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L’avvocato che scelse la chitarra

Incontri (10) ◆ Adolescente con la valigia in mano, Cristiano Poli Cappelli nel 2000 si laurea in giurisprudenza a Foggia e consegue il diploma al Conservatorio di Pescara. Pratica legale all’Aquila, posto di lavoro a Roma e poi… vincerà la musica

Matilde Casasopra

Frosinone, Caserta, Palermo, Napoli, Foggia e poi… Roma. Sì, siamo nel centro-sud Italia. Ci siamo perché è da lì che viene Cristiano Poli Cappelli sebbene adesso, dal 2017, abiti con la famiglia (moglie e due figli) a Lugano. È lì che questo ormai affermato musicista – è uscito poche settimane fa il CD con l’integrale delle opere di Antonio Lauro e, a titolo esemplificativo, il prossimo 28 aprile con la chitarrista argentina Daniela Rossi terrà un concerto di chitarra classica alla St Ives Free Church, di Cambridgeshire – è nato. È lì che è cresciuto con la valigia in mano al seguito di un padre «servitore dello Stato». Già perché papà Saverio, a Frosinone, era vice questore e, nel 1988, quando Cristiano ha da poco finito la prima liceo scientifico e si trova con la famiglia al mare, apprende che la seconda liceo la frequenterà altrove.

Dove per l’esattezza?

A Caserta. Papà ce lo disse in quel pomeriggio di luglio, a Zante, dove gli avevano telefonato nel pomeriggio. Né io, né mamma e sorella ci facemmo molto caso. L’anno prima avevamo già pronto tutto per trasferirci a Venezia a poi… non se ne fece nulla. Purtroppo però, quando tornammo a casa, capii che questa volta la partenza ci sarebbe stata e… senza ritorno. Mi ero appena fidanzato con una coetanea e già il partire per le vacanze era stato un problema.

Quando capii che ce ne andavamo davvero tra me e mio padre è caduto il gelo. È lì che la mia spensieratezza adolescenziale si è infranta sul muro della realtà. È stato il primo trauma abbastanza forte e i contrasti con i miei genitori si sono moltiplicati. A mio padre, in particolare, rimproveravo la mancanza di empatia.

L’incapacità di capire cosa potesse significare per me dover lasciare i miei amici, la mia vita. Niente. Lui riteneva normale che mia madre, mia sorella e io dovessimo seguirlo ovunque andasse. E così è stato. Ho seguito mio padre, ma mi sono irrimediabilmente allontanato da lui. Per lui prima di noi c’era il lavoro, il

Scheda servizio allo Stato. Poi, ad aggiungere amaro all’amarezza, ammetto di aver odiato Caserta al punto che di quell’unico anno che vi abbiamo trascorso non ricordo più nulla. Quindi non vi siete fermati molto… … infatti, non ci siamo fermati molto, ma la frattura ormai si era prodotta. Riuscii a terminare l’anno scolastico e poi mi ritrovai, con mamma e sorella, a preparare nuovamente le valigie. Papà, infatti, dopo pochi mesi a Caserta era stato trasferito un’altra volta. Nuova destinazione: Palermo. Lì l’abbiamo raggiunto qualche mese dopo, ad agosto del 1990, così da poter terminare, mia sorella e io, l’anno scolastico «casertano». Il conflitto con mio padre è comunque proseguito. Palermo però l’ho amata tantissimo. Ho amato la città e la sua gente. Pensi che il primo giorno di scuola – ero iscritto al Liceo Cannizzaro – sono stato circondato da quelli che sarebbero poi diventati i miei compagni di scuola. Mi abbracciarono e mi dissero: «Tu sei nuovo!… Vieni, ti guidiamo noi». Mi hanno portato in classe e mi sono bastati tre giorni per sentirmi perfettamente integrato. Sono stati tre anni bellissimi. Il 23 maggio 1992, però, si consuma la strage di Capaci. Su Palermo piomba il silenzio, un silenzio che non dimenticherò mai e che s’interrompe solo dopo il 19 luglio del 1992, quando nel secondo attentato muoiono il giudice Paolo Borsellino e cinque dei sei agenti della sua scorta. La gente di Palermo – città ferita – si risveglia e scende in piazza. Io con loro.

Nato a: Frosinone.

Età: 48 anni.

Abito a: Lugano-Viganello.

Lavoro: musicista, docente.

Hobby: troppi! Modellismo navale, fotografia, podismo, lettura, vela, trekking, immersioni, lezioni di volo… Rimpianto: non ho rimpianti, ho fatto quasi tutto quello che volevo fare. Il mio unico rimpianto è non averlo fatto prima!

Sogno nel cassetto: ho realizzato tanti dei miei sogni. Ho molti altri piccoli sogni più futili, la cui mancata realizzazione non è poi così importante! Ora i miei sogni sono legati ai miei figli.

Amo: i dolci e suonare la mia chitarra.

Non sopporto: l’indifferenza delle persone. La superficialità.

La mia foto preferita: la foto che mi ritrae mentre faccio ciò che amo, ovvero suonare, tra le risate, con il mio collega Andrea.

Torniamo a lei. Liceo e poi università a Palermo?

No, no. A Palermo ci restiamo fino al 1993 quando mio padre viene trasferito a Napoli e quindi, come da copione, noi – mamma, sorella e io – lo raggiungiamo. È però proprio negli anni che trascorro in Sicilia che mi avvicino con più serietà alla musica e comincio a suonare la chitarra classica. Vede, mio padre, che a casa si vedeva sempre meno per lavoro, ogni mattina, al mio posto, sul tavolo dove facevamo colazione, mi lasciava un biglietto sintetico: «Studia». Io studiavo, anche con buoni risultati, ma avevo deciso che dovevo trovare qualcosa che mi permettesse di esprimere me e il mio mondo. Quando partimmo in nave per raggiungerlo a Napoli – e sul molo c’erano tutti i miei compagni di scuola con fazzoletto in mano a salutarmi – mi sono fatto una promessa solenne: continuerai a studiare musica. E così ho fatto. A Napoli prima. Poi, l’anno successivo, a Foggia dove mio padre era stato trasferito come questore. Ed è a Foggia che ci siamo fermati per altri 3 anni. Lì mi sono iscritto alla facoltà di giurisprudenza, ma anche al Conservatorio. Così, dopo Andrea – il primo maestro che ebbi, a Palermo e che mi disse «sei bravo» – e il maestro che mi seguì a Napoli, decisi che avrei tentato anche la strada della musica. Feci il programma di 5 anni in uno e mi iscrissi al Conservatorio di Campobasso dove incontrai il mio terzo maestro: Letizia Guerra. Sì, il terzo maestro è una maestra.

È stata lei che mi ha fatto capire che avevo delle chances per svolgere il mestiere di musicista. E mi ci sono messo d’impegno. Poi lei, la mia maestra, per motivi suoi, si è trasferita al Conservatorio di Pescara e lì l’ho seguita.

Dunque ha lasciato l’università? Assolutamente no. Mio padre – vero responsabile del mio amore per la chitarra visto che fu lui, quand’ero bambino, a cantarmi le canzoni di Gino Paoli accompagnato proprio da una chitarra che fu poi relegata in solaio dove andavo a guardarla e carezzarla – non avrebbe mai accettato che abbandonassi l’università. Così a maggio 2000 mi sono laureato in giurisprudenza a Foggia e nel giugno dello stesso anno ho conseguito il diploma di chitarra a Pescara con un bel 10 e lode. Lo ammetto. Se non ci fosse stata la lode non avrei nemmeno per sogno accarezzato l’idea di dedicarmi esclusivamente alla musica.

Scelta che però non fa subito. Esatto. Non la faccio subito perché l’obiettivo è diventare avvocato. La legge nel frattempo arriva infatti ad appassionarmi sempre più, e così, dopo 6 mesi di pratica legale a L’Aquila nell’ambito del diritto penale, seguo – more solito – mio padre a Roma dove nel frattempo è stato trasferito e promosso a diri- gente di prima fascia. Vengo assunto come praticante dallo studio Caroleo Grimaldi (che sta al quartiere Flaminio). La mattina avvocato, il pomeriggio – con Andrea Pace –musicista. È il 2001 e mi chiamano per incidere quello che sarà il mio primo CD. Io però non avevo ancora ben chiaro cosa avrei voluto/ dovuto/potuto fare, ma soprattutto non avevo il coraggio di lanciarmi nella carriera di musicista sapendo quanto fosse difficile sopravvivere. Passano i mesi. Sostengo l’esame per diventare avvocato. Lo studio Caroleo Grimaldi mi offre il posto fisso e… proprio quel giorno mi telefona il mio migliore amico, Gianpaolo, oggi professore all’università di Foggia. Ci aggiorniamo sulle rispettive vite e lui mi dice: «Guarda che tu, a fare il musicista, non ci hai mai provato!». Fulmine a ciel sereno. È questa semplice sentenza che mi ha fatto cambiare rotta. Inizio così la mia vita di musicista a Roma rinunciando al posto fisso nello studio di via Archimede.

E suo papà?

Mio padre è morto nel 2004, pochi mesi dopo essere andato in pensione. Quando nel 2002 passai l’esame per l’abilitazione da avvocato mi telefonò e mi disse con la solita ironia: «Avvocato! Pensa che non avrei scommesso 1000 lire sulla tua promozione!». Come prevedibile non

Tre momenti chiave di una vita

Cristiano, ha a disposizione 666 battute per illustrare tre momenti topici della sua vita:

1. Il mio primo trasferimento al seguito di mio padre. Un momento molto traumatico perché, repentinamente, azzerò una fase di grande ingenuità e di serenità adolescenziale. Mi ha proiettato nella maturità e verso un atteggiamento «pensoso» e autoanalitico.

2. Una telefonata fatta dal mio migliore amico Gianpaolo. Fu la classica Sliding Door a cui io attribuisco una svolta fondamentale.

Mi fece capire che non avevo creduto a sufficienza nella mia passione musicale. In quel preciso istante ho capito che non avrei fatto prese molto bene la mia scelta, ma per me fu la cosa giusta. Tra concerti e insegnamento, pur con non poche difficoltà, ho conquistato la mia serenità interiore. Ho tagliato il cordone ombelicale con il mio passato di giovane stressato alla perenne ricerca di un senso, di un perché. Ho trovato e provato la gioia di essere me stesso e ciò mi ha aiutato anche nella relazione con Elvira, giovane svizzera giunta a Roma a studiare psicologia. Ci siamo conosciuti nel 2007. Ci siamo sposati nel 2008 e, nel 2017, lei ha vinto un concorso qui a Lugano – spinta per anni a farlo da me vista la mia necessità ormai irrefrenabile a cambiare città ad intervalli regolari. È così che ho ripreso in mano le valigie. Stavolta, però, al seguito di mia moglie e dei miei figli (e non di mio padre). l’avvocato, ma il musicista.

E vive di musica?

Sì. Insegno, suono, partecipo alla vita sociale e culturale di questo mio nuovo Paese che amo e che abbiamo scelto – mia moglie e io – soprattutto per garantire ai nostri figli una vita degna. Sono, soprattutto, vivo dentro perché mi sento libero. Perché amo quello che faccio. Perché mi sento cittadino del mondo e, ovunque vada, ho la mia chitarra e la sua musica come compagne. È vero, ho quasi 50 anni ma, per me, la gioventù è iniziata quando ho avuto il coraggio di scegliere.

3. Il nostro trasferimento a Lugano. Un trasferimento pazzo, fatto con l’idea di vivere la nostra vita con coraggio, senza poter dire, da anziani: non abbiamo avuto il coraggio di farlo. Io ed Elvira abbiamo cambiato vita a 40 anni, scommettendo su di noi come coppia e come famiglia.

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