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L’amore di Delacroix per la musica e il suo giardino
Casa museo/8 ◆ Alla scoperta della dimora parigina del pittore in via rue Furstemberg nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés
Gianluigi Bellei
Eugène Delacroix è un giovane elegante, delicato e pallido, capelli neri e occhi fieri, labbra sottili, baffettini; «era morbido, vellutato, carezzevole come una di quelle tigri di cui eccelleva nel rendere la grazia agile e tremenda», così lo descrive Théophile Gautier verso il 1830. In un certo senso come la sua pittura, forte, vigorosa, piena di colore e movimento, pàthos, sensualità e furore. Delacroix (17981863) è sicuramente uno dei massimi artisti del suo periodo. Charles Baudelaire, tra i suoi più grandi ammiratori, scrive che se «la Fiandra ha Rubens, l’Italia ha Raffaello e Veronese; la Francia ha Le Brun, David e Delacroix».
Il giardino comprende rose, gigli, caprifogli, nasturzi, girasoli, giacinti, narcisi, tulipani e Delacroix se ne prende cura amorevolmente
Artista molto prolifico, scrittore, lettore colto, incarna l’anima del Romanticismo. Ci ha lasciato opere iconiche come La Mort de Sardanapale del 1827 e La Liberté guidant le peuple del 1830. Quest’ultimo riprende lo schema de Le Radeau de la Meduse di Théodore Géricault del 1818-1819. Stessa impostazione compositiva verticale, stesso ammassamento dei corpi in basso; la Marianna della figura centrale nel caso de La Liberté guidant le peuple sventola la bandiera ne Le Radeau de la Meduse, l’uomo un semplice cencio. Diversa l’angolazione visiva. Nel dipinto di Géricault le figure sono di schiena e si allontanano verso l’orizzonte; in quello di Delacroix le figure sono frontali e si dirigono verso lo spettatore. Géricault si ispira a fonti italiane (Michelangelo e Caravaggio) mentre Delacroix a quelle fiamminghe (Rubens e Van Dyck). Nel 1830 l’artista è un rivoluzionario che si esprime nel dipinto dell’insurrezione di luglio contro il terrore bianco.
Poi nel 1848, quando la classe operaia insorge contro la borghesia, si «tra- sforma» in controrivoluzionario ritirandosi in campagna.
La storica mostra del 2018 al Musée du Louvre, curata da Sébastien Allard e Côme Fabre, divide il suo lavoro in tre periodi. Il primo, dal 1822 al 1834, consiste nel superamento del sistema Neoclassico; il secondo, dal 1835 al 1855, è caratterizzato dalle monumentali opere pubbliche e infine il terzo fino al 1863, anno della morte, presenta delle nature morte e dei paesaggi. Fa eccezione il periodo di sei mesi in Marocco nel 1832 che gli ispira parecchi dipinti. I temi dei suoi lavori spaziano dall’erotismo alla guerra sino all’esotismo.
Artista colto inserito nell’ambito culturale parigino assieme ad Alexandre Dumas, Baudelaire, Victor Hugo, Eugène Delacroix è amante della musica e predilige senza riserve l’opera di Fryderyk Chopin. A proposito Léon Rosenthal sostiene proprio che la sua pittura cerca di esprimere qualcosa di irrazionale simile alla musica. Ed è lo stesso artista che nel Journal del 20 gennaio 1855 scrive: «Il n’y a rien à comparer à l’émotion que donne la musique: elle exprime des nuances incomparables. Les dieux, pour qui la nourriture terrestre est trop grossière, ne s’entretiennent certainement qu’en musique».
Nel 1857 si installa in rue Furstemberg a Parigi per avvicinarsi alla chiesa di Saint-Sulpice dove sta realizzando alcune storie sacre nella Chapelle des Saints-Anges. Prima abitava al 54 di rue Notre-Dame de Lorette, nel nono arrondissement. È già ammalato ma contemporaneamente lavora ai cicli del Louvre e dell’Hotel de Ville. Si fa affiancare da Pierre Andrieu e per le parti decorative da Louis Boulangé.
Rue Furstemberg è nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés; zona che conosce bene e dove ha vissuto da giovane. La piazzetta di fronte alla casa è molto particolare e ha al centro due alberi di catalpa che recentemente sono raddoppiati. L’entrata è decisamente anonima e l’appartamento si trova al primo piano. Comprende un salone, una cucina, due camere e un
Le nuove povertà
salotto. Dà su di un giardino a uso esclusivo dell’artista. Scrive nel Journal del 28 dicembre 1857: «Mon logement est décidément charmant. J’ai eu un peu de mélancolie après dîner, de me trouver transplanté. Je me suis peu à peu réconcilié et me suis couché enchanté». Il giardino comprende rose, gigli, caprifogli, nasturzi, girasoli, giacinti, narcisi, tulipani e Delacroix se ne prende cura amorevolmente. Alla sua morte diversi locatari si susseguono nell’appartamento fino al 1920 quando un gruppo di artisti – Maurice Denis, Paul Signac, Edouard Vuillard – fondano la Société des Amis d’Eugène Delacroix. L’atelier viene trasformato in un museo e aperto al pubblico nel 1932. Sappiamo com’era il giardino al tempo di Delacroix grazie a una fattura dettagliata intitolata Memoire de jardinage pour le compte de Monsieur Delacroix del 26 novembre 1857. Nel 2012 viene ristrutturato per renderlo simile all’originale e per allestirlo viene chiamato
Pierre Bonnaure, capo giardiniere de Les Tuileries.
A lato del giardino Delacroix fa costruire il suo atelier composto da un unico grande salone, orientato a Sud, con una vetrata zenitale che fino a qualche anno fa era aperta.
La facciata ricorda quelle neoclassiche londinesi e il suo amore per l’antico. Nelle tre metope realizza in bassorilievo le gesta di Teseo, eroe di Atene, dove unisce i ricordi delle vecchie visite al British Museum di Londra e al Louvre di Parigi. Nel salone oltre al grande cavalletto e alla sua tavolozza troviamo oggetti collezionati nel viaggio in Marocco come delle ceramiche di Fès, armi, strumenti musicali. Poi dipinti, disegni, sculture. Suoi o di colleghi. Da notare due ritratti: quello di Delacroix a Thales Fielding e quello dello stesso Fielding a Delacroix. Uno splendido nudo maschile o la copia de La Mort de Sardanapale a opera di Frédéric Villot del 1845.
L’appartamento ospita esposizioni a tema, sempre dedicate all’artista e in collaborazione con il Louvre il quale custodisce moltissime sue opere a cominciare da quelle monumentali. Attualmente e fino al 18 settembre è allestita la mostra dal titolo: Delacroix e le arti: un ponte misterioso
Dove e quando Musée National Eugène Delacroix, 6 rue de Fürstenberg, Parigi. Tutti i giorni dalle 9.30-17.30, salvo martedì. www.musee-delacroix.fr
Feuilleton ◆ Il romanzo a puntate di Lidia Ravera per «Azione». Sul nostro sito www.azione.ch sono disponibili quelle precedenti
Lidia Ravera
Betta sedette sull’orlo della vasca.
Si accorse che stava tremando, per lo sforzo di non aggredire Tom, a pugni, a calci, a schiaffi.
Si coprì il viso con le mani e rimase così.
L’istinto l’avrebbe portata a ribattere: e tu? Che cosa hai guadagnato tu? Ti sei fatto prestare dei soldi da un amico, io li ho accettati da uno sconosciuto. Che differenza c’è?
Ma una voce, dentro di lei, una voce che non ascoltava quasi mai, le suggerì di tacere. Di cedere.
Di farsi vedere sopraffatta. Di dargli partita vinta e lasciare il ring con la dignità degli sconfitti.
Si alzò in piedi, passò davanti a Tom che le afferrò una spalla, e la costrinse a fermarsi, a guardarlo in faccia.
«Dove scappi?»
«E dove vuoi che scappi?»
Il tono era talmente triste da impe- dire ogni ulteriore approfondimento del tema. Qualsiasi azione potessero progettare per dare un assetto al vuoto che sentivano entrambi, era destinata a naufragare per la ristrettezza dell’ambiente in cui vivevano.
Così come ogni litigio, ogni sgarbo dell’uno o dell’altra, ogni incidente era destinato a scivolare nel ritmo ottuso dell’intimità, e trasformarsi in routine, fossero quei 15 anni (tanto era durata la loro relazione) trascorsi a viversi addosso o la condizione di povertà che impediva ogni rilancio, ogni premio, ogni fuga. Ogni celebrazione.
«Fatti una doccia», disse Betta, dopo aver annusato la felpa addosso a Tom «Io vado a dormire».
Quando sentì l’acqua scorrere nel bagno aprì il divano letto e si distese su un fianco.
In attesa. Gli occhi chiusi.
Dopo qualche minuto sentì il corpo di Tom aderire alla sua schiena. La pelle ancora umida, il sesso che spingeva contro la curva delle sue natiche, con la violenza di un desiderio contraffatto.
Non avevano voglia di fare l’amore.
Ma non erano in grado di fare altro.
Verso sera, dopo aver dormito, spossati per la fatica di consentire ai loro corpi di annullare le distanze provocate dal litigio, si vestirono con i loro abiti migliori, Tom indossò la giacca nuova e Betta un vecchio maglione di cachemire, scollato, verde mela che le lasciava continuamente scoperta una spalla, ora la destra, ora la sinistra, seguendo i movimenti del suo corpo quasi fosse dotato di vita propria.
Dovevano andare a prendere Sara, che era rimasta dai nonni e Esther li aveva invitati a cena.
«Venite insieme?» aveva chiesto a
Tom, con una sfumatura di divertimento.
Un secco «sì, certo» era stata la risposta.
Camminavano adagio verso il Ghetto, dove abitavano Esther e Candido, camminavano tenendosi per mano, stupiti di essere tornati a tenersi per mano così rapidamente.
E senza che Betta si fosse impegnata a inventare una giustificazione ragionevole ai soldi che aveva ricevuto e speso. Erano tornati a muoversi sui binari della consuetudine matrimoniale, nessuno dei due poteva scartare di lato, o tornare indietro, senza deragliare, dovevano procede adagio, appaiati, paralleli, silenziosi.
Quando arrivarono sotto il palazzo antico dove abitavano i suoi genitori, Tom impedì a Betta di suonare subito il citofono.
«Aspetta».
Dai ristoranti allineati fra il Tempio e la sinagoga, si spandeva il profumo dei carciofi alla Giudia, dai tavoli sistemati accanto alle stufe si alzava, a ondate, la rumorosa allegria del vino e del cibo. Il ghetto dove vivevano, nel secolo scorso, gli ebrei romani, era una delle attrazioni turistiche della città. Il quartiere era stato svuotato il 16 ottobre del 1943, dai tedeschi, una deportazione di massa, resa ancora più atroce dalla beffa che l’aveva preceduta: le famiglie ebree che vivevano in quell’incrocio di stradine lastricate di cubetti di porfido, avevano consegnato tutto l’oro che possedevano ai nazisti, perché li lasciassero in pace. E, subito dopo questo collettivo sforzo economico, erano stati comunque strappati, nella notte, dalle loro case.
(32 – Continua)