Azione 13 del 25 marzo 2024

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SOCIETÀ

Chiacchierare con un estraneo può farci sentire più felici e più sani, una psicologa ci spiega perché

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TEMPO LIBERO

Il termine inglese leisure ingloba tutte le realtà legate al tempo libero, ne parliamo con due esperti

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ATTUALITÀ

Si torna a parlare di accordi Svizzera-Ue mentre le polemiche tra sindacati e Governo continuano

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Tre idee per la pace in Medio Oriente

edizione

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MONDO MIGROS

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CULTURA

Il Museo Hesse inaugura Dove c’è Hesse, c’è Volker Michels, una prima importante per Marcel Henry

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Federico Rampini

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I Mori, Biancaneve e la Messa in latino

E così oggi – laici e agnostici, atei e credenti –entreremo tutti e quanti nella liturgia sacra e profana della Settimana Santa con la solida certezza che i Mori delle Processioni storiche di Mendrisio saranno uguali a sé stessi, con la faccia canonicamente dipinta di nero, così come li abbiamo visti per tempo immemore lungo le vie del Borgo.

Per chi ignorasse la questione, esponiamo in estrema sintesi i fatti ricordando che qualche tempo fa è emerso che le persone chiamate a interpretare i Mori nell’ambito della manifestazione religiosa momò non avrebbero più sfilato col volto pitturato, come avviene da sempre. La ragione? Per non incorrere nell’accusa di bieco «blackface». Il termine inglese indica uno stile di maquillage che consiste nel truccarsi in modo palesemente non realistico per assumere le sembianze stereotipate di una persona di colore, una prassi da molti ritenuta razzista.

La reazione di buona parte dei mendrisiensi, che hanno visto in questa scelta un tradimento della secolare tradizione, ha spinto gli organizzatori a fare retromarcia: il trucco facciale per quest’anno rimarrà ma la questione verrà poi ridiscussa con un «dibattito a porte chiuse».

Tranquilli, non alimenteremo la polemica, che è accesa e rischia di restarlo ancora a lungo. Non lo facciamo per non trasformarla in un gioco che va molto al di là del mero oggetto del contendere, una diatriba locale simbolicamente importante, ma oggettivamente poco grave, di fronte ai veri problemi del mondo (e a ben vedere, anche del Mendrisiotto).

Più del trucco dei Mori, di cui è giusto si continui a discutere serenamente, ci interessano le due filosofie che soggiacciono alla polemica. Da una parte la visione cosiddetta woke o politicamente corretta per la quale occorre evitare di perpetuare abitudini, parole e prassi che avallano idee

aberranti e inaccettabili, come il razzismo, il sessismo o l’antisemitismo. Dall’altra la visione secondo la quale la tradizione è portatrice di valori identitari antichi e non può essere ridiscussa o addirittura cancellata in nome delle nuove sensibilità emerse nel presente. Quando rifiutano di dialogare, entrambe le visioni appaiono discutibili e irritanti, ma prese per il verso giusto sono tutte e due nobili e sostenibili. Oggi il «politicamente corretto» gode di pessima fama per gli eccessi nei quali è caduto, tipo la censura dei classici o la bufera sulla Disney per il cartone animato col «bacio non richiesto» del principe a Biancaneve addormentata. Ma non dobbiamo dimenticare che in certi contesti la visione woke (termine che letteralmente significa «sveglio») è un prezioso grimaldello per scardinare la subcultura della discriminazione, perché impone di «stare all’erta» nei confronti delle ingiustizie contro i più deboli e le minoranze.

Sul fronte opposto, l’amore per le antiche tradizioni rischia a volte di aggrapparsi alle forme originali e «immutabili» più che ai suoi contenuti profondi (come quando, restando in ambito religioso, si pretende che l’unica Messa valida sia quella in latino). In compenso, una sana passione per la tradizione, spirituale o culturale che sia, è necessaria per contrastare la mitizzazione del «nuovo» che non sempre corrisponde al «meglio» e il pericolo dell’omologazione in un’unica brodaglia globalizzata che tende a cancellare le differenze e ad annegare nell’oblio o nella riprovazione tutto ciò che sa di antico, ritenendolo obsoleto e/o nocivo.

È possibile conciliare queste due scuole di pensiero? Si riuscirà a trovare un punto di equilibrio tra «presentismo» e «passatismo» in modo che il presente purifichi il passato senza distruggerlo e il passato fecondi il presente senza demonizzarlo? Forse solo in sogno. Un bel sogno pasquale.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 Cooperativa Migros Ticino
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
Keystone
Carlo Silini

Al via la stagione 2024 del Monte Generoso

Info Migros ◆ Il 30 e 31 marzo riparte la stagione e la Ferrovia Monte Generoso annuncia un anno ricco di novità ed eventi speciali

Per tutto il weekend i ticket di andata e ritorno saranno scontati del 50% su tutte le tratte da Capolago alla Vetta

Weekend di apertura, corse col trenino a cremagliera e promozioni speciali

Pronti, via! Riparte la stagione 2024 della Ferrovia Monte Generoso (FMG).

Il weekend di apertura (30 e 31 marzo) vede il ritorno del Circo Tonino con spettacoli e divertimenti per tutta la famiglia. «Invitiamo tutti a celebrare l’inizio della stagione 2024 con noi, approfittando dello sconto speciale del 50% sui ticket andata e ritorno», invita Monica Besomi, Vice-Director e Head of Marketing & Communication della FMG, «Dopo il week end di apertura, ci saranno diverse offerte valide per tutta la stagione, come ad esempio lo sconto del 30% per i residenti in Ticino».

Dal 1° aprile il treno a cremagliera torna a viaggiare quotidianamente anche in settimana, con quattro corse al giorno. Successivamente, a partire dal 4 maggio, il servizio si arricchirà ulteriormente passando a ben sette corse giornaliere. A partire dallo stes-

Concorso

«Azione» mette in palio 1x2 ticket (per una coppia) andata e ritorno Capolago-Vetta del Monte Generoso a bordo del trenino a cremagliera, valido per il 30 o per il 31 marzo 2024. Per partecipare al concorso mandare una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto «Trenino»), indicando i propri dati, entro mercoledì sera 27 marzo 2024 (estrazione 28 marzo). Buona fortuna!

so giorno, riaprirà i battenti anche il Ristorante del Fiore di pietra.

La destinazione ideale per eventi unici

«Quest’anno il Monte Generoso si trasformerà in un palcoscenico di eventi senza precedenti, offrendo ai nostri ospiti la possibilità di vivere momenti di pura magia», afferma Besomi. Tra le iniziative più attese, spiccano la cena e lo show con il mentalista Federico Soldati, i workshop al Buffet Bellavista dove i partecipanti potranno imparare l’arte della produzione del formaggio, così come un evento speciale in collaborazione con La Soleggiata – la famosa catena di bar itineranti posizionati in location esclusive sparse per tutto il Ticino.

«La partnership con La Soleggiata rappresenta un ponte tra la bellezza naturale del Monte Generoso e l’energia tipica de La Soleggiata», asserisce Besomi, evidenziando l’importanza di queste sinergie sul territorio. «Siamo sempre alla ricerca di partnership per offrire ai nostri ospiti degli eventi unici, così come delle esperienze memorabili».

Il programma degli eventi della stagione 2024 include anche corsi di cucina, serate di mixology e cene a tema nel grotto Buffet Bellavista, oltre al ritorno degli amatissimi Sunset Apero, delle Best of Music Night con Maxi B, e delle serate Grill & Chill.

Un calendario ricco anche per il Camping

Il Camping Monte Generoso ha ri-

aperto i battenti il 23 marzo, proponendo, tra le varie attività, i suoi caratteristici Apero al Lago. Il 18 maggio il Camping ospiterà nuovamente un evento Street Food, con una ricca selezione di cucine diverse.

«Vogliamo che il nostro Camping sia un luogo di incontro e di festa, aperto a tutti coloro che desiderano vivere il lago e la natura in modo autentico», afferma Lucas Escardò, Manager del Camping Monte Generoso. «Per noi è fondamentale che ogni ospite si senta come se fosse a casa propria, con la differenza che noi possiamo aggiungere quel pizzico di magia e serenità attraverso i nostri eventi e il nostro servizio, in un’atmosfera e una location che francamente parlano da sole!».

Gli eventi sono accessibili anche a persone esterne al campeggio su pre-

notazione. Da quest’anno sarà possibile prenotare online grazie al nuovo servizio di prenotazione.

Un rinnovato impegno per l’ambiente e la comunità

Il Monte Generoso non è solo una destinazione, ma anche un esempio di impegno verso la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente. «Ogni nostra iniziativa è guidata da valori di sostenibilità, perché crediamo in un turismo responsabile e inclusivo», sottolinea Chiara Brischetto, Marketing Project Manager e responsabile per le iniziative di sostenibilità. «Stiamo lavorando per raggiungere il livello 3 di Swisstainable, un programma di sostenibilità di Svizzera Turismo. Questo riflette il nostro

Forum elle ◆ Una gita lungo il confine nazionale; prossimo appuntamento al museo a Milano

Lo scorso giovedì 14 marzo un nutrito gruppo di socie di Forum elle (l’organizzazione femminile della Migros che è una piattaforma di scambio femminile apartitica, aconfessionale e indipendente), si è dato appuntamento alla stazione di Stabio per lasciarsi condurre, sotto la guida esperta dell’ex Comandante del corpo delle guardie di confine Fiorenzo Rossinelli, in una lunga passeggiata alla scoperta di parte del nuovissimo sentiero dei cippi storici del confine nazionale.

I blocchi di granito che contraddistinguono la linea di confine nazionale raccontano, attraverso una serie di informazioni che Rossinelli ha illustrato, come decifrare una storia stratificata, testimone di continui aggiustamenti. Ritorneremo più dettagliatamente sul sentiero dei cippi prossimamente nelle pagine di Tempo libero.

azione Settimanale edito da Migros Ticino

Informazioni

Segnaliamo il prossimo appuntamento di Forum elle che sarà all’insegna dell’arte: giovedì 18 aprile ci si sposterà a Palazzo Reale a Milano per visitare la mostra Cézanne/ Renoir – capolavori dal Musée de l’Orangerie e dal Musée d’Orsay. Cinquantadue capolavori provenienti dalle collezioni dei due musei parigini ripercorrono la vita e l’opera dei due maestri che hanno contribuito in maniera decisiva alla nascita dell’Impressionismo.

Per iscrizioni e informazioni: e-mail simona.guenzani@forum-elle.ch Tel. 091 923.82.02 Info: www.forum-elle.ch

impegno per un turismo responsabile», conclude Brischetto.

Arte e cultura: un ponte tra natura e creatività

Nel quadro del Percento culturale di Migros, quest’anno il Monte Generoso ospiterà la mostra «Colori del Ticino» dell’artista ticinese di origine ecuadoregna Alejandra Abad. In linea con il tema della sostenibilità, l’artista ha scelto di utilizzare vecchi flyer della FMG come strumento per realizzare alcune delle sue creazioni, trasmettendo così un messaggio di rinascita e sostenibilità. La mostra sarà aperta al pubblico dal 28 aprile 2024, con ingresso gratuito.

La FMG invita scuole e pubblico a visitare l’esposizione e offre anche la possibilità di prenotare visite guidate con l’artista, per un’immersione nelle sue opere e nel suo processo creativo.

Informazioni

Per ottenere ulteriori dettagli sugli eventi del 2024 ed effettuare prenotazioni (presto anche direttamente online): www.montegeneroso.ch/eventi. www.montegeneroso.ch/camping www.montegeneroso.ch/offerte

Per la Ferrovia Monte Generoso contattare: Giulio Rezzonico

Media & PR Manager

T. +41 (0) 91 640 23 42 E-Mail: giulio.rezzonico@ montegeneroso.ch

Parliamone in famiglia

Info Migros ◆ Una mostra sostenuta dal Percento culturale

Nell’ambito di Generando, visioni di genere, segnaliamo l’apertura, mercoledì 3 aprile, alla Filanda di Mendrisio, della mostra Famiglie — esplorando il passato, immaginando il futuro, che mira a sensibilizzare la classe politica, le istituzioni, le aziende e i cittadini sull’evoluzione della famiglia e sulla necessità di affrontare in maniera consapevole i condizionamenti che influenzano la conciliabilità, sia nell’ambito familiare sia lavorativo. Per maggiori informazioni: www.generando.ch

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 2
Fondato nel 1938 Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 lu–ve 9.00 –11.00 / 14.00 –16.00 registro.soci@migrosticino.ch Redazione Carlo Silini (redattore responsabile) Simona Sala Barbara Manzoni Manuela Mazzi Romina Borla Natascha Fioretti Ivan Leoni Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Telefono tel + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89 Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch Pubblicità Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino tel +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano Tiratura 97’925 copie ● Alla scoperta del confine
Un momento della passeggiata lungo il percorso dei cippi a Stabio; a sinistra Fiorenzo Rossinelli.
Suggestiva veduta del Fiore di pietra in Vetta al Monte Generoso.

L’ovodonazione raccontata ai bambini Volevamo te è un libro illustrato curato da Anna Raggi e Sandra Cesna che aiuta i genitori a spiegare ai figli come sono nati

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La salute degli operatori sanitari Infermieri e personale curante sono tra le categorie più a rischio di logoramento psicofisico, come aiutarli?

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L’Asterisco, la radio degli studenti È nata da poco all’USI e propone interviste e programmi sotto forma di podcast, ne parliamo con l’ideatore Francesco Culici

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Attaccare bottone con gli sconosciuti fa bene

Psicologia ◆ In un mondo in cui prevale la diffidenza se non la paura dell’altro alcuni studi mettono in luce quanto avviare una conversazione con un estraneo sia salutare sotto molti punti di vista

«There are no strangers here, only friends you haven’t yet met » (Qui non ci sono estranei, solo amici che non hai ancora incontrato), scriveva il poeta William Butler Yeats; una frase che andrebbe tenuta presente alla luce del fatto che non mancano le ricerche svolte in tempi recenti a dimostrazione degli effetti benefici del parlare con gli estranei.

«In una serie di studi condotti negli ultimi anni – in cui alle persone è stato chiesto di parlare liberamente con estranei sui mezzi pubblici, nelle sale d’attesa o nei bar – gli psicologi hanno scoperto che il semplice atto di chiacchierare con uno sconosciuto può farci sentire più felici e più sani, meno soli e più connessi ai luoghi in cui viviamo, può farci trovare affinità e comprensione e scoprire che le diversità sono molte meno di quelle che pensiamo», spiega Sonia Dal-Ben, psicologa e psicoterapeuta a orientamento cognitivo con studio a Giubiasco.

Il semplice atto di chiacchierare con una persona mai vista può farci sentire più felici, più sani e più connessi ai luoghi in cui viviamo

Che si tratti di «chiacchiere da bar» o scambi di opinione sul treno o dal dottore, una ricerca dell’Università del Sussex prova come questi contatti poco profondi ci aiutino ad aumentare il nostro benessere sociale ed emozionale, rivelandosi quindi un’esperienza ben più soddisfacente del silenzio e della solitudine. «Chiacchierare con gli estranei permettere di riconoscersi in quanto essere umano visto e riconosciuto», ha spiegato al magazine «Quartz» Gillian Sandstrom, principale autrice dello studio, nonché Senior lecturer in Psychology of kindness all’University of Sussex. Sul motivo per cui poi, nella realtà dei fatti, tendiamo piuttosto a evitare queste casuali conversazioni hanno indagato Juliana Schroeder e Nicholas Epley, docenti rispettivamente dell’Università della California e dell’Università di Chicago, giungendo alla conclusione che si tratterebbe di un errore di valutazione collettivo: vedendo le persone che ci circondano in silenzio, siamo portati a pensare che non abbiano voglia di scambiare qualche parola. Inoltre, tendiamo a far prevalere gli aspetti negativi, come l’eventuale mancanza di argomenti comuni, la paura di essere giudicati male o il timore di dare fastidio. Come il precedente, anche lo studio condotto dai due psicologi ha dimostrato che chi si butta in una conversazione con

una persona non conosciuta – come pure chi viene coinvolto in una conversazione – finisce con il sentirsi più appagato rispetto a chi non lo fa.

In un libro del 2021, The Power of Strangers: The Benefits of Connecting in a Suspicious World (Il potere degli estranei: i vantaggi di connettersi in un mondo diffidente), Joe Keohane, ex editore della rivista «Esquire», svela come le interazioni fugaci di cui stiamo parlando rappresentassero un tempo addirittura uno strumento di sopravvivenza, oltre ad alleviare, come detto, solitudine e isolamento e ad aumentare lo sviluppo cognitivo. «Nel libro citato, l’autore, tra le altre cose, fa un excursus storico – afferma Sonia Dal-Ben – e ricorda come nelle comunità tribali l’estraneo fosse una risorsa. Attraverso i documenti si scopre, infatti, che molto prima che le bande tribali si facessero la guerra, e per un periodo di tempo ben più lungo, esse “facevano la pace”, intenzionalmente, e non perché fosse facile o comodo, bensì perché vivendo di scambio e dialogo la comunità traeva giovamento e profitto. Tradizioni e religioni sono nate attraverso il rapporto e la convivenza pacifica con gli estranei, atteggiamento che oggi si è purtroppo perso, a causa di molteplici fattori tra cui le guerre, con il conseguente aumento della paura del diverso e del razzismo. Keohane esamina questo argomento con metodo scientifico e dimostra che in realtà quando entriamo in contatto con gli estranei, ci piace, lo apprezziamo e vogliamo farlo di nuovo».

Il rapporto con chi ci è sconosciuto, nella quotidianità, è caratterizzato da una certa ambivalenza tra la diffidenza che tendenzialmente ci suscita e gli effetti benefici che l’interazione con un estraneo ci procura, come fin qui visto. «Per spiegare questa apparente ambivalenza possiamo partire da quella che in psicologia si definisce “familiarità”, ovvero la “confidenza” verso un volto che diventa pian piano riconoscibile e quindi famigliare in quanto entrato nella nostra routine. Le persone che siamo abituati a vedere (anche solo virtualmente), suscitano un senso di conforto, soprattutto se con esse abbiamo un buon rapporto – spiega la psicologa – d’altra parte, l’estraneo tende a suscitare un senso di insicurezza legato appunto alla “non familiarità” e viene pertanto associato a sentimenti di incertezza e paura in quanto per noi non prevedibile».

A ciò si aggiunge il condizionamento culturale secondo cui, perlomeno in buona parte dell’Occidente, ai bambini si insegna che «parlare con gli sconosciuti» è da evitare in quanto pericoloso. «Un insegnamento che portiamo con noi quan-

do cresciamo, come tutti gli schemi cognitivi che impariamo da bambini e che a volte diventano disfunzionali proprio perché non più adatti alla nostra vita attuale – continua Sonia Dal-Ben – paradossalmente rispetto a questi motivi, con un estraneo, in determinate situazioni, prime tra tutte i momenti di relax (vacanze, svago, hobby), ci possiamo sentire più liberi, poiché non essendo reciprocamente familiari non ne temiamo il giudizio, né ci preoccupiamo di deluderlo o di risultare inadeguati».

Il «coraggio» di avviare una conversazione con uno sconosciuto ci ripagherà quindi con il vantaggio di porci di fronte a un interlocutore che, non conoscendo la nostra biografia, non ci farà sentire in difetto se le nostre parole non si accorderanno al nostro passato; semplicemente accoglierà la nostra realtà così come gliela presentiamo. Fatto che ci può portare a svelare una parte di noi che a chi conosciamo da più tempo tendiamo a tenere nascosta, magari proprio perché non coinciderebbe con l’immagine che questa persona si è costruita di noi nel tempo. In questo modo, un fugace scambio di parole con uno sconosciuto può risultare gratificante e, in una certa misura, pure più veritiero rispetto a quello che può avvenire con un amico di lungo corso.

Quanto appena affermato può spiegare il motivo per cui alcune persone reputino più facile confidare,

per esempio, al 143 – Telefono Amico le proprie preoccupazioni o fragilità, piuttosto che ad un amico o famigliare. Questo tipo di servizio non è infatti destinato solo a chi si trova in un momento di crisi acuta, ma anche a chi vive problemi quotidiani più o meno complessi, che troverà uno spazio per i propri pensieri e sentimenti, privo dal giudizio; presupposto che consente di «lasciarsi andare» senza filtri. Un’altra, seppur diversa, occasione per poter essere come veramente si è nel «qui e ora» sono i viaggi, durante i quali si possono instaurare delle ben specifiche relazioni. Brevi, intense, e a volte trasformative, le «amicizie di viaggio» nascono dal nulla per poi inevitabilmente lasciarci con la stessa rapidità con cui sono arrivate. I loro vantaggi sono molteplici: oltre a trascorrere del tempo in compagnia, consentono di avere una finestra su un altro contesto o un’altra cultura, di avere qualcuno in più da andare a trovare in giro per il mondo, di godere di un senso di appartenenza grazie al comune piacere per i viaggi o per quel viaggio in particolare, oltre che di aver modo di cambiare idee e prospettive grazie al confronto con una persona che non appartiene al nostro entourage. Anche in questo caso, essendo queste relazioni esenti da idee preesistenti su di noi, saremo liberi di essere esattamente come siamo in quel momento della nostra vita.

I benefici effetti sin qui descritti del rivolgere la parola a persone finora estranee si scontrano però con una situazione, quella odierna, in cui alla «paura dello sconosciuto» di cui si è detto, si aggiunge una tendenza all’individualismo, accresciuta dalla diffusione dei dispositivi digitali. Se ci osservassimo dall’esterno, più che essere aperti a chi ci sta occasionalmente accanto, ci vedremmo concentrati sui nostri smartphone, a mandare velocemente una mail mentre siamo in sala d’attesa, ad ascoltare un vocale mentre siamo sul bus, a leggere un e-book mentre siamo seduti su una panchina del parco. Atteggiamenti che ci impediscono di accorgerci di chi ci sta accanto e che potrebbe apportare qualcosa in più alla nostra giornata.

Una cosa però accomuna i rapporti che possiamo intrattenere con le persone sconosciute e con quelle con cui ci relazioniamo sui social, il fatto cioè che siano entrambi «legami deboli», come li definì negli anni Settanta Mark Granovetter, sociologo della John Hopkins University, in contrapposizione a quelli che abbiamo con chi conosciamo bene e frequentiamo regolarmente. «Legami deboli» in cui – per così dire – ci si sfiora per poco tempo ma quanto basta per sentirsi parte di una collettività più ampia, senza tuttavia che si generino aspettative verso l’altro, come invece accade in un rapporto solido.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 3
SOCIETÀ
Il viaggio è una situazione tipica in cui è più facile iniziare delle conversazioni con persone mai incontrate prima. E a volte nascono vere e proprie «amicizie di viaggio». (Freeepik.com)
Alessandra Ostini Sutto

Gustosi momenti pasquali

Attualità ◆ Il capretto cotto lentamente al forno è per molti una specialità imprescindibile da servire il giorno di Pasqua Questa settimana alla Migros l’aromatica carne è offerta a un prezzo particolarmente vantaggioso

Soprattutto in Ticino e nella vicina Penisola, durante la Pasqua è per molti usanza consumare del capretto o dell’agnello. Se la carne di agnello è ormai disponibile tutto l’anno sot-

to forma di diversi tagli, da noi il capretto è invece venduto solo durante il periodo pasquale. La sua carne proviene da animali alimentati esclusivamente con latte e ha precise caratte-

ristiche, offrendo un mix equilibrato di sostanze nutritive. Possiede un colore leggermente rosato, ha una grana molto fine, è povera di grassi ed è particolarmente tenera. Rispetto

Azione 25%

Capretto fresco al banco per 100 g Fr. 2.75 invece di 3.70 dal 26.3 al 1.4.2024

La ricetta classica

Capretto al forno

Ingredienti per 4 persone

• 1.5 - 2 kg di capretto tagliato

• 2 cucchiai di olio d’oliva extravergine

• 4 rametti di rosmarino

• 2 foglie di salvia

• 4 spicchi d’aglio

• 100 g di burro

• ½ litro vino bianco secco

• sale e pepe

Preparazione

1. Preriscaldare il forno a 170-180 °C

2. In una pentola, rosolare per bene il capretto nell’olio

3. Dimezzare l’aglio, privarlo del germoglio verde e tagliare a fettine. Staccare gli aghi dai rametti di rosmarino e unirli al capretto, assieme all’aglio

4. Salare la carne. Unire il burro a tocchetti e mescolare il tutto

5. Cuocere il capretto nel forno per ca. 90 minuti

6. Bagnare con il vino e continuare la cottura per ca. 20-30 min

7. Regolare di sale e pepe

all’agnello, ha un sapore più delicato. Contiene anche preziose proteine, vitamine e sali minerali. Il capretto deve essere servito sempre ben cotto. Nella tradizione mediterranea, il

La freschezza nostrana è servita!

capretto viene solitamente cucinato arrostito al forno o intero allo spiedo. Si consiglia di non eccedere con i condimenti per non rovinare il suo sapore unico.

Attualità ◆ Dal 2013 la Fattoria Ai Naravazz di Tullio Crivelli fornisce a Migros Ticino i suoi formaggini freschi vaccini

Queste apprezzate specialità sono ora disponibili griffate con la nuova veste dei Nostrani del Ticino

Tullio Crivelli dal 2012 gestisce l’azienda agricola familiare Fattoria Ai Navarazz di Torricella, dove trasforma il latte delle sue mucche in deliziosi prodotti a km zero, tra cui i formaggini freschi disponibili da oltre dieci anni nei supermercati di Migros Ticino. «I nostri formaggini sono prodotti artigianalmente nel nostro caseificio aziendale a partire dal latte intero munto di giornata, seguendo

una ricetta tramandata in famiglia», spiega il produttore sottocenerino, che nella sua fattoria rinnovata secondo i più attuali standard di sostenibilità alleva, oltre a una trentina di bovine da latte in stabulazione libera, anche vitelli, capre, alcuni maiali, diverse galline a altri piccoli animali che scorrazzano felici per la gioia dei bimbi che passano spesso a visitare l’azienda con le proprie famiglie. «Le nostre mucche – continua Crivelli –sono allevate nel rispetto della specie e nutrite unicamente con erba e fieno proveniente dai campi qui vicino, come anche dall’alpe. Siamo sempre stati un’azienda ecologica e rispettosa dell’ambiente. Ancora oggi manteniamo e preserviamo la tradizione, lasciando per esempio pascolare le mucche libere nei prati e portandole ai monti in estate». Le vacche dell’azienda sono di razza bruna alpina e producono un latte di qualità ricco di proteine. La mungitura avviene due volte al giorno, mattina e sera, e il latte appena munto viene trasportato dalla sala di mungitura al caseificio della fattoria per essere subito trasformato in genuini prodotti nostrani.

Fresche prelibatezze

I formaggini freschi della Fattoria Ai Navarazz sono prodotti quotidianamente in modo artigianale a partire da latte intero. «Ogni formaggino viene confezionato a mano, escludendo procedimenti industriali o automatizzati», precisa Tullio Crivelli. «Il

tutto naturalmente avviene nel pieno rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie in vigore per la produzione di derrate alimentari. I nostri prodotti sono inoltre regolarmente analizzati a campione dal laboratorio cantonale e tutta la filiera soggiace a una rigorosa procedura di qualità. In occasione di alcune degustazioni nazionali e cantonali, si sono anche aggiu-

dicati la medaglia d’argento». Crivelli consiglia di gustare i suoi formaggini così come sono, senza nulla, per assaporarne appieno il delicato gusto e goderne a fondo la freschezza. Tuttavia, alcuni amano anche gustarli con un filo di buon olio e un po’ di pepe appena macinato; oppure ancora con qualche goccia di aceto balsamico e foglie di basilico. Ma anche aggiunti a un risotto ticinese oppure a un’insalata conquistano i palati di molti buongustai.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 4
Azione 20% Formaggini freschi nostrani 400 g Fr. 7.95 invece di 9.95 dal 26.3 al 1.4.2024
Flavia Leuenberger
Tullio Crivelli della Fattoria Ai Navarazz di Torricella.
Flavia Leuenberger

A ognuno la sua mostarda

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Dalla sapiente lavorazione dei mastri canditori della Sandro Vanini di Rivera nascono tre mostarde monogusto in grado di accontentare tutti gli amanti della buona tavola. Perfet-

te per accompagnare le pietanze più svariate, anche quelle più ricercate servite in occasione dei banchetti festivi, si sposano a meraviglia con carni arrosto e bollite, pesce, formag-

gi stagionati e saporiti salumi della nostra tradizione. Prodotte secondo l’antica arte della canditura di Sandro Vanini, offrono un’esperienza gustativa unica, grazie alla perfetta

combinazione tra la dolcezza naturale dei frutti e quel tocco di piccantezza tipico delle migliori mostarde. Ogni boccone regala una fusione armoniosa di sapori e consistenza per

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Ogni persona nasce a modo suo

Pubblicazioni ◆ La dottoressa Anna Raggi e la psicologa Sandra Cesna hanno scritto un libro per i bambini nati dall’ovodonazione

Ogni nascita porta con sé la propria storia. Bambine e bambini vengono alla luce al termine di percorsi che possono essere molto diversi fra loro. Uno di questi riguarda i bambini nati da un’ovodonazione ai quali è ora possibile spiegare le loro origini con il supporto di Volevamo te, un innovativo libro illustrato. Pubblicato in quattro lingue (tedesco, italiano, francese e inglese), il volume ripercorre il processo di donazione sia dal punto di vista medico, utilizzando termini corretti, sia da quello emotivo. Quest’ultimo aspetto riguarda da un lato il desiderio dei genitori di dar vita a una famiglia e dall’altro il gesto della donatrice di ovociti. Promotrici e autrici del volume sono la dottoressa Anna Raggi, ginecologa specializzata in medicina della riproduzione, e la psicologa Sandra Cesna, diventata madre di due figli grazie all’ovodonazione. Entrambe sono attive a Basilea. Con Anna Raggi, cresciuta in Ticino e pure madre di due figli, abbiamo approfondito contenuti e intenti di «una pubblicazione volta ad aiutare e non a convincere».

Volevamo te è un volume illustrato che aiuta i genitori a spiegare al figlio il processo di ovodonazione dal punto di vista medico ed emotivo

Va precisato che in Svizzera la donazione di ovociti è vietata dalla Legge sulla medicina della procreazione, Legge che ammette invece quella di spermatozoi. Entrata in vigore nel 2001, la Legge è attualmente in fase di revisione. Sulla donazione di ovociti nel 2022 si sono espresse a favore di una legalizzazione entrambe le Camere del Parlamento federale. Ora spetta al Consiglio federale dar seguito a tali decisioni. Anna Raggi, cofondatrice del centro per il trattamento dell’infertilità Fertisuisse con sede a Olten e a Basilea, è responsabile del gruppo di lavoro della Società svizzera della medicina della riproduzione (SGRM) sulla futura legalizzazione del dono di ovociti in Svizzera. Al momento i bambini che nel nostro Paese nascono da questo processo hanno quindi origine da una donazione che avviene all’estero. Né la futura madre, né il medico che

segue poi la gravidanza in Svizzera (in genere accompagnando la coppia fin dall’inizio del percorso) incorrono in sanzioni, ma devono tenere in considerazione questo quadro giuridico.

Riguardo al numero di casi, «non esistono statistiche ufficiali – spiega Anna Raggi – ma si può stimare che in Svizzera circa 500 donne all’anno ricorrano al dono di ovociti. La maggior parte ha oltre 40 anni e arriva in consultazione dopo diversi tentativi di FIV (Fecondazione In Vitro) falliti, mentre per le donne giovani il problema è sovente legato a una menopausa precoce». Il tasso di riuscita di una gravidanza con ovodonazione è elevato, pertanto i bambini la cui storia inizia in questo modo sono numerosi. Consapevoli degli aspetti non solo clinici, ma pure etici e morali di un simile percorso, gli specialisti in medicina della riproduzione accompagnano la coppia con particolare cura, preparandola ed evidenziando anche i bisogni e i diritti del nascituro. Precisa la nostra interlocutrice: «I futuri genitori devono essere consapevoli che si tratta di un percorso composto da più fasi che richiede un certo lasso di tempo. Per essere in grado di decidere come vogliono procedere, è necessario che siano bene informati sugli aspetti medici come pure sulle implicazioni emotive, compresi i rischi clinici legati a questo processo. Riguardo al nascituro, pur volendolo rendere partecipe delle sue origini, sovente la coppia tende a identificare questo momento con la maggiore età o più in generale con “quando sarà grande”. È invece importante, come dimostrano diversi studi, che il bambino conosca le sue origini sin dall’inizio». Le autrici consigliano quindi di rispondere con sincerità alle prime domande del bambino, utilizzando vocaboli adeguati all’età ma corrispondenti alla realtà del suo concepimento.

Volevamo te è un titolo che intenzionalmente sottolinea l’unicità del figlio o della figlia a lungo desiderato/a. La storia, arricchita dai disegni di Nadja Baltensweiler, specializzata nell’illustrazione scientifica e medica, inizia con il messaggio positivo di un desiderio divenuto realtà. Il libro colma una lacuna nelle pubblicazioni dedicate a questo tema, soprattutto per quanto riguarda l’approccio e la disponibilità linguistica. «Esisto-

Nel libro trova spazio anche il tema del dono, i disegni sono di Nadja Baltensweiler, specializzata nell’illustrazione scientifica e medica.

no solo pochi libri di questo genere in lingua tedesca e nel resto del mondo – svela la dottoressa Raggi – per cui abbiamo voluto elaborare una proposta in quattro lingue che affrontasse la nascita da ovodonazione partendo da uno stato d’animo sereno e sottolineandone gli aspetti emozionali. In questo modo il bambino o la bambina può confrontasi in modo armonioso con la sua storia. Il libro è adatto già a partire dai 3-4 anni grazie a disegni colorati raffiguranti molti animali accompagnati da un testo chiaro ed essenziale. Determinate spiegazioni e immagini, riguardanti ad esempio l’ecografia, sono utili per rispondere in maniera più esaustiva alle richieste di bambini più grandi. Non da ultimo Volevamo te è dal nostro punto di vista uno strumento valido anche per i futuri genitori che si sentono tranquillizzati vedendo come potranno raccontare al loro bambino la sua storia».

È infatti meglio per tutti i membri della famiglia parlare apertamente di come è avvenuto il concepimento. La nostra interlocutrice, grazie all’esperienza maturata in molti anni di accompagnamento di coppie che ricorrono con successo all’ovodonazione, evidenzia l’importanza di questo comportamento. «Il segreto tenderebbe invece a pesare nell’ambito familiare, potrebbe essere fonte di stress nel rapporto fra madre e figlio/a, o ancora rischierebbe di emergere in momenti inopportuni, come quando a scuola viene affrontato il tema dei gruppi sanguigni». Paure e dubbi da parte della coppia fanno parte del percorso che la porta a diventare una famiglia. Sarò capace di amare questo bambino in quanto madre biologica ma non genetica? Come e quando dovrò raccontargli come è stato concepito? Sono alcuni interrogativi ricorrenti ai

quali la dottoressa Raggi risponde con chiarezza, aggiungendo la possibilità di confrontarsi con chi ha già vissuto questa esperienza attraverso il gruppo di auto-aiuto fondato dalla psicologa Sandra Cesna. Destinato a genitori e persone interessate al tema dell’ovodonazione, il gruppo è attivo nel canton Argovia, dove ha sede anche l’Associazione Ovodonazione Svizzera di cui la psicologa è fondatrice e presidente. Prosegue Anna Raggi: «Fra i bisogni particolari della coppia durante il percorso che conduce all’ovodonazione, oltre all’indispensabile elaborazione del lutto dei precedenti tentativi di gravidanza, emerge l’esigenza di essere rassicurati. A questo stadio il confronto con l’esperienza altrui è sempre un valido aiuto. Finora nessuna coppia che ho seguito si è mai pentita di aver optato per l’ovodonazione, ma è importante ribadire che si tratta sempre di una libera scelta della coppia». Non va inoltre dimenticato il ruolo della donatrice. Anche da questo punto di vista il libro è all’avanguardia, poiché include l’aspetto emotivo legato a questo atto. «Ci è sembrato giusto –conclude al proposito l’intervistata –dare spazio al tema del dono, ritenendo che la donatrice vada considerata e meglio ancora onorata per il suo gesto. D’altronde potrebbe capitare che un talento particolare del figlio o della figlia discenda proprio da lei».

Wir wollten Dich è il nome originale in tedesco non solo del libro, ma anche dell’organizzazione no-profit che lo sostiene. Il volume rappresenta infatti un primo contributo «a favore del lavoro educativo, scientifico e politico sul tema della donazione di ovociti e spermatozoi, nonché su altri temi relativi alla medicina della riproduzione». Con cura, precisione e sensibilità Anna Raggi e Sandra Cesna mettono al servizio della comunità le loro conoscenze professionali arricchite dalle rispettive esperienze di vita, affinché sia più semplice raccontare a un pubblico di età differenti la storia di una nascita che vuole solo essere una fra quelle possibili.

Informazioni

www.wirwolltendich.ch

info@ezs-schweiz.ch

(contatto gruppo di sostegno Verein Eizellspende Schweiz) www.ezs-schweiz.ch

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L’importanza di prendersi cura dei curanti

Salute ◆ Gli operatori sanitari sono tra le categorie più a rischio di logoramento psicofisico

«Lo scopo principale degli operatori sanitari è migliorare la salute delle persone, ma pure loro possono soffrire problemi a causa del loro lavoro». Da questa considerazione nasce la nuova guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) votata a rafforzare le misure atte a mettere «più in sicurezza gli operatori della sanità». Si parte dalla classica definizione di burnout come «sindrome di logoramento psicofisico caratterizzato dalla presenza di tre elementi principali: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e sensazione di ridotta efficienza personale». Secondo l’OMS «le professioni d’aiuto, tra cui quella infermieristica, rientrano tra le categorie lavorative più a rischio di burnout e di abbandono professionale». D’altro canto, le sfide maggiori del sistema sanitario svizzero odierno si possono sintetizzare con il garantire il ricambio del personale ed evitare l’abbandono da parte di quelli in servizio o in formazione.

È quanto emerge dallo studio SCOHPICA (Swiss Cohort of Health Professionals and Informal Caregivers), un progetto concernente tutto il Paese, realizzato dal Centro universitario di medicina generale e sanità pubblica di Losanna (Unisanté), dalla Scuola di cure infermieristiche losannese (La Source) e dall’ospedale universitario vodese (CHUV), con l’obiettivo di capire meglio i percorsi dei professionisti della salute proprio per evitare che questi abbandonino il loro mestiere. Realizzato dal 2022 al 2023 nelle tre regioni linguistiche, il sondaggio evidenzia tre punti di insoddisfazione dei curanti: il carico di lavoro, le risorse a loro disposizione e la capacità di poter influenzare il modo di lavorare. Le maggiori critiche riguardano gli orari di lavoro estenuanti e il conseguente difficile equilibrio fra vita privata e una professione già di per sé molto pregnante anche dal profilo emotivo. Ne emerge che, se in futuro le condizioni di lavoro non dovessero cambiare, il 13 per cento non

resterà nella professione nei prossimi mesi. La percentuale sale al 18,5 per cento per chi è attivo professionalmente da più tempo (anzianità di servizio tra 5 e 10 anni), mentre un quarto degli interpellati deplora il non poter mettere a frutto l’esperienza acquisita nella formazione pratica, e il 16,5 per cento non si ritiene abbastanza preparato alla realtà professionale. Anche se il livello di benessere (da soddisfacente a molto soddisfacente) si aggira attorno a un confortante 80 per cento, non si possono negare gli elementi emersi dal 20 per cento restante.

La ricerca conclude con i «principali punti positivi» sui quali poggiare le fondamenta di un cambiamento del paradigma votato a frenare l’emorragia di curanti da una professione oggettivamente tanto bella quanto difficile, nella quale la mancanza di personale si sta facendo già sentire da tempo (ben prima dell’avvento del Covid-19). Una carenza difficilmente colmabile nell’immediato a causa delle specifiche competenze non facilmente rimpiazzabili in breve tempo. Secondo lo studio bisogna partire da ciò che funziona: «La possibilità di sviluppo, la coesione di squadra e la consapevolezza di esercitare un lavoro che ha un senso». Per avere un’interpretazione, e soprattutto una valutazione delle conseguenze di questa situazione non certo improvvisa, abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta Nadine Maetzler, partendo dalle possibili misure di intervento di prevenzione dell’insorgenza di burnout nelle professioni sanitarie e nelle cure infermieristiche: «L’intervento va modulato su più livelli: in ambito personale è utile equilibrare le proprie esigenze con le risorse a disposizione; l’organizzazione del lavoro risulta prioritaria per il datore di lavoro, offrendo altresì un ascolto al collaboratore per dare spazio alle sue proposte, idee e domande, e favorendo una buona riuscita del lavoro di team. Inoltre, uno scambio costruttivo nell’équipe fornisce un vantaggio notevole sul risultato finale». La specialista parla di «sdoga-

nare cultura e analisi dell’errore» per «dare la possibilità di dichiarare eventuali errori, strutturando un percorso di analisi votata al miglioramento attivo e concertato del lavoro».

Nella lettura correlata agli strascichi della pandemia Covid-19, Maetzler evidenzia l’atmosfera sociale solidale che si era venuta a creare verso i curanti. Un atteggiamento che oggi pare non avere più terreno fertile, lasciandoli in una sorta di solitudine e disorientamento: «Durante la pandemia gli infermieri lavoravano in condizioni mai viste prima: turni di lavoro stravolti e di dodici ore, team mescolati per le esigenze di emergenza e una presa a carico del paziente totalmente diversa e nuova». Però a sostenerli c’erano il consenso e l’ammirazione di una popolazione mondiale: «Il lavoro era sì duro ed estenuante, ancor più a livello psicologico, ma come un ciclista che trova la forza di scalare la montagna perché è incitato e sostenuto dal pubblico, anche i sanitari sentivano di trarre grande forza e motivazione dalla gente che ne riconosceva fatiche e impegno». Gratitudine che oggi

si è affievolita: «Arrivati in cima alla montagna, oggi nessuno li guarda più e “quella medaglia” che tanto si sono meritati è svanita». Questa situazione delle dinamiche dei curanti catapultati a lavorare in condizioni difficili nei reparti chiusi dove però c’era unione e si percepiva il sostegno esterno, è ben descritta nel libro dello psichiatra Luca Genoni (Emergenza Covid-19, servizio psicologico al fronte). D’altro canto, la nostra interlocutrice riconosce alcuni punti deboli già noti del sistema: «Ad esempio, cominciavano ad aumentare i posti letto già dall’inizio degli anni 2000 (quando anch’io lavoravo ancora in clinica) mentre il personale restava lo stesso. Oggi bisogna contenere i costi e il personale tende a diminuire: questa tendenza, già nota una ventina di anni fa, potrebbe essere uno dei problemi, insieme a più burocrazia e maggiore complessità delle cure, così come sono pure mutate le esigenze di pazienti e famigliari: tutto è permeato da differenti sollecitazioni che possono generare sovraccarico e frustrazione».

Quella «maggiore protezione de-

Secondo l’OMS le professioni d’aiuto, tra cui quella infermieristica, rientrano tra le categorie lavorative più a rischio di burnout e di abbandono professionale. (Freepik.com)

gli operatori sanitari» tanto auspicata dall’OMS potrebbe essere declinata nell’offrire loro opportunità di supporto psicoterapico e di supervisione costante: «Uno spazio per il singolo e per il team, nel quale riflettere in consapevolezza sul lavoro e dinamiche dei processi lavorativi sarebbe uno strumento efficace da implementare, in un investimento di tempo che non sarebbe tempo perso».

Una volta qualcuno ha detto a chi scrive: «Curati di chi si cura di te». Oggi sulla «cura» che bisogna riservare ai «curanti» lasciamo un’ultima riflessione a Jean Watson, infermiera americana nota soprattutto per la sua teoria dell’assistenza umana: «Noi curanti teniamo un’altra vita nelle nostre mani. Ci ricorda che ogni nostro gesto non tocca un corpo, tocca l’intero essere umano. E in ogni gesto, anche il più banale come quello di preservare l’intimità, è racchiuso il grande potere di donare rispetto per la dignità per l’altro. È una tra le più delicate e meravigliose opportunità che abbiamo nel nostro aver cura di chi si affida a noi».

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All’USI è nata la radio degli studenti

In onda ◆ Si chiama L’Asterisco, propone interviste e rubriche tematiche sotto forma di podcast: ne parliamo con Francesco Culici, lo studente di economia che l’ha ideata

Guido Grilli

Studio di registrazione ricavato in un’aula del palazzo principale dell’ateneo, entusiasmo e tanta voglia di comunicare. All’Università della Svizzera italiana è nata la prima radio creata dagli studenti. Si chiama L’Asterisco. A realizzarla, Francesco Culici, studente iscritto alla Facoltà di scienze economiche di Lugano, con la collaborazione di Francesco Quattrucci, Thomas Seveso e Marco Pagani.

Francesco Culici, come è sorta l’idea di creare un mezzo di comunicazione all’interno dell’istituto accademico?

L’Università della Svizzera italiana è un luogo molto interculturale che mi ha aperto la mente e ha messo sotto i miei piedi il terreno più fertile possibile per crescere. L’iniziativa nasce con lo scopo di promuovere l’innovazione all’interno dell’ateneo, contribuire a creare un’atmosfera più unita e abbattere il muro di formalità che spesso si erige tra studenti e professori.

Ma si tratta di una radio o di un podcast?

Di un podcast. La differenza con una radio? Il fatto che i contenuti saranno anche video. Alcuni di essi, come le interviste, saranno registrati e poi

pubblicati, mentre la maggior parte delle rubriche sarà trasmessa in diretta, visibile in formato video, oltre che ascoltabile come radio. Un aspetto sul quale ci stiamo focalizzando è quello delle interviste ai professori, con lo scopo di conoscere il loro lato personale e rendere l’esperienza universitaria formativa il più completa possibile. Tutti gli studenti USI e SUPSI avranno la possibilità di partecipare, formando il loro gruppo di lavoro, e creando la loro rubrica. Ogni gruppo di lavoro avrà a disposizione uno spazio settimanale fisso nello studio in Università (aula 131) per registrare o mandare in diretta il proprio episodio. Ogni semestre (15-20 settimane) formerà una Stagione. Ci saranno 10 gruppi di studenti, che spazieranno sui loro temi: sport, musica, cultura, viaggi, vita universitaria, news, eventi, curiosità e molto altro. L’Asterisco andrà quindi in onda 2 volte al giorno, escluse le interviste tenute dal sottoscritto, che saranno trasmesse e pubblicate senza orari prestabiliti. Come è avvenuta la scelta del nome?

Il nome originale avrebbe dovuto essere Radio USI, strada che abbiamo deciso di non percorrere per evitare che le opinioni e le decisioni trasmesse nel podcast potessero essere interpretate come comunicazione

istituzionale. Ho deciso di chiamarlo L’Asterisco per sfruttare quel simbolo che tutti conoscono ma a cui nessuno attribuisce un concreto significato. Ora, un qualcosa di concreto attribuibile a questo nome esiste, il che lo renderà un pensiero ricorrente nella mente di chi conosce il podcast, ogni volta che si imbatte in un asterisco. Il simbolo indica proprio un «qualcosa in più», qualcosa che non sostituisce nulla di già esistente, ma serve a dare del valore aggiunto.

Sei iscritto a economia, eppure il progetto si cala decisamente nel campo della comunicazione. Appare una contraddizione… Domanda molto interessante, alla quale rispondo riportando le parole che il professor Gianluca Colombo, ex Decano della facoltà di scienze economiche, ha utilizzato in un episodio de L’Asterisco che uscirà su YouTube nella prima settimana di aprile: «È fondamentale essere un pacchetto completo: bisogna individuare le hard skills sulle quali ci si vuole focalizzare (quale lavoro si vuole fare nella vita), e svilupparci intorno le soft skills adatte (comunicazione, leadership, gestione delle persone, ecc)». Ecco, l’economia, nello specifico il management, rappresentano le mie hard skills, mentre questo

progetto è per me un’opportunità di sviluppare le soft skills. Il mio interesse per i mezzi di comunicazione nasce dalla passione per podcast e interviste che trovo formative, positive, che abbiano un messaggio da lasciarmi. Questo ha creato in me il desiderio di fare lo stesso, di lasciare il segno in modo positivo.

Avete una linea editoriale?

I programmi devono naturalmente essere approvati dal direttivo, che agisce coniugando gli interessi degli studenti e dell’Università. Tutti i partecipanti al progetto si interfacciano costantemente tra loro e con

me, per assicurarsi di operare sempre sulla stessa lunghezza d’onda. I programmi saranno trasmessi in onda su YouTube e Twitch e dunque saranno accessibili anche a persone esterne all’Università. I primi episodi sono già online sul nostro canale YouTube: Asterisco Podcast Official. Ci sono modelli in altre università svizzere o estere ai quali vi siete ispirati?

Esistono già Radio Studentesche Universitarie, in Svizzera, Italia, Europa e America, alle quali mi sono spirato. L’USI ha svolto un ruolo fondamentale nella realizzazione del podcast. Ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla nascita di questa iniziativa, il rettorato e il servizio di comunicazione istituzionale, che hanno da subito condiviso i valori del progetto e fornito il loro supporto, dapprima approvando l’associazione studentesca e poi mettendoci a disposizione uno spazio. Ho però sempre voluto sottolineare come si tratti interamente di un progetto studentesco e di come i contenuti dell’Asterisco non rispecchino opinioni e decisioni del servizio di comunicazione istituzionale. L’Asterisco è un progetto destinato a rimanere nell’USI anche dopo la fine del mio percorso.

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TEMPO LIBERO

100 anni fa a Chamonix Il 1924 segna l’inizio della storia delle Olimpiadi invernali, all’epoca senza le gare di sci alpino

Pagina 15

La festa dell’Hola Mohalla Ad Anandpur, nel Punjab indiano tra la coloratissima folla sikh che onora i cavalieri Nihang

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Le lenticchie, sane e gustose In commercio se ne trovano di diversi tipi, intere o decorticate, protagoniste di mille ricette

Pagina 19

Il leisure fra tradizione e innovazione

Crea con noi

Arriva la Pasqua... Per decorare casa vi proponiamo semplici idee da realizzare con i bambini

Pagina 20

Tra il ludico e il dilettevole ◆ Il termine inglese ingloba tutte le realtà legate al tempo libero. Parlano due esperti del settore

In queste pagine il tempo libero viene declinano in tanti modi, esplorando le dimensioni e le sfaccettature del tema. Da parte nostra, cerchiamo di evidenziare come il tempo libero permetta alle persone di esprimere dei lati della propria personalità che, in altri momenti, non trovano una via per manifestarsi. In compagnia di Daina Matise Schubiger e Andrea Huber (docenti-ricercatori e co-responsabili del Bachelor in Leisure Management presso il Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI), cercheremo di capire meglio cosa si cela dietro il termine leisure, vocabolo inglese che in italiano si può tradurre con tempo libero, agio, relax. Il leisure è una sorta di ozio creativo, uno spazio dove si incontrano le aspirazioni individuali e una vera e propria industria dell’intrattenimento.

L’utilizzo dei social media tende a sottrarre il proprio tempo a discapito della fruizione di attività offerte dal nostro territorio

Daina Matise Schubiger e Andrea Huber, potete fare degli esempi di eventi o realtà sul nostro territorio che esprimono in modo chiaro ciò che si intende per leisure? L’industria del leisure, ovvero del tempo libero, è molto ampia, ma allo stesso tempo molto diversificata. Essa comprende una vasta gamma di settori che offrono prodotti e servizi per il tempo libero, l’intrattenimento e il divertimento. Il tempo libero è una risorsa estremamente importante e sempre più le persone si rendono conto di quanto sia fondamentale ponderare bene dove allocare le proprie risorse non solo in termini economici, ma legate al tempo stesso. Molte persone, inoltre, prediligono le esperienze di qualità che permettono di lasciare dei ricordi importanti. Il nostro territorio offre innumerevoli opportunità per il tempo libero.

A volte questo settore viene ancora sottostimato, ma in realtà è presente in modo pervasivo: pensiamo solo alla tradizione degli eventi legati alla stagione del carnevale appena passata oppure agli eventi, grandi o piccoli che siano, d’intrattenimento, musicali oppure sportivi che ogni anno si svolgono sul nostro territorio, nonché all’ampia offerta in ambito culturale e creativo, che generano importanti impatti anche sull’industria turistica.

Alcuni eventi ricreativi particolarmente popolari alle nostre latitudini, come il carnevale, han-

no delle radici molto antiche, che ci riportano addirittura ai Greci e ai Romani, ancora prima che al mondo cattolico e cristiano. Al di là degli aspetti legati allo svago e al divertimento, qual è la funzione sociale del carnevale?

La funzione del carnevale consiste non solo nel divertimento e nello svago, ma anche di vivere la realtà con più leggerezza e spensieratezza sdrammatizzando alcuni aspetti con i quali purtroppo abbiamo a che fare nella realtà quotidiana. Da un lato il carnevale svolge diverse funzioni sociali che vanno dalla celebrazione della diversità e dell’inclusione al rilassamento e al divertimento, dall’altro ha anche la funzione di critica sociale, nonché di conservare le tradizioni, senza tralasciare anche l’indotto economico sul territorio.

Molti eventi che si svolgono sul nostro territorio riuniscono un gran numero di persone che nelle strade e nelle piazze delle nostre località. C’è però un altro versante del leisure, che riguarda più da vicino l’impiego personale del tempo libero. L’utilizzo dei social media a scopi ricreativi, per esempio, rinvia ugualmente al termine leisure?

L’utilizzo dei social media è ormai entrato a far parte del nostro tempo libero diventando una vera e propria piattaforma. A volte – soprattutto tra i giovanissimi – l’utilizzo dei social media tende a sottrarre il proprio tempo a discapito della fruizione di attività offerte dal nostro territorio. In questo senso gli attori del settore si trovano spesso confrontati ad un paradosso, ossia di dover promuovere comunque la propria offerta tramite i canali social per attirare le persone agli eventi e alle attività offerte dagli attori del settore di leisure, come per esempio festival cinematografici, spettacoli teatrali, concerti, eventi o attività sportive.

«Siamo all’inizio di un nuovo capitolo dell’era di internet». Una nuova piattaforma che «sarà ancora più immersiva; un internet incarnato in cui sei parte dell’esperienza, non ti limiti a guardarla». Queste sono parole che Mark Zuckerberg ha utilizzato nel 2021 per lanciare il Metaverso. L’esperienza di cui parla Zuckerberg porterà a un cambiamento del nostro modo di concepire il tempo libero? Le parole di Zuckerberg sono da un

lato visionarie, ma dall’altro si sono scontrate, almeno in un primo tempo, con la dura realtà dell’adozione e diffusione delle innovazioni. I primi riscontri dal mercato non sono stati affatto incoraggianti; ciò non significa che la tendenza sia da archiviare. Pensiamo infatti ad alcuni artisti di livello internazionale, come Taylor Swift, che sta facendo i primi passi in questo senso, ciò che fa presagire che il meglio deve ancora venire. Attualmente ci sono ancora molte limitazioni tecniche che non permettono una vera e propria esperienza immersiva, ma se pensiamo alla velocità con la quale si sviluppano le tecnologie è solo questione di tempo. Se osserviamo le innovazioni presentate ad alcune esposizioni dedicate al settore, vediamo che le novità non mancano e che con ogni probabilità potremo fruire in futuro di molte esperienze da remoto. Se pensiamo solo ad alcuni eventi, sportivi ma non solo, di «eccellenza» che segnano il tutto esaurito, ci accorgiamo che tale format permette sempre più di fruire dell’esperienza e partecipare all’evento in modo diverso, ma pur sempre in immersivo, rispetto allo schermo piatto tradizionale.

Ci sarebbero sicuramente molti altri ambiti da esplorare in relazione all’impiego del tempo libero, molti dei quali, di nuovo, dal virtuale ci riporterebbero alla materialità di cui è fatta la nostra quotidianità. Un esempio è la cucina: l’evoluzione della società, e le nuove tendenze nell’impiego del tempo libero, si misurano anche attraverso le mode e le evoluzioni in ambito culinario? Il tempo libero può essere allocato alle attività più diversificate, quindi anche alla cucina. Ad alcune persone piace nel proprio tempo libero andare a pescare, altre prediligono delle passeggiate in montagna, altri ancora cercano di sfidare sé stessi e gli altri nelle più svariate attività sportive (con l’avvento degli e-sports anche online), altri ancora cercano di fare più viaggi possibili o frequentare degli spettacoli o delle mostre. La cucina, come le altre attività che possiamo svolgere nel tempo libero, deve piacere, deve essere un hobby a tutti gli effetti: chi è appassionato di attività in ambito culinario, siano esse di preparazione oppure di degustazione, è sempre alla ricerca di novità in questo ambito e spende il proprio tempo e le proprie risorse per provare esperienze che lascino dei bei ricordi.

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I confini tra reale e virtuale si confondono nell’ambito del leisure. Spesso i creatori di eventi si trovano confrontati ad un paradosso, ossia di dover promuovere comunque la propria offerta sul territorio tramite i canali social. (Gabriel Doti da Pixabay)

Più verde di così non si può.

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L’Olimpiade che non sapeva di essere tale

L’anniversario ◆ Cent’anni fa si tennero a Chamonix i primi Giochi invernali. Ebbero conseguenze a quell’epoca inimmaginabili

Tarcisio Bullo

Il 2024 per la Francia è un anno a cinque cerchi, all’insegna delle celebrazioni dei Giochi olimpici. Se nel corso dell’estate Parigi ospiterà le Olimpiadi estive – esattamente un secolo dopo quelle che organizzò per la prima volta nel 1924 – la lunga rincorsa verso la cerimonia di apertura di quei Giochi, prevista il 26 luglio, è partita dalla celebrazione di un altro grande, storico evento olimpico: il centenario dell’Olimpiade invernale, che si svolse nel 1924 a Chamonix. Curiosamente, quell’Olimpiade non sapeva nemmeno di essere tale, dato che inizialmente fu battezzata semplicemente come « Settimana internazionale degli sport invernali» Quel primo passo di un percorso secolare ebbe un’importanza straordinaria, che all’epoca nessuno poteva immaginare, e contribuì a sviluppare e pian piano a democratizzare una forma di turismo, quello legato agli sport invernali, che nel tempo ha assunto proporzioni gigantesche, dando vita a produzioni industriali inimmaginabili, alla creazione del materiale e dell’abbigliamento invernale, trasformando e in qualche caso purtroppo trasfigurando il panorama alpino.

Lo sci alpino non c’è ancora

Bastano un paio di considerazioni per capire. La prima legata all’ideatore delle Olimpiadi moderne, il barone Pierre de Coubertin, inizialmente contrario all’organizzazione di un’Olimpiade invernale perché considerava gli sport praticati « giochi snob per i ricchi», poco apprezzati dal grande pubblico. La seconda chiama invece in causa lo sci alpino, divenuta la disciplina più praticata tra quelle invernali, ma addirittura assente dal programma dei primi giochi bianchi.

Com’era possibile? Semplicemente perché lo sci alpino allora era una disciplina per così dire in una fase di sviluppo embrionale, praticato davvero da pochi ricchi snob e da qualche stella dello spettacolo, soprattutto inglesi. Le regole delle sue competizioni erano ancora lungi dall’essere codificate: lo sarebbero state solo nel 1929, consentendo allo sci di entrare a far parte del panorama olimpico con l’edizione di Garmisch nel 1936.

La contrarietà dei Paesi scandinavi

Ma torniamo alla nascita dell’Olimpiade invernale. Mentre il pattinaggio e l’hockey su ghiaccio avevano già trovato posto nel programma delle prime edizioni dei Giochi (a Londra nel 1908 e ad Anversa nel 1920), l’idea di un’edizione tutta consacrata agli sport invernali stentava ad attecchire non solo per la scarsa convinzione del Barone, ma per il categorico rifiuto dei rappresentanti dei Paesi scandinavi, i quali organizzavano i Nordiska spelen, i Giochi nordici, e temevano la concorrenza dell’Olimpiade. Timore giustificato, giacché dopo il 1926 quelle competizioni non vennero più disputate.

Ciò detto, nel 1921, al settimo congresso del CIO, si decise di fare una versione invernale delle Olimpiadi, con una proposta supportata dai Paesi dell’arco alpino e osteggiata da quelli scandinavi. Ne scaturì un compromesso, nel senso che quelle competizioni, pur associate alle Olimpiadi (organizzate a Parigi) si sarebbero

chiamate soltanto «Settimana degli sport invernali». Vennero attribuite all’allora piccola stazione di Chamonix, che le organizzò dal 25 gennaio al 4 febbraio accogliendo 16 nazioni, 258 partecipanti dei quali solo 13 ragazze, e mettendo in programma 14 competizioni. Due anni più tardi, nel 1926 a Lisbona, il CIO decide che la «Settimana internazionale degli sport invernali» fosse da considerarsi la prima edizione di sempre delle Olimpiadi invernali.

La rivolta delle donne

Abbiamo detto che alla prima edizione invernale dei Giochi parteciparono soltanto 13 ragazze. Erano tutte pattinatrici e secondo quanto riferisce il libro Storia delle Olimpiadi invernali scritto da Vincenzo Jacomuzzi, Giorgio e Paolo Valenti (SEI Edizioni, Torino) queste atlete erano destinate soltanto a prendere parte alle competizioni in coppia, cosa che non accettarono, mandando in scena la prima grande protesta degli atleti ai Giochi e obbligando i dirigenti del CIO e gli organizzatori a programmare anche

una gara individuale femminile. La gara fu vinta dall’austriaca ventiquattrenne Herma von Planck-Szabo, la prima medagliata donna di un’Olimpiade invernale. Tutti gli occhi del pubblico però furono per una ragazzina norvegese che non aveva ancora compiuto i 12 anni e si chiamava Sonja Henie: le fu permesso di portare un gonnellino corto (mentre le altre concorrenti dovevano portare un abbigliamento più castigato e da signora), si classificò ultima, ma dimostrò un talento immenso, che negli anni seguenti le consentirà di vincere a mani basse titoli olimpici e mondiali e di rivoluzionare per sempre il pattinaggio artistico, coniugando ciò che non sembrava possibile fino ad allora, sport e danza. Perché sul ghiaccio, disse, « io voglio ballare come Fred Astair»

La Henie dopo un’esibizione al Madison Square Garden di New York nel 1930 fu ingaggiata con un sontuoso contratto a Hollywood e finì per recitare con celebri attori come Tyrone Power, John Payne e Cesar Romero. Insomma, l’avete capito: dallo sport era nata una stella del ci-

Il primo oro ticinese? Michela Figini

Se per trovare il primo ticinese partecipante alle Olimpiadi invernali abbiamo dovuto aspettare fino al 1928 (ma i primi atleti olimpici del nostro cantone sono il tiratore Domenico Giambonini e l’atleta Luigi Antognini ai Giochi estivi di Anversa nel 1920), per festeggiare la prima medaglia di un esponente rossoblù ai Giochi invernali abbiamo dovuto pazientare un sacco di tempo, ossia sino al 16 febbraio del 1984, quando una ragazzina non ancora diciottenne di Prato Leventina, Michela Figini, vince la medaglia d’oro nella discesa libera di Sarajevo.

È un successo che fa impazzire tutto il cantone, perché tutti si riconoscono in quella vittoria ed esultano per un risultato che appare stratosferico e sembrava inarrivabile. In qualche comune ticinese si arriva persino a suonare la campane in segno di festa.

Michela Figini è stata una sciatrice eccezionale, oltre all’oro di Sarajevo quattro anni più tardi a Calgary conquista una medaglia d’argento nel superG, mentre in Coppa del mondo il suo bilancio parla di due Coppe del mondo generali, quattro coppe di discesa, una di superG, senza dimenticare le tre medaglie dei Mondiali (1 oro in discesa, 2 argenti in discesa e superG). La sua carriera si è chiusa a soli 24 anni per incomprensioni con il capo allenatore della squadra femminile rossocrociata. Ritroviamo poi una ticinese con la medaglia olimpica nel 2002 e questa volta il grande risultato arriva dal fondo e da un’eroica Natascia Leonardi-Cortesi che a Salt Lake City con le sue compagne di squadra conquista la medaglia di bronzo nella staffetta 4x5 km.

mento delle temperature mettendo a rischio diverse gare. La Confederazione stanziò un credito in favore dei Giochi: 100mila franchi, 40mila dei quali per gli organizzatori, 60mila per le spedizioni olimpiche rossocrociate, sia invernale, sia estiva.

A St. Moritz il numero delle nazioni partecipanti lievita a 28 e per la prima volta partecipa all’Olimpiade anche il Giappone. Raddoppiano le donne presenti rispetto a Chamonix (26) mentre in totale si contano 464 atleti.

Agli organizzatori viene proposto di accogliere ben 800 accompagnatori ufficiali, ciò che avrebbe creato numerosi problemi di alloggio: alla fine ne arriveranno 600 e l’inviato de «Il Dovere» che riferisce della manifestazione scriverà che a Saint Moritz « tutto è occupato, quasi più nessun letto. San Moritz è una babilonia di lingue, di divise, di distintivi, un reggimento di delegati e un esercito di fotografi. Si vive in un ambiente anormale, ognuno s’improvvisa critico sportivo, ex-campione, cala lezioni a destra e a manca»

nema, che in seguito divenne anche abile imprenditrice e appassionata di arte, tanto che tornò a Oslo per fondare col marito un centro culturale che esiste ancora oggi (Henie Onstad Kunstsenter).

Nel 1928 tocca a St. Moritz

La Svizzera non ci mette molto a capire la popolarità che un evento come l’Olimpiade invernale procura alla località organizzatrice e per il 1928 presenta ben tre candidature: quella di Saint Moritz, Davos ed Engelberg. A spuntarla fu la località engadinese, preferita dal Congresso del CIO che la votò il 6 maggio 1926 a Lisbona perché la cittadina grigionese già allora era famosa in tutta Europa per il turismo invernale che stava sviluppandosi e per l’esistenza di una pista di bob e skeleton, la Cresta Run, che ospitava regolarmente gare internazionali.

Gli engadinesi fecero le cose per bene, l’organizzazione funzionò perfettamente nonostante le bizze del tempo e in particolare la presenza del favonio che provocò un sensibile au-

Il primo atleta ticinese ai Giochi invernali

Alla seconda edizione dell’Olimpiade bianca troviamo anche il primo atleta ticinese che riesce a qualificarsi per i giochi invernali: è il fondista airolese Carlo Gourlauen, che Tajo Eusebio, giornalista dell’epoca, così descrive in un articolo pubblicato su «Illustrazione Ticinese» del 1944: «È il più forte campione del San Gottardo, un atleta di classe veramente internazionale. Carlo è il fondista per eccellenza, l’atleta di razza che piace e conquista il conoscitore. È lo stilista che può dominare qualunque ostacolo: c’è sì la forza, la resistenza, ma c’è in più il tocco fine dell’artista, che aggrazia il movimento, che fa dimenticare l’espressione di forza e avvince»

L’airolese è molto forte sulle distanze corte, ma inspiegabilmente alle Olimpiadi viene allineato nella gara più lunga, la 50 km. Il suo fisico non è adatto alla corsa di resistenza, la competizione è dominata dagli svedesi, Gourlauen si classifica al 22° posto e torna a casa con qualche rammarico.

Nell’articolo già citato, Tajo Eusebio si spinge sino ad affermare che se Gourlauen quel giorno a St. Moritz avesse corso sulla sua distanza preferita « siamo certi che ci avrebbe dato la più grande vittoria della sua carriera»

Trascorrono ancora 12 anni e da Sochi, in Russia, nel 2014 ecco un bottino eccezionale: sono sempre le ragazze a farci gioire e stavolta arrivano ben quattro medaglie di bronzo. Tre dall’hockey femminile, con la nazionale che batte nella finalina la Svezia per 4-3, per la grande gioia di Nicole Bullo, Romy Eggimann ed Evelina Raselli, tutte dell’HC Lugano Ladies; una ancora dallo sci alpino, grazie al talento limpidissimo di Lara Gut, allora non ancora Behrami, che si classifica terza nella discesa. È ancora il talento cristallino e infinito di Lara a regalare al Ticino un altro titolo olimpico: l’oro in superG a Pechino 2022, a cui si aggiunge il bronzo in discesa. È storia di ieri, una storia che continua, perché Lara Gut-Behrami non ha ancora finito di stupirci.

A vent’anni dalla prima Olimpiade, Saint Moritz nel 1948 ne organizzerà una seconda, a poca distanza dalla fine della tragica Seconda Guerra mondiale. La scelta della Svizzera non fu casuale: neutrale e non belligerante, il nostro Paese non doveva affrontare una ricostruzione dopo l’evento bellico e anche da un punto di vista politico la decisione apparve opportuna.

Le Olimpiadi invernali proseguirono ogni quattro anni, negli stessi anni di quelle estive, fino al 1992, quando tornarono per la terza volta in Francia, ad Albertville, poi il CIO dal 1994 (Olimpiadi invernali di Lillehammer, in Norvegia) decise di alternarle con quelle estive a cadenza biennale: si stava ormai entrando nello sport business ed era necessario catturare la massima attenzione da parte delle televisioni di tutto il mondo.

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Un’immagine spettacolare della prima Olimpiade invernale a Chamonix: l’atleta norvegese Narve Bonna in azione nella gara di salto il 4 febbraio 1924. (Agence Rol/gallica.bnf.fr)
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Un turbinio di suoni e colori nell’affollata festa sacra dei sikh, i fedeli della religione fondata alla fine del XV secolo da Guru Nanak. Sotto: il langar, la mensa annessa a ogni tempio, gratuita e aperta a tutti, è molto affollato. Padre e figlio in costume tradizionale con tanto di turbante e armi.

Nel medioevo sikh di giostre e caroselli

Tradizioni lontane ◆ Giorni di festa ad Anandpur, nel Punjab indiano, per gli immortali cavalieri Nihang, difensori della fede

Testo e foto di Paolo Brovelli

Sono dentro, sono in mezzo, sono tra la folla, nella folla, e son la folla. Che strappa, molla e tira e mi trascina, colorata e densa, e gaudente e vociante. Ci sono inni e canti. E tifo. E poi colori, colori, colori che volano, in polvere, gettati per aria da tutti, come coriandoli a carnevale, e che si posano ovunque: su visi, mani, vestiti, sui muri, su carri, camion, auto, motorette, risciò e poi sui cavalli e fin sugli elefanti, che sfilano solenni e decorati di baldacchini e gualdrappe azzurre lungo le strade e fin nello stadio, dove confluiscono tutti per la festa finale. Là, stuoli di instancabili duellanti piroettano incrociando incruente spade e lance, arginati nel cerchio sacro degli ammiratori, e i giocolieri volteggiano ruote di canapi e nappe (i chakari). È un medioevo di giostre e caroselli! E infatti, laggiù, guarda! I cavalieri sfoggiano esibizioni equestri, ritti in piedi su cavalli appaiati lanciati al galoppo, e guai a trovarsi sulla loro strada. Perizia di soldati, si dirà, di maestri d’arme. E mille sono i turbanti, rossi, gialli, arancioni, e quelli blu, che son più grandi e son per i guerrieri, appunto. Nihang, si chiamano, o akali, gli immortali, e questa è, appunto, la festa dedicata a loro, il corpo dei difensori della fede sikh, una delle principali religioni d’India, fondata alla fine del XV secolo da Guru Nanak. Sono loro i mitici eroi che, schivi, quiescenti, dai loro eremi solitari in qualche tempio (o gurdwara), convengono qui, ad Anandpur (la Città della beatitudine), nello stato del Punjab indiano. Anandpur Sahib, anzi, col titolo di rispetto (Sahib, «signore») con i quali i sikh usano personificare anche le cose sacre.

Le celebrazioni della festa dell’Hola Mohalla si tengono tutti gli anni, di solito di marzo, intorno al Capodanno del calendario Nanakshahi, in uso tra i sikh. Cade in concomitanza col festival dei colori indù, lo Holi,

ragione per cui oggi mi trovo coperto di polvere colorata. La gente mi ferma per strada e, attingendo dal suo sacchettino, si mette a tingermi guance e fronte come fossi un guerriero apache. Ma sempre col sorriso sulle labbra, s’intende, che son giorni di grande letizia.

Le celebrazioni dell’Hola Mohalla si tengono ogni anno di solito in marzo intorno al Capodanno del calendario Nanakshahi

Se ci si reca in qualsiasi altro periodo dell’anno, Anandpur Sahib si direbbe una cittadina tranquilla adagiata laddove il Sutlej, uno dei cinque grandi fiumi del Punjab (le «cinque acque») dalle colline prehimalayane sfocia quieto giù in pianura, prima della sua corsa verso l’Indo. Si noterebbero, però, vari edifici, più o meno imponenti, che ne farebbero sospettare l’importanza. Come, per esempio, il tempio di Takht Keshgarh Sahib. È proprio là, sulla collina su cui sorge, infatti, che il decimo, nonché ultimo guru sikh, Gobind Singh, fondò, nel 1699, il Khalsa, ossia l’ordine guerriero dei «puri», cui fan capo anche i Nihang, al fine di contrastare le vessazioni del sovrano Moghul Aurangzeb, uno dei più intransigenti fautori della sharia, la legge islamica, che aveva fatto decapitare suo padre, il nono guru, e combattendo il quale morranno anche i suoi figli.

Fu Gobind che istituirà il battesimo con l’amrit, l’acqua benedetta che dà il nome alla città santa di Amritsar (Vasca del nettare), pure nel Punjab (nella porzione rimasta all’India dopo la creazione del Pakistan, nel 1947), dove sorge il Tempio d’Oro, il principale centro spirituale. Fu lui anche che decise di cancellare le distinzioni di casta, stabilendo un unico cognome

per tutti i fedeli uomini (Singh, leone) e donne (Kaur, principessa); che istituì il divieto di tagliarsi barba e capelli, protetti poi sotto il turbante, e l’obbligo d’indossare il kirpan, il pugnale simbolico, e altri accessori affinché apparisse subito chiara l’affiliazione al credo. Fu ancora Gobind a decidere che, morto lui (1708), nessun altro essere umano sarebbe diventato guru, carica che passò al libro sacro, il Guru eterno, l’Adi Grant, o Guru Grant (e anche lui) Sahib, completato in gurmukhi, l’alfabeto della lingua punjabi, dal Guru Arjan, il quinto, nel 1604, che è recitato ogni giorno senza sosta, al suono del kirtan, la musica sacra, in tutti i gurdwara

Per questa festa, però, come dicevo, Anandpur Sahib è gremita. Si gira solo a piedi e ogni via, dietro la linea continua dei negozietti d’articoli religiosi, nasconde un cortile dove per tre giorni si sono affrontati i guerrieri. Fuori dal Takht Keshgarh Sahib, i fedeli s’accalcano a tutte le ore per vedere le leggendarie armi di Govind e rendere omaggio al libro. Anche il langar era affollato, oggi. È la mensa annessa a ogni tempio, gratuita e aperta a tutti, gestita da volontari e finanziata dai devoti. In una situazione come questa, era l’unico posto dove m’è parso logico mangiare. Meglio così, perché, seduto su una stuoia in una delle molte file ordinate, insieme agli altri pellegrini, la mia ciotola di metallo in mano in attesa della pietanza, rigorosamente vegetariana, ho conosciuto il mio vicino di spalla. S’è voltato, m’ha squadrato e ha detto: «È da mezz’ora che mi chiedo che cosa l’ha spinta qui». È venuto fuori che si chiamava Robert (Robert Singh!), che era dell’Oregon, USA, e che, da protestante che era, s’è convertito una decina d’anni fa al sikhismo. Infatti, sotto quel turbante giallo, e con il pugnale alla cintola e il braccialetto d’acciaio (il kara, un altro dei simboli sikh) al polso, era ben mi-

metizzato. Ha detto che s’è trasferito qui vicino, nel Punjab, ha preso moglie (una Kaur!) e si trova bene. Spesso ci torna, in America, ma la famiglia lo tratta ora come una specie di extraterrestre. Lui però tira dritto. È la prima volta che partecipa a questa festa, ma ha detto che ci tornerà, che ci ha sentito forte il richiamo della fede.

Io, invece, richiami non ne ho sentiti, a parte quello della gran curiosi-

tà e passione che mi spinge ogni volta ad avventurarmi nelle più svariate plaghe di questo nostro pianeta. O forse sì. Ho sentito, di nuovo, quanto è potente la mia fiducia nella gente. E quanto, di rimando, quella fiducia mi faccia sentire cittadino universale.

Informazioni

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Lenticchie, prelibate in mille ricette

Gastronomia ◆ Gli esperti consigliano di usare quelle decorticate: fidiamoci, ma con la loro buccia risultano più al dente

Allan Bay

Ho dato negli anni molte ricette con lenticchie, ma non c’è mai stata una voce a loro dedicata. Rimedio oggi.

Sono una pianta erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle leguminose. È caratterizzata da uno stelo rampicante e presenta baccelli appiattiti e corti che contengono 2-3 semi commestibili, tondi e schiacciati. La pianta è molto bella ed elegante, sta bene anche in un giardino privato. Sono famose per aver fatto perdere la primogenitura a Esaù e per essere il portafortuna nelle cene di Capodanno, restano legumi gustosi e preziosi dal punto di vista nutrizionale, perché, al di là delle ottime proteine vegetali che sono la «carta vincente» di tutti i legumi, sono ricche di ferro e di altri nutrienti importanti. In India il dal (zuppa) di lenticchie è un piatto «sacro»

In commercio si trovano diversi tipi di lenticchie, distinti in base alla misura del seme (6-9 mm) e al colore, che può essere verde, grigiastro, rossiccio, bruno. Ci sono anche lenticchie nere, usate nella cucina indiana.

Le lenticchie vengono vendute intere o decorticate. In quelle decorticate è stata eliminata la buccia esterna: non ho mai visto le macchine che lo fanno, mi incuriosirebbe vedere come funziona, a livello di procedura. Questo processo, si dice – ma io onestamente non ne sono del tutto convinto – le rende più digeribili, di più veloce cottura e adatte anche a chi ha problemi digestivi, a chi mal tollera i legumi. Fidiamoci. Ma io le compro sempre non decorticate, sia perché cuocendo le decorticate diventano subito pappa, mentre, come precisato dopo, mi piacciono un po’ al dente: e poi comunque il fato mi ha dato uno stomaco che riesce a digerire la qualunque cosa – se buona, ovviamente…

Rispetto ad altri legumi, le lenticchie non richiedono ammollo, salvo rare eccezioni (alcune lenticchie in-

diane, ma è sempre specificato sulla confezione): basta sciacquarle bene, e hanno tempi di cottura ridotti, da 10’, quelle piccole, a un massimo di 30’, quelle molto grosse: ma sono tempi indicativi, dipende dai cultivar, dai piatti e dai gusti, a me piacciono un po’ al dente ad altri ben cotte e semi spappolate.

Alcune varietà sono molto pregiate: tra queste, in Italia, le piccole lenticchie di Castelluccio di Norcia, quelle di Onano e di Ustica; non meno celebri e saporite le francesi lentilles vertes du Puy, quelle greche di Rodi e quelle rosse o arancioni egiziane.

Sterminate le ricette con le lenticchie. Classicamente questi legumi vengono stufati, con o senza pomodoro, eventualmente con l’aggiunta di pancetta o lardo e di altri aromi. Oltre che come classico accompagnamento per lo zampone o il cotechino, le lenticchie possono essere trasformate in purè o gustate sotto forma di zuppa. Anche l’accostamento con il riso o la pasta è vincente: mescolare un amido con una proteina rende un piatto completo.

Per chiudere, una sola ricetta particolarmente amata. Lenticchie allo yogurt – questa è proprio la più amata, anche se non so perché. Per 4 persone. Lessate « per il tempo necessario», ergo assaggiate, 300 g di lenticchie ben sciacquate in una casseruola, con 4 dl d’acqua e 2 spicchi di aglio tritati. Emulsionate 150 g di yogurt greco con 2 cucchiaini di panna e poco succo di limone. In una casseruola antiaderente stufate a fuoco basso una cipolla tagliata a velo con poca acqua, aggiungete una punta di semi di cumino e 2 peperoncini rossi secchi privati dei semini e spezzettati. Versate cipolla e yogurt nelle lenticchie, mantecate con burro freddo da frigorifero, regolate di sale e di altre spezie a piacere e servite.

Come si fa?

Vediamo come si fanno tre gustosi biscotti.

Ai semi di finocchio. Impastate 600 g di farina con 200 g di zucchero, 125 g di burro sciolto e 1 pizzico di sale. Unite 15 g di semi di finocchio e poca acqua fredda. Lavorate la pasta per 10 minuti, unite 16 g di lievito, im-

Ballando coi gusti

pastate rapidamente e dividetela in 4 filoni. Appoggiateli su una placca foderata con carta da forno e cuoceteli in forno a 200° per 20’ poi fateli raffreddare. Tagliateli a fette spesse 1,5 cm e tostatele in forno a 200° per 5’. Milanesi. Setacciate 500 g di farina con 250 g di zucchero e impastate con 4 tuorli, 20 g di burro ammorbidito, la scorza grattugiata di 1 limone non trattato e 4 mezzi gusci di acqua fredda. Lavorate a lungo fino ad ottenere un impasto liscio e stendetelo sulla spianatoia infarinata allo spessore di 1 cm. Ritagliate la sfoglia con gli stampini da biscotto nella forma desiderata e allineate i biscotti su una placca foderata con carta da forno.

Cuocete i biscotti a 170° per 15’ minuti o sino a che saranno ben dorati. Di Sorgono (sardi). Separate i tuorli dagli albumi di 4 uova e montateli con 200 g di zucchero. Montate anche gli albumi. Amalgamate 200 g di farina setacciata al composto poi unite gli albumi a cucchiaiate, mescolando con la frusta a mano per non smontarli. Riempite con il composto una tasca da pasticcere con la bocca liscia e allineate su una placca da forno, foderata con carta da forno, tanti bastoncini lunghi 6 cm e ben distanziati. Spolverizzate di zucchero a velo e cuocete in forno a 180° per circa 10’: devono essere gonfi e dorati. ●

Hamburger con merluzzo e guanciale Hamburger in crosta di nocciole

Ingredienti per 4 persone: polpa di merluzzo tagliata a dadini g 500 –guanciale a fette sottili g 70 – mollica di pane g 50 – lattuga – 3 cucchiai di latte

Tagliate le fette di guanciale a julienne sottile. Preparate la salsa: mescolate tre parti di maionese con una parte di ketchup. Coprite e mettete in frigorifero fino al momento dell’uso. Bagnate la mollica di pane nel latte e strizzatela. In una ciotola riunite la polpa di merluzzo, il guanciale, la mollica di pane e la paprika. Salate, pepate e mescolate. Formate gli hamburger e cuoceteli sulla piastra caldissima 5 minuti per lato. Servite gli hamburger tra due fette di pane caldo spalmate con abbondante salsa e arricchite con foglie di lattuga e provola.

In una padella scaldate l’olio e unite le verdure da soffritto. Rosolatele per 3 minuti poi scolatele su carta da cucina. In una ciotola mettere la carne, il sale, le verdure per soffritto, il pepe e il timo sbriciolato. Mescolate e formare gli hamburger. Mettete la granella di nocciole in acqua fredda per 10 minuti. Scolatele su carta da cucina. Passate gli hamburger nella granella di nocciole e pressateli per farla aderire bene. Cuocete sulla piastra caldissima 5 minuti per lato. Servite nel pane caldo con trevisana rossa, o altra insalata, e abbondante salsa tartara.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 19
– 1 cucchiaino di paprika dolce – 4 fette di provola – pane da hamburger – ketchup – maionese – sale e pepe. Ingredienti per 4 persone: polpa di manzo tritata o tagliata al coltello g 600 – pane da hamburger – nocciole tostate tritate g 150 – 4 cucchiai di verdure miste da soffritto – 1 rametto di timo – 1 tuorlo – 2 cucchiai di grana grattugiato – trevisana rossa – salsa tartara – olio, sale e pepe. Oggi ancora hamburger, scelta sempre vincente. Hasselblad H3D Flikr

Decorazioni pasquali per una casa coloratissima

Crea con noi ◆ Alcune semplici idee da realizzare con i bambini che si alleneranno nel primo cucito e nella pre-scrittura

Ecco come trasformare delle uova ricavate da cartone riciclato, in divertenti attività pasquali per intrattenere i bambini durante le vacanze.

Questo tutorial vi offre tre esperienze diverse: dal primo cucito alla pre-scrittura fino alla creazione di collage con cartoncini colorati e fustelle.

Idee semplici e veloci per un pomeriggio all’insegna della creatività.

Procedimento

Stampate e ritagliate il cartamodello (lo trovate su www.azione.ch). Riportate la sagoma dell’uovo sul cartone e ritagliate il numero di uova desiderate. Utilizzate i colori acrilici e un pennello piatto per dipingere le uova nelle vostre tonalità preferite.

Lasciate asciugare e, se necessario, date una seconda mano per ottenere un colore uniforme. Se il cartone appare curvo una volta asciutto, applicate anche uno strato di pittura sul retro delle uova.

Per le uova ricamate: Appoggiate il cartamodello sull’uovo e con un ago grosso o un punteruolo fate i buchi seguendo il disegno. Scegliete i filati desiderati e con un ago iniziate a ricamare le uova, alternando i colori per un risultato più accattivante.

Per le uova «pre-scrittura»: Seguendo il cartamodello o utilizzando il compasso per creare autonomamente dei disegni, traccia-

Giochi e passatempi

Cruciverba

te a matita sulle uova gli elementi di pre-scrittura da ricalcare. Ricoprite l’uovo con la pellicola adesiva trasparente. Utilizzate l’uovo come una lavagna cancellabile e con il pennarello invitate il bambino a ricalcare gli elementi sottostanti.

Per le uova decorate a collage: Dai cartoncini colorati ritagliate con le forbici o strappate a mano delle strisce. Con una piccola fustella, create piccoli elementi decorativi come cuori o fiori e incollateli sull’uovo con il bastoncino di colla seguendo la vostra fantasia. Praticate due buchi distanti circa 2cm nella parte alta dell’uovo, quindi inserite un pezzo di raffia e create un fiocco.

Le vostre uova sono pronte per essere appese come decorazione pasquale. Vi auguriamo Buona Pasqua!

Materiale

Per tutte le tipologie di uova:

• C artone di recupero

• Forbici/taglierino

• Matita/compasso

• Pittura acrilica nei colori desiderati, pennello

• Raffia

Per le uova ricamate:

• Filati in cotone, ago da ricamo.

Per le uova «pre-scrittura»:

• Pellicola adesiva trasparente

• Pennello semipermanente per lavagne

Per le uova decorate a collage:

• cartoncini colorati

• bastoncino di colla

• fustelle

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Sudoku

ORIZZONTALI

1. Privo di lucentezza

5. Parte dell’occhio

10. Crescono nei terreni sassosi

11. Famoso rivoluzionario russo

12. Le iniziali del creatore di Charlie Brown

13. Detto anche «centopelle»

15. Il quale

17. Andato... per Cicerone

Che questa Pasqua porti a tutti voi… Termina il nostro augurio leggendo, a soluzione ultimata, le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 4, 3, 5, 1, 7, 3, 5) Soluzione

19. Importante quella...x

20. Osso del corpo umano

21. Crescono nell’allegria...

23. Un Continente

24. Ti seguono sulla sabbia

25. Fiume albanese

27. Profeta dell’Antico Testamento

28. Gitani

29. Leandro morì per raggiungerla

31. Rintocco di campana

32. La sua capitale è Damasco

34. Le iniziali della cantante Spagna

35. Canta «Piccola e fragile»

37. Si decidono valutando

39. Si mette in tavola

40. Nome femminile

VERTICALI

1. Vi si teneva l’olio

2. Messaggio inviato a un blog

3. Le iniziali di Venditti

4. Quanto detto

5. C’è quella dei conti

6. Prefisso che vuol dire vino

7. Una consonante

8. Propenso, predisposto

9. Aspetto, sembianza

11. Nome di donna

14. Portò il popolo d’Israele fuori dall’Egitto

16. La tredicesima ora

18. Spaventosi, disgustosi

20. Avvezzi

22. Prima senza inizio

23. Gli equipaggi dei canottieri

24. Quando sei coraggioso

25. Stirpe ellenica

26. Si scambiano facilmente

27. Se si nutre divide

28. Sponda, riva

30. Un anagramma di irti

32. Sopra in Francia

33. La nonna di una volta

36. Nota musicale

38. Sul pulsante dell’accensione

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 20
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corretti da inserire nelle caselle colorate.
della settimana precedente NEL MONDO ANIMALE – Molti serpenti hanno sugli occhi solo un sottile strato di pelle trasparente che consente … Resto della frase: … LA VISIONE E LI PROTEGGE DA POLVERI
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Viaggiatori d’Occidente

I gatti di Marrakech

A Marrakech gli animali hanno sempre un compito ben definito. Cavalli e asini tirano vecchi carretti carichi di merci o di materiali edili; in piazza Jemaa el-Fnaa le scimmie vestite come bambole, legate a una catena, attirano i turisti verso i loro padroni. Gli animali d’affezione invece scarseggiano, soprattutto i cani; diversi insegnamenti del Profeta (hadit) li descrivono come animali sporchi, impuri, con i quali non è opportuno dividere la propria casa. In effetti per le vie della città non ne vedo nessuno. Gli unici cani che ho conosciuto, Max e Frida, fanno la guardia a un lussuoso campo tendato nel deserto pietroso di Agafay e dunque sono anch’essi al lavoro (anche se Max è piuttosto bravo a intrattenere i turisti). Ai gatti, assai più puliti, va decisamente meglio, forse perché anche il profeta Maometto aveva un gatto, Muezza. Un giorno, si racconta,

lo trovò addormentato sulla tunica che avrebbe voluto indossare per la preghiera e preferì tagliare la manica piuttosto che svegliarlo. In virtù di questa antica predilezione i felini possono entrare anche nelle moschee e nelle sale di preghiera. Oltretutto a Marrakech l’Islam è stato influenzato dalla mite e pacifica fede dei sette santi sufi, sepolti in diversi quartieri della città. Anche per questo qui l’Islam, prima che una fede o peggio un’ideologia, è una visione del mondo e della società.

La vita quotidiana tuttavia è governata dal bisogno e, nonostante queste premesse, i gatti di Marrakech non se la passano sempre bene. Per esempio, a poca distanza dal mio caratteristico riad ‒ un’elegante dimora affacciata sul cortile interno ‒ un gatto staziona in permanenza vicino ai bidoni della spazzatura, in attesa di un magro pasto. Purtroppo per lui la produzio-

Passeggiate svizzere

ne di rifiuti nella città rossa è minima; tutto viene vagliato, riparato, recuperato in vista di usi futuri. E quando infine striminziti sacchetti vengono gettati nei cassonetti, subito un povero s’avvicina per controllare il contenuto, frugando con dita sporche e impazienti. Ai gatti spetta solo la seconda scelta e anche per questo sono davvero magri. A Marrakech la principale fonte di ricchezza è il turismo. Per questo la città vecchia (Medina) è diventata un unico gigantesco mercato, esteso ben oltre i limiti tradizionali del Suq. La quantità e varietà delle merci esposte è fantasmagorica e, con qualche eccezione, la qualità è sorprendentemente buona. Infatti anche le famiglie locali più agiate acquistano regolarmente in queste botteghe, compresa la dote per le figlie che vanno spose; del resto combinare e celebrare matrimoni è la vera industria nazionale del Marocco.

Il buco per il mal di testa di Berschis

Negli appunti di viaggio fino a una bucalettere di Berschis, dove un signore mi ha lasciato la chiave per la più antica chiesetta romanica della Svizzera orientale, ci sono le esplosioni di magnolie, undici cigni in un campo, il biancore di Sankt Georg sul cucuzzolo di uno sperone di roccia tormentata. La chiave antica con anello a doppia onda, grande come una mano, messa in tasca, è di colpo legame tra i vivi e i morti. Da Berschis, paesino sangallese sulla sponda destra dell’A3 che corre lungo la Seeztal, dove una domenica mattina tardi di marzo inoltrato non c’è un’anima in giro ma si scorge una ditta enorme di cessi mobili di nome Toiletking, a Sant Jöri – come viene chiamata qui nel Sarganserland –sono su in venti minuti. Tra le note di cammino, oltre a montagne corrucciate e perturbanti, l’indicazione per il pozzo del mostro, una grotta

di Lourdes artificiale creata con l’esplosivo negli anni Venti, troviamo le pecore ungheresi di razza racka con stranissime corna a spirale tipo unicorno. Appena apro la chiesa risalente all’undicesimo secolo, sul soffitto a volta, un cuore trafitto da tre chiodi. È incorniciato da una nuvola rosa. Altre nuvole s’incontrano, oltre la flora affrescata, sotto le volte a crociera del soffitto basso che spiove in colonne tozze di un bianco tremolante.

L’unica fonte di luce, a parte quella flebile di due finestrelle nell’abside dove sono diretto, è quella della porta lasciata aperta. Dietro l’altare, a dodici centimetri dal pavimento, trovo il Kopfwehloch. Il buco per il mal di testa, la cui prima traccia scritta è annotata in un resoconto di una visita, nel 1631, del vicario generale di Coira che accenna a questa curiosa usanza-rimedio della medicina popolare

Sport in Azione

Allegri

ma non troppo

Se i media e l’opinione pubblica ti cuciono addosso la figura retorica che risponde al nome di «Antonomasia», significa che sei qualcuno di importante, come il «Ghibellin fuggiasco», il «Pibe de oro», o il «Divin codino». Massimiliano Allegri è riconosciuto come «Il Livornese» oppure «l’Acciughina». Nel tempo è stato capace di crearsi una mistica tutta sua. Un’aura fatta di 6 scudetti, 1 conquistato col Milan e 5 con la Juventus, oltre a 7 altri trofei tra Coppa e Supercoppa italiana. Non è da tutti. Non necessariamente, chi sul lavoro è onesto, puntuale, leale, preciso, rispettoso, propositivo, viene chiamato con un appellativo riconosciuto «urbi et orbi». Queste sono caratteristiche che ogni datore di lavoro vorrebbe appartenessero a tutti i propri collaboratori. Nello sport è molto più facile assurgere a mito quasi intoccabile. Se ottieni risultati sei

coccolato, adorato e strapagato. Come «Acciughina», il cui contratto, tra il 2021 e il 2025, contempla un compenso annuo di 7 milioni netti di euro. Cifre che ti regalano la ricchezza, ma non l’onnipotenza. La signorilità imporrebbe il rispetto nei confronti di chi fa parte del tuo mondo e guadagna meno della centesima parte di quanto percepisci tu. A quanto pare, Allegri la pensa diversamente. Non appena un giornalista gli mette pressione con qualche domanda scomoda, sbotta e sbraita.

È capitato due domeniche fa durante la conferenza stampa susseguente l’ennesima prova moscia disputata dalla sua squadra: «Io faccio l’allenatore e non giudico il lavoro dei giornalisti. E così dovreste fare voi: voi non dovete capire, ma solo fare domande. Mi faccia una domanda più intelligente, le risponderò». Non è la prima volta che accade. Non

Non tutti però riescono a trarre profitto dalla presenza dei turisti. Servono infatti un capitale d’avvio, spirito manageriale, una certa capacità di relazione e una buona conoscenza delle lingue. Per questo molti stranieri, soprattutto italiani e francesi, ritagliano per sé la fetta più importante dei ricavi turistici, impiegando i locali nelle occupazioni più umili e meno retribuite. Al di fuori del turismo la città vive della tradizionale economia di scambio di beni e servizi, la stessa di sempre: il piccolo negozio di quartiere, dove si trova tutto il necessario per la vita quotidiana, la macelleria halal, gli artigiani ecc. È un’economia stabile, protetta dai sussulti e dalle crisi dei mercati internazionali, ma inevitabilmente povera di risorse, di investimenti, di innovazione e dunque limitata alla sussistenza. Il capitale umano è poco sfruttato: i venditori

trascorrono lunghe ore d’ozio guardando video sugli smartphone, in attesa che qualche cliente si avvicini alla loro tela del ragno. E in un angolo del negozio c’è sempre un apprendista o un socio d’affari ancora più sfaccendato, utile soprattutto per ingannare il tempo con la conversazione. Tecniche moderne di vendita sono del tutto sconosciute.

Nel frattempo, mentre metto in fila queste considerazioni tra me e me, il gatto ha trovato tra i rifiuti qualche frattaglia, con la quale trascinerà anche questa giornata. Ma ha l’aspetto dimesso e lo sguardo triste. Sembra volermi dire che i problemi di molti abitanti dei Paesi dove viaggiamo come turisti non sono le differenze culturali, né la religione, né le diverse visioni della donna e della famiglia. Il nostro problema ‒ continua il gatto (o così mi immagino) ‒ è solo e soltanto che siamo poveri.

mista a devozione. Disinteresse totale per secoli finché questo posto riaffiora come luogo di forza in un libro di Blanche Merz, geobiologa, autrice di Les hauts-lieux cosmo-telluriques (1983) che indica una misurazione di diciottomilacinquecento Bovis. Questa nicchia nel muro che sembra un forno antico per il pane è al centro dell’abside dove catturo San Giorgio con una spada. Ai suoi piedi, un drago quasi invisibile della taglia di uno yorkshire terrier. Mentre qui, alle spalle del buco curativo nel muro, un teschio umanizzato con una clessidra in mano. Sulla fronte, il monogramma HW, presunto autore dei dipinti cinquecenteschi. Alzando lo sguardo, sotto le volte, si coglie il sole in una, la luna nell’altra. In entrambe si dirama danzante la Solanum dulcamara. Pianta medicinale che possiede proprietà depurative del sangue, utile nei dolori muscolari, esercita un’a-

zione molto efficace come espettorante in caso di tosse o antipiretico per febbre alta. Un po’ per la fiducia infusa dalla presenza della dulcamara sopra la testa, un po’ per la luce mistica che entra dalla strombatura estrema della finestrella rotonda orientata a sud-est, a fianco del teschio vivente, un po’ perché tanto sono già cenere gettata nel mare, m’inginocchio e mi metto a gattoni, pronto a infilare la testa. E così, senza pranzo sul finire dell’inverno, infilo la testa nel buco per il mal di testa (589 m) di Berschis. Se non altro, solo ora, vi è una vera tregua nel brusìo autostradale incessante. Casomai, dopo il sollievo dal rumore snervante, togliete la testa con cautela: chissà quanti «kopfertami!» saranno partiti qui nel corso dei secoli. Picchiare la testa nel buco del mal di testa sarebbe stato un caso di reportage giornalistico demenziale.

Invece, rialzato, mi sento carico e la mente corre all’archeoacustica maltese. Questa nicchia, infatti, potrebbe richiamare le risonanze ipogee del santuario sotterraneo di Hal Saflieni a Malta: lì nella stanza dell’oracolo c’è un buco simile utilizzato per propagare nelle altre stanze, nei riti di migliaia di anni prima di Cristo, la voce.

Va detto, altri riverberi portano a una chiesa nidvaldese e a una grigionese dove si trova lo stesso tipo di buchi per questo rito ritrovabile anche a Brescia. Dove ai fianchi della pietra nera di un altare, il giorno di Sant’Onorio, si fa la fila per infilare la testa. Un’etnobotanica di Coira mi ha rivelato invece una sua teoria: tramite questo buco la chiesa è collegata al Ughüür Brunna, il pozzo del mostro, usato dai romani come cisterna, dove si troverebbero monete d’oro difese da un drago.

è la prima volta che il Mister della Juventus rifiuta lo scambio, così come le responsabilità che si dovrebbe assumere ogni buon condottiero, nella buona e nella cattiva sorte. Inoltre, diciamolo, Allegri non è l’unico ad esercitare una forma di potere che gli deriva dal ruolo e dal denaro. Posso intuire, come giornalista, che sia molto nervoso. Non gliene va bene una. Ma faccio fatica a seguire il filo logico del suo discorso. Lui giudica l’operato di quel tal collega, ma pretende di non essere a sua volta giudicato. Intravedo un importante problema di trasparenza, di empatia e di rispetto. Ho citato l’esempio di Max Allegri, poiché è il più recente di una lunga serie di episodi che si ripetono regolarmente sull’arco dell’intero campionato, in Italia e non solo. Anni fa, in diretta radiofonica, posi ad un allenatore di calcio una domanda da lui ritenuta inopportuna.

Questo mi apostrofò duramente dicendo che per me era facile. Salario fisso e assicurato. Piedi al caldo. Mentre lui domenica dopo domenica era sulla graticola, con il posto di lavoro sempre a rischio. Tutto vero. Interruppi ovviamente l’intervista. L’indomani gli inviai una lettera in cui ribadivo la legittimità della mia domanda e gli ricordavo che il mio salario fisso corrispondeva grosso modo a un quinto di quanto guadagnasse lui, e che la cospicua cifra da lui incassata, compensava ampiamente quello che lui considerava il «fattore rischio». Gli ricordai che qualora io avessi realizzato per un intero anno dei servizi di ottima qualità, non avrei fatto alcun passo in avanti sotto il profilo salariale, mentre lui, in caso di eccellenti risultati avrebbe potuto fare un grande salto verso un club più ricco e più generoso. Conclusi sostenendo che alla mia età, rincorrere gli umori di un allenatore bizzoso, o quelli di un giovane calciatore viziato, aveva un suo lato umiliante. Non mi rispose, ma al termine della partita successiva mi intravide nella hall dello stadio, gremita da giornalisti, calciatori e dirigenti. Si fece largo, venne da me, e senza proferir parola mi strinse la mano. Capii che aveva capito. Non diventammo amici, ma il nostro rapporto proseguì serenamente fino al termine della sua carriera. Non so se Allegri uscirà a cena col giornalista incapace, secondo lui, di porgli domande intelligenti. Spero quanto meno che capisca che nel pregiato salario percepito da lui e da molti suoi colleghi è compreso anche il passaggio sotto le forche caudine delle conferenze-stampa. Fanno parte del gioco. Fungono da gran cassa. Contribuiscono a conferire visibilità e, di conseguenza, denaro.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 21 TEMPO LIBERO / RUBRICHE ◆ ●
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ATTUALITÀ

Le proteste dei contadini svizzeri Accusando le crescenti pressioni economiche e politiche, negli ultimi mesi gli agricoltori sono scesi in piazza. Quali prospettive si aprono?

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Tre scenari per la pace in Medio Oriente L’ipotesi dei due Stati (a cui non crede nessuno dei protagonisti), il ruolo degli Stati Uniti e la soluzione portata avanti dagli attori locali

Pagina 27

In India l’odio sociale e religioso avanza Le nuove leggi e i nuovi provvedimenti vengono letti in chiave pro-indù o anti-musulmana scatenando furiose polemiche

Pagina 29

Per un accesso facilitato al mercato Ue

Diplomazia ◆ I negoziatori elvetici avranno il loro bel daffare per riuscire a strappare un accordo capace poi di convincere il popolo

Roberto Porta

In entrata una provocazione o, se volete, una forzatura, visto che ormai ci dobbiamo arrendere a un’evidenza. In questo periodo, e forse anche nei prossimi tempi, il Consiglio federale non sarà più composto dai suoi canonici sette membri, bensì da otto ministri. Ad aggiungersi è il presidente dell’Unione sindacale svizzera (USS), Pierre-Yves Maillard. Una presenza esterna, e ci mancherebbe, ma che dispone ormai di un martellante potere di veto. La nuova legislatura è decisamente nata nel segno di questo «ministro», che è stato a lungo consigliere di Stato nel Canton Vaud e che ora siede al Consiglio degli Stati, a Berna. Lo scorso 3 marzo Popolo e Cantoni hanno dato ragione all’iniziativa del suo sindacato e varato la tredicesima AVS per tutti i pensionati a partire dal 2026.

La tensione resta molto alta tra i sindacati e il Consiglio federale, in causa c’è in particolare Guy Parmelin

Il cantiere rimane aperto, perché ora occorre trovare i 4 miliardi necessari per finanziare questo aumento delle rendite pensionistiche. Il peso politico di Maillard si sta già facendo sentire però anche su un altro cantiere aperto, dalle dimensioni mastodontiche, quello delle trattative che Svizzera e Unione europea hanno rilanciato allo scopo di rinnovare le loro relazioni bilaterali.

Lunedì scorso, non appena a Bruxelles le due presidenti – Ursula von der Leyen e Viola Amherd – si sono strette la mano per aprire i veri e propri negoziati per i bilaterali del futuro, ecco che l’ottavo «ministro» ha subito colto la palla al balzo per alzare la voce e per far capire che l’Unione sindacale svizzera così non ci sta. L’USS è pronta a lasciare il tavolo attorno a cui da un paio di anni il mondo del lavoro e quello dell’economia dibattono per determinare le «linee rosse» da non superare, da parte svizzera, nelle trattative per definire le future misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone. Già nell’autunno scorso il fronte sindacale si era fatto sentire, ora lo fa con ancora più forza: minacciare di lasciare quei negoziati interni significa di fatto porre il proprio veto su un argomento così delicato e da cui dipendono le condizioni di lavoro nel nostro Paese. A non andare a genio a Maillard e all’Unione sindacale svizzera sono in particolare alcune misure in discussione con Bruxelles. C’è la questione, già emersa nell’autunno scorso, del rimborso spese a favore dei lavoratori distaccati in arrivo in Svizzera, con il rischio che queste spese

vengano equiparate a quelle del Paese di provenienza di questi dipendenti, creando così una situazione di possibile concorrenza sleale. Il costo di un pasto a Zurigo, ad esempio, non equivale a quello di un pasto rimborsato in provincia di Como.

Ma c’è anche la questione delle sanzioni con cui punire le imprese europee che non rispettano le norme svizzere. Imprese che, se colte in fallo, rischiano oggi di rimanere escluse dal mercato elvetico per un periodo che può anche arrivare ai cinque anni. Una misura mal sopportata dall’Unione europea e che, a detta dell’USS, rischia ora di venir sacrificata sull’altare nelle nuove trattative. La tensione a quanto pare è alta tra sindacati e Consiglio federale e qui in causa c’è in particolare Guy Parmelin. Tocca al ministro dell’economia riuscire a calmare le acque ma farlo significa per lui, consigliere federale UDC, correre il rischio di esporsi e di dare l’impressione di voler facilitare anche le trattative con l’Unione europea. Una mossa di certo non grata al suo partito, che si oppone su tutta la linea a questi nuovi accordi.

Ma il fronte caldo è ovviamente anche quello europeo. La Svizze-

ra, in estrema sintesi, sta negoziando un accesso facilitato al mercato unico comunitario, una delle conquiste maggiori nella storia dell’Unione. Un mercato nato trent’anni fa e che permette la libera circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi e delle persone tra i 27 Paesi membri dell’Ue. Malgrado qualche malumore interno, Bruxelles se lo tiene bene stretto e di certo non è pronta a creare delle corsie preferenziali per la Svizzera e ad accettare tutte le eccezioni alle regole europee che il nostro Paese ha finora portato al tavolo delle trattative. Tavolo al quale la Commissione europea schiera alcuni tra i suoi più abili negoziatori, a cominciare dal vice-presidente della stessa Commissione, lo sloveno Maros Sefcovic, responsabile tra le altre cose anche della messa in vigore dell’accordo sulla Brexit. Un diplomatico pronto dunque a difendere il mercato unico con tutte le sue forze. E la stessa cosa si può dire anche di Richard Szostak, l’uomo che da ormai quasi dieci anni si occupa delle relazioni tra l’Unione europea e il nostro Paese. Di origini britanniche e polacche, Szostak ha seguito tutte le trattative sull’accordo quadro, poi bocciato dal Consiglio

federale, nel 2021. In questi anni ha visto passare una lunga schiera di negoziatori svizzeri, tra cui anche l’ambasciatore ticinese Roberto Balzaretti, ma lui è sempre lì, al suo posto, con a suo vantaggio un notevole bagaglio di conoscenze sul nostro Paese e sulle sue dinamiche politiche. Anche lui si è occupato di Brexit e anche lui viene considerato un «duro» tra i negoziatori europei. Lo è stato con Londra, lo sarà di certo anche con Berna.

La battaglia attorno a questi nuovi accordi con l'Ue sarà anche una sorta di derby tra semplificazione e complessità

In altri termini i negoziatori elvetici avranno il loro bel daffare per riuscire a strappare un accordo capace poi di convincere il popolo svizzero, l’arbitro supremo di questi negoziati. E qui, a livello di comunicazione, la partita si gioca anche su due livelli, da una parte c’è chi cala la carta della semplificazione, dall’altra chi invece è costretto a mostrare la complessità della materia. Un esempio su tutti: l’UDC ha già parlato di un «accordo colonia-

le», espressione del resto già utilizzata più di 30 anni fa quando il nostro Paese rifiutò lo Spazio economico europeo. E con la sola forza di quella formula i democentristi incamereranno di certo un buon bottino di voti. Sul fronte opposto, invece, le cose si complicano perché c’è da far capire che la sovranità del nostro Paese viene garantita da alcuni «cuscinetti» previsti dall’accordo in discussione con Bruxelles. In caso di contenziosi con l’Ue – ed è qui che c’è davvero in gioco la sovranità del nostro Paese – l’ultima parola non l’avrà la Corte di giustizia europea, ma un tribunale misto e paritario, con tanto di giudice svizzero. Alla Corte europea spetta il compito di interpretare il diritto europeo, e ci mancherebbe che non fosse così, così come si interpellerà il Tribunale federale di Losanna per l’interpretazione del diritto svizzero. Certo, si tratta di un’impalcatura che avrà bisogno di una fase di rodaggio e che nasconde delle insidie, anche a livello comunicativo. Spiegare questo meccanismo è di sicuro un compito arduo. La battaglia attorno a questi nuovi accordi con l’Unione europea sarà dunque anche questa: una sorta di derby tra semplificazione e complessità.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 23
Da sinistra: Viola Amherd e Ursula von der Leyen a Bruxelles il 18 marzo scorso. (Keystone)

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Le battaglie dei contadini svizzeri

La protesta ◆ Accusando le crescenti pressioni economiche e politiche, negli ultimi mesi gli agricoltori sono scesi in piazza manifestando la loro rabbia con trattori e campanacci. Migros Ticino li sostiene anche con i «Nostrani del Ticino»

Luca Beti

La vita del contadino viene a volte idealizzata. I romantici sognano di fuggire la città per rifugiarsi in campagna, in un paesaggio idilliaco dove farsi cullare di notte dai campanacci delle mucche al pascolo o dal mormorio di una fontana. Chi è cresciuto con la falce, la forca e il rastrello, lavorando d’estate sette giorni su sette, faticando sotto un sole battente, sa che la vita del contadino e della contadina è fatta di tanta fatica. Il capo azienda non ha tempo di sognare, ma deve fare quadrare i conti. E da un po’ i conti non tornano più per molti agricoltori. Ogni anno circa 500 fattorie chiudono i battenti in Svizzera, da una parte perché i proprietari non trovano un successore, dall’altra perché gettano la spugna. Ogni anno circa 500 fattorie chiudono i battenti: i proprietari non trovano un successore o gettano la spugna

Con una media di circa 17 franchi all’ora, i redditi in agricoltura sono inferiori a quelli dei settori secondario e terziario. Questa situazione obbliga il 93% delle famiglie di contadini a lavorare al di fuori dell’azienda agricola. Dopo un periodo di costante crescita tra il 2015 e il 2021, il reddito agricolo è diminuito dell’1,3% nel 2022, attestandosi mediamente a 79’700 fr. per azienda. Tra le principali cause ci sono la crescita del tasso d’inflazione, il massiccio incremento dei mezzi di produzione e l’aumento del costo dell’energia, dei combustibili fossili e dei fertilizzanti minerali a causa della guerra in Ucraina. Così, all’inizio dell’anno i contadini svizzeri hanno dato voce alla loro frustrazione. Con i loro trattori hanno lanciato un SOS, segnalando la precarietà di un settore che si sente alla mercé, da un lato, della politica agricola che impone nuovi requisiti e prescrizioni a quasi ogni piè sospinto, aumentando sia

il carico amministrativo sia le spese, dall’altro lato, dei grandi distributori al dettaglio che, a dire di chi protesta, fissano prezzi troppo bassi per i prodotti agricoli. Omettendo gli altri attori della catena, come i trasformatori e le cooperative d’acquisto. Inoltre ci sono protagonisti della grande distribuzione che fanno grandi sforzi per sostenerli. Migros Ticino, ad esempio, propone nei propri negozi i «Nostrani del Ticino», oltre 520 tipicità della regione che rappresentano un impegno molto concreto nel sostenere agricoltori, allevatori e produttori alimentari ticinesi. La situazione per loro resta comunque difficile. Le votazioni federali sull’acqua pulita, sui pesticidi o sull’allevamento intensivo hanno esacerbato il conflitto tra organizzazioni ambientaliste e mondo agricolo, allargando il fossato tra mondo urbano e rurale. Gli agricoltori vengono sempre più spesso etichettati come avvelenatori della natura e torturatori degli animali. Inoltre, decisioni come quella del Governo ticinese di dimezzare l’importo per il

«tax free» da 154,90 a 70 euro, rappresentano per i contadini ticinesi un’ulteriore fonte di preoccupazione. Rispetto a quelle all’estero, le proteste in Svizzera si sono svolte in maniera pacifica. Se inizialmente i contadini si mettevano al volante dei trattori, ultimamente scendeno in strada a piedi, indossando la camicia con la stella alpina e suonando i campanacci, trasformando le manifestazioni in scampagnate per famiglie. Come ricordato da Markus Ritter, il presidente dell’Unione svizzera dei contadini, un confronto duro potrebbe compromettere il favore di cui godono tra la popolazione. Infatti, in settembre, le e gli aventi diritto di voto saranno chiamati ad esprimersi nuovamente su un’iniziativa ambientale, quella sulla biodiversità, che potrebbe avere importanti ripercussioni sui metodi e sulla superficie di produzione in Svizzera.

Nel frattempo l’organizzazione Interprofessione Latte ha deciso di accogliere parzialmente le loro rivendicazioni, aumentando il prezzo del

A fine febbraio in varie località elvetiche i contadini hanno formato un gigantesco SOS con i trattori.

latte di tre centesimi da luglio. Markus Ritter ha poi comunicato che l’Unione svizzera dei contadini accompagnerà le trattative con i principali distributori al dettaglio. L’obiettivo è ottenere un aumento dei prezzi del 5-10% sui vari prodotti agricoli. E il Governo del Canton Vaud ha annunciato la diminuzione dell’onere amministrativo e dei controlli del 30%, presentando una nuova strategia agricola cantonale.

Già nel 1996 oltre 10’000 contadini di tutto il Paese si erano diretti a piedi verso la Piazza federale per sfogare la rabbia nei confronti del ministro dell’economia Jean-Pascal Delamuraz e del Consiglio federale che intendevano fare ammazzare 230’000 vacche per contenere la diffusione del morbo della mucca pazza. La protesta finì nella nebbia dei lacrimogeni lanciati dalla polizia. Nel 2009, a Saignelégier (Giura), i membri di Uniterre, sindacato di categoria della Svizzera francese, hanno lanciato una trentina di stivali sporchi di letame verso la consigliera federale Doris Leuthard, rea di

non fare abbastanza per contrastare il calo del prezzo del latte, diminuito in pochi mesi del 30%. E nel 2015 migliaia di contadini tornarono a Berna per contestare i piani di risparmio in agricoltura decisi dal Governo. Questa volta la manifestazione si svolse senza incidenti.

Nonostante godano dei favori di una parte della popolazione, soprattutto di quella rurale, i contadini sono confrontati con chi trova che «il settore agricolo si crogioli nei privilegi», questo il titolo provocatorio di uno studio di Avenir Suisse. Patrick Dümmler, economista presso il «think tank» liberale e autore dell’analisi, sostiene che molti contadini, soprattutto quelli di pianura, stanno molto bene e che le proteste presentano un quadro distorto della situazione. In un’intervista alle testate del gruppo Tamedia, l’esperto in scienze agrarie precisa che il reddito totale per azienda, incluse le entrate da un’attività extra agricola, ha raggiunto i 111’000 franchi. «Ai contadini le cose sono andate molto bene negli ultimi dieci-quindici anni. E allora mi chiedo: perché stanno protestando?».

Malgrado alcune analogie, le manifestazioni in Svizzera non sono paragonabili a quelle all’estero, in gran parte perché il settore opera in un contesto diverso. Nel nostro Paese i pagamenti diretti e il sostegno statale sono molto maggiori. In aggiunta viene applicata una protezione doganale e vengono fissati contingenti sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, garantendo la stabilità e i prezzi indigeni, sottraendo gli agricoltori alla pressione del mercato europeo.

Ancora un’osservazione: a differenza dei Paesi vicini, dove i contadini hanno poca voce in capitolo in politica, il settore agricolo è tra i più rappresentati nel Parlamento svizzero, con circa una quarantina di consigliere e consiglieri nazionali e agli Stati vicini al mondo rurale. Il Club agricolo dell’Assemblea federale conta addirittura un centinaio di membri.

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(Keystone)

«Hesse sarà annoverato tra i gran

Feuilleton ◆ Il museo Hesse di Montagnola si appresta ad inaugurare la prima grande mostra firmata da Marcel Henry che coinvolge il Natascha Fioretti

Se, come scrive Hermann Hesse nella sua poesia Gradini «in ogni inizio abita una magia», questo sembra valere per il Museo di Montagnola ed in particolare per il suo direttore Marcel Henry che ad un anno dal suo insediamento si appresta ad inaugurare la sua prima importante mostra dal titolo Dove c’è Hermann Hesse, c’è Volker Michels –Curatore e pioniere di uno scrittore intramontabile. Il titolo non è casuale perché Volker Michels, classe 1943, per una vita redattore di letteratura tedesca per il Suhrkamp Verlag, è oggi tra i maggiori conoscitori dell’opera e della vita del premio Nobel per la letteratura. È lui l’autore della raccolta delle Opere complete (uscite in tedesco in 20 volumi) e delle lettere (uscite in 8 volumi) ma è anche il creatore dell’archivio che raccoglie l’eredità letteraria e artistica di Hesse. Soprattutto Volker Michels – grazie al suo lavoro e alla sua dedizione – negli ultimi cinquant’anni ha avuto il merito di riabilitare da un lato l’immagine di Hesse, spesso legata al clichè dell’autore introspettivo perso nelle mistiche orientali e slegato dalla realtà, dall’altro di valorizzarne l’opera, mostrandone le diverse sfaccettature e la ricchezza tematica mettendo in evidenza lo spessore letterario. Lo abbiamo sentito in anteprima.

Volker Michels potremmo dire che ha dedicato tutta la sua vita a Hermann Hesse?

Una breve vacanza indimenticabile all’Europa-Park

Sono posseduto dalla letteratura sin dai tempi della scuola e la mia grande fortuna è stata l’opportunità di lavorare per il Suhrkamp Verlag. Questo ha fatto sì che mi dedicassi non soltanto a Hesse ma a tanti autori del cuore come Thomas Mann, Stefan Zweig, Robert Walser e molti altri. Certo Hesse è stato il più produttivo e l’autore di maggior successo anche nelle vendite ed essendo le case editrici delle realtà commerciali, questo nel tempo mi ha permesso di concentrarmi sempre di più sulla sua opera specializzandomi al punto da pubblicare nei decenni la prima edizione completa in 20 volumi delle sue opere.

In palio una breve vacanza per famiglie per un valore di 1472 franchi con l’Europa-Park-Erlebnis-Resort: due notti in un hotel a quattro stelle, due giorni nel parco e uno nel mondo acquatico Rulantica. In più 5 pass famiglia per l’Europa-Park da 278 franchi ciascuno e per il parco acquatico Rulantica da 198 franchi ciascuno, il tutto per 4 persone

Nè valsa la pena dedicare tutta la vita a Hesse e alla letteratura?

La letteratura è un enorme arricchimento per la vita. Ogni autore riesce a cogliere sfumature e sfaccettature diverse di tutta la molteplice realtà che ci circonda e i maestri hanno la capacità di restituirle, di rappresentarle, di portarle all’attenzione della nostra coscienza regalandoci un incredibile valore aggiunto in termini di qualità di vita.

Come è iniziata la sua relazione con Hesse?

I visitatori possono trascorrere una breve vacanza indimenticabile all’Europa-Park-Erlebnis-Resort che comprende l’Europa-Park, Rulantica e sei hotel, oltre a Yullbe e Eatrenalin. Nel più grande parco a tema della Germania oltre 100 attrazioni e spettacoli ti invitano a scoprire 17 aree tematiche europee. Ad attendere gli ospiti nel 2024 c’è ora «Voltron Nevera powered by Rimac», un nuovo otto volante senza pari. Nella nuova area tematica croata, il Multi Launch Coaster vanta numerosi elementi innovativi. Tornano anche le popolari attrazioni per famiglie «Alpenexpress Enzian» e «Tiroler Wildwasserbahn». Gli amanti dello spettacolo possono contare su numerosi eventi di vario genere. Nel mondo acquatico di ispirazione nordica Rulantica, che si trova nelle immediate

Con una lettera. Avevo quattordici anni e come lui frequentavo un collegio. Rimasi molto impressionato dal fatto che mi rispose, che si prese il tempo e le attenzioni per rispondere ad un ragazzino qualunque. Già ai quei tempi conoscevo alcuni passaggi della sua storia del Seminario Evangelico di Maulbronn pubblicati nel 1903 nel volume Unterm Rad (Sotto la ruota), un libro che avevo desiderato per Natale e nel quale trovai molti parallelismi. Mi identificai

con i due personaggi principali Hans Giebenrath e Hermann Heilner, nei quali Hesse aveva rappresentato se stesso e i suoi conflitti esistenziali. Lo sappiamo, i genitori volevano che Hesse continuasse la tradizione religiosa di famiglia, ma lui si oppose dicendo che sarebbe diventato un poeta o niente. Questo suo rifiuto alla conformazione, a ciò che è usuale, mediocre e promettente lo accompagnerà per tutta la vita rispecchiandosi tanto nel suo atteggiamento quanto nelle opere. Ed è proprio

questo suo bisogno di affermazione che negli anni e in tutto il mondo gli ha consentito di conquistare sempre nuovi giovani lettori.

Quando è iniziata la sua avventura alla casa editrice Suhrkamp? Correva l’anno 1969 quando per la prima volta entrai nella casa editrice di Francoforte Suhrkamp e Insel. Sebbene Hesse fosse già premio Nobel per la letteratura nel 1946, negli anni Sessanta la casa editrice favorì autori più giovani come Ber-

vicinanze, gli ospiti possono divertirsi sugli scivoli o in acqua e godersi momenti di relax. Nell’area «Nordiskturn» è possibile sfrecciare sul «Vikingløp», lo scivolo veloce più grande d’Europa. Nell’attrazione speciale «Tønnevirvel» per i parchi acquatici di Mack Rides si affronta una battaglia acquatica in gondola. Oltre a Rulantica, i visitatori potranno immergersi in nuovi mondi di realtà virtuale nell’Experience Yullbe. La breve vacanza è completata da un viaggio culinario per tutti i sensi nel futuristico evento gastronomico Eatrenalin. Dopo ore di avventura, sei hotel a quattro stelle del parco il Camp Resort offrono l’opportunità di concludere la breve vacanza con un fascino unico.

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tolt Brecht, Max Frisch, Uwe Johnson, Martin Walser e Peter Weiss. Un giorno l’editore Siegfried Unseld, il successore di Peter Suhrkamp, mi chiese cosa pensavo di Hermann Hesse, quali aspetti della sua opera, a mio avviso, avrebbero offerto la maggiore attrazione e le migliori opportunità di vendita. Gli ho parlato della lungimiranza politica del poeta, del suo deciso distanziamento dal nazismo e dagli avvenimenti tedeschi, della sua visione cosmopolita e interconfessionale del mondo con quello sguardo rivolto alle culture asiatiche, affascinante per qualsiasi lettore.

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Perché serviva spiegare quali erano i punti forti di un autore come Hesse per altro già premio Nobel? Nel clima di quegli anni, parlo del ‘68, gli anni delle rivolte studentesche, la guerra in Vietnam, Hesse era visto come un autore introspettivo, escapista, in fuga dal mondo e ritirato nella tranquilla Svizzera. Il mondo letterario tedesco nutriva nei suoi confronti molti pregiudizi. Il critico letterario tedesco Marcel Reich-Ranicki un giorno mi disse: «Hesse non ha scritto una sola frase che valga la pena citare e se lei ha intenzione di

occuparsi di questo autore può mettersi subito a fare propaganda». Un altro autore mi disse: «Da questo cumulo di cenere vuole tirare fuori una goccia di sangue?». Persino Unseld, che conosceva bene Hesse, perché su di lui fece il suo lavoro di dottorato, all’inizio fu scettico. Ci venne in aiuto la rinascita di Hesse negli USA che dopo la guerra nel Vietnam lo rivalutò.

Sorprende molto la posizione di un’istituzione letteraria come Marcel Reich-Ranicki… Fino alla sua morte si è sempre opposto al successo di Hesse, non poteva sopportare che a livello internazionale raggiungesse la stessa fama e popolarità del prediletto Thomas Mann. Ma le prime pubblicazioni che decidemmo di far uscire in formato tascabile in Germania incontrarono un grande favore di pubblico.

Anche la clamorosa copertina che gli dedicò «Der Spiegel» nel 1958, non favorì Hesse. Come andò? L’edizione uscì nel luglio di quell’anno. L’autore, anonimo, lo banalizzò trasformando Hesse in un giardiniere incompetente, uno gnomo da

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Volker Michels

Tre scenari per la pace

Medio Oriente ◆ L’ipotesi dei due Stati (a cui non crede nessuno), il ruolo degli Stati Uniti e la soluzione portata avanti dagli attori locali

Ci sono tre scenari per una pace in Medio Oriente. In primo luogo c’è l’ipotesi dei due Stati, Israele e Palestina, così come viene portata avanti dalla diplomazia americana: ha enormi ostacoli da superare e per diventare realistica forse richiederebbe un cambio di strategia da parte degli Usa. Un’alternativa parte dalla constatazione che ai due Stati non crede nessuno dei protagonisti; di conseguenza l’America dovrebbe ripiegare sulla scelta di far rispettare la legalità. Un terzo scenario non riguarda tanto i contenuti degli accordi di pace bensì la loro regìa: parte dall’idea che gli Stati Uniti conteranno sempre meno, dunque esamina la possibilità che al loro posto subentrino degli attori regionali, magari guidati dall’Arabia Saudita.

Un disastro umanitario

Estraggo questi scenari dalla più autorevole rivista americana di geopolitica, «Foreign Affairs». La prima opzione è contenuta nel saggio di apertura, «The Strange Resurrection of the Two-State Solution» a opera di Martin Indyk: un esperto di fede democratica che ha avuto incarichi di rilievo nelle Amministrazioni Clinton e Obama. Per cominciare, Indyk ricorda che la soluzione dei due Stati per due popoli – Israele e Palestina – risale alla prima ipotesi di Partizione durante il «mandato» (protettorato) britannico nel 1937; fu adottata nel 1947 dalle Nazioni Unite (Risoluzione 181) e da allora è sempre stata accettata dalla diplomazia americana. Sotto l’Amministrazione Clinton, il processo di Oslo cercò di delineare un percorso concreto verso i due Stati, inclusa la restituzione del 97% del territorio di Cisgiordania ai palestinesi, più la parte orientale di Gerusalemme come capitale del loro Stato. «Ogni presidente Usa da allora ha cercato di rilanciare la soluzione dei due Stati, ma nessuno ha saputo superare la sfiducia reciproca generata dalla violenza palestinese e dalle occupazioni di territori cisgiordani da parte di coloni israeliani». A far marcire la situazione fino all’orrore del 7 ottobre 2023 hanno contribuito tre evoluzioni. Benjamin Netanyahu ha aiutato Hamas a consolidare il suo controllo su Gaza in contrasto con l’Autorità palestinese in Cisgiordania, perché un assetto politico bicefalo allontanava l’ipotesi dei due Stati. Le due ultime Amministrazioni Usa, Trump e Biden, hanno smesso di credere seriamente nei due Stati e hanno lasciato ampia libertà di mano-

vra a Netanyahu. Infine il mondo arabo sunnita si è a sua volta allontanato dalla causa palestinese, sia perché disgustato dai molteplici errori politici dei palestinesi, sia perché un’alleanza con Israele (sulla scia degli accordi di Abramo) sembrava più importante ai fini di contenimento dell’Iran.

Ora lo status quo è insostenibile, sia dal punto di vista umanitario che sotto il profilo politico e strategico. Netanyahu ha in mente un’occupazione militare di Gaza a tempo indeterminato da parte delle forze armate israeliane. La sua è una prospettiva di «guerra infinita» come quella che venne combattuta contro Hezbollah nel Sud del Libano per 18 anni, senza esito. E oggi questo avverebbe in una situazione di isolamento internazionale di Israele molto più grave che in passato. Hamas non ha altro da proporre al popolo palestinese che lo scenario simmetrico: guerre, distruzioni, atrocità e sofferenze a oltranza. Secondo Indyk non c’è altra strada se non quella di rilanciare la soluzione dei due Stati. Ma come arrivarci, se nessuno dei due contendenti la vuole? Mai come oggi l’America ha avuto un potere di pressione e condizionamento su Israele. I suoi aiuti militari sono indispensabili, se Israele vuole tenersi pronto a combattere su più fronti (nell’eventualità che peggiorino anche le ostilità con Hezbollah in Libano, o con gli Houthi nel Mar Rosso, o addirittura con l’Iran). È il momento che Washington si decida a usare questa sua capacità di pressione. Indyk immagina due gesti estremi: la minaccia di sospendere gli aiuti militari; e la minaccia di non usare più il diritto di veto americano in seno al Consiglio di sicurezza Onu per proteggere Israele da sanzioni della comunità internazionale. Questa fine di un appoggio senza condizioni sarebbe divenuta possibile anche perché sono cambiati gli equilibri in seno alla società americana, con l’emergere di una componente filo-palestinese ben più vasta che in passato.

Il secondo scenario è opera di due autorevoli esperti, Marc Lynch e Shibley Telhami, e svela la sua premessa nel titolo: Il miraggio dei due Stati. Il punto di partenza: è inutile che l’America, o qualsiasi altro soggetto esterno, si affanni a inseguire la soluzione dei due Stati, finché i due protagonisti sul terreno la rifiutano. Una conseguenza della carneficina perpetrata da Hamas il 7 ottobre 2023 è che l’ipotesi di uno Stato palestinese viene rifiutata dalla maggioran-

Putin è un pericolo

Russia ◆ Lo scontato trionfo dello zar legittima la trasformazione del Paese in dittatura militare

za degli israeliani. Una conseguenza della strage di vittime civili in corso a Gaza è che i palestinesi oggi sono più favorevoli di prima ad Hamas il cui fine conclamato è la distruzione d’Israele. In questa situazione, l’America deve ripiegare su un obiettivo più limitato: usare gli strumenti a sua disposizione per far rispettare la legalità, ridurre i danni e le sofferenze per i civili, limitare gli abusi contro i diritti umani. È un obiettivo circoscritto e tuttavia assai ambizioso nelle circostanze attuali. Benché parta da premesse opposte rispetto a Indyk –l’assurdità d’inseguire il «miraggio» dei due Stati – questo scenario arriva a conclusioni pratiche abbastanza simili. Alla fine, infatti, gli strumenti che Washington ha a sua disposizione sono sempre quelli: per imporre una moderazione alle operazioni militari israeliane deve far leva sulla minaccia di sospendere i propri aiuti e il proprio appoggio diplomatico all’Onu.

America adieu

Il terzo scenario è illustrato da Dalia Dassa Kaye e Sanam Vakil. Il titolo del loro saggio: Solo il Medio Oriente può aggiustare il Medio Oriente. Il punto di partenza: dobbiamo rassegnarci a vivere in un mondo post-americano. Vuoi perché l’America imbocca un percorso verso l’isolazionismo (con o senza Donald Trump alla Casa Bianca, questa tendenza ha radici nell’opinione pubblica Usa, a destra e a sinistra), vuoi perché l’America non avrà più i mezzi per esercitare l’influenza che ebbe in passato, o altri avranno acquisito una capacità d’interdizione contro una Pax americana: tutte queste ipotesi spingono a cercare altrove una soluzione per i problemi del Medio Oriente. Cina, Russia, Europa non offrono prospettive migliori dell’America. Gli autori osservano che questa soluzione potrà maturare solo grazie ad attori locali: cominciando dai due Paesi più vicini al conflitto, cioè Egitto e Giordania, per poi includere altri Stati arabi come Qatar, Emirati, Arabia Saudita; infine allargando il cerchio alla Turchia e forse perfino all’Iran. Un’ipotesi simile viene abbracciata da un altro esperto americano del Medio Oriente, Bret Stephens, che sulle colonne del «New York Times» propone addirittura di trasformare Gaza in un «protettorato arabo», governato da Paesi dell’area. Per adesso tutti riluttanti. In futuro? Mai dire mai.

Fino a qualche anno fa nel dibattito politico russo era in voga il termine «problema 2024». Era la data di scadenza del secondo dei due mandati presidenziali consecutivi di Vladimir Putin (nella foto), che si era già fatto due presidenze (2000-2008), e in tanti pensavano che l’impossibilità costituzionale di ricandidarsi, unita a un’esigenza di cambiamento avvertita dalla stessa classe dirigente putiniana, avrebbero spinto lo zar a cercare un delfino al quale affidare una modernizzazione lenta e pilotata del suo regime. Il 17 marzo scorso il «problema 2024» è stato definitivamente risolto: Putin ha riscritto la Costituzione per ricandidarsi. L’87% tributato a lui dai suoi sottoposti, in un rituale politico che è impossibile chiamare «elezioni», era scontato e atteso, eppure segna una nuova epoca che si apre con il quinto mandato – il terzo consecutivo – del presidente russo. È evidente che questo numero non c’entra molto con il reale sostegno degli elettori russi alle politiche del Cremlino, sia perché si tratta di cifre non attendibili, soprattutto dopo un quarto di secolo al potere, sia perché il Governo ha controllato tutto il processo, dalla selezione dei candidati alla campagna elettorale, dalle procedure di voto allo spoglio delle schede. Elezioni senza concorrenti – i tre contendenti, quasi sconosciuti al largo pubblico, si sono visti assegnare tutti insieme intorno al 12% delle preferenze – e senza dibattito, con le urne di plastica trasparente e la polizia che rincorreva gli elettori che barravano le caselle «sbagliate». Stavolta la leadership russa non si è presa nemmeno la briga di simulare una procedura elettorale democratica, ed è rimasta apparentemente indifferente al fatto che le prime congratulazioni per la vittoria sono arrivate da Nicaragua, Venezuela, Corea del Nord e Honduras, mentre tutti i Governi occidentali hanno condannato le elezioni come «né libere, né oneste», e non hanno riconosciuto il voto nei territori occupati dell’Ucraina. Ma non ha importanza: il rito elettorale serviva a Putin per mostrare il suo dominio totale sulla macchina dello Stato russo, dal Cremlino fino all’ultima scuola e caserma dell’ultimo villaggio, con un esercito di funzionari, poliziotti, governatori, sindaci, presidi, direttori, comandanti e primari che hanno diretto i loro sottoposti verso le urne, oppure ne hanno alterato il risultato laddove non corrispondeva ai desideri del vertice. Era questo l’obiettivo del leader russo, soprattutto dopo il golpe di Evgeny Prigozhin, e forse era questo l’obiettivo stesso della guerra che il dittatore ha lanciato contro l’Ucraina: trasformare il suo potere in un regime definitivamente personalizzato, dove

gli esecutori competono per produrre la percentuale di voto più alta che verrà notata e premiata dallo zar. Una macchina nella quale non c’è spazio per gli altri partiti del regime, come i comunisti, meno che mai per l’opposizione liberale, che aveva provato a seguire l’appello di Yulia Navalnaya a presentarsi ai seggi, non tanto per tentare di incidere sul risultato, quanto per mostrare di esistere ancora. La spaccatura tra la Russia in esilio e quella rimasta a casa è apparsa più evidente nella giornata del voto, con le code di ore davanti ai consolati russi e i cori che inneggiavano a Navalny e alla pace in Ucraina. Ma il voto dei dissidenti – sia all’estero sia in patria – non ha scalfito il risultato che, per gli esperti di «Novaya Gazeta», è stato il più truccato della storia russa, con un’affluenza impossibile del 78%, gonfiata da almeno 22 milioni di schede falsificate «aggiunte» già nella fase del conteggio dei voti. E per chi resta in Russia gli spazi di una protesta legale e pacifica sono ormai inesistenti: i 120 arresti nei tre giorni del voto l’hanno mostrato chiaramente.

Per risolvere il «problema 2024» non si è fatto ricorso solo alle minacce e alle pressioni: il Cremlino non ha badato a spese, tra lotterie ai seggi con in palio buoni sconto, cesti di provviste, automobili e promesse di trilioni di rubli dispensate da Putin a militari, pensionati, famiglie, industrie e regioni. Non ci sono molti dubbi sull’obiettivo che ora verrà posto a questa macchina collaudata, che ha schiacciato qualunque dissenso o divergenza. L’ha annunciato lo stesso Putin nella notte delle elezioni, «il tema del mio quinto mandato sarà l’operazione militare speciale», la guerra contro l’Ucraina. A chi gli chiedeva un negoziato ha risposto di voler occupare un altro pezzo di Ucraina per farne un «cordone sanitario»; a chi gli chiedeva se si sarebbe andati verso la terza guerra mondiale ha risposto quasi divertito «tutto è possibile». Il «Putin 5» è un presidente di guerra, e ha tutta l’intenzione di prendere per buoni i numeri del plebiscito che i suoi sottoposti gli hanno regalato, usandoli per legittimare la trasformazione della Russia in una dittatura militare. In attesa di una probabile nuova chiamata alle armi molto temuta dai russi, secondo i sondaggi, i milioni guadagnati vendendo petrolio a Cina e India vengono dirottati verso l’industria militare russa, in un investimento che produce soltanto morte e macerie, ma che fa lievitare i salari (e l’inflazione). La Russia di Putin si prepara a una lunga guerra e, a giudicare dalle dichiarazioni recenti dei leader occidentali, anche l’Europa ora si rende conto di un pericolo che non si fermerà ai confini dell’Ucraina.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 27 Palestinesi in attesa di un pasto a Rafah, Striscia di Gaza. (Keystone)
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Il Governo indiano annuncia l’entrata in vigore di un provvedimento, varato in realtà nel 2019 e poi sospeso in seguito a un’ondata di proteste senza precedenti. Si tratta del Citizenship Amendment Act (Caa), una modifica alla legge sulla cittadinanza che garantisce una specie di corsia preferenziale agli immigrati illegali arrivati in India a causa di persecuzioni subite nei Paesi d’origine: in particolare da Bangladesh, Pakistan e Afghanistan. Secondo il Caa, gli immigrati illegali di religione parsi, cristiana, sikh, indù o buddhista arrivati in India prima del dicembre 2014 possono richiedere la cittadinanza indiana e di conseguenza evitare eventuali espulsioni dal Paese se dimostrano di avere vissuto in India per sei anni invece dei canonici dodici necessari a chiunque per ottenere la cittadinanza suddetta.

Dalla «corsia preferenziale» sono stati esclusi dichiaratamente i musulmani, per i quali si applicano le norme attualmente in vigore. Il provvedimento riguarda quindi, riassumendo, soltanto gli immigrati illegali e soltanto coloro che si trovavano in India prima del dicembre 2014. Tutti gli altri appartenenti alle religioni di cui sopra potranno godere dello stesso privilegio in futuro soltanto se arriveranno in India con mezzi legali. Agli immigrati illegali, a qualunque religione essi appartengano, non verrà concesso alcun beneficio futuro. Questo, in sintesi, recita il provvedimento di appena due pagine, che pochi si sono presi la briga di leggere nonostante sia stato ampiamente diffuso dal Governo, e che ha scatenato ancora una volta un diluvio di polemiche in India e, in alcuni casi, una sorta di psicosi collettiva abilmente manovrata tramite vere e proprie campagne di disinformazione.

Una modifica alla legge sulla cittadinanza garantisce una corsia preferenziale agli immigrati illegali non musulmani

Materia del contendere, la dichiarata esclusione degli immigrati di religione musulmana visto che, specialmente in Pakistan, a essere perseguitati sono anche e soprattutto cittadini musulmani: gli ahmadi, dichiarati molti anni fa «non musulmani» e soggetti a vere e proprie persecuzioni; gli sciiti, massacrati a regolari scadenze; i balochi, i pashtun e i sindhi, soggetti a genocidio, omicidi extragiudiziali, sparizioni e torture. Il fatto che sembra sfuggire ai più è che il provvedimento è in realtà una sanatoria che riguarda soltanto gli immigrati illegali e che nessuno vieta a eventuali rifugiati di religione mu-

sulmana di richiedere asilo e cittadinanza seguendo le vie ordinarie (che li penalizzano rispetto agli altri ma non impediscono loro di ottenere la cittadinanza indiana). Da notare che il provvedimento non riguarda i cittadini indiani, a qualunque religione essi appartengano.

Ma la verità non fa vincere le elezioni che cominceranno il prossimo 19 aprile: conviene quindi alle opposizioni, a corto di idee e soprattutto di un programma elettorale qualunque, cavalcare la solita tigre del nazionalismo indù e della presunta persecuzione dei cittadini musulmani anche e perfino contro ogni logica e buon senso. Tanto che in India ormai destra e sinistra hanno connotazioni improbabili: un provvedimento come quello che aboliva una vera e propria vergogna nazionale come il cosiddetto triplo «talaq», che permetteva ai musulmani di divorziare dalle mogli dicendo semplicemente «talaq» per tre volte rendendo di fatto le donne musulmane cittadine di serie B, avrebbe in teoria dovuto essere una battaglia della sinistra. Invece la sinistra è uscita dalla Camera per non votare il provvedimento sostenendo che violava i diritti dei musulmani. E la prossima grande battaglia annunciata sarà uno dei cavalli di battaglia dell’attuale Governo: l’Uniform Civil Code. Al momento in India, Repubblica laica per definizione, ciascuna religione regola matrimoni e affini con un diverso codice di regole che valgono soltanto per gli appartenenti a quella religione e sono in molti casi in contrasto, come il triplo «talaq», con il dettato costituzionale.

E già non solo le opposizioni di sinistra protestano, ma il «Times» di Londra titolava giorni fa: «Modi vuole cancellare la sharia». Non è vero, vuole soltanto dotare di un codice civile laico uno Stato laico, ma non importa. Per inciso, non si capisce perché una democrazia laica, a qua-

lunque latitudine, dovrebbe adottare la sharia, ma tant’è. Perché la battaglia per la laicità debba ormai essere in India una battaglia della destra, è una contraddizione politica inesplorata ma gravida di conseguenze. E la stortura prodotta dall’odio feroce per Narendra Modi, così come l’ammi-

razione incondizionata e acritica dei suoi sostenitori, crea e fomenta un odio sociale e religioso che alza il tiro ogni giorno di più. Ogni singola legge o provvedimento viene letta in chiave pro-hindu o anti-musulmana, anche quando si tratta di provvedimenti che riguardano, o dovrebbero riguardare, i cittadini come tali e non come membri di una o dell’altra religione.

Al momento in India, Repubblica laica, ciascuna religione regola matrimoni e affini con un diverso codice di regole

Vale la pena di notare poi come all’India, Stato laico circondato da Repubbliche islamiche di stampo più o meno integralista, venga richiesta l’aderenza a standard non richiesti a nessun altro Paese al mondo, tranne forse a Israele. E come tutti dimentichino, più o meno convenientemente, che il sub Continente è stato diviso, su richiesta dei musulmani, su base religiosa. Così, i problemi veri passano in secondo o in terzo piano e vengono ricacciati sotto il tappeto dalla questione annosa e spesso fomentata da oltre confine del confronto tra indù e musulmani, vero o fittizio che sia. Una battaglia in cui non esistono vincitori ma soltanto vinti e in cui, a perdere, è soltanto l’India.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 29
Dove l’odio sociale e religioso dilaga India ◆ Le nuove leggi e i nuovi provvedimenti vengono letti in chiave anti-musulmana scatenando furiose polemiche Francesca Marino Spose indiane di religione musulmana a Mumbai. (Keystone) Il premier indiano Narendra Modi. (Keystone) Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide solo dal 26.3 al 1.4.2024, fino a esaurimento dello stock La gioia del cioccolato svizzero in azione. In vendita nelle maggiori filiali Migros Kägi fret 2 × 3 pezzi, 300 g 20% 5.90 invece di 7.40 conf. da 2 Kägi fret Classic 2x152g conf. da 2 20% 7.00 invece di 8.80 Annuncio pubblicitario

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1Per quanto tempo deve cuocere un uovo per diventare sodo?

Dieci minuti se si tira fuori l’uovo dal frigorifero e lo si mette direttamente nell’acqua bollente. Se si mette in acqua fredda, ci vogliono circa 6 minuti dal momento in cui l’acqua comincia a bollire. Per le uova piccole sono di solito sufficienti quattro o cinque minuti. Le uova molto grandi, invece, devono essere cotte per un minuto in più.

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Per quanto tempo posso conservare le uova sode?

Se il guscio non è danneggiato, è possibile conservare le uova sode in frigorifero per un massimo di due settimane. Se si desidera conservarle per un periodo così lungo, non bisogna però immergerle mai in acqua fredda dopo la cottura, poiché ciò ne riduce la durata di conservazione. È consigliabile utilizzare per prime le uova il cui guscio si è rotto durante la cottura, perché hanno una durata di conservazione più breve. Se le uova si conservano a temperatura ambiente, si dovrebbero consumare entro due giorni.

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Perché le uova da picnic del negozio si conservano più a lungo?

Perché durante la colorazione viene applicata sul guscio delle uova una vernice protettiva adatta per gli alimenti che prolunga la durata di conservazione delle uova sode. È consigliabile conservare queste uova in frigorifero e controllare sempre la data di scadenza.

Quanto tempo impiega un uovo a diventare sodo?

Non c’è Pasqua senza uova sode. 6 fatti che dovresti conoscere

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Come si fa a sgusciare le uova più facilmente?

Questi 4 trucchi ti possono essere utili:

1. Prendere delle uova non più freschissime. Queste sono più facili da sgusciare dopo la cottura.

2. Aggiungere un cucchiaio di aceto all’acqua di cottura. È più facile poi rimuovere il guscio.

3. Tenere le uova sotto l’acqua fredda corrente dopo la cottura. Prima però si dovrebbe colpire leggermente il guscio con un coltello o un cucchiaio in modo da incrinarlo.

4. Se si desidera sbucciare le uova in un secondo momento, è meglio tenere le uova leggermente incrinate sotto l’acqua corrente appena prima di sgusciarle.

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Perché le mie uova sode hanno un bordo verde intorno al tuorlo?

Il bordo si forma quando l’uovo è stato cotto a lungo, oltre 10 minuti. Il ferro contenuto nel tuorlo reagisce con i composti di zolfo presenti nell’albume. Tuttavia, è possibile mangiare l’uovo senza esitazioni, poiché questa reazione chimica non altera il sapore.

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Come posso evitare che le uova si rompano?

Togli le uova dal frigorifero 20 minuti prima della cottura. In questo modo riduci la differenza di temperatura tra l’uovo e l’acqua bollente. Una differenza molto elevata può portare alla rottura del guscio durante la cottura. Inoltre, non bisogna mettere troppe uova contemporaneamente nella pentola, in modo che non urtino l’una contro l’altra. L’acqua deve sobbollire dolcemente e non gorgogliare, per evitare che le uova si muovano troppo.

Testo: Claudia Schmidt

Su Migusto si possono trovare molte ricette deliziose con le uova sode:

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 31
PASQUA
Immagine: Getty Images

La Pasqua è servita

Pesce, agnello e uova: i tre simboli cristiani sono i protagonisti dei menu pasquali. Le nostre ricette per il piatto forte e per il dolce finale

Salmone glassato su nidi di pasta alle erbe

Piatto principale Per 4 persone

1 limetta 0,5 dl di salsa di soia con 43% in meno di sale

1½ cucchiai di miele di fiori liquido 2 cm di zenzero

1 cipollotto

½ peperoncino

100 g di cetrioli ca. 5 cucchiai d’olio d’arachidi sale

4 fette di salmone da ca. 150 g pepe al limone 250 g di mie noodles

Salsa alle erbe

1 mazzetto di coriandolo

2 cucchiai di semi di sesamo

50 g di spinaci per insalata

1 spicchio d’aglio piccolo

1. Spremi la limetta e mescola 2 cucchiai di succo con la salsa di soia e il miele fino a ottenere una glassa. Aggiungi lo zenzero grattugiato.

2. Per la salsa di cetriolo, trita finemente il cipollotto e il peperoncino. Taglia il cetriolo a dadini e mescolali con un po’ d’olio. Sala leggermente la salsa. Sciacqua i tranci di salmone con acqua fredda, asciugali con carta da cucina e condiscili con pepe al limone.

3. Per la salsa alle erbe, trita grossolanamente le foglie e i gambi di coriandolo. Tosta i semi di sesamo in una padella antiaderente, poi mettine da parte un po’ per guarnire. Frulla il resto con il coriandolo, gli spinaci, l’aglio, 3 cucchiai d’olio, sale. Condisci tutto con succo di limetta avanzato.

4. Lessa la pasta al dente in acqua salata per 3 minuti circa. Raccogli un po’ d’acqua di cottura prima di scolare la pasta. Nel frattempo, scalda un po’ d’olio. Rosola il salmone 3 minuti circa sul lato della pelle, giralo e abbassa la fiamma. Versa la glassa sul salmone e continua la cottura per 3 minuti circa, spennellando regolarmente il pesce con la glassa. Mescola la pasta con la salsa alle erbe e un po’ d’acqua di cottura. Con un forchettone, o una pinza, arrotola la pasta e forma dei nidi. Accomodali nei piatti, servi i tranci di salmone e cospargi il tutto con la salsa di cetriolo e i semi di sesamo.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 32 PASQUA Menu
Ricetta
Immagini: Migusto

Tartare di salmone con insalata alle erbe

A base di pochi ingredienti e veloce da realizzare, la tartare di salmone con insalata alle erbe è un antipasto gustoso perfetto anche per grandi occasioni.

Torta panna cotta alla frutta

Il fondo di pasta frolla ri coperto da un velo di cioc colato bianco accoglie la crema di panna cotta ai lamponi e pezzi di frutta fresca. Una vera delizia.

Insalata fiorita con asparagi e burrata

Ideale come antipasto, ottima come spuntino, quest’insalata mista arricchita di asparagi, pomodorini, burratine e salsa alla senape è una vera bomba.

Lombata d’agnello in salsa al balsamico

La carne d’agnello bella rosa al cuore è servita con una padellata di radicchio e ravanelli croccanti, il tutto irrorato con una delicata salsa al balsamico.

Ricetta

Nidi di meringa pasquali

Pasticceria dolce

Per ca. 9 pezzi

2 albumi

1 presa di sale

100 g di zucchero

1 cucchiaino d’aceto , ad es. di vino bianco o di mele

1. Scalda il forno ventilato a 160 °C. Su un foglio di carta da forno disegna dei cerchi di ca. 9 cm Ø un po’ distanti uno dall’altro. Gira il foglio di carta e accomodalo su una teglia. Monta gli albumi ben fermi. Aggiungi il sale, lo zucchero a pioggia e continua a montare gli albumi, finché la massa diventa bella soda e lucida. Incorpora l’aceto. Distribuisci la massa sui cerchi disegnati sulla carta e con un cucchiaio forma al centro un leggero incavo. Abbassa la temperatura del forno a 90 °C. Cuoci le mini pavlova nel forno per ca. 2½ ore, mantenendo leggermente aperto lo sportello del forno con un mestolo di legno. Spegni il forno e lascia raffreddare le meringhe nel forno.

Consigli utili

Una volta guarnite, le pavlova possono essere usate per decorare la tavola di Pasqua. Riempi ad esempio i nidi con ovetti di cioccolato o di zucchero, lemon curd, chicchi di melagrana o fiori decorativi.

Una volta essiccate, le pavlova si conservano per 2–3 giorni in una scatola ermetica.

Se il tuo forno funziona solo con lo sportello chiuso, puoi provare ad aprirlo regolarmente durante la cottura per permettere all’umidità di fuoriuscire.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 33
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Il Mercato e la Piazza

Fuga dei cervelli: l’altra faccia della medaglia

Viviamo, in Svizzera, in un sistema federalista che garantisce un grado elevato di autonomia ai Cantoni e semi-Cantoni che lo formano. Dal profilo della gestione pubblica - non staremo a dimostrarlo perché la prova domanderebbe più spazio di quello che ci concede la redazione - questo sistema è il migliore che si possa concepire. O meglio, lo sarebbe, se ogni sua unità potesse gestire e finanziare i suoi servizi pubblici in aree di mercato nettamente separate, delimitate dai confini cantonali. La separazione dovrebbe essere tale da impedire che servizi offerti e finanziati da un Cantone possano essere usufruiti da residenti in altri Cantoni. Questo non è sempre il caso. Per i servizi di livello elevato infatti le aree di mercato (i luoghi nei quali è domiciliata la loro domanda) superano facilmente i confini cantonali. Capita così che l’Università di Zurigo sia frequentata non solo

In&Outlet

da studenti e studentesse di quel Cantone, ma anche da molti giovani provenienti in particolare dai Cantoni di montagna e da quelli periferici. Questa situazione genera al Canton Zurigo oneri superiori a quelli che dovrebbe sopportare se la sua università fosse frequentata solo da zurighesi. Aggiungiamo due osservazioni. La prima per specificare che l’eccedenza di costi non concerne solo le istituzioni universitarie ma si estende a un numero abbastanza importante di servizi di livello elevato localizzati nel capoluogo economico della Svizzera. La seconda, per precisare che situazioni simili si riscontrano anche nei Cantoni di Basilea-città, Ginevra, Berna e Vaud, ossia in tutti i Cantoni che hanno per capitale una città con più di 100’000 abitanti. Per compensare queste eccedenze di costi il sistema di perequazione finanziaria della Confederazione prevede da qualche an-

no, accanto alla compensazione delle risorse, anche la compensazione degli oneri. Quest’ultima sostiene i Cantoni di montagna e i Cantoni urbani che devono confrontarsi con costi superiori alla media. Per i Cantoni urbani questi costi sono per l’appunto dovuti alla loro funzione di luoghi centrali. Ovviamente, come per la perequazione delle risorse, anche per la perequazione degli oneri si pone la questione se il contributo concesso rispecchia in grado sufficiente gli oneri sopportati. Il Canton Zurigo pensa che questo non sia il caso. Lo dimostrerebbero i risultati di una ricerca commissionata di recente dal suo Dipartimento delle finanze. Per il Canton Zurigo annualmente l’eccedenza di questo tipo di costi che dovrebbero essere finanziati da contribuenti di altri Cantoni supererebbe i 100 milioni di franchi. Per il responsabile delle finanze di quel Cantone si tratta di un contri-

Papa Francesco, dall’esilio all’ascesa

Il capitolo forse più bello e inatteso dell’autobiografia del Papa – Life. La mia storia nella Storia, pubblicata da HarperCollins – è quello dedicato al «destierro», una parola spagnola che indica l’esilio per punizione. Jorge Mario Bergoglio è stato un giovane capo dei gesuiti in Argentina. Poi è caduto in disgrazia. Forse è anche un normale avvicendamento, dopo gli anni più terribili della dittatura; anche se nel libro Bergoglio tiene a precisare di aver sempre aiutato i sacerdoti perseguitati dal regime di Videla. Fatto sta che, dopo i giorni del potere, padre Jorge viene relegato in una residenza per anziani confratelli a Cordoba, lontano dalla sua città, la capitale Buenos Aires. Sveglia alle 4.30, preghiera, bagno in comune, una piccola cella, la numero 5. Fa il confessore. E si occupa dei confratelli ammalati: li lava, dorme al loro fianco, aiuta in lavanderia. «Mettersi al servizio dei più fragili, dei più poveri, degli ultimi è

Zig-Zag

ciò che ogni uomo di Dio, soprattutto se sta ai vertici della Chiesa, dovrebbe fare: essere pastori con addosso l’odore delle pecore», scrive Bergoglio. Un giorno si offre di cucinare per il matrimonio della nipote di Ricardo, il tuttofare del convento: fa bollire la carne, pela le patate, prepara un timballo di riso. Alcuni gesuiti mormorano: «È pazzo». In realtà il futuro Papa riflette sugli errori «commessi per via del mio atteggiamento autoritario, tanto da esser stato accusato di essere ultraconservatore. Fu un periodo di purificazione. Ero molto chiuso in me stesso, un po’ depresso».

Finita la punizione, comincia l’ascesa: vescovo ausiliare di Buenos Aires, arcivescovo, cardinale. Quando papa Benedetto si dimette, Bergoglio è convocato con gli altri a Roma. Ratzinger incontra i cardinali e promette incondizionata reverenza e obbedienza al nuovo Papa. «Mi ha invece addolorato vedere, negli anni, come

Fra cretini, tiranni e macellai

Sono vecchio ormai, ci vedo sempre un po’ meno, e non solo con occhi e occhiali. Fatico anche a mettere a fuoco e a distinguere nitidamente quanto succede nel mondo, specialmente in campo politico. Ergo: ci vorrebbero lenti progressive per vedere bene da vicino e da lontano anche per i cervelli (aiuterà l’intelligenza artificiale?). Non credo di essere l’unico che fatica a capire quanto i leader e accoliti predicano a platee sempre più assordate e al tempo stesso obbligate a subire politichette fatte di scarti e predicate da scartine. Non ci accorgiamo, o perlomeno fatichiamo ad ammetterlo, che la politica è in balia di partiti cannibali, a dominare sono gli eccessi e gli interrogativi prodotti da populismi ingordi e ormai cavalcati da nuovi estremismi sempre più pericolosi, sempre più incombenti e minacciosi. Siamo approdati ai citrul-

li che per sdoganare il loro fascismo arrivano a dire che in fondo anche Mussolini qualcosa di buono l’ha fatto. E, immancabile, la stessa bestialità arriva, proposta e rafforzata, da un ex-presidente americano che insegue una mala-rielezione, dicendoci che anche Hitler in fondo... Queste rivisitazioni falsamente estemporanee mi procurano paure e rabbia, anche perché proposte da un’orgia mediatica con la comoda etichetta della libertà di espressione. Se poi le penso senza vergogna, cioè prive di contraltare, nelle menti, nelle dichiarazioni e sempre più anche nelle violenze di certi nostalgici, mi chiedo chi potrà mai misurare e curare i danni che questo magma di veleni sta causando nelle menti di tanti giovani in attesa di riferimenti o esposti a ogni infatuazione. Cercando risposte ho trovato un po’ di conforto nell’ultima raccolta di

buto supplementare che dovrebbe essere aggiunto ai 402 milioni di franchi che il Cantone deve versare ogni anno, ai sensi della legge, se si volesse calcolare la portata del contributo effettivo del Canton Zurigo alla perequazione finanziaria intercantonale. Più di tre quarti di questi costi supplementari sono rappresentati dalle somme che il Cantone deve sopportare per il finanziamento dell’Università e delle Scuole universitarie professionali, due tipi di istituzioni accademiche che, come abbiamo già ricordato, sono largamente frequentati da studenti e studentesse provenienti da altri Cantoni. Inoltre, per il ministro delle finanze zurighese i 100 milioni di costi supplementari non rappresenterebbero che una parte degli aggravi che il suo Cantone deve finanziare in seguito all’importanza della città di Zurigo nell’offerta di servizi centrali ad alto livello. Egli chiede quindi che i criteri

con i quali l’attuale legge stima l’importo dei contributi per la compensazione di oneri siano rivisti per tener conto anche dei costi eccedentari delle università.

Ma chi dovrebbe assumersi questi costi di centralità eccedentari? È evidente che i Cantoni che profittano dei servizi di alto livello offerti da Zurigo non saranno per niente disposti a cofinanziarli. Essi faranno valere che una quota importante dei loro giovani che frequentano le università zurighesi intraprendono in seguito la loro carriera a Zurigo assicurando così una parte significativa del benessere economico della città. Come si può vedere dall’esempio di Zurigo, il dibattito sulla fuga dei cervelli dai Cantoni periferici e di montagna ha quindi anche un rovescio della medaglia nelle rivendicazioni per ottenere che i servizi centrali offerti da quel Cantone siano meglio compensati.

la sua figura di Papa emerito sia stata strumentalizzata con scopi ideologici e politici da gente senza scrupoli che, non avendo accettato la sua rinuncia, ha pensato al proprio tornaconto e al proprio orticello da coltivare, sottovalutando la drammatica possibilità di una frattura dentro la Chiesa». Lo dice Francesco che, per evitare questa deriva, va subito a trovare Benedetto a Castel Gandolo. «Decidemmo insieme che sarebbe stato meglio che non vivesse nel nascondimento, come aveva inizialmente ipotizzato, ma che vedesse gente e partecipasse alla vita della Chiesa. Purtroppo servì a poco, perché le polemiche in 10 anni non son mancate e hanno fatto male a entrambi». Nel libro ci sono anche importanti rivelazioni sul conclave del 2013: «Alla prima votazione fui quasi eletto, e a quel punto si avvicinò il cardinale brasiliano Claudio Hummes e mi disse: “Non aver paura, eh! Così fa lo Spirito Santo!”. Poi, alla terza vota-

zione di quel pomeriggio, al settantasettesimo voto, quando il mio nome raggiunse i due terzi delle preferenze, tutti fecero un lungo applauso. Mentre lo scrutinio continuava, Hummes si avvicinò di nuovo, mi baciò e mi disse: “Non dimenticarti dei poveri…”. E lì ho scelto il nome che avrei avuto da Papa: Francesco». Tra i brani più significativi dell’autobiografia, ci sono quelli in cui Francesco conferma la sua apertura agli omosessuali: «Immagino una Chiesa madre, che abbracci e accolga tutti, anche chi si sente sbagliato e chi in passato è stato giudicato da noi. Penso alle persone omosessuali o transessuali che cercano il Signore e che invece sono state respinte o cacciate». Il Papa conferma «le benedizioni alle coppie irregolari: voglio soltanto dire che Dio ama tutti, soprattutto i peccatori. E se dei fratelli vescovi decidono di non seguire questa strada, non significa che questa sia l’anticamera di

di Ovidio Biffi

scritti di un illuminato Ennio Flaiano che, già un anno prima della fine del Fascismo in Italia, scriveva queste considerazioni: «Mussolini, speriamolo, ci ha insegnato che, mancandoci il rispetto per le idee altrui, rispetteremo assai poco le nostre. E che l’intolleranza reciproca porta un intollerante al Governo. Ho notato a proposito di intolleranza che in Italia non esistono avversari ma solo “cretini”. Chi non la pensa come me è un cretino. Io, a mia volta, sono un cretino per tanti altri. E non ci salviamo nessuno, a quanto sembra. Però se uno straniero mette in dubbio le nostre qualità, eccoci in coro patriottico a tirar fuori la tradizione, la civiltà millenaria, la cultura e la ben nota intelligenza dell’italiano. Passato il pericolo, coperto l’oppositore con una biblioteca di documenti, daccapo siamo tutti cretini». Ottanta anni dopo, un affresco attualissimo.

Più recenti gli ammonimenti vergati da Yuri Bezmenov, un giornalista ex-agente del KGB sovietico fuggito in Occidente e morto nel 1993 in Canada. Partendo dall’analisi del suo lavoro all’interno dei servizi segreti dell’Urss (una culla in cui è cresciuto anche Putin) Bezmenov segnalava che oltre tre quarti delle azioni dell’intelligence sovietica non erano legate o finalizzate allo spionaggio ma a preparare una futura guerra ideologica. Obiettivo principale: cambiare la percezione della realtà di noi occidentali in modo che «nessuno sia più in grado di giungere a conclusioni sensate». Questo perché una persona demoralizzata e stanca, non essendo più in grado di valutare i fatti, capirà solo quando sarà tardi di essere in una dittatura. Secondo i calcoli del Kgb, dopo un lasso di tempo fra i 2 e i 5 anni, riluttanza e stanchez-

uno scisma, perché la dottrina della Chiesa non viene messa in discussione». Il matrimonio omosessuale non è possibile, ma le unioni civili sì: «È giusto che queste persone che vivono il dono dell’amore possano avere una copertura legale come tutti. Gesù andava spesso incontro alle persone che vivevano ai margini, ed è quello che la Chiesa dovrebbe fare oggi con le persone della comunità LGBTQ+, che all’interno della Chiesa sono spesso marginalizzate: farle sentire a casa». Quanto alle dimissioni, Bergoglio scrive che non ci pensa nemmeno: per lui il papato deve essere a vita. Potrebbe dimettersi solo in caso di grave impedimento di salute. In tal caso, non vorrebbe essere chiamato Papa emerito, come Ratzinger, ma «vescovo emerito di Roma»; e si ritirerebbe nella sua basilica romana preferita, santa Maria Maggiore, per riprendere a fare il confessore. Come negli anni del «destierro».

za diffuse nella maggioranza delle popolazioni consentiranno di indebolire eserciti, economie e i legami con l’estero, ma soprattutto di insediare un dittatore che promette cambiamenti e un ritorno alla normalità. Bezmenov presentava questa strategia (nel 1984) anche come un’imminente minaccia di occupazione sovietica degli Stati Uniti. Riletta oggi, abbinata a quanto Trump sta predicando agli americani, fa temere che ciò possa in qualche modo entrare nelle future strategie da dittatore di Putin. Per scacciare pensieri e paure uso le lenti progressive del Mahatma Gandhi: «Quando dispero, io ricordo che nel corso di tutta la storia la via dell’amore e della verità ha sempre trionfato. Ci sono stati tiranni e macellai, e per un po’ possono sembrare invincibili, ma la conclusione è che cadono sempre. Riflettici. Sempre!».

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 35 ATTUALITÀ / RUBRICHE ◆ ●
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di Aldo Cazzullo
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La tenacia di Odin

La scorsa settimana il Teatro Foce di Lugano ha ospitato Eugenio Barba nel quadro di un denso programma itinerante creato per ricordare i 60 anni dell’Odin Teatret

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Lucky Love, camaleontico e intenso Ritratto del cantante francese che in un’epoca «ad alto voltaggio mediatico» con le sue molteplici incarnazioni artistiche è un inno spontaneo alla vita e all’inclusione

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Le notti di Parigi nell’occhio vivo di Brassaï

Mostre ◆ Le immagini iconiche del grande fotografo ungherese protagoniste a Palazzo Reale

Elio Schenini

In una notte d’autunno del 1930, mentre l’oscurità veniva ricacciata al di là degli ampi e maestosi boulevard dalla miriade di luci che ogni sera trasformavano Parigi in una vera e propria ville lumière – da quelle dei lampioni a gas che i lampionai accendevano ancora a mano al calar della sera a quelle delle lampadine elettriche che ormai si inerpicavano fino in cima alla Tour Eiffel – solo pochi passanti infreddoliti si accorsero del lampo prodotto dalla polvere di magnesio che bruciava in cima ad una torcia che un uomo teneva sollevata sopra la sua testa in un vicolo buio di Montmartre. Nello stesso istante in cui il bagliore biancastro del magnesio squarciava l’oscurità, rivelando una donna dal seno opulento stretto in uno striminzito maglioncino a righe ritta in piedi sul cordolo in pietra del marciapiede, l’uomo avvolto in un pesante cappotto di lana che stava a fianco di quello che reggeva la torcia premette la leva di scatto di una Voigtländer Bergheil issata su un treppiede di legno. Quell’uomo, dallo sguardo profondo e gli occhi leggermente sporgenti, si chiamava Gyula Halasz, ma di lì a poco, quando le sue fotografie cominceranno ad essere pubblicate su «Minotaure», la rivista surrealista fondata da Albert Skira e André Breton, si farà chiamare unicamente Brassaï, da Brasso, il nome del villaggio ungherese in cui era nato.

La sua aspirazione era quella di cercare di estrarre dal buio della notte le immagini di una realtà che avesse il dono di apparire mai vista

La notte parigina aveva affascinato e sedotto fin da subito questo giovane aspirante artista, che, dopo gli studi alle Accademie di belle arti di Budapest e di Berlino, nel 1924 si era trasferito nella capitale francese, dove si manteneva scrivendo reportage per giornali sportivi ungheresi e per riviste tedesche. Il suo sogno era quello di potersi dedicare alla pittura, alla scultura e al disegno, oltre che alla scrittura, lui che era figlio di un professore di letteratura francese, ma la notte parigina con il suo «aroma acre e nostalgico», con la sua umanità varia, fatta di prostitute, protettori, delinquenti, amanti, vagabondi, ballerine, omosessuali, operai, lo aveva attratto fatalmente. E così aveva iniziato a trascorrere le nottate percorrendo in lungo e in largo le rive del canale Saint-Martin, salendo e scendendo le scalinate di Montmartre per infilarsi in cabaret e bordelli, oppure soffermandosi ad osservare le coppie che si scambiavano sguardi carichi di desiderio ed effusioni nei café

e nei bistrot di Montparnasse, spesso da solo, altre volte accompagnato dagli amici artisti e letterati che aveva conosciuto all’Hotel des Terrasses, dove alloggiava. Amici del calibro di Raymond Queneau, Henri Michaux, Jacques Prévert, Hans Reichel e Henry Miller.

Ma erano state alcune passeggiate per le strade di Parigi con un suo conterraneo, il fotografo ungherese André Kertész, a spingerlo definitivamente tra le braccia della fotografia, facendogli capire che più che i pennelli e le matite era l’obiettivo di un apparecchio fotografico l’unico strumento in grado di cogliere la misteriosa trasfigurazione a cui la notte

sottoponeva anche la quotidianità più banale e sordida.

Da quel momento le sue peregrinazioni notturne divennero ancora più frequenti e prolungate. La sua aspirazione era quella di cercare di estrarre dal buio della notte le immagini di una realtà che avesse il dono di apparire mai vista, sconfinando così in una dimensione fantastica che non a caso i surrealisti avevano amato immediatamente. Per farlo Brassaï utilizzava strategie diverse. A volte, come nel caso dei ritratti di prostitute sui marciapiedi, scolpiva la florida plasticità del soggetto con la luce fredda e cruda del flash, altre volte, per fare in modo che la tenue lumi-

nosità ambientale facesse emergere in tutta la loro morbidezza i profili delle case e dei palazzi, le arcate massicce dei ponti, gli alberi sprofondati nella nebbia o i selciati umidi di pioggia, lasciava l’otturatore aperto per tutto il tempo necessario a fumare una Gauloise o, se il contesto era particolarmente buio e necessitava di un tempo di esposizione ancora più lungo, di una Boyard.

Il risultato di quel periodo così intenso fu un libro pubblicato nel 1932, Paris de nuit, che oltre a mostrare la notte come nessuno aveva mai fatto fino ad allora, è anche un piccolo gioiello della tipografia modernista di quegli anni, con le fotografie

riprodotte al vivo, la stampa in heliogravure che riesce a dare ai neri una profondità altrimenti impensabile, la rilegatura affidata a una spirale metallica che permette di aprire completamente le pagine favorendo la visione delle immagini.

Una mostra che merita di essere vista perché composta da stampe dell’epoca, quindi prodotte direttamente da Brassaï o sotto la sua supervisione

Ma ben presto Brassaï non fu più solo il fotografo della notte, la sua collaborazione con «Minotaure» lo spinse ad affrontare anche altri soggetti. In primo luogo i ritratti di artisti e intellettuali che da quel momento divennero uno dei suoi temi preferiti e nel cui elenco compaiono i maggiori rappresentati del mondo artistico e letterario di quegli anni, da Picasso, con il quale rimase legato da una profonda amicizia e di cui fotografò tutte le sculture, a Matisse, da Braque a Giacometti, da Samuel Beckett a Jean Genet. Nei decenni successivi la sua fama di fotografo si consolidò definitivamente anche al di fuori della Francia portandolo a collaborare alla rivista americana «Harper’s Bazar» con reportage da varie parti del mondo. Tuttavia il suo lavoro continuò ad essere legato a quel mondo della strada che aveva segnato i suoi esordi, come testimonia la serie dei Graffiti, vero e proprio scavo archeologico nell’inconscio sociale, realizzata sull’arco di più di vent’anni e raccolta in volume nel 1960.

Quest’anno in cui non solo ricorrono i cent’anni dalla nascita del Surrealismo, ma anche dall’arrivo di Brassaï a Parigi, un’ampia selezione del suo lavoro fotografico, oltre ad alcuni esempi della sua produzione artistica, si possono ammirare a Milano nelle sale di Palazzo Reale, in una mostra curata da Philippe Ribeyrolles, nipote del fotografo. Una mostra che merita di essere vista anche perché composta unicamente da stampe dell’epoca, quindi prodotte direttamente da Brassaï o sotto la sua supervisione, a differenza della deprecabile abitudine, piuttosto diffusa negli ultimi anni, di mostrare il lavoro di grandi fotografi del passato utilizzando riproduzioni recenti che non rispettano i formati e le tecniche di stampa previste originariamente dal loro autore.

Dove e quando

Brassaï. L’occhio di Parigi Palazzo Reale, Milano, fino al 2.6.2024.

Orari: ma-do 10.30-19.30, gio chiusura 22.30. www.palazzoreale.it

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 37
CULTURA
Le Baiser, c. 1935-37 (© Estate Brassaï Succession - Philippe Ribeyrolles)

«Hesse sarà annoverato tra i grandi

Feuilleton ◆ Il museo Hesse di Montagnola si appresta ad inaugurare la prima grande mostra firmata da Marcel Henry che coinvolge il maggiore

Se, come scrive Hermann Hesse nella sua poesia Gradini «in ogni inizio abita una magia», questo sembra valere per il Museo di Montagnola ed in particolare per il suo direttore Marcel Henry che ad un anno dal suo insediamento si appresta ad inaugurare la sua prima importante mostra dal titolo Dove c’è Hermann Hesse, c’è Volker Michels –Curatore e pioniere di uno scrittore intramontabile. Il titolo non è casuale perché Volker Michels, classe 1943, per una vita redattore di letteratura tedesca per il Suhrkamp Verlag, è oggi tra i maggiori conoscitori dell’opera e della vita del premio Nobel per la letteratura. È lui l’autore della raccolta delle Opere complete (uscite in tedesco in 20 volumi) e delle lettere (uscite in 8 volumi) ma è anche il creatore dell’archivio che raccoglie l’eredità letteraria e artistica di Hesse. Soprattutto Volker Michels – grazie al suo lavoro e alla sua dedizione – negli ultimi cinquant’anni ha avuto il merito di riabilitare da un lato l’immagine di Hesse, spesso legata al clichè dell’autore introspettivo perso nelle mistiche orientali e slegato dalla realtà, dall’altro di valorizzarne l’opera, mostrandone le diverse sfaccettature e la ricchezza tematica mettendo in evidenza lo spessore letterario. Lo abbiamo sentito in anteprima.

Volker Michels potremmo dire che ha dedicato tutta la sua vita a Hermann Hesse?

Sono posseduto dalla letteratura sin dai tempi della scuola e la mia grande fortuna è stata l’opportunità di lavorare per il Suhrkamp Verlag. Questo ha fatto sì che mi dedicassi non soltanto a Hesse ma a tanti autori del cuore come Thomas Mann, Stefan Zweig, Robert Walser e molti altri. Certo Hesse è stato il più produttivo e l’autore di maggior successo anche nelle vendite ed essendo le case editrici delle realtà commerciali, questo nel tempo mi ha permesso di concentrarmi sempre di più sulla sua opera specializzandomi al punto da pubblicare nei decenni la prima edizione completa in 20 volumi delle sue opere.

Nè valsa la pena dedicare tutta la vita a Hesse e alla letteratura? La letteratura è un enorme arricchimento per la vita. Ogni autore riesce a cogliere sfumature e sfaccettature diverse di tutta la molteplice realtà che ci circonda e i maestri hanno la capacità di restituirle, di rappresentarle, di portarle all’attenzione della nostra coscienza regalandoci un incredibile valore aggiunto in termini di qualità di vita.

Come è iniziata la sua relazione con Hesse?

Con una lettera. Avevo quattordici anni e come lui frequentavo un collegio. Rimasi molto impressionato dal fatto che mi rispose, che si prese il tempo e le attenzioni per rispondere ad un ragazzino qualunque. Già ai quei tempi conoscevo alcuni passaggi della sua storia del Seminario Evangelico di Maulbronn pubblicati nel 1903 nel volume Unterm Rad (Sotto la ruota), un libro che avevo desiderato per Natale e nel quale trovai molti parallelismi. Mi identificai

con i due personaggi principali Hans Giebenrath e Hermann Heilner, nei quali Hesse aveva rappresentato se stesso e i suoi conflitti esistenziali. Lo sappiamo, i genitori volevano che Hesse continuasse la tradizione religiosa di famiglia, ma lui si oppose dicendo che sarebbe diventato un poeta o niente. Questo suo rifiuto alla conformazione, a ciò che è usuale, mediocre e promettente lo accompagnerà per tutta la vita rispecchiandosi tanto nel suo atteggiamento quanto nelle opere. Ed è proprio

questo suo bisogno di affermazione che negli anni e in tutto il mondo gli ha consentito di conquistare sempre nuovi giovani lettori.

Quando è iniziata la sua avventura alla casa editrice Suhrkamp? Correva l’anno 1969 quando per la prima volta entrai nella casa editrice di Francoforte Suhrkamp e Insel. Sebbene Hesse fosse già premio Nobel per la letteratura nel 1946, negli anni Sessanta la casa editrice favorì autori più giovani come Ber-

tolt Brecht, Max Frisch, Uwe Johnson, Martin Walser e Peter Weiss. Un giorno l’editore Siegfried Unseld, il successore di Peter Suhrkamp, mi chiese cosa pensavo di Hermann Hesse, quali aspetti della sua opera, a mio avviso, avrebbero offerto la maggiore attrazione e le migliori opportunità di vendita. Gli ho parlato della lungimiranza politica del poeta, del suo deciso distanziamento dal nazismo e dagli avvenimenti tedeschi, della sua visione cosmopolita e interconfessionale del mondo con quello sguardo rivolto alle culture asiatiche, affascinante per qualsiasi lettore.

Perché serviva spiegare quali erano i punti forti di un autore come Hesse per altro già premio Nobel? Nel clima di quegli anni, parlo del ‘68, gli anni delle rivolte studentesche, la guerra in Vietnam, Hesse era visto come un autore introspettivo, escapista, in fuga dal mondo e ritirato nella tranquilla Svizzera. Il mondo letterario tedesco nutriva nei suoi confronti molti pregiudizi. Il critico letterario tedesco Marcel Reich-Ranicki un giorno mi disse: «Hesse non ha scritto una sola frase che valga la pena citare e se lei ha intenzione di

occuparsi di questo autore può mettersi subito a fare propaganda». Un altro autore mi disse: «Da questo cumulo di cenere vuole tirare fuori una goccia di sangue?». Persino Unseld, che conosceva bene Hesse, perché su di lui fece il suo lavoro di dottorato, all’inizio fu scettico. Ci venne in aiuto la rinascita di Hesse negli USA che dopo la guerra nel Vietnam lo rivalutò.

Sorprende molto la posizione di un’istituzione letteraria come Marcel Reich-Ranicki… Fino alla sua morte si è sempre opposto al successo di Hesse, non poteva sopportare che a livello internazionale raggiungesse la stessa fama e popolarità del prediletto Thomas Mann. Ma le prime pubblicazioni che decidemmo di far uscire in formato tascabile in Germania incontrarono un grande favore di pubblico.

Anche la clamorosa copertina che gli dedicò «Der Spiegel» nel 1958, non favorì Hesse. Come andò? L’edizione uscì nel luglio di quell’anno. L’autore, anonimo, lo banalizzò trasformando Hesse in un giardiniere incompetente, uno gnomo da

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Natascha Fioretti Volker Michels

grandi della letteratura»

maggiore conoscitore dell’opera e della figura del premio Nobel per la letteratura

giardino tra i vincitori del Premio Nobel, che non meritava di essere preso sul serio perché al di sotto della dignità di qualsiasi intellettuale. Scrissi in risposta una dura lettera che venne cestinata dalla redazione. «Der Spiegel» – che vendeva milioni di copie ed era particolarmente popolare tra gli intellettuali – con quella pubblicazione danneggiò molto l’immagine di Hesse impedendo per decenni a venire un coinvolgimento e un apprezzamento dell’autore e delle sue opere tra gli accademici e i giornalisti tedeschi. Le università lo etichettarono come un autore dell’interiorità distaccato dal mondo.

È vero che la morte di Marylin Monroe, avvenuta il 4 agosto del 1962, pochi giorni prima quella di Hesse il 9 agosto, in Germania fece più notizia?

Naturalmente. I nostri media non facevano che parlare di lei mentre la nostra stampa titolava «Grazie a Hermann Hesse non si vincono più vasi di fiori» (Mit Hermann Hesse ist kein Blumentopf mehr zu gewinnen, «Die Zeit») oppure lo definiva «l’autore della miseria individuale» (Autor des individuelle Katzenjammers «Süddeutsche Zeitung») .

Gradini

Come ogni fior languisce e giovinezza cede a vecchiaia, anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce, insieme ad ogni saggezza e virtù, né può durare eterna.

Quando la vita chiama, il cuore sia pronto a partire e a ricominciare, per offrirsi sereno e valoroso ad altri, nuovi vincoli e legami

E in ogni inizio abita una magia che ci protegge e a vivere ci aiuta. Dobbiamo attraversare spazi e spazi, senza fermare in alcun d’essi il piede, lo spirito universal non vuol legarci, ma su di grado in grado sollevarci.

Appena ci avvezziamo a una sede rischiamo d’infiacchire nell’ignavia: sol chi e’ disposto a muoversi e partire vince della consuetudine la paralisi. Forse il momento stesso della morte ci farà andare incontro a nuovi spazi: della vita il richiamo non ha fine.... Su, cuore mio, congedati e guarisci… (Hermanne Hesse, 1941)

Quando c’è stata un’inversione di tendenza?

È stato un cambiamento progressivo. Decisiva è stata sicuramente la pubblicazione della sua opera completa in 20 volumi uscita per Suhrkamp agli inizi degli anni 2000. Due o tre anni prima della sua morte l’editore Unseld mi disse: «Questa raccolta è due volte più estesa e più ricca di tutte le edizioni che Hesse pubblicò in vita». Hesse era molto autocritico e metà della sua opera, per certi versi la più interessante, e mi riferisco ai suoi articoli politici degli anni Sessanta, alle sue oltre tremila recensioni, a tutta la sua critica letteraria apparsa su giornali e riviste, tutto questo non si conosceva. Noi siamo riusciti a restituire per la prima volta un’immagine più sfaccettata che andava oltre l’autore dei romanzi e dei racconti.

Di Hesse quali opere predilige? Ama di più la sua prosa o la sua poesia?

Hesse ha scritto moltissime liriche. Secondo un sondaggio, tra le poesie più amate dai tedeschi al primo posto c’è Stufen (Gradini) Io però prediligo la sua prosa e in particolare opere come Der Kurgast (La cura) che ha una vena molto ironica oppure quelle più

note come Der Steppenwolf (Il lupo della steppa) o Siddharta o i suoi primi racconti intrisi in modo peculiare – come poche altre opere di quella generazione – del patrimonio della cultura tedesca.

Come definisce la sua scrittura?

Le opere di Hesse sono facili da leggere. Sono semplici e inequivocabili. Non nasconde nulla in metafore remote e di difficile interpretazione. Con un linguaggio vivido, caratterizzato da un vocabolario invidiabilmente ricco, esprime lo Zeitgeist della sua epoca con i travagli personali che ne derivano. I libri di Hesse sono terapeutici, tentativi di autosalvataggio che possono essere compresi da lettori con il più disparato bagaglio personale e culturale.

A livello umano e personale, invece, cosa contava di più per Hesse?

La coscienza interiore è sempre stata la sua bussola più importante. Rifuggiva comodità e compromessi, era contrario alla guerra e a qualsiasi forma di violenza.

Abbiamo esordito dicendo che ha dedicato la sua vita a studiare e approfondire l’opera di Hesse. Specchio e testimonianza di questa sua passione è anche l’Editionsarchiv di Offenbach am Main… Lo abbiamo creato a partire dagli anni Settanta con mia moglie, la redattrice e autrice Ursula Michels-Wenz, e con la collaborazione di Heiner Hesse, il figlio di Hermann Hesse. L’archivio comprende tutto ciò che è stato possibile ricercare e scoprire sul premio Nobel negli ultimi decenni. Scopo dell’archivio delle edizioni è rendere accessibile e far conoscere l’opera di Hesse in tutta la sua varietà e ricchezza.

Le lettere di Hesse ne costituiscono una parte importante?

Ci sono cento faldoni con le lettere di Hesse dal 1881 al 1962. Il ritrovamento delle lettere, l’inventario delle risposte alle lettere e alle domande dei suoi lettori è il risultato più entusiasmante della collezione. Le ettere non sono meno ricche delle sue pubblicazioni e non solo sono estremamente produttive dal punto di vista autobiografico, ma sono anche fonte di un’ampia varietà di volumi tematici con dichiarazioni su tutte le questioni esistenziali a lui care. Ricevo lettere o telefonate di persone che nei dieci volumi già usciti (che contengono solo una parte dei carteggi), non trovano ad esempio quella di un loro famigliare. Gli dico: «Per vederla pubblicata deve inviarmela…». E cosi il volume delle lettere cresce.

E lei non si ferma mai…

Ho 81 anni, spero che mia figlia porti avanti l’archivio che per me è stato un compito incredibilmente bello e significativo. Persona profondamente empatica, Hesse era mosso da un grande senso etico, proprio come Mann e Zweig aiutava gli emigranti meno fortunati e in difficoltà. Non vivrò abbastanza per vedere che Hesse, alla stregua di Mann, Musil e Kafka, sarà annoverato tra i grandi della letteratura del Ventesimo secolo. Accadrà, ma non vivrò abbastanza per vederlo.

Un passo alla volta

Incontri ◆ Marcel Henry ci racconta le sue idee e i suoi progetti per un museo letterario moderno

Classe 1977, bernese, disinvolto nel parlare un ottimo italiano, sempre sorridente, spirito mite e vigile allo stesso tempo, dal gennaio 2023 Marcel Henry è il direttore artistico e operativo del Museo Hesse di Montagnola. Un dottorato in storia dell’arte, quindici anni di esperienza nella pianificazione e realizzazione di mostre e progetti culturali in tutte le regioni linguistiche della Svizzera, oggi in movimento tra Lugano e Basilea, con questa sua prima importante mostra Dove c’è Volker Michels c’è Hermann Hesse segna una chiara impronta che – senza stravolgere le tradizioni – guarda al futuro gettando radici profonde. Le radici profonde sono date dalla volontà – così ci dice Marcel Henry durante il nostro incontro – «di raccontare la storia della ricezione di Hesse e delle sue opere da parte del grande pubblico e della critica», lo sguardo al futuro si evince dall’allestimento che non prevede le classiche vetrine, l’esposizione di oggetti o di stampe, ma delle installazioni video diffuse nel museo – nei suoi diversi piani – al fine di costruire un percorso narrativo. «Vogliamo aprire una nuova strada per avvicinare la letteratura a un vasto pubblico in maniera più accessibile. E vogliamo farlo un passo alla volta perché il pubblico va accompagnato». Nei vari monitor comparirà Volker Michels che, in dialogo con le nuove generazioni, rivelerà il suo modo di preservare l’eredità letteraria di Hermann Hesse.

Al Museo di Montagnola dunque è in atto un’evoluzione che nasce soprattutto dalla voglia di parlare anche ad un pubblico più giovane e in particolare di rendere la letteratura più attraente o, per usare le parole di Marcel Henry, «più catchy (accattivante), più moderna. Per me la letteratura o è davvero on the edge (all’avanguardia), sia a livello intellettuale che estetico, o è molto classica. Nel tempo vorrei portare il museo più nella prima direzione».

Marcel Henry riguardo alla mostra co-curata con Céline Burget sottolinea l’intento di voler aprire lo sguardo su Hesse facendo chiarezza su più di un luogo comune: «Oggi molto spesso è concepito come un autore romantico, ma Hesse era molto altro e Volker Michels ci aiuterà a fare chiarezza, ci aiuterà a ricomporre la sua complessità che spesso è stata ridotta e frammentata in tanti pezzetti, in tante pubblicazioni minori su di lui come se fossero delle scatole di praline. Una via l’altra, come le sue citazioni. Scopriremo anche i suoi testi politici e le sue lettere». Nel parlare della mostra, Marcel Henry esprime tutta l’emozione e l’entusiasmo per quella che sarà una prima, il primo tassello di un progetto che a breve termine guarda al 2027 – l’anno del 150esimo anniversario dalla nascita

di Hesse – ma va anche oltre perché il direttore ha il fare di chi pianifica attentamente e ama la cura per i dettagli.

Le sfide non mancano, non è facile cambiare dopo una direzione – quella di Regina Bucher – durata 24 anni, in particolare in tempi in cui tutte le istituzioni culturali – e non solo – cercano nuove strade per attirare il pubblico, in particolare appassionare quello giovane. Inoltre, per quanto Marcel Henry conosca bene la lingua, anche la conoscenza del territorio e dei suoi attori culturali rappresentano una bella sfida. «Su questo fronte ci stiamo già muovendo. Lo scorso 9 febbraio all’interno del ciclo di eventi Lettera Talk abbiamo organizzato un incontro alla Biblioteca cantonale di Lugano sul tema del cambiamento climatico nella letteratura di lingua italiana. Nei giorni scorsi invece – nell’ambito degli Eventi Letterari – eravamo presenti al Monte Verità con un’installazione video nella Casa dei Russi. Abbiamo presentato il film d’animazione Surprise/Innocence dell’artista ginevrino Paul Paillet, su colonna sonora accompagnata dalle voci dei membri del gruppo K-pop BTS, che leggono estratti dal romanzo Demian (1919)».

Tra le varie idee che muovono i pensieri di Marcel Henry c’è quella di un museo diffuso che fuoriesce dalle sue mura istituzionali per raggiungere il suo pubblico in diversi luoghi di Montagnola.

Il tempo ci svelerà tutti gli intenti e i progetti. Intanto Marcel Henry non ha dubbi: «Il nostro museo deve risvegliare la curiosità e la voglia di leggere, di andare in profondità. Ma la lettura è una cosa da riscoprire a casa, magari seduti in poltrona con un buon bicchiere di vino. Il museo è fatto per vedere, per toccare, per fare esperienza».

In chiusura non possiamo non chiedere a Marcel Henry di raccontarci il suo rapporto con l’opera di Hesse. «In gioventù mi ha appassionato Demian e a Natale usavo le citazioni di Hesse per i biglietti di Natale a mia madre. Poi l’ho perso un po’ di vista. Oggi mi affascinano molto i suoi testi sulla natura come Stunden im Garten (In giardino) che trovo un’opera fantastica oppure il più famoso Das Glasperlenspiel (Il giuoco delle perle di vetro) e naturalmente le sue lettere.

Dove e quando

Dove c’è Hermann Hesse, c’è Volker Michels – curatore e pioniere di un autore intramontabile, Museo Hermann Hesse Montagnola. Dal 30 marzo 2024 al 2 febbraio 2025. Informazioni www.hessemontagnola.ch

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Keystone Museo Hesse

50 ANNI

Buono come Cantadou… c’è solo Cantadou!

Concediti la semplicità della gioia di vivere provenzale.

Gli abitanti della Provenza hanno un’indole particolare. Sono socievoli, attribuiscono importanza alla tradizione e apprezzano la bellezza delle cose semplici e il buon cibo. Cantadou si ispira ogni giorno a questa filosofia di vita: dovresti provarci anche tu.

Chiudi gli occhi. Pensa alla Provenza. Vedi i campi di lavanda, gli oliveti, i colori? Avverti il calore del sole sulla pelle? Senti le cicale che cantano? Senti l’atmosfera tipica delle vacanze che ti pervade? No? Allora è proprio giunto il momento di provare Cantadou ancora una volta. Porta la Provenza in tavola e la gioia di vivere mediterranea nel cuore con Cantadou.

Cantadou, però, non ti trasporta solo in luoghi lontani, ma ti permette anche di tornare alla tua infanzia. Gli involtini di carne della mamma, i maccheroni dell’alpigiano del campo estivo o la torta salata al porro e salmone della nonna: con le nostre ricette, cucinarli è semplicissimo. Esatto, persino il famoso panino con Cantadou di papà. A ogni morso, riaffiorano i ricordi: le pietre messe in fila per attraversare il ruscello, il primo amore ai tempi della scuola o uno scherzo ben riuscito. Il sapore della nostalgia può essere meraviglioso.

Celebra con noi la semplicità della gioia di vivere, del gusto e del divertimento. Questa è la nostra promessa, e la manteniamo ormai da 50 anni.

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«È impossibile immaginare la tavola della nostra famiglia senza Cantadou. Non di rado discutiamo per decidere chi possa mangiare Cantadou con il cucchiaio.»

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«Sin dall’infanzia, per noi Cantadou è semplicemente perfetto spalmato su una buona fetta di pane al burro del panettiere, tutti i fine settimana.»

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I maiali salgono al potere

Opera ◆ Grande successo per la prima viennese di Alexander Raskatov

Francesco Hoch

Quando un Teatro d’opera crede profondamente nella propria produzione di un lavoro contemporaneo, anche se dedicato alla generale violenza politica dal secolo scorso fino ai nostri giorni, comprendiamo il coraggio di aver voluto esporre in gran parte della città, Vienna (come nella foto), il suo grande manifesto che recita: «Die Schweine erringen die Macht und du schaust zu» («I maiali conquistano il potere e tu stai a guardare»).

L’impegno profuso lo ritroviamo nel voluminoso programma che prolunga la storia di Animal Farm, scritta negli anni 40 da George Orwell, fino alla recente morte di Navalny con uno scritto dal titolo esplicito, La trappola di Putin. E il 28 febbraio abbiamo assistito alla prima di quest’opera al Teatro dell’Opera di Stato di Vienna, scritta recentemente dal compositore russo Alexander Raskatov.

Commissionata dall’Opera di Amsterdam, dalla stessa Wiener Staatsoper e dal Teatro Massimo di Palermo, Animal Farm dopo il grande successo viennese con il tutto esaurito, proseguirà il suo viaggio oltre questi Teatri verso altre tappe europee, compresa Helsinki.

«La mia opera è rimasta attualissima; la storia delle dittature prosegue, basti pensare alle guerre in corso. D’altronde ho scelto proprio il romanzo di George Orwell perché troviamo una previsione verso un futuro simile che siamo di nuovo obbligati a subire»

Lo stile musicale di quest’opera proviene senza dubbio dai fondamenti storici della musica contemporanea e non da una struttura compiacente, come spesso avviene, per facilitarne l’ascolto mentre l’argomento scelto è stato tratto da uno dei libri più polemici sia sullo stalinismo che sui meccanismi delle dittature in genere.

Abbiamo incontrato il compositore Alexander Raskatov, nel Teatro, il giorno dopo la prima e gli abbiamo chiesto quale fosse il significato della sua opera, in seguito alle novità della situazione politica di oggi: «Certamente la mia opera è rimasta attualissima; la storia delle dittature prosegue, basti pensare alle guerre in corso. D’altronde ho scelto proprio il romanzo di George Orwell, Animal Farm, perché già lì troviamo un’apertura, una previsione verso un futuro simile che siamo di nuovo obbligati a subire».

L’incontro ci ha permesso di entrare in contatto con lo stato d’animo del compositore e di capire se ci sono stati nell’opera dei momenti da rivedere, modificare, come è avvenuto per molte altre opere nella sto-

ria. «Mi sembra tutto essenzialmente giusto; per ora non ho intenzione di modificare nulla – ha detto Raskatov – anche perché questo era già avvenuto dopo la prima ad Amsterdam. Allora avevo eliminato una trentina di secondi perché mi sembrava un momento ripetitivo, di poca importanza, quindi inutile e che appesantiva il discorso». Questa scelta del compositore – che si esplicita anche in Animal Farm – è molto significativa per il suo modo di comporre. Vi abbiamo riscontrato un’attenzione sempre presente per la sintesi del discorso musicale e questo per tutte le due ore della rappresentazione.

Il valore delle idee musicali è stato arricchito inoltre dalla precisione e dall’originalità dei timbri scelti che hanno portato colori inusuali in mezzo a strutture poliritmiche. Particolare – come sottolinea anche il compositore – è stato il tessuto musicale spesso suddiviso tra coro e orchestra: «Il coro sembra possedere le qualità di una seconda orchestra». L’orchestra d’altronde non ha occupato solo l’abituale spazio della «fossa» ma anche gli spazi laterali sotto i palchi per inserirvi percussioni e timpani da una parte e strumenti a pizzico dall’altra che il compositore ha sfruttato per creare mondi timbrici sorprendenti.

La vocalità delle voci è pure portata in luoghi limitrofi, vicino a sonorità animalesche, comunque sempre rispettando i confini per evitare facili imitazioni e scivolare nel mondo del kitsch. Nonostante l’aspetto corale sia sostenuto, cantano molte voci soliste, e cosa rarissima, il numero è più di 20, che si immedesimano in personaggi e animali, ciascuno dai caratteri precisi.

Si tratta insomma di una musica forte e anche aggressiva che vuol seguire quel programma compositivo che Raskatov ha descritto nei tre concetti che iniziano con la «E»: Eccentricità, Esagerazione, Energia. In questo vanno inseriti anche i momenti sognanti pieni di ironia sarcastica.

Il compositore, dopo la nostra os-

La tenacia di Odin

Teatro ◆ Barba e i 60 anni dell’Odin Teatret al Foce Giorgio Thoeni

La scorsa settimana il Teatro Foce di Lugano ha ospitato Eugenio Barba (nella foto), uno degli appuntamenti più attesi proposti dalla rassegna Schegge, una serie di approfondimenti organizzati dal Teatro delle Radici di Cristina Castrillo.

Il passaggio del regista si inserisce nel quadro di un denso programma itinerante creato per ricordare i 60 anni dell’Odin Teatret, la storica compagnia che Barba fondò in Norvegia a Oslo nel 1964 poi trasferitasi nella cittadina di Holstebro in Danimarca.

Senza dimenticare il Teatro delle Radici in Svizzera, oltre ai molti gruppi ancora attivi in Italia come il Teatro tascabile di Bergamo, il Teatro Potlach di Fara Sabina, il Teatro Nucleo di Ferrara, il Teatro Due Mondi e il Teatro Ridotto in Emilia-Romagna e il Teatro Proskenion di Reggio Calabria. Tutti gruppi che dimostrano quanto sia possibile durare nel tempo nonostante la vulnerabilità dell’ambiente e delle condizioni di lavoro.

servazione che la regia di Damiano Michieletto aveva modificato l’ambientazione originale di Orwell, da una fattoria in una macelleria, ci ha confidato che «nonostante questo cambiamento avrebbe dovuto comportare una prospettiva narrativa diversa, la musica è rimasta la stessa di quella scritta due anni prima della messa in scena». La macelleria indica fin dall’inizio un percorso stabilito che porta gli animali – rinchiusi nelle gabbie di metallo che vengono scosse e fatte risuonare – verso la morte.

I tentativi di rivolta avvengono sotto la grande scritta luminosa introdotta dall’esterno verso il palcoscenico: «Tutti gli animali sono uguali», sulla quale si sono creati i 7 comandamenti per distinguersi dagli umani. L’elencazione periodica delle regole porta un certo ordine musicale nello svolgimento della rivoluzione, che progressivamente viene edulcorata e diventa: «Tutti gli animali sono uguali ma alcuni più uguali di altri». Altro aspetto importante presente nell’opera è quello dell’eterogeneità del discorso musicale che può deviare anche in generi diversi. Queste deviazioni sono pensate dal compositore come elementi per uno stile personale che devono toccare il proprio vissuto, la propria cultura. Per Alexander Raskatov significa accennare a sonorità della sua amata Patria, la Russia, che sono toccate con delicatezza.

Dobbiamo dire che il direttore d’orchestra inglese Alexander Soddy è riuscito mirabilmente a coordinare tutte le parti di un complessivo di più di 100 tra musicisti, coro, solisti, danzatori, artisti, e che il regista Damiano Micheletto ha provocato ricchi movimenti scenici di masse ordinate o creativamente disordinate ad arte. Dei bravissimi solisti vocali citiamo solo il grande basso russo, Gennady Bezzubenko, noto in tutto il mondo per la sua presenza al Teatro Marinski di San Pietroburgo, e Elena Vassilieva, soprano virtuosistico, moglie del compositore, nella parte di Blackey.

L’occasione ci permette di esprimere alcune considerazioni a margine di quell’appuntamento: da un lato di rispolverare la nostra memoria, dall’altro di fare il punto su quanto rappresenta ancora oggi quel vento innovativo che Barba chiamò Terzo Teatro, cioè quell’espressione articolata e complessa che va ad aggiungersi al Teatro Classico e a quello Contemporaneo e che ha cambiato il mondo dello spettacolo. Un soggetto che sebbene buona parte degli osservatori e studiosi considera ormai appartenere alla Storia, per altri sopravvive come importante riferimento teorico e pratico come quello dell’Odin. Una realtà longeva e una tenacia seminale che l’ultraottantenne Barba non considera un’eccezione ma che si inserisce nella storia di gruppi che negli ultimi settant’anni hanno resistito, spesso mantenendo al loro interno il nucleo originario degli attori. In generale, l’esperienza fondatrice di tutti i gruppi di teatro è costituita da esercizi fisici e vocali: «Il training, una caratteristica che obbliga l’attore a impegnare l’intero corpo a resistere nonostante la stanchezza, a superare ostacoli e inibizioni, ad acquisire una disponibilità fisica e mentale, a liberarsi dei condizionamenti privati» (Barba). Ciò contribuisce a creare una vitalità duratura per molti decenni. Ne sono un esempio la compagnia colombiana della Candelaria, la Yuyachkani in Perù, la Tribo de Atuadores in Brasile, il Teatro Buendìa a Cuba, il Teatro Atalaya e Teatro Norte in Spagna e molti altri ancora.

Quella del Terzo Teatro, come scrive il semiologo e storico del Teatro Franco Ruffini, è un’arte indigente, la sua sopravvivenza dipende dalle persone che compongono i gruppi, dalla costanza, dall’energia e dall’autodisciplina. È un teatro che per sua natura, non per scelta o desiderio di ricchezza, ha bisogno di qualcuno o qualcosa che gli fornisca le risorse per esistere (denaro, spazi, strutture…). È un teatro che dipende, come sottolinea ancora Ruffini, da quel «potere» che fornisce quelle risorse.

Ma proprio in quanto dipendente è un teatro che è spinto a cercare un proprio spazio di libertà e indipendenza. È un teatro «altro» che raramente ha potuto contare sul diritto al finanziamento pubblico, ma che ha dovuto trovare risorse grazie ad altre attività come la pedagogia, l’editoria, le attività sul territorio. Più fonti di sopravvivenza che impediscono al mercato di diventare un ostacolo e costituiscono un nuovo sistema di produzione e uno spazio di libertà. Come è confermato dalla multiforme attività dell’Odin e di tutti quei gruppi che ne hanno tratto esempio.

Alla luce dei tempi critici che avvolgono le sorti del teatro indipendente, inteso con le caratteristiche che abbiamo descritto, è possibile chiedersi se il Terzo Teatro non esiste più? Certamente non è più parte di una cultura alternativa come negli anni 70. Se lo spettacolo del Terzo Teatro necessita di continue risorse per sopravvivere, diversa è la sorte del Teatro Laboratorio, una struttura parallela ma parte integrata di un’unica realtà da difendere.

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Lucky Love, camaleontico e intenso

Soprattutto in un’epoca «ad alto voltaggio mediatico» come quella attuale, non è raro imbattersi in personaggi pubblici che devono la loro fama al fatto di essere perfetti rappresentanti delle contraddizioni e dei dibattiti del loro tempo – riuscendo nella non facile impresa di impersonare alla perfezione un determinato momento storico, del quale sono dichiaratamente e orgogliosamente figli. Si può dire che a questa ristretta e privilegiata categoria appartenga di diritto anche un personaggio per molti versi eccezionale quale Lucky Love –all’anagrafe Luc Bruyère (classe 1993, originario di Lille), il quale, fin dalla prima giovinezza, è sembrato intenzionato ad abbattere tutte le barriere imposte dagli stereotipi sociali per abbracciare ogni forma d’arte ed espressione personale.

Lucky Love è una figura talmente poliedrica da costituire un caso pressoché unico

Ecco quindi che, nonostante Luc abbia dovuto, fin dalla nascita, adattarsi all’assenza del braccio sinistro (sviluppatosi solo in minima parte a causa di una patologia nota come agenesia congenita), ciò non gli ha in alcun modo impedito di seguire tutti i propri sogni e le proprie ambizioni, dedicandosi dapprima alla danza – tra cui la pole dance – per poi debuttare come attore teatrale e cinematografico; nel mezzo, perfino una nuova identità nei panni di drag queen nel cabaret parigino di Madame Arthur. Nemmeno la diagnosi di sieropositività – ricevuta ad appena diciannove anni, dopo un periodo di grave dipendenza da droghe – ha potuto rallentare la sua corsa al successo, né, tantomeno, la sua fame di vita: «È stato come se avessi infine capito di essere vivo… mi è piaciuto». Felicemente sposato con il produttore cinematografico australiano Adam Munnings, Luc ha infatti deciso proprio insieme al marito di assumere il cognome «Love»: più che un nom de plume, un omaggio alla serenità che la vita coniugale ha portato a entrambi.

Appare quindi evidente come Lucky Love sia una figura talmente poliedrica da costituire un caso pressoché unico; figlio dei moderni social network, si presenta infatti al pubblico come ben più che un semplice cantante o entertainer, collocandosi a cavallo tra l’ influencer e lo showman, aperto ai più molteplici eventi di pop culture – come avvenuto qualche tempo fa alla Fashion Week milanese, nell’ambito della quale ha funto da colonna sonora per il defilé di Gucci; nulla di nuovo per chi, tra le sue molte esperienze, può annoverare anche quelle di modello per «Vogue International» e testimonial per firme del calibro di Yves Saint Laurent e Philosophy, tramite le quali ha contribuito a promuovere la presenza in passerella di corpi «diversi» dal consueto. Forse è proprio quest’iperattivismo sfrenato a spingere alcuni a definirlo il «Freddie Mercury dei nostri giorni», sebbene la sua incarnazione come musicista sia la più recente, avendo Luc esordito appena l’anno scorso con l’EP Tendresse ; in effetti, la musica sembra rappresentare per Love un veicolo tramite il quale esprimere messaggi di forte rilevanza, come dimostrato dal suo

maggiore successo, la hit Masculinity – una poco velata accusa non solo nei riguardi del cosiddetto patriarcato, ma anche di una percezione del ruolo maschile ormai obsoleta e perfino tossica. La rabbia di cui le liriche sono intrise tradisce così la presa di coscienza che Love vuole condividere con il suo pubblico: non un semplice inno alla queerness e alla convivenza pacifica tra differenti identità di genere («alla fine siamo tutti umani», come egli stesso ha affermato), ma anche un messaggio di tolleranza verso differenti sensibilità e tendenze – unito al desiderio mai del tutto celato di stupire e, perché no, divertirsi nel farlo («esibirmi come donna è ciò che mi ha davvero reso un uomo»).

«Rinascere di continuo potrebbe essere un modo d’ingannare la morte, motivo per cui io devo costantemente mutare»

E se Lucky Love sembra, di fatto, avere tutte le carte in regola per diventare una vera e propria «sensazione del momento» e incarnare molti tra gli argomenti «caldi» dibattuti dalla nostra società – coniugando, tra le altre cose, disabilità e gender, queerness e inclusione, e condendoli con una sana dose di controversia – si potrebbe dire che in verità, dietro al personaggio, ci sia ben più del semplice desiderio di scandalizzare (o quantomeno infastidire) i più reazionari. Se la fluidità di genere permette a Love di rifuggire da ruoli identitari tradizionali o stereotipati, allo stesso tempo egli sembra infatti emanare soprattutto una grandissima vitalità – quella che Iggy Pop avrebbe definito «lust for life », derivante da una notevole forza d’animo e sicurezza di sé. Tutte doti che gli permettono di vivere la propria diversità in modo emancipato e disinvolto, al punto da essere già stato soggetto di un documentario –Lucky, di Loren Denis e Anthony Vibert – che dissipa almeno in parte il velo di mistero intorno all’artista (si veda, ad esempio, l’analisi del rapporto conflittuale con la figura paterna), dando finalmente un senso all’alto coefficiente scandalistico di una vita

già fin troppo spericolata. Del resto, poter vantare, in soli trent’anni, una quantità di esperienze pari a un’intera esistenza non fa che rendere ancor più affascinante la figura di Luc,

il quale continua ad esplorare nuovi stimoli artistici come nel caso del suo nuovo progetto musicale (Lucky Love + the Gospel), che, come il nome stesso suggerisce, è volto a conferire un sa-

pore più soul e gospel ai propri brani. E dato il ritmo vertiginoso con cui Love conduce la sua attività, ci si può solo interrogare su dove la prossima avventura lo condurrà.

E se è vero che, come detto, proprio in questo instancabile entusiasmo sta il vero punto di forza di Lucky Love, ne consegue che a rendere tanto significativa la parabola ascendente della sua carriera è soprattutto un unico, fondamentale dettaglio: il fatto che, nella sua esperienza di vita, Luc abbia dimostrato come sia possibile, se solo lo si desidera, spingersi ben oltre i limiti di quanto tradizionalmente considerato come fattibile o accettabile – a dimostrare come un essere umano a tutto tondo non sia in alcun modo riconducibile a una qualsivoglia definizione o classificazione. Nelle parole dello stesso Love, «rinascere di continuo potrebbe essere un modo d’ingannare la morte, motivo per cui io devo costantemente mutare». Poiché ciò non vale soltanto in campo artistico, ma anche e soprattutto in termini esistenziali, chiunque può riconoscersi in un simile desiderio di emancipazione; e, magari, trovare infine il coraggio di innalzarsi oltre quanto ritiene essere «alla propria portata» per avventurarsi in terreni meno noti e tentare ciò che davvero desidera.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 25 marzo 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 43
Il personaggio ◆ Il cantante francese con le sue molteplici incarnazioni artistiche è un inno spontaneo alla vita e all’inclusione Benedicta Froelich Immagine di copertina dell’album Tendresse uscito nel 2023. (YouTube) Ora alla tua Migros! Disponibile in alcune filiali Migros. 2.80 Philadelphia Feta & cetriolo 150g Annuncio pubblicitario

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Svizzera, 150 g, confezionato, (100 g = 1.73)

Un tripudio vitaminico di bacche e verdure Frutta e verdura 2 Migros Ticino
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Hit

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CONSIGLIO DI PASQUA

I cubetti di ghiaccio ai frutti di bosco nei bicchieri dell'aperitivo pasquale producono un gran bell'effetto. Per realizzarli metti negli appositi stampi per il ghiaccio piccole bacche intere e pezzetti di quelle grosse, riempi gli incavi di Ginger Ale e poni nel congelatore per almeno 6 ore.

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bionde Spagna, rete 2 kg, (100 g = 0.14)
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Punte
invece di 3.30 Patate del nuovo raccolto Egitto, busta da 1,5 kg, (1 kg = 1.73)

Carne e salumi

Tutto per gustarsi il succo delle feste pasquali

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

Con questa azione, il filetto di maiale al forno diventa un piatto delle feste ancor più appetibile.

Per mantenerla succosa, la carne va salata e pepata, poi rosolata in padella per 5 minuti su tutti i lati. Il filetto va quindi adagiato su una teglia e infornato a

15%

3.05

raggiunge la temperatura

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Cosce di pollo Optigal al naturale e speziate,
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carré di maiale Svizzera, per 100 g, in self-service, (100 g = 2.20)
Costine

2.70

1.50

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5 Offerte valide dal 26.3 al 1.4.2024, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
un brunch di Pasqua a tutto sapore
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dalla noce Quick affumicato e cotto IP-SUISSE mini e normale, per es. mini, per 100 g, 2.20 invece di 3.30
Carne
31% Prosciuttino
33%
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di manzo IP-SUISSE per 100 g, in self-service
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al banco Francia, per 100 g
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Casa Walser Italia, 2 x 100 g, (100 g = 5.35) conf. da 2 15%
invece di 4.35 Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 25%
invece di 10.50 Minipic Svizzera, 3 x 5 pezzi, 270 g, (100 g = 2.94) conf. da 3 24%
Capretto
25% 10.80
Bresaola
3.25
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Pesce e frutti di mare

Che si mangia Venerdì Santo?

20x

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32%

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13.50 Filetto dorsale di salmone affumicato Sélection con barbabietola e wasabi, ASC d'allevamento, Norvegia, per 100 g, in self-service

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Gamberetti Pelican, crudi e sgusciati, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g, (100 g = 1.99)

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Filetto di salmone senza pelle Migros Bio d'allevamento, Irlanda/Norvegia, in conf. speciale, 300 g, (100 g = 4.65)

13.95

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40%

Gamberetti tail-off M-Classic, ASC, sbollentati d'allevamento, Ecuador, in conf. speciale, 450 g, (100 g = 3.10)

8.30

Filets Gourmet Provençale Pelican, MSC prodotti surgelati, 2 x 400 g, (100 g = 1.04)

6
CUMULUS
invece di 13.90
conf. da 2
7 Offerte valide dal 26.3 al 1.4.2024, fino a esaurimento dello stock. IDEALE CON 9.95 Tartare di salmone Sélection, ASC d'allevamento, Norvegia, 2 pezzi, 160 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 6.22) 20x CUMULUS Novità 5.85 invece di 7.35 Mandorle Sun Queen in conf. speciale, 500 g, per es. mandorle, 500 g, (100 g = 1.17) 20% Manghi Perù/Brasile, il pezzo, 1.80 invece di 2.30 a partire da 2 pezzi 22%

Pane e prodotti da forno

Bellezza gustosa e dolcezze golose

Donut Dots Forest Fruits and Cream

2 pezzi, 136 g, 3.40 invece di 4.30, prodotto confezionato, (100 g = 2.50) 20%

2.50

Treccia al burro

IP-SUISSE

(Daily esclusi), per es. coppetta svedese, 100 g, 2.35 invece di 2.95 20%

Tutti i dessert in coppetta refrigerati

Il nostro pane della settimana: con la sua crosta dorata e leggermente lucente, con la sua morbida mollica e quel suo sentore aromatico di burro è la star del brunch di Pasqua

300 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.83)

Nata nel 1986, la marca Garden Gourmet da sempre si impegna con dedizione per creare i migliori prodotti per la cucina vegetariana e vegana. Quasi tutti i prodotti contengono le proteine della soia, perché queste forniscono tutti e 9 gli aminoacidi essenziali per il nostro organismo nonché fibre alimentari e proteine.

e servito in
freschi e pronti 9 Offerte valide dal 26.3 al 1.4.2024, fino a esaurimento dello stock. Declinato in sei varietà ma servito in un baleno 17.50 Mini canapé in vassoio delle feste 24 pezzi, 545 g, (100 g = 3.21) Hit Pasta Anna's Best refrigerata fiori asparagi e ricotta, gnocchi di patate o spätzli all'uovo, in conf. multiple, per es. fiori, 3 x 250 g, 11.75 invece di 14.85, (100 g = 1.57) conf. da 3 20% 4.95 Veggie Rondo Garden Gourmet 2 pezzi, 180 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 2.75) 20x CUMULUS Novità 4.95 Greek Rondo Garden Gourmet 2 pezzi, 180 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 2.75) 20x CUMULUS Novità 9.95 invece di 13.90 Pizza dal forno a legna Anna's Best Prosciutto, lardo & cipolle o all'aglio orsino, per es. prosciutto, lardo & cipolle, 2 x 430 g, (100 g = 1.16) conf. da 2 28% LO SAPEVI?
Pronto
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E il buffet per il brunch di Pasqua è servito

4 x 250 g, (100 g = 1.38) conf. da

13.80 invece di 15.40

Il Burro

5.50

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2 x 500 ml, (100 ml = 0.55)

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Panna intera UHT Valflora, IP-SUISSE

Uova da allevamento all'aperto importate in conf. speciale, 30 x 53 g+, in vendita nelle maggiori filiali

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Snack al latte refrigerati Kinder

Fetta al latte, Pinguì, Choco fresh e Maxi King (articoli singoli esclusi), per es. Fetta al latte, 5 pezzi, 140 g, 1.35 invece di 1.60, (100 g = 0.96)

16%

2.05

invece di 2.45

Grana Padano DOP 700/800 g, per 100 g, confezionato, (100 g = 2.05)

Formaggi, latticini e uova 10 Migros Ticino
4 1.60 di riduzione
Hit
conf. da 2 20%

6.75

Mozzarella Galbani 4 x 150 g, (100 g = 1.13)

20%

2.–

Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» per 100 g

20%

7.95 invece di 9.95

Formato ideale per gli stuzzichini

4.10

Le Gruyère surchoix tagliato a cubetti AOP 100 g, in vendita nelle maggiori filiali

20x

Formaggini freschi Nostrani confezione da 400 g, (100 g = 1.99)

1.30 Cottage Cheese Jalapeño M-Classic 115 g, (100 g = 1.13)

Alternative vegetali al formaggio

3.45 Delizia caprese Simply V

Novità

3.55

vegana, 150 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 2.30) 20x

Fettine delicate Simply V vegano, 150 g, (100 g = 2.37) 20x

11 Offerte valide dal 26.3 al 1.4.2024, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino
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20x
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Così non è solo il coniglietto di Pasqua a saltare... di gusto!

Prodotto testato da organi indipendenti

16.50 Miele svizzero cremoso, 500 g, (100 g = 3.30)

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20%

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40%

Caffè Boncampo Classico, in chicchi o macinato per es. in chicchi, 4 x 500 g, 13.20 invece di 22.–, (100 g = 0.66)

conf. da 3

22%

Rio Mare disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Tonno all'Olio di Oliva, 3 x 104 g, 10.95 invece di 14.10, (100 g = 3.51)

Quando in cucina bisogna sbrigarsi

Ripieni per vol-au-vent M-Classic con carne o funghi, per es. carne, 500 g, 3.85 invece di 4.80, (100 g = 0.77)

conf. da 2

20%

6.20 invece di 7.80

Salse liquide Thomy disponibili in diverse varietà, per es. salsa olandese, 2 x 250 ml, (100 ml = 1.24)

20%

6.–invece di 7.50

Chicchi di mais M-Classic 6 x 285 g, (100 g = 0.35)

a partire da 2 pezzi

30%

Tutte le preparazioni a base di patate M-Classic Delicious prodotti surgelati, per es. Pommes Duchesse, 600 g, 3.50 invece di 4.95, (100 g = 0.58)

Scorta 12
partire da 2 pezzi
conf. da 6
4

a

a

Tutti i ketchup, le maionesi e le salse BBQ, Heinz nonché le salse per grigliate Bull's Eye per es. Tomato Ketchup Heinz, 220 ml, 2.20 invece di 2.75, (100 ml =

Tutti i prodotti da forno per l'aperitivo Gran Pavesi e Roberto per es. grissini torinesi Roberto, 250 g, 1.75

13 Offerte valide dal 26.3 al 1.4.2024, fino a esaurimento dello stock.
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migliore
bio Tutte le gallette di riso e di mais (articoli Alnatura esclusi), per es. gallette di riso integrale con cioccolato al latte, 100 g, –.85 invece di 1.20 a partire da 2 pezzi 30% Tutte le bustine morbide bio Hipp per es. mela-pesca-frutti di bosco, 100 g, 1.50 invece di 1.95 a partire da 2 pezzi 25%
Con
della
qualità
invece
(100 g = 0.30)
Tutti i tipi di pasta e di sugo, Agnesi per es. pennette rigate, 500 g, 1.50
di 2.50,
partire da 2 pezzi
2.60 invece di 3.50 Chips alla paprica Migros Bio 140 g, (100 g = 1.86) 25% 6.95 invece di 11.70
40%
1.54) conf. da 2 40%
Snacketti Zweifel XXL Paprika Shells, Dancer Cream o Bacon Strips Flavour, per es. Paprika Shells, 2 x 225 g, (100 g =
1.00) 20%
invece
g
di 2.25, (100
= 0.70)
partire da 2 pezzi
di riduzione
–.50
5.85 invece di 7.35, (100 g
1.17) 20%
Mandorle o noci miste tostate, Sun Queen in conf. speciale, per es. mandorle, 500 g,
=

Dolci e cioccolato

Bontà da nascondere e sbocconcellare

Fanno un figurone nel cestino di Pasqua

20%

Tutto l'assortimento di dolciumi Migros Bio per es. cioccolato al latte Au lait, Fairtrade, 100 g, 1.75 invece di 2.20

25%

Praliné Frey in scatola disponibili in diverse varietà, per es. Pralinés du Confiseur, 149 g, 6.70 invece di 8.95, (100 g = 4.50)

40%

Tutti i cioccolatini Swiss Premium Minis Lindt assortiti, 500 g o 1 kg, per es. 500 g, 11.95 invece di 19.95, (100 g = 2.39)

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Cuore di cremoso gelato avvolto in uno strato di pezzetti di biscotti Oreo

Ice Cream Oreo Mini Bites prodotto surgelato, 105 ml, (100 ml = 3.33) 20x

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CUMULUS

4.40

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Un brindisi alla primavera Bevande 15 Offerte valide dal 26.3 al 1.4.2024, fino a esaurimento dello stock. Si può brindare anche senza alcol
invece di 6.60 Evian 6 x 1,5 l, (1 l = 0.49) conf. da 6
invece di 12.–Coca-Cola Classic o Zero, 8 x 500 ml, (100 ml = 0.22) conf. da 8 25% 13.50 invece di 18.–Red Bull Energy Drink o Sugarfree, 12 x 250 ml, (100 ml = 0.45) conf. da 12 25%
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4.60)
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