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L’amore & la morte

Memoir ◆ Perdere e trovare, così è la vita

Laura Marzi

Il 18 aprile del 1933 (un martedì, curiosamente proprio come domani) Radio Monteceneri diffuse il suo primo segnale. Era un periodo già di per sé difficile per il nostro Paese, stretto nella morsa costituita da due vicini aggressivi come l’Italia – divenuta fascista già da undici anni – e la Germania, dove il baffetto austriaco era divenuto qualche mese prima Cancelliere del Reich. Sicché il parto di quell’emittente che sarebbe poi divenuta la nostra RSI fu particolarmente travagliato.

La parte del leone la fanno le vecchie radio: oltre 300 apparecchi uno diverso dall’altro, poiché nati da grandi e piccole industrie che volevano distinguersi vuoi per eleganza, vuoi per la presenza dell’ultima scoperta tecnica o ancora per un particolare design

Da un lato, il primo Consigliere di Stato socialista, Guglielmo Canevascini, si stava adoperando per ottenere da Berna il via libera a una radio di lingua italiana che affiancasse le consorelle di Beromünster (LU) e di Sottens (VD), già attive dall’anno prima; dall’altro c’era chi ostacolava il progetto: dapprima Roma, che ben conosceva l’impegno antifascista di Canevascini: «Ha frequenti contatti con Pietro Nenni e Randolfo Pacciardi» – avversari politici del Duce, ndr – segnalava al Ministero degli Esteri di Roma l’allora ambasciatore italiano a Berna Giovanni Marchi, aggiungendo poi che «bisogna impedire che questi gnomi si atteggino a giganti per la nostra eccessiva bonomia» (Pierre Codiroli, L’ombra del duce, Franco Angeli Ed., pag. 137). Accanto ai neri nostrani , anche importanti imprenditori elvetici si dicevano preoccupati che Radio Monteceneri potesse pregiudicare i loro interessi nella Vicina Penisola. Canevascini, tuttavia, tira dritto e una volta ricevuta l’autorizzazione da Berna, nomina quale primo direttore (lo resterà sino al 1947) il ventiquattrenne Felice Antonio Vitali.

«Un microfono libero in questo angolo di terra italiana ma libera che sarà un potente mezzo di educazione e elevazione», scrive Canevascini su «Libera Stampa» il 30 ottobre 1933. Il successo e la diffusione dell’invenzione di Guglielmo Marconi in Ticino presentano cifre impressionanti tra il 1931 e il ’40, anno in cui nel 40 percento delle case c’è un apparecchio ricevente, mentre il telefono è fermo al 20 percento. Nel 1945 la radio «doppia» ancora il telefono: 52 percento a 26, come rileva Raffaello Ceschi sul numero del 1995 dell’«Archivio Storico Ticinese».

Accanto a queste cifre già di per sé significative, va aggiunta l’autorevolezza di cui sin da subito gode la nostra emittente: parecchi lettori un po’ in là con gli anni ricorderanno quel momento quasi liturgico celebrato in assoluto silenzio mentre si andava a tavola e Mario Saladin (annunciatore storico!) richiamava l’attenzione di tutti: «Dall’Osservatorio nazionale di Neuchâtel il segnale delle 12.30». Dopo cinque bip, ecco «da Berna le ultime notizie dell’Agenzia telegrafica svizzera», con la voce un po’ gracchiante di Mario Casanova; solo 3 o 4 minuti di dispacci e poi si riprendeva con la musica dell’Orchestra Radiosa e alcune altre rubriche, però solo fino alle due del pomeriggio, quando le trasmissioni venivano interrotte sino alle diciassette. Sembra incredibile oggi, quando abbiamo tre emittenti RSI che coprono 24 ore al giorno, sette giorni su sette, Natale compreso! Nelle discussioni al bar o in ufficio, inoltre, chi si trovava in difficoltà affermava sicuro «guarda che l’ha detto la radio!», vincendo così la contesa affidandosi a un motto divenuto immediatamente sacrosanto. La RSI festeggerà il compleanno di Radio Monteceneri con la performance audiovisiva 90 straordinari anni di radio dell'autrice e regista Sara Flaad sabato 22 aprile alle 16.30 presso lo Studio 2 di Besso.

Noi intanto siamo andati a festeggiare l’importante compleanno nella «tana del lupo»: sul Monte Ceneri, dove sorge il Museo della Radio proprio nell’ex stazione nazionale Onde

Medie. Ci accolgono il signor Renato Ramazzina, già ingegnere delle telecomunicazioni presso le PTT, che con i suoi amici Enrico Sulmoni e Franco Della Casa garantiscono l’apertura del Museo da perfetti volontari e con un encomiabile entusiasmo. Dapprima ammiriamo all’esterno dell’edificio l’ultimo tronco del traliccio/antenna che permise per decenni la diffusione di Radio Monteceneri; poi ci introducono nel percorso storico/didattico che affrontiamo con parecchi «Oohh» di meraviglia. Le vecchie valvole di grandezza inusitata, così come i generatori di corrente che garantivano la continuità delle emissioni in caso di black out, la riproduzione di un’azione della Premiata Ditta Marconi & Co. e di un diploma rilasciato all’altro celebre inventore Thomas A. Edison; l’oscillatore di Hertz, quello delle Onde Mega, con lo spinterometro in grado di produrre una scintilla (Funk) che si propagava tutt’intorno, dando altresì origine al vocabolo tedesco Rundfunk La parte del leone la fanno però le vecchie radio: oltre 300 apparecchi l’uno diverso dall’altro, poiché nati da grandi e piccole industrie che volevano distinguersi vuoi per eleganza, vuoi per la presenza dell’ultima scoperta tecnica o ancora per un particolare design. Fa impressione notare su quello che oggi chiamiamo display la scritta Monteceneri accanto a quello di realtà lontane e forse più importanti quali ad es. Sarajevo, Lione, Dublino. Impressionante anche il lavoro di Enrico Sulmoni, il quale ha ricostruito tutta una serie di apparecchi – emittenti, riceventi e quant’altro – servendosi unicamente di materiali e conoscenze scientifiche all’epoca a disposizione dei suoi antenati inventori. Ai nostri complimenti risponde in tutta modestia: «Mi sono divertito un mondo!».

Dove Museo della Radio, Carà 2, Cadenazzo. Apertura il primo mercoledì del mese 9.00-17.00 e su richiesta scrivendo a renato.ramazzina@bluewin.ch www.laviadelceneri.ch.

Lost & Found, edito da Bompiani, è il memoir che Kathryn Schulz, giornalista del «New Yorker» e vincitrice nel 2015 del premio Pulitzer, dedica al racconto della morte di suo padre Isac e all’incontro avvenuto un anno prima la dipartita del genitore con la sua attuale moglie Casey. Si tratta di un testo che mette insieme una mole notevole di conoscenze letterarie, citazioni poetiche e filosofiche con storie di famiglia, racconti di vita quotidiana, del dolore e della felicità. Si tratta soprattutto di una lunga e appassionante riflessione su due aspetti complementari dell’esistenza: la perdita e il ritrovamento, nonché sui due temi che da sempre sono al cuore di ogni vera domanda che un essere umano possa porsi: l’amore e la morte. La prima parte del testo si sofferma sull’amore incondizionato che Kathryn provava per suo padre e sulla vita di quest’uomo che aveva imparato la perdita fin da bambino: a soli nove anni era stato allontanato dalla famiglia per crescere in un kibbutz. Schulz racconta che prima di approdare ragazzino negli Stati Uniti, suo padre aveva già perso due continenti. Da Israele, infatti, in un viaggio durante il quale aveva visto suo zio morire in auto colpito da un proiettile volante, era approdato con sua madre in Germania e dopo qualche anno negli Stati Uniti. Dalla descrizione che ne fa l’autrice, ciò che suo padre non ha mai smarrito invece è l’entusiasmo per la vita e per la conoscenza, l’adorazione per sua moglie e per le sue figlie.

L’ultima parte del testo è dedicata, con un tocco di vera maestria, alla lettera «&»: Schulz ne analizza le origini e gli usi nelle varie lingue

Anche grazie al buon temperamento dei suoi genitori nonché a una certa dose di fortuna a cui Schulz fa riferimento in vari punti del testo non dandola mai per scontata, lei ha vissuto una vita felice: è stata una bambina serena, ha potuto accedere a un’istruzione eccellente, perseguire il suo desiderio di scrivere. Ed è all’interno di questo panorama idilliaco che il dolore per la perdita deflagra. Schulz lo descrive in tutta la sua inesorabilità, senza offrire a chi legge nessun tipo di appiglio consolatorio, ma una preziosa compagnia. Il racconto del lutto che occupa la parte Lost di questo testo non è mai retorico né edulcorato: la tristezza che la pervade dopo la morte del padre viene descritta sia come invalidante, nei primi tempi, ma anche come uno strascico di cui è difficile definire i contorni col trascorrere dei mesi.

Con lo stesso entusiasmo, la stessa capacità analitica e una grande meraviglia per l’esistenza Schulz descrive l’innamoramento. Come nella parte Lost si era soffermata sulle ipotetiche cause che ci conducono a perdere: oggetti, amori, abilità e sulle varie possibili soluzioni, anche matematiche, che l’umanità ha sviluppato per ritrovare ciò che costantemente smarriamo, in Found si domanda come e perché ci si innamori. Soprattutto, citando il paradosso di Menone che domanda a Socrate come pensa di trovare qualcosa che non conosce e come crede, se ci si imbattesse, di riconoscerla, Schulz si chiede come sia possibile riconoscere l’amore quando lo si incontra, che cosa renda così sicuri in così poco tempo che l’altro o l’altra siano la persona con cui trascorrere il resto della nostra vita. Nel suo caso, le sono bastati pochi giorni per comprendere che si era innamorata di Casey e che avrebbe voluto sposarla: «Questa è l’essenza dell’amore corrisposto e, sicuramente, la più fortunata delle condizioni: desiderare solo ciò che già abbiamo».

Perseverando nell’attitudine di inchiesta che caratterizza tutto il libro, Schulz analizza le ragioni dei numerosi litigi che hanno connotato la sua relazione nel primo anno e anche il perché a un certo punto lei e Casey abbiano smesso di discutere, quando è svanita «la paura di perdere l’altra».

L’ultima parte del testo è dedicata, con un tocco di vera maestria, alla lettera «&»: Schulz ne analizza le origini e gli usi nelle varie lingue e poi racconta con dovizia di particolari il modo in cui ha chiesto a Casey di stare insieme per tutta la vita, i preparativi, il giorno del matrimonio, la paura costante che in quel momento così importante la nostalgia del padre l’avrebbe attanagliata, mentre Casey temeva che non tutti i suoi familiari avrebbero preso parte al matrimonio fra due donne.

Perché la «&»? Con molta umiltà, ma anche con un approccio alla scrittura libero che le permette di descrivere l’amore di Dante e Beatrice e di accostarlo a un episodio di invasione di pulci, Schulz condivide con lettrici e lettori lo sgomento e la meraviglia di un destino, quello umano, in cui il dolore «&» la gioia, la perdita «&» l’incontro si susseguono, fino a che non giunge inesorabile la fine. Lo fa a partire da sé stessa, come nella migliore tradizione della scrittura delle donne, consapevole però che è propria di tutti gli esseri umani un’insaziabile voglia di infinito: «Non è il passato che piangiamo […] è il futuro».

Bibliografia

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