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Voci da una città fantasma

Una mimosa per Nora

Simona Sala

Ammettiamolo: tutto sommato il prossimo 8 marzo, dedicato con più o meno entusiasmo da entrambi i generi alle donne, almeno noi svizzere, o residenti in Svizzera, qualche motivo per festeggiarlo ce l’abbiamo, soprattutto alla luce della legislatura che si concluderà nel mese di dicembre, e che ha visto per la prima volta un totale di 96 donne su 246 seggi nei Consigli Nazionale e degli Stati. Sono in molte/i ad attribuire questo ragguardevole risultato politico (nel 1971, anno di introduzione del suffragio femminile, le donne erano 12) fra le altre cose anche agli effetti a lungo termine del grande sciopero delle donne del 14 giugno 2019. A questo si sono aggiunti poi anche il matrimonio per tutti o il congedo paternità. Perfino la combattiva consigliera nazionale PS Tamara Funiciello, durante una recente tavola rotonda raccontata dal settimanale tedesco «Die Zeit», per una volta ha messo da parte polemiche e provocazioni (per quanto siano spesso indispensabili) per ammettere che, seppur a passetti microscopici, qui in Svizzera, finalmente qualcosa si stia muovendo.

Il lento cambiamento di mentalità e paradigmi all’interno della nostra società è ormai inesorabile, ma deve essere sostenuto e rafforzato giorno dopo giorno, e non va dato per scontato mai, come ci insegnano le immani tragedie di genere dei nostri giorni, da quella iraniana a quella inarrestabile dei femminicidi, da cui nessun Paese, indipendentemente da cultura o religione, sembra essere risparmiato.

Fossimo chiamate a farlo, oggi non sarebbe difficile individuare delle figure-chiave femminili in cui identificarci e da cui lasciarci ispirare, poiché portatrici di valori condivisibili e che molto spesso combaciano perfettamente con i «semplici» diritti umani: Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace che esorta solidarietà, fermezza e soprattutto vicinanza, verso quanto accade in Iran; Elly Schlein, che l’ha spuntata contro un concorrente maschile cavalcando il concetto di giustizia sociale e raccontando fiera la propria scelta d’amore; o ancora Jacinda Ardern, la premier della Nuova Zelanda che ha avuto il coraggio di ammettere i propri limiti, e si è ritirata in nome di quel rispetto dell’elettorato che dovrebbe costituire la base di ogni relazione politica sana. Qui in Svizzera, questo 8 marzo, sarebbe bello mettere in luce la figura coraggiosa di Nora Scheidegger, classe 1987, la giovane giurista esperta di diritto penale svizzero che cinque anni or sono, attraverso il suo lavoro di dottorato, è riuscita a dare una sferzata a un dibattito politico che nel delicato ambito delle infrazioni contro l’integrità sessuale languiva in modo scandaloso.

Lo possiamo dire senza remore né tema di smentite: in materia di infrazioni contro l’integrità sessuale la Svizzera rappresenta un fanalino di coda rispetto a molti altri Paesi europei, e per dimostrarlo non occorre andare lontano. Le cronache giudiziarie degli ultimi mesi ci hanno offerto una serie di verdetti assai discutibili e di portata tale da suscitare boati di indignazione da parte di migliaia di donne da un lato all’altro del Paese. Nel suo lavoro di dottorato Nora Scheidegger è riuscita a mettere in evidenza quei «vuoti» giuridici che non permettono a

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23 molte vittime di essere tali, e sebbene affermi di essere stata aiutata dalla concomitanza con l’evoluzione del movimento Me Too o la petizione lanciata da Amnesty International nel maggio dello scorso anno, è grazie a lei se oggi discutiamo se sia meglio la soluzione «solo un sì è un sì», oppure, come auspicano le fasce più moderate e caute, «no è no».

Ma Nora Scheidegger, con la sua lucida analisi della società, e consapevole di come attraverso il solo quadro giuridico sia impossibile far fronte alle esigenze di tutte le vittime, si appella anche alla cosiddetta giustizia riparativa, un processo interpersonale da svolgersi al di là delle aule di tribunale, ma che permetta e favorisca l’interazione tra vittima e abusatore, finalizzata alla ricerca di una soluzione condivisibile. La proposta di Scheidegger rappresenta una modalità innovativa per la costruzione di un assetto sociale più solido e consapevole. Una trentacinquenne con idee tanto chiare e nuove non può che farci ben sperare, ed è un bel regalo per l’8 marzo.

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