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La Francia si pensa ancora grande
L’analisi ◆ Il viaggio in Cina del presidente Macron ha di fatto collocato Parigi fuori dalla visione geopolitica americana
Lucio Caracciolo
Ogni potenza che si rispetti struttura la propria geopolitica sulla base di linee guida di lungo periodo, declinate e adattate alle contingenze. La Francia, che malgrado tutto continua a pensarsi potenza rilevante su scala mondiale, osserva questo precetto. Ne è recente testimonianza l’intervista concessa in aprile da Emmanuel Macron a «Politico» e a due giornali francesi. Aderendo all’idea storica della «grandeur» e dell’Europa a guida francese come terzo polo di potenza insieme agli Stati Uniti e al suo rivale attuale – la Cina rossa – o passato, l’Unione Sovietica – Macron ripercorre sentieri già segnati in passato dal generale de Gaulle e da Mitterrand, come da quasi tutti i presidenti francesi. Due leader di diverso sentire politico ma di analoga ispirazione geopolitica. Tanto che si usa fonderli in un solo stampo, quello appunto del gaullo-mitterrandisme. Oggi potremmo aggiungervi il macronisme.
La tesi del presidente francese è semplice: «Essere alleati non significa essere vassalli». Variazione sul tema gaullo-mitterrandiste riferito al rapporto con gli Stati Uniti: «Nous sommes alliés, pas alignés». L’occasione è il viaggio di Stato in Cina (nella foto Macron con Xi Jimping). Macron vi è stato accolto con tutti gli onori. E ha di fatto collocato la Francia fuori del mainstream americano, per cui l’ordine del giorno è contenere l’espansio- nismo cinese con tutti i mezzi disponibili, non esclusa la guerra. Sul tema di Taiwan, Macron ha specificato: «La domanda a cui gli europei devono rispondere è se sia nel nostro interesse accelerare una crisi a Taiwan».
Risposta: «No! La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo seguire l’agenda degli Stati Uniti e provocare una reazione eccessiva da parte della Cina».
Tesi che ha ovviamente trovato accoglienza favorevole in Cina. Altrettanto naturalmente ha scatenato le reazioni negative di gran parte dell’establishment americano, malgrado il tentativo di sminuire il senso delle parole di Macron da parte del Dipartimento di Stato. Interessanti in particolare le reazioni europee. Soprattutto quella polacca. Il primo ministro Mateusz Mazowiecki, in visita ufficiale a Washington, ha notato:
«La Vecchia Europa ha fallito, la Polonia è leader della Nuova Europa». La Vecchia Europa è quella occidentale: la NATO originaria. La Nuova, l’ex Patto di Varsavia, è oggi punta di lancia dello schieramento antirusso suscitato dalla guerra in Ucraina.
Questo clivage Macron/Mazowiecki indica la faglia che sta ritagliando l’Europa fra Est e Ovest lungo la ex cortina di ferro, ma a parti invertite. Gli ex satelliti di Mosca ne sono oggi il peggior nemico. Le ex province europee dell’informale impero americano sono le più corrive verso Putin e . Dunque in parte si smarcano, con molta cautela (salvo i francesi), da Washington. Interessante che Macron, sempre in sintonia con il gaullo-mitterrandisme, abbia inteso parlare a nome dell’Europa. Termine che va tradotto dal francese quale sinonimo di Francia. Come diceva il Generale, in camera caritatis: «L’Europa è il mezzo attraverso cui la Francia deve tornare ad esser quel che era prima di Waterloo, la prima potenza mondiale».
Macron è abbastanza aggiornato per rendersi conto che Parigi non può più pretendere alla leadership planetaria. Ma non vuole nemmeno essere ridotto a comprimario. Sarebbe negare storia e identità profonda della Francia, già scossa da una lunga crisi depressiva e da sommovimenti violenti che ricorrono nelle piazze e nel cuore della società nazionale, ultimo il caso delle manifestazioni contro la riforma delle pensioni. Questa vicenda ci consente di stabilire – o meglio confermare – che cosa sia l’UE per Parigi. Uno strumento della sua geopolitica. Un moltiplicatore di poten- za dell’Esagono. Oggi più rilevante a causa della crisi tedesca, che impedisce a Berlino di esercitare il ruolo semi-egemone che Kohl e Merkel erano riusciti a canonizzare negli scorsi tre decenni.
Per rendere plastica questa visione, Macron si è fatto accompagnare nel viaggio cinese, oltre che da una folta delegazione di imprenditori, da Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea non ha detto né fatto nulla di rilevante, com’era prevedibile. E il protocollo mandarino ha ridotto il suo rango a quello di alto funzionario, altro che capo di Stato. È ovvio, ma alcuni europei tendono a dimenticarlo, quasi da Bruxelles agisse uno Stato europeo. Di ritorno dalla Cina, Macron ha replicato ai critici: «Je ne regrette rien». Il brano di Edith Piaf, colonna sonora dell’Eliseo. Così il presidente vuole ergersi ad araldo della Francia patriottica, al di là degli schieramenti politici. Anche un modo per districarsi dalle vicende in cui si è incartato sostenendo la riforma delle pensioni. Difficilmente funzionerà. Quel che interessa, però, è il senso geopolitico: la Francia intende rappresentare l’Europa, o almeno la «Vecchia Europa» che americani e polacchi disdegnano. Un modo come un altro per ricordarci che l’UE non è un soggetto geopolitico. E che la Francia non potrà renderla tale.
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