Azione 36 del 2 settembre 2019

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Il podcast è ormai una realtà affermata. Ce ne parla Daniel Bilenko

Ambiente e Benessere Il dottor Christian Garzoni, specialista in medicina interna e malattie infettive, ci parla del Registro svizzero dei trapiantati

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXII 2 settembre 2019

Azione 36 Politica e Economia Si infiamma lo scontro in Medio Oriente fra Israele e Iran

Cultura e Spettacoli L’artista David Tremlett ha dato un nuovo aspetto a tre cappelle di Rossa, in Val Calanca

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La nostalgia degli anni nei palazzi

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Una nuova stagione di proposte alla Scuola Club di Migros Ticino

di Alessandro Zanoli

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Una storia che racconta il lato concretamente sociale dei social. Due amici, Luigi e Luisa, si incontrano per caso in un centro commerciale. Non si vedono da anni. Sono cresciuti in quartiere di palazzi, quelli che all’inizio degli anni 60 del 900 erano venuti su come funghi ai margini dei centri urbani ticinesi. Erano veri «quartieri»: vivevano una vita propria, anche con una certa qual promiscuità. Tutti si conoscevano. Si lasciavano i bambini in cortile a giocare: le mamme si sporgevano dalla finestra per chiamare quando era ora di pranzo o di fare i compiti. Il resto, per i ragazzi, erano agguerritissime partite di calcio tra i garage, sull’asfalto. Le ragazze si impegnavano in lunghe sessioni di gioco all’elastico, o preparavano minestrine di erba e terra nelle pentoline per le bambole. E le mamme ogni tanto scendevano anche loro, a chiacchierare e tener d’occhio i più piccoli. Era un paese nel paese, anche per questioni di omogeneità culturale: nei quartieri dei palazzi vivevano inevitabilmente molti immigrati. Nell’era del boom economico il Ticino si stava modernizzando, cresceva senza sosta. C’era bisogno di operai, magazzinieri, meccanici, commessi, infermieri. Per ogni nuovo impiego che si creava altrettante coppie si insediavano nei «casoni», ognuna con un paio di figli, almeno. I due amici, chiacchierando e rievocando quegli anni lontani, tentano un paio di conti. In una decina di stabili con almeno cinque o sei piani, se non di più, ci saranno state circa centocinquanta famiglie. Metti una media di due figli ciascuna, fanno un esercito di trecento bambini. Tutti in cortile a giocare, primavera, estate, inverno. «Chissà che fine hanno fatto» si dicono Luisa e Luigi. E qui entra in gioco il social. In poco tempo, smanettando su Facebook e su Whatsapp, si inizia a tessere una rete di contatti, che a sua volta produce una fitta serie di messaggi. L’inevitabile gruppo «I ragazzi di Via Bernasconi» (un nome che fa un po’ serie televisiva) raccoglie numerose adesioni. Eccoli, gli amici dei palazzi. Sono cresciuti, hanno messo su famiglia anche loro, qualcuno è già nonno. Ma soprattutto mostrano una grande curiosità per questo esperimento di ritorno al passato. «Quando ci vediamo?». E qui si svela l’aspetto davvero sociale del social. Passare dal messaggino al faccia a faccia richiede una certa dose di coraggio, in fondo. Vuol dire mostrare agli altri come si sono realizzate le aspettative, come si è confermato nella vita reale quel ruolo virtuale che si interpretava allora nella piccola comunità del quartiere. Dei circa ottanta iscritti al gruppo social, soltanto undici riusciranno a incontrarsi davvero, in un primo appuntamento «d’assaggio». Ma l’esperienza è proprio piacevole, in un’atmosfera migliore di quelle di certe riunioni famigliari vere. Partecipando alla rimpatriata, chi scrive si è trovato a chiedersi perché avesse accettato l’invito di Luisa e Luigi, e cosa stesse cercando tra le simpatiche persone che venivano dal suo passato. Al di là dell’effetto nostalgia, che comunque ha un suo fascino, l’impressione prevalente era il piacere di trovare una conferma, un riscontro concreto, ai propri ricordi, alle proprie esperienze di formazione. Sì, abbiamo davvero giocato a calcio in torride giornate estive consumandoci i ginocchi sull’asfalto; sì, abbiamo davvero tirato pallonate insensate contro la vetrina del negozio a pianoterra. Sì, negli appartamenti dove vivevamo le mamme ricevevano gli scatoloni dalle fabbriche e costruivano penne, montavano bigodini, cucivano vestiti, lavorando a domicilio. Tutto questo è esistito davvero: abbiamo vissuto una condivisione di destini che era probabilmente vera solidarietà umana. Ci saranno stati anche problemi, certo. Ma è questo sentimento di unità e vicinanza che sopravvive, a distanza di cinquant’anni. Annuncio pubblicitario

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Apertura del centro fitness il 6 settembre 2019. L’offerta di lancio è valida fino al 30 settembre 2019. ACTIV FITNESS, Via San Gottardo 5, 6943 Vezia

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Attualità Migros

Formazione per tutti!

Scuola Club di Migros Ticino Ecco le novità di un nuovo, ricchissimo anno di formazione continua

La formazione continua e non si ferma mai alla Scuola Club di Migros Ticino. Dal 1944, quando con un piccolo annuncio nella rivista «Brückenbauer» vennero pubblicizzati i primi corsi di lingue a 5 Fr., la Scuola Club Migros ha sempre dettato molte tendenze e interpretato con grande anticipo i cambiamenti culturali della nostra società. «Le novità di quest’anno confermano la nostra capacità di intercettare gli input che arrivano da una realtà sempre più variegata» ci spiega Mirella Rathlef, responsabile della Scuola Club di Migros Ticino. «Oggi non c’è più “il” pubblico, ma tanti pubblici diversi e originali quanti sono le persone che si affidano a noi per la nostra capacità di prenderci cura dei loro bisogni e di innovazione rispetto alle loro multiple esigenze». Sempre più centrali nella vita privata e professionale sono la salute e le competenze digitali. «Garantiamo grande attenzione alla cura di sé con i tanti corsi di Movimento e Benessere, primi fra tutti il Pilates» continua Mirella Rathlef. «Da quest’anno proponiamo anche un percorso formativo per diventare Istruttore di Pilates e trasformare così una passione in una professione. E per venire incontro alle sempre maggiori richieste di flessibilità, ecco la formula “Fitness Last Minute”in tre mosse. Hai un’ora libera? Chiama la nostra sede più vicina e verifica orari e disponibilità; prenota; raggiungici e goditi la tua lezione». Grande spazio anche alla qualificazione digitale. Vuoi aggiornarti e ripartire? Ecco il corso Office Refresher. Vuoi sfruttare al meglio il tuo tempo? Prova Organizzarsi con le App. Vuoi sapere a che punto sei? Per te, il Test online delle competenze digitali. E per

godere appieno delle possibilità offerte dai social, trovi i corsi di Introduzione al Social Media Marketing e Profilo professionale su Linkedin, per ampliare la ricerca di opportunità professionali. «Viaggia, cucina, gusta»: potrebbe essere questo il nuovo motto degli amanti della vita del XXI secolo. «Da quest’anno la Scuola Club offre i nuovi Percorsi d’Autore» spiega Mirella Rathlef. «Continua la collaborazione con la Joia Academy di Milano e con il grande chef Pietro Leemann, con la novità di Joia per tutti! Per preparare un Cous cous come in Maghreb o stupire con la Pasticceria veg prêt à manger». Per chi fa del viaggio uno stile di vita, in collaborazione con la Scuola del Viaggio, partono i nuovi corsi griffati da Claudio Visentin, per racconta-

Mirella Rathlef, responsabile della Scuola Club di Migros Ticino. (www.scuola-club.ch)

re in modo più coinvolgente le proprie esperienze utilizzando il reportage, i social network, gli haiku. Una vera chicca è il nuovissimo corso di Sommelier del Cioccolato, nato dalla raffinata esperienza internazionale di Giulia Bernasconi, consulente e manager nel campo della ristorazione. Crescere professionalmente, ma anche cambiare e riprogettarsi. La Scuola Club offre tante occasioni di specializzazione che hanno funzione di passerella per traghettare a nuovi upgrade professionali. «Dopo il successo del percorso di Segretariato medico, abbiamo introdotto alcuni approfondimenti in ambito sanitario, come la Comunicazione assertiva con il paziente, la Protezione dei dati nella pratica di segretariato medico, il Rilevamento dei parametri vitali», continua la responsabile della Scuola Club di Migros Ticino. Non mancano i must della vita aziendale che consentono di muoversi con destrezza nel campo della comunicazione interculturale, nella relazione con i clienti con il corso Il minimalismo e il potere dell’essenziale, o, ancora, nel gestire le tensioni del parlare in pubblico. Condividere, raggiungere con altri obiettivi comuni, coltivare insieme amicizie ed interessi: questo è quello che sempre più persone cercano attorno a un prodotto o un servizio. E questo sta nel DNA della Scuola Club. «A proposito di network... da noi mai più senza parole: ben 15 lingue per rispondere a ogni esigenza, dall’ABC fino alla conquista di certificati riconosciuti internazionalmente» conclude Mirella Rathlef. «Le relazioni per noi contano, eccome. Volete sperimentare un team building davvero originale? Cambia-

Un programma in grado di prendersi cura dei bisogni di innovazione dei pubblici più diversi.

te musica con La mia azienda suona il rock, per trasformare il vostro gruppo in una vera “band” e senza neppure

sapere leggere le note». Ritirate i nostri elenchi corsi per saperne di più. Vi aspettiamo!

Migros Ticino apre il suo quinto Activ Fitness

Wellness Da venerdì 6 settembre la catena di centri fitness sarà presente anche a Vezia, in via S. Gottardo 5,

nello stabile che ospita la stazione di servizio Piccadilly

Ubicato nel cuore del tranquillo Comune di Vezia, a due passi dal Liceo Lugano 2, il nuovissimo centro Activ Fitness di Migros Ticino occuperà una superficie di 1200 metri quadrati, offrendo un eccezionale rapporto tra prestazioni e prezzo. Come a Bellinzona, Losone, Lugano e Mendrisio, anche a Vezia la palestra, frutto di un investimento di circa 2,5 milioni di franchi, sarà equipaggiata con le più moderne attrezzature Technogym e il «programma fitness» si baserà su forza, resistenza e agilità, con l’utilizzo di

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

apparecchi di ultima generazione per la muscolazione, la coordinazione e la mobilità, per allenare le articolazioni in modo mirato, promuovere la forma fisica e il coordinamento, così come l’esercizio cardio-vascolare. Al centro Activ Fitness Vezia saranno attivi in tutto circa 25 collaboratori tra (istruttori fitness, istruttori corsi di gruppo, collaboratori per lo spazio bambini e per le pulizie) sotto la guida del gerente Daniele Grosso. Il ricco calendario settimanale di corsi di gruppo – una trentina di ore in tutto – proporrà le ultimissime tendenze nel campo del benessere fisico, come il Bodytoning e il Bodypump, il Power Yoga, il Vital-Fit, lo Zumba e i corsi di spinning. L’abbonamento comprende la sauna, il bagno turco e il servizio di baby sitting con personale selezionato, così come l’accesso agli altri 64 centri Activ Fitness presenti in tutta la Svizzera. Per ogni iscritto viene elaborato un programma di allenamento personalizzato e vengono fissati gli obiettivi da perseguire, con garanzia di assistenza per l’intero periodo di validità dell’abbonamento da parte

di istruttori che ricevono una formazione altamente qualificata e aggiornamenti continui. Anche nel centro di Vezia sarà disponibile un servizio massaggi, non compreso nell’abbonamento. Il costo dell’iscrizione è molto

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

competitivo e in occasione dell’apertura, fino al 30 settembre, sarà possibile approfittare di una straordinaria offerta di lancio, con l’abbonamento annuale a 590 franchi (anziché 740). Per studenti, apprendisti, beneficiari di AVS e AI il prezzo sarà invece ad-

A Vezia, fino al 30 settembre, abbonamento annuale allo straordinario prezzo di 590 franchi.

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Tiratura 102’022 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel. 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

dirittura di soli 490 franchi (anziché 640). Activ Fitness è presente in Ticino dall’ottobre del 2014, con l’apertura del primo centro di Losone, e da allora ha riscontrato un notevole successo, sviluppandosi con altre 4 sedi su tutto il territorio cantonale. L’attività è svolta in franchising ed è frutto di un accordo tra Migros Ticino e Activ Fitness AG, società della Cooperativa Migros Zurigo, leader del settore, con 64 centri e oltre 100’000 iscritti in Svizzera. Nel corso dei prossimi anni Migros Ticino prevede di aprire ulteriori centri nel nostro Cantone. Activ Fitness è aperto 365 giorni all’anno, domeniche e festivi compresi. Il servizio di baby sitting sarà disponibile dal lunedì al venerdì dalle 8.45 alle 11.30. Informazioni

Maggiori informazioni e orari delle singole sedi: info@activfitnessticino.ch www.migrosticino.ch/activ-fitness Tel. 091 850 86 00. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Società e Territorio Il bello della Svizzera Le agili guide curate da Heimatschutz consentono di apprezzare il nostro patrimonio naturale e architettonico

La filosofia del negativo in TV La serie True Detective dà voce a un certo pessimismo americano ispirato all’opera di Thomas Ligotti

Un premio per Marameo L’unica casa editrice della Svizzera italiana che pubblica solo libri per l’infanzia è stata premiata da ProLitteris. Intervista a Francesca Martella

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pagina 6 La maggior parte dei podcast sono ascoltati in cuffia ma in alcuni paesi si inaugurano le serie di successo con un lancio al cinema. (Marka)

Storie all’orecchio

Podcast In questi anni assistiamo a un vero boom: non è più solo la puntata radiofonica che ascoltiamo

il giorno dopo, ma una nuova forma di comunicazione, artistica e giornalistica. In Ticino però non è ancora conosciuto né valorizzato come si deve, secondo l’esperto Daniel Bilenko Sara Rossi Guidicelli «Il podcast è sulla bocca di molti e nelle orecchie di pochi». Daniel Bilenko parla di storie sonore nelle Università di Italia e Gran Bretagna e da anni contribuisce a costruire una cultura dell’ascolto anche da noi. «Qui molte persone pensano ancora che il podcast sia semplicemente la lista di quelle trasmissioni radiofoniche che si possono ascoltare in differita dopo che sono passate. Ma da una decina di anni il podcast è un mondo, una nuova biblioteca sonora che cresce ogni giorno di più, piena di storie prodotte da giornalisti, professionisti dell’audio o da persone comuni che sanno usare bene un telefonino. I podcast esistono indipendentemente dalle radio e quelli belli hanno alcuni tratti in comune: l’alta qualità del suono, il racconto della realtà usando tutti i trucchi della narrazione e la capacità di attivare la nostra immaginazione, rendendoci partecipi di quella storia». Negli Stati Uniti, in Francia e nel nord Europa il podcast è una realtà affermata, con le sue classifiche, i Festival e i premi; gente di ogni età scarica e ascolta serie di giornalismo investigativo, singoli file in cui viene spie-

gato un concetto (ad esempio come migliorare la biodiversità nel proprio giardino o quali sono i segreti per montare al meglio la mayonese), puntate realizzate da personaggi famosi che offrono consigli sulle ultime novità librarie o che svelano i retroscena dei colossal di Hollywood... Semplice da ottenere e in gran parte gratuito, meno impegnativo di un video perché lo puoi ascoltare mentre cammini, vai in macchina, cucini, fai sport, il podcast, come dice Bilenko, racconta storie «non tramite immagini, ma tramite l’immaginazione». Oggi Daniel conduce l’emissione d’attualità culturale «Diderot» alla Rsi Rete Due ed è autore di documentari e fiction sonori, alcuni dei quali premiati a concorsi svizzeri ed europei. Da bambino ascoltava storie da vinili 33 giri e minicassette; sua mamma gli raccontava fiabe prima di dormire e suo papà era musicista e teneva la radio accesa tutto il giorno. «Questa infanzia molto “sonora” mi ha marcato, ma l’importanza dell’udito riguarda tutti gli esseri umani: ognuno di noi ha iniziato a sviluppare l’ascolto prima degli altri sensi, già nel ventre materno, abituandoci al battito cardiaco della mamma, alla sua

respirazione e a tutti i rumori che si sentono da lì dentro... Poi solo dopo che siamo nati abbiamo fatto per la prima volta l’esperienza anche del silenzio... Oggi in questo mondo pieno di suoni, di immagini, di news che ci arrivano a raffica da ogni parte, credo che metterci un buon paio di cuffie nelle orecchie, potendo scegliere momento e luogo per sentire una voce intima che ci racconta una storia, sia un’attività tra le più benefiche che esistano». La scelta è vastissima e all’inizio può disorientare, come quando entri in una biblioteca e non hai mai letto un libro: da cosa comincio? Come faccio a sapere cosa mi piacerà? Come assicurarmi che non mi sto perdendo il meglio? «Sì, è vero, è difficile districarsi in un mare senza fondo, senza bussola, senza radar», spiega Daniel, «ma come esistono i docenti di letteratura, i manuali, le rubriche, le classifiche, i blog, le riviste che parlano di libri, sempre di più si possono trovare consigli e selezioni anche per i podcast». E cosa consiglia lui per iniziare? «Direi che chi capisce l’inglese può cominciare ad ascoltare Serial, che è la serie di giornalismo investigativo più avvincente e quella che ha dato il via

al grande boom del podcast. La prima stagione riapre un caso di cronaca nera americana finito nel dimenticatoio, e vi indaga da capo, con testimonianze, voci, effetti di musica e paesaggi sonori molto belli. In italiano invece c’è Veleno, che racconta in sette puntate la vicenda di una decina di bambini modenesi che vent’anni fa furono sottratti alle loro famiglie, accusate di far parte di una setta di satanisti pedofili. Tutto il documento è costruito a partire dai racconti di quei bambini oggi adulti. Bellissimo». Poi c’è Senza Rossetto, che affronta a 360 gradi la figura della donna di ieri e di oggi; Scientificast, 150 episodi sulla scienza, dai vaccini all’efficienza energetica passando dall’estinzione dei dinosauri; e in francese Les braqueurs, tre interviste ad altrettanti ex-malviventi che raccontano il loro pericoloso mestiere. La maggior parte dei podcast vengono ascoltati in cuffia, ma come spiega Bilenko non è un’attività meramente solitaria. In molti paesi per esempio si inaugurano le serie di maggior successo con un lancio al cinema: «Immaginiamo una sala piena di ragazzi, ragazze e adulti di ogni età, con i popcorn sulle ginocchia, seduti al buio che si ascoltano la prima puntata della nuo-

va serie e poi ne parlano tutti assieme (accade per davvero in Danimarca!). A Zurigo poi c’è la sede di podcastclub. ch, che organizza eventi pubblici e sta per aprire il primo spazio di coworking dedicato a persone attive in questo ambito. Anche noi in Ticino e nei Grigioni abbiamo proposto nei cinema e nelle sale comunali delle nostre valli il radiodramma Rsi Désalpe: si ascolta insieme, poi si dibatte e infine si condivide un rinfresco». Secondo Bilenko questi non sono i tempi giusti per pensare a progetti grandiosi che richiedono budget importanti; sono i tempi invece in cui si fanno strada le idee più snelle, innovative, quelle che destano meraviglia in maniera più profonda e personalizzata. Creare laboratori sul nostro territorio che esplorino questo nuovo mezzo, intimo, economico, che richiede alta qualità, significa saltare sul treno di un mercato da 500 milioni di dollari, che a sud delle Alpi stenta ancora a decollare. Soprattutto, conclude, «significa fare del bene alla comunità, perché una storia ben raccontata all’orecchio è un toccasana contro l’inquinamento visivo e sonoro di cui tutti, chi più chi meno, stiamo soffrendo».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Idee e acquisti per la settimana

Produttore di latte da tre generazioni

Novità Il latte fresco ticinese Intero e Drink si presenta in una nuova veste grafica. Andrea

Bizzozero di S. Antonino è uno degli oltre 100 produttori della regione a fornire questo latte di qualità a Migros Ticino

Tresol Group/Däwis Pulga

Latte fresco ticinese Drink 2,5% di grasso, 1 l Fr. 1.20* invece di 1.55 *Azione 20% dal 3 al .9.9

Andrea Bizzozero è tra i titolari dell’azienda agricola Agri Bi & Be e figura tra i produttori del buon latte ticinese che possiamo trovare sugli scaffali Migros sotto il marchio dei Nostrani del Ticino. Recentemente il cartone brik del latte Intero e di quello Drink sono stati oggetto di un restyling grafico che ha permesso di rendere le pratiche confezioni richiudibili ancora più accattivanti. Con Andrea, l’azienda famigliare di S. Antonino è giunta alla terza generazione: «La stessa fu fondata da mio nonno Carlo nel lontano 1951 e, dopo essere passata a mio padre Sergio, da una decina d’anni la gestisco io insieme a mio cugino, con l’aiuto di altri quattro collaboratori». Nell’ampia stalla vivono un centinaio di mucche lattifere

Latte fresco ticinese Intero 3,5% di grasso, 1 l Fr. 1.55

che vengono allevate nel rispetto delle loro esigenze ed alimentate con foraggio naturale, principalmente prodotto dall’azienda stessa. «Gli animali hanno a disposizione foraggio e acqua in qualsiasi momento della giornata e possono uscire all’aperto sul prato adiacente all’azienda quando vogliono», spiega Andrea. L’operazione di mungitura è completamente automatizzata, grazie a due cosiddetti «robot di mungitura»: sono le mucche che decidono quando preferiscono riposare, bere, mangiare o essere munte dal dispositivo. «Le nuove tecnologie di cui disponiamo oggigiorno non solo garantiscono di produrre un latte di prima qualità, ma permettono anche di concentrarci maggiormente sul benessere degli animali: il bestiame risulta infatti più

tranquillo e rilassato rispetto a quando la mungitura si effetuava ancora manualmente», precisa ancora Andrea. Mediamente, una mucca produce una trentina di litri di latte al giorno. Il latte appena munto è raccolto in una cisterna e trasportato per la successiva lavorazione presso la latteria LATI SA, ubicata a poche centinaia di metri dall’azienda agricola di Bizzozero. Qui il latte viene prima controllato per verificarne la qualità, quindi pastorizzato, standardizzato ed omogeneizzato, metodo necessario per evitare la separazione della parte grassa. Infine, il latte viene confezionato nei nuovi cartoni brik da un litro e consegnato alla centrale di distribuzione Migros di S. Antonino per la fornitura a tutte le filiali.

Andrea Bizzozero, produttore di latte a S. Antonino.

Nostrani del Ticino Mall Event fino al 7 settembre Grande evento dei Nostrani del Ticino anche all’interno della Mall del Centro Migros S. Antonino, da domani a sabato prossimo. Si potranno assaggiare alcune specialità selezionate della gamma, tra cui verdure, salumi,

formaggi, pane e gazosa, nonché acquistarle direttamente sul posto. Venite a scoprire la qualità, la freschezza e la genuinità di questi prodotti a km zero! Per l’occasione è previsto anche un concorso: indovinando quante

Le settimane dei Nostrani Fino al 16 settembre i prodotti locali saranno protagonisti nei supermercati Migros con diverse azioni e degustazioni speciali

Gallette di mais con Farina Bóna si trovano all’interno di un vaso di vetro, si possono vincere una carta regalo Migros del valore di 500 franchi, una da 300 franchi, e anche un set di 6 boccalini griffati Nostrani del Ticino.


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Idee e acquisti per la settimana

Un grill da record

Evento Sabato 7 settembre il Centro Migros S. Antonino ospita l’ormai tradizionale appuntamento

con il mega-grill della Optigal

Questo sabato uno dei più grandi grill per polli allo spiedo al mondo sarà installato all’esterno del Centro Migros S. Antonino! Sapevate che questo mega apparecchio modulabile è in grado di grigliare contemporaneamente qualcosa come oltre 400 polli: un record che ha dell’incredibile. L’accurata preparazione è affidata agli specialisti «grigliatori» della Optigal, la marca di pollame più apprezzata della Svizzera. Il succulento pollo svizzero dorato e croccante al punto giusto potrà essere acquistato sul posto a partire dalle ore 11.00 ad un prezzo particolarmente vantaggioso. Durante l’evento sono inoltre previste alcune animazioni collaterali. Quello con il mega-grill è ormai diventato da diversi anni a questa parte un appuntamento fisso del primo fine settimana di settembre. Sono molti i visitatori che, oltre a curiosare, non rinuncerebbero mai al piacere di un buon

pollo arrosto preparato con maestria. In caso di cattivo tempo, l’evento non avrà luogo. Optigal: bontà e sostenibilità

La marca della Migros «Optigal» è sinonimo di pollame svizzero di elevata qualità. Tutte le fasi del processo produttivo, dall’allevamento alla trasformazione e fino alla vendita, avvengono esclusivamente in Svizzera conformemente a rigide direttive. Gli animali sono allevati in ampi pollai nel rispetto del loro benessere e hanno accesso tutto l’anno ad un giardino d’inverno. Dispongono di luce naturale, aria fresca e un’area coperta all’esterno. Le aziende che producono per Optigal adattano l’alimentazione degli animali in base alla specie, all’età e al livello di sviluppo. Il mangime è puramente vegetale, ed è costituito da cereali, semi di girasole, piselli, soia, sali minerali e vitamine.

Pubblidirezionale

Il biogas è un’energia rinnovabile

In oltre 35 impianti in tutta la Svizzera si ottiene biogas da rifiuti organici come scarti vegetali o fanghi di depurazione, che viene in seguito direttamente convogliato nella rete del gas. Così potete riscaldare, cucinare o fare il pieno nel rispetto del clima e producendo soltanto ridotte emissioni di CO2. Il gas naturale e il biogas immesso nella rete sono identici come composizione e sono costituiti per la maggior parte da metano (CH4). La grande differenza risiede nell’estrazione o nella produzione del gas: il gas naturale è un gas presente in natura, che viene estratto dalle viscere della terra. Il biogas è prodotto dalla fermentazione di rifiuti organici delle abitazioni, delle aziende agricole o degli impianti di trattamento delle acque reflue e costituisce pertanto un’energia rinnovabile.

I distributori di gas svizzeri sono pionieri

Più di 20 anni fa in Svizzera per la prima volta al mondo venne immesso del biogas nella rete del gas. Oggi il biogas e il gas naturale vengono comunemente mischiati nella rete del gas. Per i consumatori è irrilevante che esca biogas o gas naturale dalle condutture di casa: in Svizzera un servizio di clearing, su mandato della Direzione generale delle dogane, monitorizza i quantitativi di biogas immessi nella rete e quelli venduti. Ai consumatori è così possibile garantire che il biogas acquistato è stato effettivamente immesso nella rete. Anche il biogas che viene importato in Svizzera è soggetto a elevati requisiti qualitativi: grazie ai certificati di origine è possibile tenere traccia del processo di produzione in qualsiasi momento, anche all’estero.

Il gas naturale e il biogas sono sempre più diffusi

Che cosa c’entra una mela con il nostro futuro energetico? Più lo conoscete, più vi convince.

Attraverso uno speciale programma, il settore svizzero del gas incentiva la produzione e l’immissione di biogas nella rete del gas con circa CHF 3 milioni l’anno. Viene incentivato solo il biogas che soddisfa gli elevati requisiti qualitativi della Confederazione e del settore del gas, vale a dire solo biogas ecologico ed eticamente impeccabile proveniente da rifiuti e materiali residui, ma non da alimenti o piante energetiche appositamente coltivate. Circa un terzo di tutte le economie domestiche svizzere alimentate a gas sceglie un prodotto a biogas o un prodotto a gas naturale con una percentuale di biogas. È il risultato di un’indagine condotta nel gennaio 2019 fra le aziende svizzere di approvvigionamento energetico su incarico dell’Ufficio federale dell’energia.

Al volante senza imposte con il biogas come carburante

Il biogas può essere utilizzato non solo come combustibile per riscaldare, cucinare o per impieghi industriali, ma anche come carburante. La percentuale minima di biogas nel gas carburante che è possibile acquistare è del 10 per cento. In alcune stazioni di rifornimento a gas decidete voi stessi se e di quanto aumentare questa quota, fino ad arrivare al 100 per cento di biogas. Se guidate un’auto alimentata per il 100 per cento da biogas viaggiate con ridotte emissioni di CO2 e una produzione pressoché nulla di polveri fini o di ossidi d’azoto, come avviene con tutte le vetture a gas naturale. Inoltre, come carburante il biogas è esonerato dalle imposte sugli oli minerali, il che si ripercuote positivamente sui costi complessivi. Trovate maggiori informazioni sul tema del biogas e del futuro energetico su gazenergie.ch


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Società e Territorio

Il bello della Svizzera è da scoprire Pubblicazioni Nelle piccole guide curate da Heimatschutz passato e presente diventano tappe di itinerari

che permettono di conoscere e apprezzare il nostro patrimonio Luciana Caglio Anche un paese piccolo, densamente popolato e costruito, dove una fitta rete di mezzi di trasporto rende tutto accessibile e ogni angolo sembra esplorato e catalogato, può riservare sorprese, curiosità, persino qualche mistero. In questa culla del classico turismo alpino, che aprì e sfruttò panorami spettacolari ormai di fama mondiale, c’è dell’altro. Da scovare entrando negli «interstizi», per dirla con il sociologo-etnologo JeanDidier Urbain, fra i primi ad affrontare scientificamente il turismo moderno e le sue derive. E per contrastare l’avanzata del viaggio standard, verso mete appena sfiorate da visitatori affrettati, propose l’antidoto dell’osservazione mirata e lenta, in grado di rivelare gli aspetti ignorati di luoghi familiari. Maturando così una nuova sensibilità nei confronti del proprio territorio. Perché, dietro l’angolo, ci attende «il più bello della Svizzera». S’intitolano, appunto, Die schönsten... der Schweiz e Les plus beaux... de Suisse le guide, pubblicate, negli ultimi due decenni, dall’Heimatschutz. Si tratta di opuscoli, formato cartolina che, con testi e immagini, impeccabili per precisione e originalità, illustrano itinerari all’insegna del «bello». Un bello in senso allargato, che concerne sia l’aspetto estetico sia i contenuti storici e sociali di località, edifici, impianti, oggetti, servizi che compongono l’ambiente di vita quotidiano. Un bello però che, proprio in Svizzera, ha subito i cambiamenti di uno sviluppo industriale e tecnologico, persino aggressivo. Con effetti allarmanti: le tracce del passato, preziose testimonianze d’epoca, cancellate o sfigurate. A questo pericolo l’Heimatschutz ha reagito con efficace tempestività. Un’associazione tradizionale, nata nel 1905, con l’intento di salvaguardare il patrimonio naturale ed edificato ha saputo creare un modello d’intervento innovativo: promovendo la conoscenza e l’apprezzamento delle cose che ci circondano da vicino. Quelle di ieri come quelle di oggi. In quest’operazione di recupero non è caduta nel tranello della nostalgia per un illusorio passato tutto bello e invidiabile. Nelle piccole guide Die schönsten...

der Schweiz passato e presente diventano le tappe di itinerari, a loro modo, alternativi, all’insegna del già visto da rivedere. Sono percorsi da compiere a piedi, o in treno, in funicolare, in battello, ma soprattutto con lo sguardo, la riflessione e, infine, con il piacere della sorpresa. Anche luoghi abituali, considerati anonimi, nascondono un’identità e una storia, insomma un plusvalore da decifrare. Un compito non facile, soprattutto in un territorio sempre più urbanizzato: «la città diffusa», come aveva definito il fenomeno Tita Carloni, riferendosi al Ticino degli anni 70/80. Ma tutta la Svizzera aveva vissuto una stagione di euforia edilizia, contrassegnata da creatività e affarismo, sfociata in uno scontro politico-culturale: «Abbattere il vecchio e costruire il nuovo o proteggere e conservare?». L’Heimatschutz ha svolto un ruolo, per così dire, di mediazione. Proponendo la visione da una prospettiva ben diversa: per individuare in un fabbricato, al di là dei dati ufficiali concernenti un’epoca e uno stile, altri connotati. Quelli che attestano la funzionalità, i legami con l’ambiente, e quindi con la popolazione: come dire il suo stato di salute e la sua stessa ragion d’essere, capace di sfidare il tempo. Negli opuscoli Die schönsten…, proprio il tema centrale dell’architettura si presta a un’interpretazione allargata e sfaccettata. Quindi non solo opere cosiddette canoniche, palazzi, castelli, chiese: meritano attenzione edifici e strutture che ci toccano direttamente,

responsabili della nostra qualità di vita, privata e collettiva. Parlando di musei, per esempio, senza tralasciare le grandi istituzioni nazionali, si suggeriscono visite negli interstizi: il museo della carta a Basilea, la Ballyana a Schönenwerd, il Bahnmuseum Albula a Bergün, il Museum Bruder Klaus a Sachseln, che racconta storie di mercenari e oggetti che documentano incontri galanti. E si citano anche piccoli, pregevoli, musei in Ticino: Hermann Hesse a Montagnola, Vincenzo Vela a Ligornetto, il Monte Verità, il M.A.X. a Chiasso. Ma oltre ai musei per definizione contenitori di cultura, altri luoghi, edificati o all’aperto, altri impianti, altri spazi pubblici e privati, persino mezzi di trasporto hanno ottenuto il privi-

legio di comparire da protagonisti in questa singolare collana editoriale. Già i titoli degli opuscoli sono indicativi. Ecco Die schönsten Bäder, i più begli impianti balneari che documentano gli esordi dell’era sportiva a partire dal 1860, quando uomini e donne nuotavano in zone separate. Vi figura anche il Lido di Lugano, con il padiglione liberty progettato dall’architetto Americo Marazzi nel 1928, rimasto fortunatamente intatto. Ecco la guida ai più begli hotel, dove il turismo belle époque ha lasciato tracce raffinate. Ecco Die schönsten Cafés und Tea Rooms, dove s’incontravano personaggi illustri e avventori comuni, insomma centri spontanei di aggregazione. Ecco, motivo d’orgoglio nazionale, il repertorio dei più bei mez-

zi di trasporto, fra i quali la ferrovia del Monte Generoso, cremagliera riscattata dalla Migros, nel 1942. E poi le guide delle più belle passeggiate, fra boschi, cascate, laghetti che riservano sorprese vicine a noi: come le Gole della Breggia a Balerna. Non a caso, nell’era verde che stiamo vivendo, le pubblicazioni più recenti puntano sull’incontro con la natura, attraverso i più bei parchi e giardini e alla scoperta di isole, per lo più ignorate: quella del lago di Cauma, nei Grigioni, o, in Ticino, la minuscola isola di Giornico. Ed è una voglia di verde che si fa sentire anche nelle città: si cita, fra altri il nuovo spazio urbano creato alla foce del Cassarate. Insomma, questi opuscoli biligue, tedesco e francese, non trascurano la Svizzera italiana. Senza dubbio con quest’operazione l’Heimatschutz contribuisce a suscitare una voglia di Svizzera, da non confondere, però, con una forma di chiusura nazionalista. Coincide con «la necessità, creata dalle migrazioni contemporanee verso l’esterno, di un viaggio di ritorno verso le origini e ciò che si è, lasciato alle spalle»: come scrive Eric J. Leed, nell’ultima pagina dell’imperdibile saggio La mente del viaggiatore. L’autore, peccando d’ottimismo, allude addirittura a «una nuova manifestazione della vecchia tradizione del viaggio filosofico». Informazioni

www.heimatschutz.ch

Un bosco ritornato pascolo

Capriasca Recuperata sui Monti di Cima una pregiata area interessante per l’agricoltura e utile

anche alla diversità della flora e della fauna Elia Stampanoni

La zona di Gola di Lago-Monti di Bigorio-Monti di Condra è certamente una zona ricca e interessante, non solo per i turisti o gli escursionisti, ma anche per le specie animali e vegetali che trovano in quest’area pregiata degli ambienti particolari e adatti alla propria sopravvivenza. Collocata a cavallo dei mille metri di quota, l’area è ora stata ulteriormente arricchita grazie al recupero di un prato alberato (o bosco pascolato), dove gli animali potranno tornare a brucare l’erba e alcune specie selvatiche troveranno un habitat ideale. I lavori di ripristino e valorizzazione hanno coinvolto una superficie di quasi quattro ettari, dove negli anni, con l’abbandono dell’agricoltura, il bosco ha potuto avanzare e occupare questa e altre zone precedentemente sfruttate come superfici da falcio e da pascolo: «Dove oggi si trova la betulla, anni fa si trovavano pascoli e prati estensivi. Con il progetto si è voluto valorizzare un’area imboscata con tendenza evolutiva verso un bosco chiuso

e povero in specie, in un prato alberato, interessante per l’agricoltura e con una ricca diversità floristica e attrattiva per molte specie faunistiche», spiega Paolo Piattini, ingegnere forestale e progettista dell’intervento promosso dal Patriziato di Sala Capriasca. A beneficiare degli interventi non

saranno quindi solo i molti camminatori che transitano sui sentieri di questa zona, ma anche il settore primario che avrà a disposizione un pascolo in più per i propri animali. L’area interessata è infatti già stata delimitata in parte con 121 pali in castagno, dove l’agricoltore che carica l’alpe Mo-

Il progetto è stato promosso dal Patriziato di Sala Capriasca. (E. Stampanoni)

schera, situato nelle vicinanze, potrà apporre il filo elettrico nel periodo di pascolo e contribuire in modo essenziale al mantenimento delle opere di ripristino. I lavori si sono conclusi a fine 2018 e hanno visto dapprima una scelta degli alberi da mantenere. Il legname tagliato, circa 500 metri cubi, è stato allontanato mentre i rami sono stati in parte tritati sul posto e in parte utilizzati per creare venti nicchie ecologiche, luogo di rifugio per alcune specie di animali. In seguito ai lavori di esbosco si è pure proceduto alla cura del terreno, con una semina che ha permesso lo sviluppo e la crescita di una cotica erbosa al di sotto delle betulle e degli altri alberi che sono stati conservati in questo pascolo boschivo. Il progetto è stato completato con la posa di tre panchine con schienale realizzate in legno di castagno locale, due cartelli informativi, il consolidamento di 140 metri di muri a secco perimetrali e la realizzazione di sei briglie in castagno contro l’erosione a valle dell’area umida d’importanza lo-

cale. Gli interventi hanno richiesto un investimento di circa 110mila franchi, sostenuto dal Patriziato di Sala Capriasca (promotore del progetto), Comune di Capriasca, Ente sviluppo regionale del Luganese, Sezione forestale cantonale e Fondazione Göner, valorizzando così un’interessante area naturale: «Il progetto è stato sicuramente un successo» commenta l’ingegnere Piattini. La valorizzazione degli habitat è uno dei tasselli fondamentali per mantenere e migliorare la biodiversità presente e i Monti di Cima rientrano in una zona prioritaria per la salvaguardia di specie in declino quali la lepre comune e il fagiano di monte». L’area interessata fa inoltre parte della zona di tranquillità Cima di Lago – Monte Bigorio che il Cantone ha posto in consultazione lo scorso novembre (il Gruppo di lavoro sta ora analizzando le considerazioni ricevute) e dove, proprio anche a tutela delle due specie citate, è stato previsto l’obbligo di tenere i cani al guinzaglio nel periodo dal 1° marzo al 31 luglio 2019 (vedi «Azione11» del 11 marzo 2019).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Società e Territorio

Il pessimismo americano

Serie TV True Detective dà voce a una rinnovata filosofia ispirata all’opera di Thomas Ligotti

che incoraggia l’autoestinzione del genere umano

Lorenzo De Carli «Per comprendere la società del 1800 bisogna leggerne i romanzi, per comprendere quella del ’900 bisogna guardare i suoi programmi televisivi. Per comprendere la nostra società bisogna guardare le serie televisive (e giocare ai videogames)». Così ha dichiarato Antonio Lucci ricercatore presso il Forschungsinstitut für Philosophie di Hannover, autore di un saggio intitolato True Detective. Una filosofia del negativo. L’immediata popolarità di cui ha goduto la prima serie di True Detective è dovuta a quattro fattori: l’abilità dell’autore Nic Pizzolatto, la recitazione dei due attori principali Matthew McConaughey e Woody Harrelson, la controversa questione del presunto plagio dello scrittore americano «maledetto» Thomas Ligotti, e l’esposizione al grande pubblico di un’America torbida, inquietante, percorsa da una febbrile inclinazione al nichilismo che emerge in questi anni come un fiume carsico. La prima serie di True Detective si svolge in Louisiana, nel 1995. Sotto un albero isolato nel mezzo di una piantagione viene ritrovato il cadavere di una donna forse uccisa seguendo un rituale: nuda, legata, inginocchiata verso la pianta e con delle corna animali appoggiate sulla testa, quasi come stesse pregando. I due detective incaricati di indagare sul caso sono Rustin Cohle e Martin Hart interpretati rispettivamente da Matthew McConaughey e Woody Harrelson. Essi incarnano due

figure contrapposte di tipi americani. Martin «Marty» Hart riprende il classico stereotipo dell’americano per bene, non si pone grandi domande esistenziali e preferisce parlare di tutto ciò che è mondano e comune. Rustin «Rust» Cohle è chiamato dai colleghi «l’esattore» perché preferisce prendere appunti su un librone nero e non sul classico bloc-notes. Rust è umbratile, in procinto di scivolare lungo il piano inclinato della paranoia, dedito a una maniacale e quasi perversa attenzione al minimo dettaglio e allo studio delle persone. Dopo l’uscita della prima serie di True Detective, l’attenzione generale è andata alla figura di Rustin Cohle, sia per l’audacia con cui Nic Pizzolatto ha portato in una serie televisiva una visione fortemente pessimista del mondo, sia perché ha fatto riemergere una tradizione americana «oscura», raccontata attraverso la letteratura di autori come Howard Phillips Lovecraft o Edgar Allan Poe, antesignani di una letteratura dell’inquietudine, spesso sconfinante nell’horror. Ma l’ulteriore ragione per la quale questa prima serie ebbe subito ampia eco è che, proprio per i dialoghi messi in bocca dal pessimista Rust, Nic Pizzolatto è stato accusato di plagio, e in particolare di aver usato ampi stralci dell’opera di Thomas Ligotti intitolata La cospirazione contro la razza umana. Personaggio misterioso, scrittore e saggista americano, Ligotti è una sorta di filosofo del perturbante, una specie di rabdomante sensibile agli aspetti più inquietanti della società americana

Il detective Rustin Cohle è interpretato da Mattew McConaughey. (HBO)

contemporanea. Non è tanto l’horror, che egli racconta nella sua narrativa e descrive nei suoi saggi, quanto piuttosto l’«orrore soprannaturale», il lato in ombra della realtà di tutti giorni. Rivolgendosi al suo sconcertato collega Marty, in effetti, Rust si esprime spesso usando parole che sembrano tratte da La cospirazione contro la razza umana. Nella serie TV Rust dice: «Siamo diventati troppo consapevoli di noi stessi. La natura ha creato un aspetto della natura stessa separato da sé. Siamo creature che non dovrebbero esistere secondo la legge della natura», con l’intenzione di sottolineare la nostra estraneità alla natura; mentre nel libro di Ligotti si legge: «Sappiamo che la natura è virata nel sovrannaturale fabbricando una creatura

che non può e non dovrebbe esistere secondo le leggi della natura, ed invece lo fa». Nic Pizzolatto non solo non ha negato questi riferimenti a Ligotti, ma ha dichiarato di aver costruito il personaggio di Rust proprio facendo ricorso a tutta la tradizione letteraria e filosofica, cui fa riferimento lo stesso Ligotti, innescando in tal modo una ricerca delle fonti filosofiche della serie TV che ha moltiplicato articoli, saggi e libri. La tradizione pessimista, alla quale dà voce il detective Rustin Cohle è il lato oscuro dell’american way of life descritto da Ligotti nelle pagine di La cospirazione contro la razza umana, dove tutti i valori della società americana del detective partner Martin Hart sono additati come illusori e catastrofici. Nell’i-

deologia americana, per esempio, ha un posto di primo piano la persuasione che ognuno è pienamente padrone del proprio destino. Per Ligotti, invece, ciascuno di noi non è altro che una marionetta. Altro valore della società americana messo in crisi da Ligotti è la convinzione che le risorse dell’ambiente non siano esauribili e che, come vuole la tradizione positivista, le forze del mondo debbano essere piegate e domate agli scopi definiti dal genere umano. La critica di Ligotti è di un radicalismo senza compromessi: ispirandosi al filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe – che coniò il termine «biosofia» con lo scopo di estendere il campo della filosofia per comprendervi gli interessi degli altri esseri viventi oltre agli umani –, sostiene che «la distruzione dell’ambiente è solo un elemento di contorno al rifiuto dell’umanità di guardare nelle fauci dell’esistenza», sposando la visione antinatalistica di Zapffe che sosteneva: «L’umanità dovrebbe porre fine alla sua esistenza di sua volontà». Ma qual è la reazione attuale a questo rinnovato orientamento pessimista? Per Thomas Ligotti occorre semplicemente scoraggiare la riproduzione del genere umano, di cui il pianeta Terra non ha alcun bisogno. Tuttavia, nelle ultime scene di True Detective, Rustin Cohle, convalescente dopo una grave ferita, dice: «Ero sparito. Non esisteva “io”. C’era soltanto amore… e allora mi sono risvegliato», indicando la tradizione buddhista come una possibile via di salvezza. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio

Il coraggio di Marameo

Incontri Francesca Martella ci parla della sua giovane casa editrice Marameo, unica a pubblicare esclusivamente libri

per l’infanzia nella Svizzera italiana, alla quale è stato conferito il Premio di promozione ProLitteris 2019

Letizia Bolzani È un’interiezione di sberleffo, ma scherzoso, leggero, da bambini: marameo! Un marameo con cui – attingendo ad una buona dose di incoscienza e alla faccia del business plan, come ricorda lei stessa – una libraia coraggiosa, Francesca Martella, si è affacciata nel panorama editoriale per l’infanzia, dando vita alla prima casa editrice di letteratura per ragazzi della Svizzera italiana. Benvenuta Marameo. Ci vuole coraggio, certo, perché se le altre regioni linguistiche della Svizzera possono contare su un potenziale pubblico più vasto, e quindi vantano case editrici e cataloghi di lungo corso (ad esempio Nord-Süd, Atlantis, Diogenes per la Svizzera tedesca; La Joie de Lire per la Svizzera francese), gli abitanti della Svizzera italiana sono ben pochi in confronto al pubblico dell’Italia, nazione che oltretutto annovera numerose case editrici per l’infanzia di grande successo e estremamente competitive. Eppure Marameo non ha ancora un anno di vita e già si è fatta notare dentro e fuori dai nostri confini, complici sia una linea editoriale condotta con piglio deciso, facendo leva su nomi di autori e illustratori di prestigio, sia il fatto che il Paese Ospite alla Bologna Children’s Book Fair di quest’anno fosse proprio la Svizzera, evento che le ha offerto una preziosa vetrina internazionale.

Francesca Martella. (ProLitteris)

Dopo il primo titolo, A come..., un abbecedario scritto da Roberto Piumini e illustrato da Paloma Canonica (stampato con il font «CorsivoTicino», un carattere ad alta leggibilità creato in collaborazione con grafici e docenti sui modelli manoscritti in uso nella scuola ticinese), si sono susseguiti altri albi interessanti: Codino, un classico di Max Bolliger, tradotto da Chiara Carminati e illustrato da Kathrin Schärer; La casa degli uccelli, di Davide Calì e Tiziana Romanin; e una collana per primi lettori, i «PiccoliMarameo». L’attenzione per temi o autori svizzeri è evidente (La casa degli uccelli tratta dei bambini clandestini in Svizzera negli anni Settanta, quando vigeva lo statuto del lavoratore stagionale, che non permetteva il ricongiungimento familiare; Bolliger, Schärer e Canonica sono autori svizzeri di primo piano, conclamati o emergenti) ma non è esclusiva; la qualità delle proposte ha suscitato l’attenzione della critica anche italiana; e all’interno della nostra Confederazione le è stato recentemente conferito il Premio di Promozione del Fondo Culturale ProLitteris. «Il focus di Marameo è chiaramente quello dell’albo illustrato, seguito dalla narrativa per primi lettori; teoricamente, quindi, il nostro catalogo soddisferà i bambini tra i 3 e i 10 anni – ci dice Francesca Martella, che all’attività di libraia della libreria «Il sognalibro» di Gordola affianca ora quella di editrice, reggendo con energia il timone di Marameo – ma vorremmo anche porre l’accento su albi illustrati per lettori autonomi che già frequentano la scuola elementare: ci piacerebbe contribuire all’abbattimento della convinzione, ancora molto radicata, che l’albo illustrato sia un genere solo per bambini della scuola dell’infanzia. Potrei affermare che la linea editoriale di Marameo è quella della qualità della forma e dei contenuti, ma anche quella, ambiziosa, di favorire la nascita e il consolidamento dell’amore per il libro e per la lettura nei bambini e negli adulti che leggono per loro e con loro». Perseguire questa linea richiede

Illustrazione di Paloma Canonica tratta da: Roberto Piumini-Paloma Canonica, A come..., Ed. Marameo 2018.

sicuramente molta tenacia, perché alle soddisfazioni si alternano ovviamente le difficoltà. Quali sono le gioie e i dolori che più spesso si incontrano? «Nel 2004 ho aperto a Gordola la libreria per bambini e ragazzi “Il sognalibro”, è quindi da oltre un decennio che passo le mie giornate tra i libri: sicuramente una grande gioia è quella di proporre quelli di Marameo e di poter sondare gli umori del pubblico. Tra i dolori c’è la frustrazione di veder assegnare ad altri editori finanziariamente più interessanti i diritti di pubblicazione in lingua italiana di albi illustrati che sarei stata orgogliosa di avere in catalogo... Grande gioia, naturalmente, è quella di aver ricevuto il prestigioso premio di incoraggiamento di ProLitteris 2019 che, oltre a permetterci di lavorare più serenamente in questi mesi, è per noi la conferma che stiamo lavorando nella giusta direzione. Spina

nel fianco è sempre il fattore finanziario: pubblicare un libro comporta una buona dose di rischio e di investimenti onerosi: non è detto che un libro funzioni, né che funzioni subito. Sarebbe bello avere nella stalla l’asino d’oro della fiaba dei fratelli Grimm...» A proposito di fratelli Grimm, nuovi progetti bollono nel pentolone di Marameo, quali sono? «Antoine Déprez, noto illustratore francese che da tempo risiede in Ticino, sta lavorando sulle tavole in papier gratté, dunque in bianco e nero, per la fiaba dei fratelli Grimm Il tavolino magico. Il testo è a cura di Roberto Piumini, che ha riscritto la fiaba restando fedele alla versione originale; il libro verrà pubblicato il prossimo mese di novembre e sarà disponibile anche un’edizione speciale in 50 copie con allegata la stampa d’arte numerata e firmata di un’illustrazione di Antoine. Si tratta

di un omaggio all’omonimo progetto svizzero di recupero e ridistribuzione di generi alimentari in favore delle persone e delle famiglie meno abbienti. Inoltre, attualmente siamo in trattative molto avanzate per l’acquisto dei diritti per l’edizione in lingua italiana di un albo illustrato della pluripremiata autrice belga Kitty Crowther, per un libro illustrato di un editore tedesco segnalato a Bologna come tra i più belli dell’anno; e abbiamo in progetto una Storia di Guglielmo Tell, scritta originariamente nel 1962, che inaugurerà la collana “Vintage”. Un’altra collana che abbiamo da poco in catalogo è “PiccoliMarameo”, in corsivo e dedicata ai lettori principianti. Lo scorso mese di giugno è arrivato nelle librerie il primo titolo: Serafino e Gallina. Storielle bislacche per apprendisti lettori, che a settembre entrerà in alcune aule di seconda elementare!». Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Le morte stagioni «Non ci sono più le stagioni di una volta!»: questo è il lamento che si sente sempre più spesso, ora che le bizzarrie del tempo anticipano in primavera un caldo estivo e confondono l’inverno e l’autunno. E davvero, per chi ha ricordi di un’infanzia ormai lontana, le stagioni – e soprattutto gli ultimi inverni – sembrano ben diversi da quelle conservate nei ricordi infantili. Mi torna in mente una dolce poesia che Giovanni Pascoli aveva composta sul finire dell’Ottocento: «Un bimbo piange, il piccol dito in bocca; / canta una vecchia, il mento sulla mano. / La vecchia canta: “Intorno al tuo lettino / c’è rose e gigli, tutto un bel giardino”. / Nel bel giardino il bimbo s’addormenta. / La neve fiocca lenta, lenta, lenta». Negli ultimi anni – almeno nella pianura a sud di Lugano – è accaduto poche volte di vedere scendere il velo dei fiocchi di neve; e, comunque, le grandi trincee di neve ghiacciata che s’innalzavano

come muri bianchi lungo i sentieri scavati dagli spalatori o dagli spazzaneve sono un ricordo lontano. Ma anche la vecchia signora che, come nella poesia del Pascoli, canta una ninna-nanna è una figura sempre meno presente; non perché non ci siano più persone anziane (anzi, non ce ne sono mai state così tante!), ma perché l’abitudine e il piacere di cantare vanno scomparendo, soppiantati dalla musica onnipresente della radio, della televisione, degli smartphones. Anche la vita di un uomo ha sempre avuto le sue stagioni, ma ora anche queste diverse fasi esistenziali tendono ad essere sempre più indifferenziate. Che l’infanzia tenda a prolungarsi, con un ritardo nello sviluppo del carattere e nell’evoluzione del comportamento, è cosa rilevata da tempo; la maturità è rinviata, mentre invece le pubertà si fanno precoci. La vecchiaia è posticipata, grazie ai progressi della medici-

na, all’igiene, alle misure salutistiche e ai trattamenti cosmetici; la vita si prolunga come mai in passato, ma le sue stagioni non sono più nettamente distinte. A giudizio dello psichiatra Giorgio Abraham, questo dipende dal fatto che nel passaggio da uno stadio all’altro della vita non vi sono più momenti di iniziazione vera e propria: ossia, hanno perso vigore quei «riti di passaggio» che segnavano il termine di una fase della vita e il passaggio a quella successiva (la fine della formazione scolastica, l’inizio dell’attività lavorativa, il servizio militare, il fidanzamento, il matrimonio…). Certo, questi momenti ci sono ancora, ma direi che sono sbiaditi, hanno perso il significato e il valore che avevano un tempo. Il matrimonio, ad esempio: come sacramento sanciva un’unione quasi indissolubile, «finché morte non vi separi». Ma oggi, più che un sacramento, il matrimonio è considerato

un contratto rescindibile in qualsiasi momento; in Svizzera i matrimoni risultano da anni in calo costante: molti preferiscono scegliere una semplice convivenza senza vincoli, e la Svizzera è poi tra i Paesi al mondo col maggior numero di divorzi. Quanto al servizio militare, anche qui si registra una crescita costante di giovani che optano per l’alternativa del servizio civile – che è pur sempre utile alla comunità, ma che si differenzia molto meno da un normale impiego di lavoro. Così, priva di fratture e di passaggi significativi, la vita si estende in una continuità scarsamente differenziata. Anche se la cosa può sembrare irrilevante, pare che non sia priva di conseguenze: lo stesso Abraham rilevava, nel suo libro Le età della vita, che la scomparsa di passaggi decisivi nel corso esistenziale può essere causa di disagi psichici, perché comporta l’assenza di modelli di riferimento per

il momento presente e quello successivo, quasi fosse un invito a rimanere fermi sul posto. Insomma, come per il corso dell’anno, così anche per la vita la consapevolezza delle diverse stagioni può avere un valore rilevante: il tempo è fatto di ritmi, e senza variazioni sprofonda in un piatto silenzio. A ogni età della vita, diceva Goethe, corrisponde una certa filosofia, che non può continuare ad essere quella ingenua ed egocentrica dell’infanzia. Dunque, riflettere sulle stagioni – dell’anno e della vita – può indurre a valorizzare il tempo e ad attribuirgli un profondo significato. Ogni confine è anche un invito ad andare oltre: Giacomo Leopardi, contemplando il limite delle siepe, intuisce l’infinito: «e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei». Solo la memoria del tempo passato può dare senso al presente e al futuro.

nio giocoso d’acqua nato in realtà come Fasnachtsbrunnen ma che tutti chiamano Tinguelybrunnen. Lo stesso Tinguely, tra l’altro, come molti basilesi, non solo era molto legato al curioso carnevale che inizia prima dell’alba, ma aveva anche disegnato più volte per la sua Clique – Kuttleputzer: i pulitori di trippe – i costumi, nonché costruito nel 1985 un carro con una testa ciondolante modellata su un cranio di rinoceronte. Di fianco al mascheronecapitello che annuisce di continuo ghignando con l’acqua che esce a getti dagli occhi, un altro marchingegno insiste a tirare su una padella forata come uno scolapasta. Gesto inutile che ripetuto perennemente diventa sketch. Avvicinandomi però, alcune monetine lanciate nel recipiente bucherellato gettano nuova luce sull’oggetto e la sua funzione. È un setaccio come quelli dei cercatori d’oro nei fiumi. «Nella sua infanzia Tinguely era osservatore affascinato dal rumore dell’acqua dei ruscelli» trovo scritto in Ting Ting Tinguely, testo apparso nel marzo 1983 sul mensile Le Monde de la musique, a

firma del musicologo e polistrumentista Jean-Nöel von der Weid, anche lui nato a Friborgo e parigino d’adozione. Da bambino spariva per pomeriggi interi nei boschi fuori Basilea: costruiva dei marchingegni sonori con degli oggetti trovati in giro, azionati dai ruscelli. «Ho costruito molto in seguito, ma mai meglio. Non era dell’arte, ma un evento. Immaginavo uno spettatore innocente, un cercatore di funghi, una guardia forestale che sarebbe arrivato lì e avrebbe scoperto la mia orchestra, inceppata forse da un ramoscello venuto a bloccare una ruota» ricorda Tinguely. Un terzo elemento, vicino al setacciatore di monetine e la musa acquatica, lo chiamano dr Suuser in dialetto locale, der Sauser «in tedesco noioso» come ho sentito dire una volta su un treno da una sedicenne tamarra. Un mosto frizzante, forse per via del suo entusiasmo: è un delirio infatti con i suoi due poderosi spruzzi. Uno in aria, movimentato da una ruota, come una doccia all’incontrario. L’altro in avanti, verso gli altri orchestrali, simile a una canna da giardino impazzita.

È forse il mio preferito. Vi risparmio l’elenco completo dell’ensemble, più divertente forse scoprirli dal vivo, va comunque detto che per me sono nove, come le muse, i personaggi veri, in movimento. Ufficialmente sono dieci, contando quello in un angolo, immobile, arrivato nel 1983 come illuminazione, sputando al contempo un monotono getto fuori contesto ed è soprannominato Piffero o Tartaruga. Levo le tende da questo esilarante putiferio sprizzante, per andare all’angolo tra la St. Jakobs-Strasse e la Lange Gasse, dove in un prato sorprendentemente giace, sopravvissuta alla demolizione, la musa autentica del vecchio teatro. C’è anche il suo doppelgänger triste, con la bocca all’ingiù. E un lampadario del foyer teatrale appeso a un ramo. Cimeli del giardino di un’attrice morta da tempo. Nel pomeriggio, davanti al Museo Tinguely, sulla spiaggetta di sassi, dopo aver impacchettato tutto quanto nei loro Schwimmsäcke, dal ponte, vedo entrare, come un gioco d’acqua vivente, i nuotatori del Reno oggi color caffelatte.

ratore a forgiare un legame morale e affettivo con l’azienda e con i colleghi. Oggi non valgono più le promesse di contratti a tempo indeterminato o di avanzamento di carriera. Via anche il controllo top-down, il dipendente viene trasformato in un’unità attiva che interiorizza, rappresenta e riproduce la cultura d’impresa, ossia principi, valori e obiettivi dell’organizzazione per cui lavora. Google, ci dicono i due autori, è un perfetto esempio di cultura aziendale positiva e, personalmente, alcune cose le trovo fantastiche (insomma qualcosa di positivo in tutta questa teoria felice dovrà pur esserci). Ad esempio nella multinazionale di Menlo Park i dipendenti si presentano in ufficio all’orario che vogliono, possono portarsi il cane, lavorare in pigiama, fare fitness e scegliere cosa mangiare tra tanti tipi di cucina diversi. Per dirlo con i termini della psicologia

positiva il luogo di lavoro deve essere inteso come un ambiente privilegiato nel quale i singoli dipendenti possono fiorire. Il problema è che essere felici sul posto di lavoro non è una conditio sine qua non che permette «all’individuo di applicare le sue capacità e i suoi talenti più autentici, raggiungere prestazioni elevatissime sul lavoro e grandi risultati nella vita privata». Tutto bello e possibile se lavori a Google o a Facebook ma se consegni pizze, lavori in un Fast Food o in un’impresa di pulizie la vedo più difficile. Non siamo tutti uguali, non abbiamo avuto tutti le stesse opportunità. Il confronto, il disaccordo, la rabbia per un’ingiustizia subìta sono cose di questo mondo. Abbiamo il diritto di essere infelici, lo sanno anche i criceti. E un criceto infelice non sale sulla ruota tutte le mattine. Rosicchia le sbarre e studia il modo per uscire dalla gabbia.

A due passi di Oliver Scharpf La fontana di Tinguely a Basilea Chissà quante volte, in questi ultimi anni, passando via in tram, la fontana di Tinguely a Basilea (277 m) mi ha strappato un sorriso. Mai però, tra una cosa e l’altra, mi sono seduto in compagnia delle nove sculture cinetiche in ferro forgiato che spruzzano acqua da tutte le parti. Come adesso, sul muretto, quando diversi basilesi sono seduti qui per il pranzo: insalata la tipa a fianco, panini una coppia all’ombra, odore di cibo asiatico altrove. Centralissima, tra le fermate del tram Bankverein e Barfüsserplatz, da decenni è anche molto popolare come punto d’incontro o attrazione turistica. Osservando con tutta calma le sculture nere eseguire i loro baldanzosi giochi d’acqua come numeri di uno spettacolo buffo, diventano man mano dei personaggi con i loro ruoli nonsense. Non a caso, il bacino della fontana, profondo solo diciannove centimetri ma il cui fondo catramato inganna l’occhio, corrisponde al palcoscenico del vecchio teatro cittadino sparito con un grande boato, in una nube di polvere, il sei agosto 1975. Del resto ogni figura,

alcune costruite con dei pezzi recuperati dal teatro demolito, ha il suo nome. Theaterkopf viene chiamato, per esempio, quel mascherone sorridente iscritto in un capitello che ondeggia avanti e indietro sputando acqua dagli occhi. È l’irresistibile riproduzione di una delle nove muse che c’erano sulla facciata classicista del teatro e che guarda ora beffarda verso il nuovo teatro un po’ così. A fianco si staglia, controluce, la sagoma neogotica della Elisabethenkirche. Sullo sfondo passano molti tram. Regalo della Migros alla città in occasione dei suoi cinquantanni, la fontana tutta matta è una mia coetanea inaugurata il quattordici giugno 1977 con tanto di Tinguely che arriva in groppa a un cammello. Jean Tinguely (1925-1991), nato a Friborgo e morto a Berna, dopo aver vissuto qui dal luglio 1925 al dicembre 1952, emigra a Parigi dove partecipa alla prima grande mostra dell’arte cinetica alla galerie Denise René nell’aprile del 1955. Cinquantacinquemila litri vengono pompati e spruzzati in aria, giorno e notte, in questo pandemo-

La società connessa di Natascha Fioretti Il responsabile della felicità Eh sì, cari lettori, torniamo a parlare di felicità. Dei tanti ambiti che il saggio Happycracy. Come la scienza della felicità controlli le nostre vite (vedi «Azione» del 12 agosto 2019) tocca, quello che più mi è piaciuto, forse perché lo sento più vicino, è quello lavorativo. Come impatta la teoria della positività sul lavoro? Per capirlo vi parlo di Ryan, esperto di riduzione del personale che lavora per una società specializzata nella liquidazione dei dipendenti di altre imprese. Cinico e affascinante, non solo comunica con grande stile il licenziamento ai diretti interessati ma gli indora la pillola a tal punto da fargli credere che in fondo non è successo niente. Bob, il licenziato, deve essere felice della nuova opportunità che gli è stata data perché ora tutto è nelle sue mani. E non deve prendersela con l’azienda perché non ha nessuna responsabilità, la decisione di ridurre l’organico è caduta dal

cielo. E, se la teoria della positività ti dice di non fare il muso lungo se vieni licenziato, ti dice anche che sul posto di lavoro devi essere felice o rischi di essere un cattivo dipendente. Se ti candidi, idem. C’è chi come Tony Hsieh, uno dei tanti guru della felicità ma soprattutto imprenditore e venture capitalist, CEO della società di calzature e abbigliamento online Zappos con un patrimonio netto valutato intorno agli 840 milioni di dollari, consiglia agli imprenditori di assumere solo persone allegre e licenziare quelle che manifestano scarso entusiasmo o sono scettici verso la cultura della positività e la sua diffusione in azienda. Se vi alletta il quadro, Illouz e Cabanas vi mettono in guardia dal fatto che questo approccio si concentra unicamente sull’individuo, ignora le condizioni strutturali del mondo del lavoro e non mette in discussione gli

obiettivi o i valori delle imprese. Anzi, qui casca l’asino, i dipendenti che mostrano un atteggiamento critico, sono accusati di negativismo e ostruzionismo. Vi ricordate il criceto che pedala sulla ruota? Diventeremo tanti identici e domestici criceti cicciottelli con le guanciotte paffute piene di cibo. Chiusi nella nostra bella gabbia dorata della felicità. E tanto conta la felicità che in alcune aziende come Zappos, Google, Lego e IKEA è nata una nuova figura aziendale: il Chief Happiness Officer, per gli amici CHO, impegnato ad elaborare strategie che convincano i dipendenti a essere felici, in altre parole a essere più motivati, soddisfatti e entusiasti di ciò che fanno. Insomma, ci dicono Illouz e Cabanas, la cultura d’impresa negli ultimi 30 anni è cambiata. In particolare i big come Google & Co. promuovono oggi un ambiente semi-democratico che spinge il lavo-


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Attualità Migros Al via... per una buona causa.

Migros Ticino 2.0

Evoluzione Dall’inizio di settembre nelle

filiali di Biasca e Locarno i clienti potranno scoprire diverse novità interessanti

Solidarietà Sabato 7 settembre a Biasca si terrà la XV edizione

di marcheton CF, evento sportivo che intende raccogliere fondi per aiutare le persone affette da fibrosi cistica

Ritorna a Biasca marchethon CF della Svizzera Italiana, un classico appuntamento di fine estate che richiama centinaia di persone e si è affermato negli anni come un evento importante per sportivi e famiglie. La 15° edizione è in programma sabato 7 settembre. Anche quest’anno sarà riproposta la FUN RUN AND WALK non competitiva aperta a tutti con partenza alle 11.00 con la possibilità di partecipare di corsa, camminando, in monopattino, con i roller, con la bicicletta senza pedali e con tanta fantasia. Sempre alle 11.00 partenza del giro attraverso Biasca-marchethon, per Juniors e Runners, su di un nuovo tracciato con cronometraggio professionale. A pranzo maccheronata e fornitissima grigliata accompagnate dalla musica dei Chanson-Boutique. Nel pomeriggio ci sarà spazio alle 13.30 per le gare dei bambini. Area giochi con bungee-trampolin, parete d’arrampicata, sperimentazione del circo, spettacolo per bambini di Christian Pezzatti, gonfiabili, truccabimbi, caccia al tesoro, merenda pane e

cioccolato offerta e...tanto altro ancora. Durante la giornata sono previste le esibizioni di GymAcro Ticino, Sport Twirling Bellinzona, Coro dei bambini di Mesocco e Circo fortuna. Saranno presenti Luca Chieregato con «Chiedimi una storia» e lo Sprayer Renato Benzoni. Madrina della manifestazione sarà Alessandra Ferrarini pediatra e genetista all’Ospedale San Giovanni. La giornata si concluderà con l’aperitivo allietato dalla güggen Sbodaurecc di Piotta e la cena a partire dalle 18.30 con ChansonBoutique fino a mezzanotte. I proventi della manifestazione saranno interamente devoluti alla Società Svizzera Fibrosi Cistica (CFCH), perché marchethon CF non è solamente sport e divertimento ma, soprattutto, solidarietà. La CFCH ha lo scopo di promuovere e attuare ogni forma di assistenza ai soggetti affetti da questa malattia, favorendo altresì tutte le iniziative di carattere sociale tendenti a garantire la tutela del diritto alla salute e il superamento dell’emarginazione dei malati. La CFCH, inoltre, insieme al Swiss Working Group

for Cystic Fibrosis, sostiene progetti di ricerca sulla fibrosi cistica, indispensabili per realizzare i progressi scientifici di cui beneficiano le persone affette da questa malattia. Negli ultimi decenni, l’aspettativa di vita per le persone affette da fibrosi cistica è aumentata considerevolmente grazie ai progressi medici che hanno permesso di sviluppare nuove terapie, clinicamente applicabili. Il passo decisivo verso una guarigione definitiva non è stato ancora fatto, ma molti piccoli passi hanno permesso di migliorare la qualità di vita delle persone colpite dalla malattia. Resta quindi il bisogno di diffondere informazioni sulla malattia perché sempre meno persone si sentano sole e discriminate. Perché, sempre di più, gli sforzi di tutti vengano indirizzati a rafforzare la ricerca scientifica e il sostegno diretto al malato.

marcheton CF, sabato 7 settembre, Biasca

timenti di prodotti per sportivi, quali vitamine e integratori, e prodotti per la cura del corpo. A fianco, ecco poi apparire l’Angolo della Bellezza, con articoli naturali, linee biologiche e marchi cosmetici di tendenza. In quanto alla logistica dei punti vendita e ai «tempi di percorrenza», è stato introdotto un percorso veloce per i clienti che hanno i minuti contati, che collega l’Area Daily e il Mondo della Salute con le casse Subito (self-checkout). In generale, Migros Ticino si è impegnata a migliorare la leggibilità del punto vendita, inserendo una segnaletica di scansia più chiara ed evidenziando i gruppi di prodotti e linee Migros Bio e Free From. Il settore dei tessili per adulti è stato ripensato e sarà riproposto in nuova formula, per far spazio al Mondo Infanzia, reparto che è stato integrato e rinfrescato. Rimane comunque garantita una buona scelta dei prodotti e delle linee maggiormente ricercate dalla clientela, quali ad esempio biancheria e calze. L’assortimento del reparto melectronics è stato rinnovato e molti articoli saranno introdotti direttamente nelle aree di competenza all’interno della superficie di vendita: asciugacapelli e piastre sono state inserite nell’Angolo della Bellezza, mentre aspirapolveri e altri elettrodomestici verranno spostati nella sezione Mondo Casa. Per finire, un occhio di riguardo è stato dato anche alle aree dedicate ai prodotti per animali, ora più accattivanti e complete. Beh… che dire di più? Non vi resta che venire a curiosare!

L’«Angolo della bellezza» nella sede di Biasca.

Bikers targati Migros Ticino

Buona cucina ogni giorno ad Agno

Domenica 14 luglio si è tenuto il 3° giro motoristico «M.Bikers», gruppo che unisce colleghi di tutta l’azienda appassionati delle due ruote motorizzate. Il team ricreativo di Migros Ticino era composto da ben 24 veicoli, in una progressione che andava da una Vespa 300cc fino ad una Harley 1700cc. I 28 partecipanti hanno percorso

Bella sorpresa al rientro dalle ferie! Durante l’estate il ristorante Migros di Agno si è rifatto completamente il look e ha rinfrescato l’offerta. Fiore all’occhiello della nuova proposta culinaria sono le specialità giornaliere cotte sul Teppanyaki ed il buffet etnico e di attualità, che settimanalmente, a rotazione, propone prelibatezze nostrane e mediterranee, asiatiche, messicane, e tanto altro. Molto fresca e leggera anche la proposta dei buffet caldi e freddi: punta molto sulla stagionalità dei prodotti e su metodi di cottura sani, con un occhio di riguardo nei confronti dei vegetariani. Particolare attenzione è stata data anche alle famiglie, alle quali sono state dedicate una zona con area giochi più ampia e una serie di nuovi prodotti. Per alzare lo standard del servizio al cliente, tutti i collaboratori hanno seguito corsi d’aggiornamento con specifiche formazioni atte a favorire la polivalenza e ad affinare le conoscenze professionali.

un itinerario di 220 km su strade spettacolari quali il passo del San Bernardino e il Passo dello Spluga, raggiungendo Chiavenna e costeggiando i laghi di Como e Lugano. La giornata si è svolta in un clima di grande serenità ed allegria all’insegna del motto «il motociclismo è una disciplina individuale, ma se svolta in gruppo è più divertente!».

E. Bertossa

Una marcia benefica, una giornata speciale

La nostra Cooperativa si sta impegnando per rinnovare la propria fisionomia e prestare ancora più attenzione ai bisogni della propria clientela. Negli ultimi mesi, grazie alla collaborazione con un team di esperti del commercio al dettaglio, sono stati trasformati i punti vendita di Biasca e Locarno. Da oggi, lunedì 2 settembre, avrà infatti inizio una fase pilota, con l’obiettivo di presentare al pubblico delle nuove aree di vendita all’interno dei negozi. Progetto che nei mesi a seguire coinvolgerà sempre più filiali. Nello specifico, sono state create all’ingresso dei supermercati delle Aree Daily, rivolte soprattutto ai giovani e ai lavoratori con esigenza di consumare il pasto fuori casa. L’offerta dei prodotti «pronti da mangiare» e «pronti da bere» è stata dunque notevolmente ampliata e completata: accanto ai tradizionali articoli di rosticceria e dei dolci i clienti troveranno una serie di nuovi prodotti sostenibili, bilanciati e salutari, quali ad esempio insalate, porzioni di frutta fresca, succhi di frutta, smoothie e articoli per vegetariani. L’Angolo del Buongustaio, conosciuto e apprezzato finora solo dietro i banchi a servizio, sconfina ora nel libero servizio e servirà perle gastronomiche locali, svizzere e internazionali, da acquistare già porzionate e in modalità «spesa veloce». Verranno inoltre proposti nuovi prodotti «pronti da cuocere», e sarà possibile trovare specialità con un tocco esotico in più. È stato poi creato il Mondo della Salute, dove gli avventori potranno trovare con più facilità tutti gli assor-


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Ambiente e Benessere Turismo vegetale L’arrivo di specie estranee sta sconvolgendo originari paesaggi vegetali di bassa quota pagina 13

Facile e profumatissimo Per rendere gustoso un risotto ai funghi porcini, basta trifolarli prima con prezzemolo, erba cipollina, scalogno, vino bianco e parmigiano

Li chiamano begpacker La meta preferita dei nuovi giovani viaggiatori indipendenti e «poveri» è il sud-est asiatico

Gesta eroiche di oggi Capire come e perché si costruiscano i miti nello sport è un’impresa titanica

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Il Registro svizzero per i trapiantati

Sensibilizzazione Prevista una conferenza

pubblica per sottolineare la Giornata nazionale del dono d’organi

Maria Grazia Buletti Ogni anno una precisa data ci ricorda un argomento che potrebbe toccare tutti noi: sabato, 7 settembre, sarà la Giornata nazionale del dono d’organi 2019. «Tutte le persone che hanno nel petto il cuore di un’altra persona, il fegato di un donatore o un nuovo polmone sanno che le loro vite possono continuare grazie al regalo fatto da un “donatore” nel vero senso del termine», così Swisstransplant riassume l’importanza di un tema tanto vitale quanto delicato, che implica riflessione e sensibilità individuali. Riflettere sulla donazione di organi è importante, e conoscere le sue molteplici sfumature e implicazioni permette di farsi un’idea priva di fronzoli e paure generate da false informazioni senza fondamenta. Swisstransplant sottolinea che un donatore di organi può salvare fino a sette vite umane. Ciononostante: «In Svizzera 1412 persone sono in attesa di un nuovo organo (dati aggiornati a dicembre 2018). Ogni anno circa 500 persone ricevono uno o più organi, mentre un centinaio di pazienti muore a causa della mancata attribuzione di un organo idoneo». Chi è stato trapiantato dice di aver ricevuto una seconda possibilità di vita. Parecchi restano i perché di un’esperienza come questa, soggetta a una sensibilità individuale che merita rispetto assoluto. È un ambito in cui entrano in gioco molte persone: colui che necessita di un organo per la sua sopravvivenza, chi ha deciso di essere donatore se e quando possibile, la sua famiglia, il personale curante e via dicendo. Per questo, diverse sono le domande: perché si diventa donatore? Perché si accetta di ricevere un organo? Perché ogni parte in causa di un simile percorso attraversa momenti di difficoltà, dolore, speranza e consolazione? Una strada non sempre scontata o in discesa, in cui la vita pare espandersi o restringersi secondo il coraggio che ci mettiamo dentro. In ogni caso, in Svizzera dal primo luglio 2007 vige una Legge federale che regola ogni aspetto del dono d’organi, e Swisstransplant invita a discuterne in famiglia e con la propria cerchia di conoscenze e a compilare una «Tessera di donatore»

(sulla quale è pure possibile esprimere la volontà di non donare gli organi, o di donarne liberamente solo alcuni). Recentemente ha messo a punto il Registro nazionale di donazione d’organi al quale ci si può iscrivere: «In caso di decesso, i famigliari rispetteranno la volontà del defunto che già è espressa su questo registro». Ma il Registro nazionale di donazione d’organi non è la sola novità: negli ultimi anni i progressi nel campo medico e scientifico hanno reso possibile un aumento percentuale di trapianti con esito positivo e, rispetto a pochi anni fa, i pazienti sottoposti a trapianto hanno una speranza di vita ben maggiore, godendo di una qualità di vita molto migliore. In questo ambito, dal 2009 esiste pure il Registro svizzero dei trapiantati che ci viene presentato dal PD Dr. med. Christian Garzoni, specialista in medicina interna e malattie infettive e libero docente all’Università di Berna: «È la più grande raccolta dettagliata di dati a livello mondiale e riunisce dati specifici e approfonditi che spaziano dagli aspetti prettamente medici a quelli psicosociali. Ad oggi, meno del 5 per cento dei trapiantati non aderisce a questo studio che conta circa 5mila persone». Nato dalla volontà politica di valutare l’andamento dei pazienti nei sei centri svizzeri che effettuano trapianti, ha lo scopo di valutare e studiare l’andamento di ogni trapiantato: «Il Registro è forte della grande raccolta di numeri e dati che i ricercatori possono consultare e definire in progetti specifici precedentemente approvati». Ricerche sfociate già nella pubblicazione di più di 25 articoli su riviste scientifiche di alto livello internazionale: «Finora circa 125 studi hanno superato la selezione di qualità e possono accedere alla fase di sviluppo della ricerca con le relative conclusioni». Attingendo alle informazioni raccolte si vuole dare risposta a parecchi quesiti: «Il Registro può dare risposta a domande sulla sopravvivenza di un organo trapiantato, sul tipo di donatore, sugli aspetti di immunologia e gli aspetti genetici legati al trapianto, senza dimenticare quelli psicosociali e di ottimizzazione delle terapie». Come infettivologo, il PD Dr. Garzoni porta ad

Il dottor Christian Garzoni. (Stefano Spinelli)

esempio il proprio ambito: «Per quanto attiene alle malattie infettive, possiamo valutare i diversi farmaci immunosoppressori e la loro correlazione con l’insorgenza delle infezioni nelle persone trapiantate e ottimizzare le terapie contro le infezioni. Si potrà comprendere come gestire ad esempio le profilassi nei primi mesi seguenti il trapianto». In merito al progetto di valutazione del citomegalovirus atto a valutare la profilassi, allo studio sulle malattie e infezioni rare e a tutti quegli aspetti concreti legati alla vita della persona trapiantata, il dottor Garzoni spiega che «si può valutare la disciplina del paziente trapiantato nell’assunzione dei suoi farmaci (antirigetto e altri): dati raccolti dicono, ad esempio, che la precisione dell’assunzione di farmaci cala col passare del tempo». La raccolta di informazioni avvie-

ne dopo l’adesione spontanea delle persone trapiantate nei sei centri preposti e nel «satellite» gestito in Ticino dall’epatologo professor Andreas Cerny: «I collaboratori distribuiti in ogni centro sono in rete per lo scambio di informazioni». A livello psicosociale si deducono informazioni sulla quotidianità del paziente trapiantato: «Studiamo quanti riescono a riprendere un’attività professionale dopo il trapianto, in quanto tempo e come si riprendono i trapiantati, se sono meno stanchi e così via». Preziose informazioni che permettono, in futuro, di raggiungere una migliore personalizzazione delle terapie adattabili via via alla genetica individuale: «Valutiamo l’unicità delle persone per comprendere, ad esempio, quanto possa essere rischioso ammalarsi di una specifica patologia». Il professor Garzoni sostiene che

il Registro svizzero dei trapiantati sia uno fra i primi grossi studi come i registri di ricerca sull’epatite C cronica e sull’HIV, in una visione globale svizzera che cresce e diventa fonte internazionale di scambi e di ricerca scientifica di alto livello: «Sono dati che convergeranno in una standardizzazione dei processi di cura, a beneficio assoluto di tutte le persone che si trovano a vivere con uno o più organi trapiantati». Dall’emozione alla scienza e dalla scienza alla vita: per approfondire il tema del registro svizzero dei trapiantati e discutere della donazione d’organi, l’Associazione Insieme per Ricevere e Donare organizza una conferenza pubblica mercoledì 11 settembre, al Liceo 1 a Lugano dalle 19.00 con entrata libera. Ospiti: PD Dr. Christian Garzoni, e i professori Andreas Cerny e Sebastiano Martinoli.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Invadenti stranieri vegetali Biodiversità Cambiamenti climatici e attività umane favoriscono l’arrivo di animali e piante

estranei alle nostre latitudini Alessandro Focarile, testo e foto Dagli albori dell’agricoltura e della pastorizia (Neolitico: 10mila-8mila anni or sono) l’uomo è stato un dominante e dinamico soggetto destabilizzante degli equilibri fisici e biologici che governano il funzionamento di tutti gli ecosistemi terrestri e acquatici. E lo è stato, attraverso la selezione delle sementi; la messa a coltura dei terreni; il razionale utilizzo dell’acqua con le canalizzazioni e l’irrigazione; la costruzione di terrazzamenti e di muretti a secco di sostegno; il disboscamento e gli incendi; il pascolo eccessivo di capre e pecore (con il conseguente impedimento della rinnovazione del bosco composto di lecci, olmi, bagolari; pioppi, salici e ontani lungo i corsi d’acqua); e, in epoca recente, l’uomo è anche diventato sovvertitore di delicati equilibri fisici all’origine dei cambiamenti climatici in atto.

Notevole è la velocità di crescita delle piante «straniere» che trionfano a scapito di piante indigene, forse, private della loro forza colonizzatrice verso nuove terre Questi ultimi sono all’origine di quel grandioso esperimento di colonizzazione ecologica e geografica che si realizza con il popolamento di centinaia di specie animali e vegetali, che stanno arricchendo (e in molti casi sopprimendo) faune e flore autoctone in situ da lunghi periodi di tempo nell’Europa temperata e mediterranea. L’elenco può esser lungo ma basta citare lo scoiattolo grigio nord-americano, la nutria sfuggita dagli allevamenti, il gambero gigante d’acqua dolce, la limaccia rossa che sopprime la nostrana specie nera, la cinipide del castagno importato con giovani piante, lo scarabeo del Giappone giunto fortunosamente in aereo all’aeroporto della Malpensa. Il riscaldamento delle acque del Mediterraneo fino a 27 gradi centigradi ha consentito l’arrivo di seicento specie di pesci tropicali (compreso lo squalo bianco lungo due metri) dall’Oceano Indiano, attraverso il torrido Mar Rosso e il Canale di Suez. Dispersioni, migrazioni, estinzioni hanno sempre evidenziato nel corso dei millenni il costante dinamismo della vita del nostro Pianeta. Ma da lunga data, l’azione dell’uomo è stata decisiva e determinante. I drastici cambiamenti fisionomici sono particolarmente vistosi e subito appariscenti nel manto vegetale delle nostre contrade di bassa altitudine. Dal Piemonte alla Lombardia, attraverso il Ticino, nelle valli e convalli, i bordi di fiumi e torrenti, lungo le strade, gli scali e le sedi ferroviarie, i depositi di macerie e di detriti sono i luoghi ideali per l’insediamento di una flora prorompente e colorata. Una vasta distesa di sgargianti fiori gialli crea un’insolita e vivace macchia di colore presso le rive grigiastre del fiume. Più in là, densi e svettanti alberelli ricoperti di grappoli di fiori violacei, attirano un continuo svolazzare di farfalle in cerca di nettare.

L’albero parrucca (Rhus typhina) originario del Nord America. Fogliazione autunnale.

E, se lasciamo il fiume e ci inoltriamo verso prati e boschetti più all’interno, un altro fitto addensarsi di strane piante alte fino a due metri, con splendidi fiori violacei a calice, e altri cespugli con pannocchie di frutti color vino, colpiscono tutti la nostra attenzione. Sono una delle tante straniere vistose che stanno occupando da un po’ di anni e del tutto naturalmente, i luoghi incolti della pianura padana e ticinese. Siamo al termine dell’estate, eppure queste piante sono in piena fioritura, esibendo un calendario del tutto sfasato rispetto a quello che siamo abituati a conoscere alle nostre latitudini. Retaggio iscritto in un codice genetico immutato. Una vivaistica – che movimenta considerevoli interessi economici – e tende a proporre sempre più allettanti novità – è all’origine di questo «turismo vegetale» globalizzante a livello mondiale. Turismo che sta sconvolgendo originari paesaggi vegetali di bassa quota. Il trionfo del più forte dotato di una notevole carica vitale, a scapito di piante indigene che, forse, hanno esaurito la loro potenzialità colonizzatrice di nuove terre. Notevole è la velocità di crescita delle «straniere».

Particolare del fiore di Buddleya davidi.

In pochi mesi, e su terreno ricco di nutrimento, la Balsamina (Impatiens) può superare i due metri di altezza, e il suo fusto può raggiungere sei centimetri di diametro. Una notevole «performance» per una pianta annua! Altrettanto notevole la loro velocità di diffusione nel territorio: centinaia di metri quadrati nel corso dell’anno. Quali sono i risultati più clamoro-

Pannocchia di infiorescenze dell’albero parrucca.

La Balsamina (Impatiens).

si? Un drastico impoverimento della diversità biologica nel territorio occupato, una banalizzazione degli ecosistemi, il trionfo dei generalisti e degli opportunisti, non peculiari di particolari situazioni ambientali. Nella loro patria di origine, il proliferare di queste piante è controllato da legioni di insetti fitòfagi, che attaccano e distruggono le radici, i fusti, le foglie, i fiori e i semi. Da noi sono assenti organismi equilibratori che non sono giunti insieme con le loro piante nutrici, e che non risultano essere attaccate dagli insetti fitòfagi presenti nelle nostre contrade. Viene quindi a mancare questo potente ed efficiente deterrente naturale. Tanto sono rosicchiate e malconce le foglie della flora nostrana, quanto sono indenni quelle delle «straniere». L’Estremo Oriente, l’Himalaya, le Americhe, il Caucaso sono la loro patria d’origine e, dopo la piantagione nei giardini, sono sfuggite a conquistare la piena Natura. Il loro progressivo impianto al di fuori dei giardini è certamente anche il risultato di un aumento della temperatura estiva durante gli ultimi decenni, che ha favorito l’espansione naturale di piante di climi caldi. Nel caso della piana di Magadino è molto probabile che anche le ormai ricorrenti esondazioni del Lago Maggiore sono state (e sono) un potente agente veicolatore dei semi. La Natura ha escogitato meccanismi altamente sofisticati e ingegnosi per favorire la disseminazione. I semi sono sempre racchiusi in un involucro il quale matura dopo la caduta dei fiori. Può essere un frutto commestibile, oppure un frutto munito di uncini (come nella Bardana) che si attaccano saldamente al vello di una pecora. O ancora può essere trasportato quale fonte di cibo da uccelli e da scoiattoli. A loro volta, i semi possono essere veicolati dal vento. Basta ricordare il giallo Dente di Leone (Taraxacum), i salici, i pioppi, i platani. La Balsamina (Impatiens) ha un frutto che, a maturazione, «esplode»,

e singolari molle a spirale proiettano i semi fino a 20-30 centimetri di distanza. Grazie a questo ingegnoso meccanismo, nella piana di Magadino e altrove questa esotica «straniera» sta diventando sempre più invasiva, ostacolando con la sua egemonica occupazione del territorio la vita della flora indigena. I semi della Buddleya (foto) sono disseminati anche da una grossa formica rossa (la Manica rubida), molto frequente sulle rive ciottolose e ghiaiose di fiumi e torrenti. La Balsamina, il Tirso d’Oro, la Buddleya, il Poligono del Giappone, la Panace del Mantegazza e, recentemente l’Ambrosia, sono le più comuni e invasive «straniere»*. Qual è l’origine del loro arrivo in Europa? Fin dal 1700 facoltosi gentlemen inglesi avevano ingaggiato audaci cacciatori di piante (plants hunters) inviati in lontane allora esotiche località per arricchire i loro parchi e giardini. E anche i missionari dell’epoca apportarono il loro contributo, facendo conoscere in Europa un considerevole numero di nuovi vegetali. Questi gentlemen, per una soddisfazione estetica, per distinguersi e per meravigliare gli ospiti, assistiti da capaci giardinieri e con l’ausilio di serre riscaldate, soprattutto durante l’epoca della Regina Vittoria, impiantarono dei veri e propri gioielli di architettura vegetale, tuttora famosi e ammirati. Perché dalie, begonie, ortensie, gerani (Pelargonium), tageti e nasturzi non sono sfuggiti in piena natura, e preferiscono restare al sicuro nei nostri giardini? È un interessante quesito, al quale è difficile dare una risposta. Ma, probabilmente, sono esempi di un opportunismo vincente. Anche tra i vegetali esistono, assieme ai prepotenti e agli avventurieri, gli amanti del quieto vivere. * Ulteriori informazioni

https://www4.ti.ch/generale/organismi/specie-invasive-neobiota/pianteinvasive-neofite/


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Ambiente e Benessere

Un difficile equilibrio Laura Botticelli Gentile Laura, il consumatore medio non sa più cosa mangiare. Ho letto di quanta plastica mangiamo inconsapevolmente con pesce, birra eccetera. Le carni rosse non fanno molto bene, sia per il nostro corpo e anche per motivi ambientali. Le verdure in busta contengono sicuramente conservanti e altro. I prodotti del supermercato, se leggiamo le etichette, ci dicono che cosa non è contenuto ma non dicono che cosa contengono in riferimento a questo tipo di «veleni». Mi può suggerire come ci dobbiamo comportare? Grazie, cordiali saluti. / Ivano G. Questa, Ivano, è forse una delle domande più difficili che mi abbiano mai sottoposto perché riguarda l’alimentazione, la salute e l’ambiente, tre temi a me cari, che al giorno d’oggi «scottano» e sui quali ci sono molti pareri contrastanti in merito e sui quali fatichiamo anche noi «esperti». Purtroppo, non possiamo vivere d’amore, non perché non amiamo, ma perché il nostro corpo è stato «progettato» per costruirsi e svilupparsi di sostanze nutritive (grassi, proteine, carboidrati, fibre oltre a tutta una serie di altri elementi) presenti negli alimenti che aiutano a svolgere le sue attività vitali. Tutti gli alimenti e gli esseri viventi, inclusi noi, sono fatti di sostanze chimiche. Ma cosa sono, invece, i contaminanti chimici? Sono sostanze, composti o miscele di composti con proprietà tos-

sicologiche che sono in grado di provocare effetti nocivi sulla nostra salute e su quella degli animali. I contaminanti sono stati classificati dagli scienziati in due categorie: presenti naturalmente nell’ambiente e derivati dall’attività dell’uomo. Per i primi è bene sapere che anche le piante ne possono produrre. Un esempio sono i nitrati che sono presenti negli ortaggi a foglia verde, così come i funghi che possono liberare tossine. Per i secondi, va detto che il primato della produzione di sostanze tossiche di fatto l’abbiamo noi esseri umani. Esistono i cosiddetti residui, che possono essere residui di pesticidi o di medicinali per gli animali o di materiali a contatto con gli alimenti che possono migrare nei prodotti alimentari. E poi ci sono anche i sottoprodotti indesiderati della lavorazione come l’acrilammide che si forma negli alimenti ricchi di amido quando sono cotti a temperature elevate. Non ci facciamo mancare neppure gli inquinanti antropici che sono presenti nell’ambiente, nel suolo, nell’acqua e nell’atmosfera e i metalli, naturalmente presenti nel suolo o derivanti dai gas di scarico delle nostre auto. Detto questo, come vengono contaminati gli alimenti? Ebbene, la contaminazione può avvenire in qualsiasi momento della filiera agroalimentare, direttamente sul prodotto allo stato naturale o dai metodi di coltura/allevamento, oppure durante la lavorazione nei processi industriali o alla distribuzione/vendita nei negozi e addirittura nel piatto di casa nostra!

Pexels

La nutrizionista Come scegliere le pietanze migliori nel rispetto di alimentazione, salute e ambiente?

Mi dispiace, non vorrei sembrasse un testo volto al «terrorismo» alimentare, ma la situazione purtroppo è questa e non posso neppure edulcorarla. Posso dire però che ci sono team di scienziati che continuano a studiare e a cercare di trovare un equilibrio tra la sicurezza e i benefici per la salute dei consumatori fornendo indicazioni che i vari stati trasformano poi in ordinanze per la salvaguardia della nostra salute e dell’ambiente e che pure l’UE sta adottando misure per ridurre al minimo i contaminanti nei prodotti alimentari. E noi consumatori come ci dobbiamo comportare? Le consiglio tre azioni

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concrete. La prima è variare l’alimentazione. Non esiste un alimento che contiene tutte le sostanze nutritive di cui necessitiamo e, ahimé, non sembra esistere un alimento «puro». Cerchiamo quindi di mangiare in maniera equilibrata ma, appunto, variata. Non focalizziamoci sempre sugli stessi alimenti, ma cambiamoli: quando optiamo per la carne, per esempio, è bene scegliere una volta pollo, un’altra vitello, un’altra maiale, coniglio eccetera, e così anche quando mangiamo pesce, verdura e frutta. Sembra infatti essere meno pericoloso assumere più contaminanti diversi piuttosto che sempre gli stessi che

si possono accumulare troppo nel nostro organismo col rischio di oltrepassare la soglia di tolleranza e dare sfogo a malattie. Un’altra cosa che possiamo fare è comprare alimenti biologici, di stagione e nostrani perché in questo modo si obbligano sempre più i contadini e gli allevatori a evitare l’uso di pesticidi, antibiotici e via elencando, che inquinano i nostri alimenti e la nostra terra. Inoltre, così facendo si riducono i lunghi trasporti di alimenti via camion e via navi o aerei (la rimando al mio articolo Il biologico e il naturale (su «Azione» del 26 novembre 2018, e anche sul sito www.azione.ch). Terza azione concreta: torniamo a cucinare le pietanze con le nostre mani usando ingredienti locali, così da evitare il più possibile che gli alimenti naturali vengano coltivati in uno Stato, spostati in un altro per la lavorazione e mandati magari allo stabilimento di un terzo Stato per l’imballaggio, e a un quarto e quinto, eccetera, per la vendita. In questo modo risparmiamo sulla catena di produzione evitando sicuramente qualche contaminante e l’inquinamento atmosferico. Spero di esserle stata utile. Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch Le precedenti puntate si trovano sul sito: www.azione.ch

Fiorisce il calicanto in estate

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Per alcuni strani motivi, a volte capita che alcune piante vengano chiamate con un nome errato, creando poi confusione al momento dell’acquisto. È il caso di Calycanthus floridus (calicanto d’estate), un arbusto deciduo di origine americana, che non ha alcun legame con il calicanto d’inverno, il cui nome corretto è Chimonanthus praecox. La caratteristica principale del calicanto estivo, arbusto che raggiunge i tre metri di altezza (ma con una crescita lenta), è legata al profumo intenso che emana soprattutto al tramonto grazie ai suoi fiori rosso porpora, la cui fragranza ricorda l’aroma della fragola e della banana. Anche le foglie, se spezzettate, e la corteccia, se strofinata, odorano di chiodi di garofano e canfora. Le foglie sono di dimensioni medio-grandi, con forma ovale e acuminata; ad accompagnarle sono splendidi fiori dai petali nastriformi che sbocciano tra luglio e agosto. Il Calycanthus floridus predilige posizioni in pieno sole, con terreno drenato e ricco di concime, indispensabile per avere una fioritura abbondante. In autunno produce i frutti, che si presentano come delle capsule secche e lunghe 7-8 centimetri, contenenti i semi. Se disponete di spazio in giardino, è consigliabile accompagnare il calicanto estivo ad altri arbusti, come biancospino, filadelfo e kolkwitzia, oppure si possono creare delle siepi miste con forsythia, eleagno e nocciolo. Se preferite invece ospitare un singolo esemplare, vi consiglio di piantarlo in una zona dove si è soliti soffermarsi, come vicino a un gazebo o

Gmihail

Anita Negretti

all’ingresso di casa per poter godere del profumo intenso dei suoi fiori. Per avere piante in grado di fiorire l’anno stesso della messa a dimora, acquistatele di almeno tre-quattro anni di vita, mentre se non avete fretta potete seminarli o moltiplicarli per via pollinifera. La semina consiste nel riempire una cassetta con torba e sabbia in parti uguali nel mese di giugno. I semi andranno messi in acqua leggermente tiepida per una notte intera e questo processo aiuta fortemente la germinazione. I semi devono essere interrati solo per due-tre centimetri di profondità e coperti con un velo di sabbia. La cassetta andrà posta in un luogo a mezz’ombra e innaffiata quotidianamente; in quattro-cinque settimane otterrete delle piantine alte fino a dieci centimetri, che andranno poi trapiantate in singoli vasetti. L’altra tecnica di moltiplicazione prevede invece, a inizio primavera o in tardo autunno, di strappare i polloni basali con le loro radici. Si devono tagliare a circa trenta centimetri di lunghezza e si interreranno in vasi con terriccio e perlite tenuti sempre umidi finché non compariranno le prime foglioline.


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Ambiente e Benessere

Risotto con porcini trifolati

Migusto La ricetta della settimana

Piatto unico Ingredienti per 4 persone: 15 g di porcini secchi · 7 dl d’acqua · 1 cc di sale · 2 scalogni · 80 g di burro · 250 g di riso per risotto · 2 dl di vino bianco · 500 g di porcini freschi · ½ mazzetto d’erbe aromatiche, ad es. erba cipollina, prezzemolo · pepe · 40 g di parmigiano grattugiato · sale · parmigiano a piacimento.

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

1. Mettete a bagno i funghi secchi nell’acqua per circa 30 minuti. Estraeteli, strizzateli leggermente e tagliateli a striscioline. Filtrate l’acqua di ammollo con un colino a maglie finissime, raccogliete l’acqua, salatela e portatela a ebollizione. 2. Tritate gli scalogni e fateli appassire in poco burro a fuoco medio. Unite i funghi ammollati e soffriggeteli per circa 1 minuto. Aggiungete il riso e tostatelo mescolando. Sfumate con il vino bianco e fatelo evaporare completamente. Aggiungete l’acqua di ammollo dei funghi, in modo da coprire il riso, e cuocetelo mescolando di tanto in tanto a fuoco basso, finché risulta al dente. 3. Sminuzzate i funghi porcini freschi a piacere. Soffriggeteli in poco burro per circa 5 minuti. Tritate finemente le erbe e incorporatele ai funghi. Unite il parmigiano e il burro rimasto al risotto. Regolate di sale e pepe. Servite i porcini trifolati sul risotto e, a piacere, servite con parmigiano grattugiato. Preparazione: circa 45 minuti + ammollo circa 30 minuti. Per persona: circa 19 g di proteine, 23 g di grassi, 54 g di carboidrati, 520

kcal/2150 kJ.

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Ambiente e Benessere

Poveri esploratori

A scuola di viaggio

Claudio Visentin

laboratorio con Scuola Club Migros Lugano

Viaggiatori d’Occidente Un controverso modo di andar per il mondo senza denaro

Li chiamano begpacker, con un gioco di parole tra backpacker (viaggiatore zaino in spalla) e beggar (mendicante). È una nuova tendenza ben visibile nel sud-est asiatico, la meta preferita dei giovani viaggiatori indipendenti. Li vedi agli angoli delle strade con dei rozzi cartelli in due lingue (inglese e locale) a chiedere l’elemosina ai compagni di viaggio o ai passanti per pagare le spese di viaggio. Alcuni si mostrano bendati e offrono «abbracci gratuiti» (ma una scatola è pronta per l’offerta). Altri vendono cartoline o gingilli, oppure suonano, utilizzando però costosi strumenti musicali e amplificatori; è già meglio e qualcuno ci sa anche fare col pubblico, peccato siano tutti comportamenti vietati se si è entrati con un visto turistico.

Ha senso chiedere di finanziare il proprio viaggio a chi un viaggio a lunga distanza non può proprio permetterselo? La maggior parte di loro viene da ricchi Paesi occidentali: australiani, inglesi, americani o russi. In Thailandia i locali osservano stupiti questi farang (come sono chiamati gli stranieri) così diversi dagli altri e caricano in rete le foto. Qualcuno dà qualcosa, molti reagiscono con irritazione. A Bali vengono segnalati alle rispettive ambasciate e ora si applicano anche a loro le leggi contro l’accattonaggio pensate per proteggere i turisti dai fastidi. A Hong Kong sono stati allontanati con nuove regole. In Thailandia al momento dell’ingresso si deve provare di avere con sé abbastanza denaro per mantenersi (e in questo modo anche gli altri viaggiatori pagano il comportamento sbagliato di pochi). Qualcuno finge di aver perso il passaporto o di essere stato derubato, la maggior parte però ammette candidamente la propria intenzione di viaggiare a spese altrui. Del resto da tempo in rete sono numerose le raccolte di fondi per viaggi intorno al mondo, su siti specia-

La nuova moda di turisti «ricchi»: fare gli accattoni nei paesi poveri. (kiwifarms.net)

lizzati come Kickstarter o GoFundMe. E tuttavia la scelta di atterrare in Paesi poveri senza le risorse per sostenersi viene giustamente considerata di cattivo gusto, se non eticamente scorretta o semplicemente disonesta. Un caso esemplare è quello del giovane ben vestito che chiede soldi per il suo viaggio in un quartiere popolare di Bangkok duramente colpito dal tifone e impegnato nella ricostruzione. In Asia viaggiare in economia non è difficile: guesthouse e street food sono a portata di mano e il trasporto pubblico è efficiente ed economico. Inoltre con

un poco di buona volontà è possibile guadagnare abbastanza con un normale lavoro stagionale: babysitter, barista, raccolta della frutta, lezioni di lingua eccetera. In termini più generali, ha senso chiedere di finanziare il proprio viaggio a chi – la maggior parte della popolazione mondiale – un viaggio a lunga distanza non può proprio permetterselo? Per evitare queste brutte figure basta ricordarsi chi siamo. Possiamo viaggiare fuori dalla nostra comfort zone lasciandoci ogni comodità alle spalle, in volontaria povertà, perché godiamo dei

benefici dello stato sociale, perché le famiglie d’origine non hanno bisogno del nostro lavoro, perché abbiamo sempre un porto sicuro al quale fare ritorno se qualcosa andasse davvero storto. Potremmo considerare la cultura dei begpacker come una degenerazione di un motivo ben presente nella mentalità dei viaggiatori indipendenti sin dagli anni Settanta. I backpacker si vantano di viaggiare spendendo pochissimo e di contrattare ferocemente su ogni acquisto, anche quando dispongono di risorse adeguate: è una sfida con sé stessi e un modo per mostrare la propria esperienza, pagando meno dei novellini. Va anche detto per onestà che queste spese, pur ridotte, restano interamente sul territorio, a differenza degli altri turisti. In qualche caso il confine è più sfumato: per esempio due giovani viaggiatori tedeschi, Anna Karg e il suo fidanzato Enoch Orious, per scelta di vita non toccano mai denaro, neppure a casa. Almeno sono coerenti. Ora cercano di arrivare in Nuova Zelanda solo affidandosi a doni in natura ricevuti dagli sconosciuti. E indubbiamente, eliminando la dimensione del denaro, la pratica diventa più socialmente accettabile. A volte invece un fine umanitario giustifica la scelta. Laura Bingham (www.laurabingham.org), una ventenne inglese, nel 2016 ha attraversato tutto il Sud America in bicicletta (settemila chilometri) senza un soldo. Laura voleva far capire com’è la vita di chi non ha nessuna sicurezza e dipende interamente dalla gentilezza altrui, al fine di raccogliere fondi per un’organizzazione che assiste ragazze in difficoltà in Paraguay. L’impresa è riuscita ma non è stato un gioco. Molti le hanno offerto cibo o alloggio senza chiedere nulla in cambio ma nei momenti peggiori ha dovuto frugare nei bidoni della spazzatura o mangiare gli avanzi dei clienti in un ristorante. Le privazioni tuttavia hanno rafforzato il suo carattere e due anni dopo ha sceso in kayak con un team di sole donne l’intero corso del fiume Essequibo, mille chilometri fino all’Atlantico, poco conosciuto nonostante sia uno dei fiumi più lunghi del Sud America. E questa volta senza chiedere aiuto a nessuno.

Bussole Un nuovo

Il laboratorio dedicato all’arte di viaggiare – proposto da Scuola Club Migros Lugano in collaborazione con «Azione» – è ormai diventato un appuntamento regolare per i nostri lettori (ai quali è riservato anche uno sconto sull’iscrizione!). Come sempre la miglior pubblicità è stata il passaparola dei primi partecipanti, che hanno apprezzato soprattutto la possibilità di mettersi in gioco in una vivace e informale discussione guidata: come progettare un viaggio interessante, come prendere appunti strada facendo, come rielaborare quanto visto dopo il ritorno a casa… L’insegnante è Claudio Visentin, il fondatore della Scuola del Viaggio (www.scuoladelviaggio.it), conduttore radiofonico per Rete Due, docente universitario e curatore della nostra rubrica «Viaggiatori d’Occidente». La scrittura è il filo conduttore del laboratorio (combinata con la fotografia nel reportage) con esercizi divertenti, adatti ai principianti al pari di chi ha già qualche esperienza di scrittura. Al ritorno dalle vacanze, è il corso perfetto per chi vuole imparare a raccontare le proprie avventure in forme coinvolgenti e appassionanti. Informazioni

Il laboratorio si svolgerà sabato 14 settembre 2019, ore 9.00-12.00 e 13.00-16.00, presso la Scuola Club Migros Lugano, via Pretorio 15. Il costo dell’iscrizione è di Fr. 144.– (con uno sconto del 10% a chi porterà o citerà «Azione» al momento dell’iscrizione). Il corso è a numero chiuso (massimo 12 partecipanti, in ordine d’iscrizione sino a esaurimento dei posti disponibili). È possibile iscriversi presso la segreteria della Scuola Club Migros Lugano, per telefono (091 821 71 50), via posta elettronica (scuolaclub.lugano@migrosticino. ch) o direttamente sul sito internet (www.scuola-club.ch). Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Falsi miti e uomini tutti d’un pezzo Sport Nel mondo dello sport c’è chi se la tira... e chi con discrezione si mimetizza fra la gente comune

Giancarlo Dionisio Un pomeriggio di settembre del 1998. A Colonia vanno in scena i Mondiali di canottaggio. Sulle rive del Fühlinger See, non lontano dal cuore della città e dal suo splendido duomo gotico del Trecento, sorge un tendone bianco. È l’improvvisata sala stampa che ospita, in un clima di sana e serena promiscuità, giornalisti e atleti. All’inviato che è stato catapultato lì dal destino, reduce dalla Coppa del Mondo di calcio vinta quell’estate dalla Francia di Zidane, Deschamps, Thuram e compagni, sembra di essere atterrato su un altro pianeta.

Atleti che hanno scritto pagine della storia dello sport, ma che hanno con l’unico torto di non giocare a calcio Si è appena conclusa la prova del «quattro senza». Sotto il tendone entra un omone di quasi due metri. Fisico scolpito. Sorriso che spacca. Portamento signorile. Stringe la mano a tutti. Riceve e distribuisce pacche sulle spalle. Non viene attorniato da decine di telecamere, ma tutti tacciono per ascoltare il racconto della sua ennesima impresa. È Steve Redgrave. All’epoca ha 36 anni. Nella sua bacheca ci sono già quattro ori olimpici, conquistati in altrettante Edizioni consecutive tra il 1984 e il 1998, e otto Titoli mondiali. A fine carriera saranno nove. Due anni più tardi, a Sydney, dipingerà di oro la sua quinta Olim-

piade. Mai nessuno come lui. Membro dell’Ordine dell’Impero britannico nel 1987, Capitano dell’Ordine stesso dieci anni più tardi, Baronetto di sua Maestà la Regina Elisabetta Seconda nel 2001, primo sportivo olimpico a fregiarsi del titolo di «Sir». Ultimo tedoforo alla cerimonia inaugurale dei Giochi londinesi del 2012. Passano 18 anni. Quello stesso giornalista, costantemente frenato dai cordoni di protezione attorno alle varie star del calcio, costretto a sgomitare nelle cosiddette zone-miste per carpire due parole in croce ai miti del calcio, frustrato dai vetri fumé, che negli ultimi anni proteggono, sui loro lussuosissimi pullman, i moderni eroi del pedale, si ritrova, ancora una volta, per pura coincidenza, a tu per tu, con quattro altri canottieri eccellenti. Ai Giochi di Rio de Janeiro, il «quattro senza» non è più un feudo britannico. Negli ultimi tre anni comanda la Svizzera che mette lì, uno in fila all’altro, tre Mondiali, un Europeo, e l’Oro olimpico in Brasile. Sull’imbarcazione rossocrociata remano, con vigore, coordinazione e tecnica perfetta, i veterani Mario Gyr e Simon Niepmann, classe 1985, Simon Schürch, il più giovane (questione di mesi), e Lucas Tramer, che da poco ha compiuto trent’anni (auguri!). I quattro ragazzi hanno dominato la scena recente, riuscendo nel contempo a completare gli studi universitari. Gyr, dal canto suo, ha pure lottato contro una grave malattia. Ciononostante, anche loro, come il gigante Steve Redgrave, non se la tirano, e si concedono con generosità ed empatia, al giornalista che vedono per la prima volta

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davanti a loro. Che l’uomo, da sempre, abbia bisogno della sacralità dei miti, della loro magica facoltà di narrare le gesta di personaggi invincibili, è risaputo, e comprensibile. Capire invece come e perché si costruiscano i miti nello sport, è un’impresa titanica. In realtà, basta poco per accendere la miccia. Un oro olimpico, una maglia iridata, ed ecco che ciclicamente atleti sconosciuti al grande pubblico scalano le prime pagine dei giornali. Personaggi che poi, per mesi, per anni, o per sempre, verranno messi in naftalina. Ricorderete i fratelli Giuseppe e Carmine

Abbagnale, possenti canottieri pilotati dal minuscolo timoniere Peppiniello Di Capua. I meno giovani ricorderanno la telecronaca al tritolo di Giampiero Galeazzi, quando ai Giochi di Seul cantò le gesta dei fratelli partenopei, che in quell’occasione misero alle spalle anche l’equipaggio britannico capitanato da Steve Redgrave. Miti. Eroi. O, se preferite, campioni. Come Valentina Vezzali, Nino Schurter, Federica Pellegrini, Dario Cologna e mille altri. Uomini e donne che hanno scritto pagine esaltanti e commoventi della storia dello sport,

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku

Cruciverba «Il fallimento è l’opportunità di iniziare di nuovo…» Completa la frase dell’imprenditore Henry Ford risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 2, 2, 4, 3, 12

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Lucas Tramèr, Simon Schürch, Simon Niepmann, Mario Gyr, sul podio degli Europei di canottaggio del 2016. (Gregor Rom)

ma che hanno l’imperdonabile torto di non giocare a calcio. Persino un ultramito come Roger Federer non riesce ad avere un appeal sufficiente per monopolizzare quotidianamente le pagine e le rubriche specializzate. Nonostante tutto quanto ha vinto, King Roger, al pari di altri fenomeni, come i suoi rivali Rafael Nadal e Novak Djokovic, o come Marcel Hirscher, lo sciatore più vincente della storia, gode di un’esposizione mediatica nettamente inferiore rispetto a quella dei cosiddetti eroi del pallone, dei quali si parla e si scrive tutti i giorni, anche quando non fanno praticamente nulla, se non trotterellare attorno al campo in qualche località montana. Da circa un mese, siamo prigionieri e vittime delle vicende di Mauro Icardi e della sua moglie-manager Wanda Nara. Dove andrà a finire il tatuatissimo bomber argentino? E la Joya, Paulo Dybala, rimarrà a Torino? Lui vorrebbe, ma Cristiano Ronaldo gradirebbe una coppia o un tridente d’attacco diversi. Che dire di Mario Balotelli? Partito nel 2006 dal Lumezzane, in provincia di Brescia, dopo aver girovagato per mezza Europa, chiude il cerchio per andare a vestire la casacca della squadra del capoluogo. Romelu Lukaku sarà il rimedio contro la sterilità offensiva dell’Inter? Sono notizione che ti inchiodano allo sgabello del bar: «Cosa ne pensi? Credi? No. È una pippa. Io lo terrei. Che se ne vada. Meglio l’Argentino». In realtà i veri miti dello sport esistono. Ma popolano solo occasionalmente le prime pagine dei giornali e delle TV. Silenziosamente, con discrezione, come Federer, si trincerano dietro le loro mura dorate, oppure, come è il caso dei canottieri, si mimetizzano fra la gente.

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

Sudoku ORIZZONTALI 1. Avverbio di tempo 3. Neanche 9. Preposizione latina 10. Un numero 11. È rosso per Richard Gere 12. Non dà a nessuno la vittoria 14. Li hanno prensili i tetrapodi 15. Si associa agli altri 16. Un anagramma di tuono 17. Un valore geometrico 18. Un ortaggio 19. Scuole secondarie 21. Può essere pungente 22. In genere... sono estremi 23. Fiume polacco... sul calendario 24. È fiero della sua croce (sigla) 25. Grassa VERTICALI 1. Grafica dettagliata di un terreno 2. La scrittrice Negri 3. Lo sono i personaggi pubblici 4. Donna senza precedenti... 5. Pronome personale 6. Possono essere di gioventù 7. Pulito 8. Non si deve alimentare 10. La cantante Zilli 13. Strada francese 14. Dorata 16. Un liquore 18. Catasta di legna per condannati 19. Ultimo ad Harward 20. Macchina semplice 22. Sono molto espansivi... 24. Se è apostrofato esiste... Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-

Soluzione:

Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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CURIOSITÀ STORICHE – Vittorio Emanuele III per la sua bassa statura aveva bisogno di una…: SPADA SU MISURA per cui fu soprannominato…: SCIABOLETTA

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P A L L E A S S S T I S U E S O L R I M E S O L A Y S T A T S E C A R I N

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luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Politica e Economia Il G7 e le giravolte di Trump Da Biarritz la conferma: i destini del mondo – a rischio recessione – sono legati al rapporto UsaCina

Cono Sur: 4.parte L’Amazzonia va a fuoco. Non da oggi, da anni. Ma oggi va a fuoco molto più spesso e molto più rapidamente di prima, soprattutto nella porzione di foresta brasiliana dove le lobby dell’agroalimentare hanno le mani libere

Parlamento chiuso Un Boris Johnson senza scrupoli quello che ha richiesto di sospendere il Parlamento per 5 settimane onde evitare altre sorprese sulla Brexit

Ancora sul valore locativo Continuano le discussioni attorno alla possibile rinuncia a questo elemento della fiscalità

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pagina 25 Un soldato israeliano sorveglia il confine con il Libano. (AFP)

Israele, si riaccende la sfida all’Iran

Medio Oriente L’esercito di Tel Aviv ha colpito diversi obiettivi legati alla Repubblica islamica in tre paesi arabi

(Iraq, Siria e Libano) nel tentativo di disinnescare la minaccia che Teheran rappresenta per la sicurezza israeliana Marcella Emiliani Giorni di fuoco in Medio Oriente alla vigilia delle elezioni parlamentari del 17 settembre che dovrebbero garantire ad Israele un governo stabile dopo la delusione delle politiche di aprile che non hanno saputo esprimere un vincitore indiscusso. Inutile ricordare che il «mattatore» di questa vigilia altri non è che il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu, disposto a tutto pur di rimanere in sella. Ma basta l’attesa dell’apertura delle urne per giustificare l’esibizione di muscoli da parte di Israele contro tre paesi del Medio Oriente cui stiamo assistendo in nelle ultime settimane? Evidentemente no, anche se Netanyahu ha impostato tutta la sua campagna elettorale sul tema della sicurezza e sul pericolo rappresentato dall’Iran e dai suoi alleati o sodali nella regione. Tra di loro, senza contare la Siria che è uno Stato, i più importanti sono sicuramente quel Partito di Dio – o Hezbollah che dir si voglia – diventato ormai il vero padrone del Libano, in secondo luogo le Forze di mobilitazione popolare (al-Hashd ash-Sha῾abi), una qua-

rantina di organizzazioni composte principalmente da volontari in maggioranza sciiti, create in Iraq all’indomani della conquista di Mosul da parte dell’Isis il 10 giugno 2014. Volute dalla massima autorità sciita irachena, l’ayatollah Ali al-Sistani per combattere proprio il sedicente Califfato, le al-Hashd ash-Sha῾abi sono state addestrate dai Guardiani della rivoluzione, i pasdaran iraniani, e assieme a loro, all’esercito turco e all’aviazione russa hanno contribuito – oltre a sconfiggere l’Isis assieme ai caccia americani – anche a tenere in piedi la dittatura di Bashar al-Assad in Siria. In patria sono diventate talmente forti da coalizzarsi in un partito politico, l’Alleanza della conquista o Alleanza Fatah. E proprio le loro postazioni al valico di Qaim tra Iraq e Siria, nella settimana iniziata il 19 agosto sono state colpite dall’aviazione israeliana. Il diritto di rispondere allo Stato ebraico che le milizie sciite si sono arrogate rischia di aggravare lo stato di anarchia strisciante che continua a minare la stabilità della neonata democrazia irachena. Nella notte tra il 24 e il 25 agosto scorso l’aviazione e i droni con la stel-

la di Davide hanno poi colpito una presunta base della Brigata al-Quds, il braccio armato dei pasdaran iraniani all’estero, nei pressi di Damasco. Lì per lì Teheran ha smentito che si trattasse di una postazione dei propri Guardiani della rivoluzione, mentre gli Hezbollah libanesi la rivendicavano come propria. Nella ridda di ipotesi, ci ha pensato direttamente Netanyahu a fare chiarezza a modo suo rivendicando il raid come azione preventiva per impedire all’Iran di lanciare dalla Siria un attacco contro la Galilea del Nord. Visto che Israele colpisce la Siria a ogni piè sospinto, la novità di questo raid non è stata l’attacco in sé, quanto il fatto che Netanyahu l’abbia rivendicato apertamente, cosa che prima d’ora Israele ha sempre evitato di fare in occasioni simili. Il giorno dopo, il 25 agosto, i suoi droni hanno colpito due postazioni di Hezbollah nella periferia meridionale di Beirut in Libano e a Qusaya nella valle della Bekaa, hanno fatto saltare in aria anche una palazzina appartenente al Fronte popolare per la liberazione della Palestina-Comando Ahmed Jibril, un vecchio arnese della frammen-

tazione del fronte palestinese nella lotta contro Israele ai tempi della Guerra fredda. Il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, non ha perso tempo a rispondere minacciando feroci rappresaglie, mentre il presidente libanese, il cristiano maronita Michel Aoun, alleato del Partito di Dio, ha parlato apertamente di «atto di guerra» di Israele contro il Libano. Infine nel fatale weekend del 2425, l’ultima ad essere colpita è stata la Striscia di Gaza, regno di Hamas, da cui erano partiti diversi missili piovuti sulla cittadina israeliana di Sderot. Ancora la mattina del 28 diverse esplosioni a Gaza City facevano temere un nuovo attacco dell’aviazione israeliana, prima che venisse avanzata l’ipotesi che kamikaze dell’Isis si fossero fatti saltare in aria in due checkpoint. Torniamo allora a chiederci: tanto rullar di tamburi di guerra solo a fini elettorali? La cosa non è da escludere in toto, ma nel caos che regna in tutto il Medio Oriente dallo scoppio delle Primavere arabe del 2011 l’Israele deve tenere sotto controllo la situazione perché il pericolo per la sua sopravvivenza

può arrivare da qualsiasi paese. Si può discutere in che modo possa garantirsi questo controllo, ma non il diritto di salvaguardare la propria sicurezza. Nella congiuntura attuale la crescente militarizzazione dello scontro tra Israele e l’Iran sembra piuttosto un avvertimento lanciato dal premier israeliano non solo a Teheran ma anche a Macron (leggi Europa) che ha fatto apparire a sorpresa il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif al vertice del G7 di Biarritz, terminato il 26 agosto , e a Donald Trump che proprio a Biarritz non ha escluso la possibilità di incontrare il presidente iraniano Rouhani. Dal canto suo Rouhani ha subito messo le mani avanti precisando che non ci potrà essere nessun incontro se gli Usa non ritireranno le sanzioni che hanno messo in ginocchio l’economia del suo Paese. Che il rendez-vous fatale avvenga o meno, per Netanyahu l’importante è aver lanciato il messaggio in maniera chiara: che gli Usa, i migliori alleati dello Stato ebraico, facciano quello che vogliono, ma – se si tratta dell’Iran – Israele è pronto a provvedere da sé alla tutela della propria sicurezza. Con tutti i rischi che questo che comporta.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Politica e Economia

Il mondo scivola verso la crisi Scenari economici La recessione tedesca è quasi una certezza con conseguenze mondiali e soprattutto

sull’Eurozona, ma anche la crescita dei Bric (India, Brasile, Russia) rallenta e resta appesa al rapporto Usa-Cina Federico Rampini C’è la recessione tedesca e c’è la recessione degli altri. La prima è quasi una certezza, con conseguenze mondiali e soprattutto sull’Eurozona: di buono, c’è il possibile allentamento delle rigidità di bilancio ad opera di Ursula von der Leyen. La recessione degli altri è per ora solo un pericolo. Occupa un’attenzione notevole in America anche per i riflessi sulla campagna elettorale. Primeggia tra le preoccupazioni di Xi Jinping, perché non sappiamo se il regime cinese sarebbe in grado di reggere ad una vera crisi economica: non ne ha dovuto gestire neanche una, dopo Piazza Tienanmen (1989). E poi ci sono tutti gli altri: dall’Italia ai Bric. Procediamo per ordine. Il G7 è stato l’occasione per l’ennesima giravolta di Donald Trump nella guerra commerciale con la Cina. Partendo da Washington alla volta della costa atlantica basco-francese aveva annunciato nuovi rialzi nei dazi americani, fino a colpire la totalità delle importazioni cinesi (500 miliardi di dollari): era stata la sua vigorosa reazione ai dazi cinesi su 75 miliardi di prodotti made in Usa. Inoltre Trump alla vigilia del G7 aveva lanciato un invitoesortazione alle imprese americane perché smobilitino dalla Cina. Aveva perfino evocato una legge del 1977 che consentirebbe al presidente degli Stati Uniti – previa dichiarazione di uno stato di emergenza – di bloccare le future transazioni in valuta delle aziende con la Cina. Al termine del summit di Biarritz, Trump ha cambiato tono e rassenerato l’atmosfera. Nella conferenza stampa finale del G7 il presidente americano ha evocato a più riprese dei segnali accomodanti ricevuti da Pechino. Ha detto che c’erano state telefonate tra i due governi, confermando la chiara volontà cinese di riprendere le trattative. Si è detto a sua volta felice che le cose possano aggiustarsi. Ha definito Xi Jinping «un grande leader» mentre pochi giorni prima lo aveva bollato come «un nemico». Per la verità da Pechino non sono giunte conferme. Variazioni umorali e d’atmosfera del presidente americano? Gesti rassicuranti verso quegli alleati europei – Boris Johnson incluso – che avevano caldeggiato con lui una «pace commerciale» per salvare la crescita mondiale? O forse davvero qualcosa si sta muovendo e i cinesi hanno rimesso sul tavolo qualche concessione che sblocca il negoziato? Di sicuro c’è una dichiarazione ufficiale del vicepremier Liu He, che ha la regìa dei negoziati per la parte cinese, il quale ha auspicato che le trattative tra le due parti «riprendano nella calma». «Ha ragione – ha scherzato Trump – calma, calma, è una bella parola, che io non uso spesso». La velocità con cui cambiano i messaggi dalla Casa Bianca, costringe a usare cautela. A chi gli rinfacciava le continue docce scozzesi,

gli annunci contraddittori, i capovolgimenti da un giorno all’altro, Trump ha risposto: «È così che si negozia, è così che io ho avuto successo negli affari». Il mondo delle grandi imprese ormai deve incorporare una dose d’incertezza elevatissima, nel valutare gli scenari a breve-medio termine. La sensazione è che comunque qualcosa si sia guastato in modo quasi irrimediabile, e nel lungo termine chi può farlo sta già predisponendosi ad una «guerra fredda» che costringe a smembrare catene logistico-produttive articolate per trent’anni anni sulle due sponde del Pacifico. Intanto gli effetti degli annunci passati, e dei dazi già entrati in vigore, sono ben visibili nelle economie più dipendenti dai mercati esteri. Bric, fu una sigla a lungo sinonimo di boom dei paesi emergenti. Coniata da un economista di Goldman Sachs (Jim O’Neill) nel 2001, ebbe successo nelle analisi geopolitiche e nei portafogli degli investitori. Bric è l’acronimo che sta per Brasile Russia India Cina, l’ordine è scelto solo per la sua musicalità (suona come la parola inglese «brick», mattone), ma è l’ultima lettera quella che rappresenta in realtà la prima economia mondiale. Oggi i paesi Bric hanno due cose in comune. Restano esclusi dal G7, come tale sempre meno rappresentativo dei nuovi equilibri mondiali. Ma soprattutto, i Bric stanno rallentando in simultanea, all’unisono. È «la recessione degli altri», appunto, non ancora una realtà. Tutti senza eccezione però soffrono quantomeno per una frenata nella crescita che può preludere al peggio; e viste le loro dimensioni ha un impatto certamente non inferiore alla frenata dell’Eurozona. La Cina ha visto la sua produzione industriale crescere solo del 4,8% a luglio rispetto allo stesso mese nel 2018. È la crescita industriale più debole dal 2002, ed è la conferma più tangibile che la guerra dei dazi non è indolore per la «fabbrica del pianeta». Una concausa va ricercata nel tentativo del governo cinese di riportare sotto controllo l’eccessivo indebitamento. Su questo secondo fronte è possibile che Xi Jinping debba ricredersi. Se la frenata dell’economia dovesse prolungarsi e diventare ancora più dolorosa, l’imperativo del consenso sociale forse farà tornare all’ordine del giorno le manovre di dirigismo pubblico (investimenti in grandi opere, infrastrutture, edilizia), oltre che la svalutazione del renminbi. Subito dopo la Cina, in ordine di grandezza economica tra i Bric viene l’India, ormai vicina ad eguagliare la dimensione del Pil della Germania. Anche la crescita indiana rallenta: di recente ha effettuato un sorpasso all’indietro sulla Cina, tornando in seconda posizione in quanto a velocità. L’ultima novità da New Delhi è il «regalo» assai controverso della banca centrale al governo di Marendra Modi. La Reserve Bank of India stacca un assegno da 25

Foto di gruppo con Merkel, Trump e Macron al vertice G7 di Biarritz. (AFP)

miliardi di dollari a favore del suo azionista, sotto la voce «dividendi e capital gain». Per molti osservatori è un segnale inquietante di perdita di autonomia della banca centrale. Per il governo Modi è una boccata di ossigeno, ne avrà bisogno per quella manovra di rilancio della crescita invocata da più parti. L’economia indiana ha alle sue spalle quattro trimestri consecutivi di rallentamento. Il Brasile, la maggiore economia dell’America Latina, adesso teme di finire in recessione tecnica. L’economia rallenta, la crescita resta incollata allo 0,5 per cento, la stima nel secondo semestre è dello 0,8. Il timore di una recessione tecnica ha spinto ad una fuga dei capitali stranieri: dal 15 agosto 460 milioni di dollari sono usciti dal Paese. Non accadeva dal 1996. Se sui media internazionali il Brasile fa notizia per gli incendi in Amazzonia, il suo problema numero uno è la Cina. Negli anni d’oro dell’ultimo boom brasiliano, a cavallo tra le presidenze di Lula e l’inizio della presidenza di Dilma Roussef, l’economia era stata trainata dal «ciclo cinese». In particolare gli acquisti massicci di derrate agroalimentari. Si era creato un circolo virtuoso: 1,4 miliardi di cinesi raggiungevano livelli di benessere più elevati, di conseguenza la loro dieta si arricchiva e si occidentalizzava, diventavano consumatori sempre più voraci di carni, zucchero, caffè. Le materie prime brasiliane, succhiate dalla domanda del mercato cinese, avevano avuto una lunga stagione di

prosperità. Ora siamo nella fase opposta del ciclo. Dulcis in fundo, anche la Russia è costretta a rivedere al ribasso le sue stime di crescita, peraltro già poco brillanti. Dei Bric la Russia è l’economia più piccola, curioso paradosso che dura dall’epoca degli Zar e poi dell’Urss: Mosca ha sempre governato un gigante geostrategico e un nano economico, incapace di modernizzarsi. Neppure i tentativi di pilotare con l’Arabia saudita i tagli Opec e di imporre un rialzo dei prezzi del greggio, stanno salvando la Russia dai venti avversi della congiuntura mondiale. In quest’epoca in cui i destini del mondo sono appesi al rapporto tra America e Cina, è singolare che a Biarritz si sia discusso tanto di Vladimir Putin (verrà o non verrà reintegrato al prossimo summit?), dando per scontato invece che la Cina non sia nel G7. Un formato di vertice nato a Rambouillet nel 1975 (quando era ancora vivo Mao Zedong) è drammaticamente inadeguato a governare le sfide di oggi, dall’economia all’ambiente. Sovrarappresentazione dell’Europa e assenza delle potenze emergenti hanno dato al summit di Biarritz il sapore di uno sfoggio di nostalgia. Sconcertante in particolare l’assenza di Xi Jinping dal dibattito sull’Amazzonia visto che buona parte del legname lo importano proprio i cinesi. Le «recessioni degli altri» sono in grado di accelerare i tempi della crisi europea? Di sicuro è nei guai la Ger-

mania. Ha già un trimestre di crescita negativa (meno 0,1% da inizio aprile a fine giugno). Visti i pessimi dati dell’Ifo sulla fiducia delle imprese tedesche, ai minimi da 7 anni, è probabile che anche il terzo trimestre sia in rosso e questo farebbe scattare la definizione tecnica di una recessione. L’unico riflesso positivo è che da Berlino a Bruxelles si moltiplicano i segnali di un’interpretazione più flessibile del Patto di Stabilità. Di fronte a questo peggioramento della congiuntura, gli strumenti a disposizione della politica economica sono due: quello monetario e quello di bilancio. L’arsenale delle banche centrali è ai minimi termini come dimostrano i tassi negativi sui bond tedeschi: quanto più giù si può scendere. Le politiche di bilancio sono state condizionate dai parametri di Maastricht e poi dal Patto di stabilità a tal punto da renderle «pro-cicliche», il che in economia equivale a una brutta parola. Significa infatti che quando un paese s’impoverisce le regole dell’Eurozona lo costringono a stringere la cinghia e quindi frenano ulteriormente l’economia. Qualche segnale di ravvedimento comincia ad esserci proprio in queste settimane. Non sfugge agli italiani questa ironia della sorte: proprio quando Matteo Salvini ha fatto cadere il primo governo Conte e se n’è andato all’opposizione, Bruxelles forse diventa più accomodante verso quelle richieste di flessibilità che erano state avanzate dalla Lega. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Politica e Economia

Là dove c’era il verde ora c’è la savana Cono Sur In Amazzonia stanno andando in fumo porzioni di foresta molto maggiori rispetto al passato

a causa degli interessi giganteschi dell’agrobusiness brasiliano, una lobby che è essa stessa potere di governo – 4. parte

L’Amazzonia va a fuoco. Non da oggi, da anni. Ma oggi va a fuoco molto più spesso e molto più rapidamente di prima. Stanno andando in fumo porzioni di foresta molto maggiori a qualche anno fa sia in senso assoluto, come estensione, sia in percentuale rispetto alla quantità rimasta di bosco tropicale, spaventosamente ridottosi. L’emergenza è reale, lo dimostrano i dati dei principali istituti internazionali specializzati. È vero, come sottolineano i ricercatori più cauti, che gli incendi si moltiplicano nella stagione secca iniziata a giugno – temperature più alte, minor umidità – e che soltanto i bilanci fatti a fine anno hanno senso. Ma è vero anche che se la deforestazione del giugno 2019 risulta essere dell’88% in più che quella dell’anno scorso e se quella di luglio addirittura del 212%, è da irresponsabili aspettare dicembre per preoccuparsi mentre arde il bosco necessario a frenare il riscaldamento globale del pianeta, uno scrigno prezioso di biodiversità, nonché una terra in cui vivono delle persone che rischiano di morire insieme agli alberi. Persone indigene, considerate per questo inumane dal presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, secondo definizioni da lui pubblicamente utilizzate (questo governo ha cancellato tutti i piani di tutela della popolazione indigena, azzerato i fondi, dichiarato guerra agli istituti che se ne occupano, una politica molto più aggressiva di quella utilizzata negli anni della dittatura militare) ma pur sempre persone. Vediamo di capirci qualcosa. Di solito gli incendi iniziano a moltiplicarsi verso settembre e calano alla fine di novembre. Da cosa sono prodotti? Non dalla stagione secca. I poveri biologi brasiliani si stanno sgolando tentando di spiegare al mondo che l’Amazzonia va a fuoco «durante la stagione secca, ma non a causa della stagione secca». Va a fuoco perché c’è una richiesta alta di terreni da coltivare e di pascoli da creare. Va a fuoco perché gli interessi giganteschi dell’agrobusiness, già coccolati da tutti i governi brasiliani (ricordiamo che il Brasile ospita il 65%

AFP

Angela Nocioni

della foresta amazzonica) inclusi quelli di sinistra di Lula da Silva e Dilma Rousseff, hanno in questo momento le mani completamente libere perché il governo del Brasile, differentemente dai precedenti, non media con loro cercando segretamente di non inimicarseli come finora accaduto, ma ha dato loro luce verde a fare dell’Amazzonia ciò che vogliono. Non si tratta più di una potentissima lobby che riesce a condizionare le politiche di governo perché nessun governo ha intenzione di mettersela completamente contro. Ma di una lobby che è essa stessa potere di governo. Il Planalto è roba loro. A questo si aggiunge un fenomeno meno imponente, ma forse più pericoloso. Non solo lo sviluppo sostenibile è agli antipodi con gli interessi di chi ha in mano il governo del Brasile oggi, ma il linguaggio smisuratamente aggressivo di Jair Bolsonaro, le sue dichiarazioni riassumibili, ripulite, in una sorta di «chi se ne frega dell’Amazzonia» tolgono ogni freno agli innumerevoli soggetti interessati ad accaparrarsi nuove porzioni di foresta da trasformare in savana per poi poterle utilizzare. Ovvio

che per loro il ruolo del Brasile come potenza agricola in grado di esportare quanto più possibile è molto più interessante di quello che ha come polmone del mondo. Un elemento fondamentale è il tempo. Questo universo, nemmeno troppo sommerso, di persone interessate a far ardere quanta più Amazzonia possibile ha molta fretta. Perché sa che questo momento propizio ai loro interessi non durerà in eterno e quindi bisogna bruciare quanto più bosco possibile prima possibile. Si sentono totalmente spalleggiati e hanno fretta. E ora che vedono l’allarme mondiale, l’interesse europeo, il G7 allertato hanno ancora più fretta. Cos’ha fatto concretamente Bolsonaro? Poche mosse, tutte devastanti. Ha iniziato via social, al solito, con il contrapporre la difesa del patrimonio amazzonico alla possibilità di ripresa dell’economia brasiliana. Per capire, è fondamentale ricordare che la stragrande maggioranza dei brasiliani si informa esclusivamente via social network, senza contradditorio e senza eterogeneità di fonti. Fatto drammatico

che spiega moltissimo del Brasile attuale. Bolsonaro bombarda con dichiarazioni del tipo: «Solo i vegani, gente che mangia solo vegetali, sono preoccupati» oppure «Quando finiranno le materie prime di cosa vivremo? Diventeremo tutti vegani? Cosa mangeremo, vivremo della difesa dell’ambiente che dà da mangiare solo alle Ong? Sono le Ong le responsabili, sono loro ad aver creato ad arte questa finta emergenza». Non è riuscito a fondere come avrebbe voluto il Ministero dell’agricoltura con quello dell’ambiente, ma ha reso il Ministero dell’ambiente completamente impossibilitato ad attuare politiche che non siano favorevoli alla lobby dell’agrobusiness. Ha nominato ministra dell’Agricoltura Tereza Cristina Dias, il capo della lobby dell’agrobusiness in Parlamento. Ha vietato che vengano individuate aree a rischio per impedire che vengano poi dichiarate aree di protezione ambientale. Lo stesso ha fatto con le porzioni di terra indigena, impedendo di dichiararne di nuove e cercando di smantellare una ad una quelle già esistenti. Non si capisce cosa voglia fare del Fondo Amazzonia,

un fondo finanziato soprattutto dalla Norvegia, del quale vorrebbe mantenere i soldi dirigendoli tutti ad altri scopi. Ovviamente la Norvegia non sta a guardare e minaccia di tagliare i finanziamenti, ma ciò non risolve il problema dell’Amazzonia. E non crea problemi a Bolsonaro poco attento, ad esempio, al fatto che, per accordi pregressi, se la deforestazione passa un certo limite gli invii di denaro europeo si bloccano. Negli ultimi dieci anni la Norvegia, la Germania e l’azienda di petrolio Petrobras (con il suo efficiente dipartimento di comunicazione per evitare le accuse di antiecologismo) hanno dato 650 milioni di euro a un centinaio di progetti proposti e gestiti da istituti brasiliani. Nemmeno uno di questi progetti è stato approvato dal governo Bolsonaro che aspetta di capire cosa fare per utilizzare quei soldi in altro modo. Per completare l’opera il Planalto fa circolare voci sempre più insinuanti sull’infondatezza delle cifre ufficiali (verificabili da qualsiasi foto via satellite: dove cinque anni fa c’era il verde della foresta ora c’è il colore della savana) elaborate dagli stessi istituti brasiliani e ha spalancato le porte all’approvazione di pesticidi nuovi di vario genere, inclusi alcuni contenenti sostanze proibite in Europa. Questo potrebbe creargli problemi teoricamente sul lungo periodo perché il recente accordo di libero commercio tra l’Unione europea e il Mercosur (l’area di libero scambio del Cono Sur costituita da Brasile, Argentina ed Uruguay) include delle norme a protezione dell’ambiente, per esempio chiede che i prodotti importati in Europa dal Sud America non arrivino da zone deforestate di recente. Ma non è detto che il lungo periodo interessi a Bolsonaro più dell’immediato e, soprattutto, non è possibile fidarsi ciecamente della dichiarata provenienza di tutti i prodotti esportati. Nella propaganda interna, l’unica che conta per il governo, Bolsonaro rilancia ai leader europei le accuse con questo argomento che nei social funziona: «Ho sorvolato l’Europa due volte e non ho visto un chilometro quadrato di bosco, si preoccupino dei boschi di casa loro invece di criticare il Brasile».

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Politica e Economia

Boris non salva la Regina

Brexit Elisabetta II accoglie la richiesta del governo di sospendere l’attività del Parlamento fino al 14 ottobre.

Il provvedimento è voluto da Johnson per forzare una Brexit no deal e impedire nuove discussioni all’opposizione Cristina Marconi Ha dimostrato di non avere scrupoli, il premier britannico Boris Johnson: come temuto, ha deciso di sospendere il Parlamento per cinque invece che tre settimane, lasciando di fatto ai deputati un pugno di giorni per organizzare una strategia contro la Brexit senza accordo. La regina Elisabetta II, che non ha i poteri per respingere le richieste di un primo ministro che ancora abbia la fiducia di Westminster, ha approvato la sospensione, anche se c’è da immaginare lo scarso entusiasmo di Buckingham Palace davanti al fatto di essere stato trascinato nel turbine della Brexit nonostante i chiari segnali di volerne rimanere fuori. E la sovrana, che deve affidare al soft power la sua capacità di incidere su una vita politica di cui è garante simbolico, difficilmente avrà apprezzato di vedere il suo nome associato a una misura che in molti, a partire dallo Speaker della Camera John Bercow, altra figura teoricamente neutrale, hanno definito un «oltraggio costituzionale». E che solo il 27% degli elettori, stando ai primi sondaggi, ritiene accettabile. Esiste qualche fondamento ragionevole alla decisione di Boris, che ha come suo principale consigliere politico lo scaltrissimo, spregiudicatissimo Dominic Cummings, la mente della campagna che portò alla vittoria del leave al referendum del 2016. In autunno ci sono i congressi dei partiti politici e il Parlamento rimane chiuso per tre settimane. È comprensibile che Johnson, diventato primo ministro da poco, voglia inaugurare una nuova sessione del Parlamento, ossia presentare, attraverso un discorso della Regina già fissato per il 14 ottobre, le priorità del suo governo: fondi alla sanità, lotta al crimine e altri temi in grado di dare popolarità in caso di elezioni, anche a stretto giro. Anche perché la sessione attuale è una delle più lunghe della storia e dura dal giugno del 2017, quando la ex premier Theresa May uscì molto malconcia dalla disgraziata idea di indire elezioni lampo. Di solito l’apertura di una nuova sessione si fa chiedendo una sospensione di qualche giorno, certo non di

due settimane e sicuramente non in un momento in cui ci sono decisioni campali da prendere in vista della Brexit di Hallow’een. Con meno di nove settimane all’appuntamento del 31 ottobre, Westminster ha solo la settimana prossima e le ultime due di ottobre per trovare una soluzione e scongiurare il pericolo di un’uscita senza accordo, unico punto su cui una maggioranza di deputati conviene. Da Downing Street si respira uno strano ottimismo sulla possibilità di chiudere qualcosa di accettabile con Bruxelles, laddove per «accettabile» si intende «privo di clausole di salvaguardia sull’Irlanda» percepite come vessatorie. E come Theresa May in passato, anche Johnson farebbe volentieri a meno di dover passare attraverso un Parlamento che si è dimostrato riottoso e inconcludente dai tempi della Brexit. Ma in pochi si fidano del fatto che Johnson stia davvero cercando un accordo e pensano che il governo punti direttamente al no deal, opzione che ha tutti i motivi di lasciare più che perplessi: i preparativi hanno qualcosa di grottesco nel loro sembrare l’organizzazione di una cittadella in vista di un assedio. Solo che l’assedio, in questo caso, è autoinflitto e non necessario e i preparativi, a cui sono stati destinati 2,1 miliardi di sterline, sono accompagnati da quella che sarà una massiccia campagna di comunicazione per cercare di dare all’elettorato l’idea che stia avvenendo qualcosa di vagamente ragionevole. Visto che Buckingham Palace non è il Quirinale e che la regina non è potuta intervenire, sta ora al Parlamento fare il migliore uso possibile del tempo che gli rimane. Le opzioni sul tavolo sono due. Una, più semplice ma carica di conseguenze, è cercare di sfiduciare il premier e portarlo alle dimissioni (passo non automatico dopo una sfiducia). Questo potrebbe essere fatto già nella prima settimana di settembre, ma c’è un problema, sempre il solito: nessuno vuole rischiare di avere Jeremy Corbyn a Downing Street. Il leader dell’opposizione è una figura così debole e dalle idee considerate irricevibili che in questi anni di crisi profondissi-

Manifestanti contrari alla sospensione dell’attività del parlamento britannico a Downing Street. (AFP)

ma non ha mai rappresentato un’alternativa, ma un incentivo a non cambiare niente, anche quando si era nel vicolo cieco creato da Theresa May o, come in questo caso, davanti a una linea che anche i commentatori sul conservatorissimo «Daily Telegraph» hanno definito antidemocratica. Se si andasse a elezioni con il Labour a guida Corbyn, il rischio di vittoria rimarrebbe comunque basso, lasciando l’elettorato confuso su quale male minore scegliere. L’ipotesi che si possa raggiungere una maggioranza con l’attuale parlamento per un suo governo, o un esecutivo di scopo guidato da figure più centriste come

la laburista Harriet Harman o il conservatore europeista Kenneth Clarke è assai esile. Inoltre Johnson potrebbe fissare le elezioni dopo il 31 ottobre, facendo comunque uscire il Paese con il no deal. L’altra strada è più lunga e incerta e riguarda la possibilità di blindare l’azione del governo, costringendolo a chiedere una proroga dell’articolo 50, ossia dell’uscita dalla Ue prevista per fine ottobre, in caso di mancato raggiungimento di un accordo. Già martedì mattina, alla fine della pausa estiva, i deputati potrebbero fare richiesta di una procedura d’emergenza per un te-

sto da votare mercoledì stesso. Questo legherebbe le mani a Johnson, che però ha un’arma: alla Camera dei Lords non ci sono opzioni procedurali in grado di accelerare i tempi e anche se esiste una maggioranza forte a favore del no deal, se i sostenitori prendessero la parola per ore nessuno potrebbe fermarli. Resta un aspetto da considerare: ai britannici gli abusi di potere non piacciono e quella di Johnson è una mossa rischiosa, di quelle che il Paese potrebbe non perdonargli mai e che potrebbe, per eccesso di baldanza, cambiare le carte in tavola e far girare il vento dopo gli anni di bonaccia sulla Brexit. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

È difficile abolire il «valore locativo» Fiscalità La proposta della Commissione

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del Consiglio degli Stati incontra molte opposizioni: è critica anche una perizia voluta dai proprietari di case Ignazio Bonoli Come si poteva prevedere, anche la recente proposta della Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati sul delicato tema della tassazione del valore locativo (vedi «Azione» del 22.07.19) sta incontrando forti opposizioni. La reazione energica dei proprietari di immobili abitati in proprio è oggi sostenuta anche dalla perizia del professor René Matteotti, docente di diritto all’Università di Zurigo, che non è convinto né della costituzionalità, né dalla conformità con la sistematica fiscale. Secondo Matteotti, la riforma proposta privilegerebbe i proprietari benestanti, non solo nei confronti degli inquilini, ma anche nei confronti dei proprietari meno agiati. In ogni caso, tutti i proprietari delle case abitate in proprio non sono contenti di dover aggiungere al loro reddito imponibile anche un reddito dovuto all’abitazione che, in realtà, non c’è (il cosiddetto valore locativo). Particolarmente arrabbiati sono per esempio i pensionati che hanno parzialmente o totalmente restituito i soldi dell’ipoteca, accesa al momento dell’acquisizione dell’abitazione e deducibile dal valore locativo. La Commissione degli Stati propone di abolire il valore locativo, ma anche le possibili deduzioni o perlomeno di limitarle. Il proposto compromesso sembrava destinato a riuscire, vista una maggioranza di consensi nell’ambito dell’UDC, del PLR e del PPD. Non sono mancate però le opposizioni. In primis quella del PS e dell’Associazione degli inquilini, da sempre contrari all’abolizione del valore locativo. Si sono però aggiunti anche i direttori delle finanze dei cantoni, che hanno commissionato la citata perizia del professor Matteotti. Uno dei maggiori ostacoli da superare è quello delle case di vacanza. Infatti, allo scopo di ridurre l’opposizione dei cantoni di montagna e delle regioni turistiche, i sostenitori della riforma in discussione hanno deciso di escludere le case di vacanza dal nuovo sistema di tassazione. Ma proprio questa decisione ha sollevato una nuova serie di forti opposizioni. Per la tassazione delle abitazioni usate direttamente dai proprietari si prevedono due diversi regimi: sulla residenza principale non si pagherà più un’imposta sul valore locativo, ma non si potranno più applicare tutte le precedenti deduzioni, mentre per le case di vacanza restano in vigore le regole del regime attuale. Questa differenza di trattamento non solo presenta qualche problema di

tipo giuridico, ma pone parecchie questioni anche dal punto di vista dell’esatta delimitazione del reddito imponibile. Tra l’altro, si potrebbero presentare nuove possibilità di ottimizzazione delle imposte, per esempio permettendo al proprietario di spostare temporaneamente la residenza principale nella casa di vacanza, affittando la precedente abitazione, in modo da poter continuare a dedurre i costi di manutenzione. Per quanto attiene invece ai costi degli interessi ipotecari, una delle varianti della riforma permetterebbe proprio di spostare i costi ipotecari dell’abitazione primaria sulla casa di vacanza. Sempre secondo il professor Matteotti, siccome la deduzione dei costi ipotecari non viene limitata maggiormente, la riforma potrebbe mancare uno dei suoi principali obiettivi, cioè la riduzione del debito ipotecario privato che è molto elevato in Svizzera. Infatti, i proprietari di case con alto debito ipotecario non hanno nessun interesse a ridurlo più di quanto fanno ora. In realtà, una possibilità molto concreta di ridurre questo forte indebitamento sarebbe quella di abolire ogni possibilità di dedurre gli interessi sul debito ipotecario. Operazione che però non è gradita né ai partiti politici di centro-destra, né ai cantoni. Secondo Matteotti sarebbe comunque contrario alla Costituzione se si vietasse anche ai proprietari di case date in affitto di dedurre gli interessi ipotecari dal reddito delle pigioni. Secondo il professore lucernese, vi sarebbero però possibilità concrete di abolire il valore locativo in modo giuridicamente pulito. Mantenere la deduzione degli interessi ipotecari per le case date in affitto, ma abolirla per le case abitate in proprio e anche per le case di vacanza. Tuttavia, la soppressione del valore locativo è criticata dai cantoni di montagna, in particolare Grigioni e Vallese. La situazione appare, ancora una volta, piuttosto complicata. C’è chi teme che con l’abolizione della deduzione delle spese di manutenzione le case vengano curate meno bene, ma anche le banche potrebbero vedere malvolentieri un rapido ammortamento delle ipoteche se gli interessi non sono deducibili. Le grandi speranze suscitate dal rapporto commissionale sembrano destinate a una delusione. In fondo, anche la situazione attuale sembra gradita a molti interessati, per cui problemi come l’eccessivo indebitamento ipotecario o la stessa giustificazione del valore locativo non verrebbero nemmeno affrontati.

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Politica e Economia

La previdenza giusta per il periodo sabbatico La consulenza della Banca Migros

Jeannette Schaller è responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros

Negli ultimi dieci anni Susy si è concentrata al massimo sul lavoro e ora prevede di concedersi un periodo sabbatico di un anno. Presto si rende conto di quanto sia importante prepararsi non solo organizzando il viaggio, ma anche occupandosi per tempo della copertura previdenziale e assicurativa: ▪ AVS/AI/IPG: durante il periodo sabbatico, non corrispondendo il salario, il datore di lavoro di Susy non versa i contributi alle assicurazioni sociali. È invece Susy a dover contattare direttamente la cassa di compensazione AVS per assicurarsi di avere sufficienti contributi AVS nell’anno civile del periodo sabbatico, ossia almeno 482 franchi. ▪ Cassa pensioni e assicurazione infortuni professionali: per legge la copertura assicurativa termina un mese dopo l’ultimo versamento del salario. La copertura dell’assicurazione infortuni può essere prorogata di sei mesi, quella della cassa pensioni di 6-24 mesi, a seconda del datore di lavoro. Il premio dell’assicurazione contro gli infortuni è interamente a carico di Susy, proprio come di norma quello della cassa pensioni. È inoltre consigliabile sottoscrivere un’assicurazione privata contro gli infortuni a integrazione dell’assicurazione professionale, poiché normalmente

Keystone

Jeannette Schaller

quest’ultima copre le cure mediche effettuate all’estero solo fino al doppio dell’importo che si pagherebbe in Svizzera. ▪ Terzo pilastro: solo le persone che nell’anno civile in questione continuano a percepire un reddito soggetto all’AVS e che sono assicurate presso la cassa pensioni, possono versare fino a 6826 franchi nel terzo pilastro. ▪ Indennità giornaliera di malattia: a

seconda dell’assicuratore, la copertura può essere mantenuta anche durante il congedo non retribuito. In questo caso il premio sarebbe interamente a carico di Susy. All’occorrenza si può anche stipulare un’assicurazione privata supplementare presso un assicuratore di viaggi o una cassa malati. ▪ Cassa malati: anche chi notifica la propria partenza al controllo abitanti deve assicurarsi obbligatoriamente

presso una cassa malati in Svizzera. Quest’obbligo vige fino a quando non viene comunicata una nuova residenza all’estero. In tutto il mondo l’assicurazione di base copre al massimo il doppio dell’importo che si pagherebbe in Svizzera. Al di fuori dell’Europa questo limite spesso non è sufficiente, pertanto si raccomanda di stipulare un’assicurazione malattia supplementare per il periodo necessario. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Gioia e stress al lavoro Qualche settimana fa, nel rapido succedersi di due giorni, sono stati pubblicati i risultati, apparentemente contrastanti, di due inchieste sulle condizioni di lavoro nel nostro paese. Il lunedì 18 agosto Teletext rendeva noto che più dell’80% dei lavoratori svizzeri erano soddisfatti del loro lavoro. Si trattava dei risultati di un sondaggio fatto, se abbiamo capito bene, da un gruppo di consulenza privato. Martedi 19 agosto molti giornali del paese annunciavano invece, riferendosi alle conclusioni di un’indagine dell’Ufficio federale di statistica, che lo stress al posto di lavoro sta crescendo. Il 21% delle persone che avevano partecipato all’indagine dichiaravano di essere molto spesso stressate. Si tratta di un aumento di 3 punti percentuali rispetto all’inchiesta precedente, condotta 5 anni fa. Il contrasto tra i risultati delle due inchieste però non esiste.

Di fatto, stando alle stesse, un quinto delle persone che lavorano nel nostro paese soffrirebbero di stress mentre gli altri 4/5 sarebbero soddisfatti dalle loro condizioni di lavoro. Bisogna tuttavia riconoscere che l’immagine delle condizioni di lavoro prevalenti che riceve il lettore di queste notizie è diversa se l’accento viene messo sulla soddisfazione al posto di lavoro oppure sullo stress. Il modo nel quale vengono percepite le condizioni di lavoro da chi lavora viene spesso affrontato da ricerche multidisciplinari. Solamente in Svizzera vengono eseguite, ogni anno, diverse inchieste sull’uno o l’altro dei temi ricordati qui sopra. Vi sono anche inchieste che affrontano i due temi contemporaneamente. I risultati variano di anno in anno ma non di molto. C’è poi la possibilità di stabilire confronti internazionali. Globalmente, per quel che riguarda il

nostro paese, possiamo affermare che la percentuale delle persone soddisfatte del loro lavoro può scendere, a seconda dell’inchiesta, fino al 70% ma rimane sempre largamente maggioritaria. Quella delle persone che dichiarano di essere troppo sotto pressione può salire fino a un terzo del totale, ma non di più. Osserviamo poi che, per aumentare il piacere al lavoro e ridurre lo stress, occorre indagare su quali siano i fattori che influenzano questi due stati d’animo non dimenticando poi, come scriveva un paio di anni fa un giornalista, commentando i risultati di un’inchiesta svolta da Travail Suisse e dalla SUP del Canton Berna, che i lavoratori svizzeri possono essere soddisfatti del loro lavoro pur dovendo spesso affrontare situazioni di stress. In un’analisi che si riferiva alla situazione nel 2015, la SUP della Svizzera del Nord-Ovest ha

stabilito che esiste una relazione tra le condizioni di lavoro e l’impegno del lavoratore, rispettivamente la fatica (fisica e psichica) che deve sopportare nell’esercizio delle sue mansioni. Le condizioni di lavoro, così come vengono definite in questa inchiesta, sono un insieme complesso di fattori tra i quali spiccano, per la loro importanza, la durata del lavoro, la localizzazione del posto di lavoro e la regolamentazione dell’attività di lavoro. Per quel che concerne la regolamentazione non si tratta solamente della lunghezza della settimana lavorativa, del grado di occupazione, o del numero di settimane di vacanza pagate, ma anche della sicurezza dei contratti come pure delle norme di protezione e delle misure sociali concesse dal datore di lavoro. Questi fattori sono, a loro volta, influenzati dalla legislazione sul lavoro, federale e cantonale. È quindi

normale che quando i parlamenti discutono di misure di flessibilizzazione del lavoro come la possibilità di estendere il lavoro domenicale o il lavoro notturno sia i rappresentanti dei lavoratori, sia quelli dei datori di lavoro, chiamano i risultati di queste inchieste a sostegno dei loro punti di vista rispettivi. Ovviamente è difficile stabilire in che misura un eventuale cambiamento delle condizioni di lavoro, introdotto da nuove misure di flessibilizzazione, potrebbe influire sulla quota dei lavoratori stressati e su quella dei lavoratori soddisfatti. Tuttavia è evidente che se, come risulta dalla recente indagine dell’Ufficio federale di statistica, già con le condizioni di lavoro attuali, la quota degli stressati è in aumento, questa constatazione rappresenterà un argomento forte per i politici che si oppongono a ulteriori misure di flessibilizzazione.

Khashoggi era morto quasi subito, pochi minuti dopo essere entrato nel consolato: la squadra dei suoi sicari era arrivata poche ore prima con tutto l’occorrente, comprese le seghe per fare a pezzi il corpo e le cuffiette per ascoltare la musica, ché il rumore delle ossa spezzate può essere fastidioso. I sauditi avevano inizialmente detto che c’era stata una colluttazione, la morte di Khashoggi era stata un incidente, ma i turchi avevano la registrazione audio (e forse video) dell’incontro e così hanno iniziato a far trapelare alcuni dettagli: un’arma di ricatto potentissima che non aveva nulla a che fare con il giornalista e la sua uccisione, ma molto con la lotta di potere nella regione. Il mandante dell’omicidio del giornalista è il principe «riformatore» di Riad, quel Mohammed bin Salman che parla le lingue, apre i cinema e gli stadi alle donne e le fa addirittura guidare, e per questo viene considerato un innovatore, uno che ha capito che persino il regime saudita si deve modernizzare. Sia l’Onu sia l’intelligence americana non hanno dubbi sul suo coinvolgimento, e dicono

che gli undici arrestati per l’omicidio da parte delle autorità saudite sono soltanto un contentino – e un modo per Bin Salman di togliere di mezzo eventuali oppositori o rivali. Nonostante le prove, al principe saudita non è accaduto nulla. C’è stato un iniziale boicottaggio di un evento di businessmen in Arabia Saudita cui Bin Salman teneva molto: un dispetto, più che una politica. Ma poco altro: lo stesso presidente americano, Donald Trump, ha ignorato quel che la sua intelligence gli ha riferito e, come ha fatto con l’ingerenza della Russia nelle elezioni americane, si è fidato del suo istinto – «forse è stato lui, forse no, non lo so», è il massimo che Trump ha rivelato dei suoi sospetti. Come è andata finire lo sappiamo: all’ultimo G20 a Osaka, in Giappone, Bin Salman è sorridente nella foto di gruppo, e molti leader internazionali hanno organizzato bilaterali con lui, con foto ricordo sorridente. Esattamente come accade con la Russia – che oltre alle ingerenze nelle elezioni americane ed europee, è scampata anche alle conseguenze dell’abbattimento di un aereo

di linea che sorvolava l’Ucraina «ribelle» e a quelle del tentativo di uccisione con gas nervino di una ex spia russa su territorio britannico – la questione viene liquidata con disprezzo: che cosa volevate che si facesse, una guerra? Nessuno ha mai invocato una guerra naturalmente, ma l’impunità di fatti gravi ha effetti molto più ampi del sollievo di Bin Salman e di Vladimir Putin o del mantenimento dello status quo: molti paesi inizieranno a scommettere sulla passività della comunità internazionale (guardate il dittatore della Siria, Bashar al-Assad: lo sta già facendo). Considerando il livello di brutalità già raggiunto, non si può certo contare sul fatto che questa scommessa sia al ribasso. «Se il mondo non reagisce» di fronte all’omicidio di Jamal Khashoggi, «davanti a cosa reagirà», chiede Hatice. «Se non c’è punizione per un crimine così efferato, possiamo sentirci al sicuro?», aggiunge, e anche se non voleva, Hatice piange, ricordandoci che oltre agli equilibri di potere, alle relazioni internazionali, al realismo, i governi anche a questo dovrebbero badare: a proteggerci.

a’ ferri, all’ergastolo de’ suoi stessi compagni, ed i buoni bocconi». De Sanctis non teneva in gran conto la genia dei legulei partenopei, una categoria che ben conosceva. Ora però dando avvio alle lezioni non aveva di fronte futuri giuristi, ma tecnici e ingegneri, uomini più abituati al calcolo che alla parola. Come guadagnarli alla causa allargando i loro orizzonti? La sua esortazione è rimasta negli annali della scuola politecnica: «certo se ci è professione che abbia poco legame con questi studi, è quella dell’ingegnere; e nondimeno lode sia al governo federale, il quale ha creduto che non ci sia professione tanto speciale e materiale, la quale debba andare disgiunta da una istruzione filosofica e letteraria. Prima di essere ingegneri voi siete uomini, e fate atto di uomo attendendo a quegli studi detti da’ nostri padri umane lettere, che educano il vostro cuore e nobilitano il vostro carattere». De Sanctis rimase a Zurigo fino al

1860. Sappiamo dalle lettere che spedì al patriota Diomede Marvasi che il suo soggiorno non corrispose alle attese; roso dalla nostalgia e desideroso di partecipare alle ultime, cruciali fasi della lotta risorgimentale, De Sanctis decise di lasciare temporaneamente l’insegnamento per assumere la carica di ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia. Gli anni successivi lo videro protagonista della vita culturale e politica dello Stato unitario. Nel 1870 diede alle stampe il primo volume della sua fortunata Storia della letteratura italiana, testo in buona parte concepito durante gli anni zurighesi. Non sappiamo se l’ateneo di Roma Tre, ideando il corso suddetto, avesse in mente questo precedente desanctisiano. Sì o no, poco importa. Conta la proposta, in un clima in cui ogni iniziativa volta a salvaguardare le discipline umanistiche, le «Humanities», merita un plauso incondizionato.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Khashoggi, una morte impunita «Non voglio piangere», ha detto Hatice Cengiz alla giornalista del «Financial Times» che l’ha incontrata per pranzo a Londra e che non ha potuto non notare i suoi piccoli occhi tristi. Hatice Cengiz era la fidanzata di Jamal Khashoggi (foto), il giornalista saudita ucciso nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul nell’ottobre dello scorso anno: non fosse stato per lei, probabilmente non avremmo mai saputo che cosa è successo a Khashoggi, ci avrebbero detto che era scomparso, e presto ci saremmo dimenticati di lui. I sauditi che avevano pianificato l’omicidio e lo smembramento del cadavere del giornalista – come hanno stabilito sia un report delle Nazioni Unite sia uno della Cia americana – non avevano calcolato la possibilità che Hatice potesse, per amore e per preoccupazione, accompagnare il suo fidanzato. Lei era andata al consolato con Khashoggi, lo aveva aspettato fuori, non vedendolo più uscire, dopo molte ore ha dato l’allarme. Un uomo è entrato nel consolato e non è più uscito: diteci che ne è stato di lui. Per giorni la propaganda saudita ha cercato

di depistare le ricostruzioni – qualcuno disse che il giornalista, che si era recato al consolato per ritirare i documenti che gli avrebbero permesso di sposare Hatice, aveva cambiato idea sul matrimonio, e si era dileguato apposta per non dover dare spiegazioni alla fidanzata – ma dopo due settimane di video contraffatti e di ricostruzioni improbabili ha dovuto ammettere: Khashoggi è morto. Hatice ricorda quella notte, il telefono continuava a vibrare, lei aveva quasi paura a guardarlo, voleva credere che il suo fidanzato fosse ancora vivo. Invece

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti A che pro studiare Dante e Petrarca? L’Università Roma Tre introdurrà a decorrere dall’anno venturo un corso di storia destinato agli studenti delle facoltà scientifiche (ingegneria, matematica, fisica, biologia, chimica e discipline affini). La decisione è stata presa sull’onda della mobilitazione a difesa della storia, un insegnamento che negli ultimi anni – non solo in Italia – è stato sospinto ai margini, quale fosse una materia facoltativa. Agli occhi del rettore che ha varato il provvedimento – il francesista Luca Pietromarchi – l’ignoranza del passato ha ormai raggiunto livelli allarmanti, i ragazzi vivono in un «eterno presente» e non «riescono più a capire di chi sono figli, nipoti, quali sono i fatti e le ragioni che hanno portato al loro mondo, quello, appunto, in cui sono immersi». Le conseguenze sono anche d’ordine politico: «si sentono individui, non più membri di una grande comunità». Gli indirizzi umanistici non hanno

mai avuto vita facile, ma negli ultimi tempi la pressione si è trasformata in assedio. Prof, ma a che serve tutto questo? Che ce ne facciamo di un sonetto del Petrarca, delle crociate medievali, dello stoicismo greco? L’argomento dell’utile/inutile risuona nelle aule ad ogni inizio d’anno scolastico. Si potrebbe rispondere con una batteria di altre domande: come sareste, cari allievi, se improvvisamente le scienze umane scomparissero dal vostro universo mentale? Quale mondo verrebbe fuori? E quale cittadino vedremmo crescere? Niente più storia, geografia, filosofia, sociologia, solo uno schermo vuoto, una pagina bianca, un ammasso di radici strappate. Ma ragionando intorno al tema si potrebbero anche recuperare le riflessioni che un ancora acerbo studioso meridionale svolse alla metà dell’Ottocento. Alludiamo a Francesco De Sanctis, intellettuale irpino che il Politecnico federale di Zurigo chiamò

ad occupare la cattedra di letteratura italiana nel 1856. Nella sua prolusione, consapevole di aver di fronte una platea piuttosto scettica, De Sanctis s’inventò un dialogo con un «giovane amico di Napoli» apertamente refrattario allo studio delle lettere. Obiettava l’amico al maestro: «Credi tu che una terzina di Dante mi possa toglier di dosso i miei debiti, o che tutti gl’inni del Manzoni mi dieno un buon desinare? Filosofia, letteratura, storia! A che pro’? per finire in uno spedale! Oibò! Io studierò il Codice, farò un bell’esame e sarò fatto giudice. Che bisogno ha un giudice di Dante o del Petrarca?». Commento del De Sanctis: «Come vedete, è questo un magnifico ragionamento dal punto di vista asinino. E costui non aveva ancora diciotto anni! E parlava già a questo modo! Crebbe rozzo, selvatico, plebeo; divenne giudice; ed oggi questa bestia togata divide il suo tempo tra le condanne a morte,


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Cultura e Spettacoli Cuba la magica Nel nuovo libro di Davide Barilli un viaggio letterario e della nostalgia partendo dall’Avana

La Val Verzasca fotografa Il FotoFestival della Val Verzasca si propone come autentico momento di scambio pagina 37

Il re del mandolino Grazie a spirito di iniziativa e grande passione, il giovane israeliano Avi Avital ha fatto del mandolino uno strumento vivace e moderno

Amori mostruosi A colloquio con la scrittrice italiana Viola Di Grado, autrice del potente Fuoco al cielo

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Fede sgargiante

Arte L’artista anglo-svizzero David Tremlett

ha dato nuovo smalto a tre cappelle di Rossa

Ada Cattaneo Un pomeriggio d’estate a Rossa, ultimo centro della Valle Calanca. È con una certa sorpresa che, entrando nel villaggio, si incontrano galleristi, fotografi e molti appassionati di arte contemporanea. L’occasione è data dall’inaugurazione dell’intervento artistico di David Tremlett su tre cappelle seicentesche del paese. La Fondazione RossArte ha chiamato l’artista inglese a lavorare qui nel Grigione italiano, dove già esiste un’opera di Daniel Buren che è intervenuto sulle superfici esterne della Swisshouse progettata dall’architetto Davide Macullo. L’intento della Fondazione è quello di trovare una nuova forma di sviluppo della valle, incoraggiando chi vuole trasferirsi qui, anche creando una nuova familiarità con l’arte contemporanea. Per questo motivo, la popolazione è stata coinvolta a pieno titolo nella decisione di intervenire su dei luoghi così cruciali del villaggio: l’assemblea popolare ha potuto esprimere la propria volontà tramite una votazione (passata all’unanimità). Non è la prima volta che Tremlett si confronta con un’architettura religiosa: molti dei lettori che abbiano trascorso qualche giorno nelle Langhe, si ricorderanno la più celebre Cappella Brunate de La Morra a Barolo, realizzata insieme a Sol LeWitt: un lampo colorato che attira l’occhio del viaggiatore, mentre segue il ritmo regolare dei filari di vite. A proposito di questo genere di interventi, l’autore fa un paragone che quasi commuove. Mette in relazione il lavoro dell’artista contemporaneo su un antico edificio religioso con le cure che un genitore deve offrire al proprio figlio neonato. Al primo incontro, l’unico linguaggio possibile è il pianto: non si sa come intervenire e soprattutto si ha sempre l’impressione di fare la cosa sbagliata. Solo dopo molti mesi di osservazione, di vicinanza, si impara a interpretarne i segnali. Perciò l’unica possibilità è agire con grande cautela e attenzione. Tremlett è noto per la realizzazione di wall drawing, eseguiti sia con pastello steso a mano, che con pittura, andando a modificare le pareti di edifici del passato, ma anche di gallerie, abitazioni private o musei. Si tratta di soggetti astratti, anche se molti elementi sono

il risultato di un attento studio del territorio circostante e della vocazione del luogo. Presente all’inaugurazione delle cappelle di Rossa, quasi mimetizzato con uno dei molti turisti stranieri arrivati per l’occasione, Tremlett si presta volentieri a rispondere ad alcune domande. Iniziamo l’intervista parlando della scelta – sorprendente – dei colori e dei motivi per i tre edifici. Come ha differenziato il lavoro sulle tre chiese, scegliendo motivi e tonalità diverse per ciascuna di esse?

Sono partito dalla prima, all’interno del paese, che è anche la costruzione più grande. Come si vede dai miei disegni preparatori, la parte inferiore della decorazione ricorda le architetture tradizionali della regione, sviluppate a partire da una base orizzontale. Viene posto un grosso trave su cui si appoggia in seguito la struttura. La parte superiore della chiesa, invece, è decorata secondo linee verticali, proprio come avviene per il soffitto e il tetto delle baite, che sono invece sostenute da travi verticali. Nel punto mediano delle pareti della chiesa, la linea di congiungimento fra la fascia orizzontale e quella verticale finisce per disegnare uno «skyline». Quindi una base orizzontale e una zona superiore verticale, che si uniscono creando quello che può essere letto come un miraggio, come una veduta urbana o come un paesaggio di montagna. Per quanto riguarda i colori di questa prima chiesa, ho lavorato in modo tale che essi si fondessero con ciò che li circonda e venissero assorbiti dagli alberi, dalle costruzioni circostanti, dalla strada. Volevo che fosse un segno forte, ma non eccessivo e che si fondesse in certa misura con il paesaggio.

Ci può ora raccontare anche delle due cappelle che si trovano più in alto?

Per quanto riguarda la seconda cappella che si vede dal basso e che ora ha una decorazione a «zig zag» verde e gialla, ho cercato di trovare un motivo che si riferisse chiaramente alle montagne. È come il disegno che potrebbe fare un bambino per rappresentare le cime delle montagne. È molto geometrico e si sviluppa tutto attorno all’edificio. Spero che anche in questo caso i colori – giallo, verde, marrone – possano

Una delle cappelle della Val Calanca su cui è intervenuto Tremlett. (Courtesy Artist and Studio Dabbeni, Photo Alessandro Zambianchi )

fondersi e venire assorbiti dal paesaggio circostante. L’ultima cappella, la più lontana dall’abitato, era così isolata e solitamente così difficile da vedere che richiedeva l’uso di almeno un colore che fosse davvero forte, che attirasse lo sguardo quando si guarda dal basso.

Cosa significa per lei lavorare su un’architettura antica e di carattere religioso, un luogo così significativo per la comunità locale?

La maggior parte degli edifici su cui ho lavorato non erano in buone condizioni: erano vecchi, semi-abbandonati, negletti. Sono quindi sempre partito dall’idea di riportare nuova vita e nuova attenzione su di essi. Le opzioni sono di lasciarli al loro destino, finché un giorno crolleranno, oppure di ristrutturarli. Se si sceglie questa seconda ipotesi, si può decidere di intervenire solo con il colore bianco, in maniera molto semplice. In alternativa, si può scegliere di rinnovare in modo diverso, offrendo anche un modo nuovo di guardare all’edificio. Si tratterà ancora

di un luogo religioso, realizzato con la stessa umiltà. Ma è un intervento che porta con sé un senso di modernità e che trasporta la costruzione nel secolo che stiamo vivendo.

Ha avuto modo di osservare la reazione degli abitanti di Rossa e della Val Calanca?

So che la gente del posto ha apprezzato l’intervento: credo che la scelta di intervenire in questo modo abbia portato un senso di gioia e di felicità. C’è chi ha deciso di venire qui per sposarsi e chi apprezza un momento di preghiera all’interno della chiesa nella sua nuova veste. Gli abitanti di Rossa sono stati fondamentali durante la nostra permanenza, dimostrandoci la loro disponibilità anche solo con un invito a casa loro per bere un tè, quando avevamo finito di lavorare. Abbiamo trascorso dei momenti splendidi insieme. Hanno partecipato. È un paese minuscolo, al termine della strada, in mezzo alle montagne: ci si potrebbe aspettare che la reazione degli abitanti non sia molto

positiva di fronte a interventi di questo genere. Invece hanno dimostrato un atteggiamento di grande apertura mentale e di soddisfazione.

Quale relazione esiste fra le decorazioni esterne degli edifici e gli affreschi preesistenti che si trovano negli ambienti interni?

Stiamo cercando i finanziamenti per restaurare questi affreschi: si tratterà del prossimo passo. Non si tratta di dipinti spettacolari, né dell’opera di grandi maestri. Ma sono convinto che vadano rispettati e vadano riportati alla luce nella loro originale dignità.

In conclusione, vorrei chiederle quale relazione ha con la Svizzera?

Sono cittadino svizzero da circa un anno, perché mia moglie è svizzera, così come i miei figli. È originaria del Canton Vaud. È quindi con grande piacere che lavoro nel mio nuovo paese, essendo ora anglo-svizzero. Ho esposto in numerose gallerie, anche in Ticino. Ma questa è la prima commissione pubblica che mi trovo a realizzare e ne sono molto lieto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Cultura e Spettacoli

L’Avana segreta, solo per intenditori Viaggi culturali Il nuovo libro di Davide Barilli rappresenta un’ottima guida per chi è alla ricerca

di ciò che resta di una Cuba più autentica, lontana dai classici percorsi turistici Manuel Rossello Premessa a scanso d’equivoci: chi ritiene che un viaggio a Cuba debba prevedere tre giorni all’Avana, proseguire con un pacchetto di locations proposto da un’agenzia e concludersi con il tradizionale piatto forte, ovvero un villaggio vacanze in stile falso-tropicale, ignori questo articolo e passi oltre. I cliché su Cuba e l’Avana sono talmente noti che è quasi superfluo elencarli: il lungomare del Malecón, la spiaggia di Varadero, il mito del Che (e ora di Fidel), il rum a fiumi, le jineteras e le nonnine con il sigaro, i bar frequentati da Hemingway (in ognuno dei quali avrebbe scritto Il vecchio e il mare), le vetuste automobili americane, la musica nel sangue, poveri ma belli, il mojito e il daiquiri, l’ostinato rifiuto d’aprirsi ai gringos. Insomma, un’isola che forse più di qualunque altra galleggia sopra uno spesso strato di (nostri) preconcetti. Ma oltre la massa del turismo mordi e fuggi, oltre le spiagge e lo stile festaiolo e massificante dei quartieri più battuti, esiste un’Avana quasi segreta, una città incredibile, grondante di una grandezza nostalgica e dai molti cuori pulsanti a dispetto dell’endemica crisi economica. Il recente volume di Davide Barilli è un’immersione affascinante nelle contraddizioni di questa gioiosa e malinconica metropoli caraibica. Fatiscente e fastosa, spossata dall’embargo eppure palpitante di vita, ridondante di memorie architettoniche di un’epoca opulenta e scellerata, enigmatico palcoscenico esotico, metafora di un’utopia tradita, luogo di ogni nostalgia, l’Avana è la città dai giorni tutti uguali, ma in cui ognuno di essi può rivelarsi irripetibile. Rosario Assunto, il filosofo del paesaggio, sosteneva che per capire intimamente lo spirito di una città occorresse visitarne i mercati, i tribunali e i giardini. È con questo spirito, nutrito di infinite letture, che l’autore ci conduce per mano nell’Avana più autentica, o almeno nei molti luoghi che ancora conservano «el espíritu de la cubanía», quel sentimento che raccoglie e amalgama sensibilità ed esistenze in continua ebollizione, mutabile comprensione e incessante scambio. Tra elenchi di bar de mala muerte (l’Avana ha più bar di Manhattan, benché pol-

verosi e scassati), consigli su come contrattare il prezzo con i taxisti abusivi e comedores per cubani indigenti, non si può dire che questo sia un Baedecker per fricchettoni o viaggiatori con la puzza sotto il naso. Ma vuoi mettere la soddisfazione di vivere l’Avana dal di dentro? Se poi i motivi del viaggio sono d’ordine musicale o si è mossi dalla passione per i balli tropicali, allora il libro offre ulteriori piste per scoperte genuine tra son, rumba, guaracha e guaguancò. La descrizione della visita a un anziano curandero per alleviare un fastidioso mal di stomaco è il perfetto compendio di un’Avana putrefatta e vitale, inaccessibile al turista frettoloso. Il «negromante» vive in un edificio «altissimo, traballante e moribondo come un antico ed elefantiaco candelabro, lugubre come una bocca sdentata, con finestre cieche simili a tombe. Il portone è un’enorme saracinesca grondante di ruggine, che nessuno apre da secoli. Perché si apra è necessario il grido di un vicino di casa, alcolizzato. Ci vuole pazienza, come sempre qui all’Avana. Poi, annunciato da un clangore sporco e stonato, nel fondo di un cavedio sgocciolante miasmi vegetali, si socchiude una porta grazie a un complicato gioco di carrucole che trainano corde avvolte come liane attorno a un corrimano. Al di là si arcua una scalinata che sembra un sentiero nel mezzo di una giungla polverizzata. Salire significa accettare la follia, gradino dopo gradino, di una parete ricoperta di alghe secche, enormi foglie appese come feticci che penzolano sinistramente nel vuoto, secchi ricolmi di brandelli di piante, ramaglie, radici, agavi annerite, bulbi misteriosi...» Al lettore il piacere di assaporare l’intruglio del fattucchiere (pag. 62). La letteratura e l’arte cubane, come accade sempre in ogni luogo in cui la libertà d’espressione è limitata, risultano molto vive. Una schematizzazione manichea tende a dividere gli scrittori tra chi rimane a Cuba e la diaspora degli esiliati. In ogni caso un luogo in cui si respira un’aria di (parziale) libertà è la sede dell’Associazione scrittori e artisti cubani (UNEAC), una nobile dimora in stile coloniale con giardino tropicale e bar ben frequentato da scrittori, poeti e studiosi. Un luogo dove discorrere di letteratura, fare incontri significativi e

Ernest Hemingway (vestito di bianco, a destra di Spencer Tracy) insieme ad amici al Bar la Floridita, L’Avana, anni 50. (Keystone)

in cui le celebrità nazionali sono a portata di mano. Come un tempo, in Europa, il Caffè Giubbe Rosse a Firenze o la Closerie des Lilas a Montparnasse. In questo affascinante luogo di aggregazione culturale, due volte alla settimana all’ombra delle palme dell’UNEAC si tengono peñas di rumba e bolero. Ma il rullo compressore del turismo inizia a farsi sentire anche nei quartieri popolari dell’Avana. La gentrificazione si insinua anche a Cuba, frenata solo «grazie» al cinquantennale blocco statunitense. Il cuore più autentico della città (e del libro) è Centro Habana, «luogo di visioni e fantasmi, di ruderi e palazzi che sembrano sospesi sull’orlo di un abisso, a picco sulle distese di vite inventate giorno per giorno». A Cuba, sbrigare una banale pratica amministrativa può rivelarsi un’esperienza memorabile: «Improbabili uffici dall’aspetto spettrale, kafkiane metafore tropicali di un sinistro immobilismo incarnato in cassettiere cigolanti, in fogli di grezza carta sovietica accatastati su tavoli unti di pollo, in attesa che il solerte funzionario finisca di mangiare il suo piatto di congri». Camminando per Centro Habana ci si sorprende d’imbattersi, incastonato tra palazzi che si sfarinano, nel sontuoso teatro lirico Campoamor, di inizio Novecento, dove si esibirono i più famosi cantanti

dell’epoca. O meglio, ciò che resta del teatro, perché gli unici spettatori sono ormai le piante equatoriali che vi hanno preso dimora e gli uccelli tropicali che hanno nidificato nel loggione. Scenario folle che ricorda Fizcarraldo di Werner Herzog, è la cifra di questo quartiere dell’Avana, così autentico e al tempo stesso così assurdo. La città, gigantesco lupanare dei tempi di Batista, conserva innumerevoli testimonianze polverose di quel periodo peccaminoso. Un esempio a parte, fulgido e fatiscente, sono i numerosi bar americani dell’epoca, molti dei quali fortunatamente rimasti intatti. Chi volesse rivederne due celebri, filmati appena prima della rivoluzione, cerchi Il nostro agente all’Avana, il film di Carol Reed del 1959. Teatri, bar e hotel, feticci dell’immaginario habanero, fastosi relitti di un’epoca remota, ma capaci di fermare il tempo di un’isola dalle mille identità. A Cuba si direbbe proprio che il tempo proceda come in certi film di Buñuel, dove il dopo non è detto che segua il prima. E un clamoroso caso di riavvolgimento temporale è stata la risurrezione/invenzione del gruppo musicale Buena Vista Social Club di Compay Segundo, come viene tratteggiato nel celebre documentario di Wim Wenders. Il vero viaggiatore andrà così alla caccia dei tanti testimoni che ancora

punteggiano l’Avana d’antan, fastosa e raccapricciante. Uno degli esempi più illustri, purtroppo ultimamente ammodernato malamente, è l’hotel Lincoln, rutilante monumento costruito nel 1926, quando la mafia spadroneggiava sull’isola. Questo inverosimile albergo ha (o meglio, aveva) un suo irresistibile fascino dato dall’anticaglia polverosa che, chissà fino a quando, lo contraddistingue: enormi lampadari veneziani, porte con mezzelune dai vetri colorati, piastrelle portoghesi, cameriere straripanti su tacchi altissimi, la stanza-museo dove Manuel Fangio fu sequestrato dai barbudos nel 1958... Ma il viaggiatore letterario, con la carica di feticismo che lo contraddistingue, ha ancora un desiderio da esaudire: vedere di persona i luoghi, le vie, le case in cui soggiornarono. Con consumata sapienza, Davide Barilli guida il lettore dentro i vicoli più nascosti e gli dà l’illusione di entrare nelle case di Gutiérrez, di Piñera, di Lezama Lima o di Padura Fuentes. Dove magari, in fondo a un intrico di viuzze, invece dello spirito dello scrittore, si assapora il profumo di fagioli bolliti. Bibliografia

Davide Barilli, Cuba altrAvana, nel cuore di una città perduta, Roma, Perrone, 2019

Lungo come la fame

Pubblicazioni I mille modi di non dire fame durante Prima guerra mondiale in un monumentale libro

del linguista e studioso di stilistica Leo Spitzer

Stefano Vassere «Ho sempre cercato di evitare il tanfo polveroso di una scienza squallida e spero che il lettore non se la prenderà se lo introduco nella vita dove essa pulsa più fervida, presentandogli una serie di testimonianze del periodo della guerra che ha appena cessato di imperversare». Di Leo Spitzer non si può dimenticare la definizione che ne diede Cesare Segre: «Leo Spitzer non cessa di giganteggiare tra gli esponenti maggiori della linguistica della prima metà del Novecento»; ed egli fu certamente il migliore, sembra ancora oggi di poterlo dire, nell’ambito degli studi sulla stilistica dell’intero secolo scorso. Dello studioso austriaco conoscono certo i suoi ammiratori il memorabile lavoro dedicato alle Lettere di prigionieri di guerra italiani; ma gli attenti a qualche operazione editoriale di nicchia si saranno un po’ divertiti e commossi nel leggere Piccolo Puxi. Saggio sulla lingua di una madre, il saggetto dedicato ai nomignoli mater-

ni attribuiti al più piccolo dei suoi figli, ripubblicato qualche anno fa in italiano. Ora, spaventa un po’ il formato monumentale dato dalle oltre seicento pagine di questo nuovissimo Perifrasi del concetto di fame. La lingua segre-

ta dei prigionieri italiani nella Grande guerra. È l’edizione italiana di un saggio di un secolo fa, curata da Claudia Caffi, con testi introduttivi di Claudia Caffi stessa e Antonio Gibelli, oltre all’impegnativa traduzione di Silvia Albesano, che cura anche gli apparati filologici, l’indice delle parole, l’indice analitico. In mezzo alla cornice editoriale sta l’enorme classificazione delle modalità alternative di trasmettere il bisogno di cibo ai propri famigliari in modo che da casa potessero giungere generosi pacchi di viveri. Il cibo da destinare ai prigionieri, agli stessi soldati e, per certi versi, all’intero paese era certamente poco e la censura austriaca tesa a non lasciare trapelare troppo questa realtà (all’organo cui era attribuito peraltro lo stesso Spitzer) aveva maglie molto strette. I procedimenti per mettere in atto le perifrasi sono moltissimi e poggiano sulla forma della parola o i contenuti direttamente o obliquamente legati alla fame. I riferimenti, oltre che alla parola

stessa, sono all’appetito, alle condizioni fisiche, allo stomaco e all’apparato digerente, ma anche a santi e religione, musica, animali, danza, lettura e a tutto quanto possa essere utile perché a casa intuiscano riferimenti per necessità così indiretti. Un prigioniero scrive a Firenze «saluti a mamma e Beppina tuo amico Crepo Fame Indirizzo Prigioniero di guerra», uno a Milano «Mi farete il favore di salutarmi il sig. Burli e sua cugina Fame e ditegli che sebben lontano li ricordo spesso». «Trovomi sempre con Luigi Famini, amico mio insuperabile, non me lo posso mai allontanare». «Tanti saluti da Panciavota». «Sono diventato grascio e gnuco come una sardella». «Mandate i libri al povero christochefame». Uno scrive ad Agliano d’Asti: «pacchi, così mi levo un pò le ragnatele da dentro». Quasi «metalinguistico» è il messaggio che un militare spedisce a Crova Vercellese: «Avrei molte cose da narrarle, ma, come Ella sa, è più facile che passi un cammello per la cruna d’un ago anziché sfuggano

al microscopio dei signori certe noterelle». Le pagine sono, come detto, centinaia e centinaia; gli esempi molti di più. Nell’attenzione che studiosi che operavano nel cuore dell’Europa dedicavano alla lingua italiana (non ultima, per questa modalità classificatoria così attenta e certosina fu una scuola svizzera, ormai antica), il conforto dato dall’ordine così minuto di frammenti linguistici è indubbio e permette di intravvedere attraverso infiniti spiragli un intero mondo sociologico, del quale i poveri prigionieri furono testimoni molto prolifici. Spitzer è, per concludere, uno studioso di stilistica; e questo libro si legge come un romanzo, tanto lo stile è curato (e poi tradotto) in modo magistrale. Bibliografia

Leo Spitzer, Perifrasi del concetto di fame. La lingua segreta dei prigionieri italiani nella Grande guerra, Milano, il Saggiatore, 2019.


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Cultura e Spettacoli

Fotografare è rispettare

Fotografia Tra pochi giorni prende il via la sesta edizione del Verzasca FotoFestival, appuntamento

che intende conferire un valore più completo e sostenibile alla fotografia

Gian Franco Ragno È un festival fotografico giovane – giunto quest’anno alla sua sesta edizione – ma con già una personalità ben delineata: parliamo del Verzasca Fotofestival che si svolge a inizio settembre a Sonogno, ultimo villaggio della Val Verzasca. Ogni anno il festival ha un tema; per quest’ultima edizione si è scelto In cammino, come a sottolineare una certa apertura al mondo, e il ritorno da questo come forma di condivisione di esperienze, visive ed esistenziali. Organizzato da giovani operatori del luogo e da molti volontari (cito qui i fondatori Alfio Tommasini e Rico Baumann, ma, oltre a Matilde Beretta, Nathalie Vigini, Clara Storti e Frieder Licht, vi è il contributo prezioso di tanti altri), l’evento offre nell’arco di un finesettimana un cartellone molto ricco: un premio fotografico (quest’anno il Verzasca Foto Awards è andato a Ana Zibelnik, artista polacca), tavole rotonde e incontri, proiezioni, notte della fotografia e visite guidate con gli artisti, lettura portfolio e workshop, musica e tavolate, e infine anche la costituzione di un archivio storico regionale – quest’anno la collezione di foto storiche sarà esposta al Museo della Val Verzasca, sempre a Sonogno. Ma il punto caratteristico sono le mostre che, in mancanza di spazi espositivi, si svolgono en plein air. Luoghi in cui la fotografia non può più fare affidamento al classico «white cube»

– le pareti bianche che solitamente recintano lo spazio privilegiato dell’arte, siano esse perimetro di un museo o di una galleria. A differenza di altri festival, quindi il Verzasca Fotofestival cerca di connettere e fondere nel senso più pieno del termine la creazione artistica e il contesto naturale, due entità che di solito sono in contrasto se non in aperto conflitto. Da qui le esposizioni in un contesto naturale e all’interno di una cornice alpina; un’immersione totale nella natura delle opere, con proiezioni, installazioni e altre soluzioni temporanee. Tutto ciò produce nell’appuntamento una tonalità dominante assai particolare, un verde intenso naturale che sembra sostituirsi per breve tempo ai colori della fotografia, ossia il classico bianco e nero o le tonalità sature delle ultime tendenze. Si può considerarlo come un festival senza muri, anche e soprattutto metaforicamente: un essere senza confini che viene sottolineato dalla precisa volontà di invitare artisti in residenza dall’estero (quest’anno Helik Azeez dallo Sri Lanka – in collaborazione con Pro Helvetia – e Malika Sqalli, dal Marocco, in collaborazione con SMArt Sustainable Mountain Art), che producono sul territorio e con il territorio. Uno degli aspetti più piacevoli è, senza dubbio, una certa informalità che favorisce una condivisione di esperienze. Popolare e conviviale, il Festival verzaschese appare assai lontano

La locandina dell’appuntamento culturale in programma a Sonogno.

dai modi formali dell’arte alta, sempre più vissuta come prestigio e meno come indagine sullo stato del mondo e presa di posizione critica. Per quanto riguarda gli artisti fotografi, essi sono un tutt’uno con gli spettatori. Invitato alla lettura portfolio ho potuto notare una produzione di grande qualità fotografica e sensibilità, confermando un’impressione di importante fermento creativo. Purtroppo possiamo vederne solo in minima parte i risultati, in quanto ancora proporzionalmente pochi sono gli spazi de-

dicati alla fotografia rispetto ai molti autori meritevoli e ai progetti che meriterebbero di essere visti. E se si può trovare un filo comune tra questi autori, è proprio quello di una riflessione visiva sul rapporto tra se stessi e la natura, che porta al forte desiderio e alla necessità di certificare e verificare la propria identità culturale ibrida nel mondo contemporaneo, in una dialettica tra locale e globale, senza dimenticare dimensioni come l’immaginario e l’onirico. Prendo ad esempio un autore

passato dal Festival negli anni scorsi, Tomas Wüthrich (1972). Dopo alcune indagini sociologiche sulla regione rurale bernese da cui proviene, da alcuni anni ha portato su scala globale la sua indagine sociale-ambientale in Borneo: la sua monografia sui cambiamenti dati dalla monocultura dell’olio di palma sulle culture originarie dell’isola ha preso il titolo Doomed Paradise. – The last Penan in the Borneo rainforest, un libro in corso di pubblicazione proprio in queste settimane per i tipi di Scheidegger&Speiss. In conclusione, penso che sia condivisibile l’idea che le modalità citate siano quelle attraverso cui il territorio si possa far conoscere, e quindi rispettare e apprezzare. Una visione certo meno riduttiva, superficiale e mediatica di un video cosiddetto virale intitolato erroneamente Le Maldive a due ore da Milano, che non considera la capacità di carico, ovvero la quantità limitata di accesso di turisti, in certi delicati luoghi, oltre alla pericolosità dei fiumi alpini. Dove e quando

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Idee e acquisti per la settimana

Un bürli più grande

Con il pane del mese di settembre le panetterie della casa Migros presentano un pane che unisce molte delle caratteristiche dei panini bürli: il pane bürli Testo: Claudia Schmidt Foto: Veronika Studer, Gaëtan Bally

I fan dei bürli sono tutti d’accordo: la rusticità e la crosta croccante del loro pane preferito sono davvero irresistibili. Il tipico carattere dei bürli è stato preso come modello per creare il pane del mese di settembre delle panetterie della casa. Il pane bürli ricorda nell’aspetto l’omonimo panino, ma le dimensioni sono più grandi. La crosta, rustica al punto giusto, è la invece la stessa. I pa-

nettieri ottengono questo risultato cuocendo il pane ad alte temperature, come anche seguendo una ricetta speciale che utilizza la migliore farina TerraSuisse di provenienza svizzera. Il pane bürli è un vero talento universale: è una delizia sia a colazione che per la preparazione di sandwich. Infine, grazie alla sua mollica morbida, il pane è perfetto anche per accompagnare gli aperitivi più svariati.

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Serie Fresco & fatto a mano nelle panetterie della casa

Il responsabile della panetteria della casa Daniel Dahinden (50) al lavoro presso il Mythen-Center di Svitto. È uno degli oltre 900 panettieri che assicurano ogni giorno pane freschissimo nelle 130 panetterie della casa Migros.

«Non potrei mai rinunciare al pane fresco» Perché è diventato panettiere?

Dopo uno stage sono rimasto affascinato dall’artigianalità del panettierepasticcere. Per me è stato subito chiaro: avrei imparato questo mestiere. Cosa rappresenta il pane per lei?

Per me il pane è qualcosa di assolutamente irrinunciabile. È parte dei miei alimenti di base. Cosa rende un pane allettante?

Una bella lucentezza e una crosta croccante. Qual è stato il pane più insolito che abbia mai preparato?

Sono stati diversi pani party, realizzati per esempio a forma di nave o autocarro.

Quali vantaggi ha il fatto di produrre il pane nelle panetterie della casa?

Lo produciamo fresco più volte al giorno. Lo impastiamo sul posto e lo lavo-

riamo a mano. La clientela può osservare il nostro lavoro, rendendosi conto di persona che tutto è fatto artigianalmente e nella migliore tradizione panettiera. Cosa apprezzano in particolare i clienti della panetteria della casa?

Naturalmente la freschezza e la qualità. Inoltre offriamo molti pani di farine differenti e nelle forme più disparate. In questo modo i clienti hanno la possibilità di provare varietà diverse dal loro pane preferito, soprattutto se offerto sfuso. Il profumo del pane appena sfornato rende i nostri pani molto invitanti. Quali sono le varietà di pane più apprezzate nella regione?

Nel Mythen-Center sono particolarmente apprezzati il pane locale «Mythen-Center» e quello ticinese, mentre nella Mall of Switzerland il favorito è il pane «Äbiker» locale.


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Cultura e Spettacoli

Un mandolino per amico

Musica L’israeliano Avi Avital ha eletto il mandolino a strumento del cuore, conferendogli

così una freschezza inattesa

Enrico Parola Nove bambini su dieci, se decidono di suonare uno strumento, scelgono il violino o il pianoforte; da adolescenti inizia a esercitare una certa attrazione la chitarra, perché suonata nelle band che si ascoltano e perché quando ci si trova tra amici sostiene e accompagna il canto (magari attirando le attenzioni di qualche amica particolare). Curiosità destano coloro che scelgono strumenti più desueti come l’oboe, il clarinetto o la tromba, mentre il violoncello non è così infrequente. Ma quanti conoscono un parente o un compagno che fin da piccolo ha desiderato imbracciare il mandolino? La risposta fa capire la sfida che Avi Avital si è trovato davanti fin dal primo momento in cui decise che avrebbe suonato il mandolino. Aveva sette anni. «In effetti, forse, se mi fossi posto questa domanda non avrei neppure iniziato: perché che prospettive offre uno strumento così a un ragazzo che vorrebbe vivere di musica, tenere concerti in tutto il mondo, suonare con le orchestre, incidere dischi? Onestamente, c’era una sola risposta: nessuna. Ma avevo sette anni e questo genere di problemi non rientravano nel mio orizzonte mentale. Per fortuna». Sorride Avital, ripensando a quell’inizio «Com’è possibile scegliere uno strumento così desueto? Semplice, a Beer-Sheva non lo era! Lo suonava un mio vicino e rimanevo catturato da quel suono così acuto e cristallino. In città c’era un’orchestra di strumenti a plettro, vi ho suonato fino ai diciotto anni: è stata un’esperienza indimenticabile, per me era un vero godimento condividere con tanta gente il piacere di far musica». La maggiore età portò ine-

L’israeliano Avi Avital. (© Harald Hoffmann / DG)

vitabilmente quei pensieri che a sette anni non potevano essere contemplati: «Soprattutto perché, frequentando il Conservatorio, vedevo i miei compagni di talento che iniziavano a pianificare le loro carriere: i concorsi, i primi concerti, le richieste di suonare che diventavano sempre più frequenti; ma loro avevano scelto il pianoforte, il violino,

il violoncello. Io dove potevo andare, con in mano un mandolino?» Il bello fu proprio questo: non c’era una strada, Avital l’ha tracciata e lastricata da solo, fino ad arrivare a incidere con orchestra per la Deutsche Grammophon, la mitica etichetta gialla di Karajan, Rostropovich e Pollini, a essere chiamato nei templi del concertismo

mondiale, da Berlino a New York, da Londra a Tokyo. «Ma ho dovuto guadagnarmela, metro dopo metro, passo dopo passo. Innanzitutto avevo bisogno di uno strumento più potente, che sapesse far sentire il suo suono in sale da concerto grandi, che non fosse soffocato dall’orchestra; un liutaio me ne ha costruito uno non piriforme e con la superficie inferiore meno bombata, più piatta. Poi c’era il problema del repertorio: quello originale è davvero esiguo, con un paio di Concerti di Vivaldi, due Sonatine di Beethoven, qualche nota di Mozart e Hummel; per vivere e svilupparsi tecnicamente uno strumento ha bisogno di opere da eseguire, così ho iniziato a chiedere a vari compositori di scrivere per me: a oggi mi hanno dedicato una novantina di brani». Non potevano comunque mancare le trascrizioni: «Iniziai da Vivaldi, ad esempio con le Quattro Stagioni, e da Bach: eseguire al mandolino le Stagioni o la Ciaccona originariamente scritta per violino solo è stata una sfida tecnica enorme, ma il timbro del mandolino ha permesso di far ascoltare questi brani celeberrimi attraverso prospettive inaudite». Hanno colto nel segno, ma non è stato facile: «Quando proposi ai discografici i concerti con orchestra mi guardarono perplessi, e molto; li invitai ad ascoltarmi e si convinsero». È diventato l’icona del mandolino, affrancandolo dallo stereotipo dello strumento «pizza e canzone napoletana»; ai suoi concerti vengono anche tanti giovani «e con loro utilizzo i social: dopo un recital mi piace postare un commento, chiedere pareri; rispondono in tanti, magari è il pubblico stesso ad aprire una discussione su Facebook, poi talvolta finisce che ci si incontra dal vivo».

Immancabile, magico, sexy Cosa mi metto?

Nella borsa delle signore il rossetto non manca mai

Maria Bettetini Non chiamatelo rossetto. Piuttosto lipstick, matitone labbra glossy, finish mat luminoso, matita idratante, liquid matte plumping lipstick, matte lipstick candy yum yum. E così via. Nomi diversi, acquisti più numerosi: chi ha un matitone potrà forse non possedere un liquid? che toccherà solo il centro del labbro superiore, per dare luce e sensualità. Gli imprescindibili, un colore su labbra vecchie e giovani, a volte vicino al ridicolo, se l’anziana sparge rosso brillante anche in tanti rivoletti del suo viso (man mano che passano gli anni, davvero less is more) o la ragazzina, bella per forza – non esistono più ragazze non belle – che si trasforma in bambolina. Il colore rosso, nelle diverse gradazioni, è sempre di moda, ci rimanda alle bocche di fuoco degli anni Cinquanta, quando, terminata la guerra, le donne hanno potuto lanciarsi in trucchi ammiccanti, gonne lunghe ma aderenti, pettinature che parlano da sole. C’è solo un errorino storico: il rossetto è conosciuto per essere stato usato già 5000 anni fa nella civiltà mesopotamica, sotto forma di gioielli semi-preziosi, sbriciolati ed applicati sulle labbra, occasionalmente intorno agli occhi. Anche le donne che vive-

John Peel, una vita «on air»

Anniversari Il dj inglese che ha accompagnato le ore notturne di tanti ascoltatori insonni

Enza Di Santo È il 30 agosto del 1939 quando a Heswall, poco distante dalla Liverpool dei Beatles, nasce il più celebre Dee Jay della storia contemporanea e forse l’ultimo della sua caratura. Il brano preferito di Peel era Teenage Kicks degli Undertones, che lo rappresentava non tanto negli atteggiamenti quanto nello spirito, poiché è sempre rimasto un adolescente capace di emozionarsi per qualsiasi nuovo sound. All’anagrafe John Robert Parker Ravenscroft, da ragazzino frequenta la scuola pubblica, poi serve l’artiglieria dell’esercito di sua Maestà Elisabetta II come operatore radar. A 20 anni, suo

Il dj britannico John Peel in un’immagine del 2004. (Keystone)

padre, agiato mercante di cotone, lo spedisce negli Stati Uniti per seguire alcuni suoi affari. Un viaggio importante per Peel, che abbandona presto il business di famiglia per dedicarsi prima al giornalismo di cronaca e in seguito alla radio. Nell’accezione più pura del termine, faceva il dee jay: nelle ore piccole arrivava alle orecchie degli ascoltatori a capo dei loro transistor con la musica che preferiva, senza curarsi delle classifiche del momento e intervallando i brani con monologhi sulla propria vita e frivolezze varie, ma anche con pensieri più profondi, talvolta con poesie. Un affabulatore imprevedibile, la cui scaletta non era neppure un abbozzo. Aveva debuttato alla WRR Radio di Dallas nel 1961, come esperto di blues nel programma R&B Kat’s Karavan, proponendo al giovane pubblico bianco musica nera. Una scelta incauta in un momento storico in cui gli Stati del sud degli USA erano ancora attraversati da un razzismo piuttosto radicato. La permanenza alla WRR fu breve, ma lo segnò profondamente. Sempre a Dallas, all’impazzare della Beatlemania negli Stati Uniti, grazie ai suoi presunti contatti con Liverpool, ottiene un ingaggio nell’emittente KLIF come corrispondente ufficiale dei Fab Four. Rimane incastrato nella top 40, i brani da classifica non erano nelle corde di un parolaio come lui, ma questo lo porta a un immediato successo. Come una delle pop star di cui metteva i dischi,

anche lui aveva il suo esercito di fan urlanti che lo assalivano nel centro della città. Peel descrive nella sua biografia questo periodo d’improvvisa celebrità come «Diversi mesi di bizzarra attività sessuale che trascendono le più fervide fantasie della masturbazione», d’altronde nel pieno della rivoluzione giovanile della metà degli anni sessanta, c’è da aspettarselo. In un vortice di eventi, si sposa per la prima volta e si trasferisce a Oklahoma City dove lavora per una radio minore. Poi, nel 1966, va in California e ottiene un microfono nell’emittente KMEN. Qui, ritrova il suo modo di fare radio, ciò che le playlist della KLIF non gli permettevano, e scopre i gruppi che poi lancia nel giornale culturale giovanile «International Times» con il quale collabora sin dalla fondazione. Ma nella città conservatrice di San Bernardino, trova anche una marea di groupies molto giovani, che lo catapultano in un mare di guai. A causa del suo atteggiamento considerato troppo hippy e sopra le righe, ha alle costole il dipartimento dello sceriffo che lo accusa di uso di sostanze stupefacenti e di avere rapporti sessuali con ragazze minorenni. Pressato dalle accuse, lo stesso anno, Peel decide di tornare nel Regno Unito, ma un’emittente per bene come la BBC non avrebbe mai voluto uno speaker pungente, umoristico e tanto fuori dagli schemi. Per fortuna la radiodiffusione europea aveva appena vissuto la sua epoca più florida e ribelle:

centinaia di radio pirata trasmettevano al largo delle coste dell’Essex e in tutto il Mare del Nord, creando un flusso caotico di musica e parole. Peel nel 1967 si imbarca sulla Galaxy, l’enorme nave dragamine che ospitava il potente trasmettitore della più grande radio offshore ancorata in acque internazionali: Radio London. A bordo della Big L, coltiva il suo programma The Perfumed Garden che lo consacra a leggenda, ma dura poco perché il Marine Broadcasting Office Act mette fine alle trasmissioni illegali per proteggere il monopolio statale della BBC. A questo punto la nemica delle radio pirata apre il suo nuovo canale BBC Radio 1 e ingaggia anche Peel, che dal 1967 condurrà Top Gear, Night Ride e poi il suo programma John Peel Show. Formidabile talent scout, è famoso per le sue «Peel Sessions» iniziate negli anni 70: momenti indimenticabili in cui invitava in studio artisti sconosciuti e faceva registrare loro quattro brani dal vivo, dando spazio a tutto, dal progressive al glamrock fino al punk. Spigliato e talvolta al limite della perfidia, con una sorta di sollievo, Peel salutava i suoi ascoltatori dicendo «Good Night And Good Riddance» (Buona notte e che liberazione). Pur rimanendo fedele, sino alla sua morte nel 2004, alla radio inglese più importante e tradizionale, Peel è riuscito ad andare controcorrente per il solo piacere di scoprire e anticipare le evoluzioni musicali.

wikipedia

e scoperto numerose star della musica, avrebbe compiuto ottant’anni il 30 agosto

vano nella valle dell’Indo si coloravano le labbra. Gli egiziani avevano una loro particolare composizione di rossetto, Cleopatra ne utilizzava uno ricavato dai pigmenti di coleotteri e formiche. D’altra parte la regina giocava con gli aspidi… Il rossetto, in verità, cominciò ad acquisire popolarità, ricavato dalla cera d’api, nel 1500, durante il regno di Elisabetta I d’Inghilterra. Poi di nuovo lo si usò di meno, fino a quando, a metà del secolo scorso arrivarono le dive del cinema. Che fosse muto o parlato, in bianco e nero o a colori, ambientato a corte o nel far-west, come gli attori erano eleganti e rasati in ogni occasione (si pensi alle scarpe lucide e all’abito di sartoria dell’impeccabile Cary Grant nel capolavoro di Hitchcock, Intrigo internazionale), così le attrici non potevano prescindere dal rossetto. L’imprescindibile. Sia esso matitone o lipstick o altro, vive felice nei cassetti, nel beauty, e soprattutto nei misteriosi antri delle borse, dove noi buttiamo di tutto e non troviamo più nulla, nonostante lo sforzo economico di avere un rossetto per ogni borsa, armadio, tasca, perché non si sa mai. Un tocco di rosso, che sicurezza. Cum grano salis.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 2 settembre 2019 • N. 36

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Idee e acquisti per la settimana

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Il quark viene mescolato con un po’ di sale e poi messo in frigo. Spremere il limone dolce e mescolare il succo con 6 cucchiai di olio d'oliva e un po’ di sale. Cuocere le cotolette di pollo: Rosolare la carne da tutti i lati in una padella antiaderente e continuare a cuocere a fuoco lento per altri 8 minuti girandola varie volte. Poi tagliarla a striscette sottili. Guarnire l'insalata: Distribuire la guarnitura e le striscette di pollo nelle ciotole di tortilla e cospargere di olio di limone dolce. Aggiungere poi il Dip Guacamole e il quark. Suggerimento: si consiglia di consumare subito!


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Cultura e Spettacoli

Accudire i mostri

Incontri A colloquio con Viola Di Grado, che nel suo Fuoco al cielo

non teme la diversità né quelle che consideriamo mostruosità necessità che non hanno incontrato soddisfazione viene rimesso in campo, alla ricerca di una riscrittura. Tutto ciò non è controllabile. Il mio desiderio di raccontare questo ha incontrato il tema della radioattività. Su una rivista americana ho letto una storia che mi ha colpito: una donna che nel luogo più radioattivo del pianeta, nei pressi di una centrale nucleare, trova un bambino che non ha i genitali, non ha l’ombelico: è un essere. Decide di adottarlo, senza porsi delle domande, senza la necessità di catalogarlo. Penso che una delle mostruosità di questo tempo sia l’ossessione di catalogare tutto. Il miracolo di Alëšen’ka è che nasce dalla radioattività, dal veleno: è il miracolo di ciò che sorge dalla distruzione.

Laura Marzi Abbiamo incontrato Viola Di Grado, autrice italiana dal talento scintillante, per parlare del suo ultimo romanzo Fuoco al cielo (Nave di Teseo). A partire da un fatto di cronaca, il ritrovamento in un luogo radioattivo di un bambino privo di genitali e di ombelico con una donna che decide di prendersene cura, in questo romanzo Di Grado racconta l’amore, la morte, la disperazione e «ciò che nasce dalla radioattività, dal veleno: il miracolo di ciò che sorge dalla distruzione, di ciò che non ha bisogno di essere carpito dal linguaggio». Hai scelto di scrivere della tragedia di un incidente radioattivo a partire da una storia d’amore, come se racchiuso in ciò che può legare due persone ci fosse un potenziale di stravolgimento e morte che, nell’infinitamente piccolo, è della stessa natura di ciò che avviene con la contaminazione.

Da tanto tempo volevo raccontare l’amore come contagio. Penso che ogni relazione sia in qualche modo una storia dell’orrore, perché al di là del livello di distruttività o di armoniosità di ogni incontro, l’amore impone che i confini dell’io diventino estremamente labili e che la marea dell’inconscio sia condivisa, cosa che in sé è mostruosa, innaturale. In comune vengono messi sia il bene che il male, così tutto il marasma delle cose irrisolte, del nostro passato, delle

Tu scrivi: «parlare è sempre meglio del silenzio e del rumore del vento sui vetri». Nella lotta straziante in cui si trasforma l’amore tra Tamara e Vladimir accade che non smettono mai di cercare di parlare. Se fosse una proporzione matematica, come porresti l’amore alle parole?

Naturalmente da scrittrice mi pongo di continuo e ossessivamente il problema del significato delle parole e non in senso convenzionale: il ruolo delle parole non è sempre creativo, al contrario di quanto si crede comunemente. Solo a un certo livello le parole creano significato, altrimenti possono distruggerlo oppure non generare nulla, come nelle frasi fatte, nei cliché. La banalità del male si esplica molto bene nel litigio

amoroso. Per Tamara parlare non ha un senso, ma è comunque più confortante del non senso del vento.

Scrivi che Tamara utilizzava il trucco per diventare: «un’altra così altra da passare inosservata persino a se stessa […] quando la tristezza puntualmente sarebbe venuta a prenderla non l’avrebbe riconosciuta più». Qual è il make-up più efficace per raggiungere questo obbiettivo?

Non sono un’esperta di make up, ma questo è il modo in cui io stessa mi trucco. Non a caso, ogni volta che vado in TV chiedo di essere truccata così e incontro resistenza. Quello che uso io, il trucco teatrale, non è in voga, va di moda il naturale, che deve esaltare i pregi e correggere i difetti. È sacrosanta la necessità di accettarsi, ma ciò non significa che non si possa agire sul corpo, considerarlo come un punto di partenza e non una cosa data. Allo stesso modo in cui lavoriamo costantemente sulla nostra mente, ed essa si modifica ogni giorno, anche il corpo cambia e possiamo modificarlo col trucco.

Dell’incontro tra Tamara e Vladimir scrivi: «Dio solo sa perché l’aveva puntata, qual è la vera logica degli umani che si fissano con altri umani, quale incastro tremendo hanno fiutato». Esiste la possibilità che l’incastro non sia sempre tremendo?

È tremenda la messa in comune di tutto. Ovviamente, ci sono persone che hanno esperienze pregresse più o meno difficili, ci sono miliardi di variabili, però

La scrittrice Viola Di Grado è nata a Catania nel 1987. (Corrado Lorenzo Vasquez)

perché ci si innamora di una persona? Sono dei motivi ciechi, dei non motivi: per esempio perché non si scelgono le persone che si stimano di più? Già questa assenza di motivazioni rende tremendo l’incastro. Ma esistono amori meravigliosi ed esistono amicizie più intense delle relazioni erotiche, scevre dalle aspettative che caratterizzano le coppie. Il volere il bene dell’altro è una cosa altissima, superiore al voler stare con un altro, al bisogno di soddisfare un desiderio narcisistico di raggiungere qualcosa. Gli amori altissimi hanno a che fare col desiderare che l’altro stia bene senza che questo implichi nessun vantaggio personale, come può accadere a una madre per i figli. A me non interessa la maternità in sé, ma indagare quell’amore assoluto. In Fuoco al Cielo molti hanno visto la rappresentazione di una pietà in cui Alëšen’ka è il messia che nasce dai detriti dell’umanità.

Di Alëšen’ka descrivi con insistenza la mostruosità. Eppure Tamara, Irina, Vladimir sentono il desiderio di proteggerlo. Perché?

Penso che sia nostro dovere prenderci cura del lato mostruoso di noi ed è anche uno degli obbiettivi della psicanalisi, che non insegna a eliminare la mostruosità, ma a prendersene cura. Ci vogliono forza e intelligenza per prendersi cura dei mostri interiori: Tamara immediatamente abbraccia Alëšen’ka, perché lei ha sempre vissuto la propria mostruosità, accettandola. In lei non c’è conflitto tra la propria morale e il suo mostro, perché vivendo nell’orrore ha dovuto decidere di guardare tutto. La sofferenza spesso ci induce a chiuderci, ma possiamo decidere che sia il contrario. Per Tamara è più semplice, lei è un personaggio straordinario, le interessa solo ciò che è assoluto, e consumare: le persone, la vita, se stessa.

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Spennellata con una salsa a base di Hot Chili, miele e succo d’ananas, la pancetta affumicata viene servita con senape e baguette. Trovate la ricetta su migusto.ch/consigli

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Pancetta affumicata da cuocere TerraSuisse in conf. speciale ca. 1 g, per 100 g

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Filetto di salmone selvatico MSC pesca, Pacifico nordorientale, per es. M-Classic, per 100 g

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Spezzatino di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

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Gamberetti tail-off cotti, bio, in conf. speciale d’allevamento, Ecuador, 240 g


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30% sul prosciutto crudo dei Grigioni affettato finemente in conf. speciale Svizzera, 160 g

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Entrecôte di cervo Nuova Zelanda, imballato, per 100 g

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Vitello tonnato prodotto in Ticino, in confezione take away, per 100 g

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Luganighetta Bedretto Ticino, al banco a servizio, per 100 g

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Bresaola casa Walser Italia, affettata in vaschetta, per 100 g

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Cosce di pollo Optigal al naturale e speziate Svizzera, per es. al naturale, al kg

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Salametti di cavallo prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi / ca 180 g, per 100 g


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Tilsiter dolce ca. 250 g, per 100 g

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Burro da cucina in conf. da 4 panetto, 4 x 250 g

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Asiago pressato DOP a libero servizio, per 100 g

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Emmentaler e Le Gruyère grattugiati in conf. da 2 2 x 120 g

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Lacc Frésch ticinés Drink (Latte fresco ticinese Drink) prodotto in Ticino, in conf. da 1 l

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Uva Italia Italia, sciolta, al kg

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1.– Patate resistenti alla cottura Svizzera, sacchetto, 1 kg

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Fagiolini verdi Svizzera, imballati, 500 g

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Tutti i crisantemi vaso, Ø 19 cm, per es. arancioni, la pianta

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Zucchine bio Ticino, imballate, al kg, valido fino al 9.9.2019

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Rose Fairtrade, mazzo da 10 disponibili in diversi colori, p. es. rosa-rosso, il mazzo

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Tutto l’assortimento You per es. skyr ai lamponi, 170 g, 1.35 invece di 1.70

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Tutti i tipi di pane alle noci per es. Pane di patate con noci TerraSuisse, 350 g, 2.20 invece di 2.70

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Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. fettine di quorn con mozzarella e pesto, 2 x 240 g, 9.70 invece di 13.–

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Tutti i tipi di caffè Exquisito, in chicchi e macinato, da 500 g e da 1 kg, UTZ per es. macinato, 500 g, 6.15 invece di 7.70

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Tutte le capsule Café Royal in conf. da 33, UTZ disponibili in diverse varietà, per es. Espresso

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di riduzione Tutto l'assortimento Choc Midor a partire da 2 pezzi, –.60 di riduzione l'uno, per es. biscotti Carré, 100 g, 2.50 invece di 3.10

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Pennette Rigate Agnesi in confezione speciale 750 g


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Tutto l’assortimento Pancho Villa a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

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Office 365 Home disponibile in tedesco, francese o italiano, fino a 6 utenti, incl. memoria OneDrive da 1 TB per utente, il pezzo, offerta valida fino al 16.9.2019


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Spinaci Svizzera, busta, 500 g

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Champignon bianchi Svizzera, vaschetta da 250 g

Ananas Costa Rica/Ecuador, il pezzo

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Kiwi Nuova Zelanda, in vaschetta da 500 g

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Pomodori datterini Svizzera/Italia, vaschetta da 250 g

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Insalata di tonno Mexico Mimare, MSC 250 g


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