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La strage dei migranti e i calcoli dei politici

Prospettive ◆

Il naufragio al largo delle coste calabresi riporta l’immigrazione al centro del dibattito, non solamente in Italia.

Il pensiero torna una volta in più al passato, quando i «disgraziati» alla mercé dei «malacarne» eravamo noi

Le immagini e i racconti della strage di fronte alla spiaggia calabrese di Steccato di Cutro (sul barcone che settimana scorsa si è spezzato in mare c’erano fino a 250 persone) ci ricordano – una volta di più – i quaranta milioni d’italiani (ma anche, soprattutto nell’Ottocento, i numerosi ticinesi) che fra il 1880 e il 1980 emigrarono verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay, il Sud Africa, la Germania, la Svizzera, la Francia. Fino al 1930 per quanti affrontassero la traversata di un Oceano le condizioni di viaggio non erano troppo differenti da quelle che vediamo oggi per coloro in arrivo dall’Africa e dall’Asia. Alla mercé dei «malacarne» che organizzavano il viaggio, vecchie e malconce barcarole, nessun rispetto della dignità e dell’igiene, sicurezza inesistente, rischi continui fino al momento di toccare terra. Poi cominciavano le traversie della nuova vita, ma questa è un’altra storia.

Matteo Salvini continua a esser convinto che il no più bieco, più acrimonioso, più intollerante all’immigrazione riceva un tornaconto elettorale

Se c’è, dunque, un popolo che conosce le sofferenze, il dolore, le lacrime, i drammi dell’emigrazione è quello italiano (e anche i ticinesi ne sanno qualcosa…). Per decenni, in diverse Nazioni appartenenti al presunto mondo civile, gli italiani sono stati i paria dell’umanità, privi perfino dei più elementari diritti, esposti a brutali «cacce all’uomo» sulla base di semplici indizi, spesso rivelatisi fallaci. Nel 1932 Herbert Hoover, presidente degli Stati Uniti e ricandidato all’elezione, aveva promesso in caso di vittoria la pena di morte per tutti gli italiani coinvolti nella guerra di mafia, che aveva riempito di cadaveri i marciapiedi e le strade di New York. Poi, fortunatamente, vinse Franklin Delano Roosevelt grazie anche ai finanziamenti di Lucky Luciano e Frank Costello, i capi di Cosa Nostra.

Bisognerebbe quindi avere un pizzico di comprensione in più e un occhio di riguardo per le migliaia di «disgraziati» che approdano in Italia nella speranza di regalare un futuro migliore a loro stessi e ai figli. Non scappano soltanto dalla miseria e dalla corruzione, adesso scappano pure da dittature, da teocrazie asfissianti, da guerre infinite, da cataclismi. La geografia ha posto la vicina Penisola come avamposto di quell’Europa che per molti assomiglia a un sogno, che ha assunto l’aspetto di tutto ciò che si può desiderare, che in ogni caso assicura un’esistenza migliore di quella da cui si proviene. Era così persino un milione di anni addietro quando il Mediterraneo non si era ancora formato, la Sicilia era collegata all’Africa da una placca continua e, a piedi, avvenne la prima trasmigrazione.

Purtroppo la bassa politica, quella capace di assecondare soltanto gli istinti viscerali, ha trasformato una delicata fase epocale in una giostra dei cattivi sentimenti. Si sparano numeri falsi per ingigantire un problema, che forse tale non è. Sono spesso gli imprenditori del Nord-Est a richiedere un maggior numero d’immigrati per mansioni di cui gli italiani non vogliono più occuparsi: nelle concerie, nelle imprese di pulizia, nel facchinaggio, nella raccolta degli ortaggi e della frutta, nel pascolo delle bestie, nella consegna del cibo. Basterebbero poche regole, ma circostanziate. Al contrario, si preferiscono i toni apocalittici da ultima crociata. L’assoluto protagonista è da 10 anni Matteo Sal- vini, il segretario della Lega uscito assai ammaccato dalle elezioni politiche dello scorso settembre. Nonostante la batosta (dal 34 a meno del 9 per cento), continua a esser convinto che il no più bieco, più acrimonioso, più intollerante all’immigrazione riceva un tornaconto elettorale. L’abuso di slogan – dalla salvaguardia dei confini alla difesa dell’interesse della Patria –non è riuscito a nascondere una strategia priva di concretezza e di cuore. Anzi, ha condotto Salvini a una guerra personale con le ONG, che giustamente si sono fatte beffe dei suoi divieti e hanno proseguito nel salvare vite in mare.

Dipendesse da lui, Salvini manderebbe la flotta contro i barchini di questi «disperati». Invece, deve limitarsi a ingigantire i danni, inesistenti, dell’immigrazione selvaggia, anche se al massimo è irregolare e comunque composta da un numero di persone nettamente inferiore a quelle che poi si riversano nell’Europa settentrionale. Soltanto il 15 per cento degli immigrati si ferma in Italia, il resto prosegue per altre destinazioni. E caso mai il contenzioso sarebbe da affrontare con le Nazioni che ne ostacolano l’ingresso. Purtroppo pesa lo sciagurato «Sistema di Dublino» comprendente la convenzione e i successivi accordi, che dal 1990 regola l’accoglienza nell’Europa comunitaria. I partiti vecchi e nuovi della prima e seconda Repubblica vi hanno recitato al peggio come pure i politici, da Giulio Andreotti a Silvio Berlusconi, a Enrico Letta. Tutti incapaci di proteggere la giusta richiesta dell’Italia di non esser lasciata sola.

L’insuccesso elettorale ha impedito a Salvini di pretendere la poltrona di ministro dell’Interno. Ha però ottenuto che l’occupasse il suo capo di gabinetto di quando lo fu, tra il 2018 e il 2019. Matteo Piantedosi è un sessantenne dalla lunga carriera prefettizia fino alla chiamata del suo scopritore. Fu successivamente confermato dal nuovo responsabile del dicastero, Luciana Lamorgese, e infine premiato con la nomina di prefetto a Roma.

Divenuto ministro nel Governo loni ha superato il maestro nella contrapposizione alle ONG, sottoposte a regole comportamentali all’apparenza punitive, nella realtà ridicole. Nell’ultima tragedia, comunque, hanno sicuramente influito il maltempo e il mare grosso, che ha indotto alla ritirata le motovedette della Guardia di finanza. A pesare anche stavolta inoltre è stata la scarsissima empatia di Piantedosi. All’aspetto già di per sé lugubre, aggiunge un’evidente difficoltà espressiva. Incapace di comunicare emozioni, sembra messo lì con il solo scopo d’impaurire. Davanti a quella sequela infinita di cadaveri, la sua frase contro i padri, la cui «disperazione non giustifica i viaggi che mettono in pericolo i figli» è parsa la sintesi perfetta dell’uomo sbagliato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Per rimediare, il Governo italiano promette di rivedere rimpatri, accoglienza, asilo e ingresso fino alla disponibilità di farsi carico del viaggio per sottrarre gli emigranti agli scafisti. Nel nome dei nostri nonni.

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