Anno LXXXVII 22 gennaio 2024
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
04 MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
TEMPO LIBERO
ATTUALITÀ
CULTURA
Dieci segnali di rischio nelle relazioni tra giovanissimi spiegati da Paola Di Nicola Travaglini
Quanto dura il tempo che passa? Il minuto egiziano è notoriamente più lungo di quello occidentale
Reportage dal Qatar che svolge un ruolo chiave nei negoziati con Hamas e non solo
Palazzo Reale a Milano dedica un’esposizione di grande impatto visivo all’artista Giorgio Morandi
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Scuola, c’è chi manca all’appello
Fabio Dozio
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Trump vs Biden, e il mondo sta a guardare Carlo Silini
Parte la sarabanda delle elezioni presidenziali americane (responso finale il 5 novembre) e nessuno dei due candidati «forti» brilla di luce diamantina. Trump ha 77 anni, Biden 81. Da noi sarebbero in pensione da un pezzo. Niente contro gli anziani, tutt’altro. Ma non è rassicurante che un simile mandato venga affidato a qualcuno che, dopo l’ambaradan della vita attiva, meriterebbe il buen retiro col conforto degli hobby e/o dei nipotini, lasciando campo a leader più giovani e in forze per l’esorbitante responsabilità di quel ruolo. Se il grigio Biden non semina entusiasmi, il bizzoso Trump, al di là delle pendenze giudiziarie, ha influito in modo determinante sull’evento più antidemocratico della storia americana, l’indegno assalto al Campidoglio il 6 gennaio del 2021 (del tutto condivisibili, in proposito, le considerazioni di Paolo Di Stefano a pag. 35). Non che Biden sia immacolato. Pure lui ha na-
scosto incarti top secret e suo figlio Hunter si è impegolato in vari reati fiscali. Ma oggettivamente non c’è confronto, a livello quantitativo e qualitativo, tra i dossier controversi su Trump e quelli sul suo rivale. Se anche i due si equivalessero sul piano delle virtù e dei misfatti, resta che le loro idee confliggono quasi in ogni ambito. Per Trump – che ha ritirato gli Usa dagli Accordi di Parigi – il surriscaldamento globale è un’invenzione dei cinesi, per Biden e per 9 scienziati su 10 un’evidenza scientifica. Nella politica d’asilo, il primo ha rafforzato il Muro col Messico ricacciando oltre frontiera in condizioni disumane la maggior parte dei fuggiaschi che tentavano l’ingresso negli Usa, il secondo ha revocato alcune misure restrittive, ma con scarso successo. Trump è convintamente antiabortista, per Biden l’aborto è un diritto da proteggere. Malgrado le immancabili stragi nelle scuole, il candidato repubblicano di-
fende ferocemente il porto d’armi facile, Biden no. In politica estera, l’ex presidente è unilaterale, l’attuale è multilaterale. Quanto ai sussidi sanitari, Trump ha smantellato l’Obamacare che dava maggior protezione ai poveri, Biden vorrebbe ripristinarlo. La retorica di Biden è pulita, corretta, ma un poco sciapa, mentre Trump è un erogatore automatico di fake news e promuove la filosofia della «post-verità». Trump fatica a condannare chiaramente alcuni gruppi razzisti, Biden si è scelto una vicepresidente, Kamala Harris, figlia di immigrati. Riguardo alle promesse legate al benessere dei cittadini, Trump ridurrà le tasse per le imprese e i contribuenti ad alto reddito, al contrario di Biden che in compenso vorrebbe espandere l’accesso all’assistenza sanitaria alle fasce più fragili della popolazione. E poi ci sono le guerre. Trump promette che, con lui presidente, i conflitti in Ucraina e a Gaza
finiranno subito. Sarà vero? Forse, ma, ci par di capire, per egoismo: per non «sprecare» risorse finanziarie a favore di cause che svuotano le tasche degli Stati Uniti. Biden, invece, ha chiesto aiuti urgenti per 106 miliardi di dollari al Congresso per l’assistenza militare (e umanitaria) alle crisi in corso. Iniziativa gelata dai repubblicani. È un rompicapo etico che nel 2024 toccherà tutte le democrazie mondiali, compresa quella elvetica (che al WEF di Davos ha promesso una conferenza di pace, vedi articolo di Bonoli a pag. 25): meglio finanziare i rifornimenti alle vittime e prolungare a tempo indeterminato morte e violenza, o lasciare che i conflitti finiscano in base ai rapporti di forza sul campo senza sostegni esterni, cioè, nei casi specifici, con le vittorie certissime di Russia e Israele? Oggi più che mai, i destini del mondo sembrano in gran parte dipendere dalle scelte del signore che presto siederà dietro la scrivania ottocentesca dello Studio Ovale.
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azione – Cooperativa Migros Ticino
MONDO MIGROS
Anche per il 2023 Migros si conferma al primo posto in Svizzera
Zurigo ◆ Dopo il fatturato record del 2022, il Gruppo Migros ha registrato anche nel 2023 una crescita della cifra d’affari, rafforzando la posizione di numero uno nel commercio al dettaglio in Svizzera. Diversa la situazione in Ticino, con una controtendenza di cui Mattia Keller ci spiega le caratteristiche Nel 2023 il Gruppo Migros registra una forte crescita in tutti i settori d’attività. In particolare, i settori del commercio online, dei servizi finanziari e per la salute, nonché il settore viaggi, hanno contribuito a un nuovo fatturato record pari a 31,9 miliardi di franchi. Il giro d’affari del commercio al dettaglio di Migros in Svizzera ha raggiunto 24,1 miliardi di franchi (+4,1%). Nel complesso, il fatturato di Migros nel commercio online è aumentato del 10,3%, attestandosi a 4,1 miliardi di franchi.
Settori d’attività commercio al dettaglio (alim. e «non food») L’andamento del commercio al dettaglio in Svizzera, dove il Gruppo Migros ha ulteriormente consolidato la propria leadership di mercato, è fondamentalmente positivo. In particolare, l’attività stazionaria dei supermercati (+3,6%) e la Gastronomia Migros (+10,2%) hanno registrato una forte crescita. Nel 2023 sono stati molto apprezzati i prodotti regionali e gli articoli della linea M-Budget. «Siamo riusciti a conquistare quote di mercato significative nel settore dei supermercati, ovvero l’attività principale di Migros», afferma soddisfatto Mario Irminger, presidente della Direzione generale della Federazione delle cooperative Migros (FCM), mettendo tuttavia in guardia sul contesto attuale: «Le sfide che dovremo affrontare restano impegnative. Per continuare a offrire alla nostra clientela servizi di alto livello, dobbiamo rafforzare la nostra posizione di mercato a lungo termine e aumentare assolutamente la nostra redditività». Con la nuova società Migros Supermercati SA, operativa dall’inizio del 2024, Migros intende creare entusiasmo nella clientela, puntando in
re d’attività d’importanza strategica per il Gruppo Migros. L’anno scorso i servizi legati alla salute hanno registrato una crescita estremamente forte (+74,2%, 1,3 miliardi di franchi). Particolarmente degni di nota sono gli aumenti ottenuti dal Gruppo Medbase (+95,2%, 1,0 miliardi di franchi) grazie al successo dell’integrazione della farmacia online Zur Rose e del settore fitness (+22,6%, 0,2 miliardi di franchi.)
Settore servizi finanziari particolare su freschezza, regionalità e marchi propri. I guadagni in termini d’efficienza dell’organizzazione saranno investiti nella riduzione dei prezzi. Dalla prossima settimana Migros abbasserà i prezzi di circa 450 prodotti. Nel corso dell’anno seguiranno ulteriori riduzioni, le quali dovrebbero contribuire ad alleviare l’onere delle famiglie colpite dall’aumento degli affitti e dei premi dell’assicurazione malattia.
Migros Industrie L’aumento della domanda nel settore dei supermercati ha avuto un impatto positivo sulle attività dell’industria Migros. Il fatturato è aumentato del 3,9%, raggiungendo quota 6,0 miliardi di franchi.
Dipartimento Commercio Il Dipartimento Commercio ha aumentato il fatturato dell’1,6%, raggiungendo 8,7 miliardi di franchi. Il risultato del Gruppo Galaxus riflette la costante forza del settore online: con un balzo dell’11,6%, che lo porta a quota 2,5 miliardi di franchi, il rivenditore
online di Migros ha migliorato il proprio fatturato per la ventiduesima volta consecutiva. Anche Denner (+4,0%, 3,8 miliardi di franchi) continua a riscuotere grande successo, così come migrolino (-0,1%, 0.8 miliardi di franchi). Migrol, invece, ha registrato una flessione del fatturato del 15,0% (1,5 miliardi di franchi) a causa dei prezzi del petrolio e del calo dei volumi. Grazie alla ripresa dopo la pandemia, Hotelplan Group ha aumentato il proprio fatturato del 20,6%, raggiungendo 1,7 miliardi di franchi.
Mercati specializzati L’enorme successo del commercio online di prodotti non alimentari sta cambiando in modo permanente il contesto di mercato, mettendo quindi a dura prova l’attività stazionaria dei negozi specializzati Migros. Di conseguenza, Bike World, Do it + Garden, melectronics, SportX, Micasa e OBI hanno registrato un calo del fatturato pari al 7,7% (-1,5 miliardi di franchi.)
Settore di attività Salute La salute sta diventando un setto-
La Banca Migros pubblicherà il suo risultato d’esercizio dettagliato il 23 gennaio 2024.
Conferenza stampa sul bilancio La conferenza stampa sul bilancio della (FCM) avrà luogo martedì 26 marzo 2024 a Zurigo.
Migros Ticino, una situazione particolare Da noi interpellato, il direttore di Migros Ticino Mattia Keller ha osservato come parte delle difficoltà rilevate alle nostre latitudini derivi da fattori dati dalla specificità del nostro Cantone, dall’evoluzione demografica negativa alla congiuntura, passando per la posizione geografica, che stimola molte consumatrici e consumatori a fare la spesa oltre confine. Mattia Keller ci tiene comunque a sottolineare come Migros Ticino stia investendo molto per rinnovare la rete di vendita in Ticino, il che ha portato a chiusure temporanee per il 15% dei nostri punti di vendita, che hanno a loro volta comportato una riduzione della cifra d’affari.
Una serata in compagnia al Bellavista
Concorso ◆ Vincete i due ticket in omaggio per la serata all’insegna della busecca del 3 febbraio 2023 Nel corso di tutto l’inverno il Buffet Bellavista, situato a 1200 metri lungo la linea che porta in vetta al Monte Generoso, offrirà una serie di serate all’insegna della buona cucina regionale. Il ristorante, da poco ristrutturato, grazie a un’atmosfera intima e curata, incanterà gli ospiti. «Azione» estrarrà a sorte settimanalmente due ticket per scoprire la bellezza del Monte Generoso. Il prossimo appuntamento è il 3 febbraio con una serata dedicata alla busecca. Il menù comprenderà un tagliere misto, trippa in umido e torta di pane con salsa alla vaniglia.
Dove e quando Serata busecca sabato 3 febbraio 2024, Buffet Bellavista. Orari: Partenza da Capolago ore 19.00, discesa da Bellavista ore 21.30. Prezzi: Trenino e menù a 3 portate, bevande escluse: adulti CHF 60.–; ragazzi 6-15 anni CHF 40.–; bambini 0-5 anni treno gratuito. Info e prenotazioni www.montegeneroso.ch
Concorso «Azione» mette in palio due ticket per il 3 febbraio 2024 che includono ciascuno un biglietto andata e ritorno a bordo del trenino a cremagliera e la cena di tre portate. Per partecipare al concorso mandare una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto «Busecca»), indicando i propri dati, entro domenica sera 28 gennaio 2024. Buona fortuna! Per info: www.montegeneroso.ch
Il nuovo responsabile del reparto Comunicazione della FCM.
La nuova sfida di Christian Dorer Info Migros ◆ Christian Dorer sarà a capo del reparto Comunicazione della FCM e responsabile delle pubblicazioni sui media Migros Christian Dorer (*1975), che entrerà in servizio il prossimo 1. febbraio, sarà direttamente subordinato al presidente della Direzione generale della FCM, Mario Irminger. In qualità di responsabile Comunicazione della Federazione delle Cooperative Migros, sono a lui affidati sia gli obiettivi strategici sia il coordinamento della comunicazione per il Gruppo Migros. D’intesa con il reparto Comunicazione Marketing della Migros Supermercati SA, sarà responsabile delle pubblicazioni sui media Migros. Christian Dorer ha ricoperto da ultimo la carica di vice CEO e dal 2017 è caporedattore del Gruppo Blick presso la società Ringier SA, attiva nel settore dei media. Inizia la sua carriera giornalistica ben 20 anni fa come redattore specializzato in economia e Palazzo federale del «Blick». Dal 2009 al 2017 è caporedattore dell’«Aargauer Zeitung». Insieme a un team di circa 50 fra collaboratrici e collaboratori, il compito principale di Christian Dorer sarà quello di sostenere a livello comunicativo il processo di trasformazione nell’ambito dell’imminente riorganizzazione dell’attività dei supermercati e ipermercati del Gruppo Migros. «Per l’ulteriore sviluppo del nostro reparto Comunicazione, siamo contenti di poter contare su uno specialista competente nell’ambito dei media nonché su un giornalista poliedrico che vanta una vasta esperienza nel settore dei media stampati, online, dei social media e della televisione», afferma Mario Irminger. Christian Dorer: «Sono davvero entusiasta di entrare a far parte di una delle aziende più conosciute della Svizzera e di poter comunicare la visione e l’ulteriore sviluppo del marchio Migros a un vasto pubblico».
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azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00–11.00 / 14.00–16.00 registro.soci@migrosticino.ch
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La puzzola è sempre più rara L’animale dell’anno 2024 eletto da Pro Natura è completamente scomparso in Ticino e in Vallese
Chi non va a scuola L’assenteismo scolastico rimane un problema, per contrastarlo è necessario un lavoro di rete
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L’agricoltura 4.0 Ecco come le tecnologie digitali e l’IA stanno conquistando anche il settore agricolo
Women’s voices La vita delle donne nell’arco alpino tra Seicento e primo Novecento raccontata da due storiche
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Ecco i dieci segnali per capire che devi lasciarlo
Il caffè delle mamme ◆ Dopo il caso di Giulia Cecchettin, la magistrata e consulente giuridica della Commissione parlamentare italiana sul femminicidio Paola Di Nicola Travaglini spiega quali sono i fattori di rischio nelle relazioni tra giovanissimi Simona Ravizza
Banalizziamo consapevolmente, per arrivare subito al punto di quello che vogliamo dire alle nostre figlie adolescenti: «Ecco quando non devi metterti con un ragazzo oppure, se proprio non te ne accorgi prima, quando devi lasciarlo». A Il caffè delle mamme aiutarle a stare alla larga da un certo tipo di maschio, a riconoscere i segnali di pericolo (le cosiddette red flag, per dirla con un termine diffuso tra gli Gen Z), a non infilarsi in determinate relazioni, e semmai poi a capire che è necessario darsela a gambe levate, è diventato un tarlo. Può sembrare paradossale, lo ammettiamo: dopo le battaglie per il diritto di voto, la rivendicazione dell’«utero è mio e lo gestisco io», la lotta per la parità sul lavoro che pure troppo spesso ci ha portato a emulare il modello maschile in orari di ufficio e aggressività ma a restare sottopagate, la declinazione del femminismo della Generazione Z come battaglia contro qualsiasi tipo di discriminazione, oggi l’esigenza che da mamme sentiamo impellente è ancora una volta – quasi l’orologio della storia non fosse mai andato avanti – proteggere le nostre figlie dagli abusi maschili. Una violenza che alla 22enne Giu-
lia Cecchettin, studentessa di ingegneria biomedica dell’Università di Padova prossima alla laurea, è addirittura costata la vita. Uccisa dall’ex fidanzato, coetaneo e compagno di studi, Filippo Turetta. Non è la sola, e nemmeno l’ultima. Ne Il caffè delle mamme di dicembre abbiamo ragionato su come crescere, da genitori, maschi emotivamente consapevoli, educandoli innanzitutto al rispetto, contro quella che la 24enne Elena Cecchettin, sorella di Giulia, definisce «la cultura dello stupro, che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling». Adesso vogliamo rivolgerci alle nostre figlie: non per tenerle lontane dai maschi, ma per aiutarle a riconoscere i maschi sbagliati, quelli ancora figli del patriarcato. Per farlo chiediamo consiglio a Paola Di Nicola Travaglini, 57 anni e una vita in magistratura, già consulente giuridica della Commissione italiana sul femminicidio del Senato, consigliera della Corte di Cassazione, relatrice in conferenze e lezio-
ni universitarie sulla violenza contro le donne in Italia e nel mondo (Argentina, Messico, Brasile, Lussemburgo, Francia, ecc.): quali sono i fattori di rischio delle relazioni tra adolescenti? Eccone 10, da non sottovalutare mai: 1. Atteggiamenti discriminatori: sono quelli in cui una ragazza viene considerata inferiore in quanto femmina e possono nascondersi anche in battute diffuse a cui spesso non viene data nessuna importanza del tipo «donne al volante, pericolo costante»; 2. Atteggiamenti denigratori: sono quelli che umiliano una donna in quanto tale e anche l’uso delle parolacce può essere indicativo. È diverso, per esempio, sentirsi dire «sei una stronza!» dal «sei una puttana!»; 3. Limitazione della libertà: qualsiasi essa sia, dal tagliarsi i capelli a mettersi il rossetto rosso, fino ad andare in discoteca con le amiche, ogni azione maschile che la limita va considerata una red flag; 4. Controllo che procede di pari passo con la gelosia: lui che spia il telefonino, chiama le amiche per sapere
dove sei o cosa fai, coinvolge i familiari quando c’è un litigio, vuole controllare le fotografie o i profili social, fa interrogatori di terzo grado sui tuoi comportamenti, impone degli orari da rispettare; 5. Imposizione delle app di geolocalizzazione: sono un altro modo per tenere sotto controllo, e vanno assolutamente evitate. Mai pensare di placare l’ansia da controllo scendendo a patti, perché il bisogno di sorvegliare comportamenti e spostamenti va sempre in escalation; 6. Isolamento sociale: la richiesta costante di tempo e attenzioni che spinge ad abbandonare qualsiasi altra passione (musica, sport, attività di volontariato, ecc.) e amicizia per lui; 7. Instillazione del senso di paura: anche solo sentirsi costrette a dire una bugia per paura di una reazione del proprio ragazzo è il segnale di una relazione non paritaria e che va a ledere la propria libertà per timore delle conseguenze; 8. Minacce: non bisogna nemmeno arrivare alla sberla, basta un piatto rotto o il cellulare sbattuto a terra per capire che c’è violenza;
9. Rapporti sessuali imposti: qualsiasi ricatto del tipo «se mi ami lo fai», a maggior ragione nella sfera sessuale, deve fare scattare un allarme. Mai sentirsi forzate nell’intimità, anche se si tratta di mandare foto di nudo; 10. Preannuncio di autolesionismo: chi vuole farsi del male davvero non lo dice, il dirlo è solo un ricatto da cui fuggire immediatamente. L’obiettivo de Il caffè delle mamme è che i genitori facciano da tramite per sensibilizzare le figlie su questi 10 segnali di allarme suggeriti da Paola Di Nicola sulla base della sua pluriennale esperienza da magistrata: «Purtroppo sono comportamenti più diffusi di quello che noi possiamo pensare e denotano volontà di prevaricazione, manipolazione, subordinazione e obbedienza – ribadisce la giudice –. E di mezzo non c’è nessun maschio innamorato, fragile, o geloso ma drammaticamente uno che ha bisogno di dimostrare la propria virilità o mascolinità». Non ci sono «raptus», né «relazione tossiche»: qui l’amore non c’entra nulla e noi dobbiamo aiutare le nostre figlie a capirlo.
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MONDO MIGROS
Israele: il ritorno della Qabbālāh Il meglio del maiale
Attualità ◆ Il filetto è un taglio pregiato che permette di approntare piatti davvero sontuosi. Questa settimana lo trovate in offerta speciale alla come vostral’aria Migros ◆ A Tzfat Reportage qualsiasi certezza è volatile delle vicine montagne, aria considerata tra le più pure al mondo, tanto da Enrico Martino, testo e foto
Il taglio
La ricetta Filetto di maiale Tzfat. La in manto di pancetta Sinagoga
Il filetto di maiale viene ricavato dalla lombata, che si trova nella parte posteriore della schiena dell’animale. È il taglio più pregiato del suino, che si caratterizza per la sua tenerezza, magrezza e delicatezza. Il filetto è molto apprezzato nelle occasioni speciali e viene consumato intero oppure sotto forma di medaglioni, arrosto, grigliato o brasato. Molto apprezzati sono per esempio il filetto avvolto in un manto di pancetta oppure il filetto in crosta.
Ashkenazi HaAri fu costruita nel 1580, tre anni dopo la morte del rabbino Yitzhak Luria, «Ha-Ari». Sotto da sinistra a destra: forse la vicinanza di Tzfat al cielo, blu Ingredienti per 4 persone colore • 1 kg di carote, adcome es. diilvari colori delle porte • 1 cucchiaio di miele liquido nei passaggi • 2 cucchiai d’olio acciottolati, di colza spiega la sua • 1 cucchiaino di sale reputazione di • 2 rametti di rosmarino «Capitale della • 150-200 g di pancetta da Qabbālāh», arrostire a fette tradizione ebraica;g • 2 filetti di maialemistica di ca. 4-500 di blugranulosa sono • 2 cucchiai di senape anche dipinte le • ½ cucchiaino di sale tombe dei più • pepe famosi cabalisti Tzfat, nel • 1 cucchiaio di burro vecchio cimitero per arrostire del XVI secolo. Nella pagina Come procedere accanto: antichi ebraici e, 1. Tagliate le carotelibri a pezzetti della internocon stessa grandezza e sotto, mescolateli della Sinagoga il miele, l’olio e il sale. DistribuiteCaro dove li su una teglia foderata carta Yosephcon Caro, rabbino capo di da forno e aggiungete il rosmariSfat e autore di no spezzettato. Accendete il forno Shulhan Arukh, statico a 200 °C. studiò nel XVI 2. Disponete sul piano di lavoro le secolo.
Carne svizzera Quasi la metà della carne consumata annualmente in Svizzera è di maiale, che corrisponde a ca. 20 kg a testa. Oltre il 90 percento della carne suina è di provenienza svizzera. Gli animali vengono allevati in aziende che producono conformemente alle severe direttive svizzere sul benessere animale. Esistono inoltre altri programmi che prevedono standard di allevamento ancora più severi, come IP-SUISSE o Bio.
Gusto e versatilità
Il detto che del maiale non si butta niente è assolutamente azzeccato. La fette di pancetta leggermente socarne di maiale è infatti incredibilvrapposte una sull’altra. Spennelmente versatile e, a seconda della rilate i filetti con la senape e condite cetta e del taglio, praticamente ogni con sale e pepe. Accomodateli sulparte viene utilizzata per la prepale fette di pancetta e avvolgetele atrazione di qualche pietanza. La cartorno ai filetti. Legate la carne con ne proviene da animali tra i sei e sette lo spago da cucina. mesi. Ecco qualche esempio sull’uti3. Scaldate bene il burro per arroFiletto di maiale lizzo delle varie parti: il collo di ma- anche costolette, bistecche e fettine. stire in padella e rosolatevi i filetSvizzera, imballato, iale è ottimo per la preparazione del Dalla lombata, oltre al pregiato filetto, ti a fuoco medio per ca. 5 minuti. per 100 g Fr. 2.75 classico arrosto della domenica oppu- derivano anche delle fettine, chiamate Accomodate la carne nella teglia invece di 4.60 re grigliato. È inoltre ideale per fet- paillard. Lo scamone è una parte macon le carote e cuocete al centro dal 23.1 al 29.1.2024 tine, cordon bleu e per la produzione gra della coscia da cui provengono tadel forno per 20 minuti. Sfornate della coppa. Dalla spalla si ottengo- gli per arrosti, bistecche, sminuzzati e la carne, avvolgetela nella carta alu no tagli versatili a lunga cottura per fondue chinoise. Il petto dà parti ideae lasciatela riposare per 5 minuti. arrosti, spezzatini o per spallette af- li per la griglia o per la salumeria come Continuate la cottura delle carofumicate. Il geretto è utilizzato per costine, pancetta, lardo o anche spezte in forno ancora per ca. 5 minuMedio Oriente, Israele e territori pa- zatini. togliere entrambe la preparazione del delizioso stinco Tagliate la carnelee pecore. servitelaDopo con coscia esi ai ottengointornoInfine, a Dio dalla e all’uomo, segreti volatile come l’aria delle vicine mon- spasso tra gli ulivi delle vicine colli- a ti. lestinesi sono solo sinonimo di no giorno l’uomo riapparvecon ragdi maialenon al forno. Da qui si ricavale carote. Potete accompagnare tagli idonei per prosciutti, nascosti dall’inizio del mondo.arrosti, tagne. Non lontano dal cimitero, le ne, e chi, invece, riflette sulla relati- qualche guerra, purtroppoDalle la cronaca «avevi ragione maestro, adesno anchecome gli ossibuchi. costole brasati, del purè di patate o degli spätzli. fettine, cordon bleu, Lo ripeteva spesso ai suoisminuzallievi vibrazioni positive del piccolo edifi- vità dei punti di vista, come nella sto- giante, degli ultimi mesi sembraspareribs, voler dimosi ottengono le succose ma zati, spiedini. anchemedaglioni il Maestroedei Maestri Yizhaq cio del mikveh, il bagno rituale usato ria del rabbino e delle due pecore, in so è un paradiso, anche l’aria è molto strare. C’è anche una lunga tradizio- Luria Askenazi, il più importante anche da Luria, sono un’irresistibile cui si racconta che, un giorno, un uo- meno puzzolente!». ne di pace e di ricerca interiore, sia mistico ebreo del Cinquecento, che calamita per mistici di tutto il mon- mo andò a trovare il religioso per laSono molte le strade che portano nel mondo musulmano che in quel- la verità è molteplice, impossibile da do, Dalai Lama compreso; e i rabbini mentarsi che la sua vita era un infer- alla verità, come quelle che raggiunlo ebraico, che qui approfondiamo imprigionare in un libro e così lui, il locali sussurrano sdegnati che, nono- no, tra bambini, famiglia e lavoro. Il gono Gerusalemme, ma a Tzfat bisoconcentrandoci sul fenomeno del- più geniale interprete della Qabbālāh, stante i rigorosi divieti, persino qual- rabbi meditò un po’ poi gli consigliò gna volerci venire perché della Città Attualità di carnevale Migros sono l’abbia pronte a stuzzicare il palato di grandi la Qabbālāh. ◆ Le celebri frittelle a mettere una pecoraeinpiccini ca- Santa non ha certamente la scenosoprannominato per la suadella grandezche femmina contaminato nel di provare Un devoto ha appena acceso una can- za «Ari il Leone», venne sepolto in cuore della notte. sa. Dopo qualche giorno, però, l’uo- grafica spettacolarità o i monumenti. dela su un grappolo di tombe blu una tomba del colore del Paradiso a C’è anche chi pensa alle cose pra- mo tornò ancora più disperato dicen- Forse è più pura grazie alla sua avirah, mentre le prime ombre della sera, soli 38 anni senza avere scritto nem- tiche, come il custode della tomba del do «va sempre peggio». Allora il rabbi l’aria intesa anche in senso spirituale «anime che ballano» le chiamano qui, meno un rigo. Con un’eredità simi- rabbi celibe, Jonathan Ben Uzziel, gli consigliò di mettere una seconda perché, secondo i cabalisti, ognuna si allungano sul vecchio cimitero lun- le non c’è da sorprendersi che a Tzfat protettore dei single, che mi propo- pecora, e quando l’uomo tornò anco- delle quattro città sante dell’ebraismo go la collina spegnendo le montagne qualsiasi certezza sia particolarmente ne l’affitto di un cavallo per andare a ra a lamentarsi gli suggerì di provare è associata a uno dei quattro elemendorate che digradano verso il lago di Tiberiade. Sono le tombe dei cabalisti più famosi, perlomeno quelle visibili perché, secondo la tradizione, se improvvisamente senti la gamba appeFrittelle santirsi è perché stai calpestando una di carnevale tomba nascosta. 216 g Fr. 3.50 Lungo la strada un giovane ebreo ortodosso insensibile alla purezza della mistica vende improbabili corredi rabbinici accompagnato dalle onde Lo sapevate le mitiche sonore di un che implacabile rap frittelle che sa- genstraich, che si celebra in occasiodi carnevale della sono pro- ne del carnevale di Basilea. Sono otle verso il cielo e le Migros antiche sinagoghe dotte fin dalalla 1935 seguendo abbarbicate collina. Gusciladistessa pie- tenibili sia nella versione classica da ricetta? anno sono oltre 20 mi- 216 grammi, sia in quella mini da 90 tra che Ogni racchiudono tutta la sapienlioni i pezzi di prodotti dall’a- grammi, quest’ultima lanciata nel za esoterica Tzfat laa Meilen Santa, l’antica zienda delpendici gruppodelMigros Delica, 2004 per soddisfare le piccole goloSafed alle monte Kenaan ciò che corrisponde a 700 tonnellanell’alta Galilea, dove ancora cresce sità. Come una volta, la ricetta inclute di frittelle. Come da tradizione, rigogliosa la foresta di simboli, lettere de pochi e genuini ingredienti, come le croccanti bontà sono disponibili e numeri della Qabbālāh, la mistica farina, olio di girasole, zucchero, uodalla fino al Mor- va e un po’ di yogurt. ebraicafine chedi dadicembre molti secoli si interroga
Azione 40%
Da gustare senza indugio
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MONDO MIGROS
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Puzzola, dove sei?
Mondoanimale ◆ In Ticino spicca per assenza il mustelide eletto animale dell’anno
Un chilo e mezzo è il peso massimo che può raggiungere un esemplare maschio; trenta percento è la quota parte del suo grasso corporeo in autunno; centocinquantuno è il numero di questi animaletti investiti che figura nella statistica della selvaggina deceduta. Parliamo della puzzola (Mustela putorius), l’animale eletto da Pro Natura per questo 2024: un piccolo mustelide nomade per indole, che per cacciare predilige la vita notturna. Chi non ricorda Pepé Le Pew, la puzzola ideata nel 1945 per i cortometraggi animati, uno dei quali (For Scent-imental Reasons) vinse un premio Oscar nel 1949? Che vinse la prestigiosa statuetta forse non è noto a tutti, ma molti conoscono la moffetta maschio parecchio invadente, dal forte accento francese e di indole romantica. La sua bonaria molestia fa da filo conduttore alla tipica trama di ogni cortometraggio in cui il nostro Pepé segue sempre appassionatamente una gattina bianconera, da lui scambiata per una della sua razza a causa della striscia bianca che le si traccia sul dorso per via di diverse vicissitudini. E la chiara ripugnanza che mostra la piccola micia per il nostro Pepé innamorato non lo fa desistere dal corteggiarla nei modi più assurdi e invadenti. «Comunque, Pepé è una puzzola americana, una specie molto diversa
della nostra puzzola europea di cui andiamo a scoprire un carattere più discreto», spiega Serena Britos Wiederkehr di Pro Natura Ticino. «È un animale nomade e, in quanto tale, non copre un territorio fisso. Quando cala la notte, questa cugina della faina esce dal bosco e dai giardini per avventurarsi verso stagni e pozze alla ricerca di rane e rospi che sono le sue prede preferite». Se ne deduce che sia un animale carnivoro: «Le migrazioni primaverili della rana rossa e del rospo comune verso le acque dei siti di riproduzione sono una vera cuccagna per la puzzola: prede in abbondanza che le permettono di accumulare scorte o nutrirsi solo delle parti di cui è più golosa: le cosce di rana». Un’abbondanza che non la mette al sicuro dall’essere vulnerabile: «L’opulenza di cibo, in verità, è di breve durata, perché, dopo aver deposto le uova, gli anfibi tornano ai luoghi di estivazione e, per nutrirsi, la nostra puzzola è costretta a setacciare boschi, prati umidi, distese di erbe alte o altri habitat tipici di rane e rospi». Che non sia così socievole come è rappresentata da Pepé lo dimostra il fatto che, «come molti animali selvatici, evita le aree aperte e per i suoi spostamenti necessita di fare tappa in una serie di nascondigli come siepi, arbusti, torrenti e altre piccole strutture».
Parimenti, Britos spiega che purtroppo gran parte di queste «arterie vitali» sono state sacrificate in nome di un paesaggio ordinato. «Ciò fa sì che la puzzola sia classificata come “vulnerabile” nella Lista Rossa dei mammiferi della Svizzera». Mentre la nostra interlocutrice la dà come ancora diffusa alle basse quote, ma tutt’altro che frequente e certamente molto difficile da avvistare: «È così discreta che preferisce allungare di parecchio il suo cammino piuttosto che attraversare un’area aperta e ritrovarsi in bella vista». Chi avesse mai la fortuna di incontrarne una, quindi, la riconoscerà subito per il pelo bianco attorno al naso e sul bordo delle orecchie. Ma in Svizzera non tutti potranno trovarla con successo, e fra gli sfortunati c’è la nostra regione: «Un fugace sguardo alla cartina potrebbe trarre in inganno e far credere che la puzzola viva praticamente ovunque nelle zone collinari e di pianura della Svizzera. Guardando meglio, spiccano i vuoti in Ticino e in Vallese dove è scomparsa completamente, mentre nel resto della Svizzera la troviamo fino a un’altitudine di circa 1600 metri, nei boschi, nei giardini ricchi di coperture e nei paesaggi antropizzati con molte piccole strutture; per questo, abbiamo decisamente bisogno di più strutture, pozze e rifugi, per lei e per le rane e rospi di cui si nutre».
Stefan Huwiler / Pro Natura
Maria Grazia Buletti
Va comunque puntualizzato che le informazioni sulla sua diffusione non sono indice del numero di puzzole che vivono nella nostra Nazione: «La scomparsa di habitat adatti, e il drammatico calo delle popolazioni di anfibi, le stanno rendendo la vita davvero difficile». Qualche indicazione su come riconoscerla, se si ha la fortuna di incontrarla: «Di colore marrone scuro, si distingue, dicevamo, per la sottile pelliccia bianca attorno al naso e sul bordo delle orecchie. Una caratteristica che ha evitato venisse cacciata in modo intensivo, ma che non la protegge abbastanza dalle basse temperature. Ecco perché nella stagione fredda sverna all’interno di vecchi fienili o stalle, riducendo di parecchio la sua attività». Sebbene Pro Natura l’abbia eletta regina dell’anno, la puzzola non è però ancora un animale sotto minaccia di estinzione. «Queste iniziative non sono sempre volte a segnalare una specie esplicitamente minacciata, in quanto l’animale dell’anno deve essere innan-
zitutto un ambasciatore appropriato degli habitat che ci impegniamo a preservare». Così Serena Britos giustifica la scelta che permette di evidenziare le piccole strutture che consentono a questo piccolo mustelide di spostarsi in sicurezza attraverso un paesaggio oramai «tanto antropizzato» (ndr: occupato e modificato dall’uomo), e le zone umide, luogo di riproduzione delle sue prede. Infine, oltre all’anima nomade e solitaria, un’altra sua caratteristica riguarda la femmina: «L’accoppiamento avviene principalmente tra aprile e giugno e, dopo sei settimane di gravidanza, nascono dai tre ai sei piccoli che la femmina accudisce da sola». Da madre single per due mesi vede crescere i suoi piccoli; dopodiché la famiglia si scioglie perché le femmine sono già grandi come la madre e i maschi ancora di più: «Se riescono a superare l’inverno, l’anno successivo i giovani adulti raggiungeranno la maturità sessuale e inizieranno a riprodursi a loro volta». Annuncio pubblicitario
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Ragazzi che non vanno a scuola
Giovani ◆ L’assenteismo scolastico è una costante, vi sono modalità e cause diverse, dal disagio psicologico al rifiuto totale, ma per contrastarlo è sempre necessaria la collaborazione tra scuola e famiglia. Ne abbiamo parlato con Barbara Bonetti Matozzo, presidente del collegio dei capigruppo di sostegno pedagogico della Scuola media, e con Ilario Lodi di Pro Juventute Fabio Dozio
«La bigiata esiste da sempre. Bisogna distinguere fra l’assenteismo problematico, che rivela un malessere e che va a compromettere il processo di sviluppo dell’allievo e l’assenteismo dovuto ad altri fattori, come per esempio la malattia. In questi casi si cerca di garantire la scolarizzazione a domicilio, con l’obiettivo di tenere il contatto con la scuola», è quanto afferma Barbara Bonetti Matozzo, presidente del collegio dei capigruppo di sostegno pedagogico della scuola media. Una volta si marinava la scuola, un tasso di rifiuto scolastico c’è da sempre, poi, in passato – cento anni fa – c’era chi stava a casa per aiutare i genitori a lavorare nei campi. Il mondo è cambiato, ma il fenomeno rimane. C’è chi soffre la scuola e fa di tutto per non andarci e c’è sempre chi rifiuta la disciplina scolastica e sceglie di andare a spasso.
Le situazioni più gravi partono da un tasso di assenteismo attorno al 40%, i casi in Ticino sono una sessantina «Ogni situazione ci preoccupa e si cerca sempre di intervenire il prima possibile. Le situazioni più gravi partono da un tasso di assenteismo attorno al 40%, in un anno più di 420 ore di assenza. I casi in Ticino sono una sessantina, – ci dice Barbara Bonetti – sostanzialmente si possono intravvedere due percorsi diversi: coloro che sono assenti da scuola e che mantengono una rete di amicizie e coloro che, invece, stanno a casa e tendono a isolarsi, mantenendo relazioni quasi esclusivamente attraverso i social media. Aspetto non negativo, perché permettono il mantenimento di un minimo di relazionalità».
La famiglia tra protezione e spinta Gli allievi di scuola media hanno tra gli undici e i quindici anni. Un periodo delicato dove sono estremamente importanti le relazioni e gli incontri con gli altri. In particolare, rimane fondante il rapporto con i genitori. Che ruolo ha la famiglia quando i giovani sono assenteisti? «La famiglia ha reazioni diverse a seconda della situazione: – spiega la capogruppo – di fronte a figli che non riescono ad andare a scuola e manifestano grande sofferenza, la famiglia si trova in un ruolo difficile: dover calibrare protezione e spinta verso l’autonomia. Fatica a spingere il figlio al confronto con la società, con il rischio così, anche inconsciamente, di diventare iperprotettiva. Non è sempre facile capire dove stia il problema, si è confrontati con disagi psicologici, che non sempre si esprimono direttamente. A volte dipendono dalla scuola, ma altre volte non sono riconducibili a eventi esterni. Il disagio può esprimersi con sintomi somatici, mal di pancia o mal di testa, anche invalidanti. Invece, per i ragazzi e le ragazze che ci confrontano con dinamiche di rottura più “attive”, che non vanno a scuola, non accettano le regole e spesso sono anche assenti da casa, la dinamica è complicata in un’altra forma. Qui la famiglia è spesso messa in scacco, così come la scuola, perché il giovane non è né fisi-
L’assenteismo scolastico problematico rivela un malessere e va a compromettere il processo di sviluppo dell’allievo. (Freepik)
camente né mentalmente presente in luoghi di relazione con gli adulti».
L’importanza del lavoro di rete e le soluzioni transitorie Cosa fa la scuola con i ragazzi che accumulano centinaia di ore di assenza? Spiega Bonetti: «Di fronte alla complessità e varietà delle situazioni non è immaginabile avere una soluzione uguale per tutti. Quando ci troviamo di fronte a casi di assenteismo grave è importante il lavoro di rete. Prima di tutto all’interno della sede e con la famiglia per capire se ci siano problemi a scuola, con i compagni, oppure se vi siano cambiamenti a livello della situazione famigliare, una separazione, una malattia o un lutto. È importante cercare di costruire ponti tra casa e scuola e mantenere il legame con l’allievo. Si possono proporre soluzioni transitorie variegate, come una frequenza scolastica parziale, studio in biblioteca o altro, per cercare di riavvicinare il ragazzo alla scuola. Parallelamente è importante il contatto con la rete esterna, per esempio, pediatra, medico scolastico, psicologo, o altro. Laddove la collaborazione con la famiglia non è possibile o la situazione rimane invariata nonostante gli sforzi, la scuola è tenuta a informare l’Autorità regionale di protezione o il Municipio del Comune».
Il punto di vista di Pro Juventute Fin dal 2010, Pro Juventute organizza corsi di recupero per giovani che non sono riusciti a conseguire la licenza di scuola media con il percorso classico. Ogni anno sono una quarantina gli allievi che conseguono la licenza da privatisti. Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute della Svizzera italiana, sul tema dell’assenteismo fa un discorso di più ampio respiro: «Questo disagio è molto più esteso di quanto si creda. Affiorano soltanto i casi estremi, ma il problema è più profondo. È una conseguenza della caduta dei sistemi di riferimento solidi che c’erano una volta e adesso non ci sono più. Ai giovani si chiede più flessibilità, in funzione delle esigenze del mercato del lavoro. Ma loro vogliono avere più tempo a disposizione. Si chiedono sempre maggiori competenze, ma si dimentica il fondamento educativo. La reazione
dei ragazzi finisce per essere quella di ritirarsi». Lodi inquadra il tema con un discorso critico sulla scuola: «Siamo di fronte a una parcellizzazione della formazione e quindi anche della scuola, che fa quello che l’economia dice di fare, ha portato molti giovani a diventare bravissimi in alcune cose, ma senza capacità di tenerle assieme. Finiscono per essere incapaci di dare senso agli aspetti legati alla propria carriera professionale o formativa». Che fare, dunque? Ci sono vie d’uscita? «Bisogna tornare a dare fondamento solido a quelle che sono le proprie scelte educative e non farsi “sedurre” da mille proposte che arrivano dall’esterno. – sostiene il direttore di Pro Juventute – Non si può andare avanti con il mito della competitività perché così si separano le persone: se voglio essere più competitivo devo essere più forte di te. Si creano divisioni e uno si trova da solo. La scuola riproduce queste dinamiche, anche se involontariamente. La scuola deve ridefinirsi, secondo parametri che non siano solo quelli della preparazione al mondo del lavoro, ma anche al mondo della vita. Per esempio offrendo esperienze di tipo residenziale, dove i ragazzi passano del tempo con altri ragazzi e imparano a esercitare la cittadinanza. Occorre ritornare a riabbracciare quella dimensione della vita che non sia un insieme di tecniche e di competenze da sviluppare ma siano esperienze da vivere. Ogni studente deve poter avere un nome e un cognome, cosa che oggi c’è sempre meno».
Gli adulti e la fiducia nelle capacità educative Se la scuola deve ridefinirsi, come la mettiamo con il ruolo delle famiglie? «Le famiglie si trovano in una situazione delicatissima, – sostiene Ilario Lodi – perché si sentono dire tutti i giorni: bisogna avere competenze in inglese, in informatica, di tutto e di più. Quindi molte famiglie hanno dovuto delegare l’educazione dei propri ragazzi all’esterno, con corsi, ripetizioni, campi estivi, nel timore che i ragazzi non ce la facciano. Le famiglie sono state espropriate del loro diritto a educare. Però, qui c’è un grande equivoco: in verità questo discorso sta in piedi se si pensa che l’inglese o l’informatica siano indispensabili per una vita riuscita, quando invece noi
sappiamo benissimo che tutto ciò di cui il bambino ha bisogno è una cosa che la famiglia già possiede: la capacità di crescere con i propri figli in un contesto che permetta di esercitare la collettività. Le famiglie hanno tutti i numeri per sviluppare questo tipo di educazione, basta che non credano di non esserne capaci. Basta che non caschino nell’equivoco che non permette loro di assumere fino in fondo l’educazione dei propri ragazzi». Sulla pressione che subiscono le famiglie concorda anche Barbara Bonetti Matozzo: «I genitori di oggi che
risorse hanno per affrontare il loro compito educativo? Senza voler banalizzare è importante ricordare che a volte basterebbe prendersi un po’ più di tempo, un po’ di calma, e magari restare anche senza risposte con i nostri ragazzi. È un’attitudine che come adulti abbiamo perso. Affrontare assieme ai figli il fatto che non tutto è risolvibile. Bisogna accettare che non abbiamo la cura e la soluzione per tutto. Pensiamo alla figura del “nonno di una volta”, una figura legata all’immaginario collettivo che impersonificava queste qualità. Magari non era così vero, ma se si è creato questo immaginario vuol dire che nonni così ce n’erano e ci sono ancora». Chi scrive può solo essere fiero di questo giudizio sui nonni. Ma il fulcro dell’educazione famigliare è responsabilità dei genitori. L’esperto di adolescenza Philippe Jeammet (citato nella tesi SUPSI sull’assenteismo di Lara Maspoli) è esplicito: «Il sostegno costituito dagli adulti è diventato particolarmente debole e poco saldo nel nostro contesto attuale in cui ogni consenso educativo è scomparso e l’autorità è spesso percepita come un abuso di potere: eppure, un adolescente alla ricerca di sé stesso può ritrovarsi soltanto se trova qualcuno o qualcosa che gli resista e gli “risponda”. Gli adolescenti sono in attesa di genitori e, più ampiamente, di adulti che abbiano, o meglio che ritrovino fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità educative». Annuncio pubblicitario
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L’Intelligenza artificiale al servizio dell’agricoltura
Ricerca ◆ Anche nel settore agricolo l’avvento del digitale e dell’intelligenza artificiale è ineludibile, come dimostrano i progetti in corso nella Valle di Non e nella Valle dell’Adige Mattia Pelli
Le tecnologie digitali possono aiutare gli agricoltori a ottimizzare l’uso delle risorse, come l’acqua per l’irrigazione L’istituto di ricerca si è ritagliato in questo campo un ruolo importante a livello internazionale e nel 2023 è stato scelto come coordinatore di un progetto europeo da 60 milioni di euro chiamato AgrifoodTEF, che ha lo scopo di sviluppare infrastrutture di test e sperimentazione per facilitare l’adozione di servizi e prodotti basati sull’intelligenza artificiale e sulla robotica nel settore agroalimentare europeo. TEF è un acronimo che sta per Testing and Experimentation Facilities, cioè strutture permanenti dislocate in diversi Paesi dell’Unione europea dove tecnologie digitali complesse possono essere testate in contesti reali, sia fisicamente che attraverso la simulazione. Una di queste tecnologie è stata messa a punto da una startup trentina e si sta sperimentando nei meleti, con la collaborazione della fondazione trentina Edmund Mach, che oltre
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Meleti percorsi da macchine robotizzate guidate da intelligenza artificiale in grado di spruzzare soltanto il quantitativo necessario di pesticidi; droni che possono analizzare i filari di vigna per capire qual è lo stato di maturazione delle uve. Sono soltanto due possibili applicazioni dell’IA all’agricoltura e alla frutticoltura. E non è fantascienza: progetti di questo tipo sono già in fase di sperimentazione tra i frutteti della Valle di Non, dove viene prodotta la maggiore quantità delle mele trentine (in totale 912.803 tonnellate, dati 2022) e tra i filari delle vigne della Valle dell’Adige. Anche nel settore agricolo, nonostante un po’ di ritardo, l’avvento del digitale è ineludibile, come spiega Fabio Antonelli, coordinatore delle iniziative sull’agricoltura digitale della Fondazione Bruno Kessler (FBK) di Trento.
a produrre ottimo vino è anche un importante centro internazionale dedicato alla ricerca scientifica in agricoltura. Grazie a nuovi strumenti di visione e al ricorso all’IA, sarà possibile conteggiare i frutti, quindi prevedere l’entità della produzione e anche rilevare la pezzatura delle mele, cioè le loro dimensioni e la loro qualità, ottimizzando la raccolta. Ma quali sono i vantaggi nell’applicare queste innovazioni in agricoltura? «Sono molteplici», spiega Fabio Antonelli. «Il primo è quello del miglioramento dell’efficienza: le tecnologie digitali possono aiutare gli agricoltori a ottimizzare l’uso delle risorse. Uno dei classici ambiti di applicazione è quello del risparmio di acqua per l’irrigazione e di un uso più mirato di fertilizzanti e pesticidi». Poi c’è la questione dell’aumento delle rese e della produttività: «Avendo a disposizione una grande mole di dati si può capire l’impatto sulla produzione
delle diverse pratiche agronomiche, si può migliorare la resa e gestire al meglio le risorse». Infine c’è la questione della sostenibilità, diventata centrale nel dibattito pubblico e alla quale il mondo agricolo deve dare sempre più importanza: «Le nuove tecnologie – continua Antonelli – ci permettono di ridurre gli scarti e rendere più sostenibili le pratiche agricole. È l’unica via per rispondere all’aumento della domanda dato dalla crescita demografica globale». Senza dimenticare le conseguenze dei cambiamenti climatici: «Per garantire la sicurezza alimentare è importante riuscire a controllare al meglio le produzioni». La Valle dell’Adige, che segna per convenzione il confine tra le Alpi centrali e le Alpi orientali, è una soleggiata pianura costellata di vigne: qui si producono il Teroldego, il Marzemino, il Lagrein e tanti altri vini che hanno un buon successo anche a livello internazionale. Il principa-
le consorzio di produttori raggruppa oltre 5’200 viticoltori (per una superficie complessiva di 6’300 ettari) ed è una potenza economica con un fatturato nel 2021-2022 di 264,8 milioni di euro. Si può dunque permettere di sperimentare: Fruitipy è un sistema predittivo di intelligenza artificiale sviluppato da FBK in collaborazione con la Cantina Viticoltori del Trentino (CAVIT), capace, grazie all’utilizzo di speciali spettrometri portatili (che permettono di misurare le proprietà della luce in funzione della sua lunghezza d’onda), di effettuare direttamente lungo i filari le analisi che normalmente vengono effettuate in laboratorio. Questo vuol dire poter rilevare in tempo reale sia il livello degli zuccheri sia la presenza di componenti acide semplicemente puntando i sensori sui grappoli. I vantaggi di una tecnologia come questa sono notevoli: il primo è quello di riuscire a definire in modo sempre
più preciso il momento ottimale in cui effettuare la vendemmia per ogni vigneto. Il secondo è quello di velocizzare e moltiplicare i processi di analisi, che oggi prevedono il taglio di campioni dalle viti e l’invio in laboratorio. «In prospettiva – racconta Fabio Antonelli – ci sono grandi spazi per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in agricoltura, perché si tratta di una tecnologia che permette di elaborare modelli predittivi sullo sviluppo di una data coltivazione. Inoltre aiuta ad ottimizzare le risorse e fare precision farming. Infine le IA potranno essere usate per una maggiore automazione dei veicoli utilizzati nei campi». Un esempio sono i droni con i quali vengono ispezionate e analizzare le piante, su cui la FBK sta lavorando, o gli atomizzatori gestiti da IA che possono decidere in tempo reale la quantità di pesticida da spruzzare in base alle caratteristiche della singola pianta. Ma per poter fare tutto questo sono necessari dati: «Senza di essi – continua lo scienziato dell’FBK – non è possibile sviluppare i modelli con i quali funzionano le IA. Ogni azienda agricola li conserva gelosamente e non li mette a disposizione delle altre. Per questo l’Ue ha dato vita al progetto AgriDataSpace al quale partecipiamo e che ha lo scopo di creare una banca dati europea per l’agricoltura». È grazie a questi dati che si potrà immaginare un ulteriore balzo in avanti tecnologico dell’agricoltura: «L’idea – spiega Fabio Antonelli – è quella di creare un “gemello digitale” (o digital twin) di un campo o di un frutteto, che contenga tutte le informazioni possibili non solo sul terreno ma anche sulle piante e le loro caratteristiche. Un modello in costante evoluzione che permetterà di fare una serie di previsioni sull’andamento delle coltivazioni e all’agricoltore di gestirle da remoto e di intervenire fisicamente soltanto quando necessario». Sarà la scomparsa dei contadini come li conosciamo? «Io direi di no. Alla fine l’occhio dell’esperto che coltiva ci vuole». Benvenuti nell’agricoltura 4.0.
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Viale dei ciliegi Tommaso Maiorelli-Carla Manea L’atlante dei colori Giunti (Da 8 anni)
Sui colori ci sono molti libri per bambini, ma solitamente la loro funzione è quella di insegnare loro a distinguerli, e a nominarli. In altri casi (come nel celeberrimo Piccolo blu e Piccolo Giallo, di Leo Lionni, uscito nel 1959, o in Elmer, elefante variopinto, di David McKee, del 1968, per citare almeno due classici del genere) essi portano un messaggio che valorizza la diversità. Il libro che presentiamo qui, invece, non utilizza i colori per raccontare storie, ma fa proprio la storia dei colori. Anzi le storie, al plurale, perché in questo caso i colori vengono raccontati dal punto di vista fisico, chimico, filosofico, psicologico, simbolico, artistico, letterario, linguistico e in generale di storia della cultura. Il risultato è un libro affascinante, da guardare e da leggere, grazie al quale anche gli adulti impareranno tante cose. I testi sono brevi, non troppo complessi, ma approfonditi e precisi, e ben inse-
di Letizia Bolzani
riti graficamente nelle grandi pagine illustrate. Dopo una parte introduttiva, sulla luce, sulle percezioni ottiche, sui rapporti tra i colori, sui coloranti e i pigmenti, comincia il vero e proprio viaggio, con un’immersione dentro ogni colore, uno dopo l’altro, elencati con i loro bei nomi suggestivi (rosso scarlatto, rosso vermiglione, rosso carminio, giallo orpimento, giallo oro, giallo cromo, verde smeraldo, verde rame, e così via). Per ognuno notizie scientifiche, riferimenti storico-culturali interes-
santi, e tante curiosità, perfettamente adatte a tenere desta l’attenzione dei ragazzi. Sapevate ad esempio che il viola oricello venne scoperto da un mercante fiorentino di stoffe che in Oriente fece pipì su alcuni licheni, vedendoli diventare da grigio-marrone a viola intenso (da cui il nome del colore, che deriva proprio da orina); o che, ancora all’inizio del Ventesimo secolo, nelle riviste di abiti per bambini si associava l’azzurro alle femmine e il rosa ai maschi; o che alcune tonalità di verde, derivate dall’arsenico, potevano uccidere? Alla fine, due ampie pagine apribili ci portano in tutto il mondo alla scoperta delle origini dei colori. Chiara Carminati-Massimiliano Tappari Cerca cerchi Lapis (Da 5 anni)
L’arte della parola di Chiara Carminati e quella della fotografia di Massimiliano Tappari si intrecciano nuovamente, in questo libro che allena occhi e orecchie (perché i te-
sti poetici brillano di più se letti ad alta voce) alla meraviglia, offrendoci nuovi sguardi su ciò che ci circonda e rendendolo unico, nuovo, meraviglioso, appunto. «Le pagine di questo libro sono quadrate, ma contengono un corteo di forme circolari» dicono gli autori in apertura, e in effetti poi il corteo si dipana, pagina dopo pagina: a destra ogni volta quattro fotografie e a sinistra un indovinello in rima, che invita, tra quei quattro cerchi, a individuarne uno. L’effetto meraviglia è dato sia dai te-
sti, che raccontano gli oggetti, anche i più quotidiani e abituali, illuminandoli di luce nuova, sia dalle fotografie, che li colgono da angolazioni insolite o con dimensioni ingrandite o rimpicciolite. Così, ad esempio, è un cerchio anche la tazzina di caffè vista dall’alto, o un lampadario visto dal basso, o un bottone grande come una ruota; ed è un cerchio la torta di compleanno, descritta con queste insolite parole: «Cerca il cerchio che racconta/quanto lungo è il tuo passato/tutto il tempo che si conta/dal momento in cui sei nato», o la ruota del luna park «che sta ferma quando è vuota/quando è piena gira piano/ ma non va molto lontano». Dopo Quattro passi e Occhio ladro, Carminati e Tappari tornano a farci giocare con le parole (sin dal titolo) e con le cose che vediamo tutti i giorni, rendendole diverse e magiche. Insegnandoci che la magia non sta nelle cose, ma in noi, nel nostro sguardo e nel nostro modo di dirle e di pensarle. Un insegnamento prezioso, che riverbera ben oltre le pagine di questo libro.
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SOCIETÀ
Coraggiose, intraprendenti e solidali
Storia di genere ◆ Il saggio Women’s voices scardina l’immagine della donna «bestia a due zampe» tratteggiata dai viaggiatori che nel Settecento percorsero lo spazio geografico alpino Romina Borla
«Andiamo per esempio nella Svizzera italiana. Entriamo nelle case, facciamo conoscenza della donna di campagna e ci lanceremo a correre lontano, colte da un senso di soffocamento. Quella donna ci sembrerà valere meno dell’intontito asinello montanaro delle nostre Ande: una specie di bracciante con titolo di moglie, di nutrice con titolo di madre, serva con titolo di donna». Così descriveva le contadine ticinesi di inizio Novecento Alfonsina Storni, autrice di spicco della letteratura latinoamericana, nata a Sala Capriasca nel 1892 («Le elette del Signore» in Cronache da Buenos Aires). Bracciante, nutrice, serva dunque. Piegata al volere dell’altro. Passiva. Immobile... Ma quest’immagine è riduttiva, non rende giustizia alle donne nell’arco alpino tra il Seicento e il primo Novecento. È quanto suggerisce Women’s voices, Voci di donne (lo si può trovare anche in PDF su www. alphil.com), una raccolta di saggi di recente pubblicazione che mette in luce l’esistenza di donne che prendevano iniziative, costruivano reti di solidarietà, difendevano il proprio onore, ideavano strategie intelligenti nella gestione di beni e rapporti sociali. Spesso in assenza della controparte maschile.
Nelle vallate alpine e prealpine l’assenza poteva riguardare fino ai tre quarti della popolazione adulta maschile «Assenza e mobilità sono due concetti strettamente correlati che sembrano proporsi con maggior insistenza proprio nelle vallate alpine e prealpine dove l’assenza poteva riguardare fino ai tre quarti della popolazione adulta maschile», affermano le curatrici del saggio, le storiche Stefania Bianchi e Miriam Nicoli. «Sondando i documenti si incontrano anche donne che seguono i mariti nelle mete di adozione. Che condividono una progettualità incrinante la suffragata dicotomia che vede in quest’economia dell’assenza, l’uomo, lontano, produttore di rendite monetarie e la donna, a casa, fornitrice di servizi. Le ragioni e le modalità delle partenze femminili vanno cercate in un insieme di concomitanze: il successo professionale del compagno, tale da garantire una certa qualità di vita cittadina, la distanza fra luoghi d’origine e meta che determina spesso anche la durata dell’assenza, il contesto socioculturale cui si approda fatto di abitudini, lingua e religione, e naturalmente la personalità, l’indole che inducono alcune giovani ad afferrare nuove opportunità, altre a preferire la monotona ma sicura quotidianità di villaggio». Allo stato attuale
degli studi – sottolineano le nostre interlocutrici – chi parte rappresenta una modesta minoranza, tuttavia di grande valenza perché scardina l’immagine di immobilismo femminile spesso collegata all’idea di passività. Considerando comunque che la maggioranza resta in patria, gli sguardi sul mondo delle donne presenti nel volume, «ben lontani dalla consunta similitudine della bestia a due zampe traghettata dai viaggiatori del Settecento», mostrano altre caleidoscopiche realtà. Come detto siamo di fronte a donne che, a diverso titolo, secondo distinti ceti sociali, appartenenza religiosa, contingenze della vita quotidiana, sapevano prendere iniziative, costruire reti di solidarietà, difendere il proprio onore, mettere in atto strategie nella gestione dei beni, della famiglia, delle relazioni con la comunità. E le fonti studiate di ambito pubblico e privato (diari, procure, rendiconti contabili, atti giudiziari, lettere, registri di istituzioni) confermano la vivacità dello spazio geografico alpino e, come conclude Anne Montenach nella prefazione al volume, la posizione centrale delle Alpi come osservatorio fertile per la storia delle donne e del genere, tale da incoraggiare ulteriori esplorazioni e confronti. Ma quale immagine offre Women’s voices delle donne della Svizzera italiana? Le storiche sottolineano che sono stati studiati due aspetti complementari: la sfera privata e la sfera pubblica. Nei documenti ufficiali, riferisce Stefania Bianchi, si constata che le donne citate negli atti giudiziari «ticinesi» rappresentano soprattutto l’eterogeneità della povertà, mentre quelle che figurano nei rogiti dei notai appartengono perlopiù a famiglie dell’aristocrazia dell’emigrazione. Dal giudice compaiono «le sfortunate», vittime di raggiri o del giudizio morale della società. Sotto accusa sono la strega, l’adultera, l’infanticida, la ladruncola ma soprattutto le presunte donne di facili costumi, vittime di molestie e future madri di figli illegittimi. Condizioni geografiche di marginalità e solitudine sembrano favorire le relazioni illecite e il perpetrare dei soprusi, consumati in luoghi periferici e isolati. Dai notai, continua l’intervistata, si incontrano le signore della borghesia artigiana e mercantile. In qualità di procuratrici vengono abilitate ad agire per comprare, vendere, affittare, riscuotere rendite in patria e all’estero. Sono il fil rouge del plurilocalismo cosicché, ad esempio, la procura del marito da Vienna consente alla moglie a casa di nominare, a sua volta, un procuratore agente per famiglia a Roma. Si consideri infatti che queste procure partono da molte città d’Italia, altre da Vienna e da Praga, ma anche
L’eco di Luigi Rossi, acquarello su carta, 1911. (Casa Museo Luigi Rossi, Capriasca)
da Liegi, Lipsia, Magonza, Dresda, Danimarca, Francia e Inghilterra, da Polonia e Ungheria, Madrid e Barcellona. Partecipi delle strategie migratorie, le donne dimostrano consapevolezza e saperi: dimestichezza nel gestire gli immobili (terre, mulini e persino cave), i capitali (crediti, obbligazioni, censi), le rimesse che arrivano dall’estero (ducatoni, talleri, reali, genovine ecc.), e di riflesso una padronanza delle competenze basilari per leggere, scrivere, far di conto. E in questo mondo al femminile alcune mostrano intraprendenza, spirito di avventura e doti manageriali.
Sotto accusa sono la strega, l’adultera, l’infanticida, la ladruncola ma soprattutto le donne di presunti facili costumi «La possibilità di studiare la corrispondenza di tre generazioni di donne dell’élite di un casato alpino aperto sull’Europa come quello degli a Marca di Mesocco – spiega dal canto suo Miriam Nicoli – ha permesso di illustrare una serie di azioni femminili che vanno in parte a confermare quelle già individuate negli studi incentrati su donne di casati nobiliari urbani: dall’opera di supplenza dei mariti assenti all’educazione di figli e figlie, da orientare verso carriere appropriate e suscettibili di ricadute positive sul casato; dalla gestione dei rapporti esterni della casa alla regolamentazione dei suoi non semplici equilibri interni e alla tutela della sua coesione. All’interno del rispettivo network le donne hanno saputo assumere ruoli multipli, mostrando capacità di variare il registro comunicativo secondo i bisogni e le aspettative, sempre
segnate da una disparità di genere». Le dinamiche di potere – dice l’esperta – variano ed evolvono nel tempo con il mutamento della posizione della donna in seno al casato, lasciando emergere spazi d’azione e competenze o confermando situazioni di fragilità. «Dalle analisi delle traiettorie di vita delle donne dell’élite grigionese del tempo, penso ai miei lavori sui von Salis, emerge un soggetto femminile in constate relazione: un sé relazionale orientato verso aspetti e saperi concreti da mettere al servizio di famiglie numerose che richiedono costante attenzione; un sé relazionale capace di costruire spazi di potere e sostegno informali. Anche nel microcosmo di una valle alpina appare quella costellazione di poteri disuguali sulla quale già insisteva da un punto di vista teorico la storica americana Joan Scott, e sulla quale è importante soffermarsi proprio attraverso studi sui legami femminili, ancora poco indagati per quel che riguarda le aree alpine, ma sui quali quest’opera collettanea si sofferma in modo trasversale». Ma perché è così importante studiare la storia con un’attenzione al genere? La storia di genere – dicono le intervistate – si sviluppa negli anni Ottanta del Novecento come prolungamento ed espressione della storia delle donne, campo d’indagine emerso già alla fine degli anni Sessanta quando nuove generazioni di storiche, influenzate dai movimenti femministi, denunciarono la parzialità della narrazione del passato, mettendone in risalto i meccanismi di rimozione del femminile (prima la storia con la s maiuscola era quella di re, battaglie, di soli uomini). «A mano a mano che emergevano le svariate forme della presenza delle donne
nelle società passate, la ricerca ha affinato il proprio bagaglio metodologico e analitico allo scopo di meglio rendere la complessità delle dinamiche sociali. Patriarcato e differenza sessuale biologica sono infatti solo due delle variabili operanti nei rapporti di potere che condizionano i vissuti. La storia di genere ampia la riflessione inglobando lo studio dei significati attribuiti alla differenza sessuale nel corso del tempo con lo scopo di svelarne le strutture artificiose e i costrutti culturali binari derivanti dalla dicotomia gerarchica maschile/femminile, quali pubblico/ privato, ragione/emozione, attivo/ passivo». La storia di genere dunque ha come scopo quello di studiare i significati attribuiti dalle società passate all’essere donna e all’essere uomo e si interroga su come i modelli di mascolinità e femminilità si differenzino anche a seconda di altre variabili come ad esempio il colore della pelle, il ceto sociale, l’età, l’orientamento sessuale, l’accesso al mercato del lavoro ecc. Proprio per questo Women’s voices discute tali dinamiche intersezionali lasciando ampio spazio a profili femminili di generazioni, confessioni e appartenenze sociali diverse, proponendo una riflessione fresca sui molteplici ruoli e sui margini d’azione delle donne, nonché sulle dinamiche uomo-donna nella loro complessità in un periodo storico compreso tra il Seicento e il primo Novecento. Bibliografia Women’s voices. Echoes of life experiences in the Alps and the Plain (17th-19th centuries) a cura di Stefania Bianchi e Miriam Nicoli, Neuchâtel, Editions Alphil Presses Universitaires Suisses, 2023. Annuncio pubblicitario
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXVII 22 gennaio 2024
azione – Cooperativa Migros Ticino
SOCIETÀ / RUBRICHE
L’altropologo
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di Cesare Poppi
Due sconfitte e una (quasi) vittoria ◆
È quasi un luogo comune pensare che la storia delle conquiste coloniali sia una ripetizione di brutali atti di aggressione da parte di forze militari tecnologicamente superiori, tali per cui quattro fucilate e due cannonate sarebbero state sufficienti a sbandare i nativi armati di arco, frecce e inutili amuleti. La ricorrenza del 22 gennaio ci ricorda che non è sempre andata così. In primo piano stavolta il percorso storico che porta alla formazione dell’Impero Britannico – l’Africa in particolare. Sullo sfondo l’accesso alle risorse naturali, la sotterranea, infera ricchezza che da sempre affiora a sgambettare lo sviluppo del Continente: oro e diamanti allora, petrolio, uranio e coltan oggi. Ai primi dell’800 gli inglesi governavano la colonia della Costa d’Oro, oggi Ghana, commerciando in oro e schiavi col potente impero de-
gli Ashanti che controllava le fonti di entrambe. Alleati dei Fante, nemici storici degli Ashanti che fungevano da intermediari ai traffici, gli inglesi si trovavano spesso coinvolti in incidenti di ogni sorta fra i locali. In seguito a un pasticciaccio causato dal rapimento di un Fante arruolato nella guardia coloniale e a una serie di scaramucce, gli inglesi decisero l’invasione dell’Impero Ashanti. La posta? Il controllo diretto delle fonti dell’oro e delle rotte degli schiavi. L’idea era che sarebbero bastate le solite quattro fucilate a disperdere una forza male armata e indisciplinata. Ma stavolta il Governatore Sir Charles McCarthy aveva sbagliato i calcoli. Divise i suoi uomini in due colonne, si mise alla testa dell’avanguardia di 500 soldati e guidò la marcia verso Kumasi, la capitale dell’Impero. L’esercito Ashanti era però disciplinato e ben orga-
La stanza del dialogo
nizzato. Per quanto gli archibugi ad avancarica fossero caricati a chiodi in mancanza di pallottole, sparati a corto raggio facevano sfracelli per via della rosa che producevano. Lo scontro vide 10’000 guerrieri Ashanti annientare la colonna inglese rimasta essa stessa senza munizioni alla battaglia di Nsamankow. Riuscirono a salvarsi solo in venti: era il 22 gennaio 1824. Fast forward e scendiamo al Sud del Continente. Siamo nel 1879. Da anni gli inglesi cercano di trasformare la complessa realtà politica della Colonia del Capo in un Dominion che incorpori le vaste regioni dell’interno e aggiunga alle fertili terre dei Boeri le miniere di oro e diamanti del sottosuolo. Ma l’impero degli Zulu, quello che secondo i piani dovrebbe fornire manodopera nelle miniere, non ci sta. Risolta in qualche modo la questione Boera, una volta che la scoperta di
giacimenti di diamanti nel Transvaal rende imperativo spazzare via l’impero Zulu, occorre trovare il pretesto per invadere e annettere. In retrospettiva, la storiografia ha certificato che la serie di incidenti di frontiera che portarono alla guerra aperta furono in realtà organizzati da autorità coloniali convinte di una facile vittoria. Anche stavolta si trattò di calcoli malfatti. Lord Chelmsford divise le sue forze in due contingenti: uno venne lasciato a Rorke’s Drift, mentre Chelmsford avanzava all’interno del territorio Zulu – peraltro senza piena autorizzazione del Governo coloniale centrale. Accampato a Isandlwuana, la mattina del 22 gennaio 1879 Chelmsford commise l’ultimo, fatale errore: divise ulteriormente le sue forze quando partì con parte della colonna all’inseguimento di un fantomatico contingente Zulu che si rivelò essere uno spec-
chietto per le allodole. Alle sue spalle 20’000 impi (guerrieri) Zulu si riversarono a prezzo di perdite ingenti sul campo inglese armati di zagaglie, scudi di cuoio e pochi vecchi fucili. Fu una strage. Non sapremo mai quanti guerrieri Zulu al comando di Ntshingwayo kaMahole Khoza si immolarono a ondate successive prima che gli Inglesi decidessero di ritirarsi portandosi dietro 2000 feriti e lasciando sul campo 1000 morti. La vittoria degli Zulu fu solo in qualche modo resa amara dalla sconfitta, lo stesso giorno, di un altro assalto al contingente inglese fortificato a Rorke’s Drift. Qui, 150 truppe coloniali respinsero 4’000 assalitori Zulu. Per quelle ironiche simmetrie che la Storia, peraltro pessima magistra vitae, propone ogni tanto, anche in questo caso gli sconfitti si buttarono allo sbaraglio senza autorizzazione centrale. Par condicio?
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di Silvia Vegetti Finzi
Uscire dall’isolamento condividendo esperienze ◆
Cara Silvia, ho settantadue anni e da sette sono in pensione. Ero stanca di fare un lavoro subordinato e ripetitivo di cui non intravvedevo il senso e il valore. Mi illudevo di recuperare il tempo perduto partecipando al Movimento delle donne di cui avevo tanto sentito parlare negli anni Ottanta ma, una volta disponibile, non ho trovato alcun aggancio e sono rimasta sola. D’altra parte mi sembra che le giovani non si rendano conto di camminare sulle spalle delle mamme e delle nonne e che il dialogo intergenerazionale non esista. È vero o sono io che non lo intercetto? Mi sento inutile e frustrata, per non dire depressa, e ti chiedo aiuto. Come posso fare per riprendere il filo della vita senza lasciarmi trascinare dagli acciacchi della vecchiaia che, anche senza essere gravi, rischiano di diventare un impegno a tempo pieno? Ormai frequento quasi esclusivamente ambulatori medici dove incontro donne più o meno attempate che sanno solo parlare di malattie come se al mondo
non esistesse altro. Non mi indicare però associazioni di nonne perché non ho né figli né nipoti e questa condizione non mi interessa. Vorrei aderire a una prospettiva che esca dalle strettoie del lavoro, della famiglia e della solitudine. Leggo molto e sono consapevole che stiamo vivendo una crisi globale, un pericolo mortale che richiede l’impegno morale di tutti ma dove sono i «tutti»? Spero vorrai darmi una mano per uscire da questa impasse. Grata del tuo ascolto, ti saluto con stima e fiducia. / Maria Teresa Cara Maria Teresa, tra l’Io e gli altri, l’uno e il tutti ci sono istituzioni intermedie che possono aiutarci a uscire dal privato senza disperdersi nel collettivo indifferenziato. Una di queste, di cui ho l’onore di far parte, si chiama AvaEva. È un progetto sostenuto dal percento culturale Migros. Nato nella Svizzera tedesca si è esteso in Ticino dal 2013. Accoglie donne, non solo nonne, che han-
La nutrizionista
no la fortuna di invecchiare. Ciascuna a modo suo, secondo storie di vita differenti e sensibilità diverse. Lo stereotipo tradizionale della nonna che sferruzza accanto al fuoco raccontando favole ai nipotini è ormai svanito. Persino la Befana è diventata sorridente, ironica e dinamica. Purtroppo il Covid ha interrotto la precedente ventata d’innovazione ma il Movimento si sta rapidamente riprendendo interrogandosi su come procedere. Le novità mi sembrano due: innanzitutto l’apertura di un dialogo intergenerazionale con le giovani donne; inoltre l’aver integrato il femminismo storico con altre istanze, quali la difesa dell’ambiente, il rifiuto del razzismo, la presa di posizione contro la guerra, le ingiustizie sociali, la violenza di genere. Non è poco ma vale la pena d’impegnarsi perché la posta in gioco non è mai stata così alta. Nel tuo caso però non puoi entrare in un collettivo, o meglio in un gruppo,
avendo un’identità così fragile. Il passaggio dall’Io al noi va preparato altrimenti rischi di giungervi con aspettative così grandi da essere facilmente deluse. Per prima cosa è opportuno che tu ti chieda «Chi sono io?». La risposta dipende da te e va cercata nell’auto-narrazione del tuo passato, nella ricostruzione della tua biografia. Raccontati, dai un senso alla tua vita, parole ai tuoi desideri. Il Femminismo inizia appunto con l’autocoscienza e si apre poi, come un fiore, alla condivisione delle emozioni e delle intenzioni. Soltanto quando avrai una tua personalità sarai in grado di uscire dall’isolamento difensivo in cui ti trovi e partecipare alla vita degli altri, delle altre. Lo puoi fare in due modalità interagenti: sia attendendo una risposta al tuo bisogno di partecipazione sia apportandovi contributi personali in termini d’immaginazione, di proposte e iniziative. Non chiederti solo cosa posso ricevere ma soprattutto che co-
sa posso dare a chi è più fragile e disorientata di me. Penso che un primo passo per procedere verso la condivisione delle esperienze, che è l’unico modo di comprenderle davvero, sia già costituito da questa lettera. La Stanza del dialogo rappresenta appunto un luogo virtuale dove, senza esporsi troppo, si può stabilire un colloquio e vedere, di rimbalzo, la propria immagine. Ti auguro che quanto chiedi alla vita si realizzi puntando soprattutto sulle tue risorse. Il risultato sarà un senso di realizzazione di sé che si riverbera sulla comunità. Auguri da tutti noi che ti leggiamo. Informazioni Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
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di Laura Botticelli
Un pizzico di convinzione e una spruzzata di curiosità ◆
Buongiorno, ho una figlia di 15 anni che pratica nuoto agonistico 6 giorni su 7, per 14 ore di acqua e 2 di palestra, 11 mesi all’anno (vacanze comprese). 173 cm per kg 61. Come impostare l’alimentazione se la figlia ha poche preferenze? Per carne mangia praticamente solo pollo; riso, solo in bianco; risotto no; pasta sì, ma attenzione al condimento; verdura quasi zero; legumi no; pesce sì; patate, pizza e lasagne anche; polenta no; gnocchi sì e no; dolci e torte naturalmente sì; se poi ha fame si ripiega sul pane. Ma la settimana è lunga, e dovrei servire due menù al giorno. Pensare ai menu senza ripetersi è difficile, soprattutto nei giorni prima delle competizioni. Anche lo spuntino prima dell’allenamento è complicato: la scuola termina alle 17, gli allenamenti iniziano alle 17.15-17.30 (per 2,30-3 ore di allenamento!); ha giusto il tempo di recarsi in piscina. Eppure l’alimentazione per gli sportivi così impegnati è importante, sia per non perdere massa muscolare (anzi l’obbiet-
tivo della palestra è mettere più massa muscolare) sia per garantire buone prestazioni e, non da ultimo, per restare in salute. / Francesca Buongiorno Francesca. Grandissimi complimenti a sua figlia e a lei per il suo supporto. Gli atleti adolescenti hanno esigenze nutrizionali diverse dai loro coetanei meno attivi. Consumano di più, hanno quindi bisogno di più calorie sia per le loro prestazioni sportive, sia per la loro crescita. Se non mangiano abbastanza i loro corpi hanno meno probabilità di raggiungere le massime prestazioni e possono persino perdere i muscoli piuttosto che costruirli. Oltre a ottenere la giusta quantità di calorie, è importante ottenere la giusta varietà di sostanze nutritive dagli alimenti che mangiano per continuare a esibirsi al meglio. Ci vogliono quindi proteine magre per la riparazione e
il recupero muscolare (pesce, le carni magre e il pollame, le uova, latticini, le noci, la soia e il burro di arachidi), carboidrati opportunamente programmati come carburante: frutta, verdura, noci, semi, legumi e cereali integrali che forniscono importanti vitamine e minerali che rafforzano il sistema immunitario, supportano la crescita e lo sviluppo normali e aiutano le cellule e gli organi a svolgere il loro lavoro insieme ad alcuni grassi sani. Importantissima è pure l’idratazione sia prima sia durante e dopo l’allenamento. Da quello che mi racconta, sua figlia avrebbe margine per migliorare la sua alimentazione. Si deve fare «coraggio» e provare a scardinare i suoi preconcetti sul cibo. I legumi possono essere un ottimo ragù per la pasta, oppure esistono gli spaghetti di farina di lenticchie/fagioli. Della verdura che mangia, cosa le piace? Il suo sapore o la sua consistenza? Quale verdura si-
mile può aggiungere pian pianino alla sua lista? Le piacciono le carote perché croccanti? Potrebbe provare i finocchi: sono croccanti pure loro. Le barbabietole perché dolci? La zucca è simile. È necessario ampliare gli orizzonti, e per farlo ci vogliono un pizzico di convinzione e una spruzzata di curiosità. Sono consigliati tre pasti principali oltre a due-tre spuntini. La colazione dovrebbe contenere un latticino, un cereale preferibilmente integrale (fiocchi d’avena, oppure pane integrale o con le noci, o fette biscottate integrali) e un frutto alternato ogni tanto da una spremuta. Per spuntino al mattino, un frutto (o frutta secca o frutta oleaginosa o uno yogurt o del pane). Il pranzo segue il piatto equilibrato, con carboidrati, una fonte di proteine e le verdure. A scuola nel pomeriggio deve fare un’altra merenda, combinando pure latticino con frutta o pane/fette biscottate con frutta o frutta secca e
frutta oleaginosa, oppure ancora mangiando una barretta di cerali o cracker o gallette di riso con frutta, così che abbia le energie per affrontare l’allenamento che seguirà dopo la scuola. Se non riesce a mangiare la merenda, può bere una bevanda sportiva. La cena segue anche essa il piatto equilibrato per ricaricare energia e muscoli. Suggerirei di considerare quanto sopra come parte integrante del suo allenamento: così come è attenta nel curare lo stile del nuoto, o nel fare il riscaldamento, altrettanto dovrebbe curare quello che mangia… non è escluso che ci sia margine di miglioramento anche nelle sue prestazioni sportive! Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch
Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXVI 22 gennaio 2024
azione – Cooperativa Migros Ticino 13
TEMPO LIBERO ●
Inseguendo i misteri della Qabbālāh Si trova in Israele e il suo nome è Zfat: la capitale mondiale del misticismo ebraico sta tornando una meta alla moda
Pizza senza pomodoro? Una cosiddetta «bianca» guarnita con fettine di zucca e mela, crème fraîche, rosmarino e gorgonzola lascerà tutti a bocca aperta
Instabile, faticoso e pessimo audio Warzone 3, la seconda versione dello sparatutto che ha unito molti videogiocatori durante il forzato lockdown da Covid non convince
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Quanto dura un minuto?
Fuso orario emotivo ◆ Quello egiziano è notoriamente più lungo, gli eventi fisici si misurano in miliardesimi di secondo, quelli psicologici in tempi felici o tristi Guido Bosticco
«Sarò di ritorno fra un minuto… egiziano!». Appena sparisce nei vicoli del suq di Khān el-Khalilī, al Cairo, sai già che non tornerà entro un minuto, e te l’aveva anche detto, a modo suo. Del resto, il tempo sembra oggettivo, basta guardare il calendario e l’orologio e decidere semplicemente a quale fuso riferirsi: dalle nostre parti vige il CET, cioè l’ora standard dell’Europa Centrale, in Africa orientale vige il WAT e così via; ma il tempo non è per nulla oggettivo, se ci pensiamo bene. Il tempo è un modo di vedere le cose, non basta definirlo, da vocabolario, come «la durata misurabile di tutto ciò che è».
Nefertari (moglie di Ramses II) che gioca a scacchi. Il dipinto è nella sua tomba, Valle delle Regine, Luxor. Ha vissuto tra il 1300 e il 1250 a.c. circa. (Guido Bosticco)
Oggi i giocatori di dama riempiono di conversazioni e sguardi il tempo di un narghilè o quello di un tè, in bar e fumerie del Cairo Gli eventi astronomici si misurano in miliardi di anni, gli eventi storici in secoli, gli eventi biologici e della natura in cicli, stagioni, giorno e notte; gli eventi della nostra vita si misurano in anni, mesi, giorni, ore e minuti, o anche in relazione ad altri eventi: prima di sposarmi, dopo la laurea… Gli eventi sportivi si misurano in centesimi di secondo, gli eventi fisici in miliardesimi di secondo, quelli psicologici si misurano in tempi felici, tristi, tempi di depressione, tempi di euforia, ma anche tempi di coscienza e incoscienza, di sonno e veglia, di memoria, di ricordi. C’è poi il tempo del racconto, che può essere ricostruito dallo scrittore o dal regista, con i flashback e i salti temporali, che è diverso dal tempo «reale» di come si sono svolti i fatti. C’è il tempo passato al lavoro e c’è il tempo libero. C’è perfino il temporale che, appunto, si spera non duri mai a lungo. Troppe situazioni diverse si contendono questo termine, non possiamo sperare di racchiuderlo in una sola definizione. Forse il tempo è un’intuizione, qualcosa che ti fa dire se ne hai abbastanza o troppo poco, più genericamente è una visione del mondo, che cambia da luogo a luogo, da individuo a individuo. Lo possiamo sperimentare, senza troppa difficoltà, proprio quando siamo in viaggio. Se torniamo all’Egitto in cui un minuto ha una durata imprecisata, cogliamo subito la mutevolezza dell’idea di tempo, una questione che non può passare inosservata. Anzitutto c’è il tempo sontuoso dei faraoni, quella potente e lontana antichità che pure è davanti ai nostri occhi, nella forma delle piramidi e delle pareti dipinte, in cui uomini
e dèi interagiscono oggi come allora davanti agli occhi di chi passa. Una infinita rappresentazione di momenti, cioè istanti di tempo, che eternano su quei muri le vite e le immaginazioni di un popolo intero. Si può anche incrociare la regina Nefertari che gioca a scacchi, forse proprio per ingannare il tempo. In ogni caso, solcare quelle colline, scendere quei cunicoli fino alle tombe, attraversare quelle valli non può lasciare il viaggiatore indifferente alla domanda sul tempo. E così come Nefertari, oggi i giocatori di dama occupano i tavolini dei bar e delle fumerie del Cairo, intenti a riempire di conversazioni e sguardi il tempo di un narghilè o quello di un tè. Ad ogni ora del giorno e della notte, poiché non in tutto il mondo la scansione del tempo è imposta dall’orario di lavoro: ci sono cose che lo travalicano, tempi che meritano il primato, più importanti del business. I tempi della relazione, del parlarsi. Anzi, perfino il business, quello dei commercianti, deve sottostare al
tempo canonico della contrattazione: impossibile entrare in un negozio, comprare e uscire. Si discute, si parla, a volte si beve un caffè durante l’acquisto. Metà del mondo funziona così, chi viaggia lo sa bene. Al Cairo (come a Delhi, a Shanghai o a Città del Messico) c’è un tempo diverso anche nel traffico, un vero e proprio ritmo scandito dai clacson e raffigurato in quel fluire impossibile di un mezzo dentro l’altro, come se la compenetrazione dei corpi si realizzasse, in uno strano varco spazio-temporale. Auto, moto, animali, pedoni, ciclisti, camion che si intersecano in una sinfonia interminabile – forse c’è una pausa fra le tre e le cinque di mattina – di strombazzamenti e accelerate di vecchi motori diesel. Invece camminare al Cairo è un’esperienza che dona ancora un altro tipo di tempo. Permette di accarezzare con lo sguardo lento le case basse della «città dei morti», il grande quartiere che ingloba al-Qarāfa, il più antico
cimitero musulmano d’Egitto, dove le tombe sono state, nel tempo, incorporate nelle case, e si sono assuefatte ai nuovi spazi di vita che questi vicoli custodiscono, al riparo dagli sguardi dei più. C’è poi il tempo dell’attesa, di quando aprirà l’ormai agognato nuovo museo, il GEM, Grand Egyptian Museum, la cui inaugurazione si sposta sull’asse temporale del desiderio più che della realtà (ma intanto il vecchio e glorioso museo gode ancora di ottima salute). C’è il tempo del Natale dei cristiani copti, che vivono in uno dei quartieri più suggestivi della vecchia Cairo, celebrato il 7 gennaio, perché segue il calendario giuliano, semplicemente un modo diverso di contare quello stesso tempo che tutti noi viviamo. E c’è il tempo scandito dall’orologio della moschea di Muhammad Ali, la più maestosa, lassù nella Cittadella del Saladino, donato da Luigi Filippo al sultano, il quale lo ricambiò con uno dei due obelischi del tempio di Luxor,
che oggi svetta in Place de La Concorde, a Parigi. Il viaggio è l’occasione migliore per toccare con mano il tempo. E il tempo è lo scultore di ogni luogo, di ogni popolo, di ogni animo. Sant’Agostino sosteneva che vi fosse una «memoria del passato» (ciò che rende il passato ancora presente a noi) e una «aspettazione del futuro» (ciò che rende il futuro un concetto già presente): così noi teniamo tra le mani sempre un qui e ora, quello della nostra interiorità, del modo che abbiamo di intendere le cose. E non a caso, quattordici secoli dopo, il filosofo idealista Friedrich Schelling considerava il tempo come un senso interno, che solo successivamente diventa un oggetto. Siamo attraversati dal tempo, dentro e fuori di noi, in un misterioso dialogo con le cose e con le immagini, per cui possiamo giocare a scacchi con Nefertari e l’istante seguente immaginare la nostra futura casa su Marte. È solo questione di tempo.
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXVII 22 gennaio 2024
azione – Cooperativa Migros Ticino
Israele: il ritorno della Qabbālāh
Reportage ◆ A Tzfat qualsiasi certezza è volatile come l’aria delle vicine montagne, aria considerata tra le più pure al mondo, tanto da es Enrico Martino, testo e foto
Tzfat. La Sinagoga Ashkenazi HaAri fu costruita nel 1580, tre anni dopo la morte del rabbino Yitzhak Luria, «Ha-Ari». Sotto da sinistra a destra: forse la vicinanza di Tzfat al cielo, blu come il colore delle porte nei passaggi acciottolati, spiega la sua reputazione di «Capitale della Qabbālāh», tradizione mistica ebraica; di blu sono anche dipinte le tombe dei più famosi cabalisti Tzfat, nel vecchio cimitero del XVI secolo. Nella pagina accanto: antichi libri ebraici e, sotto, interno della Sinagoga Caro dove Yoseph Caro, rabbino capo di Sfat e autore di Shulhan Arukh, studiò nel XVI secolo.
Medio Oriente, Israele e territori palestinesi non sono solo sinonimo di guerra, come purtroppo la cronaca degli ultimi mesi sembra voler dimostrare. C’è anche una lunga tradizione di pace e di ricerca interiore, sia nel mondo musulmano che in quello ebraico, che qui approfondiamo concentrandoci sul fenomeno della Qabbālāh. Un devoto ha appena acceso una candela su un grappolo di tombe blu mentre le prime ombre della sera, «anime che ballano» le chiamano qui, si allungano sul vecchio cimitero lungo la collina spegnendo le montagne dorate che digradano verso il lago di Tiberiade. Sono le tombe dei cabalisti più famosi, perlomeno quelle visibili perché, secondo la tradizione, se improvvisamente senti la gamba appesantirsi è perché stai calpestando una tomba nascosta. Lungo la strada un giovane ebreo ortodosso insensibile alla purezza della mistica vende improbabili corredi rabbinici accompagnato dalle onde sonore di un implacabile rap che sale verso il cielo e le antiche sinagoghe abbarbicate alla collina. Gusci di pietra che racchiudono tutta la sapienza esoterica di Tzfat la Santa, l’antica Safed alle pendici del monte Kenaan nell’alta Galilea, dove ancora cresce rigogliosa la foresta di simboli, lettere e numeri della Qabbālāh, la mistica ebraica che da molti secoli si interroga
intorno a Dio e all’uomo, e ai segreti nascosti dall’inizio del mondo. Lo ripeteva spesso ai suoi allievi anche il Maestro dei Maestri Yizhaq Luria Askenazi, il più importante mistico ebreo del Cinquecento, che la verità è molteplice, impossibile da imprigionare in un libro e così lui, il più geniale interprete della Qabbālāh, soprannominato per la sua grandezza «Ari il Leone», venne sepolto in una tomba del colore del Paradiso a soli 38 anni senza avere scritto nemmeno un rigo. Con un’eredità simile non c’è da sorprendersi che a Tzfat qualsiasi certezza sia particolarmente
volatile come l’aria delle vicine montagne. Non lontano dal cimitero, le vibrazioni positive del piccolo edificio del mikveh, il bagno rituale usato anche da Luria, sono un’irresistibile calamita per mistici di tutto il mondo, Dalai Lama compreso; e i rabbini locali sussurrano sdegnati che, nonostante i rigorosi divieti, persino qualche femmina l’abbia contaminato nel cuore della notte. C’è anche chi pensa alle cose pratiche, come il custode della tomba del rabbi celibe, Jonathan Ben Uzziel, protettore dei single, che mi propone l’affitto di un cavallo per andare a
spasso tra gli ulivi delle vicine colline, e chi, invece, riflette sulla relatività dei punti di vista, come nella storia del rabbino e delle due pecore, in cui si racconta che, un giorno, un uomo andò a trovare il religioso per lamentarsi che la sua vita era un inferno, tra bambini, famiglia e lavoro. Il rabbi meditò un po’ poi gli consigliò di provare a mettere una pecora in casa. Dopo qualche giorno, però, l’uomo tornò ancora più disperato dicendo «va sempre peggio». Allora il rabbi gli consigliò di mettere una seconda pecora, e quando l’uomo tornò ancora a lamentarsi gli suggerì di provare
a togliere entrambe le pecore. Dopo qualche giorno l’uomo riapparve raggiante, «avevi ragione maestro, adesso è un paradiso, anche l’aria è molto meno puzzolente!». Sono molte le strade che portano alla verità, come quelle che raggiungono Gerusalemme, ma a Tzfat bisogna volerci venire perché della Città Santa non ha certamente la scenografica spettacolarità o i monumenti. Forse è più pura grazie alla sua avirah, l’aria intesa anche in senso spirituale perché, secondo i cabalisti, ognuna delle quattro città sante dell’ebraismo è associata a uno dei quattro elemen-
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attira anche le rock star
ssere meta di ristoro per occidentali stressati
ti della Creazione: Gerusalemme ha il fuoco perché è stata distrutta dalle fiamme, oppure per le sue preghiere che salgono come il fuoco verso il cielo; Hebron, la terra della grotta dove sono sepolti i Patriarchi; Tiberiade ha l’acqua del lago; Tzfat invece l’hanno scelta in molti proprio per l’aria, la più pura del mondo. Tzfat è dunque una piccola Gerusalemme dall’irresistibile seduzione, dove nel corso dei secoli Giuseppe è ritornato dall’Egitto (nella terra di Canaan), ma anche i sefarditi spagnoli espulsi nel 1492 dalla cattolicissima regina Isabella. Molti di loro erano cabalisti in fuga con le loro preziose Tōrāh nascoste sotto le vesti, così già nel 1575 Tzfat diventò una capitale spirituale dell’ebraismo da cui maestri come Joseph Caro, Luria e molti altri irradiavano la propria influenza sulle comunità ebraiche dell’Europa Orientale dando vita al chassidismo, il movimento mistico che ha influenzato non solo la cultura ebraica ma anche l’Europa della Riforma.
La Qabbālāh è un fiume sotterraneo che attraversa la storia dell’Umanità e ancora riesce a spiegare il senso delle nostre azioni A vederla da lontano è difficile pensare che Tzfat racchiuda una sapienza esoterica. Bisogna viverla senza fretta per avvertire l’energia delle sue vecchie pietre che si sprigiona solo lasciandosi alle spalle l’inevitabile suq mistico-turistico della strada principale, inseguendo il suono di silenzi pieni di luce del labirinto di vicoli e piazzette della città vecchia. Un ebreo ortodosso si materializza per un istante con il suo colbacco di pelo di marmotta, forse maledicendo il momento in cui qualcuno ha reso di pubblico dominio un segreto difeso gelosamente per secoli. Poi scompare dietro una piccola porta azzurra, il colore del cielo e del paradiso, da cui filtrano le preghiere di qualche yeshiva, le scuole religiose, confine simbolico con un altro mondo, quello del sapere iniziatico fatto di antiche sinagoghe dove ogni dettaglio ha un significato nascosto, tre archi per Abramo, Isacco e Giacobbe, dieci finestre per i Comandamenti, e armadi polverosi rivelano Tōrāh che sembrano più antiche del mondo. Arrivano da Samarcanda, dalla Spagna, persino dalla remota Cochìn in India, frammenti di storia perché quello che riporta la parola dell’Altissimo Dio non può mai essere distrutto, come i frammenti di luce della Qabbālāh che svelano le invisibili corrispondenze presenti nella Creazione perché, proprio combinando le lettere, Dio creò il mondo con la sua parola. Per i cabalisti esiliati sulla collina di Tzfat, la Tōrāh non racchiude insegnamenti identici per l’eternità, in ogni parola brillano molti lumi e, interrogando persino le singole lettere e gli spazi vuoti, l’uomo può contribuire a liberare scintille prigioniere nelle parole della Tōrāh ricomponendo il disegno iniziale. Tra quelle luci, i cabalisti hanno cercato di elaborare anche la tragedia dell’espulsione dalla Spagna, leggendo la diaspora del popolo ebraico come un esilio dell’Infinito, Dio, che deve tirarsi indietro
come un genitore per permettere la crescita del Finito, l’Uomo. Per secoli mistici, poeti, profeti, religiosi e asceti sono arrivati quassù in cerca di risposte, e negli ultimi quarant’anni anche molti artisti hanno aperto i loro atelier nelle antiche
case che risalgono al tempo in cui a Tzfat ebrei e palestinesi vivevano insieme, prima della guerra del 1948. Oggi arrivano anche sempre più numerose anime inquiete, rockstar comprese, che sperano di ritrovare la pace dello spirito respirando per un paio
Klezmer, la soul music dei mistici
La parola klezmer deriva da una combinazione delle parole ebraiche kley, «strumento», e zemer, «per fare musica», da cui deriva kley-zemer, «Strumento musicale», sebbene, ancora all’inizio del XX secolo, quello che sarebbe diventato un genere autonomo era conosciuto genericamente come musica yiddish. Il klezmer ha accompagnato per secoli feste, funerali, felicità e gioia degli shtetl, i villaggi, e dei ghetti degli ebrei ashkenaziti dell’Europa orientale, fondendo tradizioni melodiche di differenti aree geografiche e culturali, dai Balcani a Polonia, Romania e Russia. Che è poi lo stesso humus in cui si è sviluppato il chassidismo, molto legato alla Qabbālāh, intriso di
quella gioia e di quel fervore caratteristici della musica insieme a un mix di melodie popolari, ebraiche e non ebraiche, musiche da ballo e religiose. All’inizio era considerata una musica volgare e poco sofisticata perché i musicisti klezmer, eredi dei suonatori itineranti ebrei che risalirebbero all’epoca romana, suonavano quello che gli veniva in mente seguendo l’ispirazione del momento. Nei primi anni del XX secolo centinaia di migliaia di ebrei dell’Europa centrale e orientale in fuga dai pogrom (sommosse popolari) e dalla miseria emigrarono negli Stati Uniti. Tra loro c’erano molti musicisti che presto trovarono caffè, ristoranti, cabaret e stazioni radio dove esibirsi, contribuendo anche all’e-
d’ore l’aria fine delle colline dell’alta Galilea aggirandosi, con un sorriso mistico, tra negozi che cercano di risucchiarli al suono dello shofar, il corno della tradizione, sotto lo sguardo divertito di gruppi di reclute che ciondolano con i loro mitra a tracolla.
voluzione del jazz. Una musica dell’esilio che traduce le inquietudini in ritmi appassionati, caratterizzata da una grande sensazione di libertà, addirittura di caos sonoro in cui violini, tromboni, ottoni e violoncelli suonano la stessa melodia, ma ognuno a modo suo, in un’apparente improvvisazione che contrasta con l’armonia melodica, ma che è il segreto del suo fascino. Alla fine del XX secolo, però, la parola klezmer ha cominciato a identificare un genere musicale particolare, una forma di fusion suonata da artisti di qualsiasi origine e fede religiosa, con il rischio di perdere la sua identità, oscillando tra tradizione e musica contemporanea.
«Viviamo in un tempo in cui la Qabbālāh, gelosamente custodita come un segreto per molti secoli, attira milioni di persone, non di meno personalità popolari, ma al contrario di quello che si potrebbe pensare sono loro a ricevere visibilità avvicinandosi alla Qabbālāh» spiega convinto Eyal Riess, direttore per molti anni dell’International Center for Tzfat Kabbalah. «Il mondo cerca una spiritualità sempre più trasversale tra culture e religioni e la Qabbālāh, che in ebraico significa “ricevere” e “paradiso”, favorisce unità e armonia perché è nata con l’uomo, con Adamo, è un fiume sotterraneo che attraversa la storia dell’Umanità e ancora oggi riesce a spiegare il senso delle nostre azioni. La Qabbālāh insegna tecniche per raggiungere la pace, per “ripulirti” cercando un equilibrio tra mondo fisico e spirituale in un processo di conoscenza senza fine in cui focalizzare una cosa piuttosto che un’altra. Noi ebrei stiamo per entrare nel sesto millennio e la Qabbālāh è stata rivelata sette secoli fa in Castiglia, quando Rabbi Moshe de León iniziò a rivelarne i segreti nello Zohar, Il Libro dello Splendore. Questo significa che stiamo per entrare in un’era meravigliosa, l’era dello shabbat perché i cabalisti fanno paragoni tra i sette giorni della Creazione e i sei millenni, e Tzfat sprizza energia da ogni angolo perché da qui la Qabbālāh si è diffusa nei quattro angoli del mondo». Nel frattempo, unendo un pragmatico senso degli affari all’aria rarefatta del misticismo, mister Riess probabilmente pensa alle potenziali folle di ricchi americani in cerca di pace spirituale: «Noi diamo solo gli strumenti, ognuno poi arriva fino a un certo punto perché la Qabbālāh non è per tutti, è come internet o un libro, ognuno deve avere un’attitudine alla conoscenza altrimenti non può capire perché parliamo di un processo di conoscenza senza fine, è come entrare in un’altra dimensione in cui focalizzare una cosa invece di un’altra. Anche un non ebreo può studiare la Qabbālāh, anche se venendo da una tradizione diversa probabilmente capirà meno, perché dei sette principi di cui si parla nella Tōrāh – i comandamenti che guidano l’umanità – molti sono comuni all’intero genere umano, per esempio non parlare di Dio invano, non uccidere o non rubare». Una prospettiva di inarrestabile successo globale più che sufficiente a rendere irascibili i custodi della tradizione incorniciati dalle peot, i lunghi boccoli che si fanno crescere i religiosi per non dimenticare che tutte le teste, comprese le loro, hanno un limite. Così aspettano impazienti, annidati tra le ombre delle antiche sinagoghe, l’arrivo del tempo sospeso dello shabbat, il sabato quando tutto si arresta per non cambiare lo stato del mondo, chiusi i negozi, ferme le auto, spenti telefoni e televisori. Parla solo il silenzio in attesa della notte successiva, quando si riprende a cantare fino a tardi, accompagnati dalle candele dell’addio intrecciate di sottili fili di cera, per salutare lo shabbat che se ne va dopo che in cielo sono apparse almeno tre stelle a segnalare che il mondo si rimette in moto. Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
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2. Tagliate la zucca a fettine sottilissime, e la mela a spicchi. 3. Trasferite tutto in una scodella e mescolate con l’olio. 4. Unite gli aghi di rosmarino e condite con sale e pepe. 5. Dividete la pasta per pizza in quattro. Spianate i pezzi su poca farina. 6. Accomodate le pizze su 2 teglie foderate con carta da forno. 7. Spalmate la crème fraîche sulla pasta, lasciando libero un po’ di bordo. 8. Farcite le pizze con la zucca e la mela. 9. Sbriciolate il formaggio sulla zucca. 10. Cuocete in forno per circa 20 minuti. 11. Sfornate e servite. Preparazione: circa 15 minuti; cottura: circa 20 minuti. Per persona: 17 g di proteine, 28 g di grassi, 71 g di carboidrati, 610 kcal
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Warzone 3: rinascita ufficiale o declino definitivo? Videogiochi ◆ Non convince del tutto la terza rivisitazione del gioco che in tempi pandemici ha appassionato milioni di player Kevin Smeraldi
È difficile credere che siano passati tre anni dall’arrivo del famoso Warzone. Il lancio originale avvenne il 10 marzo 2020, proprio nel bel mezzo della pandemia. E di fatto, durante l’orribile periodo che abbiamo dovuto passare, questo gioco è stato l’unico spiraglio di luce per milioni di videogiocatori. Durante il periodo di quarantena, Warzone è riuscito a riunire molte persone, facendoci divertire per moltissime ore, consacrando Verdansk e Alcatraz come due luoghi virtuali che rimarranno per sempre nei nostri cuori. In data 16 novembre 2022, Activision ha rilasciato un nuovo gioco, dopo aver dato una bella rispolverata al titolo, che – come tradizione vuole – ha presentato come Warzone 2. Questa rivisitazione è basata sul motore grafico di Call of Duty: Modern Warfare 2 (che si inserisce in un’altra nota serie sparatutto). Oltre al motore grafico, gli esperti hanno pensato bene di ritoccare pure la giocabilità, rendendo però il gameplay notevolmente più lento, introducendo un inventario più complicato da gestire, e, per ultimo ma sicuramente non da meno, eliminando di fatto le mappe del nostro cuore. Cambiamenti che, non solo secondo noi, hanno rovinato il titolo, portandolo in una fase di stallo dopo aver compromesso tutto quanto fatto di buono nel primo capitolo. E i numeri hanno parlato chia-
ro anche per Activision, che per rilanciare il titolo, di nuovo, aveva una sola cosa da fare: doveva fare un importante dietro-front, cercando di riportare il gioco al suo stato originale, restituendo mappa e gameplay, che stanno alla base del successo del 2020 con Verdansk. Ed eccoci arrivati al 6 dicembre 2023, giorno in cui Activision ha ufficialmente lanciato Warzone 3, basato sul motore grafico di Call of Duty Modern Warfare 3, uscito a sua volta qualche settimana prima. Va detto che questo gioco porta con sé un peso emotivo considerevole. Non esageriamo nel ribadire che è stato il videogioco della quarantena che ha fatto innamorare milioni di videogiocatori in un periodo estremamente complicato. Quindi, superare o almeno eguagliare la sensazione di nostalgia tra gli appassionati che avevano letteralmente divorato il titolo del 2020, resterà sempre un’impresa estremamente complicata. Detto questo, la nuova mappa Urzikstan sembra in verità aver riacceso almeno in parte quella scintilla. Con un mix tra Verdansk e Al Mazrah (di Warzone 2), cerca di portare il meglio di entrambi i luoghi consegnando una mappa piacevole, dinamica e ben bilanciata; inoltre fornisce spesso molti ripari e altezze, aiutandoci a non essere un bersaglio a campo aperto. Possiamo notare subito come molti
punti di interesse ricordino quello che offriva Verdansk, così come i suoi colori: rispetto al marrone del deserto di Al Mazrah, qui ritroviamo il verde dei prati e il grigio della città. Oltre alla nuova mappa, l’elemento che consideriamo fondamentale di questo titolo, è il nuovo sistema di «movement». Quello precedente era diventato quasi ingiocabile nelle ultime mappe, mentre Warzone 3 ce ne regala uno dei migliori mai visti fino a oggi, ciò che contribuisce a rendere questo gioco estremamente «iperattivo», ripristinando l’elemento adrenalinico che era andato perduto. Non è però tutto oro ciò che luccica, infatti il gioco presenta ancora molti aspetti negativi che rendono l’esperienza alquanto frustrante. Par-
Giochi e passatempi Cruciverba Sapresti dire quali sono le tre lingue più parlate al mondo? Scoprilo risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 6, 9, 8, 7)
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Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku 3
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19. Una consigliera proverbiale 21. Mezzo anno 22. Un gigante biblico 23. A fin di bene... 24. Un aiuto per studenti 25. Articolo francese 26. Pubblicato 27. Particole VERTICALI 1. L’Ultima... opera di Leonardo da Vinci 2. Tutt’altro che sommi 3. Le iniziali di Paganini 5. Immagini sacre
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6. Un anagramma di anse 8. Poco intelligente 12. Carico di elettricità 13. Praticato dagli sportivi 14. Temporale a Monte Carlo 15. Il famoso Silvestro 16. Fu l’ultimo dei giganti 17. È in capo al mondo... 19. Famoso 20. Danneggiate 22. È buono in Germania 23. Vezzi settecenteschi 24. Pronome personale 25. Le iniziali di Tolstoj
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ORIZZONTALI 1. Due volte nel brindisi 4. Ghiaccio in Germania 7. Malvagi, crudeli 9. Le iniziali dell’attore Amendola 10. Tredicesima lettera dell’alfabeto greco 11. La cantante Celine 13. Porzione di città 14. Spesso involucro del nucleo terrestre 17. Particella nucleare 18. Davanti al nome del commercialista
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tiamo subito nel dire che Call of Duty Modern Warfare 3 non è nient’altro che un semplice «aggiornamento» del suo predecessore, piuttosto che un gioco nuovo. Il motore grafico e le meccaniche di gioco sono identici a Call of Duty Modern Warfare 2, mentre le mappe le hanno semplicemente riprese dai titoli precedenti della saga. Tutto questo, purtroppo, si riflette chiaramente su Warzone 3, che al di fuori dalla nuova mappa e dal nuovo «movement», lascia la sensazione di giocare lo stesso titolo rilasciato lo scorso novembre 2022. Un’ulteriore nota di grande demerito va al comparto audio, pessimo a nostro parere. I passi dei nemici sono pressoché impercettibili, i rumori dati dalle esplosioni, dai bombardamenti, dai veicoli
e dalle sfide completate in gioco, non permettono di sentire nient’altro, portandoci a scontri casuali, senza capire da che parte ci stanno attaccando. Tra i punti negativi ci sono sicuramente anche i server di Activision, dove 1 partita su 5 è ingiocabile, a causa dei continui rallentamenti, lag e perdita dati, dove si può soccombere in uno scontro semplicemente perché i colpi sparati dalla nostra arma colpiscono in ritardo rispetto a quelli dell’avversario. Chiudiamo le note di demerito con lo «Skill Base Match Making», ovvero il sistema di riempimento delle stanze da gioco. Questo sistema introdotto da Activision prevede la creazione di stanze da gioco con gente di livello affine. Purtroppo, oltre al fatto che il sistema non funziona mai correttamente, trasforma ogni singolo scontro in una sfida all’ultimo sangue, rimuovendo completamente la componente divertente del gioco. Il sistema di riempimento casuale utilizzato in passato era sicuramente migliore, poiché dava l’opportunità di scontrarsi casualmente sia con gente più forte sia con giocatori più deboli, garantendo il divertimento grazie alla rotazione. Warzone 3 ha fatto sicuramente un passo avanti rispetto al suo predecessore, l’introduzione della nuova mappa e il suo «movement» sono state due mosse vincenti, ma non sufficienti a riportarci ai tempi di Verdansk. Voto: 7/10
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Soluzione della settimana precedente FAUNA DAL MONDO – Questo granchio, uno dei più grandi artropodi del mondo, è lungo circa: QUATTRO METRI e vive: IN GIAPPONE
Q U A B A T E T L U S A O N E R O S I M E A C C O R T O S I D N A T A R T I P I E N O R M E G I O R E A R P A A S S A P I E N S N E O I N O
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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Dove trovi il diavolo e l’acqua santa Reportage dal Qatar che svolge un ruolo chiave nei negoziati con Hamas, mentre sale la tensione in tutta la penisola arabica
Un gesto di vicinanza si fa battaglia È polemica dopo l’apertura espressa da papa Francesco sulla possibilità di impartire benedizioni alle coppie gay
Berna rilancia i rapporti con la Cina A Davos la Svizzera firma un’intesa con Pechino sull’aggiornamento dell’accordo di libero scambio, ma qualche perplessità rimane
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Una minaccia per Pechino
Taiwan ◆ L’elezione di Lai Ching-te del Partito democratico progressista rischia di infiammare le tensioni con la Cina Giulia Pompili
«Le elezioni hanno mostrato al mondo l’impegno del popolo taiwanese per la democrazia», ha detto Lai Ching-te, conosciuto anche con il suo nome inglese di William, alla folla festante subito dopo il verdetto del voto di sabato 13 gennaio sull’isola di Taiwan: «Spero che la Cina possa capire». Ma capire cosa? Forse proprio questa distanza che si è creata ormai tra Repubblica di Cina, il nome formale di Taiwan, e la Repubblica popolare cinese, cioè la seconda potenza del mondo guidata dal Partito comunista cinese e da un leader sempre più autoritario, Xi Jinping. A maggio William Lai inaugurerà il suo mandato da presidente, dopo essere stato negli ultimi quattro anni il vicepresidente di Tsai Ing-wen, la leader del Partito progressista democratico, e aver vissuto in prima persona tutti quei cambiamenti che hanno trasformato l’isola e i taiwanesi, la loro identità e il loro desiderio di proteggere ciò che hanno conquistato negli anni: i diritti e la democrazia.
Lai Ching-te, conosciuto anche con il suo nome inglese di William, ha vinto le elezioni del 13 gennaio sull’isola di Taiwan. Per le sue posizioni, era il candidato meno gradito alla Cina. (Keystone)
Nel 1996 la Cina iniziò ad alzare il tiro con le intimidazioni, lanciando una serie di missili attorno all’isola Sessantaquattro anni, William Lai è entrato in politica quasi un trentennio fa. Ma la sua storia, come quella di qualunque taiwanese, è strettamente legata a quella dell’isola. Si tratta di poco meno di ventitré milioni di abitanti che abitano su una superficie di trentaseimila chilometri quadrati, cinquemila in meno della Svizzera. Taiwan è un territorio che la Cina rivendica come proprio, anche se le loro strade si sono divise molti decenni fa, nel 1949, alla fine della Guerra civile cinese, quando le truppe nazionaliste di Chiang Kai-shek che combattevano contro i comunisti di Mao si ritirarono sull’isola, sconfitti. Lo status giuridico di Taiwan è unico: presidenza, Governo e Parlamento rappresentano a pieno la democrazia vibrante che è diventata quella taiwanese, e che è passata attraverso diversi periodi di crisi. Era il 1996 quando sull’isola di Taiwan si stava svolgendo per la prima volta la campagna elettorale dopo la riforma che aveva introdotto l’elezione diretta del presidente della Repubblica, neanche dieci anni dopo la fine della Legge marziale. Nato in una famiglia povera, di minatori, con il padre morto in un incidente quando lui aveva solo due anni, William Lai era riuscito a diventare medico e a svolgere parte degli studi perfino in America. Aveva trovato lavoro al National Cheng Kung University Hospital di Tainan, nel sud dell’isola,
proprio davanti allo stretto che separa Taiwan dalla costa cinese. Ma durante quella campagna elettorale del 1996 la Cina iniziò ad alzare il tiro con le intimidazioni, lanciando una serie di missili attorno all’isola: uno show di forza per mostrare i muscoli a quella che ancora oggi, a Pechino, viene considerata la «provincia ribelle». È allora che William Lai decise di entrare in politica.
Lai ripete di continuo che il suo impegno è difendere la pace, le conquiste democratiche e lo status quo dello Stretto «Pechino aveva voluto inviare un messaggio a coloro che sostenevano le riforme democratiche di Taiwan, preferendo candidati più ricettivi alle proprie tendenze autoritarie», ha scritto Lai sul «Wall Street Journal» a luglio, raccontando la sua vita e il senso della sua candidatura a presidente. «Fortunatamente quei candidati persero», e da allora «la nostra democrazia è fiorita, ma la storia trova
il modo di ripetersi». Anche in questi giorni da presidente-eletto, Lai ripete di continuo che il suo impegno «è difendere la pace, le nostre conquiste democratiche e lo status quo dello Stretto». «Status quo» è l’espressione chiave per capire Taiwan: pur di annettere l’isola Pechino ha lavorato per anni al suo isolamento diplomatico, e di recente la Repubblica di Nauru, un piccolo Stato insulare dell’Oceania, ha deciso di chiudere la sua ambasciata di Taiwan per aprire quella della Repubblica popolare cinese. Un segnale piccolo ma significativo, visto che a oggi solo dodici stati al mondo riconoscono ufficialmente il Governo di Taipei. Trattare con Taiwan è quindi tutto un gioco di equilibri, anche linguistici. A luglio dello scorso anno Lai aveva detto a una platea di sostenitori che «quando il presidente di Taiwan potrà entrare alla Casa Bianca, allora l’obiettivo politico che stiamo perseguendo sarà stato raggiunto». All’epoca c’erano state parecchie polemiche su quella frase: vuole dire indipendenza? Riconoscimento for-
male? Visita di Stato? I funzionari del Dipartimento di Stato avevano telefonato alla rappresentanza diplomatica di Taiwan a Washington per chiedere chiarimenti. Il pericolo, allora, era che la campagna elettorale prendesse una piega piuttosto provocatoria, e che Lai effettivamente stesse promettendo ai suoi elettori una sorta di dichiarazione d’indipendenza. «William Lai rappresenta per Pechino una vera e propria minaccia alla narrazione del Partito comunista cinese», spiega Stefano Pelaggi, docente all’Università La Sapienza esperto di politica taiwanese. «Il neoeletto presidente ha espresso, in passato, una posizione abbastanza netta rispetto alla Cina, all’identità taiwanese e al futuro di Taiwan. Si tratta di opinioni largamente diffuse nella società dell’isola che solitamente vengono omesse per evitare uno scontro politico. Negli ultimi anni, particolarmente nella campagna elettorale, Lai si è posizionato su un approccio legato a un realismo nelle relazioni nello Stretto. Ma per Pechino chiunque non sostenga l’unificazione con la Cina è un nemico». Eppure, secondo un
sondaggio del Pew Research Center pubblicato di recente, oltre due terzi dei taiwanesi si considerano ormai taiwanesi, mentre solo il 3 per cento degli intervistati si considera cinese, dunque qualsiasi atto per l’annessione di Taiwan vorrebbe dire uno scontro, anche bellico, un’opzione che Pechino non ha mai nascosto. «La coercizione di Pechino negli ultimi tre anni è cresciuta di intensità in maniera significativa», dice Pelaggi, «penso che ci sarà un graduale aumento dell’assertività ma non assisteremo a una vera e propria escalation. Il riconoscimento di Nauru all’indomani dei risultati delle elezioni presidenziali è un esempio della strategia di Pechino, una costante azione di coercizione nei confronti di Taiwan». Per gli esperti si tratta soprattutto di una tattica che serve a mostrare all’opinione pubblica interna, quella cinese, che la leadership otterrà quello che vuole. Ma ormai, spiega Pelaggi, «le incursioni nello spazio aereo taiwanese, l’erosione degli alleati diplomatici e la retorica di Pechino non sembrano avere un impatto significativo all’interno della società taiwanese».
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ATTUALITÀ
Dove si incontrano il diavolo e l’acqua santa Reportage – 1 ◆ Attraversiamo la penisola arabica mentre la tensione cresce in tutta l’area Prima tappa: il Qatar che svolge un ruolo chiave nei negoziati con Hamas per liberare gli ostaggi e non solo Federico Rampini
Attraverso la penisola arabica, dal Golfo arabico-persico al Mar Rosso, mentre la tensione cresce in tutta l’area: i ripetuti attacchi degli Huti contro le navi di diversi Paesi, i raid di risposta degli americani con la partecipazione di alleati, i lanci missilistici con cui l’Iran colpisce Pakistan, Iraq, Siria. L’escalation è più che una minaccia, è già una realtà quotidiana. La mia prima tappa è il Qatar, che svolge un ruolo chiave nei negoziati con Hamas per liberare gli ostaggi, e non solo. Doha è uno dei miracoli del Golfo arabico-persico. Ancora pochi anni fa l’unico grattacielo che si vedeva era quello dell’Hotel Sheraton. Oggi è scomparso, invisibile e minuscolo, nascosto da una selva di nuovissimi grattacieli (alcuni molto belli) che creano una skyline da fare invidia a Manhattan. Sul modello di Dubai, ma con una vista mare ben più spettacolare. Miracolo recente, boom ancora fresco e giovane.
Veduta di Doha, capitale del Qatar. (Keystone)
Tra donne velate, petrolio e gas naturale L’Islam qui è più visibile che a Dubai, perché di donne completamente velate se ne vedono tante. Però è un Islam che non condiziona chi viene da fuori, convive con altri costumi. Sono tanti quelli che vengono da fuori. I veri qatarioti sono solo 350’000 cioè appena il 10 per cento della popolazione. La manodopera viene importata a maggioranza da altri Paesi musulmani o con grosse minoranze islamiche: India, Pakistan, Bangladesh, Egitto. È un miracolo recente: molti che oggi hanno studiato all’università (e magari all’estero) hanno genitori semianalfabeti, nonni che non avevano la luce elettrica in casa. L’economia antica – prima della scoperta del petrolio e soprattutto del gas naturale di cui oggi il Qatar è uno dei massimi produttori mondiali – è ben illustrata nel Museo nazionale: si fondava su un’alternanza stagionale fra il mestiere di raccoglitori di ostriche e perle, e la pastorizia nei mesi invernali. Oggi Doha oltre alla ricchezza gasifera sfida Dubai nel ruolo di hub, piattaforma logistica e finanziaria. La compagnia aerea Qatar Airlines cerca di competere con Emirates per offrire collegamenti globali fra tutti i Continenti. Si candida anche ad attirare flussi turistici, con gite nel deserto e crociere nel Golfo. Attira eventi sportivi, dai Mondiali di calcio alla Formula Uno, agli investimenti nei musei. La versione soft dell’Islam è consentita dal fatto che qui il clero non ha mai avuto il ruolo politico tipico di altri Paesi come Arabia e Iran. Gli imam, reclutati all’estero, strapagati, obbediscono alle autorità locali.
Un vicino ingombrante e potente Però la politica estera del Qatar è un’altra cosa: i vicini lo hanno spesso accusato di favorire forze jihadiste, tra l’altro con l’informazione della sua rete televisiva Al Jazeera. La monarchia di Doha si giustifica con i vincoli della geografia: questa penisola si affaccia sul Golfo dirimpetto all’Iran, con il quale condivide lo stesso giacimento gasifero (anche se Tehe-
ran riesce a sfruttarlo solo in minima parte, per arretratezza tecnologica legata in parte alle sanzioni). Il Qatar si considera obbligato a scendere a patti con un vicino così ingombrante e potente. Al tempo stesso questa penisola ospita la più grande base militare americana di tutto il Medio Oriente, una risorsa essenziale alle dirette dipendenze di CentCom, abbreviazione del Central Command situato a Tampa in Florida.
Una sorta di Svizzera del Medio Oriente In Europa il Qatar ha fatto notizia per i Mondiali di calcio e gli abusi contro i diritti dei lavoratori in quei cantieri; per il Qatargate che un anno fa ha coinvolto diversi europarlamentari accusati di avere incassato tangenti; per la nostra fame di gas naturale dopo le sanzioni contro Putin; più di recente per il suo ruolo come quartier generale dei dirigenti politici di Hamas (alloggiati in hotel di lus-
so). L’ultima parte ha origini più antiche: la presenza di Hamas a Doha fu conosciuta, tollerata e perfino incoraggiata dall’America e da Israele che avevano bisogno di un luogo neutro per parlare con questa organizzazione, per quanto terroristica e colpita da sanzioni. I flussi di finanziamenti miliardari dal Qatar a Gaza (cioè soprattutto ad Hamas) furono accettati o addirittura incentivati da Barack Obama e Benjamin Netanyahu più di dieci anni fa. Durante l’Amministrazione Trump fu sempre a Doha che s’incontrarono emissari americani e talebani per negoziare le condizioni del ritiro Usa-Nato dall’Afghanistan. Se c’è un luogo dove il diavolo e l’acqua santa possono incontrarsi su terreno neutro, è questo. Ma non si ha certo l’impressione che Doha si una luogo pericoloso o inquietante o torbido. Al contrario: ordine, pulizia, benessere, efficienza, sicurezza, disciplina. In questo senso un ambasciatore occidentale mi descrive la vocazione del Qatar ad essere una sorta di Svizzera del Medio
Gli attacchi iraniani Nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi il Pakistan ha compiuto un attacco aereo in Iran, poco dopo i raid iraniani sul territorio pakistano. Il Ministero degli esteri pakistano ha dichiarato che l’esercito ha condotto «attacchi militari di precisione» contro «covi dei terroristi». Ha aggiunto che il Pakistan «rispetta pienamente la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica islamica dell’Iran» e che l’unico obiettivo dell’attacco «era il perseguimento della sicurezza e dell’interesse nazionale del Pakistan, che è fondamentale e non può essere compromesso». Gli attacchi sono stati effettuati nella provincia del
Sistan e Belucistan, che si trova nel sud-est dell’Iran. L’agenzia di stampa ufficiale iraniana IRNA ha confermato che nella notte ci sono state diverse esplosioni in alcune aree intorno alla città di Saravan, e il vice governatore ha dichiarato che sono state uccise sette persone. In parallelo, sempre l’Iran, ha colpito bersagli nel Kurdistan iracheno (elementi sospettati di aiutare il Mossad) e in Siria dove l’obiettivo dichiarato era lo Stato islamico che ha appena rivendicato la strage di Kerman, ma secondo i media i missili hanno devastato una palazzina vuota usata in passato da insorti qaedisti. / Red.
Oriente. Qui tutti hanno accesso, tutti hanno spazio, anche le forze più estreme e radicali: purché non facciano danni su questo territorio. Hamas può seminare il terrore altrove, ma se vuole incassare puntualmente i suoi miliardi da Doha deve trattarla come una zona franca, dove non si azzarda neppure a parcheggiare in sosta vietata.
L’embargo del 2017 e le paure dei qatarioti Dicevo di Al Jazeera. La linea editoriale di questa rete televisiva – influente in tutto il mondo islamico, e anche oltre – fu una delle cause scatenanti della più grave crisi internazionale subita da questo Paese nella storia recente. Nel 2017 un’ampia coalizione guidata dall’Arabia saudita, con dentro Emirati, Bahrain, Egitto e Yemen, ruppe le relazioni diplomatiche con Doha e varò un embargo. L’accusa rivolta alla monarchia locale fu di fiancheggiare tutte le forze fondamentaliste ed eversive della grande famiglia dei Fratelli musulmani (di cui fa parte anche Hamas). Fu un isolamento pesante, con gravi danni all’economia locale, fece temere ai qatarioti perfino una possibile invasione militare saudita. In loro aiuto la Turchia di Erdogan mandò un contingente di soldati. Oggi quella crisi, durata fino al 2021, occupa un’intera galleria del Museo nazionale, a riprova di quanto abbia segnato il regno.
Se le vittime sono palestinesi e i carnefici israeliani Il Qatar ha pagato dei prezzi per la sua politica estera «corsara» ma non l’ha modificata e il suo ruolo di Svizzera del Golfo oggi è ingigantito dalla guerra di Gaza. Né è cambiata la linea di Al Jazeera. Malgrado tante
critiche e proteste, questa tv continua a dare un’informazione tanto estesa e professionale quanto faziosa. Da Gaza dà spazio quasi esclusivamente alle versioni di Hamas. I giornalisti di Al Jazeera – alcuni dei quali hanno pagato con la vita la pericolosità della propria missione – sono bravissimi e al tempo stesso sono di parte. I tg di Al Jazeera sono un bombardamento continuo di immagini a senso unico: le vittime sono palestinesi, i carnefici israeliani. È informazione di qualità ed è lavaggio del cervello. Gran parte del mondo arabo e islamico non conosce altre versioni dei fatti.
Nel nostro mondo ma distanti e irriducibili Un gestore del fondo sovrano qatariota che ha investito nei grattacieli di Milano e nella Costa Smeralda m’invita a cena in un lussuoso centro commerciale: fatto esclusivamente di marmo bianco di Carrara, sembra un replica della Galleria Vittorio Emanuele di Milano; all’ingresso ospita una showroom della McLaren. È un luogo frequentato dal ceto medioalto, eppure le donne sono quasi tutte velatissime e in nero, alcune con la versione integrale che lascia scoperta una feritoia solo per gli occhi. Lui e la moglie hanno vissuto e studiato in America, in Europa. Lei è una ricercatrice biogenetica ma veste l’abito tradizionale e il suo capo è coperto. Sono gentilissimi, affabili, parlano un inglese perfetto, abbiamo tante cose in comune: hanno girato il mondo, sono di casa a New York e Londra, vediamo gli stessi film e serie televisive. Per certi aspetti fanno parte del «nostro mondo», per altri sono distanti e irriducibili. Quando a lui chiedo un giudizio sulla politica estera americana ed europea in Medio Oriente, non esita a liquidarla così: «Volatile, ondivaga, inaffidabile».
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ATTUALITÀ
Un gesto di vicinanza trasformato in battaglia
Chiesa cattolica ◆ L’apertura espressa da papa Francesco sulla possibilità di impartire, pur tra mille prudenze, benedizioni alle coppie omosessuali ha l’effetto di un vero e proprio terremoto
È l’eterna legge del bicchiere: a seconda della parte da cui lo si guarda, appare sempre mezzo pieno o mezzo vuoto. Eppure l’apertura espressa da papa Francesco sulla possibilità per i sacerdoti di impartire (pur tra mille prudenze) benedizioni a coppie omosessuali, sta avendo in queste settimane l’effetto di un vero e proprio terremoto nel cattolicesimo globale. Non solo dalle roccaforti conservatrici delle Chiesa degli Stati Uniti o dell’Europa dell’Est, ma anche dalla stragrande maggioranza delle conferenze episcopali dell’Africa, come pure da alcuni vescovi di Paesi asiatici a maggioranza musulmana, è partita una levata di scudi sulle nuove direttive impartite la settimana prima di Natale dal dicastero per la Dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio, per secoli severo custode dell’ortodossia in Vaticano e oggi improvvisamente apripista di svolte inedite. Oggetto del contendere è un documento di una manciata di pagine intitolato Fiducia Supplicans: diffuso il 18 dicembre, è stato approvato da Francesco, ma materialmente porta la firma di Victor Manuel Fernandez, il teologo argentino vicinissimo a Bergoglio che qualche mese fa il papa ha fortemente voluto per portare la sua visione del mondo anche nel luogo per eccellenza della dottrina cattolica. Quella di Fernandez – subito creato cardinale nell’ultimo concistoro – è una delle nomine di maggior peso compiute dal pontefice in questi anni. Ed è significativamente giunta a luglio insieme a una lettera aperta in cui Francesco gli ha chiesto, in sostanza, in questo nuovo ruolo di non giocare in difesa emanando condanne, ma di promuovere la fede cattolica attraverso «un pensiero che sappia presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le convoca al servizio fraterno». È quanto la dichiarazione Fiducia Supplicans cerca di fare sul tema delle coppie omosessuali. Questione scivo-
losissima oggi per la Chiesa cattolica, che da una parte non vuole assolutamente cambiare la sua dottrina secondo cui l’unico matrimonio è quello tra un uomo e una donna, ma dall’altra con Francesco non vuole nemmeno chiudere le porte a chi nel mondo LGBTQ+ si riconosce credente. Con il nuovo documento per la prima volta un testo ufficiale del magistero dice espressamente che un prete cattolico può accogliere la domanda di una benedizione avanzata non solo da un singolo ma anche da una coppia omosessuale (o da altre coppie in situazioni «irregolari» dal punto di vista della Chiesa, come per esempio i divorziati risposati civilmente). Lo fa, però, avendo cura di ribadire che questo gesto non deve essere inteso come un’approvazione delle unioni omosessuali e non deve nemmeno apparire come qualcosa di assimilabile a un rito. Il nuovo documento vaticano teorizza per questo l’esistenza di due diversi tipi di benedizioni: uno definito «rituale» e l’altro «pastorale». Dove il secondo sarebbe quello che, manifestando la misericordia di Dio, non può essere negato a nessun credente che chieda questa forma di sostegno nel proprio cammino. L’ansia di distinguere ed evitare «malintesi» resta alta: di fronte al fuoco di fila dei tradizionalisti il card. Fernadez è arrivato persino a formulare un’improvvida specificazione secondo cui quelle pastorali dovrebbero essere «benedizioni della durata di una manciata di secondi» e senza formule pre-determinate, a differenza dei lunghi e precisi rituali previsti per la celebrazione dei sacramenti della Chiesa cattolica. Letta così verrebbe da chiedersi quante siano le coppie omosessuali cattoliche a cui realmente interessi ricevere da un sacerdote un gesto del genere. Ed è evidente il fatto che gli stessi movimenti LGBTQ+ cattolici siano tutt’altro che soddisfatti da questo approccio, a cui guardano nella migliore delle ipotesi solo come un
Ave Calvar / Unsplash
Giorgio Bernardelli
primo passo verso un’accettazione reale da parte delle proprie comunità. Ma il punto è che la questione delle benedizioni sta diventando uno scontro intorno a una bandiera, andando anche ben al di là della diversità di orientamenti sulla questione specifica. Un gesto di vicinanza verso tutti, coerente con lo stile che papa Francesco ha impresso al suo pontificato, si è trasformato in un simbolo in grado di coalizzare chi – guardando già al prossimo Conclave – invoca un colpo di freno rispetto a una Chiesa dove in nome della misericordia e della fraternità i «sì» e i «no» diventano sempre più sfumati. Ed è particolarmente interessante il ruolo che in questa dialettica interna alla Chiesa cattolica stanno giocando le Conferenze episcopali dell’Africa: ad eccezione di quello del Sudafrica, praticamente tutti gli episcopati cattolici del Continente hanno espresso
difficoltà ad applicare quanto chiesto dalla dichiarazione Fiducia Supplicans. Dunque proprio uno dei volti di quelle «periferie del mondo» che tante volte Francesco in questi anni ha invitato ad ascoltare, si sta rivelando il più chiuso a ogni apertura in tema di vicinanza verso le persone omosessuali. In questo caso a giocare sono evidentemente barriere culturali molto dure da scalfire, in contesti dove le relazioni tra persone dello stesso sesso sono tuttora considerate un reato. E questo non vuole comunque dire che su tanti altri temi l’Africa abbia voltato le spalle a papa Francesco. Ma è lo stesso un monito a non banalizzare un panorama cattolico che oggi è molto più complesso rispetto alle dicotomie classiche tra conservatori e progressisti, o tra Paesi ricchi e Paesi poveri. E in fondo è un quadro che riecheggia contrasti simili emersi da tempo anche in altre confessioni cristiane come ad esempio
il mondo anglicano, ugualmente spaccato sulle questioni legate al gender. Papa Francesco ha invocato la strada della «sinodalità» per provare a comporre queste divisioni: ha avviato ormai tre anni fa una grande consultazione nelle comunità cattoliche di tutto il mondo sulle questioni aperte nella sua visione della riforma della Chiesa. Per smuovere le acque ha provato anche a includere almeno una quota di laici e donne nell’Assemblea che è chiamata a tirare le somme di questo processo. Ma già la prima sessione di questi inediti tavoli composti da vescovi e delegati tenutasi nell’ottobre scorso a Roma ha mostrato tutta la difficoltà di questa impresa. Più che una linea comune a emergere sembrano essere le tensioni. E gli schieramenti in vista di un futuro Conclave che anche per mere ragioni anagrafiche, con un papa di 87 anni, ormai non può più essere un appuntamento lontano. Annuncio pubblicitario
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La Svizzera rilancia i rapporti con la Cina
WEF di Davos ◆ Berna ha firmato un’intesa importante con Pechino sull’aggiornamento dell’accordo di libero scambio Ma la situazione economica e politica del Paese asiatico invita alla prudenza nonostante le aperture Ignazio Bonoli
Se il World Economic Forum (WEF) di Davos di quest’anno poteva essere qualificato come incontro formale e forse un po’ ripetitivo, già la sua preparazione e il ruolo che la Svizzera ha assunto negli incontri preliminari hanno ampiamente smentito le previsioni. Klaus Schwab, fondatore e da sempre presidente della manifestazione, può essere più che soddisfatto del successo ottenuto. A 85 anni Schwab ha annunciato di lasciare la prestigiosa carica (senza dire quando) e di aver già trovato un sostituto, di cui però non si conosce ancora il nome. Compito non facile quello che attende il sostituto a capo di un’operazione cominciata nel 1970, senza troppe pretese, con la ricerca di una segretaria poi diventata moglie del titolare.
Le autorità federali hanno ricevuto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro cinese Li Qiang In mezzo secolo di attività i due hanno sviluppato un’attività che ha richiamato a Davos con scadenze regolari migliaia di ministri, Chief Executive Officer (CEO) aziende, professori e attivisti di ogni tipo. E anche quest’anno, complice la delicata situazione geopolitica e le inevitabili ripercussioni sull’economia, l’incontro di Davos riveste un’importanza eccezionale. All’inizio le autorità svizzere sembravano non attribuire troppa importanza a questi meeting ma poi, vista la risonanza internazionale non soltanto economica ma anche politica, hanno ritenuto indispensabile fare almeno gli onori di casa, per poi parteciparvi sempre più attivamente. Così anche quest’anno la Svizzera non si smentisce e approfitta delle occasioni offerte dall’evento per marcare la sua presenza in campo internazionale. Come spesso avviene in queste occasioni, gli incontri bilaterali diventano sempre più importanti, soprattutto se magari preceduti da visite ufficiali.
Al centro Guy Parmelin e il viceministro cinese del Commercio Wang Shouwen dopo aver firmato l’intesa sull’accordo di libero scambio, il 15 gennaio a Berna. Sullo sfondo: Viola Amherd e Li Qiang. (AFP)
Quindi le autorità federali hanno ricevuto, alla vigilia dell’apertura dei lavori del WEF, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro cinese Li Qiang. Nel primo caso la Svizzera ha potuto rilanciare la disponibilità ad organizzare nel nostro Paese una conferenza per la pace in Ucraina. Ha ribadito la sua neutralità politica, ricevendo comunque i complimenti di Zelensky per la partecipazione alle sanzioni internazionali contro la Russia. Nel contempo ha ribadito il proprio sostegno finanziario in loco e le spese per l’accoglienza e la protezione dei rifugiati ucraini. Sul piano economico assume invece un’importanza particolare l’incontro con il primo ministro cinese, ma soprattutto la firma di un’intesa sull’aggiornamento dell’accordo di libero scambio concluso nel 2014, ma piuttosto trascurato, nonostante la vi-
sita nel 2017 del presidente cinese Xi Jinping. La Svizzera, con l’Islanda, è il solo Paese europeo che abbia firmato un simile accordo con la Cina. Nel frattempo l’evoluzione economica ha fatto della Cina la terza potenza economica al mondo, con l’Unione europea e gli Stati Uniti, nei rapporti commerciali bilaterali con la Svizzera. Non mancano però ostacoli di rilievo anche sul piano politico. Per esempio alla Svizzera non piacciono le interferenze del gruppo Huawei nel campo dell’informatica. In una presa di posizione in risposta a un atto parlamentare, il Consiglio federale dice di voler evitare che la Cina possa esercitare pressioni sulla Svizzera, rendendola una lacuna nel sistema elettronico occidentale di difesa. A livello parlamentare si vorrebbero inoltre accompagnare i progressi nel
libero scambio da impegni sulla protezione dei diritti umani. La Cina sembra disposta a discuterne a livello di Ministeri degli esteri ma non sul piano economico.
Ricordiamo che Berna non riconosce Taiwan come Stato indipendente a causa della politica «una sola Cina» Restano comunque divergenze di fondo fra i due sistemi politici, né si può sperare che in Cina cambi qualcosa in questo campo. Si notano però alcune aperture significative. Per esempio la Cina potrebbe ammettere turisti svizzeri senza visto d’entrata. Sul piano economico la Cina sta vivendo momenti difficili e alcune aziende europee stanno ri-
dimensionando le loro posizioni nel Paese asiatico. Pechino continua comunque a praticare una politica delle porte aperte sugli investimenti di cui anche la Svizzera potrebbe approfittare. Berna dovrebbe però considerare molto seriamente, sul piano interno, l’accettazione di un accordo più ampio di libero scambio a livello parlamentare, ma poi eventualmente anche a livello popolare. Resta infine ancora aperta la questione delle rivendicazioni cinesi su Taiwan, che potrebbero incidere negativamente su tutti i tipi di rapporti fra i due Paesi. Ricordiamo che Berna non riconosce Taiwan come Stato indipendente a causa della politica «una sola Cina» in vigore dal 1950. Tuttavia, oltre alle relazioni diplomatiche, intrattiene rapporti molto buoni su più livelli con l’isola. Nel maggio 2023 l’ambasciata cinese a Berna aveva reagito con impeto alla volontà del Consiglio nazionale di rafforzare i contatti col Parlamento di Taiwan, definendola una «grossolana intromissione» negli affari interni dello Stato comunista. Tornando al WEF, si discutono però altri temi. Uno di particolare attualità è quello che concerne l’intelligenza artificiale. Il 70% degli economisti interpellati per il Chief Economist Outlook lo ritengono uno dei temi più importanti nel momento attuale, soprattutto in considerazione degli effetti positivi sul miglioramento della produttività delle aziende ma anche di quelli sull’occupazione. Poi ci sono le preoccupazioni di tipo politico caratterizzate dai numerosi focolai di guerra nel mondo. Tra questi il più recente, ma anche pericoloso per l’Europa, è quello del Mar Rosso, con conseguente aggiramento del canale di Suez da parte dei trasporti navali mondiali. Per il momento non si vedono ancora conseguenze sui prezzi di molti prodotti. A breve scadenza si noteranno però spinte al rialzo sui prodotti energetici, in particolare petrolio e gas. Una tendenza che potrebbe aggravare la situazione che in alcuni Paesi è già caratterizzata da un rilancio dell’inflazione.
«Quanto denaro è meglio avere da parte come riserva?»
La consulenza della Banca Migros ◆ Le finanze nel quotidiano: dipende da molti fattori ma tendenzialmente è meglio avere da parte almeno tre spese mensili sul conto di risparmio
Vorrei mettere da parte un gruzzolo d’emergenza per tutelarmi da costi imprevisti, ad esempio in caso di perdita del lavoro. Quanto denaro dovrei accantonare sul conto per disporre di una riserva? L’ammontare della riserva di liquidità dipende dalle condizioni di vita e dalle esigenze di sicurezza individuali. Tendenzialmente, se non si deve provvedere al sostentamento di altre persone, come ad esempio in un contesto familiare, la riserva necessaria è minore. La «riserva di emergenza» ideale si determina sulla base delle spese ricorrenti. Prima di tutto, quindi, bi-
Barbara Leo Consulente alla clientela presso la Banca Migros
sogna verificare i costi mensili che riguardano affitto e spese accessorie, telefono e internet, generi alimentari, trasporti e attività ricreative. Per dormire sonni tranquilli si consiglia una riserva pari ad almeno tre spese mensili sul conto di risparmio: se quindi ogni mese si spendono 5000 franchi, bisogna avere da parte 15’000 franchi con cui pagare riparazioni impreviste, visite mediche o i debiti fiscali. Per avere un margine di manovra finanziario più consistente, anziché l’importo corrispondente a tre spese mensili vanno invece accantonati tre stipendi mensili. Inoltre le riserve finanziarie dovrebbero essere ancora maggiori se si hanno generalmen-
te esigenze più elevate di sicurezza. Quattro-sei stipendi mensili costituiscono un buon valore di riferimento. Anche chi ha figli o deve rimborsare un’ipoteca dovrebbe mettere da parte di più per poter far fronte a spese impreviste. La soluzione idea le è disporre di tre riserve separate: la prima, pari a tre stipendi mensili sul conto di risparmio (riserva 1), destinata a emergenze minori come la rottura di elettrodomestici o le visite dal dentista. Si raccomanda poi di mettere da parte uno stipendio e mezzo o due stipendi (riserva 2) per pagare le imposte e le assicurazioni e, infine, uno o due stipendi (riserva 3) per acquisti occasionali quali quello
ad esempio di un televisore in offerta speciale. Sia per la persona singola sia per la famiglia vale comunque la stessa regola: se salgono le spese mensili, occorre aumentare anche la riserva finanziaria. Suggerimento Consigliamo di versare la riserva di denaro su un conto di risparmio e di approfittare degli interessi in aumento. Da gennaio l’interesse sui conti di risparmio bonus della Banca Migros è pari all’1,4%. Maggiori informazioni su: bancamigros.ch/ conto-risparmio-bonus
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXVII 22 gennaio 2024
azione – Cooperativa Migros Ticino
MONDO MIGROS
La Svizzera è alla ricerca di uova Al momento la domanda supera l’offerta. Ogni tanto ci sono degli spazi vuoti sugli scaffali. Ecco come reagisce la Migros
Perché il consumo è improvvisamente aumentato? Attualmente vi sono degli spazi vuoti sugli scaffali delle uova. Cosa sta succedendo?
Immagine: Getty Images
Dall’inizio del 2023, la domanda di uova fresche svizzere (comprese quelle dei Nostrani del Ticino) da allevamento all’aperto è aumentata del 5% circa. L’offerta non riesce a tenere il passo con la domanda.
Non lo sappiamo con certezza. Sebbene la Migros sia in stretto dialogo con i fornitori e faccia costantemente previsioni sugli sviluppi, nessuno si aspettava una tale crescita. Il fenomeno non riguarda solo la Migros, ma tutta la Svizzera.
Cosa sta facendo la Migros? Per soddisfare la domanda aumentata, la Migros deve importare delle uova da altri Paesi europei. Tuttavia, ci sono dei limiti a queste importazioni, poiché l’aumento della domanda di uova si osserva anche altrove in Europa.
Com’è la situazione del benessere degli animali relativa alle uova importate? La maggior parte è conforme allo standard minimo KAT (forme di allevamento alternativo controllato) che, oltre a prescrivere la forma di allevamento, prevede ad esempio anche il divieto di tagliare il becco ed è quindi paragonabile alla legislazione svizzera sulla protezione degli animali.
Questa situazione riguarda tutte le uova svizzere? No, al momento ci sono abbastanza uova svizzere bio. Tuttavia, la situazione potrebbe cambiare con la carenza di uova svizzere convenzionali da allevamento all’aperto. Anche in questo caso, il margine per aumentare le quantità è minimo.
L’agricoltura svizzera può aumentare la produzione? Per produrre più uova servono più galline ovaiole. Tuttavia, ciò richiederebbe il reperimento di più produttori e, soprattutto, la costruzione di più pollai. Questo non è possibile a breve termine e non ha senso per i picchi di vendita come la Pasqua, poiché la domanda cala notevolmente in seguito.
Ci saranno abbastanza uova per Pasqua? La Migros farà tutto il possibile per avere abbastanza uova sugli scaffali per Pasqua. Tuttavia, la percentuale di uova importate sarà decisamente più alta rispetto al passato.
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Anno LXXXVII 22 gennaio 2024
azione – Cooperativa Migros Ticino 27
CULTURA ●
Un ricordo di Daniela Giudici Scomparsa di recente, ricordiamo il lavoro e la figura della fondatrice della Galleria chiassese Consarc insieme al marito Guido
Salva per miracolo La pianista Golda Vainberg Tatz racconta delle sue origini ebraiche e di come sua madre Judith scampò alla fucilazione da parte dei nazisti
Se dai cremini nasce una mostra Roger Eberhard, zurighese di casa a Berlino, racconta l’ispirazione artistica nata dalle immagini riprodotte sui cremini
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«Quello che conta è toccare l’essenza delle cose»
Mostre ◆ Ancora fino al 4 febbraio Palazzo Reale a Milano dedica una grande esposizione a Giorgio Morandi Curato da Maria Cristina Bandera, direttrice della Fondazione Roberto Longhi, l’allestimento è di grande impatto visivo e non solo Elio Schenini
Negli ultimi anni capita sempre più spesso (sicuramente sarà capitato anche a voi) di incontrare amici e conoscenti che volendoci mostrare una fotografia che hanno scattato iniziano a scorrere freneticamente l’indice sullo schermo del cellulare, per scrollare tra le migliaia di immagini disparate che intasano fino all’ultimo bit la memoria del loro telefono. Raramente la ricerca si conclude con un esito positivo, quasi sempre il compulsatore di turno finisce infatti per desistere quando si accorge che la messa in standby della relazione interpersonale si sta protraendo troppo a lungo e rischia di mettere in imbarazzo l’interlocutore.
«Nei suoi quadri, così apparentemente semplici, così rigorosi, c’è sempre un luogo, un punto da cui spiare l’infinito» Del resto, credo sia un’esperienza generalmente condivisa quella per cui la gran parte di quella sterminata moltitudine di fotografie che scattiamo ogni giorno nel disperato tentativo di arrestare la vaporosa inconsistenza in cui si dissolvono le nostre esistenze, alla fine rimanga sospesa negli hard disk dei nostri smartphone come in un limbo dove le intravvediamo solo fugacemente mentre siamo sempre alla ricerca di un’altra immagine. In questo continuo scivolare delle nostre vite sulle superfici sempre più lucide e prive di attrito dei dispositivi elettronici di cui ci circondiamo, Baricco qualche anno fa (era il 2010) aveva visto il senso di una mutazione antropologica: con l’arrivo di quelli che lui chiamava i nuovi barbari la ricerca della profondità che per secoli aveva caratterizzato l’umanità non aveva più alcun valore perché nella nuova era digitale «la superficie è tutto, e in essa è scritto il senso». La tesi di Baricco poteva apparire seducente anche per la consueta gradevolezza affabulatoria con cui era sostenuta e la sua analisi aveva sicuramente il merito di cogliere alcuni nodi fondamentali della trasformazione in atto nel mondo della cultura, ma l’entusiasmo con cui lo scrittore torinese salutava questa presunta rivoluzione aveva lasciato molti interdetti, anche perché nella sua apologia della superficie traspariva abbastanza evidente la sua idiosincrasia nei confronti del mondo accademico, che della profondità è tradizionalmente il custode. Che nell’era della proliferazione epidermica delle connessioni, la profondità non sia affatto un vecchio arnese arrugginito di cui possiamo fare tranquillamente a meno, ci siamo
Giorgio Morandi fotografato da Herbert List 1953. (© International Center of Photography / Magnum Photos)
trovati a pensarlo (anche se in realtà non avevamo mai avuto dubbi) poche settimane fa mentre percorrevamo le sale di Palazzo Reale a Milano dove è ospitata la grande mostra dedicata a Giorgio Morandi curata da Maria Cristina Bandera, direttrice della Fondazione Roberto Longhi. Osservando le nature morte dipinte dall’artista bolognese, che sono generalmente appena un po’ più grandi dello schermo di un tablet o di un portatile, risulta immediatamente chiaro che il sottile gioco di variazioni da cui ha origine la straordinaria sinfonia che costituisce il corpus della sua opera,
non è ipotizzabile senza quell’immersione totale in un microcosmo ridotto ai minimi termini che sta al centro della sua ricerca. Dalla sua camera da letto che era anche il suo studio, in via Fondazza a Bologna, dove ha trascorso tutta la sua vita come in una cella monacale, affiancato dalle tre sorelle, Morandi si è caparbiamente concentrato su alcuni semplici oggetti, disposti in maniera sempre diversa sopra un astratto piano di appoggio. Scatole di latta, caraffe, brocche, ciotole, bottiglie, vasi di fiori, sono questi oggetti banali della quotidianità, scelti in funzione
della loro geometria e dell’armonia o dei contrasti che produce il loro accostamento, a ritornare continuamente nei suoi quadri. Tuttavia, anche se a prima vista potrebbe apparire così, Morandi non è affatto «un pittore di bottiglie», come qualcuno lo ha definito. La sua è una pittura che non è per nulla interessata alla riproduzione del reale in quanto tale, ma che mira a coglierne l’essenza. In un’intervista degli anni Trenta, parlando della propria ricerca, lui stesso ha affermato che «quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose». Non a caso, alcuni critici, facendo leva sulla se-
rialità dei suoi dipinti, hanno visto un parallelismo tra la sua opera e quella totalmente astratta di Piet Mondrian, il padre del costruttivismo. In realtà, come ha suggerito acutamente lo storico dell’arte e poeta francese Yves Bonnefoy, l’artista del Novecento che più si avvicina a Morandi è probabilmente Alberto Giacometti. In entrambi gli artisti, nel primo a partire dalle cose, nel secondo dalle persone, vi è infatti una continua e ostinata necessità di confrontarsi con la realtà per sondarne la dimensione metafisica. Che non vi sia «nulla di più surreale e di più astratto del reale» è, del resto, un’altra celebre affermazione morandiana. Dopo la brevissima adesione al Futurismo e la ben più significativa stagione della Metafisica, Morandi, tra la metà degli anni Venti e il 1964, anno della sua morte, ha trascorso le sue giornate scavando nell’opacità impenetrabile dell’essere a partire dagli oggetti che disponeva con minuziosa e sapiente regia di fronte al suo sguardo, accostandoli in configurazioni sempre diverse. Forse è anche per questo che nel suo mondo pittorico sono banditi riflessi e trasparenze. Non solo lasciava che la polvere si depositasse sugli oggetti che utilizzava, ma in alcuni casi, soprattutto se si trattava di vetri, ne dipingeva le superfici per evitare che qualsiasi riflesso proveniente dal mondo circostante potesse distrarlo dalla concentrazione che richiedeva la solida presenza della cosa che stava di fronte a lui. Grazie a questo lungo e tenace scavo che lo ha portato a interrogare in profondità l’essenza dell’atto pittorico, Morandi è riuscito a riportare in superficie, sulle superfici pastose, dalle geometrie rigorose ma imprecise, dalle modulazioni tonali raffinate, quasi monocromatiche delle sue tele, nelle quali si avvertono gli echi di Piero della Francesca, di Zurbaran, di Chardin e di Cezanne, un’immagine senza tempo dell’enigma che sta alla base dell’essere. Come ha osservato Bernardo Bertolucci, accostando l’opera di Morandi all’aleph borgesiano, «nei suoi quadri, così apparentemente semplici, così rigorosi, c’è sempre un luogo, un punto da cui spiare l’infinito». Quel luogo, quel punto che invece, a dispetto di tutti i nostri sforzi, non riusciremo mai a trovare nella miriade di immagini che accumuliamo inutilmente nei nostri telefonini. Dove e quando Morandi 1890-1964, Palazzo Reale, Milano, fino al 4 febbraio 2024 Ma-do 10.00-19.30; gio 10.00-22.30 www.palazzorealemilano.it
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CULTURA
Galleria Consarc, fiore all’occhiello della fotografia In ricordo ◆ Omaggio a Daniela Giudici che con il marito Guido ha dato vita al centro chiassese, culla di molti fotografi ticinesi
sti in prestigiose sedi nazionali (come Andreas Seibert, Georg Aerni, Annelies Štrba e Beat Streuli); molti artisti ticinesi già più affermati (Stefania Beretta, Mariapia Borgnini, Alberto Flammer, Paolo Foletti, Flor Garduño, Giuseppe Luisoni, Francine Mury, Roberto Raineri-Seith) e autori svizzeri mai passati in Ticino (F&D Cartier, Jean-Marc Yersin, Nicolas Savary). Per non citare i tanti giovani artisti che hanno mosso i primi passi incoraggiati proprio dai coniugi Giudici. La Consarc ha sostenuto una nuova generazione di fotografi locali (Simon Brazzola, Giuseppe Chietera, Simone Mengani, Igor Ponti, Domenico Sca-
rano, Christian Tagliavini, Fabio Tasca), e altri giovani italiani (Alessandra Calò, Filippo Brancoli Pantera). Nello spazio chiassese ha avuto inizio la parabola internazionale di Gianpaolo Minelli e Massimo Vitali che proprio qui per la prima volta ha esposto le sue celeberrime Spiagge, copertina del catalogo di Arles nel 1997. Sempre in cerca di collaborazioni e nell’interesse di fare rete, prima ancora della Biennale dell’Immagine di Chiasso, Daniela e Guido diedero vita all’Autunno fotografico, che nel 2014, tra le prime volte in Europa, ha portato l’opera di Vivian Meier, autrice riscoperta e oggi notissima, così come
autori dalla fama mondiale, tra tutti Edward Burtynsky, Michael Wolf e molti altri. Attualmente, in collaborazione con la Fondazione Rolla, la Galleria Consarc nella mostra in corso fino a fine gennaio ripropone il fotografo tedesco Christof Klute (sua la fotografia in pagina dal titolo Cezannes’ window I-XII – Aix-en-Provence 2021). Presenti anche al prestigioso Recontres de la photographie di Arles, i coniugi Giudici sono stati uno dei cuori pulsanti che hanno fatto della piccola Chiasso un laboratorio culturale conosciuto in tutta la Svizzera, cittadina di confine dal ricco e vivacissimo cartellone artistico, musicale e teatrale – nonché letterario. Daniela Giudici (ritratta nella foto) era uno dei due motori di tutto questo imponente progetto. Dietro quella porta metallica dal sapore industriale, si entra in un vero e proprio centro culturale: non una galleria pretenziosa, dal finto prestigio bensì un luogo dove – con una tavola poggiata su cavalletti, in mezzo alle fotografie allestite come sfondo – si discute di tutto e si progetta la prossima iniziativa. Impossibile non ammirare e rimanere stupiti del tantissimo lavoro pro bono della coppia – che non solo interpretava i bisogni dell’attualità, ma se ne faceva carico. Parlo qui di fotografia: non va dimenticato il grande impegno di Daniela per tante, tantissime cause sociali e soprattutto ambientali con Sos Ambiente Mendrisiotto, per i problemi noti e ancora attuali. Come per molti, ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere Daniela. In tanti abbiamo condiviso con lei la
© Aline D'Auria
A poca distanza dalla scomparsa di Alberto Flammer, la fotografia ticinese ha visto in questo inizio anno lo spegnersi di un’altra figura importante. Ideatrice della Galleria Consarc con il marito Guido, Daniela Giudici è stata – e purtroppo dobbiamo usare un tempo passato – una presenza indimenticabile della cultura visiva e artistica regionale. Da fine anni Ottanta, lasciati i rispettivi impieghi, Daniela e Guido hanno creato e animato, con passione instancabile e inscalfibile, uno spazio ricavato da una vecchia camiceria a pochi passi dalla frontiera e dalla ferrovia. Per oltre trent’anni ne hanno fatto un punto di riferimento della fotografia ticinese e non solo. Una galleria e un laboratorio dedicati esclusivamente alla fotografia: un’impresa coraggiosa e pionieristica, in un periodo ben lontano da quello che si registra oggi, con la fotografia onnipresente tra esposizioni, pubblicazioni e festival di ogni genere. Con straordinaria caparbia e regolarità i Giudici hanno proposto alla Galleria Consarc decine di autori di diversa estrazione: esposizioni piccole e intense, allestite sempre con gusto e cura – oltre che con grande professionalità data anche dal laboratorio, oggi condotto da Andrea Longo. A guidare le scelte, come detto, sempre la passione per la scoperta. Nel 1990 hanno iniziato con le fotografie inedite di Max Huber, ispiratore del museo cittadino, e via via abbiamo visto passare negli anni molta scuola italiana del paesaggio, come Gabriele Basilico, Francesco Radino, Mario Cresci e il più giovane Maurizio Montagna; autori svizzeri espo-
© Christof Klute
Gian Franco Ragno
passione per la fotografia – non solo la bellezza ma anche lo sguardo aperto sul mondo, la visione e la speranza, la creatività e la denuncia. Abbiamo ascoltato le sue sempre ben argomentate preferenze, apprezzato la sua ospitalità, ci siamo divertiti con lei – come quanto ha messo le piantine di basilico accanto alle immagini di… Gabriele Basilico. E come molti sono convinto, per la qualità della proposta sua e del marito Guido, che avrebbero meritato più attenzione da parte delle istituzioni e del pubblico. A Daniela, e a Guido, per quello che ci hanno proposto in questi anni, per averci aperto gli occhi al mondo – anche dall’interno di una ex-camiceria a pochi passi da via Soldini a Chiasso – non può che andare un profondo e sincero ringraziamento. Per chi volesse visitare la mostra in corso su Christof Klute segnaliamo i contatti della Galleria per prendere appuntamento: galleria@consarc.ch e 091 683 79 49.
Quella gentile malinconia per le rovine
Pubblicazioni ◆ In un nuovo volume uscito in italiano per La nave di Teseo Patrick McGrath scrive di follia e di letteratura gotica
«Dopo Dracula non c’è stato nulla di portata e vitalità tanto ampia, per il semplice motivo che il genere Gotico, scaturito dall’oscurità dell’inconscio ed espresso da Stoker nella forma più compiuta, è stato usurpato da Freud. Freud espanse e organizzò questo insieme di saperi e, chiamandoli psicoanalisi, conferì a essi una dignità e un prestigio cui mai avrebbero potuto aspirare all’interno di un genere romanzesco orrorifico». Una tesi percorre, insieme ad altre affascinanti visioni, l’ultimo bel libro di Patrick McGrath: l’azzardo secondo il quale le prove letterarie dei vari Bram Stoker, Mary Shelley, Robert Louis Stevenson, Herman Melville, Oscar Wilde e naturalmente Edgar Allan Poe non sarebbero altro che una sorta di grezzo apprendistato della psicoanalisi, per le pratiche di narrazione che vi correvano, per la scelta dei temi («maschere, mostri, doppi, fantasmi, follia, alterazioni mentali, sogni») e anche per l’anticipo del procedere fermamente narrativo dell’avventura freudiana nell’inconscio. Scrivere di follia di Patrick McGrath, appena uscito in traduzione italiana, è una raccolta di articoli, prefazioni, recensioni di grande originalità dedicati alla follia e al modo di raccontarla. Alcuni filoni percorrono il genere con particolare e felice ostinazione. Tra di essi il libro di McGrath pare tornare spesso per esempio
Wikipedia
Stefano Vassere
sul tema del doppio: Jekyll e il signor Hyde, Frankenstein e la creatura, Dorian Gray e il suo ritratto; ma anche il commovente e stranissimo, ed eppure autentico, caso di Jennifer Gibbons e della sua gemella June. Furono due pazienti psichiatriche inseparabili; tanto inseparabili che, taciturne con la comunità circostante, parlavano tra loro una lingua curiosa e solidale, marcata da un accento dei Caraibi e da numerosi difetti di pronuncia. Esse erano talmente unite, di fatto una sola persona, che all’uscita dalla clinica e a contatto con il mon-
do una deciderà di morire in un modo struggente, arrestandosi il battito del cuore. Per lunghi tratti la lettura di questo libro ci fa credere che McGrath più che lo scrittore avrebbe dovuto fare il critico, o il recensore o il prefatore professionista, abiti nei quali gli succede di stupirci spesso con nuove letture e nuove visioni delle cose. Capita quando si legge del dottor Frankenstein, usurpatore dei poteri del Creatore, ma anche di quelli, supremi, della Donna generatrice di vita. Di simili sgangherati e irrisolti rap-
porti con il genere femminile c’è abbondanza nell’intero filone letterario: «Di fatto il sesso è onnipresente, nell’immenso romanzo privo di donne» che è Moby Dick: nel letto condiviso all’inizio tra Ishmael e Queequeg alla Locanda dello Sfiatatoio, nell’episodio dei due uomini legati e incollati insieme alla «corda di scimmia», nel salvifico abbraccio finale di Ishmael attorno alla bara del ramponiere, che, particolare non secondario, porta gli stessi tatuaggi della sua pelle. E pure il romanzo di Melville è anche un moderno romanzo di altre pelli, quelle della tolleranza e della fraternità delle razze che animano il ponte del Pequod e la sua ciurma, altrimenti e ostinatamente «in preda a un’ossessione per la bianchezza». Ogni tanto i grandi scrittori ci colpiscono anche per una loro peculiare capacità di osservare il proprio lavoro, di indagarne motivazioni, strumenti ed esitazioni. In questo libro McGrath ci descrive il travaglio della trasposizione cinematografica di Spider, uno dei suoi romanzi più luminosi (per questo lettore, il migliore), che dà sostanza a uno di quei casi nei quali cercare di indovinare se sia più bello il film o il libro è impresa disperata, tanti sono i pregi delle opere di McGrath da una parte e di David Cronenberg dall’altra. Dice il nostro Patrick: «Il film è un capolavoro: il ritratto chiaro, lento e illuminato di un
viaggio nella notte della psiche», cui il pubblico di Cannes riserverà il miglior cerimoniale della casa: l’applauso in piedi, per tanti e tanti minuti. Finita la celebrazione del rituale della follia, scrittore e regista non sanno fare altro che abbracciarsi tra le lacrime: è il trionfo della letteratura, l’apoteosi della cultura, ancora una volta vincente su una natura derelitta e priva di conforto. Narrare di follia contribuisce forse a contenere gli incubi, dando loro sfogo nell’universo narrativo; certo l’analisi psicologica successiva, le sostanze sempre più psicotrope, il cinema e le avanguardie più estreme delle nuove tecnologie fanno riflettere su quanto quella letteratura e «quell’antico gusto per la gentile malinconia delle rovine» (nell’immagine le rovine del monastero di Eldena, 1825, di D. C. Friedrich) abbiano ancora loro concreti effetti. Siccome parla di vita e di uomini, dei loro segreti e delle loro ossessioni, il genere folle ha una sua propria leggibilità universale, «arrivando» con lo stesso successo a tutti i lettori possibili: da quelli più preparati e sensibili a quelli meno provveduti. Il segreto dei generi letterari sta, per buona fortuna del lettore, in gran parte lì. Bibliografia Patrick McGrath, Scrivere di follia, Milano, La nave di Teseo, 2023.
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MONDO MIGROS
«Abbassiamo i prezzi per la nostra clientela» La Migros riduce i prezzi di oltre 400 prodotti. Peter Diethelm, responsabile della neocostituita società Migros Supermercati SA, spiega perché e cosa possono aspettarsi i clienti in futuro Testo: Kian Ramezani
La Migros Supermercati SA ha cominciato la sua attività. Avete iniziato bene? Sì, e dopo gli impegnativi preparativi per la costituzione di Migros Supermercati SA, adesso non vedo l’ora di concentrarmi sul lavoro operativo insieme al mio team. Il nostro obiettivo dichiarato rimane quello di migliorare l’organizzazione dell’attività dei supermercati Migros di tutte e dieci le cooperative regionali e di unire le forze laddove sia opportuno farlo. Il mio team e io siamo molto motivati e vogliamo mostrare rapidamente alla nostra clientela i primi risultati.
«Su questo punto saremo giudicati» Il primo atto ufficiale tangibile è la riduzione dei prezzi. Era previsto? Semplificare la nostra attività di supermercato non è qualcosa che facciamo per noi stessi. Abbiamo sempre spiegato che gli incrementi di efficienza devono essere percepiti dai clienti. Siamo ancora all’inizio, ma le attuali riduzioni di prezzo sono un primo passo verso la realizzazione di questa promessa. A causa dell’inflazione, negli ultimi tempi i prezzi si sono mossi soprattutto verso l’alto. Ed è nostra intenzione correggere questa tendenza. Quali sono i prodotti interessati e di quanto verrà abbassato il prezzo? In totale abbiamo ridotto i prezzi di più di 400 prodotti. Oltre agli alimenti di base come tè, pane, formaggio e carne, l’assortimento comprende anche prodotti convenience come barrette Farmer, birchermuesli e millefoglie nonché
Peter Diethelm (58) è CEO di Migros Supermercati SA. In precedenza ha lavorato per otto anni come direttore generale di Migros Svizzera orientale. Vive a Matzingen TG.
tutta una serie di articoli per la cura del corpo. I ribassi di prezzo sono diversi e vanno dal 3 al 20%. Ad esempio, una bottiglia di sciroppo di lamponi costa ora Fr. 2,95 invece di 3.70. In questo caso trasferiamo pari pari i prezzi di acquisto più vantaggiosi alla nostra clientela.
In base a quali criteri sono stati scelti i prodotti da ribassare? Per noi è importante includere soprattutto articoli di uso quotidiano. Le riduzioni di prezzo devono favorire il maggior numero possibile di persone e riflettersi concretamente sul portafoglio.
Sono previsti altri ribassi di prezzo quest'anno? Cosa intende fare inoltre la Supermercati SA? Come ho detto, siamo solo all’inizio e naturalmente intendiamo continuare a lavorare sui nostri prezzi. Nel contempo vogliamo anche che i nostri clienti ottengano di più
per il loro denaro. Stiamo investendo nell’espansione e nell’ammodernamento della nostra rete di filiali nonché in assortimenti più chiari e semplici. Nelle nostre considerazioni ci concentriamo costantemente sulle esigenze della clientela. E su questo punto saremo giudicati.
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CULTURA
«Non temere, ti sarò madre e padre»
Incontri ◆ La pianista Golda Vainberg Tatz racconta come sua madre scampò alla fucilazione da parte dei nazisti Enrico Parola
Il curriculum artistico di Golda Vainberg Tatz (nella foto) non è dissimile da quello di tanti altri pianisti di talento che brillano nel firmamento concertistico internazionale. Ha girato il mondo esibendosi in sale prestigiose, dalla Salle Cortot di Parigi alla Carnegie Hall di New York, a San Pietroburgo e Shangai passando, di recente, per Milano, Giappone, Salisburgo, dove è anche stata «artista in residenza»; applaudita ora in recital solistico, ora in formazioni cameristiche, ora accompagnata da orchestre sifoniche nei concerti di Mozart, Beethoven, Brahms o Ravel. La più celebrata casa produttrice di pianoforti, la Steinway, l’ha voluta come sua artista in esclusiva. Per musicisti come lei il Paese e la famiglia di origine si citano solo per legarli a una particolare scuola o tradizione pianistica, o a genitori a loro volta musicisti che hanno trasmesso la loro passione e avviato sulle vie dell’arte i giovanissimi figlioletti. Vainberg Tatz è lituana, la madre era una cantante; però quando Golda ripercorre la sua storia, deve risalire a parecchi anni prima della sua nascita e soprattutto deve esulare, e non poco, dai melodiosi confini della classica, per accordarsi su note ben più dolenti e stridenti. Una storia che principia nell’estate del 1941, quando la madre, all’epoca dodicenne, si trovava in una colonia estiva non lontana dal Ma-
re Baltico. «La mamma mi raccontava che quella fu una colonia diversa da tutte le precedenti: a quel tempo i nazisti stavano invadendo la Lituania, si sentivano esplodere le bombe e tutti i bambini correvano, urlavano, cercavano di rifugiarsi da qualche parte». Una quotidianità già di per sé terribile, ma che non aveva conosciuto ancora il suo giorno più tragico: «Fu quando alcune milizie tedesche si presentarono alla colonia dove, come al solito, si trovavano assieme bambini cristiani e bambini ebrei. Li divisero senza neppure chiedere loro il nome, semplicemente mettendo da una parte quelli con gli occhi azzurri e i capelli biondi, e dall’altra quelli con i capelli e gli occhi scuri: in Lituania i cristiani hanno praticamente tutti i colori chiari, gli ebrei i colori scuri. I primi vennero condotti in un orfanotrofio cattolico di un piccolo paese limitrofo, Panevetzis, gli ebrei nel ghetto di Palanga. Li misero in fila e li fucilarono. I soldati avevano ricevuto l’ordine di ucciderli così, non dovevano neppure deportarli in un lager; li ammazzarono per strada e poi li buttarono in una fossa». Lei al momento non sapeva nulla, glielo raccontarono i genitori e i fratelli; soprattutto, lei sopravvisse pur essendo ebrea. «La nostra famiglia è ebrea, mia madre si chiama Judith, un nome non certo lituano, gliel’avessero chiesto non avrebbe avuto scampo, ma per fare in fretta li divisero solo in base a oc-
chi e capelli, e mia madre, per sua fortuna, era una delle pochissime ebree con occhi azzurri e capelli biondi». In questi mesi Vainberg Tatz, continuando a suonare, non può non paragonare la storia della sua famiglia e del suo popolo a quanto sta succedendo; e viene da chiedersi quali sentimenti possa provare, quali pensieri possano turbinarle nella mente, dopo l’efferato massacro del 7 ottobre e il tragico presente della Striscia di Gaza, quando lei sale sul palco e vede tanta gente che, tranquillamente, è venuta a teatro per una serata di divertimento: «Girando per le strade delle grandi città europee, o di New York, dove ora abito, guardando alla platea presente a un concerto, anche aspettando un aereo in una sala d’attesa o all’ingresso di qualche Gate, ho un solo pensiero: che fino al giorno prima dello scoppio di questa guerra la vostra era anche la nostra realtà, e l’unico desiderio che ho è che possa ritornare così quanto prima». Nonostante la situazione non sembri lasciar spazio a spiragli di pace, proprio la storia della sua famiglia le consegna un seme di speranza: «All’orfanotrofio una maestra capì subito che mia madre era ebrea, ma non voleva consegnarla ai nazisti; la portò dal prete del paese, Antanas Gobis, che la rassicurò: le prime parole che le rivolse furono: “Non temere, ti sarò madre e padre”. Si assunse un rischio pazzesco: c’erano parecchi lituani che avrebbero
volentieri denunciato una piccola ebrea e chi la nascondeva; fosse successo, sarebbero stati fucilati entrambi». Durante la guerra Judith visse nascosta nelle case di alcune famiglie cristiane locali, il prete veniva a visitarle e vegliava su di lei. Quando lei gli confidò di voler diventare cristiana, la sua risposta fu: «Non smetteresti di essere ebrea agli occhi del mondo, e non ti salverebbe dai nazisti». A conflitto terminato, Judith tornò sull’argomento, anche perché stava nascendo un particolare interesse per un ragazzo cattolico, ma la risposta non cambiò: «Devi rimanere ebrea e devi aiutare a ricreare un popolo che è stato spazzato via». Il nome di Gobis è stato iscritto nel libro della Yavadshim, un’organizzazione israeliana che ricorda i cristia-
ni che eroicamente salvarono gli ebrei dall’olocausto. Judith sposò un sarto ebreo, da cui ebbe Ilan nel 1952 e otto anni dopo Golda. «Antanas fu il mio nonno: passavamo assieme le vacanze e le feste, cristiane ed ebraiche, veniva spesso a casa e sempre ai miei concerti. Lui fu anche il nostro mentore musicale: sostenne mia mamma nei suoi studi di canto, comprò il violino a mio fratello, a me toccò il pianoforte perché c’era già un archetto in casa» sorride Golda, il cui talento emerse precocemente: «A tre anni non sapevo leggere, né un libro né un pentagramma, ma avevo l’orecchio assoluto e sapevo riconoscere tutte le note». Fu una enfant prodige: giovanissima si esibiva in Lituania e negli altri Paesi baltici. Una giovinezza serena, con la famiglia progettava il ritorno in Israele ma la madre si ammalò: «Un cancro allo stomaco, che nel 1969 non era curabile; si era salvata dal nazismo, non ci riuscì dal cancro». Il trasferimento avvenne nel 1972, «ma alcune volte, ad esempio a Natale, tornavo in Lituania a trovare padre Gobis; forse proprio la distanza fisica mi ha reso cosciente della sua vicinanza spirituale: c’è stato quando mio fratello combatté nello Yom Kippur, quando mi diplomai a Tel Aviv e alla Juilliard School di New York. Ogni volta che debuttavo in un teatro importante, avevo un desiderio ricorrente: vedere padre Gobis in prima fila». Annuncio pubblicitario
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXVII 22 gennaio 2024
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CULTURA
Dal cremino alla mostra è un attimo
Intervista ◆ Roger Eberhard, zurighese, di casa a Berlino, racconta l’ispirazione artistica nata dalle immagini riprodotte sui cremini Luca Fiore
Il rito del caffè ha spesso ispirato gli artisti. Il primo a rappresentarne una tazzina è stato forse Francisco de Zurbarán. Poi si sono accodati Renoir, Manet, Van Gogh e molti altri. Ma sono stati sopratutto i cantautori a celebrare una bevanda che, spesso e volentieri, è metafora di qualcos’altro: «L’amour sans philosopher / C’est comm’ le café / Très vite passé», cantava Serge Gainsbourg. Colore misterioso, gusto deciso, aroma esotico. Facile tirar fuori poesia da una bevanda così nobile. Roger Eberhard, fotografo zurighese, classe 1984, si è invece concentrato su di un comprimario della regale tazzina: il cremino. Sì, la piccola dose di panna da aggiungere al caffè, servita nei bar di tutta la Svizzera. La confezione di plastica è chiusa da una linguetta di alluminio su cui, tradizionalmente, è riprodotta un’immagine rotonda grande come una moneta. Eberhard ne ha fatto prima una mostra, intitolata Escapism, presentata al festival romando Image Vevey, a quello giapponese Kyotographie e alla galleria berlinese Robert Morat. Oggi, quel lavoro è diventato un libro (Éditions Images Vevey, 2023). Si tratta di immagini di spiagge esotiche, iceberg maestosi o deserti incontaminati, che suscitano un sentimento di Wanderlust, soprattutto in un piccolo Paese senza sbocco sul mare come la Svizzera. Un invito, mentre si beve una tazza di caffè, a fuggire dalle preoccupazioni della vita quotidiana. «Sono sempre stato affascinato da come questi piccoli oggetti, diffusi ovunque nel nostro Paese, siano stati un vettore di fotografie che ha influenzato il nostro immaginario collettivo di svizzeri», spiega Eberhard.
In quasi tutte le immagini che ho scelto c’è, in qualche modo, un riferimento alla Storia dell’arte. C’è l’onda di Hokusai, la pubblicità della Marlboro usata da Richard Prince, la palma dei paesaggi di Apocalypse Now È un oggetto che appartiene alla vita quotidiana. Ed è piccolo. I francobolli, ad esempio, raramente riportano un’immagine fotografica. Negli ultimi 50-60 anni è stato il modo più diffuso di condividere fotografie prima dell’avvento dei social network. Come ha trasformato questi oggetti in opere d’arte? Ho raccolto una collezione di linguette: avevo tutte quelle prodotte tra il 1968 e il 2008. Erano migliaia. Ho acquistato diverse raccolte e le ho riunite in un’unica, enorme collezione. E poi ho scelto i soggetti che mi interessavano. Volevo concentrarmi sui paesaggi, legati al tema del cambiamento climatico. Sono arrivato a individuarne 32. Li ho montati su una lastra di alluminino rendendoli perfettamente piatti, poi li ho fotografati con un apparecchio ad altissima risoluzione, in modo da poterli ingrandire di quasi cento volte. In questo modo si può vedere la texture in quadricromia con cui sono stampate. Poi ho preso ciascun file e l’ho ritoccato con Photoshop in modo
Roger Eberhard, Lava, 2022. (© Roger Eberhard)
progetto, perché non mi interessa restituire una testimonianza fattuale a tutti i costi. In questo mi sento più a mio agio nel contesto dell’arte contemporanea che in quello della fotografia documentaria. Tornando ai «cremini» di Escapism: è un tema che viene capito fuori dalla Svizzera? Ho l’impressione che gli stranieri lo trovino ancora più stimolante.
che la sagoma di ciascun pallino colorato fosse perfetta. Per il resto, sul soggetto, non sono intervenuto. Che cosa ha scoperto guardando e selezionando queste immagini? Sono fotografie che vengono guardate per una frazione di secondo. Per funzionare su una superficie di circa due centimetri e mezzo di diametro, i soggetti devono essere molto semplici e centrati. Si tratta quasi di archetipi o di cliché subito riconoscibili. E mi sono chiesto: sono venute prima queste immagini o la loro memoria collettiva? Ho pensato che fosse un aspetto meraviglioso su cui questo lavoro aiutava a riflettere. Perché si è concentrato sui soggetti che possono essere collegati al tema del cambiamento climatico? I ghiacciai si stanno sciogliendo, gli iceberg scompaiono, le spiagge del Pacifico meridionale vengono sommerse e le barriere coralline stanno morendo. Oppure i deserti sono immagine di come si potrebbero trasformare i nostri paesaggi se non facciamo qualcosa per evitarlo… Non so se il pubblico percepirà questa chiave di lettura. Ma c’è un altro aspetto che mi intriga della selezione che ho fatto.
pensavano eterne e che invece, per i motivi più diversi, si sono spostate. Può essere successo per il cambiamento del paesaggio, la caduta di imperi o lo scioglimento di un ghiacciaio. Quello era un approccio documen-
tario, Escapism invece è un’opera più concettuale. In realtà, anche quel lavoro aveva una forte componente concettuale. E, dal punto di vista documentaristico, non era così rigoroso. Non mi faccio problemi a ritoccare le immagini se questo è utile all’idea del
E lei, il caffè come lo prende? Con o senza cremino? L’espresso lo bevo nero. Se lo prendo lungo aggiungo il latte. Niente cremino. Annuncio pubblicitario
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Quale? In quasi tutte le immagini che ho scelto c’è, in qualche modo, un riferimento alla Storia dell’arte. C’è l’onda di Hokusai, la pubblicità della Marlboro usata da Richard Prince, la palma dei paesaggi di Apocalypse Now, c’è un riferimento generale ai pallini di John Baldessari. È stato un lavoro molto divertente in questo senso. Ho iniziato a farlo durante il lockdown. Non potevo viaggiare. Io e mia moglie avevamo un bambino piccolo… È stato ciò che mi ha permesso si andare in giro per il mondo restando chiuso tra le mura di casa mia. Per il suo lavoro precedente, Human Territoriality, dedicato all’idea di confine, aveva dovuto invece viaggiare molto. Sì, quella era una serie di immagini più classica: sono fotografie di luoghi attraversati da confini del passato, ex linee di demarcazione che si
Come se lo spiega? Per chi non è svizzero è un argomento esotico e un po’ bizzarro. Per noi è qualcosa di molto familiare e radicato nella nostra memoria collettiva. Qui collezionare linguette dei cremini è considerato qualcosa di fortemente connotato, e non sempre in modo positivo. È un hobby di qualche zio un po’ all’antica, per il quale si può provare qualche imbarazzo. Diciamo che non è molto glamour. Per contro, chi non è cresciuto nel nostro Paese, si approccia al tema senza pregiudizi. In questo, il pubblico giapponese che ha visto la mostra di Kyoto era il più avvantaggiato.
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CULTURA / RUBRICHE
In fin della fiera
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di Bruno Gambarotta
Il femminicidio nella musica classica ◆
«Cara Butterfly, noi saremo costretti a farvi morire in scena, ma voi con arte profonda e squisita farete vivere l’opera nostra». Firmato Giacomo Puccini, Giuseppe Giacosa, Luigi Illica. Milano 17 febbraio 1904, debutta alla Scala l’opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini, su libretto di Illica e Giacosa. Il messaggio è indirizzato al soprano Rosina Storchio che, nel ruolo di Butterfly, nel finale dovrà fare harakiri quando vede l’americana che il tenente Pinkerton, padre di suo figlio, ha sposato. Nell’opera italiana la protagonista dispone di sei opzioni per concludere in bellezza (si fa per dire) la sua vicenda: essere uccisa, suicidarsi, condividere il sacrificio con l’uomo amato, morire tisica, impazzire, morire per sfinimento. Il suicidio è il modus operandi che ricorre con maggior frequenza. Prima di Butterfly Giacomo Puccini aveva spinto Tosca a gettarsi giù dagli spalti di Castel Sant’Ange-
lo a Roma, quando scopre che il suo amato Cavaradossi è stato fucilato sul serio e non con fucili caricati a salve. Non è finita: Suor Angelica si avvelena quando le rivelano che il figlio avuto da un’illecita relazione è morto. Nel catalogo di Puccini troviamo un quarto suicidio nell’opera rimasta incompiuta per la morte del musicista, Turandot. Liù è una schiava che rifiuta di svelare a Turandot il vero nome del principe Calef di cui è innamorata. Torturata, si uccide. Molti operisti scelgono il veleno per far uscire di scena le eroine. È il caso di Umberto Giordano con la sua Fedora, principessa russa, che si avvelena quando il suo amato Loris la maledice. Fernando Cilea è ancor più raffinato: la sua Adriana Lecouvreur muore avvelenata dal mazzolino di violette inviato dalla principessa di Bouvillon, gelosa perché Maurizio di Sassonia la preferisce. Anche Giuseppe Verdi ricorre talvol-
ta al veleno. Luisa Miller, per salvare suo padre condannato a morte, scrive una lettera dove dichiara di aver raggirato Rodolfo. Lui, dopo averla letta, versa del veleno in un bicchiere che fa bere a Luisa e ne beve anche lui. I due muoiono abbracciati. Nella più benevola delle ipotesi l’eroina la facciamo morire di sfinimento e di sete. È quello che accade alla Manon di Giacomo Puccini, in una landa desolata dalle parti di New Orleans. Fra le eroine assassinate in scena la più celebre è la Desdemona di Verdi, soffocata con un cuscino dal moro Otello istigato da Jago che gli dice di aver visto il suo fazzoletto nelle mani di Cassio. Sempre di Giuseppe Verdi è Gilda, figlia di Rigoletto il quale commissiona a Sparafucile l’assassinio del duca di Mantova che ha sedotto sua figlia. Ma Gilda, ancora innamorata, si sostituisce a lui e si fa ammazzare. Una variante è offerta dalle eroine che nella vita reale hanno
subito la condanna a morte. È il caso dell’Anna Bolena di Gaetano Donizetti. Anna è l’infelice moglie di Enrico VIII che vuole disfarsi di lei per sposare Giovanna Seymour. Per farlo deve riuscire a dimostrare che Anna l’ha tradito. Fa tornare dall’esilio Percy, segretamente innamorato di Anna, che accetta di riceverlo e con l’occasione respinge le sue profferte. Ma il paggio Smeton, anche lui innamorato della regina, l’accusa di adulterio. Se Anna si dichiarasse colpevole si salverebbe. Invece si protesta innocente, è condannata a morte e rinchiusa nella Torre. Sarà decapitata. Altra testa di donna decollata per merito di Donizetti è quella di Maria Stuarda, per ordine della regina Elisabetta che rifiuta un gesto di clemenza. L’emozione dello spettatore tocca il suo diapason nel caso delle eroine che decidono di condividere il destino tragico dell’amato. Per Giuseppe Verdi, Aida, schiava etio-
pe, sceglie di farsi rinchiudere nel sepolcro e di morire con il suo amato Radames. In quest’inventario potremmo proseguire per pagine e pagine. Scrive Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere: «La musica ha sostituito, nella cultura popolare, quella espressione artistica che in altri Paesi è data dal romanzo popolare e i geni musicali hanno avuto quella popolarità che invece è mancata ai letterati». E altrove: «Il melodramma è il romanzo popolare musicato». La mia tesi: l’arte è popolare in quanto, nello svolgimento delle sue narrazioni asseconda i valori e le attese dei fruitori e non li mette in discussione. Di conseguenza per contrastare e combattere la piaga del femminicidio è necessario risalire indietro nei tempi in cui era considerato una conseguenza prevedibile dei conflitti fra l’uomo e la donna condannata per la sua natura al sacrificio.
●
Voti d’aria
di Paolo Di Stefano
È il populismo, bellezza! ◆
Al povero ingenuo tendente all’idiota non resta che strabuzzare gli occhi e poi inabissarsi nello stordimento catatonico, dopo essersi chiesto: com’è possibile che un ex presidente che ha ordinato tecnicamente un assalto al palazzo del potere per rivendicare una vittoria elettorale che era solo nella sua testa, com’è possibile che dopo un atto eversivo così poco rassicurante per l’equilibrio di un Paese (e del mondo), passati solo tre anni, quel tipo rischi di tornare a governare a furor di popolo? Com’è possibile che un tizio che è stato accusato di tentata sovversione, alto tradimento, corruzione, abuso di potere, dichiarazioni false, violazione della legge anti-spionaggio, abusi sessuali, diffamazione… com’è possibile che a questo tycoon, tra ciarlatano e mitomane, basti dichiararsi un povero perseguitato politico per ritornare in auge come se niente fosse? Per di più
in quello che sin da quando eravamo in culla conoscevamo come l’esempio massimamente ammirevole di democrazia (se possibile, da esportare). Avrà ragione Antonio Scurati quando scrive, nel suo nuovo saggio (5+), che il populismo è la nuova forma di fascismo? «I populisti europei e americani discendono, consapevolmente o inconsapevolmente, non dal Mussolini fondatore del partito fascista ma dal Mussolini che per primo intuisce i meccanismi della seduzione politica nella società di massa». Dunque, indigniamoci pure per le adunate nostalgiche in camicia nera, ma c’è qualcosa di molto più pericoloso: la politica che parla alla pancia (alla paura) della gente e facendo leva sulla pancia (e sulla paura) vince democraticamente. «Esiste – scrive Scurati – una sola passione politica più forte della speranza, e questa è la paura». A proposito di se-
A video spento
duzione: resta un mistero che razza di seduzione possa mai esercitare un vecchio energumeno con i capelli color arancione? Il povero ingenuo un po’ idiota rimane senza parole nel constatare che un governo che si batte per Dio, la Patria e la Famiglia decida di cancellare i sussidi (alle famiglie) per la cura dei giovani sempre più numerosi colpiti da disturbi alimentari, salvo poi ripensarci (ma in parte) di fronte alle proteste. Forse gli anoressici sono pervertiti, blasfemi, anarchici, comunisti, immorali, sovversivi che non meritano nessun aiuto da uno Stato così illuminato dalla luce divina? Del resto, un anno fa, in campagna elettorale, la futura premier inserì i disturbi alimentari tra le «devianze giovanili»: in ordine sparso accanto alla droga, alla ludopatia, al tabagismo, al bullismo e alle baby gang… Di tutto un po’.
Idee lievemente confuse, povera donna, povera mamma (1). E la Giorgia, manco fosse Mussolini, proponeva un po’ di sano esercizio sportivo per ovviare a queste devianze da rammolliti vagamente criminali. Siamo un po’ idioti, diciamolo, gente che non crede ai propri occhi (e alle proprie orecchie) nel vedere (e nel sentire) cose talmente assurde da lasciarti senza fiato: bugie proposte come verità assolute, violenze spacciate per legittima difesa, grandi valori smentiti dai fatti, super promesse (elettorali) dimenticate nel giro di mezza giornata. Il «fake» non è più solo un modo di comunicare ma è diventata una «forma mentis» vincente: si può dire tutto oggi, ed esattamente il contrario domani, e la verità vada a farsi benedire. L’importante è che se ne chiacchieri. Tutti sentono il dovere (morale?) di esprimersi su tutto urbi et orbi, magari per poi correggere,
smentire o capovolgere (sempre urbi et orbi), e siccome quell’opinione (o il suo opposto) è diventata virale nella rete, allora viene ripresa dai giornali e dalle televisioni, e poi siccome è stata ripresa dai giornali e dalle televisioni è giusto che venga ridiscussa dai social, dove diventa vi-virale e siccome è diventata vi-virale, allora i giornali e la televisione non possono ignorarla. E così il mondo è diventato un immenso insopportabile chiacchiericcio vivi-vi-virale per lo più sul vuoto d’aria fritta (voto d’aria – 1). È scontato che il più convinto e convincente (meglio se turgido-aggressivo) gestore del vuoto d’aria fritta (e falsa) vincerà democraticamente le elezioni. In caso di impensabile sconfitta, potrà sempre democraticamente urlare al complotto e semmai organizzare l’assalto al Palazzo. (P.S. per il solito idiota: è il populismo democratico, bellezza!).
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di Aldo Grasso
Flaiano grande scrittore, non solo giornalista versatile ◆
Non c’è giornalista che non abbia usato una battuta di Ennio Flaiano. Ne riporto alcune: «[Gli italiani] Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati…», «Anime semplici abitano talora corpi complessi», «Afflitto da un complesso di parità. Non si sente inferiore a nessuno», «I giovani hanno quasi tutti il coraggio delle opinioni altrui», «Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso», «La situazione politica in Italia è grave ma non è seria». Parliamo di Flaiano, il sempre citato Ennio Flaiano (Pescara, 5 marzo 1910 – Roma, 20 novembre 1972). Sopraffatti dalla «flaianite» (Giovanni Russo), quell’abitudine un po’ infantile di attribuire battute ed epigrammi a Flaiano nel corso di un qualsiasi talk show e di trasformarlo in una sorta di grande battutista televisivo, fatichiamo a scoprire il grande scrittore dissimulato dietro il giornalista versatile,
lo sceneggiatore di Fellini, l’aforista aperto a interessi di ogni genere. E in effetti è così: dici Flaiano e pensi al racconto ingegnoso e fulminante, all’apologo amaro e grottesco, al taccuino da viaggio (suo un memorabile reportage televisivo sul Canada), al dialogo corrosivo e sarcastico, all’aforisma che non si lascia più dimenticare. «Flaiano le flâneur» («Le Monde») è uno straordinario scrittore che pare poco attratto dall’architettura chiusa del romanzo, timoroso forse di restarne prigioniero, e più propenso invece a «passeggiare» fra generi minori, fra le manie del mondo culturale, per disseminarvi a piene mani tutto il suo disincanto, la sua lucidità, la sua malinconica e brillante intelligenza. Nel ritratto che di lui ci lascia il critico Giorgio Zampa è descritta con vividezza la fatica che si compie ad assoggettarlo all’ufficialità dello scrittore: «Un liberale diffidente di tutto e di
tutti, cominciando da sé, immune da cinismo e da ubriacature ideologiche e da interessi di partito. Più che al narratore si dette rilievo al diarista, al columnist, al cronista di una precisione e vivacità da decalcomania, all’inventore di soprannomi storici, adottati in tutto il Paese; pure riconoscendo qualità a Tempo di uccidere, unico romanzo scritto e pubblicato nel 1947, si convenne che Flaiano aveva dato piena misura di sé nelle pagine a ruota libera, fitte di osservazioni ambientali, di riflessioni su tutto e tutti, di accensioni fantastiche sprigionate dall’attrito con la cronaca, con i fatti del giorno». A ventitré anni, Flaiano cominciò la sua attività di giornalista. Scrisse su «Oggi», «Documento», «Mondo», «Il Corriere della sera», «L’Espresso», «Il Risorgimento liberale», «Omnibus». E non solo, continuava a scrivere anche in altre forme, in altre posture. È stato uno degli sceneggiatori
più richiesti: ha scritto per Fellini ma anche per Rossellini, Lattuada, Pietrangeli, Risi, Antonioni, Monicelli, Zampa, Ferreri. Più passa il tempo, più si rivede La dolce vita e più la distanza tra Fellini e Flaiano prende corpo. Non tanto per lo sgradevole incidente che avrebbe rotto il sodalizio (il famoso viaggio in aereo a Los Angeles che vede Fellini seduto in prima classe con Angelo Rizzoli e Flaiano in economica), quanto perché tra i due c’era una profonda distanza culturale che, tra le pieghe, il film lascia trasparire. Ne La solitudine del satiro, Flaiano scrive: «Sto lavorando, con Fellini e Tullio Pinelli, a rispolverare una nostra vecchia idea per un film, quella del giovane provinciale che viene a Roma a fare il giornalista… Il film avrà per titolo La dolce vita… Uno dei nostri luoghi dovrà essere forzatamente via Veneto… Il giovane pro-
vinciale è già ben piazzato, guadagna, e uno di quei giornalisti prodotti dalla civiltà della sensazione, cioè racconta gli scandali, le fesserie che fanno gli altri. Si è lasciato adottare da quella stessa società che lui disprezza». Ma quando Flaiano vede in proiezione alcune scene del film commenta: «Il gongorismo, l’amplificazione di Fellini nel ritrarre quel mondo di via Veneto fa pensare al museo delle cere, le immagini dei quaresimalisti quando descrivono la carne che si corrompe e imputridisce… Fellini quaresimalista? É un’ipotesi tentatrice». «Flaiano – scrive Arbasino in Ritratti italiani (Adelphi) – si sentiva un classico minore – e questo lo ha scritto e ripetuto parecchio – e, in quanto classico, duraturo, oltre a provare un innato orrore per la volgarità». Per fortuna ci restano i suoi libri, un’eredità di acume e intelligenza, ironia e malinconia più viva che mai.
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Frutta e verdura
Un pieno sostenibile di vitamine
Prodot ti in armonia con la natura
26% 3.60
Finocchi Migros Bio Italia/Spagna, al kg
invece di 4.90
IDEALE CON
conf. da 2
20%
20%
Tutte le mele Migros Bio e Demeter
Fettine alle verdure e patate o Crispy Tofu, Migros Bio
per es. Gala Migros Bio, Svizzera, al kg, 5.– invece di 6.30
per es. fettine, 2 x 180 g, 6.30 invece di 7.90
Migros Ticino 4
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conf. da 2
a partire da 2 pezzi
25%
26% 6.95
Tutta la frutta bio surgelata (prodotti Alnatura esclusi), per es. castagne arrostite Migros Bio, 450 g, 6.– invece di 7.95
22% 2.40
Verza Ticino, al kg
invece di 3.10
25% 3.70
da Consi st e nza sooc i e aromi di n
Patate Amandine Svizzera, busta da 1,5 kg
invece di 4.95
Migros Ticino
invece di 9.40
23% 1.50
Bacche miste Spagna/Marocco, 2 x 250 g
Frutti della passione Colombia, rete da 200 g
invece di 1.95
20% 3.95 invece di 4.95
Arance semisanguigne Tarocco Italia, rete da 2 kg
Offerte valide solo dal 23.1 al 29.1.2024, fino a esaurimento dello stock. 5
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Carne e salumi
Di cosa hai voglia oggi?
26% 9.55 invece di 13.–
Cosce di pollo Optigal, al naturale o speziate Svizzera, in conf. speciale, 4 pezzi, al kg
15% 2.80 invece di 3.30
Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g, in self-service
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Lo sminuzzato è saporito e tenero. È adatto a molti piatti deliziosi come lo sminuzzato alla panna, torte salate o piatti asiatici. Per ottenere una salsa cremosa, spolveralo con un po' di farina o di legante per salse mentre rosola, oppure prima, sfuma con vino o brodo e fai poi cuocere a fuoco lento.
40% 9.95 invece di 16.75
conf. da 2
Stripes di pollo Don Pollo prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g
24% 15.– invece di 19.80
20% 3.35 invece di 4.20
Carne macinata di manzo Svizzera, 2 x 500 g
Sminuzzato di manzo IP-SUISSE per 100 g, in self-service
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20% 4.75 invece di 5.95
Prosciutto cotto affumicato Migros Bio Svizzera, 120 g, in self-service
Da bov ini alle v a ti all'ape rt o
26% 4.75 invece di 6.45
30% 1.95
Coppa stagionata prodotta in Ticino, per 100 g, in self-service
Luganighetta nostrana Ticino, per 100 g, in self-service
20% 8.45 invece di 10.60
33% 1.80 invece di 2.70
invece di 2.85
Carne secca dei Grigioni Migros Bio, IGP Svizzera, in conf. speciale, 100 g
Prosciuttino di coscia arrotolato Quick M-Classic affumicato e cotto Svizzera, per 100 g, in self-service
21% 4.40 invece di 5.60
Fettine di manzo à la minute IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g
Migros Ticino
23% 1.–
Ossibuchi di maiale IP-SUISSE per 100 g, in self-service
invece di 1.30
Offerte valide solo dal 23.1 al 29.1.2024, fino a esaurimento dello stock. 7
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Pesce e frutti di mare
Prelibatezze dal mare
30% 11.65
invece di 16.70
Filetti di salmone con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 380 g
zzo d ’A C o n me r l u
laska
conf. da 2
41% 6.95 invece di 11.90
Filetti Bordelaise Pelican, MSC prodotti surgelati, 2 x 400 g
31%
20%
tail-off 13.95 Gamberetti M-Classic, sbollentati,
Filetti di sogliola limanda freschi
invece di 20.25
ASC
d'allevamento, Ecuador, in conf. speciale, 450 g
per es. M-Classic, selvatico, Oceano Atlantico nord-orientale, per 100 g, 4.95 invece di 6.20, in self-service
Migros Ticino 8
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Pane e prodotti da forno
Da mordere
20% Fagottini di spelta alle pere Migros Bio, bastoncini alle nocciole o fagottini alle pere per es. fagottini di spelta alle pere Migros Bio, 3 pezzi, 225 g, 2.80 invece di 3.50, prodotto confezionato
20% 5.75 invece di 7.20
LO SAPEVI? I contadini bio lavorano in sintonia con la natura. Hanno inoltre a cuore non solo il bene delle persone, degli animali e delle piante, ma anche la fertilità dei terreni, la biodiversità naturale e l’uso rispettoso dell’acqua. Contribuiscono così affinché anche le generazioni future possano gustare prodotti bio di alta qualità.
Biscotti prussiani alla spelta Migros Bio 300 g, prodotto confezionato
a partire da 2 pezzi
20% Tutte le paste in blocco e già spianate, Migros Bio per es. pasta per crostate, 270 g, 1.85 invece di 2.30
Poc hi grassi e tant e prot eine
Hit 3.20
Pane per toast Oh! High Protein 540 g
Offerte valide solo dal 23.1 al 29.1.2024, fino a esaurimento dello stock. 9
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Formaggi e latticini
Tanto gusto spendendo poco
CONSIGLIO FRESCHEZZA Una volta aperta, la confezione va conservata al centro del frigorifero, dove la temperatura è ideale. I pezzi sono della grandezza perfetta affinché la mozzarella si distribuisca uniformemente su pizza e pasta. Fonde bene e f ila che è un amore. Gustata fredda, aggiunge sapore e consistenza all'insalata.
20% 2.10 invece di 2.65
15% 2.20 invece di 2.60
Le Gruyère dolce Migros Bio, AOP per 100 g, prodotto confezionato
Caseificio Leventina per 100 g, confezionato
Da latt e sv izze ro bio
conf. da 2
20% 5.75 invece di 7.20
Mozzarella a dadini Migros Bio 2 x 200 g
Hit 3.95
Sbrinz grattugiato Emmi bio, AOP 120 g
20% 2.– invece di 2.55
Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» per 100 g
Migros Ticino 10
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a partire da 4 pezzi
20% Tutti gli yogurt bio e i vegurt V-Love Migros Bio (yogurt di latte di pecora e di bufala esclusi), per es. moca Migros Bio, Fairtrade, 180 g, –.80 invece di –.95
e g ana A lt e r nativ a v nale alla tradizio olato c mousse al c ioc
20x
20% Formaggio fresco Dippi o alla doppia panna Kiri in confezioni speciali, per es. formaggio fresco alla doppia panna, 24 porzioni, 432 g, 7.40 invece di 9.30
conf. da 3
20% 5.40
CUMULUS
conf. da 2
15% 5.85 invece di 6.90
Novità
2.70
Panna intera UHT Valflora, IP-SUISSE 2 x 500 ml
Mousse al cioccolato V-Love 2 x 75 g
conf. da 12
20% Mozzarella Galbani 3 x 150 g
invece di 6.75
Migros Ticino
15.35 invece di 19.20
Latte intero UHT Valflora IP-SUISSE 12 x 1 l
Offerte valide solo dal 23.1 al 29.1.2024, fino a esaurimento dello stock. 11
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Scorta
Scorta di prodotti sostenibili
LO SAPEVI? Gli apicoltori biologici osservano norme severe: usano arnie in materiali naturali, utilizzano api più robuste, lavorano con metodi di allevamento naturali, rinunciano a farmaci veterinari ottenuti per sintesi chimica e lasciano alla colonia grandi scorte di miele e polline per l'inverno.
a partire da 2 pezzi
c he Da c ontadini tonia n lav orano in si ra c on la natu
20% Tutti i cereali e i semi, Migros Bio (prodotti Alnatura e sfusi esclusi), per es. fiocchi d'avena svizzeri, fini, 400 g, 1.45 invece di 1.80
20% Tutto l'assortimento di caffè Migros Bio per es. macinato, Fairtrade, 500 g, 6.95 invece di 8.70
a partire da 2 pezzi
20%
20%
Tutti i tipi di confetture e di miele, Migros Bio
Tutti i tipi di olio e aceto, Migros Bio
per es. confettura extra di fragole, 350 g, 4.– invece di 4.95
per es. olio d'oliva italiano, 500 ml, 9.– invece di 11.30
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Pre libate zze pe r rice tt e core ane
a partire da 2 pezzi
20%
20%
20%
Tutte le salse Bon Chef
Tutto l'assortimento di sottaceti e di antipasti, Condy
Tutto l'assortimento Sempio e Kelly Loves
per es. pannocchiette di granoturco, Fairtrade, 190 g, 2.20 invece di 2.80
per es. Tteokbokki Sempio, 160 g, 3.– invece di 3.80
per es. salsa alla cacciatora, in busta da 46 g, 1.35 invece di 1.65
a partire da 2 pezzi
25%
33%
Tutte le capsule Café Royal incl. CoffeeB
Pasta M-Classic
per es. Lungo, 10 capsule, 3.40 invece di 4.50
disponibile in diverse varietà e confezioni speciali, per es. penne, 750 g, 1.90 invece di 2.85
n Cuoc iono i di p o c o me n o i 3 mi n u t a partire da 2 pezzi
conf. da 2
20%
40%
Tutte le pizze Buitoni
Pasta ripiena Anna's Best
surgelate, per es. caprese, 350 g, 4.40 invece di 5.50
tortellini tricolore al basilico o tortelloni ricotta e spinaci, per es. tortellini, 2 x 500 g, 6.95 invece di 11.60
Offerte valide solo dal 23.1 al 29.1.2024, fino a esaurimento dello stock. 13
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Dolci e cioccolato
Snack dolci
conf. da 10
40% Tavolette di cioccolato Frey Giandor o Noxana, 10 x 100 g, per es. Giandor, 13.– invece di 22.–
22%
20% Coaties e Crunchy Clouds, Frey
Risoletto Frey
confezioni grandi e multiple escluse, per es. brezel salati Coaties, 100 g, 2.20 invece di 2.80
in confezioni speciali, per es. minis Classic, 840 g, 13.– invece di 16.80
U n c r e mo s o ripie no di Ov omalt ina racc hiuso t r bisc ot t i c roca due c a nt i conf. da 3
20% 10.– invece di 12.60
–.50 di riduzione
Biscotti Ovomaltine Crunchy o Petit Beurre, per es. Crunchy, 3 x 250 g
Tutti i biscotti in rotolo M-Classic e Migros Bio per es. biscotti Rädli M-Classic, 210 g, 1.45 invece di 1.95
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Snack e aperitivi
Per farsi uno spuntino e rinfrescarsi
20% Tutte le noci e le miscele di noci, Sun Queen Apéro e Party, salate e tostate per es. noci di macadamia Sun Queen, 125 g, 3.50 invece di 4.40
20% 4.65 invece di 5.85
Snacketti Zweifel Paprika Shells, Dancer Cream e Bacon Strips flavour, in conf. XXL Big Pack, 225 g
conf. da 2
30% Involtini primavera J. Bank's prodotti surgelati, con verdura o pollo, per es. con verdura, 2 x 6 pezzi, 740 g, 9.10 invece di 13.–
conf. da 8
25% 8.95
Coca-Cola Classic o Zero, 8 x 500 ml
invece di 12.–
conf. da 10
32% d'arancia 10.80 Succo M-Classic invece di 15.95
10 x 1 l
Offerte valide solo dal 23.1 al 29.1.2024, fino a esaurimento dello stock. 15
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Bellezza e cura del corpo
Nuvole di profumo paradisiaco
conf. da 2
25% Creme per le mani Neutrogena non profumate, profumate o ad assorbimento rapido, per es. non profumata, 2 x 50 ml, 6.95 invece di 9.30
a partire da 2 pezzi
25%
conf. da 2
25%
Creme per le mani (conf. multiple, conf. da viaggio e prodotti M-Classic esclusi), per es. balsamo per mani e unghie I am, 100 ml, 2.80 invece di 3.70
Tutto l'assortimento di prodotti per la cura delle labbra (prodotti M-Classic e di cosmesi decorativa esclusi), per es. Carmex Classic, il pezzo, 2.80 invece di 3.50
conf. da 3
invece di 5.85
25% 8.90 invece di 11.90
Shampoo I am per es. Intense Moisture, 3 x 250 ml
invece di 12.90
per es. balsamo per mani e unghie I am, 2 x 100 ml, 5.55 invece di 7.40
conf. da 2
Deodoranti Borotalco per es. roll-on Original, 2 x 50 ml
conf. da 3
33% 8.60
Creme per le mani I am, Atrix, Nivea o Le Petit Marseillais
Produzione ri spe tt osa de ll'ambie nte
conf. da 2
20%
33% 3.90
Confe zione al in plast ic a ric 1 0 0% ic lata
25% Docciaschiuma, lozioni per il corpo o creme per le mani, Kneipp in confezioni multiple, per es. lozione per il corpo ai fiori di mandorlo, 2 x 200 ml, 17.90 invece di 23.90
25% Shampoo Belherbal
Tutto l'assortimento di colorazioni
per es. per capelli grassi, 3 x 250 ml
per es. crema ad azione intensa I am, castano cioccolato 235, il pezzo, 3.70 invece di 4.95
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Bebè e bambini
Cosucce pratiche e simpatiche per i piccoli di casa
10 0% cotone bio a partire da 2 pezzi
30% Tutto l'assortimento di stoviglie e bavaglini, Milette per es. piatto per bebè Safari, al pezzo, 2.95 invece di 4.20
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Hit 29.95 Starter set Mam
Moda premaman e per l'allattamento per es. reggiseno a bustino Essentials color carne, tg. S/M, 2 pezzi, 20.95 invece di 29.95, in vendita nelle maggiori filiali
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S e nz a mic roplast ic
Hit 14.95 Pantofole per bambini
disponibili in diversi colori, numeri 20/21–26/27, il paio
Hit 5.95
Bomba da bagno Dinorex Craze il pezzo
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Hit 8.95
Keeleco Adoptable World disponibili in diversi motivi, 10 cm, al pezzo
Offerte valide solo dal 23.1 al 29.1.2024, fino a esaurimento dello stock. 17
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Varie
Evviva questa selezione p A nnunc iano la
a partire da 2 pezzi
30%
Hit
Tutto l'assortimento di posate in porcellana e vetro Kitchen & Co. (assortimento festivo escluso), per es. tazza, verde, il pezzo, 3.50 invece di 4.95
conf. da 3
a partire da 2 pezzi
15%
Confezione di ricarica Handy
rimav e ra
15%
di tulipani 19.90 Meraviglia M-Classic mazzo, 30 pezzi, il mazzo
Hit
Detersivi per piatti Handy Original, Lemon od Orange, per es. Original, 3 x 750 ml, 4.95 invece di 5.85
di rose 13.95 Bouquet M-Classic, Fairtrade
disponibile in diversi colori, mazzo da 30, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo
1,5 l, 3.10 invece di 3.60
Pe r una Sv i z ze ra p i sost e nibile ù
30% Carta per uso domestico Twist Deluxe, Classic o Recycling, in confezioni speciali, per es. Deluxe, FSC®, 12 rotoli, 13.– invece di 18.60
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20% 7.90 invece di 9.90
conf. da 2
20% Prodotti Dettol
Detergenti Migros Plus
salviettine disinfettanti, salviettine multiuso o spray disinfettante, per es. salviettine disinfettanti, 2 x 60 pezzi
in confezioni multiple o speciali, per es. Detergente multiuso Sensitive al limone aha!, 2 x 1 l, 5.75 invece di 7.20
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30% Fondue Gerber L'Original o Moitié-Moitié, per es. L'Original, 2 x 800 g, 20.90 invece di 29.90, offerta valida dal 25.1 al 28.1.2024
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a partire da 3 pezzi
40% Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg. 1, 24 pezzi, 5.85 invece di 9.75, offerta valida dal 25.1 al 28.1.2024
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