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In fin della fiera La divina Galinescu tradita dalle trote
Felice non riuscì mai a darsi una spiegazione del suo gesto. Aveva alzato la mano e gridato : «Io!». Come è possibile che una persona calma, riflessiva, con una posizione invidiabile – responsabile degli approvvigionamenti di una fabbrica di coppe e diplomi –perda il controllo di sé fino al punto di proclamarsi medico senza esserlo? Senza la minima nozione elementare di medicina? Sono gli insondabili misteri dell’animo umano direbbe il docente di Demenza senile all’Università della Terza Età.
Partiamo dall’inizio. Si sa che gli addetti agli acquisti sono blanditi e corteggiati dai fornitori. Ma non si può etichettare come un tentativo di corruzione l’offerta di una poltrona di platea se arriva da uno che da vent’anni ti vende la pergamena finta per confezionare i diplomi e conosce la tua sfrenata passione per l’opera lirica. Tanto più che si trattava di una recita pomeridiana. Felice aveva letto meraviglie del soprano protagonista della Norma di Vincenzo Bellini in programma quella domenica pomeriggio al Teatro Regio. Niculina Galinescu era rumena, di Timisoara ed era stata l’allieva prediletta della grande Ekaterina Imbriacova presso il conservatorio di Novgorod. I responsabili dell’ente lirico avevano pescato con mano felice nell’inesauribile serbatoio delle voci dell’Europa dell’Est. Una voce calda, possente, un colore, un’estensione, un timbro, una pasta! Per non parlare della presenza fisica e delle doti di attrice. Per la verità l’orecchio attento di Felice iniziava ad avvertire una sorta di raschietto nello sfondo della voce di Niculina e microscopici segnali di nervosismo in Pollione e Adalgisa ma i commenti entusiastici delle sue vicine di posto («Senti che velluto! Che ricami!») l’avevano tranquillizzato. Se non che al momento di prorompere contro Pollione al grido «Maledetto dal mio sdegno non godrai d’un em