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si rischia di saltare in aria»

Oberland bernese ◆ Nel 1947 l’esplosione di un deposito di munizioni causò la morte di nove persone e distrusse il villaggio di Mitholz. Gli abitanti non sono ancora al sicuro, la bonifica dell’area richiederà 2,6 miliardi di franchi e 20 anni di lavoro

Luca Beti

L’aria profuma di legno nella casa di Patric e Heidi Schmid. È uno chalet come se ne vedono tanti nell’Oberland bernese. Entrando in casa incrocio un figlio mentre si mette lo zaino in spalla. Fuori l’aspetta il pulmino che lo porterà a scuola. Nel salotto, sdraiata sul pavimento, sgambetta una bambina di pochi mesi. Quella degli Schmid è una casa piena di vita. Ma per quanto ancora? «Abbiamo deciso di andarcene», racconta Patric, quarantunenne, contadino e imprenditore edile. Lo chalet costruito dalla coppia nel 2009 si trova a poche centinaia di metri dall’ex deposito di munizioni dell’esercito. Lì, dove nel 1947 saltarono in aria 3000 tonnellate di esplosivo. Dalla finestra del salotto si scorge ancora la ferita lasciata nella montagna dal gigantesco botto: una parete nuda, di colore giallo e nero, dietro cui si trovano ancora 3500 tonnellate di munizioni, soprattutto granate d’artiglieria di piccolo calibro e bombe. Un pericolo con cui la famiglia degli Schmid e i circa 200 abitanti di Mitholz hanno convissuto, ignari, per oltre settant’anni. Almeno fino a quando il Dipartimento federale della difesa li ha informati che il rischio di una nuova esplosione era molto maggiore di quanto ipotizzato in precedenza. Una notizia che, come una mannaia, ha diviso le loro vite in un prima e un dopo. «Era il 28 giugno 2018, una data che non si dimentica», ricorda Heidi. Dopo lo shock iniziale, la famiglia si è rassegnata all’idea di dover lasciare la propria casa. «È per le nuove generazioni che lo facciamo», dice Patric, mentre volge lo sguardo verso la figlia che, sdraiata vicino a noi, succhia beatamente il ciuccio. Il giovane padre, e come lui buona parte degli abitanti di Mitholz, ritiene che l’unica soluzione per far rivivere il paese sia lo sgombero dell’ex deposito militare. Così la pensa anche il Dipartimento federale della difesa che, sulla base di un rapporto elaborato da un gruppo di lavoro è giunto alla conclusione che i residui di munizioni devono essere portati via. Stando alle stime, la rimozione delle 3500 tonnellate sepolte nella montagna durerà una ventina d’anni.

Stando alle stime, la rimozione delle 3500 tonnellate sepolte nella montagna durerà una ventina d’anni

Ma cos’è successo la notte del 19 dicembre del 1947 a Mitholz? Nei giorni prima di Natale la vita si trascina stanca nel paesino coperto da una coltre di neve. La guerra è finita da poco. E anche i lavori per la realizzazione di un deposito militare nell’ambito del ridotto nazionale svizzero si sono conclusi. Nel villaggio nessuno sa con precisione cosa è stato nascosto nel cuore della montagna. Nessuno sa del pericolo. Poco dopo le 23.30 i circa 200 abitanti vengono improvvisamente strappati dai loro letti: un’esplosione gigantesca scuote le case per lunghi secondi e accecanti lance di fuoco squarciano la notte. È l’inferno. Le esplosioni si susseguono a raffica, piovono schegge incandescenti che perforano i muri e danno fuoco ai tetti. La gente si precipita all’aperto, in pigiama, scalza.

Qualcuno si è tirato una coperta sulle spalle. Tutti cercano scampo da quella pioggia di pietre e pezzi di metallo. Corrono nella neve verso Kandergrund, il paese vicino. C’è chi viene colpito da un macigno o da un proiettile vagante. Alle prime luci dell’alba, uomini e donne ritornano timorosi nel villaggio che ora non riconoscono più. Davanti ai loro occhi una scena di guerra: nove morti, di cui quattro bambini, vari feriti, mucche, maiali e galline uccisi, un villaggio raso quasi al suolo, 200 persone senza tetto. Le macerie sono nere a causa delle fiamme e della polvere da sparo. Dei pali del telefono e della linea elettrica rimangono solo alcuni tronconi con la punta scheggiata ritta verso il cielo. I segni della morte sono dappertutto. E sul terreno giacciono ovunque ordigni inesplosi sputati dal deposito militare: proiettili di piccolo calibro, mine antiuomo, bombe a frammentazione, bombe aeree. La neve li ha coperti e ciò rende ancora più difficili le operazioni di soccorso. Nei giorni successivi dalla montagna arriva continuamente l’eco di altre esplosioni. All’indomani della tragedia, il consigliere federale Karl Kobelt, ministro della Difesa, visita il villaggio, infonde coraggio e rassicura gli abitanti, promettendo loro che non saranno lasciati soli. Anche il generale Henri Guisan, il padre del ridotto svizzero, si reca a Mitholz e invita la popolazione elvetica a fare delle donazioni in favore dei senza tetto. I costi della ricostruzione vengono stimati a cento milioni di franchi.

Dalla notte del 19 dicembre 1947 tutti sanno cosa conteneva il deposito: 7000 tonnellate di munizioni o, come illustrò il consigliere federale Kobelt, 700 vagoni ferroviari carichi di bombe. Un gruppo di esperti viene incaricato di scoprire cos’è successo nelle viscere della montagna per rassicurare, oltre che la gente di Mitholz, anche gli abitanti di altri villaggi di montagna visto che l’esercito aveva immagazzinato armi un po’ ovunque nelle Alpi svizzere. Le cause dell’esplosione rimangono però un mistero. Gli specialisti sostengono che il deposito è ormai innocuo, che il rischio è minimo. L’esercito decide di lasciare tutto nella montagna. Era il 1948. Le case distrutte vengono ricostruite e la vita ritorna a Mitholz. Una fontana, scavata da un blocco di granito scagliato in paese dall’esplosione, porta una targhetta in ricordo delle nove vittime.

Il deposito conteneva 7000 tonnellate di munizioni o, come illustrò il consigliere federale Kobelt, 700 vagoni ferroviari carichi di bombe

Tutto sembra tranquillo sotto la Fluh, la parete di roccia lasciata nuda dal botto. Tanto che negli anni Ottanta l’esercito decide di realizzare una farmacia militare e degli alloggi per la truppa nell’ex deposito di munizioni. Nel 2018 si progetta di realizzare un centro di calcolo nei cunicoli vuoti. Viene commissionato uno studio per valutare i rischi. Il gruppo di esperti giunge alla conclusione che il pericolo di ulteriori esplosioni è più elevato di quanto sinora ipotizzato e che solo uno sgombero completo può mettere al riparo l’ambiente e la popolazione da future spiacevoli sorprese. Le 3500 tonnellate di munizioni vanno rimosse. I costi dell’operazione, che durerà almeno 20 anni, sono stimati a quasi 2,6 miliardi di franchi. Dopo l’approvazione alla fine di marzo del progetto da parte della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale, il credito per lo sgombero verrà discusso probabilmente nella sessione estiva delle Camere federali. Una decisione che darà inizio ai lavori di preparazione: la messa in sicurezza della ferrovia e della strada. Inoltre, l’esercito dovrà dotare il comando KAMIR delle attrezzature necessarie per rimuovere i residui di munizioni e ordigni inesplosi.

A 71 anni della catastrofe, la storia ha ribussato alle porte di Mitholz. Per una ventina d’anni buona parte degli abitanti dovrà lasciare le proprie case. «Non è certo facile», dice Patric, ricordando che il suo chalet accoglierà gli uffici del cantiere. «Ma vivere qui durante lo sgombero del deposito sarebbe pressoché impossibile». E così con la famiglia traslocherà per una quindicina d’anni a Frutigen, villag- gio a dieci chilometri di distanza. Lì dovrà rifarsi una vita. E dopo? Mitholz rimarrà un villaggio fantasma? La vita vi farà mai ritorno? «Certo», sono convinti Patric e Heidi. «Non so cosa faremo noi nel 2045. Speriamo però che i nostri figli tornino ad animare le strade del paese». Un paese che avrà finalmente scacciato lo spauracchio dell’ex deposito pieno di munizioni.

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