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Il momento dell’indignazione
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Il punto ◆ Il Nazionale boccia il pacchetto di aiuti per l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. Quali scenari si aprono ora?
«Empörung». Questa parola è risuonata più volte in aula a Berna, la settimana scorsa, durante i dibattiti speciali delle Camere federali sul caso Credit Suisse. I partiti, tutti, hanno davvero fatto un largo uso di questo termine, a tal punto che quei due giorni potrebbero ora portarne il nome: è stata la sessione dell’indignazione. E non poteva essere altrimenti, vista la gestione scriteriata di CS da parte di manager dall’appetito pantagruelico e visto che mancano ormai soltanto sei mesi alle elezioni federali di ottobre. Siamo in piena campagna elettorale e il «caso CS» ne ha di certo pagato lo scotto. L’indignazione, la rabbia e lo scontro sono stati talmente accesi da portare il Consiglio nazionale a bocciare il pacchetto di aiuti, immaginato dal Governo e in particolare dalla ministra delle finanze Karin Keller-Sutter, per sostenere l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. A nulla è valso il voto favorevole dell’altra Camera, il Consiglio degli Stati. Voluto dai due poli opposti – UDC da una parte, Socialisti e Verdi dall’altra – questo rifiuto porta in sé un forte valore simbolico ma non ha effetti concreti. I prestiti e le garanzie messi a disposizione della Confederazione per un valore totale di 109 miliardi non vengono cancellati, visto che erano stati approvati con diritto d’urgenza dalla Delegazione delle finanze del Parlamento, coinvolta in fretta e furia dal Governo prima di dare il via libera all’intera operazione di liquidazione di Credit Suisse. Era la sera dello scorso 19 marzo e il CS era ormai sull’orlo del collasso finanziario.
La bocciatura del Nazionale è dovuta a vari motivi e a un unico comune denominatore. Il fronte dei contrari avrebbe voluto solide garanzie da parte del Governo, e dalla ministra delle finanze, per accrescere in tempi rapidi i controlli sul settore bancario. Con un maggiore capitale proprio, ad esempio, oppure con un’accresciuta attenzione agli investimenti sostenibili, o ancora con nuove regole per ridurre i bonus a favore dei dirigenti bancari. Senza dimenticare la richiesta di impedire alle banche di raggiungere dimensioni tali da mettere in pericolo, con un loro fallimento, l’intera economia svizzera. Temi complessi che di certo non era possibile trattare in soli due giorni di dibattiti ma su cui si è fatto leva per affossare il piano d’aiuti in favore della nuova UBS. Ci vorranno ora diverse altre sessioni parlamentari per affrontare nel dettaglio tutte queste tematiche e per creare una nuova impalcatura legislativa in ambito bancario. C’è infatti bisogno di nuove leggi per tenere a bada il nuo- vo colosso diretto da Sergio Ermotti, che ha una somma di bilancio di due volte superiore a quella della Confederazione.
È questo il momento di elaborare nuove leggi per tenere a bada il nuovo colosso diretto
da Sergio Ermotti
Visti i presupposti, tutto lascia pensare che vedremo altri dibattiti infuocati su questo tema, anche perché verrà quasi certamente creata una Commissione parlamentare d’inchiesta per far luce su quanto capitato. E anche per capire come mai nell’autunno scorso l’allora ministro delle finanze Ueli Maurer non si sia mosso più di quel tanto per tessere una rete a sostegno di una banca che già in quel momento era in una situazione di collasso imminente. In ogni caso, tornando al presente, la bocciatura della scorsa settimana è una sconfitta personale per la «tesoriera» Karin Keller-Sutter, un voto negativo che conferma un detto antico come i Vangeli, e cioè che nessuno è profeta in patria. E qui val la pena di ricordare che la sera del 19 marzo scorso la ministra sangallese era al telefono con un suo collega straniero per presentare il piano d’azione UBS-CS. Le cronache di Palazzo federale raccontano che quel ministro al termine della telefonata le avrebbe detto: «You saved the world». E anche se quel «you» in inglese può voler dire «tu» ma anche «voi», per KKS è stato di certo un complimento di peso, la conferma di un lavoro ben fatto. Lei che in quell’operazione a cuore aperto aveva saputo in fretta e furia vestire i panni della samaritana, capace di salvare se non proprio il mondo intero, perlomeno il suo Paese. Due settimane più tardi, invece, dal Parlamento svizzero è arrivata una sconfitta, simbolica certo, ma potenzialmente in grado di lasciare dietro di sé parecchie scorie.
Con le altre grandi piazze finanziarie che si saranno di certo fatte qualche domanda sull’affidabilità del nostro Paese e sui suoi (dis)equilibri politici. E a proposito di scorie e di equilibri val la pena di ricordare anche un altro argomento: quello del risanamento delle finanze federali. Un cantiere aperto proprio da Karin Keller-Sutter che di recente ha messo lì alcune proposte potenzialmente esplosive. Nel concreto la ministra del PLR, con l’avvallo del Consiglio federale, prevede di intervenire in particolare sull’Assicurazione disoccupazione e sul Fondo delle infrastrutture ferroviarie. I tagli si aggirano attorno ai 600-700 milioni all’anno, a partite dal 2025, ma altre misure di risparmio sono previste negli anni successivi. Non per nulla la stessa KKS, appena vestiti i panni della ministra delle finanze, nel gennaio scorso, ebbe a dire che durante gli anni della pandemia «abbiamo accumulato 30 miliardi di franchi di debiti. Una cifra non trascurabile».
Senza contare che sempre in tema di risparmi lo scorso 29 marzo c’era stata una fuga di notizie su possibili tagli ai danni dell’AVS. Fuga di notizie che ha bloccato il dossier e su cui è stata aperta un’inchiesta per capire chi sia stato questa volta a vestire i panni della «gola profonda». Segno, in ogni caso, che il clima di lavoro non sia di certo disteso e sereno tra i sette ministri del nostro Governo, attorniati dai loro rispettivi collaboratori diretti. Nel suo insieme il tema è politicamente incandescente, perché da una parte si chiedono sacrifici al cittadino-contribuente e dall’altra si concedono prestiti e garanzie miliardarie per evitare il collasso di una banca. E anche se non va dimenticato che nel caso del Credit Suisse si tratta essenzialmente di garanzie, non di versamenti concreti, resta il fatto che il momento non sembra particolarmente propizio per proporre dei risparmi. Insomma si può salvare il mondo, ma poi far fatica a rimettere sui giusti binari il proprio Paese.