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Se manca la lattuga
Gran Bretagna ◆ Nei supermercati del Regno scarseggiano frutta e verdura, ecco perché
Se i sudditi di Sua Maestà mangiassero rape e cibi di stagione non ci sarebbero problemi di approvvigionamento alimentare. Così Thérèse Coffey, ministra dell’Ambiente britannica, ha commentato la carenza di frutta e verdura che affligge i supermercati del Regno, dove ormai ci si azzanna per un cavolfiore o una lattuga. E ha scatenato, come immaginabile, un putiferio. Fare la spesa nei supermercati britannici negli ultimi tempi è effettivamente un’esperienza desolante: insalata, pomodori, cetrioli, broccoli, peperoni o lamponi sono diventati beni rari. Per far fronte alla scarsità dell’offerta, diverse tra le catene di distribuzione più importanti e meno dispendiose hanno iniziato a razionare alcuni prodotti, imponendo un limite di acquisto di massimo due o tre confezioni a cliente per visita. Molti scaffali, però, restano vuoti e sono destinati a rimanere tali per diverse settimane. C’è chi sostiene addirittura fino a maggio.
Una donna alla guida del Governo, una donna a capo dell’opposizione. Il risultato delle primarie del Partito Democratico, che hanno proiettato Elly Schlein (nella foto) alla segreteria nazionale, completa dopo l’avvento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi un’innovazione di non poco rilievo in un’Italia ancora alle prese con la questione femminile. Non a caso fra gli slogan vincenti figura quello che vuole «superare il patriarcato». Prende il posto di Enrico Letta una donna determinata e strettamente ancorata ai suoi valori, fino al punto di apparire ingenua ai più smaliziati fra gli osservatori della politica italiana.
L’elezione della nuova segretaria significa un recupero d’identità nella visione progressista, insomma la riscoperta e la riproposta dei valori tradizionali della sinistra. Ma in un partito come questo, giunto al punto più basso delle sue fortune elettorali, la strategia prospettata da Schlein potrebbe non bastare se non al prezzo di dolorosi ridimensionamenti programmatici. C’è infatti di mezzo una legge elettorale fatta apposta per premiare le coalizioni e ovviamente non è facile conservarsi «duri e puri», come la nuova segretaria vorrebbe, cercando di costruire alleanze. Lo hanno confermato le prime reazioni dopo l’esito delle primarie. Da una parte Carlo Calenda, che con l’ex segretario democratico Matteo Renzi guida il cosiddetto Terzo polo, dice che ormai il centrismo riformista è affar suo. Dall’altra Giuseppe Conte sostiene che Schlein ha avvicinato il PD al Movimento cinque stelle di cui è segretario.
Elly Schlein è un personaggio international minded, la sua biografia l’ha dotata infatti di una mentalità che supera le frontiere. È nata a Sorengo, in Ticino, figlia di un politologo e storico statunitense di origine ebraica e di una docente universitaria italiana di diritto pubblico comparato. Ha tre cittadinanze: italiana, svizzera, americana. Ha studiato al Liceo cantonale di Lugano e all’università di Bologna dove si è laureata in giurisprudenza con una tesi di diritto costituzionale. Ha un fratello, Benjamin, docente di matematica all’università di Zurigo, e una sorella, Susanna, diplomatica all’Ambasciata d’Italia ad Atene. Prima ancora del- la laurea aveva partecipato a Chicago, come volontaria, alla campagna elettorale di Barack Obama del 2008, esperienza che ripeterà quattro anni più tardi per la rielezione del presidente. Poi ha fatto politica in Italia, attaccando la strategia delle larghe intese perseguita dal PD. Nel 2015 ha abbandonato il partito per protesta contro le misure sociali del Governo Renzi a cominciare dal Jobs act, la controversa legge sul lavoro che considera contraria agli interessi dei lavoratori. Un anno prima era stata eletta al Parlamento europeo.
È nata a Sorengo, figlia di un politologo e storico statunitense di origine ebraica e di una docente universitaria italiana
Nel 2020 il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, suo futuro avversario alle primarie, la nomina vicepresidente oltre che assessore con delega al welfare e al patto per il clima. Due anni più tardi, eletta alla Camera dei deputati, lascia la vicepresidenza della regione. Scontando il deludente risultato di quel voto, Enrico Letta si dimette dalla segreteria del PD: subito dopo Elly Schlein rientra nel partito e si candida alle primarie. Vuole guidare la principale forza d’opposizione verso nuovi traguardi. La sua posizione appare subito molto difficile: la voce dei circoli è tutta per Bonaccini, la sua esperienza alla presidenza dell’Emilia-Romagna lo ha reso popolare, è dunque considerato imbattibile e i sondaggi confermano la sua forza. Lei non demorde: appoggiata dalla sinistra del partito e da un padre nobile come l’ex ministro della Cultura Dario Franceschini percorre il Paese in lungo e in largo, parla con appassionato fervore delle sue priorità a cominciare dalle politiche salariali e dalle strategie di contrasto al deterioramento climatico, invoca la resurrezione e il rilancio del partito, denuncia attacchi antisemiti nei confronti della sua famiglia. Confida che le primarie aperte, al di fuori cioè dei circoli PD, siano dalla sua parte. E sarà esattamente così. Alla fine assapora un successo che la pone davanti a una sfida da far tre- mare le vene e i polsi. Prima di tutto la sua impostazione radicale le renderà difficile tenere unito il partito. Il suo programma tipicamente di sinistra è intessuto di buone intenzioni. Vuole il consenso dal basso – «senza la base, scordatevi le altezze» – e vuole che il partito investa sulla formazione politica. Chiede che gli elettori possano scegliere le persone e non soltanto le liste di appartenenza. Propone che si investa di più sulle energie rinnovabili, che si lasci perdere il nucleare, che si adotti un sistema tributario legato alle emissioni di gas nocivi. Sul tema cruciale del lavoro vorrebbe combattere la precarietà, limitare i contratti a termine e rendere più convenienti quelli a tempo indefinito. Vorrebbe anche introdurre un salario minimo e la settimana lavorativa di quattro giorni. In materia sanitaria, intende correggere lo squilibrio fra pubblico e privato e l’altalena di competenze fra stato e regioni. vazione del pomodoro del 27% fra il 2021 e il 2022.
Sul tema della politica estera ribadisce il sostegno all’Ucraina ma considera necessario che l’Unione europea si attivi concretamente per una soluzione di pace che possa chiudere il conflitto. Chiede anche che l’Unione affronti il tema nevralgico dell’immigrazione riformando il trattato di Dublino e impostando la sua azione sul principio di solidarietà e su un’armoniosa ripartizione del carico umano fra tutti gli stati membri. Su questa specie di libro dei sogni Elly Schlein chiama all’azione il malconcio partito che le primarie hanno affidato alle sue cure. Ma la sua vera scommessa, davvero ardua, è proprio quella di risollevare il PD dal declino cui lo hanno condannato le sue ambivalenze. Attualmente viaggia attorno al 16-17 per cento dei consensi, non certo abbastanza per la realizzazione di un simile programma.
Potrà farlo soltanto in compagnia di altre forze politiche, inevitabilmente annacquando i decisi propositi della nuova segretaria. Lo aveva previsto il rivale Bonaccini, che non a caso aveva assunto una posizione più vicina al centro che ai Cinquestelle. Forse proprio questa era la formula vincente, ma Elly Schlein preferisce rischiare in nome dell’ideologia. Il suo entusiasmo ha avuto la meglio sulla prudenza dell’avversario.
A questi fattori si aggiungono varie complicazioni nella catena di approvvigionamento dovute alla carenza di forza lavoro a seguito della pandemia e, indirettamente, anche a Brexit che ha introdotto una politica immigratoria molto più restrittiva, aumentando notevolmente la burocrazia alla frontiera. Le autorità negano con fermezza che l’uscita della Gran Bretagna dall’UE abbia avuto ripercussioni in questo senso, tuttavia si riscontrano diversi cambiamenti rispetto a prima: ad esempio, molti prodotti sugli scaffali sembrano provenire da Paesi sempre più lontani come il Marocco, ma anche l’Egitto, la Turchia o persino il Messico, mentre prima di Brexit frutta e verdura erano prevalentemente di provenienza europea.
Come mai? Il Governo Tory nega ogni responsabilità, imputando la situazione a cause che esulano dalla sua sfera di controllo, come il maltempo nei Paesi del Sud d’Europa e del Nord Africa, da cui la Gran Bretagna importa larga parte dei prodotti agricoli. Basti pensare che durante l’inverno il Regno Unito importa addirittura circa il 90% delle lattughe e il 95% dei pomodori. Quest’anno, tuttavia, temperature particolarmente rigide in Spagna e inondazioni in Marocco hanno avuto pesanti ricadute sui raccolti e conseguentemente sulle importazioni. «Non possiamo controllare il tempo in Spagna», ha chiosato la Coffey. Però le foto circolanti nei social media di supermercati spagnoli con banchi traboccanti di frutta e verdura sembrano contraddire la linea difensiva del Governo e raccontare una storia diversa.
Le condizioni climatiche avverse sicuramente hanno avuto un impatto non solo sulle importazioni, ma anche sulla limitata produzione agricola interna. L’East Anglia, ad esempio –zona agricola chiave della Gran Bretagna – continua a essere affetta da siccità: le prime tre settimane di febbraio sono state le meno piovose degli ultimi 30 anni, con inevitabili conseguenze sui raccolti. Anche il costo dell’energia schizzato alle stelle per effetto della guerra in Ucraina ha giocato un ruolo: i produttori britannici devono necessariamente coltivare insalata e determinati tipi di verdura in serra, e poiché le bollette di elettricità e riscaldamento sono quadruplicate, hanno dovuto ritardare la semina.
Secondo i dati della National Farmer Union (NFU), sindacato degli agricoltori britannici, l’inflazione energetica ha fatto salire il costo della colti-
Non c’è da stupirsi. «È molto più facile per i produttori del Sud Europa vendere i loro prodotti nel Continente invece che affrontare quattro giorni di viaggio per andare nel Regno Unito, rimanere bloccati in coda, tornare con il camion vuoto e avere ancora a che fare con una serie di scartoffie aggiuntive e dazi doganali», ha commentato Lee Stiles della Lea Valley Growers Association, associazione che riunisce larga parte dei produttori domestici di pomodori, cetrioli e peperoni.
Eppure il Governo era stato ammonito: lo scorso dicembre, l’NFU aveva lanciato l’allarme che il Paese si stava avviando silenziosamente verso una crisi delle forniture e aveva chiesto un intervento urgente per proteggere i produttori locali, assicurando ad esempio che i rivenditori li pagassero in maniera equa. In autunno, infatti, era emerso che durante le negoziazioni le più grosse catene di supermercati avrebbero acquistato all’estero i prodotti agricoli piuttosto che pagare a prezzo più alto i prodotti locali.
Ma la strategia si è rivelata fallimentare. I fornitori britannici sono vincolati a prezzi fissi pattuiti da contratti a lungo termine con i supermercati. Pertanto, se il costo dei pomodori spagnoli all’improvviso aumenta, non hanno margini per acquistarli senza ridurre i profitti, mentre nel Continente sono più diffusi contratti a breve scadenza e dunque in caso di incremento dei prezzi è più facile per i fornitori europei scaricare l’aumento sui rivenditori. Il risultato? Mancano i prodotti e quelli reperibili hanno prezzi sostanzialmente più elevati. Solo nell’ultimo mese i pomodori sono aumentati del 22%, le lattughe del 30%, i cavolfiori del 38%, i porri del 25% e le patate del 20%. Ai britannici non resta che accontentarsi delle rape, il cui prezzo invece è rimasto stazionario.