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Aspidistra, placida e imperturbabile
Mondoverde ◆ Una pianta recentemente tornata di moda per il suo aspetto minimalista e per le poche cure che richiede
Anita Negretti
Mia nonna Carolina aveva gerani meravigliosi coltivati in vasi di fortuna: secchi, contenitori di cemento e qualche terracotta ampia ma sbeccata dall’usura del tempo. Durante le estati assolate li spostava sul portico, in pieno sole, dove tutti potevano ammirarli per via dei colori brillanti, delle grosse e carnose foglie e dei boccioli pieni.
Le aspidistre possono durare molto a lungo, soprattutto se il loro habitat è situato in un luogo ombreggiato e fresco
Accanto a loro, in un angolo più ombroso, sotto le fronde di un glicine, crescevano placide e imperturbabili delle aspidistre: erbacee perenni sempreverdi, caratterizzate da lunghe foglie verdi, lanceolate e appuntite, che raggiungono i 50 cm d’altezza, formando fitti cespi. Esse, a differenza dei vicini gerani, non ricevevano esclamazioni e complimenti, ma il tempo, con le sue stagioni, è riuscito a dare lustro a queste anonime aspidistre (Aspidistra elatior).
E così, dopo qualche lustro, i gerani hanno completato la loro vita terrena, mentre le aspidistre fanno ancora mostra di sé, diventando enormi, riempiendo ampi vasi dal diametro di
50, 60 e 70 cm e guardando quotidianamente la vita che si evolve nel loro angolo di cortile all’ombra. È infatti questa la loro unica esigenza: le aspidistre temono il sole diretto e il caldo estivo, che causa loro bruciature sulle foglie.
Resistentissime a vento e a inverni gelidi, si lasciano all’aperto, poiché fino a –27°C non subiscono danni e anche le varietà più nuove, che vedremo tra poco, si conservano senza problemi fino a –10°C.
Le aspidistre amano vivere in vasi stretti e alti, ed è necessario provvedere a cambiarli solo quando le radici avranno riempito tutto il contenitore.
Al momento del rinvaso, da eseguirsi all’inizio della primavera, tra marzo e aprile, si può procedere anche a una divisione delle radici: si svasano, e con un coltello affilato, o semplicemente con le mani, si creano due o più porzioni di radici (rizoma), con almeno un paio di foglie. Interrate nuovamente con un composto fresco e drenato, esse si bagnano e in un mese compariranno le nuove foglie.
Chiamate anche «piante di piombo», erano molto usate nel periodo che va dagli anni ’50 fino agli anni ’90, quando si trovavano molto frequentemente su balconi rivolti a nord, sui pianerottoli e negli androni dei palazzi.
Recentemente sono tornate di mo- da grazie al loro aspetto minimalista e alle scarse cure di cui hanno bisogno: vanno bagnate circa ogni dieci giorni e prevedono una buona concimazione in marzo, con un prodotto a lunga cessione, e qualche doccia sotto l’acqua piovana nel corso dell’anno per pulire le lunghe foglie dalla polvere.
Dal colore verde scuro intenso nel-