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In fin della fiera Timide prove d’attore
È andata in onda l’ennesima replica de Il gatto di Luigi Comencini. È una commedia nera a me cara perché segna il mio trionfale esordio di attore nel cinema. Il mio ruolo era «una tinca», un pesce immobile sul fondo, acquattato nella melma per rendersi invisibile. Una «tinca» è il notaio che ha un’unica scena, l’apertura del testamento e la sua lettura. La macchina da presa non inquadra lui ma le persone che lo ascoltano per cogliere le loro reazioni.
Ho conosciuto Luigi Comencini quando dovevo redigere con lui il piano di produzione della sua inchiesta L’amore in Italia (sette puntate in onda dal 18 novembre 1978). In parallelo Luigi stava lavorando alla sceneggiatura de Il gatto e me ne parlava. Protagonisti Ugo Tognazzi e Mariangela Melato. La trama: Amedeo e Ofelia, fratello e sorella, avidi e solidali, tramano con ogni mezzo per costringere
Voti d’aria
Nel giorno in cui minacciava di vietare l’uso dell’inglese nell’Amministrazione pubblica, il governo italiano minacciava di istituire un liceo del Made in Italy. Questo secondo storico annuncio (2) è avvenuto al Vinitaly, dove si sono presentati più sottosegretari e ministri che viticoltori. Tutti insieme a Verona per brindare all’identità enogastronomica del Belpaese. Tutti insieme identitariamente. Viva il Made in Italy (2–) al Vinitaly (1+), oh yes, e abbasso i forestierismi, oh yes! Autentica vertigine concettuale. Da ridere (in italiano e, se non viene vietato, anche in altre lingue)! Un capolavoro comico (6).
E prima del divieto dei forestierismi, vietati gli sbarchi, vietati gli immigrati, vietato morire in mare, vietato vivere su suolo straniero, vietati i grilli, vietata la carne sintetica, tendenzialmente vietato l’aborto, vietate Chat-GPT e ogni intelligenza artifi- gli inquilini del loro palazzo a sloggiare, avendo ricevuto una ricca offerta d’acquisto, valida solo se l’immobile è vuoto. L’avvelenamento di un gatto ha un ruolo centrale nello sviluppo e quando crederanno di avercela fatta, un dettaglio imprevisto manderà tutto all’aria. Luigi mi propone: «Ti andrebbe di fare la parte dell’avvocato?». Vedo spalancarsi davanti a me una luminosa carriera. Il sogno svanisce subito: Sergio Leone, il produttore del film, dice di no. Non ero un attore, non avevo precedenti esperienze, i due mostri sacri, Ugo e Mariangela, mi avrebbero mangiato vivo. Comencini tiene duro e per convincere Leone gira un provino. Sergio Leone lo visiona e accetta l’azzardo. Dopo la proiezione in anteprima del film, Leone riconobbe che Comencini aveva fatto bene ad insistere per avermi. Una promozione sul campo, mitigata dalla constatazione che Leo- ne non mi ha mai chiamato a lavorare nei suoi film.
Paola, una delle figlie di Luigi e costumista del film, prevede per me un abito azzurro. Non ce l’ho, devono confezionarmelo su misura. Mai avuto un abito più bello. Le mie scene si svolgono tutte in un unico ambiente e sono sempre solo con i due protagonisti. Si offrono al mio sguardo due opposte modalità nell’affrontare l’impegno di modellare il personaggio. Mariangela, docile creta nelle mani del regista, attenta, concentrata, disposta a ripetere ogni volta gesti e battute nello stesso identico modo, senza mai protestare o accusare stanchezze. Ugo è nel suo camerino. Dorme. Per impostare la ripresa, al suo posto agisce uno degli assistenti. Quando tutto è pronto, movimenti, gesti, luci, posizione delle cineprese, arriva il momento di svegliare Ugo. Arriva il divo, con l’aria imbolsita di chi poco prima dormiva
di Bruno Gambarotta
profondamente. Mariangela e l’assistente recitano la scena davanti ai suoi occhi. Scuote la testa: non è il modo giusto, ci fa vedere lui come andrebbe impostata. Adesso sì che va bene. Il tempo di spostare cineprese e corpi illuminanti e la giriamo. Quando sono ripreso in primo piano con l’uno o l’altra che, fuori campo, mi danno le battute, Mariangela recita come se fosse lei quella nel mirino della cinepresa, Ugo fa le facce buffe per farmi ridere. Mariangela apparteneva alla famiglia degli attori che si pongono come cera mobile nelle mani del regista e si calano nel personaggio senza retro pensieri. Due altri ne ho visti all’opera. Nanni Loy gira Mi manda Picone. Il protagonista, Giancarlo Giannini, arriva, saluta tutti, ride, scherza. Si chiude nella sua roulotte e dopo un’ora esce trasformato nel personaggio e tale resterà fino alla fine della giornata; nella pausa ritira il cestino e si chiude a pranzare in totale solitudine. Una metamorfosi ancor più radicale l’ho vista compiere da Barbora Bodul’ovà nel 2001 impegnata nelle due puntate di Maria José – L’ultima regina. Siamo ad Aosta, si gira la scena del voto per il referendum Monarchia – Repubblica del 1946. Il mio ruolo: presidente del seggio. La regina Maria José arriva senza scorta guidando un’utilitaria. È lì per votare. Le chiedo la carta d’identità. Momenti d’imbarazzo, non ce l’ha, è la regina, non ha mai avuto bisogno di un documento di riconoscimento. Barbora è nata nel 1974 in Cecoslovacchia ed è naturalizzata italiana. In quel 2001 ha 27 anni ma quando arriva sul set è una ragazzina che ride, scherza, gioca a fare la vamp, si lascia corteggiare. Trasformata in Maria Josè, resterà regina per tutti, fino alla sera, quando, dimessi i costumi di scena, tornerà a essere la nostra amica. ciale, vietata la pesca dei ricci di mare in Puglia. Essendo vietati i rave party, a Pasquetta sulle sponde dell’Adda è scattato l’allarme, sono intervenute le forze dell’ordine, ma era solo una grigliata tra amici (5+). Vietare anche le grigliate per non sbagliarsi? Sarebbe una buona idea (2). Vietare la Pasquetta? Perché no. Intanto, l’Australia vieta l’uso di TikTok ai dipendenti, il Texas vieta la pillola del giorno dopo (ma il Congresso non vieta la vendita di armi d’assalto), in Inghilterra è vietato leggere integralmente Agatha Christie e Roald Dahl, l’Europa ha vietato le bustine di zucchero e i flaconcini di shampoo negli hotel. Se «vietato vietare» era uno slogan del 68, oggi il motto è «vietato vietare i divieti». Attenzione, però. Mark Twain (6+) diceva che se al posto della mela Dio avesse proibito il serpente, Adamo avrebbe mangiato il serpente. Analogamente, Umberto Eco