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L’altropologo La firma di Don Cristóbal Colón
Aveva accarezzato l’idea per anni, fin da quando, bambino poco propenso alla disciplina scolastica, assieme al fratello Bartolomeo, amava studiare le carte nautiche che a Genova era divenuta un’industria d’eccellenza. Arrivato poi in Portogallo come agente di commercio dopo alcuni anni da imbarcato (e un abbordaggio di pirati francesi che gli aveva fatto perdere l’ingaggio), aveva cominciato a dedicarsi seriamente al suo sogno. I re portoghesi, al tempo, si trovavano costretti a una politica d’espansione sui mari costretti com’erano, dopo la Reconquista dei Re spagnoli che si sarebbe completata proprio nel fatale 1492, a voltar le spalle alla terraferma e cercar fortuna altrove. Ma i portoghesi erano tutto fuor che marinai d’altura. La pesca costiera della sardina e la navigazione sottocosta era tutto ciò che tecnologia e un Mare Oceano ostile permetteva loro. Genova dominava allora i com- mercio nel Mediterraneo Occidentale, scapolate le colonne d’Ercole, ormai rassegnata alla supremazia della Serenissima sulle rotte orientali. Benvenuta dunque fu la politica di Enrico, Infante di Portogallo e Principe di Sagres (1394-1460), detto il Navigatore: fra il 1420 ed il 1445 annesse al Regno di Portogallo Madera, le Azzorre, e le isole del Capo Verde mentre stabiliva l’egemonia portoghese in tutto il Golfo di Guinea, fino al Congo e all’Angola. A lui, dunque, vanno onori ed oneri per avere fondato, intorno al 1450, l’impero coloniale portoghese. Strumento tecnico fu la caravella, agile legno a due alberi che, nonostante le piccole dimensioni e le vele quadre, riusciva a virare di bordo con una certa facilità per risalire i venti contrari Est-Ovest del golfo di Guinea. Gli equipaggi di contadini a digiuno di terminologia marinaresca venivano addestrati appendendo un maz-