7 minute read

Eredità in pericolo

Italia ◆ Che fine farà l’impero di Berlusconi?

Alfio Caruso

«Tu lo sai che cos’è una persona non binaria?». Non è esattamente il genere di domanda che ci si aspetterebbe di trovare in un dialogo tv con papa Francesco. Eppure si parla senza remore anche di questo – come di aborto, mondo Lgbtq+, sesso e masturbazione o dei soldi del Vaticano –in Amén, Francesco risponde, il nuovo documentario-evento sul pontefice, messo online di recente sulla piattaforma Disney+.

Il giornalista spagnolo Jordi Évole e il regista Màrius Sanchez sono riusciti in un’operazione interessante: far uscire davvero Francesco dal cliché ormai inflazionato delle interviste al Papa, per metterlo a confronto con un gruppo di ventenni scelti non tra le folle osannanti dei papaboys ma tra quelli che la Chiesa il più delle volte la sentono lontana o magari anche un po’ ostile. Registrato nel giugno scorso in «campo neutro» – un loft di Roma, anziché l’ingessato salotto di Casa Santa Marta – il documentario si fa vedere proprio per il tentativo sincero di parlarsi e capirsi tra mondi apparentemente distanti. Girato con dieci ragazze e ragazzi tra i 20 e i 25 anni –provenienti da diversi Continenti, ma accomunati dal fatto di parlare tutti lo spagnolo, la lingua madre di Bergoglio – il risultato sono 86 minuti di scambio serrato in cui Francesco fa di tutto per vivere lui stesso quell’idea di «Chiesa in uscita» che ama indicare ai suoi preti come la strada da percorrere oggi.

Il pontefice: «Esprimersi sessualmente è una ricchezza», ma «sminuire la reale espressione sessuale sminuisce anche te»

Nonostante i titoli un po’ sensazionalistici sparati da qualche quotidiano, non esprime concetti particolarmente nuovi; spesso ripete cose già dette, come ormai gli capita sempre più spesso. Ma l’aspetto realmente rivoluzionario è il tono: è un papa che stavolta abbandona quasi completamente il registro dell’istituzione per mettersi allo stesso livello di questi ragazzi. Anche quando hanno trascorsi pesanti nel rapporto con le realtà ecclesiastiche (uno racconta di essere stato vit- tima di abusi) o si professano candidamente catechisti in parrocchia e al tempo stesso favorevoli alla libertà di scelta della donna sul tema dell’aborto, un binomio non proprio ortodosso nel mondo cattolico.

I temi affrontati sono molti, ma la parte più interessante è proprio quella sul rapporto con il sesso. E non a caso, è l’ambito su cui Francesco e i giovani sono oggettivamente più lontani. Gli chiedono se conosca Tinder, una ragazza racconta di vendere contenuti pornografici online, si parla di masturbazione. Francesco risponde che «il sesso è una delle cose belle che Dio ha dato alla persona umana». Dice che «esprimersi sessualmente è una ricchezza», ma aggiunge che «sminuire la reale espressione sessuale sminuisce anche te, e impoverisce questa ricchezza in te». Poi, però, è costretto ad ammettere che alla Chiesa manca ancora «una catechesi matura sul sesso».

Sulle persone non binarie – che didascalicamente i ragazzi gli spiegano essere «né uomo né donna, o, quantomeno, non del tutto né tutto il tempo» – Francesco risponde che «ogni persona è figlia di Dio, che non rifiuta nessuno, Dio è padre. E io non ho diritto a cacciare nessuno dalla Chiesa. Non solo, il mio dovere è di accogliere sempre. La Chiesa non può chiudere la porta a nessuno». E infervorandosi aggiunge anche che quelli che citano la Bibbia per escludere da una comunità cristiana le persone Lgbtq+ «sono infiltrati che approfittano della Chiesa per le loro passioni personali, per la loro ristrettezza personale. È una delle corruzioni della Chiesa». Sull’aborto dice di aver rivolto ai preti l’invito a «non fare troppe domande e a essere misericordiosi» di fronte alle donne che hanno vissuto questa esperienza drammatica. Ma al tempo stesso ribadisce che «da un punto di vista scientifico non si tratta solo di un mucchio di cellule che si sono unite, ma di una vita umana. Quindi, la domanda da porsi quando si parla di moralità è se sia lecito eliminare una vita umana per risolvere un problema».

Che cosa resta, allora, di questo dialogo tv tra il Papa e i teenager della Disney di oggi? Commentandolo su «El Pais» Sergio Del Molino, gio- cando sui format televisivi, l’ha definito sagacemente una via di mezzo tra Primo appuntamento e Pueblo de Dios, la trasmissione religiosa della tv spagnola. La sua conclusione è che alla fine a risaltare sarebbe solo l’ipocrisia: «Francesco vi ama, ma non si assume la responsabilità dei mali causati dalla sua istituzione», scrive lo scrittore spagnolo.

Francesco vuole davvero entrare in dialogo con la Generazione Z, ma è impossibile per un papa smarcarsi dall’istituzione

È un giudizio parecchio ingeneroso. Il fatto stesso di accettare «senza rete» un confronto del genere è un gesto coraggioso e inimmaginabile fino a ieri per un pontefice. Francesco è sincero nel suo desiderio di entrare in dialogo con la Generazione Z. E, in fondo, questo faccia a faccia modello reality show non è poi così diverso da quanto avviene oggi quotidianamente in certi oratori rimasti l’unico luogo di incontro in periferia o tra genitori e figli in più famiglie cattoliche di quanto si pensi. La distanza tra generazioni sul tema del sesso e dell’identità di genere è un’esperienza comune, e l’unica strada possibile per chi come la Chiesa vuole trasmettere un messaggio è accettare la sfida della relazione. Su un punto, però, Del Molino coglie nel segno: è impossibile per un papa smarcarsi dall’istituzione. Francesco non può essere solo un vecchio nonno che prova a raccontare il suo mondo ai nipoti, giocando sulla simpatia che nel dialogo sa trasmettere. Anche se va in streaming su Disney+ è il papa della Chiesa cattolica. E anche la Generazione Z sa bene che, una volta finito il video, l’attendibilità delle sue parole andrà a verificarla in posti e volti più vicini di lui, che incarnano quella stessa istituzione. E magari – in un’eventuale prossima puntata – anche a Bergoglio chiederà se le benedizioni alle coppie Lgbtq+ che tanto stanno facendo discutere oggi i cattolici in Germania, per il Papa sono polemiche tra «infiltrati» o un tema che resta incompatibile con la visione della Chiesa cattolica sul sesso.

Ricoverato in terapia intensiva dell’ospedale San Raffaele (almeno quando il giornale è andato in stampa), Silvio Berlusconi è al centro di sentimenti contrastanti. Da un lato l’umana simpatia per l’irriducibile combattente, che a quasi 87 anni lotta contro la leucemia; dall’altro l’accusa di essere stato il simbolo di quella Seconda Repubblica che ha fatto ampiamente rimpiangere la Prima. Il suo trentennio politico coincide con la deriva morale del Paese, con l’abbattimento di molti steccati comportamentali, con il trionfo della corruzione, di cui l’evasione fiscale è il segno più evidente. D’altronde Berlusconi scese in campo, a fine ’93, per risolvere una drammatica situazione patrimoniale, non certo per paura dei comunisti. Nel 1992 la Fininvest, la finanziaria di famiglia creata nel 1978, faceva utili per 11 miliardi di lire, equivalenti a poco più di 9 milioni di euro; aveva un capitale netto inferiore a un miliardo e mezzo di lire ed era piena di debiti: oltre 4,4 miliardi di lire. Cuccia, presidente di Mediobanca e dominus dell’economia nazionale, gli aveva consigliato di portare i libri in tribunale. Berlusconi invece puntò sul colpo grosso, per citare il titolo di una delle sue trasmissioni, e ha avuto ragione.

Dal ’96, anno della quotazione in Borsa, lui e in seguito anche i suoi figli – Marina (56 anni), Piersilvio (53 anni), Barbara (38 anni), Eleonora (36 anni), Luigi (34 anni) – hanno incassato cedole pari a 2,5 miliardi di euro, una media di 85 milioni l’anno. A capo di tutto c’è ancora la Fininvest. Sotto di essa stanno Edilnord, la creatrice di Milano 2 e poi Milano 3; Mediaset con la relativa raccolta pubblicitaria delle tv; Mediolanum, banca e assicurazioni; Mondadori, libri e giornali. Il controllo è detenuto da 7 scatole societarie, originariamente erano 38, e rimane un mistero dove Berlusconi abbia trovato all’epoca i soldi. Le Holding italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava fanno capo al 100% al Cavaliere e tutte insieme posseggono il 61,2% della capogruppo. Poi ci sono le quote dei figli di primo letto Marina e Piersilvio, pari al 7,65% ciascuna, raggruppate nelle Holding italiana Quarta (Marina) e Quinta (Piersilvio). Ai figli di secondo letto Barbara, Eleonora, Luigi è andata in quote proporzionali la Holding Italiana Quattordicesima, detentrice del 21,42% della Fininvest. La società ormai sprizza benessere da tutti i pori: nel 2021 ha vantato un attivo di 8,7 miliardi, ricavi per 3,8 miliardi con un patrimonio netto di gruppo di 3 miliardi, una redditività dopo le tasse a due cifre sui ricavi (360 milioni l’utile) e un debito finanziario a un terzo del valore del capitale. Questi numeri hanno consentito di distribuire poco più di 90 milioni al Cavaliere, 11,7 mi- lioni a Marina e a Piersilvio, quasi 11 milioni a Barbara, Eleonora e Luigi. Stenta a tenere il passo Mediaset: dal 2015 ha perso oltre un quarto del fatturato. Con le sue diramazioni è a bilancio per un miliardo, ma in Borsa la quota della famiglia vale meno di 700 milioni. Tale situazione spiega perché Marina, la vera numero 2 dietro il padre e destinata ad assumere un ruolo di guida dei cinque fratelli, ne valuti da tempo la cessione, magari con l’aggiunta delle testate giornalistiche in carico alla Mondadori. Tuttavia non è solo una questione di ascolti e di raccolta pubblicitaria in calo: l’impero tv, capace di sviluppare un’agguerrita concorrenza alla Rai, si è mantenuto nei decenni per l’abilità imprenditoriale di Berlusconi, ma anche per le fortissime protezioni politiche. Garantite dapprima dal leader socialista Craxi, del quale si diceva che avesse un interesse economico, successivamente dallo stesso Berlusconi per due volte capo del Governo o membro influente della maggioranza o capo dell’opposizione. Senza di lui, nessuno può escludere lo smantellamento di un’anomalia tutta italiana.

E senza di lui che ne sarà di Forza Italia? A dispetto di promesse e assicurazioni, Berlusconi ha evitato con cura di scegliere un successore e ha anche evitato che qualcuno potesse crescere fino al punto di ambire alla carica. Forza Italia è stata sempre e solo Berlusconi, il suo giocattolo personale: da trent’anni ne paga i debiti, pare che l’esposizione complessiva tocchi i 100 milioni; ne sceglie i rappresentanti; ne stabilisce la linea ascoltando soprattutto i vecchi compagni d’arma (Letta, Confalonieri, Galliani) e avendo quale stella cometa il tornaconto delle proprie aziende. Forza Italia sembra, dunque, destinata a seguire il destino del suo fondatore. Attorno a essa si agitano i tanti che ambirebbero a conquistarne le spoglie, da Salvini a Renzi. Il leader della Lega, circondato in casa dalle ambizioni crescenti di Zaia, presidente del Veneto, e Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia, sogna d’irrobustirsi con i senatori e i deputati azzurri messi nell’angolo dalla giravolta impressa da Marina e accettata dal malandato Silvio. Renzi punta sugli orfani per coltivare le residue speranze di costruire il grande centro, di cui tutti parlano, ma di cui nessuno sa indicare collocazione e consistenza. Sempre più criticato per l’eccesso d’intraprese personali, Renzi vorrebbe accreditarsi quale unico erede politico di Berlusconi, pronto persino ad allearsi con Meloni. Che al momento è la più accanita tifosa di Berlusconi. A causa dei sussulti del suo Governo, dall’emergenza immigrazione alla difficoltà di spendere i 200 miliardi dell’Europa, ha assoluto bisogno che Forza Italia sopravviva almeno per un anno.

This article is from: