo il centro storico di Plovdiv sfoggia un aspetto simile alle città d’Anatolia. Lo si nota nel disegno delle case antiche, nella città alta, con i veroni chiusi in legno variopinto sui vicoli. La mattina le donne di casa ramazzano, mentre qualche gruppetto di turisti esplora, che dentro alcune si fan visitare. Case da ricchi mercanti, a due piani, con un’anticamera al centro e gli altri vani intorno: le stanze dei padroni, degli ospiti, i salotti. Poi i parquet, i divani, l’argenteria di sapore ottocentesco, dell’epoca gloriosa della Rinascenza, quando i bulgari spezzarono le catene turche. Plovdiv è la seconda città del paese
dopo Sofia e centro culturale di rilievo. Non a caso quest’anno è Capitale europea della cultura, insieme a Matera. Lo gridano fior di manifesti dappertutto, con qualche eccesso d’enfasi: la «Firenze bulgara», la «Parigi dei Balcani»... Di certo è una città viva, sempre in movimento, e lo so bene io che in tre visite, in pochi decenni, l’ho vista trasformarsi. La ricordo fumosa e fatiscente nel 1988: un attimo prima che le crollasse il mondo addosso, quello comunista, sembrava dovesse rimanere immutata, come una foto ingiallita, per altri mille secoli, con le strade rotte, le case scrostate, persino il teatro romano, sulla collina, in malora. Poi bramosa di cambiamento ma smarrita nella transizione una decina d’anni dopo, nel momento di crisi nera, quando i nuovi democratici non sapevano che pesci pigliare, la gente
stentava a campare e i branchi di cani, d’inverno, aggredivano i passanti per la fame. L’ambasciatore italiano, incontrato informalmente in un locale, caldeggiò la mia rapida ripartenza, che chissà cos’avrebbe potuto succedermi in questo paese sbandato «dove la criminalità impazza», disse. Infine oggi, nell’ora del rilancio vero. La città bassa, il centro del passeggio commerciale, è viva e vitale, con il vialone pedonale pieno di negozi chic, qualcuno persino global, e di locali dove sedersi per un caffè o un bicchierino di rakia, la bevanda nazionale, a guardare lo struscio. Tanti sono i visitatori ormai. Vengono a vedere anche il Monastero di Bačkovo (1083), poco fuori città. Lì sì, si sente l’anima slava. Basta assistere a una messa delle loro, che può durare ore, da consumarsi in piedi, quasi penitenti. Vi si respira l’e-
La porta medievale di Hisar Kapia nella Città vecchia di Plovdiv. (Paolo Brovelli)
co di canti della chiesa orientale, quella che ha insegnato i rituali a tutte le altre chiese parenti, dai Balcani alla Russia. Proprio dal Primo impero bulgaro (VII sec.) s’è diffuso il sapere slavo, scritto in lingua slava, con un alfabeto slavo, quel glagolitico messo a punto da due monaci greci, Metodio e Cirillo, da cui poi assunse il nome di cirillico. È un’esperienza d’incensi e di candele, di affreschi a scaldare i gelidi inverni di pietra, di sante icone dallo sguardo imperscrutabile, pronte per i baci dei fedeli. E sopra tutto, a guardar giù con le due dita alzate, campeggia il Cristo Pantocratore, ormai libero d’essere chi deve, dopo secoli di Islam e decenni di ateismo di Stato. Tra i fedeli raccolti nel Monastero di Bačkovo c’è anche Dragomir, un bravo cristo che viene fin qui ogni domenica. Alla fine mi ritrovo a cena a casa sua, con sua moglie e la sua bambina, in un appartamentino con aroma di cipolle al quarto piano d’un caseggiato grigio di periferia, uguale a tutti gli altri da qui a Vladivostok. Dragomir fa l’autista e ripone grandi speranze nel turismo e nell’Europa. La moglie insegna inglese e lavorando entrambi, nonostante la crisi costante, sdegnando con fermezza le lusinghe del consumismo, riescono a risparmiare per lasciare questo buco di crepe e tappezzeria che cola e comprare una casetta fuoriporta. M’imbandiscono uno stufato alla bulgara, cibo forte, virile, mi dice lui azzannando gran tocchi di carne, e bevi, bevi quest’altro goccetto di rakia, e che sarà mai? Non è mai morto nessuno... Così la mia serata finisce allegra, e allegro finisce anche questo mio viaggio, con negli occhi i volti speranzosi di questi cuori di confine. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Ambiente e Benessere
Anatomia di una catastrofe Climatologia L’ultima distruzione di boschi di dimensioni epocali balzata alle cronache ha avuto luogo
nel Veneto a novembre. Perché è accaduta? Alessandro Focarile «Un vento anomalo, che risaliva da Sud il versante della montagna, ha abbattuto piante di oltre un secolo» annotava Reinhold Messner dal suo castello in Alto Adige. E aggiungeva: «Il cambiamento cui assistiamo fa paura». Sì, un grande alpinista ha paura, e torna a sentirsi una creatura inerme e indifesa di fronte ai grandiosi fenomeni della Natura. Una catastrofe climatica, un incendio, un terremoto, la caduta di un fulmine oppure di una valanga, un’alluvione irrefrenabile, interi boschi che crollano schiantati da un vento che soffia e distrugge a velocità sconosciute finora nel territorio. Sono eventi che terrorizzano questa creatura, che ha tratto le sue origini da una brodaglia organica qualche miliardo di anni or sono. Sì, inerme e indifesa, nonostante le mirabolanti scoperte tecnologiche prodotte dal suo ingegno. Come si spiega l’evento balzato alle cronache a novembre che ha messo in ginocchio il Veneto? Vediamo insieme i presupposti geografici, gli antefatti meteorologici e le conseguenze ambientali e forestali. L’Adriatico è una catinella profonda solo 25 metri tra Venezia e Trieste, più a Sud, 200 metri tra Ancona e il Gargano. È un bacino che si surriscalda repentinamente (fino a 27°C) generando venti sciroccali che sono convogliati verso Nord, fino a essere «canalizzati» nelle valli orientate verso le Alpi. «Questa alterazione nel regime termico provoca violenti e improvvisi nubifragi in risalita dall’Adriatico e dal Mediterraneo, ancora caldi dopo l’estate, che sicuramente hanno fornito energia e vapore acqueo in quantità per la formazione continua dei temporali. Infine, l’interferenza dello scirocco con le montagne è in grado di esaltare le precipitazioni per il sollevamento forzato dell’aria umida» (Luca Mercalli, 8.10.2018). Nei primi giorni dello scorso novembre, uno scirocco a 180 km orari risale dalle colline di Conegliano (patria di un vino generoso) lungo la valle del Piave fino a Cortina d’Ampezzo, sconvolgendo boschi, abitati, corsi d’acqua. Il Cadore, provincia di Belluno, 1100 chilometri quadrati, vede messo in ginocchio un territorio economicamente fiorente di iniziative, uno dei più vasti comprensori sciistici delle Alpi. Quello che impressiona maggiormente è l’ampiezza territoriale coinvolta e l’insistenza temporale degli eventi meteorologici: 1700 millimetri di pioggia in pochi giorni. Il Cadore, un vasto territorio coperto di un ricco ed esteso manto boschivo, i cui quattro quinti sono di proprietà privata o comunale, governati e gestiti dalle «Regole» comunitarie di antica memoria. Sempre rispettate dalla Repubblica di Venezia, che ricavava il legname pregiato per la sua flotta e per l’edificazione della città. A seconda
Colle Santa Lucia, provincia di Belluno, dopo la tempesta del 7 novembre 2018. (AFP)
dell’altitudine, i boschi del Cadore hanno tipologie molto differenziate, e che in gran parte hanno determinato l’ampiezza e le modalità del disastro forestale. La rutilante e calda tavolozza dei colori autunnali esibita da pioppi, betulle, aceri e faggi fino a una certa quota, contrasta ai primi di novembre con il cupo degli abeti in alto. In tale periodo, e grazie alle miti temperature, il bosco di latifoglie è ancora ricco di fogliame. Ciò crea un effetto «vela» rispetto ai forti venti di scirocco, favorendo lo schianto e l’eradicazione degli alberi. La presenza del dominante abete rosso (peccio, Picea excelsa) è stata notevolmente favorita dall’uomo nel corso del tempo. Albero boreale al pari del larice (la loro patria d’origine è la taiga siberiana), lentamente ha popolato l’Europa negli ultimi ottomila anni. Per le sue qualità tecnologiche: tronchi rettilinei e privi di nodi, dalla relativamente rapida crescita, l’abete rosso è l’albero che ha costituito fin dal 1700 lo standard della selvicoltura centroeuropea, quando il pensiero forestale austro-tedesco era dominato dall’insistenza del concetto di «coniferazione». Piantare abeti rossi era l’imperativo. Concetto tecnico ripreso da francesi, italiani e dai Paesi balcanici: dalla Slovenia alla Bulgaria. Interi massicci forestali sono stati creati con la dominante presenza dell’abete rosso, generando spesso sgraditi problemi di gestione. Ma il tallone di Achille di questa pianta è la sua radicazione superficiale «a pizza», testimonianza di una vita in territori privi di forti venti. Tale caratteristica penalizza la staticità dell’albero quando esso raggiunge una certa età e quindi statura. In caso di forte vento, come accaduto a lungo nel Cadore, la meteora scalza la pianta; la fa crollare con un reciproco effetto«domino» (vedi disegno). Malgrado la grande capacità di
adattamento ai fattori ambientali (plasticità ecologica), l’abete rosso in molti settori alpini si sta rivelando una essenza ecologicamente fuori posto, e non più in armonia con le situazioni climatiche attuali. Donde la congenita debolezza fisiologica, che crea la progressiva deperienza dell’albero. Insorgono anomalie organiche: la differente pressione esercitata nei canali adducenti la resina. A sua volta, e
quale conseguenza primaria, si ha un’alterazione dei componenti chimici della stessa: con fermentazione e mutazione delle qualità olfattive. Questo fenomeno è all’origine della massiccia comparsa degli insetti xilofagi (= che si cibano del legno), principalmente dei cosiddetti «bostrici», coleotteri scolitidi. Effetto della deperienza, e non causa della stessa, come ufficialmente si persiste ad affermare, fornendo un’in-
formazione non veritiera. Perché è accaduto? La sequenza inesorabile degli eventi, che hanno sconvolto il Veneto e, in parte il Trentino, è evidenziata dai seguenti fattori. Cause primarie: consumo reiterato di energie fossili non rinnovabili; aumento dei gas serra (principalmente anidride carbonica [C02] e metano); conseguenti cambiamenti climatici con accentuata loro velocizzazione nel corso del tempo sempre più ravvicinato; aumento della temperatura e tropicalizzazione del Mediterraneo (27°C); aumento del vapore acqueo a causa di una maggiore evaporazione dal mare; contrasto della temperatura del mare rispetto a quella della terra. Conseguenze locali: formazione, con effetti disastrosi, di nubifragi continuati, trombe d’aria, bombe d’acqua; esondazioni dei corsi d’acqua; forti venti sciroccali, che hanno causato lo schianto di milioni di alberi e la perdita di un milione di metri cubi di legname (cifra errata per difetto!); massiccia presenza di abete rosso la cui radicazione superficiale ha favorito lo schianto in presenza di forti venti come accaduto in Cadore; alterato chimismo dovuto a deperienza (alberi con radici a nudo). Installazione dei «bostrici» e di altri insetti xilofagi. Ma l’uomo, creatura inerme e indifesa di fronte a tali eventi catastrofici, si dimostra spesso incapace di riflettere e agire razionalmente sulla causalità degli eventi stessi. Annuncio pubblicitario
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Che forza, la scorza! Quando in cucina si parla dell’aroma di arance e limoni, nulla è meglio della scorza della frutta fresca. Se finora si prendeva in considerazione solo la buccia dei frutti biologici, adesso è più semplice: dopo il raccolto tutti i limoni e le arance al libero servizio della Migros vengono trattati in modo naturale, così che la loro scorza è adatta per cucinare e per preparare dolci. Nulla cambia per quanto riguarda il prezzo. Chiaramente la buccia degli agrumi di qualità bio è sempre idonea ad essere consumata.
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Congelare Se non è previsto un uso immediato della buccia, la si può congelare. Le scorze grattugiate, con l’aggiunta di un po’ d’acqua, possono essere surgelate nel contenitore dei cubetti di ghiaccio. È peccato buttare la buccia di arance e limoni, che possono essere utilizzate per cucinare e preparare dolci.
Tè all’arancia Lasciar essiccare le scorze d’arancia per più giorni. Per preparare un tè invernale, mischiare del tè nero con bucce d’arancia e mettere in infusione in acqua bollente.
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Ambiente e Benessere
Bacco alle esposizioni universali
Scelto per voi
Il vino nella storia Molti i premi assegnati alla qualità dei prodotti francesi e italiani
che, nelle manifestazioni del passato, sono stati portati a conoscenza del grande pubblico
Davide Comoli Dalle grandi fiere commerciali che si tenevano in Europa già nel tardo Medioevo, dove si vendevano i più diversi tipi di mercanzia, sono in seguito nate le esposizioni universali. La prima mostra di questo tipo si tenne in Inghilterra nel 1756. Nel 1824 ci furono le prime fiere di Philadelphia e di New York. Fu nella seconda metà dell’Ottocento che si delinearono tre tipologie di mostre: la prima fu industriale, dedicata a una tipologia specifica di un Paese, tale fu l’esposizione di Berlino del 1877, dove si presentavano i prodotti in cuoio. Un secondo tipo di mostra, molto diffuso in USA era dedicato alla commemorazione di un avvenimento storico. Il terzo tipo, l’esposizione universale, aveva invece obiettivi internazionali. Era, quest’ultima, sponsorizzata da un governo nazionale e presentava una grande varietà di prodotti. Nel 1851 per
questa occasione a Londra fu costruito il famoso Crystal Palace. Nel 1855 a Parigi si tenne, per volere di Napoleone III, la sua prima esposizione universale presso gli Champs Élysées. Fu proprio in questa occasione che la Camera di Commercio di Bordeaux incaricò la Chambre des courtiers de commerce della Borsa di Bordeaux, di redigere una lista di tutti i crus dei grandi vini rossi e bianchi di quel dipartimento. In questa lista figuravano 58 nomi di crus classés per i vini rossi e 21 per i vini bianchi. Per i rossi si segnalavano particolarmente quelli dell’Alto Médoc e per i bianchi quelli della zona del Sauternes. I crus rossi vennero suddivisi in cinque classi di qualità e prezzo, mentre i bianchi furono ripartiti in due classi, precedute da un unico premier crus, che fu Haut Brion, a cui fecero compagnia i tre grandi del Médoc ossia: Chateau Lafite, Margaux e Latour. Questa
classifica, ritenuta da alcuni un po’ parziale, si mostrò decisamente azzeccata e segnò un importante momento per la storia del vino francese. Meno conosciuta, ma forse la più importante di quel periodo, fu la fiera di Vienna del 1873. Più di sette milioni (cifra incredibile anche ai nostri giorni) di persone visitarono i padiglioni eretti nel Prater, il famoso parco viennese, dove furono esposti 26mila prodotti diversi. L’anno dopo l’Unità d’Italia, correva il 1862, i vini italiani per la prima volta parteciparono a un’esposizione internazionale e nel 1867 fu la volta di Parigi ad accogliere e a risvegliare un certo interesse da parte del mercato internazionale per i vini della Penisola. Qualche anno dopo, era il 1873, a Vienna, i vini italiani dimostrarono con i fatti di aver raggiunto un notevole livello qualitativo e fioccarono molti riconoscimenti. I premi più importanti nell’ambito dei grandi vini rossi furono assegnati al Piemonte e alla Toscana. Barolo, Nebbiolo, Barbera furono classificati tra i Perfetto, lo stesso riconoscimento fu dato per la Toscana al Chianti del barone Bettino Ricasoli. Ad altri vini toscani come: il Vin Santo, il Pomino, l’Artimino, il Carmignano e il celebrato Montepulciano furono assegnati diplomi di stima. Per i vini bianchi sia secchi sia dolci, la parte del leone andò alle regioni del meridione e in modo speciale alla Sicilia e alla Campania. Per quest’ultima furono premiati il Capri ed il Lacryma Christi. La Sicilia ebbe davvero un considerevole numero di riconoscimenti, soprattutto con il Marsala Ingham e Florio. Se questi furono i top delle classifiche del Giurì internazionale di Vienna, si segnalarono altri vini italiani come: il Nasco e la Vernaccia per la Sardegna,
Interno del Crystal Palace di Hyde Park, Londra, durante la grande mostra del 1851. (J. McNeven)
il Sassella per la Lombardia, il Valpolicella per il Veneto, il Picolit e la Ribolla da Udine e Gorizia. Ebbero menzione i vini di Conegliano, lo «sciropposo» Trebbiano e il Sangiovese di Cesena e Forlì e l’Aleatico di Bari. Il punto ancora debole dell’enologia italiana era identificato nella produzione di spumanti, una tipologia di vini che si sarebbe affermata con successo negli anni successivi. Sul finire del 1800, Carlo Gancia a Canelli (AT), si segnala per la spumantizzazione del Moscato Bianco, un vino che ottenne subito un grande successo sui mercati internazionali, sino a diventare il vino aromatico spumante più diffuso nel mondo. Già sul finire del 1700, il Moscato Bianco si era distinto come elemento fondamentale per la produzione di un altro vino che fece epoca, il Vermouth. Il vero «Vermouth di Torino», il migliore, il più pregiato, doveva essere preparato a partire dal Moscato di Canelli. Sul finire dell’Ottocento, al culmine dell’epoca Liberty, erano già realtà affermate diverse storiche case produttrici. Per la preparazione di questo «vino aromatizzato» ogni ditta puntava sulla combinazione di diversi ingredienti, che consentivano di ottenere un’ottima armonia fra il vino base e i diversi ingredienti aromatici. Per ottenere profumi, aromi e sapori, si utilizzava in modo particolare l’assenzio. Da notare che Vermouth è il nome tedesco dell’assenzio. Altre sostanze utilizzate erano l’achillea, il dittamo, la centaurea minore, il cardo santo, il camedrio, la salvia, il sambuco e insieme a queste piante officinali, la cannella, l’issopo, la radice di angelica, di galanga, di genziana e la buccia d’arancia. Il fenomeno Vermouth con la sua ampiezza fu senza dubbio uno dei pilastri dell’industrializzazione enologica piemontese.
Fendant Châtroz
Il Fendant (vitigno Chasselas) rappresenta più del 30 per cento del vigneto Vallesano. Il suo nome deriverebbe dalla particolarità dei suoi acini maturi, dove buccia e polpa si fondono insieme sotto la pressione delle dita senza che il succo defluisca. Vino simbolo del Vallese, il Fendant è per eccellenza il vino d’aperitivo e dell’accoglienza. Molto sensibile all’impronta del territorio, il Fendant ci lusinga con i suoi sottili aromi come quello dello Châtroz, proveniente da vigne terrazzate a ovest di Sion, che godono di un clima meridionale e ben ventilato, i ceppi crescono su terreni calcarei, regalandoci un vino ricco di note minerali, dal gusto morbido, che nelle grandi annate, magari un po’ invecchiato, ci dona note di miele e noci. Accompagna molto bene i piatti della tradizione Vallesana, carne secca, crauti e in questo mese, dove si sta volentieri davanti al camino acceso, vi invitiamo a ripristinare il caquelon per le vostre fondue, la raclette e tutti i piatti a base di formaggio. / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 17.– Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Ambiente e Benessere
Pure carni e dolci, ma non solo Prosegue la mia disamina sulla cucina svizzera, iniziata quindici giorni fa. Formaggi e patate a parte, non mancano certo i prosciutti di capra e bresaole di carne bovina, tipiche dell’arco alpino e note come carne secca: tutelate da IGP sono, per esempio, la Viande séchée du Valais o Walliser Trockenfleisch nel Vallese e la Bündnerfleisch nei Grigioni.
La Svizzera è poi la patria del müesli, miscela di semi oleosi e fiocchi di cereali, e di un ottimo cioccolato, oggi più che mai un grande simbolo gastronomico del paese Ottima la carne in genere e quella di manzo in particolare: figlie dei prati elvetici. Tra le preparazioni più prelibate, si ricorda la sontuosa Bernerplatte: a base di carne bovina cotta con verdure, cui si aggiungono lardo affumicato, costatine e lingua di maiale, pancetta affumicata e salsicce: viene accompagnata da fagiolini, lessati e saltati in padella con il burro. Le salsicce sono impiegate anche per cucinare una specialità del Vaud, il Papet en vaudois, uno stufato condito con porri e patate. Carne trita, pancetta, latte, pane e aromi costituiscono la farcia di una torta salata tipica dei Grigioni. Nella cucina svizzera non mancano nemmeno sostanziose zuppe. Molto apprezzate sono la Mehlsuppe, a base di farina tostata nel burro, brodo caldissimo, tuorli e emmentaler grattugiato, e la Biersuppe, che ha tra gli ingredienti di base la birra, preparata ad arte e con molte varianti (compresa quella alle castagne). Un’altra zuppa tipica è la Bündner Gerstensuppe, una minestra d’orzo arricchita di Bündnerfleisch. Sempre a base d’orzo è una zuppa gri-
gionese comprendente, oltre a questo cereale, patate, cavolo bianco, porri, carote, sedano rapa. Tra gli altri cereali diffusi nel paese si ricordano innanzitutto il frumento, ma anche segale e farro, impiegati per la preparazione di ottimi pani, come quello di segale del Vallese (Walliser Roggenbrot o Pain de seigle valaisan) o quelli contenenti nell’impasto patate e noci o pezzi di castagne. Altro cereale apprezzato è il mais, usato in canton Ticino per preparare la polenta. La Svizzera è poi la patria del Müesli, la miscela di semi oleosi e fiocchi di cereali destinata alla prima colazione, e di un ottimo cioccolato, oggi più che mai un grande simbolo gastronomico del paese. Dolci di molti tipi compaiono sulle tavole svizzere a tutte le ore: tra questi, la torta di pane secco, latte e cacao del canton Ticino, il pane con pere e altra frutta secca dell’area tedesca, o ancora la treccia al burro, con poco zucchero ma tanto burro. Varie torte, tra cui una specialità dell’Engadina, prevedono l’impiego di una generosa farcia di noci, mentre con mandorle, carote e zucchero di canna si prepara una torta dal gusto delicato. Non mancano torte farcite e guarnite con panna montata, dolci con le mele, sfogliatelle con crema pasticciera e marmellata. Per il periodo natalizio, infine, si prepara un assortimento di biscotti tra cui spiccano i Basler Brunsli, tipici di Basilea e confezionati con miele, zucchero, farina, mandorle, canditi, kirsch e spezie. Ecco qua. Ho cercato di riassumere, in poche righe, perché chi come me vuole divulgare deve essere bravo a riassumere, un fenomeno complesso come la cucina elvetica. Onestamente, è stato difficile fare questa scheda, perché la cucina svizzera è più eclettica di tante altre, potendo interfacciarsi con relativa facilità con la vicina cucina francese, quella del sud della Germania e della Lombardia. Con, oltre a ciò, una esemplare attenzione al nuovo, che è una delle cose che più mi piacciono.
CSF (come si fa)
by Iwy
Allan Bay
MaMa
Gastronomia La cucina elvetica è talmente variegata da essere difficilmente riassumibile
Oggi vediamo come si fanno due mitici piatti della tradizione americana. Oyster chowder. È un piatto estremamente ricco, a base di patate, lardo, pomodori e okra, profumati alla fine con ostriche. La quantità degli ingredienti è per 4 persone. Prendete 100 g di lardo, tagliatelo a pezzetti e rosolatelo in una casseruola antiaderente, unite 4 cucchiaiate di cipolle mondate e tritate, 1 peperone, 1 gambo di sedano e
1 porro mondati e tagliati a julienne, quindi cospargete con 50 g di farina ben setacciata. Versate 1 litro di brodo di pesce bollente, unite 1 mazzetto guarnito e cuocete per 25’, mescolando. Aggiungete 4 patate sbucciate e tagliate a dadini e proseguite la cottura per altri 20’. A questo punto, unite 250 g di dadolata di pomodori e 250 g di okra tagliata ad anelli. Proseguite la cottura per alcuni minuti. Nel frattempo aprite 16 (o più, dipende da quanto siete mangioni e dal tipo di ostrica) grosse ostriche, filtrate la loro acqua e versatela nella minestra. Regolate di sale e di pepe. Eliminate il mazzetto di odori, unite le ostriche, mescolate e servite. Oyster soup. È una saporita crema fatta, tradizionalmente, con brodo di agnello (ma si può usare oggi anche
brodo di vitello, vegetale o leggero di pesce) arricchita alla fine con ostriche. Per 4 persone. Portate a bollore, in una casseruola, 2 litri di acqua con 2 cipolle intere e sbucciate, 250 g di collo di agnello, 3 ossi di agnello, un pizzico di noce moscata e una macinata di pepe. Fate sobbollire il brodo, schiumando, per 1 ora; eliminate le cipolle e cuocete ancora per 30’: alla fine, filtrate. Aprite 24 ostriche, tenendo la loro acqua. In una casseruola stemperate una noce di burro con pari quantità di farina, versate il brodo a filo e portate a bollore continuando a mescolare fino a quando la minestra sarà leggermente addensata. Aggiungete l’acqua delle ostriche, quindi le ostriche e spegnete subito. Regolate di sale e di pepe. Guarnite con rondelle di porro e fettine di limone.
Ballando coi gusti Era un po’ che non vi parlavo del piatto più buono che c’è: secondo me, sia chiaro, è il risotto. Ecco due ricette di stagione.
Risotto ai porcini
Risotto alle arance
Ingredienti per 4 persone: 320 g di riso da risotti · 4 porcini medi · 1 scalogno ·
Ingredienti per 4 persone: 320 g di riso da risotti · 2 arance · 1 cipolla · prezzemolo · vino bianco secco · brodo vegetale · grana · burro · sale e pepe.
Mondate i porcini, poi tagliate le cappelle a dadi, i gambi tritateli finemente. Tritate lo scalogno. Fatelo rosolare in una casseruola con una noce di burro, unite i funghi tagliati a dadi e fateli cuocere per qualche minuto a fuoco alto, in modo che perdano l’acqua di vegetazione. Levateli. Aggiungete il riso, tostatelo e sfumate con 1 bicchierino di vino. Aggiungete i funghi tritati, coprite con un mestolo di brodo bollente e portate a cottura, mescolando e unendo altro brodo, quando necessario. Alla fine unite i funghi a dadi e regolate di prezzemolo, di sale e di pepe. Spegnete, mantecate con 40 g di burro, coprite, fate riposare 2 minuti e servite.
Mondate e affettate a velo la cipolla, fatela rosolare in una casseruola con una noce di burro. Levatela. Aggiungete il riso, tostatelo e sfumate con 1 bicchierino di vino, aggiungete la cipolla; portate il riso a cottura versando poco per volta il brodo bollente e mescolando. A metà cottura unite le arance sbucciate, tagliate a pezzi e private della pellicina bianca e degli eventuali semi interni. Alla fine regolate di prezzemolo, di sale e di pepe. Spegnete, mantecate con 40 g di burro, mescolate 20 g di grana grattugiato, coprite, fate riposare 2 minuti e servite guarnendo a piacere con riccioli di scorza di arancia.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Ambiente e Benessere
Siamo già oltre la guida autonoma Motori Al Consumer Electronic Show di Las Vegas, Kia e Mit mostrano le ricerche
nell’ambito della guida emozionale Mario Alberto Cucchi Si chiama CES, ovvero Consumer Electronic Show di Las Vegas, ed è la più importante manifestazione per l’elettronica di consumo (www.ces.tech). Anche quest’anno la seconda settimana di gennaio (8-11) il Nevada è diventato il palcoscenico di startup e multinazionali pronte a mostrare le loro ultime proposte tecnologiche.
Non solo design e prestazioni velocistiche, ma anche sistemi tecnologici in rapida evoluzione I nativi digitali (termine coniato da Mark Prensky nel 2001) ormai sono diventati maggiorenni e il CES non è più una fiera di settore, ma un’esposizione dedicata a tutto quello che ci circonda e che utilizziamo e utilizzeremo sempre più nella quotidianità. La casa sta diventando una Smart Home simile a quelle viste nei film di fantascienza. Siamo ancora sul pianerottolo e già ci dà il suo benvenuto tramite il cellulare che ormai non è più solo un semplice telefono, ma un personal computer sempre connesso. Oggi non serve più neppure toccarlo, basta parlargli per accendere le luci, oppure il forno, abbassare le tende o la temperatura dei caloriferi. Ma la vera sorpresa del CES continuano ad essere le automobili, che negli ultimi anni sono sempre più protagoniste, non solo per il design o
le prestazioni velocistiche, bensì anche grazie a sistemi tecnologici in rapida evoluzione. Ecco allora che a Las Vegas la Casa coreana Kia assieme al MIT – Massachusetts Institute of Technology – ha presentato il progetto R.E.A.D., RealTime Emotion Adaptive Driving, ovvero quando la guida autonoma diventa emozionale (www.kia.com/ worldwide/CES2019). Si tratta di una nuova tecnologia capace di interagire con i sensi umani grazie all’intelligenza artificiale che è in grado di riconoscere le emozioni. Incredibile, noi siamo ancora seduti al posto del guidatore con il volante in mano, eppure qualcuno tra gli ingegneri del mondo automotive parla già di guida post-autonoma. In pratica si dà già per scontata la guida autonoma e l’obiettivo diventa quello di migliorare l’esperienza di bordo. «R.E.A.D è un sistema pensato per la mobilità futura che mira a creare una maggiore interazione fra auto e persone all’interno dell’abitacolo» ha spiegato Albert Biermann, President and Head
Il futuro è in una nuova tecnologia capace di interagire con i sensi umani e le emozioni. (Kia)
of Research & Development Division panti e la realtà circostante. Numerosi Kia Motors. «Grazie a R.E.A.D. sfrut- sensori monitorano attentamente l’amtando nuove tecnologie di controllo del biente. Ecco quindi che basterà una veicolo e grazie a un’Intelligenza artifi- smorfia del viso e la nostra auto come la ciale capace di riconoscere l’emotività, migliore delle amiche sarà in grado di sarà possibile ottenere una comunica- interpretarla senza bisogno di parole. zione continua tra passeggeri e veicolo Capirà se abbiamo troppo freddo opGIOCHI NATALIZI attraverso il linguaggio non espresso pure caldo, se siamo stanchi della musidelle emozioni, creando uno spazio che caSargentini oppure se abbiamo voglia di fermarDicembre 2018 -Stefania dialoga costantemente e in tempo reale ci a bere un caffè e agirà di conseguenza con i sensi umani». come nei migliori film di fantascienza. Come funziona? Diverse telecame- Quelli che a volte possono fare anche SCOPRI ILgliMESSAGGIO re inquadrano continuamente occu- un po’ paura.
Il più grande regalo che tutti noi desideriamo per Natale? Lo scoprirai aiutandoti con la parola dataregalo tenendo presente chefranchi a numero uguale lettera uguale, poi leggi 3 carte da 50 concorrisponde il cruciverba SUDOKU PE nelle caselle evidenziate. (frase: 5, 6, 2, 7, 5)
Giochi
Vinci una delle e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku N. 1 FACILE Schema ORIZZONTALI Sudoku
Cruciverba In quasi tutto il mondo si scuote la testa su e giù per dire sì e da sinistra a destra per dire no ma… Scopri il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 8, 2, 2, 2, 9)
Giochi per “Azione” - Gennaio 2019 Stefania Sargentini
1. Disturbano il sonno 2 3 1 6. Osso del braccio Soluzione: 4 9A V E 3 9. Brezza inglese Scoprire i13 6 3 4 5 O S A R E 10. Malvagia in poesia numeri corretti 1 2 7 1 8 7 A V I 12. Le iniziali dello scrittore Saba da inserire nelle 2A C I 8 1 8 9 4 4 10 3 7 caselle colorate. 13. Legge francese A C I N O O L E 11 3 9 4 5 4 10 6 14. È un... patito P E N O S O 3 1 9 8 7 L R 5 7 6 4 12 3 9 3 6 3 15. Un colpo all’uscio S I R O T E N E R 16. Mio a Berlino 7 8 7 1 7 3 5 1 13 I C I A I E S A 3 5 4 2 18. L’amore di Richard Gere 7 12 3 14 7 10 15 1 12 6 4 I T E F I L M A T 19. Privo di lucentezza I T E 16 13 1 7 6 3 7 4 6 9 4 20. Presidente russo 9N O G U A I R E I O N O 21. È impegnativo leggerlo... 22. Vi si costruiscono fragili castelli 2 3 7 23. Sono senza cuore... 24. Fanno rima con ma... Soluzione - SCOPRI IL MESSAGGIO - Frase risultante: AVERE VICINO LE PERSONE A 4 8 5 6 7 25. Caro francese GIOCHI NATALIZI 27. Dicesi di denaro in contanti
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-StefaniaI Sargentini U I N Dicembre C U2018 B L 9N A 2 5 1 VERTICALI 1. Casa Gfreddissima A L E R I A U 1 S5 4 3 2. Il «no» portoghese SCOPRI IL MESSAGGIO SUDOKU NATALIZIO 3. Condizioni atmosferiche Il più grande regalo che tutti noi desideriamo per Natale? Lo scoprirai aiutandoti con la L tenendo O I che a numero F uguale ASoluzione N dellettera TN. O C 2leggi MEDIO 4. Lodata scrittore Eco presente (iniz.) numero 51 poi parola corrisponde uguale, SCHEMA 5. Ècaselle ricco dievidenziate. petrolio (frase: 5, 6, 2, 7, 5) Frase risultante: AVERE VICINO LE PERSONE AMATE. SOLUZIONE nelle 6. Dittongo O di qualitàM E I N L O V8 E 4 6 7. Mutati, rinnovati 8. Una cabina con i bottoni 6 5 8 4 7 7 2 9 3 1 O P A C O 6 8P U2 T 41 I N9 11. Preposizione 5 3 2 7 3 6 1 9 5 4 8 14. Si paga espiando V E 2 4 9 1 8 3 5 2 7 6 2 T9 O MO SA O S 15. Antonio de Curtis A R E 17. Le iniziali della Canalis 9 8A 5 1 1 6 2 7 9 4 3 8 5 A V I C I 18. Lascia una scia argentea 9 3 4 1 5 8 3 6 2 7 A R3 I AP CEANI ON6OS O O7SLL 2RE O 20. Avverbio di tempo 3 2 5 8 7 3 2 6 1 9 4 21. Piccolo gruppo T E N E R E 6EES A R 49 8 1 2 7 6 33 4 5 R I 4 5 SI CI RICO A H 22. Fa binomio con labor I U 8 2 I T E 6 F I L 1M 8 2 9 5 6 7 4 1 3 23. Termine da tennisti A T R O 7 7 1 6 2 84 3 18 5 9 26. Le iniziali dell’attrice e modella S O N N GA U A8N I R3E T I E O R O New I
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I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognoSoluzione - SCOPRI IL MESSAGGIO - Frase risultante: AVERE VICINO LE PERSONE AMATE del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku me, indirizzo, email del partecipanteggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato te deve essere spedita a «Redazione fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 9 entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o Lugano». zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so-NATALIZIO Non si intratterrà corrispondenza sui SUDOKU
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Politica e Economia Casa Bianca È ufficialmente aperta la corsa democratica per le presidenziali del 2020 con la discesa in campo di Elizabeth Warren
Chi è Juan Sartori? A Montevideo circola il suo nome come prossimo candidato presidenziale ma è sconosciuto ai più. È una specie di Bolsonaro dell’Uruguay senza modi truculenti, e tenta di approfittare del calo di consensi della sinistra del Frente
Un patto che divide Dopo aver contribuito alla sua stesura, il Consiglio federale decide di non firmare il Global Compact for Migration dell’ONU
L’anno dell’orso Per le borse valori mondiali il 2018 è stato il peggiore dalla crisi finanziaria del 2008
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Perché è calda la questione del Muro Stati Uniti-Messico Trump chiede 5,7 miliardi per la sua costruzione e si rifiuta di firmare la legge di bilancio
(provocando lo shutdown) se non contiene i fondi per proteggere un confine che giudica un gasdotto per la droga
Lucio Caracciolo Come preannunciato in campagna elettorale, il presidente Donald Trump ha deciso di fare del muro al confine con il Messico il marchio della sua presidenza. E anzi il veicolo della sua rielezione, nel 2020, per la quale ha di fatto avviato la marcia di avvicinamento con il discorso televisivo alla nazione dell’8 gennaio, in cui ha messo la linea dura contro gli immigrati al centro della sua piattaforma politica. Fra l’altro, in questa contingenza il braccio di ferro fra la Camera dei rappresentanti, a maggioranza democratica, e la Casa Bianca del repubblicano Trump verte sul nesso fra shutdown (chiusura provvisoria parziale del governo americano) e accordo per il finanziamento del muro con 5,7 miliardi di dollari, che deve essere approvato dal Congresso, «per fermare – chiede Trump – criminali, gang, trafficanti di esseri umani che minacciano la sicurezza nazionale». Comunque
vada a finire, questo scontro anticipa e surriscalda il clima di pre-campagna elettorale in vista delle presidenziali dell’anno prossimo. Ma perché la questione del muro è così calda? Conviene ricordare due punti fermi. Il primo è che la barriera al confine del Rio Grande, descritto da Trump come «un oleodotto delle droghe», in buona parte esiste già e copre circa un terzo del confine Usa-Messico. Se ne cominciarono a costruire i primi elementi già nel 1990, sotto la presidenza di Bush padre. Da allora, sotto le diverse amministrazioni, l’impresa è continuata con maggiore o minore lena. Sotto il nome di «muro» vanno intese non solo costruzioni in cemento armato quanto barriere di varia forma e imponenza, che punteggiano la frontiera. A suo tempo, anche Obama e Hillary Clinton votarono per il Secure Fence Act, che fissava la necessità di mettere in sicurezza la frontiera più calda degli Stati Uniti.
Il secondo, decisivo punto riguarda le ragioni di questa impresa. Esse concernono l’identità e la tenuta sociale del Paese. Quando nel 2004 il politologo Samuel Huntington pubblicò il suo famoso volume Who are we? (Chi siamo?), centrò l’angosciosa questione della minaccia ispanica. Ovvero della penetrazione nel tessuto sociale e persino istituzionale degli Stati Uniti di una minoranza difficilmente assimilabile come quella ispanica. Specie se messicana (i cosiddetti «chicanos»). Costoro venivano trattati, e sono tuttora percepiti da molti americani di ceppo europeo – bianco/anglosassone/protestante, ovvero wasp, nella dizione classica – come alieni, inconciliabili con l’identità americana consolidata per due secoli e mezzo. In particolare poi considerando che quella frontiera divide il Messico da ampi territori che questo aveva posseduto fino a metà Ottocento, a cominciare dallo strategico Texas: buona
parte dei messicani considera ancora oggi quell’annessione un furto geopolitico con scasso. Alcuni s’illudono persino di poterli recuperare. Alla radice del successo di Trump sta proprio la difesa dell’identità originaria wasp, minacciata dall’immigrazione – trattata come un fenomeno criminale – e dalla mondializzazione. L’attuale inquilino della Casa Bianca si è fatto interprete della rabbia di molti americani di ceto più o meno mediobasso che si sentono deprivati del rango, del primato nel contesto nazionale, della stessa relativa ricchezza, saccheggiata a loro dire dagli immigrati provenienti da sud. E ciò malgrado i flussi sud-nord attraverso il Rio Grande siano in recessione. Negli ultimi mesi, inasprendo la stretta alla frontiera, sempre più militarizzata, e costringendo migliaia di immigrati in campi decisamente poco adatti all’essere umano, Trump ha confermato che questa resta e sarà
sempre più la sua linea. Costi quel che costi. Compreso un eventuale shutdown prolungato, che ha per ora privato degli stipendi circa 800 mila dipendenti pubblici. La reazione dei democratici è stata verbalmente all’altezza della sfida, e anche i sondaggi cominciano a segnalare una certa insofferenza dell’opinione pubblica per l’atteggiamento di Trump, cui una stretta maggioranza (51%) assegna oggi la principale responsabilità dello shutdown, ma non della sua politica di immigrazione. Di qui a stabilire che le possibilità di rielezione del magnate newyorkese siano in declino, molto ne corre. Anche perché sul fronte democratico si profilano possibili candidati di sinistra dura, difficilmente eleggibili. Di questo braccio di ferro fanno intanto le spese gli aspiranti immigrati che premono alla frontiera, a determinare una vera e propria emergenza umanitaria.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Politica e Economia
La sfida Dem è ancora donna
Casa Bianca L a senatrice Elizabeth Warren è la prima esponente democratica a scendere in campo per le primarie
che decideranno lo sfidante di Donald Trump per le presidenziali del 2020
La senatrice e professoressa Elizabeth Warren (foto) si candida per la nomination democratica alla Casa Bianca: una donna apre così la campagna presidenziale che durerà 20 mesi. Forse con quattro anni di ritardo, visto che la Warren ci pensò a lungo già nel 2015 e poi non osò mettersi di traverso a Hillary Clinton. Non è la primissima in assoluto, la senatrice del Massachusetts; ma è la capofila di quei big su cui il toto-candidature è già scatenato. Il primo gennaio 2019 lei lo ha usato per la sceneggiatura delle grandi occasioni: al suo fianco durante l’annuncio il marito, il golden retriever Bailey, sul cortile della sua casa nella cittadina universitaria di Cambridge, affollato dalle telecamere e dai reporter. A 69 anni, è la più nota delle potenziali avversarie di Donald Trump dopo Joe Biden e Bernie Sanders (sempre che non ci ripensi Hillary). La senatrice si è gettata nella mischia con i toni radicali che le hanno conquistato ampi consensi nella base: «Washington lavora per chi ha denaro e si compra il potere politico, io combatto contro questo sistema. Basta con le campagne elettorali finanziate dai miliardari». La campagna più lunga del mondo si muove lungo un percorso in parte noto, in parte nuovo. C’è la barriera della raccolta fondi, che per chi non vuole i miliardari richiede un’organizzazione capillare capace di moltiplicare le micro-donazioni dei cittadini. C’è il pellegrinaggio anticipato negli Stati dove si svolgeranno i primi caucus e primarie del febbraio 2020 (Iowa e New Hampshire). C’è la raccolta degli endorsement tra i notabili del partito e le celebrity. Per arrivare infine ai dibattiti tv. Ma il ciclone Trump ha sconvolto molte regole tradizionali. Lui raccolse pochi fondi rispetto a Hillary; compensò il deficit con la sua celebrità televisiva. Portò agli estremi il culto dell’outsider. I democratici devono tenerne conto. La stessa Warren ne è consapevole visto che i suoi scontri a distanza con Trump già le hanno dato un assaggio. Il presidente l’accusò di aver sfruttato una minuscola ascendenza da antenati indiani per avere una corsia preferenziale di accesso a Harvard, da allora la chiama «Pocahontas». Lei sottoponendosi a un esame del Dna si è attirata i fulmini della sinistra radicale e politically correct che l’accusa di avallare le teorie sulla genetica razziale. Proprio a sinistra lei ha il maggior seguito, i suoi trascorsi si collocano agli albori di Occupy Wall Street, quando fu una paladina di regole severe contro la speculazione bancaria. La Warren per i suoi messaggi sui temi sociali ed economici è una erede di Bernie Sanders (non l’unica). In America il radicalismo su temi come le diseguaglianze viene definito – causa i precedenti storici che risalgono all’Ottocento – «populismo di sinistra». Al tempo stesso lei è «antropologicamente» un’intellettuale della East Coast, come ex docente di Harvard. Saprebbe riconquistare i cinque Stati del Midwest dove la classe operaia che aveva votato Obama poi si spostò su Trump? Con una presa di distanza inusuale il giornale progressista della sua
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
AFP
Federico Rampini
città, «The Boston Globe», l’ha definita «una personalità che divide il Paese», sconsigliandole di candidarsi. I primi sondaggi su di lei confermano che può avere un forte seguito alle primarie democratiche, ma è fortemente avversata dai repubblicani. Tra le candidature pressoché certe, dopo la sua, si attendono altre senatrici: Kamala Harris della California, Kirsten Gillibrand di New York, ambedue vicine all’ala sinistra del partito. Ci sono afroamericani come Cory Booker del New Jersey. Un possibile miliardario, l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg. Meno affollato, almeno per adesso, il campo dei potenziali candidati del Midwest capaci di recuperare voti nella classe operaia su posizioni moderate: se si esclude la candidatura Biden restano Sherrod Brown (Ohio) e Amy Klobuchar (Minnesota). Un problema che li interpella tutti quanti, è «come gestire Trump»: fare una campagna di costante attacco al presidente in carica per trasformare l’elezione in un referendum sulla sua persona e mobilitare i tanti oppositori che spesso disertano le urne (giovani, minoranze etniche)? Oppure impostare una campagna in positivo, accettando perfino alcune convergenze con Trump su temi come il protezionismo contro la Cina? Tutto ciò non avverrà in un vuoto politico. Questi venti mesi saranno movimentati dal rapporto fra il presidente e la maggioranza democratica alla Camera. E si può scommettere che lui farà di tutto per essere il vero protagonista della campagna elettorale anche in campo democratico. La sua capacità di calamitare l’attenzione dei media, di dettare l’agenda delle notizie, è una delle sue forze. Per questo l’altra donna protagonista del momento è senza dubbio Nancy
Pelosi, di nuovo Speaker of the House, cioè presidente della Camera dei deputati a maggioranza democratica. Una Camera che subito mette in cantiere disegni di legge puntati contro Trump: pubblicazione obbligatoria di dieci anni di dichiarazioni dei redditi (lui le nasconde); uno scudo normativo per proteggere il super-procuratore Robert Mueller che indaga sul Russiagate; riforme sul codice etico e i finanziamenti delle campagne elettorali. C’è perfino un deputato democratico della California, Bred Sherman, che ha già il disegno di legge per avviare la procedura d’impeachment. Poi bisogna fare i conti col Senato, rimasto in mano ai repubblicani.
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L’entrata in campo di Elizabeth Warren ha smosso le acque anche perché la senatrice del Massachussets è la più virulenta fra i critici di Donald Trump Molto dipenderà dalla Pelosi, sulla tattica per contrastare Trump da qui all’elezione del 2020. Grande navigatrice della politica americana, a 78 anni l’italo-californiana Nancy ha smentito chi la dava sul viale del tramonto. Ha guidato le sue truppe in una riscossa elettorale che ha portato 40 seggi in più. Ha visto emergere una classe politica più giovane, più femminile, più variegata etnicamente: all’insediamento della nuova Camera c’erano 127 donne (contro 23 quando Nancy debuttò oltre 30 anni fa) e 56 neri. «La nostra democrazia – ha dichiarato la Pelosi nel discorso inaugurale – sarà rinnovata
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da questa leva di esordienti. Insieme riscatteremo le promesse del Sogno Americano». Grande ritorno: prima donna nella storia a ricoprire questa presidenza della Camera, che è la terza carica istituzionale negli Stati Uniti; riconquista il ruolo che ebbe sotto George Bush (dal gennaio 2007) e sotto Barack Obama (fino al gennaio 2011), dopo avere speso sette anni all’opposizione come capogruppo della minoranza democratica. È navigatrice di lungo corso, senza di lei Obama non sarebbe riuscito a far passare la riforma sanitaria. Negli ultimi mesi la Pelosi si è dovuta difendere da una fronda interna, l’ala sinistra del suo partito ha tentato di impedire il suo ritorno alla guida della Camera. Ora l’aspettano sfide notevoli, come la «trappola» che già le indica l’editoriale del «Wall Street Journal»: «L’obiettivo dei democratici sarà investigare, non legiferare». Prima emergenza da affrontare, lo shutdown: Trump continua a rifiutarsi di firmare la legge di bilancio, e quindi lascia a casa senza stipendio 800’000 dipendenti federali, finché non gli danno i soldi per il Muro. I democratici inaugurano la loro nuova maggioranza alla Camera offrendo un compromesso per cessare lo shutdown, la loro proposta di bilancio prevede 1,3 miliardi di stanziamento per rafforzare le «recinzioni» già esistenti lungo la frontiera, ma non il Muro per il quale il presidente vuole 5,7 miliardi. È un assaggio del delicato equilibrio che la sinistra tenterà di mantenere sul tema dell’immigrazione anche in vista del voto presidenziale: non cedere alla propaganda di Trump, ma neppure presentarsi come il partito delle «frontiere aperte a chi vuole entrare». Un ruolo di comparsa all’insediamento del nuovo Congresso (ma
nell’altro ramo, il Senato) l’ha avuto Mitt Romney, ex candidato presidenziale repubblicano battuto da Obama nel 2012, ex candidato alla segreteria di Stato scartato e umiliato da Trump. Eccolo al suo debutto in un mestiere per lui nuovo: senatore. Eletto nello Utah, roccaforte dei mormoni come lui, Romney fa sapere che non sarà tenero col presidente. Con una scelta che è già di per sé provocatoria, Romney scrive sul «Washington Post», giornale d’opposizione il cui editore è Jeff Bezos, padrone di Amazon e nemico giurato di Trump. Questo presidente, secondo il neo-senatore che appartiene allo stesso partito, «non si è elevato all’altezza della sua carica». L’editoriale sul «Washington Post» è una bocciatura implacabile: «Con una nazione così divisa, arrabbiata e rancorosa, è indispensabile una leadership presidenziale anche nella qualità del carattere. In quest’area i difetti dell’attuale presidente sono particolarmente evidenti. Per recuperare un ruolo-guida nella politica mondiale, dobbiamo riparare i guasti della nostra politica nazionale. È responsabilità del presidente, ispirarci e unirci». La scelta delle parole, dei toni e dei tempi, ha scatenato ogni sorta di congetture. C’è chi immagina addirittura che Romney voglia sfidare Trump candidandosi per la nomination repubblicana in vista del 2020, cosa rarissima (in genere il partito del presidente uscente dà per scontata la sua candidatura, senza rivali né vere primarie contese). Può darsi invece che Romney aspiri semplicemente a occupare il posto che fu del senatore John McCain recentemente scomparso, una sorta di capo dell’opposizione interna, guardiano dei valori del vecchio partito repubblicano, anziano statista che vuole interpretare la coscienza della destra moderata, liberale.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Politica e Economia
Juan Sartori presidente? Montevideo Nel tentativo di spezzare la lunga resistenza del centro-sinistra al governo,
è spuntato un candidato a fare il capo della destra, un miliardario sconosciuto che punta a fare il Bolsonaro dell’Uruguay, ma senza modi truculenti Juan Sartori, 37 anni, ha vissuto gli ultimi vent’anni lontano dall’Uruguay, prima a Parigi e poi a Ginevra. (AFP)
Angela Nocioni Un miliardario sconosciuto, genero di un altrettanto sconosciuto magnate russo, è appena sbarcato in Uruguay con l’intenzione di diventarne presidente. Si chiama Juan Sartori, ha 37 anni e ha vissuto gli ultimi vent’anni lontano dal piccolo paese latinoamericano, prima a Parigi e poi a Ginevra, seguendo la madre, Rosina Piñeyro, giovane sociologa che dopo una complicata separazione coniugale riuscì vent’anni fa a trovare prima una borsa di studio in un ufficio delle Nazioni unite a Parigi e poi un lavoro a Ginevra. Di Sartori, ragazzino prodigio poi diventato proprietario di grandi estensioni di terra vicino Montevideo e di una squadra di calcio inglese, il Sunderland, sposato da tre anni con Ekaterina Ryvolovleva, ricchissima signora russa proprietaria tra l’altro dell’isola greca di Skorpios, fino a un paio di mesi fa nessuno conosceva neanche il nome in Uruguay e lui su questo ha costruito la sua campagna di lancio, aperta da un martellante annuncio pubblicitario in cui si leggeva solo una domanda: «Chi è Sartori?». Sull’onda dell’aspettativa creata da quest’interrogativo, Sartori è arrivato all’aeroporto di Montevideo con una serie di interviste già concordate nelle quali ha annunciato la sua idea di candidarsi con la frase: «La politica non appartiene a nessuno, io voglio diventare presidente, mi candiderò con il partito Nazionale», il tradizionale partito di centrodestra del Paese.
Peccato che al partito Nazionale non ne sapessero nulla. Le prime reazioni sono state di sorpresa, poi di scherno, infine, dopo qualche settimana di silenzio in cui un accordo deve esser stato trovato a giudicare dal cambiamento dei toni usati nei confronti dell’ingombrante nuovo arrivato, è spuntata l’imbarazzata conferma che sì, in effetti, il nome di Juan Sartori risulta tra quelli dei candidati alle primarie di partito previste per giugno.
La destra ha grandi possibilità alle prossime elezioni, soprattutto perché la forte egemonia culturale e politica del Frente amplio è in fase calante È così che le primarie di un Paese piccolo e tranquillo come l’Uruguay sono diventate un evento politico di rilevanza continentale. Gli occhi di analisti e strateghi sono puntati su Montevideo per vedere se in quello che è sempre stato uno dei laboratori politici più ricchi ed originali dell’America latina, con un fronte di centrosinistra di governo solido negli ultimi dodici anni, in grado di resistere apparentemente senza sforzo alla ventata di destra che sta spazzando il continente, c’è spazio per un fenomeno politico incarnato da un outsider di destra, per vedere cioè se
l’Uruguay potrà diventare una piccola sponda al Brasile di estrema destra dell’ex capitano Bolsonaro o se la società uruguaiana rimarrà invece nel solco di quel riformismo sociale in cui si crea ricchezza con l’intenzione (anche) di redistribuirla, politica di successo avviata negli anni del primo governo del Frente Amplio, larga coalizione di centrosinistra guidata dall’ex guerrigliero Tupamaro (e fine politico) Pepe Mujica. Molti osservatori dubitano che possa avere qualche possibilità di farcela un eccentrico miliardario, per di più vissuto a lungo all’estero, escludono che possa far breccia in una società tradizionalmente molto stabile, in cui l’esibizione di ricchezza è mal vista e si diffida non poco delle carovane di auto coi finestrini oscurati che accompagnano in ogni dove le uscite pubbliche di Sartori. Eppure qualche carta il giovane miliardario dovrebbe averla se Lacalle Pou, figlio, nipote e bisnipote di dirigenti del Partito Nazionale, finora considerato favoritissimo alle primarie del partito, ha rivoluzionato in corsa la sua campagna per rimodularla in vista dell’imprevisto sfidante interno. Lo sbarco di Sartori potrebbe essere facilitato dalle difficoltà del centrosinistra di governo, che dopo più di un decennio al potere rischia di pagare caro lo scontento per l’aumento del costo della vita e delle tasse. Nodo interessante sarà l’atteggiamento che Sartori e la destra uruguaiana tutta sceglieranno di fronte alla questione migratoria. L’Uruguay, nel rispetto dell’idea di doverosa ac-
coglienza coltivata dalla leadership del Frente amplio, batte da anni ogni record sull’ingresso di immigrati stranieri. Anche nei confronti dell’ondata di migranti dal Venezuela affamato dalla cupa decadenza del regime chavista, l’Uruguay è stato il paese più disponibile di tutti all’accoglienza. Stessa politica usata nei confronti dei profughi siriani, accolti e inseriti in piccole realtà comunitarie di Montevideo apparentemente con grande successo. La destra ha una ghiotta possibilità alle prossime elezioni presidenziali soprattutto perché la forte egemonia culturale e politica sull’elettorato esercitata da anni dal Frente amplio è in fase calante. I personaggi forti del centrosinistra sono troppo vecchi per resistere al comando e i precandidati alle primarie, quasi tutti cinquantenni, sono apparsi finora alquanto scialbi. Dicono che manterranno intatti tutti gli accordi che hanno consentito all’Uruguay di fare grandi passi avanti negli ultimi anni, a cominciare dalla riduzione della povertà, le campagne per la qualità dell’educazione pubblica e la crescita economica (costante negli ultimi 12 anni). Ma nessuno di loro, né l’ex sindaco di Montevideo, il socialdemocratico Daniel Martínez, né la ex ministra dell’Industria Carolina Cosse, sostenitrice di Mujica, né l’ex ministro dell’Economia Mario Bergara, sembra avere nemmeno l’ombra del carisma politico e delle capacità di mediazione del vecchio Pepe Mujica, alle quali il Frente Amplio deve la sua lunga storia di resistenza al governo.
Fra i libri di Paolo A. Dossena DAVID COWAN, The Coming Economic Implosion of Saudi Arabia, Palgrave Macmillan, 2018 «L’immensa ricchezza dell’Arabia Saudita è stata globalmente influenzata dal fatto di finanziare ogni specie di estremismo sunnita». Così scrive David Cowan, descrivendo gli stretti legami di Riyad con l’ISIS e al-Qaeda, e «speculando» (senza profetizzare) sulla molto probabile implosione dell’Arabia Saudita entro dieci anni. Pochi mesi dopo l’uscita di questo libro, alcune delle previsioni del suo autore si verificano. Al vertice G20 del 2018, Emmanuel Macron dice all’erede al trono saudita Mohammed bin Salman (MbS, capo di fatto dell’Arabia Saudita come minimo dal 2017): «Sono preoccupato». Si riferisce all’affare Khashoggi, che ha puntato i riflettori su Riyad e sull’immensa crisi di credibilità e stabilità che sta attraversando. Come è noto, lo scorso 2 ottobre, il giornalista saudita Jamal Khashoggi è stato ucciso e smembrato con una sega elettrica all’interno del consolato saudita di Istanbul. Perché questa brutalità medievale? David Cowan ha lavorato per il Center for Religion and American Public Life, al Boston College (Stati Uniti) ed è un noto e apprezzato saggista. Questo esperto dalle credenziali impeccabili, racconta che tra le operazioni di Riyad, c’è, dal marzo del 2015, la guerra di religione contro gli sciiti Houthi dello Yemen, dove il sunnita MbS ha contribuito in larga parte a determinare una colossale crisi umanitaria. (Khashoggi aveva denunciato l’orrore di questa guerra, e per lui, dall’Arabia Saudita arrivò in Turchia una banda di 15 assassini, medico legale incluso). David Cowan spiega che l’approccio moderato di Barack Obama verso l’Iran sciita ha spinto i sunniti di MbS sul sentiero del conflitto religioso. La guerra contro gli sciiti dello Yemen (sostenuti da Teheran), la costruzione della nuova base navale saudita a Jazan, la formazione di un’alleanza militare islamica con 33 paesi (quasi tutti sunniti) e la guerra contro la Siria di Assad (amico dell’Iran) sono la risposta saudita alla prudenza di Barack Obama. Ed ecco l’analisi di David Cowan: l’avventurismo da giocatore d’azzardo di MbS (guerre di religione in Yemen e in Siria) anziché rafforzare il regno lo rende più fragile. Secondo: «curiosamente» MbS era ostile a Barack Obama («attaccato negli Stati Uniti per il suo retaggio musulmano») e «accoglie a braccia aperte» Donald Trump, il Presidente che «insultò i musulmani e che accusò i sauditi di essere dietro al terrorismo». Questo è vero al punto che Trump, come prime visite all’estero della sua presidenza, scelse l’Arabia Saudita e Israele. (Una sola apparentemente strana triplice alleanza. Come è noto, uno dei migliori clienti dell’industria bellica statunitense è Ryiad, e già l’ex presidente americano Obama aveva triplicato le vendita di armi all’Arabia Saudita). La futura destabilizzazione saudita sarà quindi causata da una combinazione di fattori: l’antagonismo sunnita-sciita; la crisi economica (la necessità di spostarsi dal mercato del petrolio a un’economia più diversificata e sostenibile e la necessità di passare al libero mercato); l’implosione economica, politica e religiosa. Improbabile? Forse, dice David Cowan, non sono un profeta. Eppure, gli esperti avevano forse previsto il crollo dell’Unione Sovietica? Avevano previsto la recessione del 2008? Meglio prepararsi in anticipo.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Politica e Economia
Un Patto indigesto
Migrazioni Dopo aver contribuito all’elaborazione del Global Compact for Migration dell’ONU,
il Consiglio federale ha rinunciato per ora a firmarlo e attende una chiara indicazione del Parlamento
Marzio Rigonalli Uno dei dossier della politica federale che sono stati aperti nel 2018 e che continueranno ad essere discussi anche nel 2019 è il «Global Compact for Migration», il «Patto globale delle Nazioni Unite sulla migrazione». Il Patto è stato approvato dall’Assemblea generale dell’ONU in settembre e, lo scorso 10 dicembre, è stato firmato da 164 paesi riuniti a Marrakech in Marocco.
Il Patto non contiene misure vincolanti, ma gli oppositori temono future pressioni estere sulla Svizzera La Svizzera non ha firmato il Patto, anche se ha partecipato attivamente all’elaborazione del testo con l’ambasciatore Jürg Lauber, suo rappresentante all’ONU, e se, in un primo tempo, aveva promesso di recarsi a Marrakech, posto di fronte all’opposizione sorta in seno alle Camere federali ed in alcuni partiti politici, il Consiglio federale ha preferito sospendere il processo di adesione ed attendere una chiara indicazione del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati. Dopo i primi dibattiti avvenuti in dicembre, il governo ha chiesto al Dipartimento federale degli esteri di preparare un decreto federale semplice, ossia non sottostante a referendum, entro la fine del 2019. Il decreto verrà discusso, approvato o respinto dal parlamento. Il Consiglio federale ha promesso di tener conto della decisione parlamentare. I tempi, dunque, si annunciano piuttosto lunghi e, con ogni probabilità, si andrà oltre le prossime elezioni federali del mese di ottobre. Dietro l’iter scelto, si può facilmente individuare la volontà di togliere dalla prossima campagna elettorale il tema della migrazione, un tema che divide e attraverso il quale alcuni partiti riescono, con successo, a mietere consensi. Quale significato conviene attribu-
ire al Patto mondiale sulla migrazione? Si tratta di uno strumento multilaterale di cooperazione che mira a stabilire principi e linee guida comuni per una migrazione ordinata. È uno strumento che vuole coinvolgere tutti i paesi, quelli dai quali i migranti partono, quelli di transito e quelli di arrivo. Nel mondo ci sono circa 250 milioni di migranti e la cifra è destinata a crescere a causa della globalizzazione, della facilità delle comunicazioni, degli squilibri demografici e dei cambiamenti climatici. Nel Patto figurano alcuni principi guida e 23 obiettivi. Per ognuno di essi c’è una lista di possibili azioni volontarie, che ogni Stato può adottare. Tra le principali misure figurano: il rafforzamento degli aiuti economici ai paesi di partenza, la lotta contro il traffico di esseri umani, la gestione delle frontiere, la facilitazione dei rimpatri, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’accesso dei migranti ai servizi di base e la loro integrazione nei paesi d’accoglienza. Sono in gran parte misure già previste da altri trattati e che non sono giuridicamente vincolanti per i paesi firmatari del Patto. Ogni governo nazionale rimane libero di definire la sua politica di migrazione. Guidato dagli Stati Uniti e dall’Ungheria, il fronte del no al Patto è emerso negli ultimi mesi. Comprende paesi come Israele, l’Australia e la Repubblica dominicana, ma vi è anche un gran numero di Stati che si ritrovano nell’area centrale ed orientale dell’Europa. Sono la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, la Bulgaria, la Croazia, l’Austria, l’Estonia e la Lettonia. L’Italia ha imitato la Svizzera ed ha deciso di sottoporre il testo al suo parlamento. In Belgio, il Patto ha causato una crisi di governo e l’avvento di un esecutivo di minoranza. La Germania ha deciso di firmare, ma soltanto dopo un lungo dibattito parlamentare, conclusosi con un voto e con 372 deputati favorevoli su 666. Gli Stati contrari sono perlopiù paesi dove la migrazione è stata, ed è tutt’ora, un tema molto discusso sul piano politico ed elettorale e che ha generato forti divisioni all’interno delle società. Gli argomenti invocati dagli avversari per rinviare il Patto al mittente
Il Patto dell’ONU apre le porte a ulteriori migrazioni o è uno strumento per controllarle? (Keystone)
sono svariati. Alcuni possono stimolare la riflessione, altri sono decisamente estremi. Si sostiene che il Patto si fonda sull’idea, giudicata errata, che la migrazione è un fattore di prosperità, d’innovazione e di sviluppo sostenibile. Si parla di un documento sbilanciato a favore della migrazione e di un chiaro tentativo intrapreso per creare un mondo senza frontiere. Si afferma che il Patto conferirà nuovi diritti ai migranti e che favorirà l’arrivo dei migranti illegali. Si teme che le misure previste diventeranno uno strumento di pressione, usato per influenzare la politica d’immigrazione dei governi nazionali, che perderebbero così la loro autonomia decisionale. Infine, si condividono volentieri le posizioni del presidente Trump, che rifiuta il multilateralismo e la strada che porta a politiche coordinate e condivise. Il dibattito in Svizzera si è concentrato fin ora sugli obblighi che potrebbero derivare dalla ratifica del Patto. Il documento non è giuridicamente vincolante, ma lo è dal punto di vista politico. Fa parte del cosiddetto «Soft Law», che secondo la Costituzione federale è di competenza del Consiglio
federale. Negli ultimi tempi, il campo d’applicazione del «Soft Law» si è allargato e non sono mancate le voci che chiedono un maggiore coinvolgimento del parlamento e delle sue commissioni di politica estera nell’approvazione di questo tipo di impegni internazionali. La maggior parte delle misure previste nel Patto fanno già parte della legislazione elvetica. Poche sono le nuove disposizioni che andrebbero adottate se il Patto venisse applicato integralmente. L’incognita maggiore, che è poi anche il perno delle divergenze, è costituita dal vincolo politico che nasce con la ratifica del documento. Qual è la portata di questo vincolo? Gli uni dicono che la portata non è importante e che la Svizzera rimarrà sovrana nella gestione della migrazione. Gli altri vedono nel vincolo uno strumento che potrebbe avere due conseguenze negative. Sul piano esterno potrebbe causare una forte pressione politica, capace di limitare l’autonomia del Consiglio federale, e sul piano interno potrebbe portare a modifiche legislative, con il risultato di accrescere i diritti dei migranti e di favorire il loro arrivo. Le divergenze sono significative e rendono difficile
la ricerca di una soluzione condivisa. La migrazione è un fenomeno mondiale in espansione, che ha bisogno di una risposta collettiva. Le soluzioni nazionali non sono sufficienti. Soltanto un’azione comune e condivisa dalla maggior parte degli Stati può portare ad una gestione accettabile del fenomeno. Quale dovrebbe essere la scelta del Consiglio federale? La strada più ragionevole sembra essere quella di un approvazione del Patto con riserva. La firma del documento dovrebbe essere accompagnata dalla lista dei punti sui quali la Confederazione non è d’accordo. Punti che l’annunciato dibattito parlamentare dovrebbe contribuire a definire. La Svizzera è un piccolo paese con una lunga storia umanitaria e che ha interesse a condividere norme internazionali suscettibili di affrontare un grosso problema d’attualità come è la migrazione. Sottrarsi a questo impegno, e non sottoscrivere il Patto, non porterebbe nessun vantaggio e danneggerebbe l’immagine internazionale di un paese che ha svolto un ruolo di primo piano nell’elaborazione del documento e che vanta una lunga tradizione umanitaria.
Economia del debito: un trend pericoloso
Indebitamento Perché una gestione finanziaria «oculata» è indispensabile, tanto in ambito pubblico quanto privato Edoardo Beretta Fra i «tormentoni economici» vi è senz’altro la tendenza all’indebitamento − che sia pubblico o privato poco importa −, che le epoche odierne tendono sempre più a produrre. La sua pericolosità deriva dal fatto (evidente quanto sottovalutato) che ogni forma di indebitamento implichi prima o poi la restituzione di esso, maggiorata del relativo premio al rischio. Del resto, è lo stesso concetto di «debito» ‒ non si dimentichi che deriva dal verbo «dovere» oltre ad avere un carattere di «obbligazione» ‒ ad esprimerla indiscutibilmente. Ancora più grave è il fatto che tale trend debitorio coinvolga ormai trasversalmente l’intera società, cioè non soltanto l’amministrazione pubblica (che ha, pur sempre, fabbisogni di finanziamento ben diversi da quelle delle economie domestiche), ma anche gli stessi nuclei familiari: questi ultimi subiscono da un lato l’imposizione fiscale del decisore pubblico per cofinanziarne i progetti in corso, ma dall’altro sono ignare vittime di una logica consumistica − fin qui, nulla di errato − dove quest’ultima spinge però troppo spesso a soddisfare «falsi bisogni» mediante l’«effetto leva»,
cioè l’utilizzo di risorse non proprie. A ben guardare, l’indebitamento, che è costituito da una parte verso l’economia interna ed una verso il resto del mondo, ma anche da una pubblica ed un’altra privata, non è però «tutto uguale»: in altre parole, esso dipende a stretto filo dal soggetto debitore stesso. Ad esempio, la detenzione di titoli obbligazionari (cioè quei «riconoscimenti di debito» di attori economici quali lo Stato) è storicamente considerata una «forma alternativa di detenzione del reddito»: anziché convogliare i propri risparmi verso un conto deposito o tenerli nel prover-
biale salvadanaio, è prassi consolidata detenerli sotto forma di titoli considerati «sicuri». Cambiamo, ora, gli attori di tale narrazione e sostituiamo al «compratore di bond» il «negoziante di fiducia» ed allo «Stato» il «cliente abituale»: è evidente che l’esercente molto difficilmente potrà ritenere di avere bene investito parte delle proprie risorse sotto forma di beni e servizi in un «titolo di debito privato», concedendo credito al suo cliente. Il suo obiettivo ‒ primario come ultimo ‒ sarà invece senz’altro di rientrare il prima possibile dal credito appena concesso.
Indebitamento dell’amministrazione
Indebitamento delle economie
pubblica (in % del PIL) 1
domestiche (in % del PIL)2
2000
2016
Δ%
2000
2016
Francia
72,4
125,5
+53,1
76,5
117,7
Δ%
Germania
59,5
76,0
+16,5
116,5
93,3
Giappone
142,6
234,6
+92,0
114,9
108,8
Grecia
185,8
+74,1
-6,1
111,7
30,5
111,6
Italia
154,9
+35,9
+81,1
119,0
53,0
86,9
Regno
44,9
119,4
+74,5
105,1
146,0
+33,9 +40,9
Spagna
65,2
116,5
+51,3
84,9
118,1
Svizzera
42,5
-12,0
+33,2
54,5
173,3
212,8
USA
72,1
138,5
+66,4
+39,5
104,0
109,3
+5,3
+41,2 -23,2
Unito
Se è vero che tale diversità d’approccio deriva dalla prassi degli apparati pubblici di emettere veri e propri titoli cartacei con/senza cedole, lo è altrettanto che essa rinforzi l’idea di possesso, distinguendo tali obbligazioni da altre. L’approccio spesso semplicistico, che i decisori europei hanno dimostrato nei confronti della problematica del debito europeo (per quanto eccessivo), non ha dato frutti: infatti, nonostante siano da condividere gli sforzi atti a ridurre l’esposizione finanziaria di quei garanti (pubblici) della stabilità economico-politica di una Nazione, è pur sempre vero che l’ipotetica assenza di debito statale non è necessariamente auspicabile. Ancora una volta, dunque, si tratta di guardare dietro le singole voci di spesa per comprenderne la «gittata» in termini di potenziali ritorni «produttivi», da distinguersi invece da quelle «improduttive», cioè senza alcun ritorno economico nel medio-lungo termine, quali quelle per la spesa corrente data da salari, sussidi e/o trasferimenti ed altro. Il problema di fondo comunque permane, in assenza di una migliore cultura del risparmio o alfabetizzazione finanziaria dei singoli individui. Lo scopo sarebbe − ancora
una volta − certo non quello di ridurre i consumi individuali (che costituiscono la voce più importante del PIL pari al 65,7% nel 2017 nel caso svizzero), quanto quello di essere in grado di giudicare più oculatamente l’importanza di una gestione proattiva del proprio bilancio individuale. Insomma: la migliore solidità economica non per contenere le giuste aspirazioni di poter soddisfare i propri desideri quanto piuttosto per lasciarsi un margine più ampio di garanzia per avere durevolmente quanto di meglio. Se il problema dell’indebitamento pubblico come privato non è certo nuovo, l’esposizione sempre maggiore a spese improcrastinabili da un lato e nuovi bisogni imposti dalla globalizzazione ad un’utenza non sempre alfabetizzata in termini economici dall’altro possono decisamente aggravarne l’impatto futuro. Note
1. Elaborazione propria sulla base di: https://data.oecd.org/gga/generalgovernment-debt.htm. 2. Elaborazione propria sulla base di: https://data.oecd.org/hha/householddebt.htm.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Politica e Economia
L’anno peggiore dopo il 2008 Borse I mercati finanziari subiscono gli effetti dell’instabilità politica mondiale e si preoccupano
delle previsioni negative per le maggiori economie mondiali Ignazio Bonoli Fino a qualche tempo fa, gli analisti dei mercati finanziari erano concordi nel dire che l’andamento delle borse anticipava di regola l’evolvere dell’economia nell’anno seguente. In seguito però le borse hanno subito tali e tanti influssi da non rendere sempre valida questa regola. L’anno appena terminato sembra però tornato a confermare la tesi: l’anno borsistico 2018 è stato il peggiore – dopo la crisi del 2008 – e le prospettive per l’economia nel 2019 non sono per niente buone. Ma soffermiamoci qui sullo scorso anno borsistico. In Svizzera l’improvviso rialzo dello Swiss-Market-Index (SMI) del 2,8% nell’ultimo giorno di mercato dell’anno ha provocato soltanto una correzione cosmetica di una tendenza che ha provocato sull’arco dei dodici mesi una perdita globale del 10,2%. Anche tenendo conto dei dividendi, calcolati dall’indice SMIC, la perdita si riduce solo al 7%. Sempre con lo sguardo rivolto al mercato svizzero, si può vedere chiaramente che, a parte qualche eccezione, sono proprio i titoli più sensibili alla congiuntura che subiscono perdite sensibili: per esempio Lafarge-Holcim (cemento) perde il 23,5%; ABB (metalmeccanica) perde il 25,8%, mentre Adecco (mediazione lavoro) perde il 36%. Per motivi analoghi, ma anche particolari al settore, sono le banche le maggiori perdenti del 2018: Julius Bär 39,8%, Credit Suisse 37%, UBS 29%. Registrano
invece guadagni le assicurazioni, con in testa Swiss Life +14%, ma anche le chimico-farmaceutiche Novartis +5,7% e Roche +2,5%. Queste valutazioni tengono conto anche dei dividendi da distribuire. Ma nel confronto internazionale, quella svizzera è una delle borse con le perdite minori. Anche la borsa americana (indice S&P 500), la sera del 31 dicembre, perdeva «solo» il 7%. Alle borse europee è invece andata molto peggio: l’indice europeo Euro Stoxx 50 perdeva il 14,8%, mentre il tedesco DAX doveva constatare un calo del 18,3% e il francese CAC 40 una perdita del 2,1%. Le perdite in sé sono già preoccupanti, ma lo sono ancora di più se si considera che all’inizio dell’anno le previsioni degli esperti erano piuttosto positive. L’effetto «Trump» negli Stati Uniti sembrava destinato a consolidarsi e a influire positivamente sui mercati internazionali. Lo stesso presidente americano ne andava molto fiero, al punto di presentarsi quale paladino della crescita economica al simposio di Davos. Tuttavia, già a metà dell’anno, le borse mostravano parecchia volatilità e cominciavano a temere una politica monetaria meno espansiva e quindi un possibile aumento dei tassi di interesse. Molti esperti erano così costretti in autunno a rivedere le previsioni di crescita per l’anno in corso e per il seguente. In realtà si cominciava a tener conto di una situazione politica che andava deteriorandosi: dalle elezioni in Italia, alle minacce atomiche della Corea del
Dopo anni in cui ha dominato il toro, ora è il momento dell’orso. (Keystone)
Nord, alla Brexit in Europa, cui si aggiungevano le dispute sui dazi doganali tra Stati Uniti e Cina. Per finire, le previsioni piuttosto pessimistiche del FMI provvedevano a tarpare le ali al poco che restava di ottimismo sull’immediato futuro. Così, verso la fine dell’anno, l’incertezza dominava la scena, favorita anche dalle difficoltà del governo americano, uscito ridimensionato dal parziale rinnovo della Camera dei deputati. Anche le recenti decisioni di Trump aumentano le incertezze a livello mondiale e contribuiscono a creare un terreno arido per le borse. Di conseguenza, anche le previsio-
ni per le borse per il 2019 non possono essere positive, pure se le reazioni delle borse alla fine del 2018 sono forse state esagerate. Molto può essere dipeso anche dai programmi computerizzati (che in America coprono ormai l’85% del volume di borsa) che reagiscono immediatamente alle tendenze, ampliandole e rinforzandole. I più ottimisti pensano che il fondo dei mercati azionari verrà toccato nel primo trimestre, dopo di che potrebbero verificarsi recuperi. Non la pensa però così chi tiene conto delle previsioni congiunturali pessimistiche e del fatto che la Riserva Federale americana ridurrà la liquidità
dei mercati, mentre anche la Banca centrale europea pone fine al programma di «Quantitative Easing». Chiaramente le borse continueranno a subire gli effetti dell’instabilità politica mondiale, ma avranno probabilmente anticipato molti effetti nel primo trimestre, per cui il seguito dell’anno potrebbe lasciare qualche speranza di ricupero. E, infatti, la prima settimana dell’anno si è chiusa con bilanci positivi (salvo Tokyo) perfino a New York, nonostante il tonfo di Apple. Ma forse è anche questo un segno della grande volatilità dei titoli azionari che potrebbe caratterizzare anche il 2019. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il futuro è adesso? Il passaggio da un anno all’altro è sempre l’occasione per riflettere sul futuro. Vi sono pubblicazioni specializzate nelle analisi delle tendenze e nella formulazione di previsioni a breve o a medio termine. Considerazioni sul futuro possono essere fatte ovviamente anche per il nostro Cantone. Come tutti gli altri Cantoni della Svizzera anche il Ticino dovrà, nei prossimi decenni, risolvere i problemi creati da una popolazione che invecchia, da uno Stato sociale che diventerà sempre più dispendioso, dalla svolta nella politica energetica e dal riscaldamento dell’atmosfera. Tutto questo, naturalmente, cercando di mantenere un livello di vita vicino a quello di cui gode attualmente la maggioranza della popolazione e senza che lo Stato intervenga con eccessivi divieti o eccessivi sussidi. Questi sono i dati di un problema di ottimizzazione di cui è difficile trovare la soluzione. Soprattutto è difficile
trovare i rimedi che non faranno male a nessuno. Una delle chiavi suggerite dagli specialisti per cercare di alleggerire il peso di questi problemi è quella di far ricorso nel modo più ampio possibile alle risorse disponibili nel paese. Risorse naturali in primo luogo che possano in parte coprire l’enorme fabbisogno in materie prime e prodotti di consumo della nostra popolazione. Ma anche risorse umane, che possano rispondere alla richiesta di forze di lavoro e di qualifiche, sempre in aumento, che proviene dall’economia, dalle amministrazioni e dai servizi sanitari e sociali. Per quel che riguarda il problema delle risorse umane siamo abituati in Ticino a risolverlo facendo ricorso al bacino della manodopera frontaliera. Si è sempre pensato – e il primo a farlo è chi scrive – che questa fosse una soluzione win-win. Ma non si può negare che la portata dell’evoluzione, registrata negli ultimi anni, ha
creato problemi che potrebbero influire in modo negativo sullo sviluppo di lungo termine. Il tasso di crescita della popolazione è, dall’inizio del secolo, in Ticino, sempre in diminuzione. Tra il 2003 e il 2008, la popolazione del nostro Cantone è aumentata a un tasso annuale pari allo 0,87%. Nel quinquennio successivo, il tasso di crescita annuale è sceso allo 0,78%. infine dal 2013 al 2017 questo tasso è diminuito di nuovo attestandosi sullo 0,69%. Siccome il movimento naturale non ha, in Ticino, nessuna influenza sull’evoluzione della popolazione dobbiamo concludere che la diminuzione dei tassi di crescita demografici deve essere attribuita a una diminuzione del saldo migratorio. Questa diminuzione può essere attribuita all’espansione del contingente di frontalieri, ossia di una manodopera che non si insedierà mai nel Cantone, risparmiando allo stesso una gran parte dei costi di un simile
insediamento. Grazie all’apporto del frontalierato, il Ticino dispone dell’economia di un Cantone con 440’000, invece che con soli 350’000 abitanti. Quali sono le ripercussioni negative di questa situazione? Sono sicuramente diverse, ma qui vogliamo accennare solamente alle riserve di lavoro che non vengono utilizzate. L’Ufficio federale di statistica pubblica, anno per anno, i dati relativi alla popolazione residente con più di 15 anni, e alla popolazione occupata. Il rapporto tra queste due variabili rappresenta una stima del tasso di attività della popolazione residente con più di 15 anni. Gli ultimi dati disponibili sono quelli del 2016. In quell’anno il tasso di attività per il Ticino era pari allo 0,57. Nei Cantoni che confinano con il Ticino, i tassi di attività erano rispettivamente 0,63 per il Vallese e 0,65 per i Grigioni e per Uri. Questo significa, ipoteticamente, che
nella popolazione residente in Ticino esiste una riserva di 20’000 persone, attualmente non occupate. Con grande probabilità si tratta, in maggioranza, di donne. Ma il tasso di attività del Ticino è particolarmente basso anche per quel che riguarda gli uomini. Il consigliere federale SchneiderAmmann, negli ultimi anni della sua permanenza in governo, si è occupato, in modo particolare, del problema di mobilitare riserve di manodopera interna. Forse anche il governo ticinese – preoccupandosi maggiormente degli aspetti pratici – potrebbe mettere in piedi un programma di mobilizzazione delle riserve di lavoro specifico per il Ticino. Perché slogan come «Prima i nostri» non bastano per mobilizzare i lavoratori in riserva. Che sia importante pensarci ce lo dicono due tendenze: nel 2017 la popolazione residente è diminuita, nel 2018, è diminuito pure l’effettivo dei frontalieri.
che ha compromesso il negoziato e le aspettative degli inglesi. Al punto che si gira a vuoto ormai da settimane, mentre il Parlamento si prepara a votare il 15 gennaio l’accordo siglato dalla May assieme ai 27 paesi dell’Unione europea e non c’è ancora – non c’è mai stata – una maggioranza, qualsivoglia maggioranza: non c’è per il deal May, non c’è per il no deal (ipotesi catastrofica che tutti, tranne i gilet gialli versione indipendentista che stazionano fuori da Westminster, vogliono scongiurare) e non c’è nemmeno per il secondo referendum, la speranza cui si appigliano gli anti Brexit, fatta eccezione per il solito Corbyn. Come andrà a finire? È la domanda che tutti fanno da tanto tempo, ma una risposta non c’è. Può accadere ogni cosa, anche la più improbabile, e questo aumenta l’isteria collettiva: la May non ha i numeri per il suo deal, sta facendo ogni opera di convinzione possibile e piano piano racimola consensi (chissà quanto le costeranno, ma adesso non ci si può occupare anche dei ricatti futuri),
ma sembrano ancora insufficienti. Il Parlamento le sta rendendo la vita più difficile, ha votato un emendamento – in mezzo a urla degne di una banda di monelli, non fosse che quella è la stanza degli adulti più adulti del Regno – che le impone, a deal bocciato, tre giorni per presentare un piano B. In questa via alternativa compaiono elementi che sono stati già discussi ampiamente – il modello norvegese, il confine nordirlandese, per citare i più noti – e che fanno drizzare i capelli in testa agli europei: valicano le linee rosse dell’Ue, significa ricominciare da zero o giù di lì. E il tempo non c’è: la May dice che il 29 marzo ci sarà la Brexit, lo ripete minacciosa per riportare ordine tra i suoi. È un ultimatum: o il mio accordo o il no deal, non ci sono altre chance, basta credere alle favole. Ma il miglior accordo possibile che il Regno Unito potesse negoziare non piace né ai falchi brexiteers né ai remainers, che vogliono esercitare il diritto al ripensamento e non si capacitano del fatto che, dopo
tanto discutere, ancora non sia chiaro a tutti che il problema della Brexit è la Brexit stessa. Mentre Corbyn insiste soltanto sulle nuove elezioni, alcuni laburisti parlano con i conservatori moderati per trovare una strada comune: visto che i leader si puntano addosso dei pesci, cerchiamo noi una soluzione. Ma le sfumature sono talmente tante e i micronegoziati talmente laboriosi che inventarsi una via di uscita è ormai uno spettacolo circense. Come andrà a finire? Non si sa, e il peggio è che molti elettori non sanno nemmeno più cosa augurarsi. Hanno guardato in massa il film sulla Brexit di cui tutti discutono – litigando – da settimane, The Uncivil War, la guerra incivile, e hanno scoperto che lo slogan perfetto dei brexitari, «take back control», riprendiamoci il controllo, è stato ispirato da un manuale sulla paternità. Era una roba da adulti, insomma, da padri che ci tengono ai loro bambini, ed è finita in una sparatoria con i pesci in cui, davvero, non si salva nessuno.
Sono i personaggi (taluni eccellenti) che Tettamanti raduna a consentirgli di catturare nitidissime istantanee e di trasmetterle con una vena narrativa degna del migliore P. G. Wodehouse. La narrazione inizia dalla Lugano di un tempo, ancora priva di quel grigiore che oggi cerca ostinatamente (addirittura con la sabbia...) di cancellare, approda in Kenya dopo due o tre balzi scoppiettanti ed esilaranti, prosegue in Asia e nelle Americhe ricordando attività e incontri, addirittura rivela i preparativi non solo teorici di un «exodus» ticinese (poi abortito) verso la Nuova Caledonia, per poi ritornare in Europa e in patria con una conclusiva serie di storie e di personaggi spesso insospettabili (anche negli accostamenti). La vena di «humour» di Tettamanti non è riservata solo a celebri personalità politiche (da Kurt Waldheim, ai presidenti Cossiga, Barre e Scheel, sino all’ex-ministro greco Varoufakis); anzi: raggiunge l’apice nei ritratti di amici e personaggi della vita cantonale
o cittadina, come pure nelle amabili chiamate in causa della moglie Dodi. Imperdibile esempio: impegnato a ottenere un tavolo per otto invitati chez Alain Ducasse, Place Athénée a Parigi, l’autore sente al telefono il direttore del ristorante stellato ordinare: «Il faut à tout prix une table pour Maître Tettamanti» e il capo servizio chiedergli: «Mais, c’est qui celui-là?». A quel punto arriva la puntualizzazione: «Maître Tettamanti, mais oui, le mari de la femme aux chapeaux!». E l’autore dei «Flash» annota: «Uno lavora duro tutta una vita per farsi una reputazione, crearsi un posto nella società, e poi viene riconosciuto per i cappelli – oggettivamente originali e molto belli – della moglie!». Il racconto che mi ha ammaliato di più è però quello dedicato all’amicizia con il cuoco Angelo Conti Rossini: «Ul chégh», in buon dialetto brissaghese. È in quelle pagine, come nelle precedenti dedicate a un amico consumista compulsivo (difficile fingere di non capire chi sia il
cardiologo Tiziano...), che Tettamanti avvicina lo stile del citato Wodehouse, il creatore dei romanzi e dei racconti di Jeeves. Oltre al sentito e affettuoso ritratto del grande cuoco di Brissago c’è anche la scoperta dell’amicizia con altri personaggi della sinistra ticinese, dal consigliere di stato Guglielmo Canevascini al sindacalista Alfredo Bernasconi e all’artista Mario Comensoli. Ma sono tanti gli aneddoti e i momenti di ilarità disseminati nei diciotto capitoli: a finanza, economia e politica solo pochi e mirati accenni. Centinaia di «flash» di una freschezza d’altri tempi, mirabilmente rievocata nel finale con le atmosfere «Anni Cinquanta» del Lido di Lugano. Lettura terminata, eccomi sul balcone di casa a ripensare, più che a brasati e risotti, alla magnifica risata dell’Angiulìn. E il ricordo di quel gran comunista di un «chégh», chissà perché, mentre sto guardando le pendici del Brè e le luci di Castagnola, mi fa venire in mente anche il «Ben scavato, vecchia talpa».
Affari Esteri di Paola Peduzzi La Brexit è senza risposte Lo chiamano «Mexican stand off», lo stallo alla messicana, ognuno ha la pistola puntata contro qualcun altro, si aspetta la prima mossa, chi sopravviverà non si sa, e c’è un’alta possibilità che non si salvi nessuno. È l’ultima, istrionica e brutale rappresentazione della Brexit, ne parlano i commentatori e il magazine
«NewStatesman» la mette in copertina: Theresa May, la premier, ha un pesce (sarà uno di quei famosi merluzzi che con la Brexit non si troverà più e addio fish and chips?)nella mano destra puntato contro un falco della Brexit e un pesce nella mano sinistra puntato contro il leader del Labour, Jeremy Corbyn, che in posa da James Bond di fatto si difende e basta: la sua tattica è quella di far ammazzare tutti gli altri, rimanere lui l’ultimo vivo, fare nuove elezioni, vincerle e poi rinegoziare la Brexit (non si sa come, non lo sa nemmeno lui). Gli altri duellanti hanno in mano una banana e una brioche, sembra una battaglia di bambini monelli, e volendo essere leggeri la situazione è un po’ questa, una gang di ragazzini col volto colorato di nero, come gli amici di Peter Pan, non fosse che la Brexit è purtroppo una cosa da grandi. Anzi, proprio questo approccio mezzo comico e mezzo giocoso ha fatto sì che il divorzio del secolo si trasformasse in una farsa, in una somma di favole e leggende e numeri inventati
Zig-Zag di Ovidio Biffi La risata del grande «chégh» Sera di Natale. I 300 canali televisivi sembrano essersi accordati per diffondere fuffa (si diceva «a reti unificate», oggi vien da pensare «a reti imbastardite»). E così, terminata la tombola e chiuso l’uscio dietro nipoti e figli che rientrano alle loro case, eccomi con in mano uno dei libri ricevuti in regalo. Edito da Dadò, porta la firma dell’avvocato Tito Tettamanti. Copertina con una gradazione di blu (non l’azzurro che ti aspetteresti, indaco di Persia) e con l’estro di Orio Galli impegnato a far emergere il Flash del titolo. L’autore, che tutti conoscono, nella presentazione spiega di aver voluto riunire aneddoti e fatti divertenti accadutigli durante la multiforme carriera professionale o nel corso dei tanti viaggi, precisando che «se poi gli amici leggendo sorrideranno» lui ne sarà lieto. Altra precisazione: il titolo non fa riferimento all’arte fotografica (Tito Tettamanti non ha mai scattato fotografie, salvo una, in Cina, come si legge nel libro). È infatti l’esercizio del leggere che, sin
dall’inizio, sprigiona un tripudio di immagini, rendendo il volumetto agile e intrigante, in alcune pagine persino spumeggiante, soprattutto quando il racconto consente al lettore di indovinare o riconoscere i personaggi complici di fatti (e anche di qualche amabile raggiro) divertenti prima ancora che singolari e interessanti. Non mi è mai piaciuto fare recensioni. Ho sempre cercato di schivarle, anche se talvolta sento una spinta contraria, soprattutto quando avverto la possibilità di disobbligarmi per gioia o emozioni provate nella lettura. In questi casi, dovendo nascondere la mia precarietà di «bricoleur» lessicale, di solito cerco aiuto in qualche similitudine. Per questo inizio dicendo che la lettura di Flash di Tito Tettamanti è stata per me assai simile a una gita in qualcuna delle valli meno frequentate del nostro Cantone (ad esempio la Val d’Ambra in Leventina; o la valle della Crotta nel Mendrisiotto), generose nel sorprenderti e nell’entusiasmarti.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Cultura e Spettacoli A concerto con Krylov Il prossimo 24 gennaio l’Auditorio Stelio Molo ospiterà il violinista Sergej Krylov e l’OSI
Fernando Bordoni a Villa dei Cedri È la prima volta che un museo dedica un’intera retrospettiva a Fernando Bordoni, artista con lo sguardo sempre rivolto verso il mondo pagina 37
Nella famiglia Shtisel Netflix propone la serie israeliana di successo Shtisel, in cui si seguono le vicende di una famiglia ultraortodossa di Gerusalemme pagina 38
pagina 36
Il falsario Wolfgang Beltracchi insieme ad alcuni sosia mascherati durante la performance Not Real Beltracchis, realizzata ad Art Basel nel 2016. (Keystone)
Vero? No, veramente falso
Dissimulazioni Falsari che diventano artisti di fama, falsi che diventano opere d’arte: da sempre autentico e falso
sono facce della stessa medaglia
Emanuela Burgazzoli Orson Welles aveva cominciato la sua carriera con un falso (radiofonico) clamoroso nel 1938, facendo credere al pubblico americano a uno sbarco degli alieni. Molti anni dopo, nel film testamento F for Fake il regista di Quarto potere torna a riflettere sulla natura del falso nell’arte, prendendo spunto anche dalla vita rocambolesca del celebre falsario ungherese Elmyr de Hory, nel film interprete di se stesso. Il Novecento ha visto altri celebri falsari riuscire nell’impresa di ingannare critici, pubblico e musei, come Han van Meegeren, specializzato in arte antica olandese, in particolare nella riproduzione di quadri «à la manière de» Vermeer; la sua Cena in Emmaus, è stato dichiarato autentico da autorevoli esperti, venduto e poi acquisito dal Boijmans Museum, che oggi però lo espone non nella sezione dedicata all’arte del Seicento, bensì fra i maestri della pittura contemporanea. In fondo le sue opere non hanno mai perso di valore,
passando dallo statuto di autentici Vermeer a falsi Vermeer e infine a quello di autentici van Meegeren, diventando di fatto anche documenti storici. Il falsario olandese era talmente abile che per salvarsi dall’accusa di alto tradimento nel 1945 esegue una falsificazione in tempo reale in tribunale; poco prima di morire il falsario di Vermeer conosce quindi la fama, riuscendo a prendersi la rivincita anche sui critici che avevano disprezzato i suoi esordi da pittore. Analoga voglia di riscatto nei confronti di un’arte contemporanea che nega il bello e altrettanta leggendaria maestria nel riprodurre «falsi plausibili», caratterizzano Wolfgang (Fischer) Beltracchi. Tradito da un tubetto di bianco, il falsario tedesco dopo aver scontato una pena di sei anni di reclusione per frode in Germania, si è recentemente trasferito in Svizzera, dove può contare su una affezionata e facoltosa clientela alla quale vendere le sue opere, che ora portano la sua firma, e non più quella dei grandi maestri della modernità – da Ferdinand Léger a Heinrich
Campendonk. Un passato da restauratore, Beltracchi è stato talmente abile da piazzare centinaia di dipinti anche in musei e case d’aste e da scoraggiare periti e critici dall’autenticare; persino un collezionista ingannato ha chiesto di riavere indietro il suo «falso» Max Ernst. Ora Beltracchi vive una nuova vita, da artista riconosciuto, invitato a conferenze universitarie e corteggiato da registi e galleristi («DU» gli ha appena dedicato un numero). In una recente intervista – con malcelato orgoglio – dichiara di essere decisamente più autentico di molti artisti contemporanei, «loro sì, autentiche “ fabbriche” in cui conta solo il marchio». Ma per la natura concettuale e la connotazione effimera dei materiali l’arte contemporanea ha visto modificarsi radicalmente il concetto di autorialità; se da una parte la «firma» si è disgregata, dall’altra è diventata un’ossessione. Ossessione anche retroattiva, se a un certo punto ci si chiede quanta percentuale di Velázquez ci sia in un Velázquez. Certo è che con la nascita
del mercato dell’arte alla fine dell’Ottocento acquisisce fondamentale importanza l’attribuzione e la certificazione dell’opera. Le cifre da record battute all’asta negli ultimi anni per dipinti antichi, ma anche contemporanei, dimostrano quanto si sia spinto avanti il processo di mercificazione dell’opera d’arte (e si sa anche quanto la spettacolarizzazione e la sovraesposizione mediatica possano influenzare l’attribuzione, come dimostra la tormentata storia di quello che è considerato l’ultimo Leonardo, il Salvator mundi). Un’ossessione tutta moderna se pensiamo che il Cupido dormiente di Michelangelo, un’imitazione di arte antica, aveva attirato infine l’attenzione di Isabella d’Este, determinata a possedere quel bellissimo falso dello scultore vivente più quotato. Con un atteggiamento forse poco romantico, Isabella aveva già capito, molto in anticipo sui tempi del digitale e dei facsmili di capolavori ad alta definizione, che il fascino dell’aura dell’opera originale che conserva le tracce del tempo e dell’autore,
poco aveva a che fare con il valore estetico dell’opera stessa. Quanto il concetto di autorialità (e di originale) possa essere effimero lo dimostra la vicenda giudiziaria che ha opposto Dieter Roth a un suo gallerista; il primo accusato di aver rimosso la firma con un intervento di «manutenzione» delle sue celebri «Inselbilder», il secondo riconosciuto colpevole di aver completato l’opera con aggiunte (arbitrarie) di gesso. Scoprire che la Gioconda esposta al Louvre non è l’originale dipinto da Leonardo dirotterebbe le interminabili folle di turisti – che sembrano pellegrini in adorazione davanti alle reliquie di un santo – verso altre opere d’arte? Forse sì, o forse no. Illusione e realtà, autentico e falso, copia e originale più che poli opposti, sono particelle in continuo movimento, pronte ad attrarsi o a respingersi con intensità variabile: forse è una delle verità racchiuse già in quell’ironico ed enigmatico sorriso migliaia di volte replicato e citato negli ultimi cinquecento anni.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Cultura e Spettacoli
Un po’ russo, un po’ europeo Classica Sergej Krylov si esibirà il 14 gennaio all’Auditorio Stelio Molo di Lugano –
«Azione» mette in palio alcuni biglietti per la prestigiosa serata
Enrico Parola Dopo la viola e il clarinetto, sarà un violino a guidare l’Orchestra della Svizzera italiana. Il terzo appuntamento del ciclo «Osi in Auditorio» porta giovedì allo Stelio Molo Sergej Krylov, 48enne talento russo che come Yuri Bashmet e Jörg Widmann si esibirà da direttore e solista.
Sergej Krylov ha la fortuna di suonare un violino realizzato da suo padre quando la famiglia decise di trasferirsi dalla Russia a Cremona Il cimento nel doppio ruolo è tutt’altro che saltuario per lui, che dal 2009 guida l’Orchestra da Camera della Lituania; ad ispirarlo è stato proprio Bashmet: «Abbiamo suonato insieme varie volte e spesso lui oltre a suonare dirigeva. Ma al di là di questo particolare tecnico, mi ha ispirato a livello umano; lui è come Rostropovich – ho avuto la fortuna di frequentare anche il grande violoncellista (che tra l’altro definì Krylov «uno dei cinque migliori violinisti d’oggi», ndr.) – un grande artista ma al tempo stesso una persona semplice, umile, normale. Passare del tempo con queste personalità equivale ad assistere a lezioni di vita e non solo di arte». Le une e le altre aveva già iniziato a impartirgliele suo padre Alexander:
Per partecipare «Azione», mette in palio alcuni biglietti per il concerto di Sergej Kriylov con l’OSI che avrà luogo giovedì 24 gennaio 2019 all’Auditorio Stelio Molo RSI di Lugano. Per partecipare all’estrazione basta seguire le indicazioni sulla pagina web www.azione.ch/concorsi.
«Era violinista e fu anche uno dei primi liutai sovietici a studiare in Italia; nel 1971, quando avevo solo un anno, si iscrisse alla scuola di liuteria di Cremona; ha costruito più di 300 strumenti, all’inizio cercando di imitare i modelli di Stradivari e Guarneri, poi elaborando un suo stile». È per questo che nel 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, quando la famiglia Krylov decise di lasciare la Russia la scelta fu rapida: «Andammo a vivere a Cremona. Purtroppo papà non riuscì a godersi a lungo la nostra nuova casa, è morto ad appena cinquant’anni». Non prima di creare, nel 1994, il violino che Sergej tuttora suona e che per lui ha ovviamente un valore inestimabile, superiore agli Stradivari che pur ha imbracciato. Nella città del mitico liutaio Krylov ha perfezionato con Accardo un talento precoce che lo aveva portato a tenere il primo recital pubblico a soli sei anni e a esibirsi con l’orchestra a dieci, solista nel Concerto in la minore di Bach. «Mi considero un musicista russo perché ho avuto la fortuna di crescere in una delle migliori scuole violinistiche del mondo, quella del Conservatorio di Mosca; ma al tempo stesso sono ormai profondamente europeo, il che non snatura ma arricchisce le mie radici». È grazie al trascorso da enfant prodige che non prova tensione o pressione quando sale sul palco: «Mi esibisco davanti a delle persone da quando avevo sei anni: a quell’età si è incoscienti e non si ha paura; quando è arrivata l’età della consapevolezza ero ormai abituato al pubblico, non mi sembrava una giuria ma un elemento ovvio e imprescindibile del concerto; mi sono sempre rapportato con la gente seduta in sala con sincera naturalezza». Krylov riesce a coniugare una tecnica ferrea (ha inciso i 24 Capricci di Paganini per la Deutsche Grammophon) con un’estrema sensibilità espressiva (anche qui testimoniata in dischi dedicati a Vivaldi e Mozart): «Penso che la vera arte inizi quando la tecnica scompare; il pubblico non deve percepire la fatica e lo sforzo di eseguire certe note, bensì il pensiero che si nasconde in ogni brano; l’arte è questo pensiero, è una Bellezza più grande
Le marionette raccontano Da Vinci Home Al Teatro Foce
una pièce nuovissima per tutta la famiglia: biglietti in palio Enza Di Santo
In bilico tra due culture: Sergej Krylov, classe 1970.
di noi, quella con la “B” maiuscola. In questo senso mi piace definire l’artista un “cacciatore della Bellezza”: lo scopo dell’artista è tendere alla perfezione, ma questa perfezione altro non è che la Bellezza». Assieme alla Osi cercherà di trasmettere al pubblico luganese quei pensieri che prendono forma in tre brani assai distanti tra loro. Si parte da Fratres di Arvo Pärt, sequenza quasi
ipnotica di variazioni su un’idea generatrice di sole sei battute; un’essenzialità che è il centro etico ed estetico di questo compositore: «Il complesso e lo sfaccettato mi confondono, devo cercare l’unità; la perfezione sono le tre note dell’accordo, le sento come tre campane». Poi la luminosa Serenata per archi del boemo Dvorak e infine uno dei più amati e appassionanti Concerti per violino, quello di Mendelssohn.
L’inedito spettacolo I segreti di Leonardo della Compagnia Michel Poletti è quasi pronto per andare in scena, sabato 26 e domenica 27 gennaio al Teatro Foce di Lugano, con tutta l’esperienza del suo direttore artistico, che interpreterà dal vivo e attraverso la sua marionetta il geniale artista, architetto e inventore Leonardo da Vinci. Aymone Poletti, al suo fianco, vestirà i panni di un frizzante aiutante, che accompagnerà Leonardo nel suo viaggio tra nobili casate, come quelle dei Borgia e degli Sforza, ricerche tecniche e artistiche e invenzioni futuristiche, quasi sempre fallimentari. Uno spettacolo commemorativo per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo, ideato, oltre che su desiderio di un’organizzazione da Vinci, occupata nell’allestimento a livello europeo di un lavoro su questo genio del Rinascimento, grazie ai numerosi spunti forniti da letteratura e cinematografia. I segreti di Leonardo narra, i tratti salienti dell’infanzia e le opere di questo artista sempre in cammino tra Vinci e Firenze, che però non ha gloria a Roma e Venezia, in una chiave del tutto particolare. Un altalena continua tra grande fama e immenso oblio, che porta a interrogarsi sul «perché» Leonardo fosse così famoso a quei tempi e pure ai nostri. Una storia vera, palesemente romanzata, anche attraverso personaggi di fantasia come la strega Cassandra, si addentra, senza pretese, nei motivi per i quali vi è un interesse rinnovato nei confronti delle geniali, ma inutilizzabili invenzioni di Leonardo, o per i suoi ritratti che sono, sì frutto di grande ricerca tecnica, ma possono anche essere considerati i più bei dipinti al mondo?
Il papà in galleria, il figlio in soffitta Narrativa Nel libro Chiamami sottovoce Nicoletta Bortolotti si china sulla difficile condizione
degli stagionali impegnati nella costruzione della Galleria del San Gottardo Massimo Melasecca Nicoletta Bortolotti con questa sua ultima fatica vuole sensibilizzarci su una questione non trascurabile, occorsa negli anni Settanta, quando gli operai italiani costruivano la Galleria autostradale del San Gottardo. Dalla lettura fluida, il romanzo si tiene a tre voci: quella di Nicole, quella di Michele e una voce narrante che racconta in particolare del personaggio di Delia, della sua famiglia e di alcuni antefatti legati al periodo della Seconda guerra mondiale, per cui i Pizzorno, questo il nome della genealogia familiare, furono tirati in ballo tra potenziali attentatori di Mussolini e voglia di riscatto partigiano. Ma torniamo ai personaggi. Nicole è la figlia di un ingegnere italiano che fa parte di un’équipe di progettatori e coordinatori della mastodontica opera, all’epoca la galleria autostradale più lunga del mondo, che ebbe nell’airolese Giovanni Lombardi il suo principale artefice in termini di concepimento. Michele, è un bambino entrato illegalmen-
La scrittrice è nata a Sorengo ma vive a Milano.
te in Svizzera, nascosto nel bagagliaio dell’auto di suo padre minatore e di sua madre. Delia è la donna che darà loro ospitalità, relegando in soffitta il bim-
bo, per questioni di legge. A quel tempo, infatti, non era possibile portare legalmente i figli con sé. Il povero Michele si ritrova così solo nella soffitta di un paese straniero: Airolo. Il padre lavora in miniera e la madre è occupata, così Michele vede poco i suoi cari. La soffitta diventa il luogo della sua infanzia, tra pranzi portati su e compleanni festeggiati a tende chiuse, per non farsi scoprire. Il libro si rivela al lettore attraverso la ricostruzione biografica dei tre personaggi principali della storia, e le trecento e più pagine si presentano senza intoppi. Avvicinandosi ai nostri giorni, per poi tornare in ricognizione negli anni addietro, Bortolotti muove le storie dei tre personaggi principali del romanzo, riannodando i fili di una trama che tenderà a riavvicinarli, per un’ultima volta, in nome della verità. Nicoletta Bortolotti vuole portare alla luce una realtà della nostra terra risalente a poco meno di mezzo secolo fa, quando a costruire la Galleria del San Gottardo era presente mezza Europa: portoghesi, spagnoli, ma anche ex-
jugoslavi e austriaci. La parte del leone però la facevano soprattutto gli italiani. Quelli che non volevano separarsi dai propri figli li portavano con sé nei bagagliai delle auto, per nasconderli, una volta arrivati a destinazione, nelle case indigene della Leventina, con l’aiuto dei ticinesi. Una realtà, che, a raccontarla come fa la scrittrice nata a Sorengo e che vive e opera a Milano, sembra di tempi ben più lontani e sulla quale non si è scritto molto; ma che ricorda, soprattutto alla nostra generazione di cinquantenni, la nostra infanzia, a cui l’autrice fa spesso e volentieri riferimento attraverso musiche, programmi televisivi, aneddoti e personaggi dell’epoca. Una scrittura dolce, per ricordarci di un tempo lontano e pieno di ricordi, ma anche di misteri e sotterfugi, come Nicoletta Bortolotti ci comunica con questo suo ultimo lavoro. Bibliografia
Nicoletta Bortolotti, Chiamami sottovoce. HarperCollins, 2018.
Michel Poletti, oltre 50 anni di teatro. (www.agendalugano.ch)
Le marionette e con il curato supporto audiovisivo di Lucia Bassetti, illustreranno alcuni episodi della vita dell’artista come per esempio la traversata a piedi delle Alpi per arrivare a Amboise, dove il Re di Francia gli conferì il titolo ufficiale di artista. Una vita in viaggio, o forse in fuga, oppure ancora alla ricerca di qualcosa, forse di un sogno, in una pièce ricca di colore. L’evento è sostenuto dal Percento Culturale di Migros Ticino, che in collaborazione con «Azione» offre ai suoi lettori biglietti omaggio per lo spettacolo I segreti di Leonardo che si terrà domenica 27 gennaio, alle ore 16.00, al Teatro Foce di Lugano. Per partecipare all’estrazione, basta seguire le indicazioni riportate sulla pagina web www.azione.ch/concorsi. Buona fortuna!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Cultura e Spettacoli Fernando Bordoni TM-05.06/III, 2006. (Museo Villa dei Cedri, Bellinzona donazione dell’artista 2015 foto Roberto Pellegrini © Museo Villa dei Cedri, Bellinzona)
Preziose porcellane Mostre/2 Tutti i colori dei vasi imperiali
cinesi, in esposizione a Ginevra
Vaso Meiping verde moiré, Dinastia Qing, regno di Yongzheng (r. 1723-1735). (© Collection Zhuyuetang, foto Barry Lui)
La poetica razionalità dell’arte Mostre/1 Il Museo Villa dei Cedri a Bellinzona dedica
una retrospettiva a Fernando Bordoni Alessia Brughera Il fatto che il pittore ticinese Fernando Bordoni appartenga a quel novero di artisti il cui lavoro non è stato adeguatamente approfondito dalla critica della seconda metà del Novecento, in particolare da quella degli anni Sessanta e Settanta, è già di per sé indizio evidente di quanto la sua indagine abbia saputo percorrere una traiettoria atipica, distante dagli orientamenti egemoni del periodo e quindi dagli esiti più considerati e investigati dal mondo dell’arte del nostro cantone. Se è corretto classificarlo tra gli esponenti della corrente astratta geometrica, Bordoni, nato a Mendrisio nel 1937, non ha però condiviso le ricerche che su questo versante erano in atto in Ticino in quegli anni, sia quelle ispirate dal gruppo comasco, artefice di un astrattismo più idealista dall’anima italiana, sia quelle influenzate dai concretisti zurighesi, fautori di un linguaggio più razionale dal carattere svizzero.
Quella di Bellinzona è la prima retrospettiva che un istituto museale dedica al pittore ticinese A rendere peculiare la produzione di Bordoni è stata la sua capacità di guardare con occhio attento le tendenze artistiche del panorama internazionale, tendenze con cui viene a contatto durante i suoi numerosi viaggi all’estero, soprattutto nella fervida Londra, dove le opere di maestri quali Francis Bacon e Henry Moore alimentano con vigore la sua creatività. Scrutatore accanito, spirito ricettivo e mente curiosa, dopo i soggiorni alla ricerca di nuovi stimoli Bordoni ha sempre fatto ritorno nel suo Ticino per rielaborare in chiave personale le esperienze acquisite. È difatti nel suo atelier di Lugano che tutti gli impulsi raccolti vengono ripresi e im-
piegati dall’artista come elementi per formulare una cifra stilistica in continua evoluzione e maturare nel tempo un’espressione misurata e autentica, un astrattismo non a torto definito da molti lirico, che fa del raffinato accostamento del segno e del colore il suo punto di forza. Il cammino fecondo di Bordoni, contrassegnato da uno studio assiduo fatto di approdi, nuovi inizi, recuperi e approfondimenti nell’intero arco del suo sviluppo, viene testimoniato dalla mostra allestita nelle sale espositive di Villa dei Cedri a Bellinzona, prima retrospettiva che un istituto museale dedica al pittore ticinese. La rassegna, che ben documenta la produzione di Bordoni dagli esordi braidensi ai lavori più recenti, prende vita dal prezioso fondo di oltre centotrenta opere di proprietà del museo da cui sono stati selezionati per l’occasione i dipinti e le carte che meglio potevano raccontare il processo creativo dell’artista. Tale fondo è un importante nucleo incrementato nel corso degli anni, nato da una prima donazione che il pittore fa nel 1997 a Villa dei Cedri e arricchito poi dalle molteplici acquisizioni museali e da un secondo ampio lascito di Bordoni costituito da un centinaio di pezzi. Ad accoglierci all’inizio del percorso sono le opere della formazione all’Accademia di Brera e quelle realizzate nei primi anni Sessanta, quando, a contatto con la scena artistica del capoluogo lombardo, Bordoni si avvicina alle suggestioni della corrente informale. Alcuni lavori documentano anche l’interesse che nello stesso periodo il pittore mostra nei confronti di alcune figure chiave dell’arte anglosassone e americana: Omaggio a Gor, del 1961, ad esempio, è un tributo all’artista Arshile Gorky e alla sua potente resa del segno che definisce e astrae la figura umana e le forme del naturale. La fascinazione per la Pop Art, poi, movimento di cui Bordoni in ambito ticinese è stato uno dei pionieri nel sondare le potenzialità, emerge da opere quali TV-TS 50, del 1969, un acrilico dalle tinte efferve-
scenti che strizza l’occhio alla società consumistica. Di seguito è la volta dei lavori che rivelano il graduale accostamento di Bordoni all’astrazione geometrica, un processo che, partito negli anni Settanta con le sperimentazioni legate alle impronte degli pneumatici, ha trovato nei decenni a seguire un’espressività sempre più incisiva e sofisticata. Ecco allora che dai primi studi sulle tracce dei copertoni d’automobile, l’artista avvia una ricerca basata sull’esplorazione dei valori formali della geometria. Nelle sue opere incomincia a comparire con insistenza una griglia che stabilisce le coordinate spaziali su cui intervenire. Il reticolo, talvolta evidente, più spesso appena riconoscibile, è ordine, razionalità, armonia: la superficie scrupolosamente suddivisa diviene per Bordoni il luogo su cui depositare il suo calibrato repertorio di segni e di colori. La disciplina di un impianto vincolante si fonde così con la freschezza del segno vibrante e con il vitalismo cromatico. È su questa onnipresente trama che Bordoni evolve il suo universo creativo. Dapprima si incontrano gli alfabeti degli anni Ottanta e Novanta, eleganti calligrafie attraverso cui l’artista riflette sulla pura qualità formale ed estetica delle lettere, poi le serie di dittici pittorici dei primi anni Duemila, composizioni di tratti curvilinei che si dispongono in accostamenti multiformi, infine le opere più recenti, caratterizzate da una maggiore essenzialità e da una rinnovata tavolozza che si avvale della preziosità dell’oro e del candore del bianco per generare inediti giochi di percezione, sempre sospesi tra il rigore della ragione e la libertà dell’istinto e dell’emozione.
Marco Horat «Una sinfonia monocroma» è stata definita la mostra eccezionale – come dicono i responsabili della Fondazione Baur, museo delle arti dell’Estremo Oriente di Ginevra – che riunisce per la prima volta in Europa duecento pezzi ceramici provenienti da due collezioni private uniche al mondo: quella del fondatore del museo ginevrino Alfred Baur, che con la collaborazione del mercante d’arte giapponese Tomita Kumasaku riunì una serie di capolavori negli anni tra il 1928 e il 1951; e quella ancor più straordinaria proveniente da Hong Kong, messa assieme da Richard Kan, che costituisce l’insieme detto Zhuyuetang cioè Il Padiglione di bambù e della luna. Kan è un appassionato e competente collezionista di origine cinese, discendente da una famiglia che aveva fondato una grande impresa per la produzione e il commercio del tabacco; con studi ingegneristici anche in Europa. Dopo aver acquistato da Sotheby’s la sua prima teiera imperiale monocroma non si è più fermato nell’acquisire i capolavori che il mercato internazionale offriva, sempre all’insegna del motto «buy only the best»; una passione che è diventata una ragione di vita. È così nata una eccezionale raccolta (sembra sia la più grande al mondo) di porcellane di un solo colore che sono un vero incanto per gli occhi, sia quando la tinta è unica – verde, celeste o il giallo, riservato al sovrano – sia quando invece presenta quelle sfumature cangianti che creano effetti iridescenti sulle forme armoniche del vasellame. Un tempo riservate alla Corte imperiale cinese e ai suoi funzionari, sono oggi fortunatamente visibili a tutti. Nella presentazione della mostra si parla della «forza suggestiva che questi
colori sanno infondere in chi li osserva, grazie alla loro purezza e alla mancanza di orpelli decorativi, così da avvicinarsi al concetto di bellezza assoluta»; e questo al di là delle mode e del contesto storico, artistico e tecnico che nelle sale del museo si è pur ricostruito per fornire al visitatore ulteriori informazioni utili a inquadrare questa straordinaria espressione che attiene alla sfera del sacro e del profano. Il periodo storico di riferimento è ampio e va dalla Dinastia Tang (618-907) ai Song (960-1279), ai Ming (1368-1644) e ai Qing (1644-1911) con i quali si chiude un po’ tristemente, nella persona di Pu Yi, la storia millenaria del Celeste Impero, o Impero di mezzo che dir si voglia. Da due musei francesi provengono invece i ritratti di un imperatore e di una concubina imperiale del periodo Qing detta «la Gioconda cinese», dovuta al pennello di un artista missionario gesuita; il sovrano invece è l’Imperatore Qianlong (1736-1795), dipinto su fondo di porcellana di Sèvres, quasi a rendere tangibile l’incontro tra due tradizioni culturali diverse. Per i curiosi e gli appassionati di chimica e degli aspetti tecnici legati agli ossidi metallici utilizzati nella colorazione della porcellana, il Musée d’Histoire naturelle di Ginevra presenta una raccolta di minerali che stanno alla base, unitamente all’estro e alle competenze degli artigiani-artisti cinesi, di quel miracolo cromatico che sono le porcellane imperiali esposte ora alla Fondazione Baur. Dove e quando
Mille ans de Monochromes. Vaisselle sacrée et profane des Empereurs de Chine, Fondation Baur, musée des arts d’Extrème-Orient, Ginevra. Fino al 3 febbraio 2019. www.fondationbaur.ch
Dove e quando
Fernando Bordoni. Tracce dell’(in)visibile. Museo Villa dei Cedri, Bellinzona. Fino al 3 febbraio 2019. Orari: da me a ve 14.00-18.00; sa, do e festivi 10.00-18.00; lu e ma chiuso. www.villacedri.ch
Coppa lobata, porcellana rivestita di smalto turchese, Dynastia Qing, regno di Yongzheng (r. 1723-1735). (© Collection Zhuyuetang, foto Barry Lui)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 gennaio 2019 • N. 03
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Cultura e Spettacoli
A casa del patriarca Shulem Shtisel Netflix Shtisel, la serie israeliana che racconta le vicende di una famiglia ultraortodossa
Simona Sala Si trattava certamente di una sfida importante. Infatti, sebbene la letteratura e il cinema abbiano dalla loro storie, drammi e vita quotidiana dell’intrigante quanto blindato mondo degli ebrei ultraortodossi (pensiamo ad esempio ai libri di Pearl Abraham o a Kadosh di Amos Gitai, ma anche a Disobbedienza di Naomi Alderman, in cui si tematizza l’omosessualità nel mondo ortodosso o a Unorthodox di Deborah Feldman), diversa è la sua rappresentazione su piccolo schermo. Ora però in qualche modo è come se le porte dell’ebraismo ultraortodosso si fossero spalancate, ed esso avesse raggiunto le case di mezzo mondo grazie alla piattaforma globale di Netflix.
Shtisel prende lo spettatore per mano e in punta di piedi lo accompagna in un mondo nuovo Shtisel, serie israeliana di successo, realizzata dai giovani Ori Elon e Yehonatan Indursky, sceneggiatore il primo e regista il secondo, dallo scorso dicembre anche su Netflix, colpisce sin dalla prima inquadratura, trascinando lo spettatore nel quartiere gerosolimitano di Geula, nel cuore della numerosa famiglia dell’imponente rabbino Shulem Shtisel. Gli Shtisel sono degli ebrei appartenenti alla rigida corrente Haredi, che rifiuta ogni forma di secolarizzazione: i matrimoni sono organizzati da un sensale, le donne portano il capo
Il patriarca Shulem, la bella Elisheva e il luftmensch Akiva.
Doval’e Glickman e Sasson Gabai nei panni dei due fratelli Shtisel. (you tube)
coperto, i contraccettivi sono proibiti, i bambini frequentano scuole religiose, è vietato interagire con i cani e via discorrendo. Fra i protagonisti della serie vi è l’indiscusso patriarca Shulem (interpretato da un intenso Doval’e Glickman), che con grande fatica e dolore si barcamena nel suo nuovo status di vedovo inconsolabile – anche se la sua amata Dvorah lo visita sotto forma di sogni o visioni (e in questo ricorda il defunto Melnitz nella Fortuna dei Meijer dell’autore svizzero Charles Lewinsky). La vita di Shulem è piena di impegni, dall’anziana madre Bube Malka (che parla un delizioso yiddish) da visitare in casa di riposo, all’insegnamento ai bambini nell’heder, senza dimenticare le onnipresenti connection di famiglia, che contemplano, nella cerchia più stretta, le figlie Rachel, moglie di un missionario, e Giti Weiss, nemmeno trent’anni ma incinta del sesto figlio, e alle prese con un marito colpito da una profonda crisi di coscienza che lo porterà a recidersi i cernecchi e a stare lontano dalla famiglia per molti mesi; vi sono poi i figli maschi Zvi Aryeh, studente di yeshiva dalle ambizioni frustrate e una voce meravigliosa, e l’etereo luftmensch Akiva. Intorno a
Shulem ruotano inoltre nemici, amici, altri parenti, come lo scaltro fratello Nochum, che vive ad Anversa con la bella figlia Libbi, e addirittura spasimanti rimaste a loro volta vedove e desiderose di risposarsi, come la cara Aliza o la avida signora Kenigsberg. Altro grande protagonista della serie è Akiva: interpretato brillantemente dal bel Michael Aloni, a quasi trent’anni vive ancora con il padre, poiché nessuno degli incontri amorosi (in occasione dei quali ci si trova a tu per tu con una ragazza e si discorre del più o del meno, decidendo negli incontri successivi se valga la pena di concludere un matrimonio) organizzatigli dal sensale Kenigsberg nella hall dell’hotel Kings, è andato a buon fine; nemmeno quello con la bella e bramata «due volte vedova» Elisheva, che nonostante le apparenze e un lavoro in banca si sottomette di buon grado alle regole della comunità ortodossa. La vita di Akiva assomiglia a quella di molti giovani, anche non ortodossi: fatica a trovare la propria strada, tenta diversi mestieri tra cui quello di insegnante nell’heder in cui lavora anche il padre o quello di «affitta stufette-elettriche» – d’inverno anche a Gerusalemme può fare molto freddo. Non vi fosse poi anche quel suo
vizio, tanto inviso all’ultraortodossia, che da noi si chiama arte… Akiva infatti vive per disegnare, ricopia i lemuri allo zoo, le persone che lo circondano, osserva la realtà con sguardo trasognato. Ha insomma un talento fuori del comune e una certa incapacità di difendersi, dovuta sì a un’insicurezza intrinseca, ma anche alla religione di appartenenza, che prevede la necessità di seguire un percorso prestabilito e che si perpetua da secoli. Il suo tormento interiore e quella malinconia che ne vela gli occhi, aggiunti alla sua proverbiale incapacità di costruirsi la vita che da lui ci si aspetterebbe, lo rendono un luftmensch, ovvero una persona fatta d’aria, inconsistente. Soffrono i personaggi di Shtisel. Così come amano e sperano, ma sempre con una modalità trattenuta che riveste il film di una solida patina di discrezione. Anche quando si ride, magari pensando di riconoscere il tipico humour ebraico, lo si fa con garbo. A questo proposito è ad esempio esilarante il personaggio di Rebetzen Erblich, migliore amica di Bube Malka in casa di riposo che, oltre a credere di saperla più lunga degli altri su ogni possibile argomento, nella propria stanzetta gestisce un ufficio cambi illegale, poi ri-
levato da Giti Weiss, che deve sbarcare il lunario dopo la temporanea fuga del marito Lippe. Non si ha mai l’impressione di spiare un mondo proibito, ma di osservarlo con rispetto, ed è forse questa la caratteristica della serie (della quale è in programma un remake ambientato a Brooklyn) che, giunta alla fine della seconda stagione, ha ricevuto un’accoglienza unanimemente calorosa. Il timore che si potesse offendere l’ultrasensibile comunità ortodossa era reale e ben fondato, ma non è andata così. Come hanno dichiarato perfino i giornali israeliani, Shtisel, grazie alla sua pacatezza e a un plot solido, per quanto privo di colpi di scena eclatanti, riesce a creare nello spettatore una dipendenza quasi immediata, ma anche un certo affetto verso i protagonisti. Sullo sfondo delle vicende di personaggi realistici, delineati con precisione e pieni di umane passioni, si staglia una Gerusalemme affascinante e immutata da millenni. Una città operosa, mossa al suo interno da anime molto diverse e spesso addirittura contrapposte ma che, come ben dimostrano le ventiquattro puntate delle prime due stagioni, pensano, vivono e amano, come tutti gli esseri umani del mondo.
Prendi una cascina abbandonata Fotografia Dona De Carli espone al Canvetto Luganese una serie di fotografie che prendono spunto
da un incontro fortuito con un luogo molto suggestivo Giovanni Medolago Dona de Carli è un’archeologa della memoria. Scava non già con vanghe e zappe, perché la sua metafisica ricerca di quel tempo perduto vagamente proustiano è condotta con l’apparecchio fotografico: vuoi la vecchia Voigtländer (eredità familiare), vuoi con un’apparecchiatura più moderna. Il progetto Cà da l’om nasce nel lontano 1995, quando scarpinando sui monti delle Centovalli – per la precisione scendendo dal Pizzo Leone verso la Melezza – Dona si imbatte in una minuscola cascina delle dimensioni di due metri per due: «Mi trovai davanti una porta socchiusa... aperta. Venni catapultata dento un mondo reale fatto di oggetti che, nella penombra, si manifestavano a stento nella loro forma».
L’abitazione sembra essere stata abbandonata in fretta e furia, lasciando tutto così com’è: un giornale dimenticato sul tavolo e un calendario datato 1979. Una presenza/assenza che suscita l’interesse delle fotografa. Un interesse immediato quanto «spalmato» su più visite nel corso degli anni. Dona, armata pure di candele e una pila, fa di quell’ambiente rustico e umile la tela bianca su cui dipingere. Immagini realistiche che testimoniano la dignità di un’esistenza stentata quanto ordinata nella sua quotidianità (compassionevole la matita Caran d’Ache consumata allo spasimo epperò conservata con cura in una scatola di fiammiferi); affreschi astratti dove l’Artista gioca con tutte le sfumature possibili tra bianco e nero e in cui spesso e volentieri irrompe improvvisa una luce pura, incontaminata.
La mostra attualmente in corso al Canvetto Luganese – a cura della Fondazione Diamante – testimonia «lo srotolio delle stagioni» dove polvere e ragnatele hanno segnato l’inesorabile scorrere del tempo, dandoci altresì l’occasione di fantasticare su un’esistenza misteriosa ma non anonima, segnata da consuetudini mutuate dal contatto con una natura aspra, talvolta addirit-
tura ostile e che a stento garantiva la sopravvivenza. Accompagna l’esposizione un prezioso petit cahier – così lo definisce la stessa Dona – curato dalla grafica locarnese Miki Tallone e arricchito dai testi di Agostina Lavagnino («Scatti che formano un racconto, che fermano le schegge di una vita e gli oggetti dell’anima»), di Daniele Maggetti («Quell’Uo-
mo lo riconosciamo e la sua ignota singolare vicenda diventa la nostra») e dello scrittore/poeta René Char («Sono stato cresciuto tra fuochi di legna/ sull’orlo di braci che non finivano mai in cenere»). Da segnalare infine l’ottimo lavoro dello stampatore/artigiano/artista Roberto Forlano che nel suo atelier di Mendrisio («Dove spesso ci si accapiglia – confessa Dona – ma solo per ottenere il meglio!») ha realizzato i trittici su carta in cotone. Dove e quando
Trittico di Dona De Carli in mostra al Canvetto.
Dona De Carli, Ca da l’Om... attraverso il silenzio che nemmeno scalfisce... Canvetto Luganese, Lugano, (Via Simen 14b); fino al 26 gennaio 2018. Orari: ma-sa 8.30-24.00. cultura.canvettoluganese.ch
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Tempo di Sanremo Il tempo fugge, l’inesorabile tempo, e nel cielo d’Italia sta per battere ancora una volta l’ora del Festival di Sanremo, che per la verità sarebbe il Festival della Canzone ma, si sa, le canzoni sono l’ultimo pensiero al mondo per gli organizzatori e per gli spettatori. Tanto è vero che il giorno dopo la proclamazione della canzone vincitrice nessuno se la ricorda più. Tutta l’Italia si ferma e trattiene il fiato per una settimana per un evento che è solo una gigantesca cornice attorno al nulla. Durante quella settimana i palcoscenici dei teatri sono calcati da quegli artisti che nel resto dell’anno non troverebbero una scrittura e, in ogni caso, accettano solo contratti che prevedono il pagamento a cachet, anziché a percentuale sull’incasso. Non è sempre stato così, un libro del giornalista sanremese Claudio Porchia racconta, aiutato da una ricca documentazione fotografica, i primi 25 anni del Festival, che si svolgeva al teatro del Casinò, dal 1951 al 1976.
Dall’anno successivo, l’evento traslocò al teatro Ariston e fu tutta un’altra storia. Nelle prime due edizioni, quando era solo ripreso e trasmesso dalla radio, la platea del teatro era occupata dai tavolini attorno ai quali sedevano, bevendo, mangiando e parlando, gli ospiti del Casinò che offriva gratuitamente l’intrattenimento. L’orchestra diretta dal maestro Cinico Angelini suonava, i cantanti (Nilla Pizzi, Achille Togliani, il duo Fasano) si sgolavano e i camerieri si aggiravano fra i tavoli servendo cibi e bevande. Il presentatore Nunzio Filogamo, per ottenere un po’ di silenzio e di attenzione, s’inventò un saluto diventato proverbiale: «Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate». Orchestra e cantanti eseguivano tutte e venti le canzoni in gara. In compenso o forse grazie a questo stile da dopolavoro, dal giorno dopo tutta l’Italia cantava le canzoni vincitrici e ancora adesso l’enunciazione del titolo fa tornare in mente, a noi
che c’eravamo, le parole e il motivo delle prime tre classificate. Fin dalla prima edizione non mancano le polemiche. La manifestazione è promossa dall’azienda turistica della Riviera dei Fiori, si svolge nella Città dei Fiori e qual è la canzone vincitrice? Grazie dei fior. Da lì il sospetto di una manipolazione del verdetto. In compenso nessuno ha pensato a preparare un mazzo di fiori da consegnare a Nilla Pizzi. Un cameriere più sveglio degli organizzatori arraffa dai tavolini della sala un po’ di garofani appassiti, li assembla e compone il mazzo da offrire alla cantante. Siamo ancora in radio e il resto d’Italia non s’accorge di nulla. La televisione italiana, iniziata il 4 gennaio 1954, sbarca a Sanremo per riprendere il festival solo a partire dalla quinta edizione, nel 1955. E inizia subito a imporre le sue regole, a iniziare dalle scollature delle cantanti: nel 1958 Jula de Palma non volendo cambiare un vestito che offriva un panorama a giudizio dei dirigenti della Rai troppo vistoso, fu
costretta ad applicare una grande rosa sul petto. Sempre in quel 1958, il regista delle riprese televisive era Vittorio Brignole, un anziano napoletano che proveniva dal teatro. Durante le prove c’era un cantante che durante l’esibizione faceva dei salti alzando le braccia al cielo e Brignole spedì il suo aiuto a dire a quel signore che cantasse pure quello che voleva ma che non facesse salti né alzasse le braccia perché, così facendo, usciva dall’inquadratura. Si trattava di Domenico Modugno che avrebbe vinto quell’edizione con Nel blu dipinto di blu, la canzone italiana più venduta di tutti i tempi. Per fortuna quel signore ha continuato a saltare e ad alzare le braccia per il resto dei suoi giorni. Come racconta il fotografo Andrea Moreschi, la mattina dopo la vittoria Modugno si presenta nel suo studio per realizzare immagini pubblicitarie per un amico che aveva una piccola azienda con la quale produceva e vendeva apparecchi radio. Per fargli un favore, non per guadagno. Altri tempi,
ora tutti, prima ancora di affacciarsi nel mondo dello spettacolo, si fanno rappresentare da un agente. Le canzoni erano eseguite da due diversi cantanti. I quotidiani volevano la fotografia della coppia dei vincitori, ma l’intervallo di tempo era troppo breve fra la proclamazione e l’avvio della stampa. Così nei giorni precedenti i concorrenti accettavano di mettersi in posa simulando un’ipotetica vittoria. In quell’Italia democristiana tutti i cantanti prima dell’inizio della gara andavano nella chiesa dei frati Cappuccini per assistere alla Messa. Quasi subito iniziò la ricerca di ospiti illustri. Nel 1968, in un festival visto oramai in Mondovisione, arrivò Louis Armstrong per cantare in coppia con Lara Saint Paul. Dopo l’esibizione, il grande trombettista jazz iniziò a suonare When the Saints Go Marching in, pensando di iniziare il concerto. Trascinato in camerino, non riusciva a capacitarsi: «Mi avete dato tutti questi soldi per una canzone di pochi minuti?»
daremmo del lei si evincerebbe dall’uso di un linguaggio adeguato al rango, ma in quelle circostanze non era il caso di pretendere raffinatezze). Un fulmine a ciel sereno. Ma capisco: questi giovani manager hanno quindici giorni per «rubare» tutto quello che possono dalle lezioni, dagli incontri, dalla vita milanese. Metto via i fogli, lascio la cattedra, mi avvicino. Chiedo a loro di dirmi chi sono e da dove vengono, e capisco ancora meglio: vengono dal nord Africa e dal vicino Oriente, sono algerini, tunisini, palestinesi, egiziani. Le donne hanno il capo un po’ coperto da fasce e foulard, ma come se fosse per caso, insomma musulmane all’occidentale. Non hanno tempo, questi ragazzi, per elaborare teorie, per ascoltare astrattezze, a loro servono esempi concreti. Se poi vengono da chi vive in prima persona, meglio ancora, non si tratta di applicare la teoria (appunto) del «caso» costruito ad arte, ma di trasmettere vita vissuta. Quindi, tranquillamente, racconto la mia vita da «umanista», a partire
dagli studi universitari. Fanno mille domande, nasce una tale empatia che mi sento di tirare fuori dalla memoria anche realtà poco belle, come un caso di mobbing che ho dovuto sopportare, ormai venti anni fa, per il quale è stata utilizzata nei miei confronti la solita calunnia della donna facile e bugiarda. Il pubblico si infiamma, maschi e femmine commentano il fattaccio. Cominciano a parlare francese, che per molti è la lingua madre, suggerisco loro di usare con tranquillità la lingua che viene più facile, quindi il cicaleccio diventa anche divertente, si intrecciano inglese, francese, italiano. Emerge da questi ragazzi un senso di rispetto per la donna che mi lascia senza parole, molti europei avrebbero da imparare, per primi coloro che mi scatenarono contro le solite calunnie, allo scopo di ottenere che liberassi un posto in università in favore di un altro (maschio, ovviamente). Mi chiedono come mi comporterei oggi se mi ricapitasse la disgrazia di essere calunniata in un ambito appic-
cicoso come la vita privata e intima, sentimentale e sessuale. Rispondo che a distanza di vent’anni ho imparato una cosa fondamentale: proprio perché si tratta di materia collosa, ho imparato che vince chi non si agita, chi sta al suo posto tranquillamente. Allora piansi e parlai con tutti, ottenendo solo che la «notizia» del mio comportarmi «male» arrivasse nei posti più reconditi della penisola. Oggi forse riuscirei a rimanere salda nel mio avere ragione, almeno ci proverei. Il dibattito è sempre più vivace, la solidarietà di questi giovani manager è davvero bella, continuo a rimanere affascinata dalla libertà del loro pensare, dalla franchezza con cui raccontano la vita delle donne nei loro paesi. Sono trascorse due ore gradevolissime, allo scadere del tempo a nostra disposizione applaudono, io li imito, perché anche loro meritano un applauso, per come mi hanno regalato comprensione, ricchezza interiore, senso di libertà e, perché no, un inatteso affetto.
esempio, lamenta di non comparire nel catalogo Guanda pur essendo lei l’autrice dell’Introduzione del Fiore dell’Antologia Palatina. E si capisce la delusione se si approfondisce, nelle lettere, la fatica immane che comporta quel lavoro oscuro: «Sto battendo a macchina gli ultimi sessanta epigrammi, finiti all’alba stamane». Unita all’umiliazione del dover subire la «violenza verbale» del Grande Poeta (voto 2) quando lei rivendica qualcosa di più. Le resterà una piccola possibilità di vendetta nel rivolgersi a Giuseppe Ungaretti, che del poeta siciliano era nemico giurato e dunque immediatamente pronto a darle ascolto. È vero che nell’aprile 1960 troviamo la Vassalini a Patrasso con Quasimodo in visita ufficiale, ma questo non basta a immaginare che si sia trattato di un viaggio compensatorio. In realtà la «negritudine» femminile è stata un malcostume diffuso nell’ambiente letterario italiano. C’è una Gentile Signora alla quale parecchi scrittori
dovrebbero essere grati. E non sono nomi da poco: Elio Vittorini, Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda, il poeta ligure Camillo Sbarbaro e altri. Si chiama Lucia Morpurgo e dopo il matrimonio con il pittore Paolo Rodocanachi detto Cian, celebrato nel 1930, sarà nota con il cognome del marito. Le lettere di Vittorini alla Rodocanachi, pubblicate nel 2016 dalla casa editrice Archinto, sono significative e a tratti dolorose. È una collaborazione controversa, che prende avvio nel 1933 e che dura per un decennio circa: con traduzioni impegnative, da D.H. Lawrence, Somerset Maugham, Faulkner, Powys, Saroyan, Steinbeck, Fante, Poe, Defoe, Wilder, Dickens, Galsworthy, Shakespeare… Con la promessa, non mantenuta, di rendere visibile, accanto a quello del Grande Scrittore (voto 2), il nome della Gentile Signora, che rimarrà invece relegato sempre nell’oscurità. E anche sul piano economico le cose non andranno per nulla lisce, tra compensi
in ritardo o addirittura negati. «Farsi aiutare – ha notato il critico Edoardo Esposito – rientrava, ieri come oggi, in una pratica moralmente discutibile eppure largamente seguita». Con risvolti però anche molto imbarazzanti. Come quando, nel dicembre 1935, l’«indegno amico» (così si definiva Vittorini nelle fasi in cui il senso di colpa del «negriero» si faceva più acuto), trovandosi squattrinato a Milano, falsificò la firma per incassare un assegno intestato alla stessa Rodocanachi. Pochi sanno del resto che il grande Montale, dopo aver sfruttato la stessa Gentile Signora, ebbe una bega giudiziaria mica da poco nel 1947 in seguito a una causa per plagio intentata da Bice Chiappelli per la traduzione di Strano Interludio di Eugene O’Neill. Fu un iter lunghissimo, per cui il poeta a un certo punto non dormiva di notte: «se non esco bene da questa faccenda impazzisco», scrisse in una lettera. Ne uscì malissimo nel 1953, con una condanna (voto 2).
Postille filosofiche di Maria Bettetini Lezioni di umanità Due ore di lezione a una dozzina di manager tra i trenta e i quarant’anni. Non saranno italiani, quindi la lezione sarà in inglese e dovrà trattare del valore degli studi umanistici per chi ha studiato e pratica finanza ed economia. Questo è quanto sapevo a proposito della richiesta proveniente dal direttore di un master sull’innovazione. Ho accettato l’invito, anche per il piacere della novità del particolare target, di solito parlo a studenti, oppure a un generale pubblico di adulti se tengo una conferenza o una lezione a qualche festival, oppure ai colleghi, nel caso di convegni e seminari (questo il pubblico più temibile). Dunque mi sono preparata e a differenza del solito ho scritto una ventina di cartelle, quando si fa lezione in una lingua straniera è meglio avere il supporto di un testo scritto. Anche perché la direzione del master mi aveva avvisato: l’uditorio sarebbe stato di alto livello, giovani vincitori di borse di studio, molto ben preparati. Nel giorno convenuto, un po’ trepidante mi sono avviata verso la ca-
scina ristrutturata sede del master. Per valutare il grado di trepidazione basti dire che ho sbagliato cancello e sono entrata nella casa di allibiti proprietari, che mi hanno indicato la cascina più avanti, in fondo alla via. Quindi di corsa ho raggiunto il posto giusto. In aula trovo i «ragazzi». Mi presento, prendo i fogli, comincio a parlare. Dopo tre minuti, in un inglese non proprio oxoniense, uno dei presenti mi chiede perché sono lì e chi sono. Ribadisco nome e professione. Un altro chiede di cosa intendo parlare. Ribadisco il titolo della lezione, che riprendo con sempre minor sicurezza. Mi interrompono: non sono interessati alla teoria. Non intendono ascoltare tematiche astratte. Interviene una donna, avvolta in camicione e foulard vari: non ci importa nulla dei tuoi discorsi, noi vogliamo sapere di te. Eeeeh? Sì, la lezione è sul senso degli studi umanistici, tu sei una filosofa, parlaci di te (consento l’uso del tu, perché tanto in inglese sempre di you si tratta, il rispetto per la persona a cui noi
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Un #metoo della letteratura? A proposito di #metoo, varrebbe la pena ricordare non solo lo sfruttamento in ambito di jetset cinematografico, e varrebbe la pena non limitarsi alla molestia sessuale. Un filone sotterraneo è quello dell’«abuso» intellettuale realizzato da uomini (Uomini) di cultura al di sopra di ogni sospetto su donne al di sotto di ogni visibilità. Donne invisibili che lavorano da negresses per i grandi personaggi del mondo culturale. Ultimo caso affiorato alla luce è quello di Salvatore Quasimodo, premio Nobel della Letteratura nel 1959. Ebbene, un saggio recente, titolo Nell’ombra del poeta, autrice la studiosa Elena Villanova (Carocci editore, cui va assegnato un 6 – per il coraggio impressionante con cui continua a pubblicare saggistica letteraria di qualità), rivela che un bel malloppo di traduzioni da lui firmate non è farina del suo sacco. Nel Centro Manoscritti di Pavia si conservano le carte delle versioni dell’Antologia Palatina (quasi trecento epigrammi
greci che sarebbero stati pubblicati in volume da Guanda nel 1958): se finora si pensava che quelle carte testimoniassero le varie fasi del processo di traduzione realizzato dallo stesso Quasimodo, adesso si scopre che il grosso del lavoro, quello preliminare, si deve a Caterina Vassalini, professoressa di greco e latino al liceo Maffei di Verona. Dalle 172 lettere (inedite) inviate al poeta risulta chiaro che è lei a studiare l’originale greco, a confrontare le varie edizioni, a risolvere i problemi di interpretazione e persino a fare la scelta antologica. Al poeta non resta che riformulare in versi la traduzione di base («interlineare e di scolastica memoria») che gli veniva fornita dalla Vassalini. La quale passa dalla venerazione gratuita («C’è stato un tempo – scrive – in cui mi sarebbe bastato questo: di correggere le Sue bozze, senza sperar mai di vedere il mio nome accanto al Suo») all’atroce delusione e irritazione di sapersi sfruttata e di vedersi «eliminata». Quando per
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Filets Gourmet à la Provençale Pelican, MSC surgelati, 800 g
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iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute: ogni giorno nuovi consigli, ricette e prodotti ricchi di vitamine per un’alimentazione sana ed equilibrata. migros-impuls.ch/francovitaminico OFFERTE VALIDE SOLO DAL 15.1 AL 21.1.2019, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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