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«Ma l’atomica può partire anche per sbaglio»

Prospettive ◆ Il saggista Luca Ciarrocca commenta il rischio di un’escalation nucleare nel conflitto tra Russia e Ucraina

Carlo Silini

Lo scorso 21 febbraio, nella sfida dei discorsi a distanza tra Putin e Zelensky in avvicinamento al primo anniversario di guerra (caduto tre giorni dopo), il presidente russo ha annunciato di sospendere la partecipazione del suo Paese dal trattato New Start che regola la limitazione delle armi nucleari e che fu firmato nel 2010 dai presidenti USA Barack Obama e russo Dmitri Medvedev. Brutta notizia, se si considera che era l’unico importante trattato bilaterale fra Washington e Mosca rimasto in piedi sul controllo degli armamenti nucleari. Un testo che limitava a 1550 il numero di testate nucleari e a 700 quello dei lanciatori nucleari strategici. Moltissimi, certo, ma comunque assai di meno rispetto agli arsenali dei tempi della guerra fredda.

Probabilmente, stando a numerosi esperti, l’annuncio di Mosca è soprattutto propagandistico e l’intento di Putin è quello di spaventare l’opinione pubblica occidentale per spingerla a boicottare l’invio di armi all’Ucraina. Ma la storia di questo conflitto ci ha insegnato che le minacce di Mosca non vanno prese sottogamba: anche la possibile invasione annunciata da Putin era considerata poco più di una provocazione. E si è visto come è andata a finire. Il conflitto atomico sembra improbabile, ma resta possibile. Se partisse un attacco simile si scatenerebbe una reazione immediata e contraria da parte della NATO. Come dire: l’inizio della Terza guerra mondiale. Già nell’agosto del 2022 il segretario generale dell’ONU aveva avvertito: «Basta un errore di calcolo per l’olocausto nucleare». Un’esagerazione? Lo abbiamo chiesto al giornalista e saggista italiano Luca Ciarrocca, che sull’incubo nucleare ha scritto un libro inquietante, Terza guerra mondiale, edito da Chiarelettere.

Partiamo da una constatazione:

Mosca non cessa di agitare il fantasma dell’attacco nucleare. Sono solo terrificanti «boutade»?

Diciamo che la Russia ha minacciato l’Europa in termini propagandistici, ha mostrato in tv la traiettoria dei missili su Londra e su altre capitali europee, spiegando che ci avrebbero messo tre minuti per distruggerle. Ora siamo di fronte a una guerra prolungata. In certi momenti il rischio immediato di utilizzo di armi nucleari sembrava caduto, ma in realtà rimane intatto.

Rispetto a qualche decennio fa il numero di testate nucleari nel mondo è molto diminuito, ma non per questo l’arsenale atomico è meno pericoloso. Come mai?

È vero, secondo la preziosissima fonte della FAS (Federation of American Scientists) le testate nucleari sono passate da un picco di circa 70’300 nel 1986 a una stima di 12’705 all’inizio del 2022. Ma il pericolo resta altissimo. Quasi 13 mila testate nucleari, la metà delle quali sono pronte ad essere lanciate nel giro di pochi minuti, sono un rischio reale di cui non si parla mai. Il numero è calato sì, ma rimane altissima la probabilità – soprattutto in una fase di scontro tra Russia e NATO – che per errore o per precisi obiettivi strategici questi missili vengano utilizzati. Inoltre va detto che la potenza dei missili nucleari è nel frattempo aumentata e ci sono nuove testate, definite «nucleari tattiche», che sono a basso potenziale ma comunque di una potenza devastante. Essendo «tattiche» potrebbero essere usate realmente sul territorio di guerra.

Ndr.: Le «armi nucleari tattiche» hanno un potenziale distruttivo ridotto (max 50 kt), sono montate su vettori a raggio limitato (pochi km) e hanno una carica radioattiva ridotta.

Quelle «strategiche» possono colpire da un Continente all’altro e vanno dai cento kt a più di un megatone, pari a un milione di tonnellate di TNT.

Che danni può causare un ordigno nucleare «tattico»?

Dipende da dove esplode. Se esplode in piena campagna vedremmo il fungo atomico che conosciamo per le immagini storiche o dai film di Hollywood; se esplode in una città il suo danno non sarebbe inferiore a quello provocato dalle atomiche esplose finora in città per porre fine alla Seconda guerra mondiale, quelle di Hiroshima e di Nagasaki. Parliamo di decine di migliaia di morti e, per città grandi, di oltre centomila morti. E questo con le testate «tattiche», che hanno una potenza molto inferiore a quella delle testate «strategiche».

La scorsa estate, all’inizio della Decima conferenza del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha detto che «basta un errore di calcolo per l’olocausto nucleare». È possibile?

Guterres ha ragione e l’errore è possibile. Dedico un capitolo nel libro ai numerosissimi episodi in cui l’errore umano o l’intelligenza artificiale possono causare un lancio non voluto. Parto da un episodio famoso, quello del tenente colonnello Petrov che nell’autunno del 1983, agendo in base al buonsenso, salvò la Terra dalla catastrofe atomica.

Cos’era successo?

Lui era l’ufficiale in servizio nella base militare sovietica Serpukhov-15, sede del centro di comando della rete di allarme nucleare. Quel giorno il sistema di allarme, basato su una rete di satelliti in orbita, segnalò il lancio di un missile americano. Petrov mantenne la calma, sospettando un errore del computer. Ma il sistema segnalò un nuovo lancio di missili. Poi un altro e un altro ancora, fino a evidenziare sullo schermo cinque missili a testata nucleare in arrivo con una traiettoria che puntava ai territori URSS. Pensò che un attacco preventivo, tale da scatenare la Terza guerra mondiale, non sarebbe mai potuto partire con soli cinque missili. Interpretò il segnale come un errore del satellite. Perciò non diede l’allarme evitando che partisse automaticamente la rappresaglia sovietica e quindi la Terza guerra mondiale. Aveva ragio-

Casa prefetturale della Promozione industriale di Hiroshima, epicentro dell’esplosione atomica del 6 agosto 1945. (Yu – Unsplash) ne lui. Gli storici spiegano che ciò che il satellite sovietico interpretò come il lancio di cinque missili balistici intercontinentali dalla base nel Montana era in realtà l’abbaglio del sole riflesso dalle nuvole.

L’anno scorso, a New York, nella conferenza del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari l’allora presidente della Confederazione Ignazio Cassis ha chiesto agli Stati nucleari di «rinunciare all’armamento nucleare e di tornare sulla strada del controllo degli armamenti e del disarmo». Bello. Ma chi garantisce che se una Nazione nucleare comincia a disarmarsi le altre o un’altra non ne approfittino per attaccarla?

Se si pensa che all’apice della guerra fredda c’erano 75 mila testate e adesso sono 13 mila, lo smantellamento progressivo è avvenuto grazie ad accordi bilaterali soprattutto tra le due potenze nucleari maggiori, USA e Russia, che possiedono il 91% di tutti i missili. Indipendentemente da tutto quello che accade sul terreno, il cambiamento dovrebbe essere concordato tra Mosca e Washington. È chiaro che adesso i rapporti sono incattiviti e la questione non è sul tavolo. C’è un terzo giocatore in termini geopolitici, la Cina, che secondo un rapporto riservato del Pentagono nei prossimi anni dovrebbe triplicare il suo arsenale nucleare. Passerà dagli attuali 350 ai mille e oltre. Resterà ben sotto Stati Uniti e Russia che ne hanno oltre 5 mila a testa. Ma dal 24 febbraio 2022 in poi lo scenario purtroppo nega l’assunto di Cassis. Un esercizio utopistico di riduzione delle armi nucleari purtroppo è negato dalla rottura degli equilibri internazionali dovuta all’invasione dell’Ucraina.

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