Azione 13 del 27 marzo 2017

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Intervista a Eveline WidmerSchlumpf che sta per assumere la presidenza di Pro Senectute

Ambiente e Benessere Mirco Moser, capoufficio dell’Ufficio dell’aria, del clima e delle energie rinnovabili ci parla del problema delle polveri fini in Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 27 marzo 2017

Azione 13 Politica e Economia L’attentato di Londra e le polemiche sul ruolo dell’intelligence britannica

Cultura e Spettacoli Il Kunsthaus di Zurigo propone un’imperdibile mostra su Ernst Ludwig Kirchner

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F. Cattaneo - V. Dones

Il «Fiore» in cima al Generoso

Un’Europa da ripensare di Peter Schiesser E ora, dopo le celebrazioni del 25 marzo per i 60 anni dei Trattati di Roma che diedero i natali alla CEE, l’Unione europea si interroga su ciò che intende diventare, alla luce della profonda crisi in cui è scivolata dallo scoppio della crisi finanziaria mondiale nel 2008, aggravata l’anno scorso dalla Brexit. Un’Europa che va avanti come finora? Che si riduce ad un mero mercato interno? Un’Unione a più velocità? Un’Europa che si limita ad alcuni compiti, restituendo determinate sovranità ai singoli Stati? Oppure un’Unione europea che approfondisce il processo di integrazione? Questi cinque interrogativi li ha tracciati il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker il 1. marzo e serviranno da base per i dibattiti da cui l’Unione non può più rifuggire, se non vuole correre il rischio di implodere. Ancora prima dell’appuntamento del 25 marzo a Roma, segnali importanti sono arrivati da Parigi e Berlino: sia il presidente francese Hollande, sia la cancelliera tedesca Merkel hanno spezzato una lancia in favore del concetto di un’Europa a più velocità, un concetto tabù fino a ieri. L’Ue deve tornare a crescere, a

rafforzare l’integrazione, se non tutti ci riescono o non vogliono, deve potersi formare un nucleo forte di Stati membri che portino avanti il progetto Europa, lasciando la porta aperta agli altri qualora volessero entrarvi successivamente. Oggi è troppo presto per capire quale cammino l’Ue imboccherà in futuro, ma si possono registrare i segnali che giungono dall’est europeo – e questi sono negativi. Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia temono di venire discriminati, ostacolati nella crescita economica. Bisogna poi chiedersi che cosa potrebbe significare un’Unione europea a più velocità per l’Eurozona: l’euro varrà solo per i paesi del nucleo centrale? Risorgeranno vecchie valute nazionali? Ma accanto a quella istituzionale e macro-economica, l’Ue deve affrontare la sfida dei valori e degli ideali di fronte ai montanti nazionalismi e populismi. Deve definire la sua identità, al di là degli obiettivi politico-economici. Le battaglie più urgenti sono le elezioni in diversi paesi chiave. In Olanda è andata abbastanza bene, Geert Wilders ha guadagnato seggi, ma non ha superato il premier Mark Rutte; in Francia i pronostici danno perdente Marine Le Pen al secondo turno (ma non credevamo pure che Donald Trump non

sarebbe stato eletto?); in Germania Merkel lotterà contro il socialdemocratico Schulz, ma un occhio è rivolto anche a Frauke Petry e alla sua Aktion für Deutschland; e in Italia, che succederà alle prossime elezioni? L’onda populista è bifronte, in Italia: grillina e leghista. Per chi intende salvare l’Unione europea, sarà importante vincere le contese elettorali, ma sarebbe un errore limitarsi a questo. Perché i populismi, in Europa, non hanno nemmeno troppo bisogno di vincere (anzi: governare li espone alle critiche e all’erosione dei consensi), è sufficiente la loro pressione per influenzare le politiche dei singoli paesi e della stessa Ue: lo si vede nelle politiche verso i migranti, come pure nelle tentazioni protezionistiche. Ma forse l’Olanda può dare un segnale positivo: alle elezioni è cresciuta la destra populista, ma sono cresciuti anche due partiti che si sono opposti a Wilders da posizioni liberali e progressiste, D66 e GreenLeft (che ha triplicato i seggi). Come in Austria alla fine è diventato presidente un ecologista anziché il candidato della destra populista. I populismi non si vincono scimmiottandoli, ma con visioni solide alternative. L’Ue deve quindi prima chiarire la sua identità, se vuole affrontare con vigore le riforme strutturali che l’attendono.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Attualità Migros

M Mercato difficile, ma l’azienda continua a investire nel territorio

Migros Ticino Anche nel 2016, nonostante abbia operato in un ambiente estremamente difficile è riuscita

a chiudere i conti con risultati soddisfacenti, mantenendo la propria politica di investimenti in progetti a favore dei soci, dei propri clienti e della propria regione

Lo scorso anno la grande distribuzione ticinese, già sotto pressione a causa dell’aumentata concorrenzialità (sviluppo delle superfici di vendita superiore alla crescita della popolazione), del franco svizzero forte e della debole propensione al consumo, ha subito un’ulteriore crescita del turismo degli acquisti (+49 per cento in 2 anni, pari al 15 per cento della cifra d’affari del commercio al dettaglio ticinese) e un marcato aumento della digitalizzazione del commercio. Questi ultimi due fattori hanno accresciuto a circa il 25 per cento (1 miliardo di franchi) la quota degli acquisti effettuati dai consumatori ticinesi fuori dai commerci convenzionali sparsi sul territorio. In questo contesto sfavorevole, il settore nel nostro Cantone ha registrato un calo della cifra d’affari stimata tra il 2 e il 3 per cento sull’anno precedente. In questa situazione Migros Ticino ha realizzato una cifra d’affari di 476,8 milioni di franchi, in flessione del 2,9 per cento rispetto al 2015. Un calo provocato anche da una diminuzione dei prezzi dello 0,7%, pari a 3,3 milioni di franchi (–11,5 per cento dal 2009) e dai lavori straordinari di ammodernamento effettuati presso il Centro Migros di Lugano, che hanno fortemente penalizzato una delle più importanti filiali della cooperativa. Malgrado la situazione difficile, grazie all’impegno dei collaboratori e all’aumentata efficienza aziendale, Migros Ticino è riuscita a realizzare 4,4 milioni di franchi di utile (pari a ca. 1 franco di utile per ogni 100 franchi incassati), in diminuzione del 10,2 per cento rispetto al 2015, ma in linea con gli obiettivi di redditività, che permettono di finanziare lo sviluppo a lungo termine della cooperativa. Oltre il 40 per cento della cifra d’affari (195 milioni di franchi) è stato reimmesso nell’economia cantonale sotto forma di salari e acquisto di merci e servizi. Nel corso dell’anno la cooperativa ha ampliato e rinnovato le sue infrastrutture con investimenti pari a 18 milioni di franchi, che hanno permesso di inaugurare un nuovo supermercato a Sementina, di ammodernare le filiali di Lugano Centro e Massagno-Radio e aprire un terzo centro Activ Fitness a Bellinzona, nonché un primo Frescotto

– moderno e curato take away di nuova concezione – presso la Stazione FFS di Bellinzona. È stata inoltre ulteriormente sviluppata l’offerta di beni e servizi, nell’ottica del servizio al cliente, migliorando la scelta, la qualità e la presentazione dei prodotti e della consulenza alla clientela, con una particolare attenzione per i banchi a servizio, oltre che per i prodotti freschi e a valore aggiunto (qualità, regionalità, etica e ambiente). La linea dei Nostrani del Ticino, con i suoi circa 300 prodotti locali, si conferma la più venduta e realizza una cifra d’affari pari al 7,5 per cento (+0,2 per cento sul 2015) dei volumi del settore alimentare. L’offerta regionale comprende anche una quindicina di prodotti realizzati da utenti di istituti che promuovono l’integrazione di persone disabili nel mondo del lavoro – Fondazione Diamante, La Fonte, OTAF e San Gottardo – cui viene interamente riversato il ricavato delle vendite, circa 160 mila franchi (+23 per cento rispetto al 2015). Ottimo inoltre l’andamento della linea di specialità Sélection, che segna un +29,6 per cento. Nell’ambito dell’offerta a plusvalore ecologico e sociale i prodotti a marchio Migros Bio registrano un aumento delle vendite del 3,6 per cento, quelli certificati FSC (Forest Stewardship Council) del 3,9 per cento, quelli certificati MSC (Marine Stewardship Council) dell’11,2 per cento e quelli certificati ASC (Acquaculture Stewardship Council) addirittura del 18,9 per cento. In quanto a personale, Migros Ticino impiega 1665 collaboratori, pari a 1161 unità di lavoro a tempo pieno, il 90 per cento dei quali domiciliato nella Svizzera italiana, tra i quali figurano 39 giovani in formazione. Tutti sono tutelati da un contratto collettivo all’avanguardia. A conferma dell’impegno nell’offrire condizioni di lavoro di prim’ordine, Migros Ticino è l’unica azienda della Svizzera italiana a essere certificata Friendly Work Space, un marchio di qualità conferito dalla Fondazione Promozione Salute Svizzera ai datori di lavoro che dimostrano di aver attivamente implementato metodologie sistematiche e orientate al lungo periodo per incentivare salute, sicurez-

La rinnovata sede di Lugano Centro.

za sul posto di lavoro e benessere per i propri collaboratori. Come già successo negli anni precedenti, Migros Ticino ha investito anche nel 2016 in progetti e misure atte a limitare il consumo energetico e a ridurre l’impatto ambientale delle sue attività, in linea con gli obiettivi fissati con l’Agenzia dell’energia per l’economia. Con una riduzione delle emissioni di CO2 del 29 per cento per i punti vendita e del 100 per cento per la sede centrale e un aumento dell’efficienza energetica del 37,9 per cento per la sede centrale e del 2,8 per cento per i punti vendita (risultati 2015 su base 2013), la cooperativa è in linea con gli obiettivi che si è fissata per il 2022. In quanto azienda ecofriendly Migros Ticino nel 2016 ha introdotto nei suoi supermercati dei sacchetti

monouso prodotti al 100 per cento con materiale riciclato al prezzo di 5 cts., che vanno a sostituire i sacchetti in plastica gratuiti: l’incasso che ne deriva viene interamente devoluto a favore di progetti esterni a sostegno dell’ambiente. Anche la valorizzazione di rifiuti e scarti generati dalla cooperativa ha potuto essere migliorata, con una diminuzione del 5,3 per cento sul volume totale. Nel settore culturale, al quale nel 2016 la cooperativa ha destinato 2,3 milioni di franchi (pari allo 0,5 per cento della cifra d’affari), la Scuola Club ha erogato 2670 corsi di formazione, con 250 formatori e ben 14’730 partecipanti, per un totale di 291’000 ore di frequenza (+2,8 per cento sul 2015). Gli eventi e le manifestazioni culturali di alto livello sono invece state oltre 100, richiamando più di 105’000 spettatori.

«Azione», organo ufficiale di Migros Ticino e settimanale di informazione e cultura redatto e stampato in Ticino (presso il Centro Stampa di Muzzano), viene letto ogni settimana da 118mila lettori (dati REMP 2016-2), il che corrisponde ad un potenziale pari a circa il 40 per cento del pubblico della Svizzera italiana. Migros Ticino, in qualità di azienda autonoma ticinese all’interno della comunità Migros, è pronta ad affrontare anche nel 2017 una situazione di mercato poco favorevole. L’obiettivo dichiarato è quello di sviluppare la propria offerta – anche diversificando – ed efficienza aziendale, per continuare a giocare un ruolo di primo piano, rimanendo un punto di riferimento per l’economia e la cultura della Svizzera italiana.

Il «Fiore» sta per sbocciare Monte Generoso D opodomani sarà inaugurato

il nuovo ristorante sulla Vetta, opera dell’architetto Mario Botta

Un particolare della facciata. (F. Cattaneo - V. Dones)

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

In vetta al Monte Generoso fervono gli ultimi preparativi per l’inaugurazione del nuovo ristorante: alla presenza di 200 ospiti, mercoledì 29 marzo verrà svelato il «Fiore di Pietra», l’ultima opera architettonica di Mario Botta, che oltre a disegnare l’imponente edificio ha curato anche l’allestimento degli spazi interni. L’apertura al pubblico seguirà pochi giorni dopo,

nel finesettimana dell’8-9 aprile. I lavori sono durati quasi due anni e hanno coinvolto numerose imprese, anche ticinesi, per un costo complessivo di 20 milioni di franchi, coperti interamente dal Percento culturale Migros. La Federazione delle Cooperative Migros, proprietaria della ferrovia del Monte Generoso e del ristorante in vetta fin da quando il fondatore

della Migros Gottlieb Duttweiler nel 1941 comprò la ferrovia per evitarne il fallimento, mostra in tal modo l’attaccamento al Ticino. E lo fa regalando questa straordinaria opera architettonica che valorizza ulteriormente questa meta turistica, la principale cima panoramica del cantone, tanto amata dai turisti e dalla popolazione ticinese.

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Società e Territorio Costruire nella complessità Un incontro con l’architetto Andrea Bassi attivo a Ginevra e progettista del nuovo campus Supsi di Mendrisio

Nuova presidente di Pro Senectute Dal 1° aprile l’ex consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf assumerà la presidenza di Pro Senectute che quest’anno compie 100 anni pagina 6-7

Un carteggio durato trent’anni Sono state da poco pubblicate le lettere tra il consigliere di Stato ticinese Guglielmo Canevascini e l’esule antifascista Egidio Reale pagina 7

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L’arte del raccontare Fiabe A colloquio con Pia Todorovic,

responsabile della sezione ticinese dell’Associazione svizzera delle fiabe e coordinatrice del gruppo «Le intrecciafole»

Alessandro Zanoli Le fiabe sono una cosa seria. Siamo abituati a pensarle semplicemente come racconti per l’infanzia, ma può capitare di incontrare persone che ce le mostrino in una luce assai più importante. Gli studiosi di tradizioni popolari, infatti, le raccolgono e le studiano in modo scientifico. Viste con l’occhio dell’antropologia, dell’etnografia e soprattutto della psicologia, le fiabe mostrano così una ricchezza di contenuti e di informazioni che, niente di meno, possono aiutarci a comprendere meglio la vita e forse anche a vivere meglio. La Svizzera può vantare al mondo una solida tradizione di studiosi in questo settore. A cominciare da Max Lüthi, pubblicista e docente all’Università di Zurigo. Non vanno dimenticati poi i contributi importanti offerti dalla scuola psicanalitica junghiana. Il Ticino, dal canto suo, possiede una tradizione di narrativa popolare molto ricca, legata alla sua antica cultura rurale. Fino a non molti anni fa raccontare era il passatempo preferito delle famiglie: nelle sere invernali, ci si riuniva intorno al camino, ci si occupava dei lavori più ripetitivi, come filare la lana, sfogliare il granoturco, e per passare il tempo si scambiavano storie, aneddoti divertenti o anche paurosi. Il repertorio dei racconti ticinesi, composto da fiabe e leggende, è stato raccolto e fissato da vari studiosi, nel corso del 900. Di recente una bella raccolta in 4 volumi, Il Meraviglioso (Dadò Editore), ci ha consegnato un eccezionale patrimonio di narrazioni antiche. Ma il libro più approfondito da un punto di vista scientifico è probabilmente quello di Pia Todorovic Märchen aus dem Tessin (Limmat Verlag). «Il libro era stato proposto inizialmente a Ottavio Lurati, per una casa editrice di Colonia. Lui l’ha proposto a me e così ho avuto questa opportunità» ci spiega l’autrice. «La prima versione era uscita nell’84 ma in pochi anni il libro è andato esaurito. La Limmat Verlag di Zurigo mi ha proposto di farne una riedizione, che è uscita nel 2006». Come per molti altri studiosi e narrato-

ri di fiabe l’interesse di Pia Todorovic è nato nella sua infanzia: «Me le raccontava mio papà. Era un appassionato delle fiabe dei Grimm. Le leggeva sul libro e poi le traduceva all’impronta in svizzero tedesco». Pia Todorovic, che aveva avvicinato le tradizioni popolari ticinesi per redigere la sua tesi di laurea, ha cominciato ad occuparsi seriamente di fiabe per questo suo libro. «È stata una bella opportunità, anche perché mi ha dato modo di conoscere l’ultima vera narratrice ticinese, Jolanda Bianchi Poli di Brusino. È stata una grande fortuna per me». Oggi Pia Todorovic è la responsabile della sezione ticinese per l’Associazione svizzera delle fiabe. «La società (che ha un suo sito: www.maerchengesellschaft.ch), è nata nel 1993 come costola svizzera della Società europea delle fiabe» ci spiega. «Nonostante il nome, quest’ultima è diffusa soprattutto in Germania ed esiste forse da una cinquantina d’anni». Una società di questo tipo ha evidentemente il compito di proteggere un patrimonio che rischia di andare perduto... «La sezione svizzera, che conta quasi 400 membri, ha due scopi: da un lato tramandare le fiabe, creare un nuovo interesse e salvare questo patrimonio dall’oblio. Oltre a ciò, si pone l’obiettivo di studiarle e catalogarle. Questo secondo campo di intervento è più specificamente il mio». Il lavoro concreto si articola quindi in due filoni: sul versante più scientifico si organizzano seminari, simposi, su temi legati al genere fiabesco. Poi c’è l’altro indirizzo, quello più pratico e divertente: e qui si organizzano anche diversi corsi, per imparare a raccontare le fiabe. Pia Todorovic è ottimista: «Secondo me c’è una ripresa nell’interesse attorno alle fiabe. Le serate e i seminari che organizziamo hanno molto successo. Il problema però è un po’ l’invecchiamento dei soci; vorremmo coinvolgere più giovani, utilizzando magari i social media, scegliendo mezzi pubblicitari più efficaci». Di fatto, per interessamento di Pia Todorovic si è formato in Ticino un nucleo di appassionate tra le quali è nato

La sera si riuniva tutta la famiglia e mentre si filava si raccontavano fiabe e leggende. (Keystone)

un gruppo di narratrici, «Le intrecciafole» (www.intrecciafole.net). «Il gruppo è nato 20 anni fa, quando mi hanno incaricato di diventare responsabile della sezione regionale. Conoscevo alcune persone come Candida Willemse e Letizia Bernasconi: insieme a loro abbiamo formato questo gruppo». Per diventare narratrici occorre un po’ di pratica e anche qualche corso: «Alcune persone che hanno scelto di raccontare hanno seguito molti corsi, e all’interno della Società svizzera stessa ne vengono organizzati. Nel sito dell’associazione c’è un lungo elenco di narratrici e narratori svizzeri, con le loro specialità. Così possono essere chiamati a raccontare, magari durante un compleanno o una ricorrenza». Le narratrici e i narratori possono avere un repertorio specifico, oppure no. «Alcune di loro hanno un repertorio molto vasto. Per organizzare le loro serate scelgono in genere delle tematiche specifiche. La condizio-

ne di base, però, è che chi racconta deve essere convinto del repertorio che sceglie: le fiabe non possono essere affidate a caso». Tornando a parlare in generale del gruppo ticinese, Pia Todorovic ci spiega che proprio quest’anno si festeggiano i 20 anni dalla sua nascita: «Per celebrare l’anniversario vorremmo organizzare qualcosa di un po’ particolare. In genere la nostra attività propone come momento clou dell’anno una serata di narrazione nella sala del Centro Incontri Cortivallo di Sorengo. Lo scorso anno abbiamo organizzato un appuntamento dedicato alle fiabe sarde, mentre due anni fa era stato il turno delle fiabe armene. Per questo ventesimo vorremmo fare qualcosa di speciale, magari una serata dedicata alle fiabe ticinesi». Il programma dei festeggiamenti sarà elaborato a breve. E adattandosi alla caratteristica dell’associazione comprenderà i momenti di approfon-

dimento scientifico e i piacevoli momenti di narrazione vera e propria. Nel frattempo, Pia Todorovic tiene a far sapere che il gruppo delle Intrecciafole, è disponibile ad accogliere nuove forze e a introdurre nel mondo delle fiabe tutti coloro che fossero interessati. Perché le fiabe possono vivere solo così, passando di bocca in bocca. Fissandosi nella memoria dei propri ascoltatori continueranno il loro cammino e, nuovamente raccontate, tramanderanno il loro patrimonio di saggezza e di divertimento. Informazioni

Segnaliamo a chi è interessato al tema la mostra aperta fino a dicembre 2017 al Museo della civiltà contadina di Stabio «Apriti Sesamo. La magia delle fiabe» a cura di Marta Solinas, Veronica Trevisan e Monica Rusconi (www.stabio.ch)


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Società e Territorio

Una visione forte per il territorio Intervista Lo sguardo sullo sviluppo urbanistico del Ticino dell’architetto Andrea Bassi

Stefania Hubmann Ginevra e Ticino, due realtà molto diverse dal punto di vista dello sviluppo urbanistico, caratterizzate però dalla presenza di una medesima forza: l’architettura. Nel Cantone romando questa forza ha radici lontane e negli ultimi vent’anni gli architetti, uniti, si sono impegnati per difenderla. La presenza di un architetto cantonale come pure la diffusione della pratica del concorso sono conquiste che possono ispirare anche il Cantone Ticino. Andrea Bassi, cresciuto a Lugano ma formatosi a Ginevra, è fra i protagonisti di questa generazione di architetti. Dal 2005 nella città sul Lemano è contitolare con Roberto Carella dello studio BASSICARELLA ARCHITECTES, attualmente impegnato anche nella costruzione del nuovo campus universitario SUPSI a Mendrisio. Il progetto si distingue per l’appartenenza alla struttura territoriale, la semplicità e la materialità, concetti chiave dell’operare di BASSICARELLA. In occasione dell’inaugurazione della mostra «Import Geneva, costruire Ginevra: progetti contro sfide» promossa da i2a istituto internazionale di architettura nella limonaia di Villa Saroli a Lugano (aperta fino a domani), Andrea Bassi ha presentato le buone pratiche ginevrine. A margine di questo evento ci ha offerto il suo sguardo sull’evoluzione dell’architettura, con un occhio di riguardo per il Ticino. Arch. Bassi, quali sono oggi le sfide di praticare l’arte del costruire in ambienti altamente complessi come le città?

Costruire per la città e non contro di essa è la formula che il critico di architettura Martin Steinmann utilizza per descrivere un’attitudine di progetto che riconosce nel nostro mestiere un atto di continuità urbana. Direi che la dimensione artistica presente in ogni progetto non rifiuta le regole ma cerca piuttosto di sublimarle. L’architetto non può e non deve distanziarsi dalla complessa realtà che lo circonda, non credo nell’artista solitario, penso al contrario che la libertà la si trovi nella partecipazione. Queste scelte sono completamente condivise con i miei colleghi Roberto Carella, Stefano Marello e Christine Emmenegger. Tale postura riconosce nell’architetto una dimensione di responsabilità nei confronti della collettività. Da sempre i monumenti, gli edifici pubblici e quelli collettivi rappresentano eccezioni che

possono o devono derogare alla regola; noi parliamo del corpo della città quali le abitazioni collettive, i luoghi di lavoro e di servizio. Il mestiere dell’architetto è un lungo percorso di esperienze multiple, più quello di un generalista che quello di uno specialista, un percorso fatto di osservazione e di ascolto nel quale la costanza e la concentrazione sono essenziali per rispondere alla complessità attuale.

glioso di aver potuto rispondere alle aspettative della SUPSI, del Cantone e del Comune di Mendrisio. Grande soddisfazione intima perché ho fatto i miei primi passi nell’architettura studiando all’allora Scuola Tecnica Superiore di Trevano oggi SUPSI DACD. Poter costruire la scuola nella quale ho studiato è il racconto di un bel percorso di vita. Infine, provo grande piacere nel tornare a lavorare in Ticino. Mi sento come un emigrante che ritorna nella sua terra e sente di essere accolto a braccia aperte.

Quale importanza riveste il concorso d’architettura in ambito pubblico e privato?

Qual è, più in generale, il suo sguardo sul territorio ticinese e sulle sue recenti trasformazioni?

Il concorso di architettura è lo strumento ideale che concentra questa sfida alle regole comuni. Si tratta infatti di una competizione nella quale siamo confrontati l’uno all’altro sulle stesse basi di paragone. Se il bando e chi giudica sono ben preparati e coerenti con la responsabilità che incombe loro, il concorso di architettura è un fantastico spazio di libertà per le idee. Grazie al principio di analisi per confronto anche i non specialisti possono farsi un’opinione, anzi il loro avviso è essenziale in quanto permette di introdurre molteplici punti di vista. Il concorso come è praticato da noi da lungo tempo, secondo le regole SIA, è una soluzione valida per ogni tipo di progetto o contesto. Il Canton Ginevra ha da tempo un architetto cantonale, ruolo che si può far risalire all’architetto-urbanista, nonché consigliere di Stato, Maurice Braillard, autore negli anni Trenta del piano direttore cantonale. Qual è oggi il ruolo di questa figura?

La figura dell’architetto cantonale ha un ruolo essenziale nel dibattito professionale e collettivo. Ginevra ha avuto diverse esperienze, non sempre positive, però direi che ha imparato sbagliando. Rispetto al Ticino la realtà territoriale e amministrativa è diversa. Il Cantone ha in effetti un potere decisionale maggiore di quello dei Comuni e della Città. Ciò permette di avere una struttura gerarchica chiara. Inoltre il territorio ginevrino è ridotto e con una struttura semplice, dove l’agglomerazione densa è unica e si trova al centro dello stesso. In Ticino l’architetto cantonale avrebbe quindi un ruolo ancora più difficile, perché dovrebbe integrare una costellazione territoriale più complessa. Mi piace pensare al ruolo federatore che l’architetto Rino Tami ha avuto nella costruzione dell’autostrada in un paesaggio ricco e variegato. Oggi Francesco Della Casa, l’architetto cantonale di Ginevra, ha perfettamente capito il suo ruolo: funge da collimatore di idee e da moderatore, è un ottimo comuni-

Gli architetti Andrea Bassi (a destra) e Roberto Carella con due dei loro progetti ginevrini: il modellino dello studio urbano per il quartiere Praille-Acacias-Vernet e un edificio realizzato a Plan-Les-Ouates.

catore e sa riassumere i diversi livelli di informazione. Noi non lo vediamo come uno specialista o un funzionario, ma come un passatore di idee.

In che misura il Cantone Ticino può ispirarsi al modello ginevrino, considerato un pioniere delle politiche pianificatorie a livello nazionale?

La storia di Ginevra e il suo territorio sono molto differenti da quelli del Ticino e quindi difficilmente comparabili, però vorrei ricordare che un ottimo esempio è dato dal Vallese che ha un architetto cantonale da diversi decenni con un ruolo chiaro e costante. Il Canton Vallese è interessante perché ha una struttura territoriale e giuridica più simile a quella ticinese: una lunga valle con diverse Città e Comuni dotati di uno statuto più indipendente dal Cantone. Per il Ticino ritengo essenziale che politica, amministrazione e associazioni professionali si intendano sul ruolo

dell’architetto cantonale. Quello che si può imparare dalla complessa esperienza di Ginevra è che l’architetto cantonale deve essere una figura risultante da un accordo fra i tre attori sopracitati e non imposto l’uno all’altro. Deve essere una persona che faccia da transizione fra queste entità, sufficientemente indipendente dalle procedure troppo «quotidiane» dell’amministrazione per mantenere una visione ampia sul territorio. Deve infine essere un buon comunicatore e mediatore, in grado di accettare e stimolare la cultura del progetto, quindi i concorsi in generale.

Cosa rappresenta per lei il progetto del campus universitario SUPSI in fase di realizzazione a Mendrisio?

Una grandissima soddisfazione personale, sia professionale che intima. È il risultato di un concorso al quale hanno partecipato architetti di fama nazionale e internazionale, quindi sono orgo-

Il Ticino vive le trasformazioni del suo territorio in maniera comparabile a quello che succede un po’ in tutta la Svizzera. Ho però la sensazione che subisca molteplici conseguenze proprie a un paesaggio ricco e variato, alla situazione di confine con le sue problematiche politiche e sociali, come pure al fatto di essere un grande asse europeo di passaggio in piena mutazione. La fusione dei Comuni poi, pur essendo un fatto positivo, rappresenta una nuova realtà da gestire. Le profonde trasformazioni che investono il turismo, le banche, l’industria e i servizi implicano dal canto loro una visione più complessa dell’orientamento da scegliere. A Ginevra, invece, le banche private, l’orologeria e le organizzazioni internazionali garantiscono al Cantone fondamenta più solide; per il Ticino queste basi sono meno chiare e strutturanti. Mi sembra inoltre che il Ticino abbia gestito meno bene lo zonning, ossia la divisione del territorio per zone urbanistiche funzionali. In quelle che erano le periferie spesso i capannoni industriali si confondono con le abitazioni, gli edifici amministrativi e i centri commerciali. Oggi, nel contesto della città diffusa e della metropolizzazione, tali micro-realtà producono un’eterogeneità priva di qualità. La quasi assenza del disegno dello spazio pubblico e la bassa presenza di trasporti pubblici vengono a complicare ulteriormente la situazione. Ginevra ha adottato di recente il piano direttore cantonale 2030, dopo una lunga trattativa con i Comuni e con una grande coordinazione fra i diversi dipartimenti cantonali. Tale decisione permette oggi una visione forte sul territorio. Il Ticino è in un periodo di trasformazione profonda con un’economia instabile. In questi momenti di incertezza credo che un piano direttore cantonale forte, intimamente in dialogo con i Comuni, sia essenziale per il suo futuro.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Kate DiCamillo, Little Miss Florida, Il Castoro. Da 9 anni In un sovraffollato panorama di dimenticabilissimi romanzi per ragazzi, questo si candida invece a diventare indimenticabile. La sensibilità con cui Kate DiCamillo mette in scena situazioni e pensieri dei suoi giovani protagonisti, rendendoli davvero universali (per lettori piccoli e grandi), è a tratti folgorante. Siamo nell’estate del 1975 (le vicende sono ispirate a episodi biografici) e il concorso Little Miss Florida incoronerà la ragazzina che si sarà distinta per una serie di abilità, tra cui saper far roteare un bastone e aver compiuto delle buone azioni. Raymie, Lousiana e Beverly s’incontrano perché prendono lezioni di twirling dalla stessa insegnante (sembra di vederla, una signora di mezz’età con i capelli «di un biondo lucentissimo» e «gli stivali bianchi»). Raymie partecipa al concorso perché spera che suo padre, se lo vincesse, sarebbe così fiero di lei da far ritorno a casa, lasciando l’igieni-

sta dentale con cui è fuggito. Louisiana spera di vincerlo per avere abbastanza soldi da poter scongiurare i servizi sociali e restare con la sua amata nonna. Mentre Beverly, figlia di un ex reginetta di bellezza ed ex campionessa di twirling (che «adesso non è più né l’una né l’altra. Adesso è solo una che lavora nel negozio di souvenirs»), vuole sabotare il concorso. In realtà quello che le ragazzine faranno sarà stringere un’amicizia solidale ed empatica. Provando a trovare qualche risposta ai grandi interrogativi dell’esistenza. La storia è narrata dalla prospettiva di Raymie, che si fa domande profonde, e che sente la sua anima rimpicciolirsi

o risplendere a seconda del dolore o della gioia che le giornate le procurano. Il dolore per le ferite che tutti noi sperimentiamo ogni giorno è avvertito con compassione illuminante: «Mi dispiace per la tua perdita» non è solo una formula di condoglianze, riflette Louisiana. «Trovo che sia una bella frase. La puoi dire a chiunque in ogni occasione». E anche i personaggi minori si stagliano con forza: dal signor Staphopoulos, l’insegnante del corso per bagnini, che si sta trasferendo e che Raymie saluta per sempre nel parcheggio del supermercato (mentre «il sole scintillava sui carrelli abbandonati»), con tutti i suoi averi stipati sul tetto della macchina e il manichino Edgar, costruito per le esercitazioni di salvamento, seduto sul sedile posteriore; alla signora Sylvester, la segretaria dell’ufficio di assicurazioni del papà di Raymie, con il suo barattolo di caramelle sulla scrivania. Ogni cosa è illuminata, davvero, in questo piccolo romanzo dalla scrittura

asciutta e sapiente. E se la luce sottolinea l’inevitabile malinconia dell’esistenza, ne fa risplendere anche tutti gli aspetti meravigliosi. Silvia Borando, Grande Gatto, Piccolo Gatto, Minibombo. Da 2 anni Dopo il mondo in bianco e nero del delizioso Gatto Nero, Gatta Bianca, Silvia Borando torna a raccontarci una storia di gatti, stavolta entrambi bianchi in un mondo coloratissimo, e differenziati tra loro per la stazza: uno è grande e uno è piccolo, appunto. Tutta la storia, intelligente e giocosa, com’è nello stile Minibombo, si svolge intorno a questi due concetti, che a volte sono concreti (grande ciotola e ciotolina, grande gomitolo e gomitolino...) e a volte sono astratti (grandi discorsi, grande paura, piccolo tentativo, grande determinazione...): se all’inizio grande gatto sembra più importante perché fa le cose in grande, a mano a mano che la storia procede e che questi

due aggettivi prendono vita in vari contesti, si capisce che non c’è valore predeterminato, non è meglio essere grandi o essere piccoli, dipende. Quello che conta è aiutarsi come si può. Le parole sono poche, audacemente precise senza bamboleggiamenti («senza ombra di dubbio», «determinazione», «intrattenne», «si dedicò»), l’uso dei colori e del tratto, così espressivi nella loro assoluta semplicità, rendono il libro adattissimo anche per lettori molto piccoli. Vi consiglio vivamente una visita al bel sito www.minibombo. it, per giocare con i gatti. E di Grande gatto Piccolo Gatto è disponibile anche l’App (su App Store e Google Play).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Società e Territorio

Società e Territorio

«Se le generazioni restano vicine è un vantaggio per tutti»

Il politico e l’esule Libri La storica Sonia Castro ha da poco

pubblicato il carteggio, durato trent’anni, tra Guglielmo Canevascini ed Egidio Reale

Intervista Il 1° aprile l’ex consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf assume la presidenza di Pro Senectute, che quest’anno compie 100 anni. Una conversazione

sulla vecchiaia, sulla solidarietà tra generazioni e su quel che resta della sua passione giovanile per la musica Punk Ralf Kaminski, Sabine Lüthi * Signora Widmer-Schlumpf, Lei aveva dichiarato che dopo le dimissioni dal Consiglio federale si sarebbe ritirata dalla vita pubblica. Perché ora fa un’eccezione con la presidenza di Pro Senectute?

All’epoca dissi che mi sarei presa circa un anno di tempo per decidere cosa avrei fatto in seguito. Nel frattempo ho scelto tre ambiti in cui impegnarmi: il principale e più importante è Pro Senectute. Mi ha sempre interessato quel che si può fare per avere una vita piena anche dopo essere andati in pensione. Inoltre, nei Grigioni sono impegnata nell’assistenza ai giovani e ai bambini con difetti cardiaci, anche perché noi stessi ne abbiamo uno con questo problema. Le questioni poste da Pro Senectute le stanno particolarmente a cuore?

Sì, perché dobbiamo fare in modo che le generazioni conservino una reciproca comprensione. Io stessa sono stata educata così. I nonni hanno ricoperto un ruolo centrale durante la mia infanzia, perché accudivano noi bambini e aiutavano anche i nostri genitori quando erano troppo oberati. In seguito anche mia madre mi ha molto sostenuto con i miei figli, altrimenti non avrei proprio potuto realizzare il mio modello di vita. Se le generazioni restano vicine, tutti ne approfittano. E impariamo anche dai bambini: quando un giorno dissi ai miei genitori che dovevano fare così e basta, intervenne mio figlio che allora aveva 10 anni, dicendomi: «Mamma, adesso devi veramente avere più pazienza con i nonni». Aveva capito meglio di me la loro situazione. Dunque è coinvolta soprattutto per motivi personali ?

Non solo. La politica degli anziani e la previdenza per la vecchiaia mi hanno sempre interessato, in particolare per le questioni sociali che ne derivano.

Cosa fa esattamente come presidente di Pro Senectute?

I miei compiti sono variegati: organizzo e dirigo le riunioni del Consiglio di fondazione, curo i contatti, collaboro ai progetti. Ha qualche obiettivo preciso che vorrebbe raggiungere?

Continuare sulla strada tracciata e dare il mio contributo affinché l’organizzazione si adatti alle esigenze in continua trasformazione. Oggi le persone anziane restano in salute molto più a lungo di prima e allora vogliono restare a casa loro anche se sono già molto vecchie. Perciò dobbiamo continuare a sviluppare sempre nuove forme di sostegno. Per esempio?

Esistono già progetti pilota, ad esempio

Cenni biografici Già consigliera federale e neo-presidente di Pro Senectute

Eveline Widmer-Schlumpf (61 anni) fu eletta in Consiglio federale nel 2007. All’inizio diresse il Dipartimento di giustizia, poi quello delle finanze. Si dimise nel 2015. L’avvocatessa grigionese è figlia dell’ex consigliere federale Leon Schlumpf. È sposata ad un ingegnere civile, ha tre figli e tra poco sei nipoti. Con suo marito si è appena trasferita dalla loro casa unifamiliare di Felsberg (GR) in una cosiddetta casa generazionale nei dintorni.

forme di coabitazione intergenerazionali, in cui fondamentalmente vengono simulate le famiglie numerose di una volta. Mi sembra molto promettente anche la cosiddetta «previdenza tempo», nell’ambito della quale gente giovane o anche giovani anziani assistono persone molto vecchie e come compenso ricevono degli accrediti di tempo da utilizzare a loro volta durante la vecchiaia, quando avranno bisogno di assistenza. Un approccio interessante. Oggi dobbiamo ripensare quello che dovrebbe essere realizzato domani. Se si pensa che nel 2030 gli ultraottantenni che vivranno in Svizzera saranno il doppio di adesso, diventa subito chiaro che ci vogliono anche molti volontari per garantire il sostegno necessario. Organizzazioni come Pro Senectute svolgeranno un ruolo importante in questo campo.

e mi danno molto, anche se talvolta è faticoso. Di recente ho detto al piccolo di cinque anni: ascolta, sono vecchia ed ora mi devi lasciare un po’ tranquilla. Da allora mi chiede sempre se oggi sono vecchia oppure se possiamo fare qualcosa assieme. (ride) Li cura anche suo marito?

Ha sempre dato una mano anche con i nostri figli. Trascorro da sola con i miei nipoti un giorno fisso alla settimana, ma regolarmente li teniamo a casa nostra e in quel caso si impegna molto anche mio marito. Lui è ancora nel pieno della sua vita professionale… E cosa fa con i bambini?

Un sacco di musica. Abbiamo l’organetto svizzero, una pianola, un pianoforte, un clarinetto, flauti e tamburi… Sa suonare tutti quegli strumenti?

Suono il pianoforte, la pianola e il flauto. Agli altri strumenti ci pensa mio figlio, che ha studiato musica. Ovviamente i bambini non sanno ancora realmente suonare, facciamo unicamente un po’ di baccano tutti assieme. A loro piace moltissimo. Altrimenti andiamo fuori e ci muoviamo. Sono una persona di movimento.

Funziona ancora la solidarietà tra generazioni?

In seno alle famiglie questa solidarietà funziona sicuramente, forse anche più di prima. Per molti nonni dare una mano è qualcosa di ovvio. Per contro a livello di società, ossia in un contesto extrafamiliare, sembra che ci sia una maggiore tensione fra le generazioni. Non è una novità, ma di nuovo c’è l’intensità con cui se ne discute. Dobbiamo dedicarvi più attenzione. Anche qui però ci sono già progetti interessanti, come quello in cui scolari e studenti insegnano a usare il computer o l’iPad a persone ultrasettantenni.

Ha già parlato con la sua famiglia di cosa si aspetta quando un giorno anche Lei avrà bisogno d’aiuto?

Usa anche lei questi dispositivi?

Sì, e anch’io ho approfittato molto dei miei figli, che mi hanno sempre aiutato. Non sono, invece, su Facebook e Twitter, perché non sento il bisogno di mostrarmi ed esprimermi continuamente in pubblico. Quando desidero farlo, ci sono altri canali a disposizione.

Quest’anno Pro Senectute compie 100 anni. Qual è la cosa più importante che ha fatto?

La fondazione è stata fondamentale per l’introduzione dell’AVS e in seguito del secondo pilastro. Una volta garantita la previdenza di base, c’è stata la creazione dei vari servizi per gli anziani come li conosciamo oggi, dai corsi di sport fino all’assistenza per la dichiarazione dei redditi e all’offerta di pasti. Il tutto con l’idea di fare invecchiare a casa propria il numero più alto possibile di anziani, possibilmente in modo autonomo e senza isolarli. Anche i più poveri possono permettersi queste prestazioni?

Le tariffe sono veramente basse, così che tutti possono permettersele. Per esempio, nel canton Lucerna un’ora di ginnastica costa 5 franchi, mentre ci si può far compilare la dichiarazione fiscale a partire da 50 franchi. È contenta della decisione del Parlamento sulla riforma della previdenza per la vecchiaia?

Sì, ci vuole assolutamente un pacchetto unico, con una riforma complessiva del primo e del secondo pilastro, affinché ci sia anche una certa equità sociale. Ora però la questione cruciale è come convincere i giovani che questo sistema è talmente buono che potranno beneficiarne in futuro. Adesso è fondamentale dare un segnale che siamo già oggi in grado di realizzare un progetto così vasto e importante. Beninteso, non si tratta di qualcosa per gli anziani di oggi, ma per coloro che raggiungeranno l’età di pensionamento fra dieci, venti o trent’anni. In politica è diventato difficile realizzare grandi progetti?

Sì, sembra proprio che sia diventato

Eveline Widmer-Schlumpf: «In seno alle famiglie la solidarietà funziona bene, forse anche più di prima, per contro a livello di società sembra ci sia una maggiore tensione fra le generazioni». (Lea Meienberg)

tendenzialmente più difficile trovare soluzioni orientate al futuro e non solo per i problemi del momento. Invece di discutere l’attualità fino allo sfinimento, faremmo meglio a confrontarci con quello che sarà importante tra cinque o dieci anni. È proprio ciò che tenta di fare questa riforma. La mia strategia personale a Berna è sempre stata quella di contribuire a trovare soluzioni, anche se forse non erano ottimali sotto ogni aspetto. La cosa fondamentale è che incontrino l’approvazione della maggioranza. Una decisione che forse sarà necessario modificare in seguito è sempre meglio di nessuna decisione. Quanto è forte l’influenza di Pro Senectute su dibattiti del genere?

Pro Senectute si è impegnata molto per il successo della riforma dei due pilastri previdenziali in un pacchetto unico. Ha fornito documenti e calcoli e ha discusso animatamente. La sua influenza cresce se al vertice c’è un’ex consigliera federale?

Era già buona grazie all’ampia rete di contatti della fondazione, come ho potuto constatare di persona quando ero in politica. Non è quindi decisivo chi ne è alla testa.

Che Lei sia ancora influente lo dimostra il suo intervento in occasione della votazione sulla riforma fiscale delle imprese a febbraio. Alcuni riten-

gono che la sua presa di posizione abbia gettato le basi per il successo del no.

Le fondamenta erano già state gettate in Parlamento. Ed io non ho dato alcuna indicazione di voto. L’impatto mediatico mi ha sorpresa, soprattutto perché altri ex consiglieri federali continuano ad esprimersi sui temi d’attualità. Pensa che adesso sarà trovata una soluzione migliore?

Non desidero aggiungere niente sulla questione.

Quanto tempo resterà alla presidenza di Pro Senectute?

C’è un chiaro limite temporale: due mandati di quattro anni ciascuno. In quel caso avrò 69 anni e non posso dire già oggi se resterò in carica così a lungo. Negli Stati Uniti, comunque, si può diventare presidente anche a 70 anni. Segue anche la politica internazionale?

Con grande interesse e sono ancora in contatto con qualche ex collega ministro. L’odierna situazione mondiale la preoccupa? O si tratta solo di un’altra fase destinata a passare?

È davvero preoccupante. Bisogna diventare consapevoli che questa fase di pace e stabilità di cui abbiamo goduto dopo la seconda guerra mondiale anche grazie all’Unione Europea, non è assolutamente scontata. Oggi stiamo vivendo uno

sviluppo che ci porterà molta inquietudine e molte domande, soprattutto per i giovani. Io appartengo alla generazione che probabilmente ha trovato la situazione migliore della Storia. Dopo gli studi potevamo scegliere il posto di lavoro, non dovevamo mai preoccuparci del lavoro, si andava sempre più avanti e più in alto. Abbiamo vissuto in modo molto privilegiato e questo comporta l’obbligo per la mia generazione di preoccuparsi di cosa succederà alla prossima generazione. Dovremmo almeno evitare di caricarla ulteriormente. Come è equipaggiata la Svizzera per far fronte all’attuale instabilità politica internazionale?

Abbiamo uno dei migliori sistemi politici in assoluto, perché è concepito per avere un saldo equilibrio. Forse il pendolo oscilla da una parte o dall’altra, ma alla fine si rimette sempre in equilibrio. Ciò garantisce un’enorme stabilità, che è d’aiuto anche durante questi tempi difficili. È anche per questo motivo che la Svizzera è così attrattiva per le grandi imprese, ancor più che per le imposte basse. Come ha trascorso la Festa della donna?

Partecipando a una tavola rotonda in Turgovia. Si trattava, fra l’altro, dell’importanza di non mettere in contrapposizione tra loro i vari modi di vivere. E

naturalmente, per quanto riguarda la parità uomo-donna, non siamo ancora là dove dovremmo essere. Lo saremo solo quando un uomo, se vorrà, potrà essere un casalingo e un papà a tempo pieno, mentre una donna non dovrà più giustificarsi se esercita un’attività professionale. Quanto ci vorrà ancora?

Penso che attualmente stiamo di nuovo rallentando un po’. A maggior ragione è più importante che mai continuare a discutere di questi temi. Così i giovani sono spronati a rifletterci bene quando iniziano una relazione. Si dovrebbe affermare le proprie aspettative e i propri desideri e non semplicemente sperare che in qualche modo funzionerà. Le manca qualcosa del Consiglio federale?

Le fasi delle mia vita passata sono ormai concluse, non guardo molto all’indietro, preferisco guardare avanti. Nel complesso è stato un bel periodo. Dopo la sua elezione in Consiglio federale l’UDC ha mantenuto una certa ostilità nei suoi confronti. Ciò le ha reso la vita difficile o è diventato un punto a suo favore?

Mi ha creato difficoltà, ma ho imparato a conviverci. Nelle commissioni e in Consiglio federale sono riuscita a lavorare con professionalità anche con l’UDC.

Dove trova sostegno in certe situazioni difficili?

Penso che ho i piedi ben piantati per terra e questo mi aiuta a prendere le distanze e a capire la differenza tra questioni personali e di sostanza. Naturalmente, la mia famiglia mi ha sempre appoggiato e sostenuto come madre lavoratrice. Sebbene facessi volentieri la casalinga, e la faccio tuttora, consideravo importante e prezioso quel lavoro, anche per la mia cerchia familiare. Già prima di sposarci ho discusso con mio marito in quale ambito ognuno di noi desiderava portare il proprio contributo. Per me era chiaro: ci doveva essere sempre abbastanza tempo per i bambini, altrimenti qualcosa sarebbe andato storto. E oggi cura i suoi nipotini.

Regolarmente. Li tengo molto volentieri

Sì, ne discuto in continuazione con i miei figli. È importante che si impari a parlare apertamente anche di cose che non sono forse molto piacevoli. Con mia madre ho visto dove sono i limiti di curare qualcuno a casa. Se si dipende al 100% dal bisogno di cure, queste di solito non possono essere fornite interamente dalla propria famiglia, perché ci vuole del personale qualificato. Perciò, finché mio marito ed io saremo nella possibilità di muoverci ci lasceremo aiutare volentieri dai nostri figli, come a nostra volta abbiamo fatto con i nostri genitori e con i nonni. Se però la situazione peggiora, assumeremo un aiuto professionale e non graveremo sulla nostra famiglia. Pro Senectute può essere di grande aiuto proprio in situazioni del genere.

Un viaggio in treno sulla linea del San Gottardo. Era il 1927. L’allora consigliere di Stato ticinese Guglielmo Canevascini viene avvicinato da altri due passeggeri, due cittadini italiani in esilio in Svizzera. Con uno di loro – Egidio Reale, militante repubblicano e antifascista – nasce proprio sul quel vagone un’amicizia destinata a durare trent’anni e contraddistinta da un fitto scambio epistolare. «Galeotta fu una copia del quotidiano socialista “Libera Stampa” che era in mano a Canevascini mentre viaggiava su quel treno», ci spiega Sonia Castro, professoressa di storia e autrice del volume dedicato proprio al carteggio Canevascini-Reale e intitolato Al di sopra di ogni frontiera. «“Libera Stampa” fu il veicolo per un’intesa spontanea e immediata. Quel giornale era conosciuto dagli antifascisti italiani, anche se ai tempi di Mussolini era bandito in Italia proprio perché era socialista e dichiaratamente antifascista». Per l’aneddoto, perché la storia è fatta anche di piccoli particolari, va ricordato che Canevascini su quel treno non disse ai suoi interlocutori di essere un consigliere di Stato, carica che ricoprì dal 1922 al 1959. Lo fece per discrezione o forse per umiltà, sta di fatto che da quel viaggio nacque una grande amicizia, basata su una comunanza di valori e di visioni, anche se a ben guardare le personalità di Canevascini e Reale erano per certi aspetti ben diverse. «Apparentemente era proprio così,

Berna. Il carteggio prese forma attorno a tre temi principali: l’impegno antifascista, la causa dei profughi di guerra e, una volta terminato il secondo conflitto mondiale, l’attenzione per l’immigrazione italiana in Svizzera. Sull’entrata in guerra dell’Italia Reale scrisse a Canevascini queste parole, in data 16 giugno 1940: «anche il pensiero mi è diventato un tormento, fisso com’è nelle stesse cose dolorose. Non vedo più nessuno e se esco, cammino senza che veda dove vado». Dopo la fine della guerra e dopo il voto storico che in Italia sancì la vittoria della Repubblica sulla Monarchia, Canevascini si rivolse così all’amico, il 14 giugno del 1946: «Non ti dico l’esplosione di gioia all’annuncio del risultato. Ora possiamo guardare all’avvenire dell’Italia con maggiore ottimismo, le difficoltà che la giovine Repubblica deve affrontare sono immense, ma saranno superate, non ne dubito». «Una battaglia per la democrazia che i due amici condussero insieme – fa notare la storica Sonia Castro – In fondo è questo l’impegno che emerge in tutte le loro lettere, quello in difesa dei diritti umani di fronte alla sopraffazione esercitata dai regimi totalitari di quell’epoca». Il carteggio finisce nel 1957, poco prima della morte di Reale. Ma cosa ci lasciano e soprattutto cosa ci dicono oggi quelle loro lettere? «Direi che sono una sorta di monito – ci dice ancora Sonia Castro – per ricordare all’Italia e alla Svizzera, Ticino compreso, l’importanza di saper tessere buoni rapporti diploma-

A quanto pare da giovane Lei era una punk: con tutti gli annessi e connessi?

Sì, quando ero al ginnasio mi truccavo in modo piuttosto pesante. (ride) Per i miei genitori erano tempi duri. Il punk è sinonimo di ribellione: ne è rimasta un po’ in Lei?

Forse nel mio modo di lottare per qualcosa che ritengo giusto e importante. Allora mi ci butto anche se va controcorrente.

Qualche volta ascolta ancora la musica punk?

Questo no. Ma il mio spettro musicale è piuttosto ampio, va dalla classica al jazz fino alla musica folcloristica. E quando i miei nipoti sono da me, a volte ascoltiamo la musica ad alto volume, che è perfetta per scatenarsi. * Redattori di Migros Magazin

Pro Senectute, un secolo per gli anziani Fondata nel 1917, la Fondazione Pro Senectute è la maggiore organizzazione specialistica e di servizi per gli anziani esistente in Svizzera. Dispone di 130 centri di consulenza sparsi in tutto il Paese, dove le persone della terza età ricevono consulenza sociale gratuita. Inoltre, propone corsi di tutti i tipi – dal-

Roberto Porta

la formazione allo sport – e una vasta gamma di prestazioni. Questa offerta viene utilizzata da circa 700’000 pensionati e dai loro congiunti. Dal 1° gennaio 2017 anche la Migros è tra i partner che cooperano con Pro Senectute Svizzera (nel settore del commercio al dettaglio e nella salute). www.prosenectute.ch

Guglielmo Canevascini fu consigliere di Stato dal 1922 al 1959. (Keystone)

per temperamento ma anche e soprattutto per estrazione sociale – sottolinea l’autrice del volume – Canevascini era un autodidatta di umili origini contadine. Reale apparteneva invece ad una famiglia della borghesia pugliese. Si era poi trasferito a Roma per gli studi universitari. Tra i due c’erano comunque molti punti in comune. In primo luogo l’ammirazione per Giuseppe Mazzini, forse il sostrato culturale che li accomunava maggiormente. Anche il socialismo di Canevascini era più di derivazione mazziniana che non marxista, e lo stesso si può dire di Reale, un repubblicano storico». Sono ben 205 le lettere che compongono il carteggio tra il politico ticinese e l’esule italiano, che nel suo periodo in Svizzera abitò prevalentemente in Romandia. Frequenti furono i suoi viaggi in Ticino, dove su incarico del governo tenne diverse lezioni per gli insegnanti delle scuole superiori del cantone. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Reale fu nominato dapprima ministro plenipotenziario e poi ambasciatore italiano a

tici. Due aree di frontiera come le nostre non possono prescindere l’una dall’altra. In questo contesto gli spostamenti delle persone sono inevitabili e anche a volte vitali. Basti ricordare come in relazione all’arrivo in Ticino di esuli italiani si sia sviluppata una stagione culturale e politica molto importante». In questo senso è doveroso ricordare come lo stesso Reale dedicò alcuni saggi proprio alla Svizzera. «Reale – sottolinea Sonia Castro – vedeva nel nostro Paese il nucleo di quello che sarebbe potuta diventare l’Europa. Un’unione su base federalista vista come garanzia per la sconfitta definitiva della guerra. In fondo l’essenza dell’Unione europea di oggi è proprio questa. Non è solo una struttura burocratica ma è anche e soprattutto un progetto, dove l’uso della forza viene sostituito dal diritto». Il volume Al di sopra di ogni frontiera parla anche di questo, della forza del diritto in cui hanno creduto i due protagonisti del carteggio, a cominciare da quell’incontro lungo la linea del San Gottardo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Società e Territorio

Società e Territorio

«Se le generazioni restano vicine è un vantaggio per tutti»

Il politico e l’esule Libri La storica Sonia Castro ha da poco

pubblicato il carteggio, durato trent’anni, tra Guglielmo Canevascini ed Egidio Reale

Intervista Il 1° aprile l’ex consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf assume la presidenza di Pro Senectute, che quest’anno compie 100 anni. Una conversazione

sulla vecchiaia, sulla solidarietà tra generazioni e su quel che resta della sua passione giovanile per la musica Punk Ralf Kaminski, Sabine Lüthi * Signora Widmer-Schlumpf, Lei aveva dichiarato che dopo le dimissioni dal Consiglio federale si sarebbe ritirata dalla vita pubblica. Perché ora fa un’eccezione con la presidenza di Pro Senectute?

All’epoca dissi che mi sarei presa circa un anno di tempo per decidere cosa avrei fatto in seguito. Nel frattempo ho scelto tre ambiti in cui impegnarmi: il principale e più importante è Pro Senectute. Mi ha sempre interessato quel che si può fare per avere una vita piena anche dopo essere andati in pensione. Inoltre, nei Grigioni sono impegnata nell’assistenza ai giovani e ai bambini con difetti cardiaci, anche perché noi stessi ne abbiamo uno con questo problema. Le questioni poste da Pro Senectute le stanno particolarmente a cuore?

Sì, perché dobbiamo fare in modo che le generazioni conservino una reciproca comprensione. Io stessa sono stata educata così. I nonni hanno ricoperto un ruolo centrale durante la mia infanzia, perché accudivano noi bambini e aiutavano anche i nostri genitori quando erano troppo oberati. In seguito anche mia madre mi ha molto sostenuto con i miei figli, altrimenti non avrei proprio potuto realizzare il mio modello di vita. Se le generazioni restano vicine, tutti ne approfittano. E impariamo anche dai bambini: quando un giorno dissi ai miei genitori che dovevano fare così e basta, intervenne mio figlio che allora aveva 10 anni, dicendomi: «Mamma, adesso devi veramente avere più pazienza con i nonni». Aveva capito meglio di me la loro situazione. Dunque è coinvolta soprattutto per motivi personali ?

Non solo. La politica degli anziani e la previdenza per la vecchiaia mi hanno sempre interessato, in particolare per le questioni sociali che ne derivano.

Cosa fa esattamente come presidente di Pro Senectute?

I miei compiti sono variegati: organizzo e dirigo le riunioni del Consiglio di fondazione, curo i contatti, collaboro ai progetti. Ha qualche obiettivo preciso che vorrebbe raggiungere?

Continuare sulla strada tracciata e dare il mio contributo affinché l’organizzazione si adatti alle esigenze in continua trasformazione. Oggi le persone anziane restano in salute molto più a lungo di prima e allora vogliono restare a casa loro anche se sono già molto vecchie. Perciò dobbiamo continuare a sviluppare sempre nuove forme di sostegno. Per esempio?

Esistono già progetti pilota, ad esempio

Cenni biografici Già consigliera federale e neo-presidente di Pro Senectute

Eveline Widmer-Schlumpf (61 anni) fu eletta in Consiglio federale nel 2007. All’inizio diresse il Dipartimento di giustizia, poi quello delle finanze. Si dimise nel 2015. L’avvocatessa grigionese è figlia dell’ex consigliere federale Leon Schlumpf. È sposata ad un ingegnere civile, ha tre figli e tra poco sei nipoti. Con suo marito si è appena trasferita dalla loro casa unifamiliare di Felsberg (GR) in una cosiddetta casa generazionale nei dintorni.

forme di coabitazione intergenerazionali, in cui fondamentalmente vengono simulate le famiglie numerose di una volta. Mi sembra molto promettente anche la cosiddetta «previdenza tempo», nell’ambito della quale gente giovane o anche giovani anziani assistono persone molto vecchie e come compenso ricevono degli accrediti di tempo da utilizzare a loro volta durante la vecchiaia, quando avranno bisogno di assistenza. Un approccio interessante. Oggi dobbiamo ripensare quello che dovrebbe essere realizzato domani. Se si pensa che nel 2030 gli ultraottantenni che vivranno in Svizzera saranno il doppio di adesso, diventa subito chiaro che ci vogliono anche molti volontari per garantire il sostegno necessario. Organizzazioni come Pro Senectute svolgeranno un ruolo importante in questo campo.

e mi danno molto, anche se talvolta è faticoso. Di recente ho detto al piccolo di cinque anni: ascolta, sono vecchia ed ora mi devi lasciare un po’ tranquilla. Da allora mi chiede sempre se oggi sono vecchia oppure se possiamo fare qualcosa assieme. (ride) Li cura anche suo marito?

Ha sempre dato una mano anche con i nostri figli. Trascorro da sola con i miei nipoti un giorno fisso alla settimana, ma regolarmente li teniamo a casa nostra e in quel caso si impegna molto anche mio marito. Lui è ancora nel pieno della sua vita professionale… E cosa fa con i bambini?

Un sacco di musica. Abbiamo l’organetto svizzero, una pianola, un pianoforte, un clarinetto, flauti e tamburi… Sa suonare tutti quegli strumenti?

Suono il pianoforte, la pianola e il flauto. Agli altri strumenti ci pensa mio figlio, che ha studiato musica. Ovviamente i bambini non sanno ancora realmente suonare, facciamo unicamente un po’ di baccano tutti assieme. A loro piace moltissimo. Altrimenti andiamo fuori e ci muoviamo. Sono una persona di movimento.

Funziona ancora la solidarietà tra generazioni?

In seno alle famiglie questa solidarietà funziona sicuramente, forse anche più di prima. Per molti nonni dare una mano è qualcosa di ovvio. Per contro a livello di società, ossia in un contesto extrafamiliare, sembra che ci sia una maggiore tensione fra le generazioni. Non è una novità, ma di nuovo c’è l’intensità con cui se ne discute. Dobbiamo dedicarvi più attenzione. Anche qui però ci sono già progetti interessanti, come quello in cui scolari e studenti insegnano a usare il computer o l’iPad a persone ultrasettantenni.

Ha già parlato con la sua famiglia di cosa si aspetta quando un giorno anche Lei avrà bisogno d’aiuto?

Usa anche lei questi dispositivi?

Sì, e anch’io ho approfittato molto dei miei figli, che mi hanno sempre aiutato. Non sono, invece, su Facebook e Twitter, perché non sento il bisogno di mostrarmi ed esprimermi continuamente in pubblico. Quando desidero farlo, ci sono altri canali a disposizione.

Quest’anno Pro Senectute compie 100 anni. Qual è la cosa più importante che ha fatto?

La fondazione è stata fondamentale per l’introduzione dell’AVS e in seguito del secondo pilastro. Una volta garantita la previdenza di base, c’è stata la creazione dei vari servizi per gli anziani come li conosciamo oggi, dai corsi di sport fino all’assistenza per la dichiarazione dei redditi e all’offerta di pasti. Il tutto con l’idea di fare invecchiare a casa propria il numero più alto possibile di anziani, possibilmente in modo autonomo e senza isolarli. Anche i più poveri possono permettersi queste prestazioni?

Le tariffe sono veramente basse, così che tutti possono permettersele. Per esempio, nel canton Lucerna un’ora di ginnastica costa 5 franchi, mentre ci si può far compilare la dichiarazione fiscale a partire da 50 franchi. È contenta della decisione del Parlamento sulla riforma della previdenza per la vecchiaia?

Sì, ci vuole assolutamente un pacchetto unico, con una riforma complessiva del primo e del secondo pilastro, affinché ci sia anche una certa equità sociale. Ora però la questione cruciale è come convincere i giovani che questo sistema è talmente buono che potranno beneficiarne in futuro. Adesso è fondamentale dare un segnale che siamo già oggi in grado di realizzare un progetto così vasto e importante. Beninteso, non si tratta di qualcosa per gli anziani di oggi, ma per coloro che raggiungeranno l’età di pensionamento fra dieci, venti o trent’anni. In politica è diventato difficile realizzare grandi progetti?

Sì, sembra proprio che sia diventato

Eveline Widmer-Schlumpf: «In seno alle famiglie la solidarietà funziona bene, forse anche più di prima, per contro a livello di società sembra ci sia una maggiore tensione fra le generazioni». (Lea Meienberg)

tendenzialmente più difficile trovare soluzioni orientate al futuro e non solo per i problemi del momento. Invece di discutere l’attualità fino allo sfinimento, faremmo meglio a confrontarci con quello che sarà importante tra cinque o dieci anni. È proprio ciò che tenta di fare questa riforma. La mia strategia personale a Berna è sempre stata quella di contribuire a trovare soluzioni, anche se forse non erano ottimali sotto ogni aspetto. La cosa fondamentale è che incontrino l’approvazione della maggioranza. Una decisione che forse sarà necessario modificare in seguito è sempre meglio di nessuna decisione. Quanto è forte l’influenza di Pro Senectute su dibattiti del genere?

Pro Senectute si è impegnata molto per il successo della riforma dei due pilastri previdenziali in un pacchetto unico. Ha fornito documenti e calcoli e ha discusso animatamente. La sua influenza cresce se al vertice c’è un’ex consigliera federale?

Era già buona grazie all’ampia rete di contatti della fondazione, come ho potuto constatare di persona quando ero in politica. Non è quindi decisivo chi ne è alla testa.

Che Lei sia ancora influente lo dimostra il suo intervento in occasione della votazione sulla riforma fiscale delle imprese a febbraio. Alcuni riten-

gono che la sua presa di posizione abbia gettato le basi per il successo del no.

Le fondamenta erano già state gettate in Parlamento. Ed io non ho dato alcuna indicazione di voto. L’impatto mediatico mi ha sorpresa, soprattutto perché altri ex consiglieri federali continuano ad esprimersi sui temi d’attualità. Pensa che adesso sarà trovata una soluzione migliore?

Non desidero aggiungere niente sulla questione.

Quanto tempo resterà alla presidenza di Pro Senectute?

C’è un chiaro limite temporale: due mandati di quattro anni ciascuno. In quel caso avrò 69 anni e non posso dire già oggi se resterò in carica così a lungo. Negli Stati Uniti, comunque, si può diventare presidente anche a 70 anni. Segue anche la politica internazionale?

Con grande interesse e sono ancora in contatto con qualche ex collega ministro. L’odierna situazione mondiale la preoccupa? O si tratta solo di un’altra fase destinata a passare?

È davvero preoccupante. Bisogna diventare consapevoli che questa fase di pace e stabilità di cui abbiamo goduto dopo la seconda guerra mondiale anche grazie all’Unione Europea, non è assolutamente scontata. Oggi stiamo vivendo uno

sviluppo che ci porterà molta inquietudine e molte domande, soprattutto per i giovani. Io appartengo alla generazione che probabilmente ha trovato la situazione migliore della Storia. Dopo gli studi potevamo scegliere il posto di lavoro, non dovevamo mai preoccuparci del lavoro, si andava sempre più avanti e più in alto. Abbiamo vissuto in modo molto privilegiato e questo comporta l’obbligo per la mia generazione di preoccuparsi di cosa succederà alla prossima generazione. Dovremmo almeno evitare di caricarla ulteriormente. Come è equipaggiata la Svizzera per far fronte all’attuale instabilità politica internazionale?

Abbiamo uno dei migliori sistemi politici in assoluto, perché è concepito per avere un saldo equilibrio. Forse il pendolo oscilla da una parte o dall’altra, ma alla fine si rimette sempre in equilibrio. Ciò garantisce un’enorme stabilità, che è d’aiuto anche durante questi tempi difficili. È anche per questo motivo che la Svizzera è così attrattiva per le grandi imprese, ancor più che per le imposte basse. Come ha trascorso la Festa della donna?

Partecipando a una tavola rotonda in Turgovia. Si trattava, fra l’altro, dell’importanza di non mettere in contrapposizione tra loro i vari modi di vivere. E

naturalmente, per quanto riguarda la parità uomo-donna, non siamo ancora là dove dovremmo essere. Lo saremo solo quando un uomo, se vorrà, potrà essere un casalingo e un papà a tempo pieno, mentre una donna non dovrà più giustificarsi se esercita un’attività professionale. Quanto ci vorrà ancora?

Penso che attualmente stiamo di nuovo rallentando un po’. A maggior ragione è più importante che mai continuare a discutere di questi temi. Così i giovani sono spronati a rifletterci bene quando iniziano una relazione. Si dovrebbe affermare le proprie aspettative e i propri desideri e non semplicemente sperare che in qualche modo funzionerà. Le manca qualcosa del Consiglio federale?

Le fasi delle mia vita passata sono ormai concluse, non guardo molto all’indietro, preferisco guardare avanti. Nel complesso è stato un bel periodo. Dopo la sua elezione in Consiglio federale l’UDC ha mantenuto una certa ostilità nei suoi confronti. Ciò le ha reso la vita difficile o è diventato un punto a suo favore?

Mi ha creato difficoltà, ma ho imparato a conviverci. Nelle commissioni e in Consiglio federale sono riuscita a lavorare con professionalità anche con l’UDC.

Dove trova sostegno in certe situazioni difficili?

Penso che ho i piedi ben piantati per terra e questo mi aiuta a prendere le distanze e a capire la differenza tra questioni personali e di sostanza. Naturalmente, la mia famiglia mi ha sempre appoggiato e sostenuto come madre lavoratrice. Sebbene facessi volentieri la casalinga, e la faccio tuttora, consideravo importante e prezioso quel lavoro, anche per la mia cerchia familiare. Già prima di sposarci ho discusso con mio marito in quale ambito ognuno di noi desiderava portare il proprio contributo. Per me era chiaro: ci doveva essere sempre abbastanza tempo per i bambini, altrimenti qualcosa sarebbe andato storto. E oggi cura i suoi nipotini.

Regolarmente. Li tengo molto volentieri

Sì, ne discuto in continuazione con i miei figli. È importante che si impari a parlare apertamente anche di cose che non sono forse molto piacevoli. Con mia madre ho visto dove sono i limiti di curare qualcuno a casa. Se si dipende al 100% dal bisogno di cure, queste di solito non possono essere fornite interamente dalla propria famiglia, perché ci vuole del personale qualificato. Perciò, finché mio marito ed io saremo nella possibilità di muoverci ci lasceremo aiutare volentieri dai nostri figli, come a nostra volta abbiamo fatto con i nostri genitori e con i nonni. Se però la situazione peggiora, assumeremo un aiuto professionale e non graveremo sulla nostra famiglia. Pro Senectute può essere di grande aiuto proprio in situazioni del genere.

Un viaggio in treno sulla linea del San Gottardo. Era il 1927. L’allora consigliere di Stato ticinese Guglielmo Canevascini viene avvicinato da altri due passeggeri, due cittadini italiani in esilio in Svizzera. Con uno di loro – Egidio Reale, militante repubblicano e antifascista – nasce proprio sul quel vagone un’amicizia destinata a durare trent’anni e contraddistinta da un fitto scambio epistolare. «Galeotta fu una copia del quotidiano socialista “Libera Stampa” che era in mano a Canevascini mentre viaggiava su quel treno», ci spiega Sonia Castro, professoressa di storia e autrice del volume dedicato proprio al carteggio Canevascini-Reale e intitolato Al di sopra di ogni frontiera. «“Libera Stampa” fu il veicolo per un’intesa spontanea e immediata. Quel giornale era conosciuto dagli antifascisti italiani, anche se ai tempi di Mussolini era bandito in Italia proprio perché era socialista e dichiaratamente antifascista». Per l’aneddoto, perché la storia è fatta anche di piccoli particolari, va ricordato che Canevascini su quel treno non disse ai suoi interlocutori di essere un consigliere di Stato, carica che ricoprì dal 1922 al 1959. Lo fece per discrezione o forse per umiltà, sta di fatto che da quel viaggio nacque una grande amicizia, basata su una comunanza di valori e di visioni, anche se a ben guardare le personalità di Canevascini e Reale erano per certi aspetti ben diverse. «Apparentemente era proprio così,

Berna. Il carteggio prese forma attorno a tre temi principali: l’impegno antifascista, la causa dei profughi di guerra e, una volta terminato il secondo conflitto mondiale, l’attenzione per l’immigrazione italiana in Svizzera. Sull’entrata in guerra dell’Italia Reale scrisse a Canevascini queste parole, in data 16 giugno 1940: «anche il pensiero mi è diventato un tormento, fisso com’è nelle stesse cose dolorose. Non vedo più nessuno e se esco, cammino senza che veda dove vado». Dopo la fine della guerra e dopo il voto storico che in Italia sancì la vittoria della Repubblica sulla Monarchia, Canevascini si rivolse così all’amico, il 14 giugno del 1946: «Non ti dico l’esplosione di gioia all’annuncio del risultato. Ora possiamo guardare all’avvenire dell’Italia con maggiore ottimismo, le difficoltà che la giovine Repubblica deve affrontare sono immense, ma saranno superate, non ne dubito». «Una battaglia per la democrazia che i due amici condussero insieme – fa notare la storica Sonia Castro – In fondo è questo l’impegno che emerge in tutte le loro lettere, quello in difesa dei diritti umani di fronte alla sopraffazione esercitata dai regimi totalitari di quell’epoca». Il carteggio finisce nel 1957, poco prima della morte di Reale. Ma cosa ci lasciano e soprattutto cosa ci dicono oggi quelle loro lettere? «Direi che sono una sorta di monito – ci dice ancora Sonia Castro – per ricordare all’Italia e alla Svizzera, Ticino compreso, l’importanza di saper tessere buoni rapporti diploma-

A quanto pare da giovane Lei era una punk: con tutti gli annessi e connessi?

Sì, quando ero al ginnasio mi truccavo in modo piuttosto pesante. (ride) Per i miei genitori erano tempi duri. Il punk è sinonimo di ribellione: ne è rimasta un po’ in Lei?

Forse nel mio modo di lottare per qualcosa che ritengo giusto e importante. Allora mi ci butto anche se va controcorrente.

Qualche volta ascolta ancora la musica punk?

Questo no. Ma il mio spettro musicale è piuttosto ampio, va dalla classica al jazz fino alla musica folcloristica. E quando i miei nipoti sono da me, a volte ascoltiamo la musica ad alto volume, che è perfetta per scatenarsi. * Redattori di Migros Magazin

Pro Senectute, un secolo per gli anziani Fondata nel 1917, la Fondazione Pro Senectute è la maggiore organizzazione specialistica e di servizi per gli anziani esistente in Svizzera. Dispone di 130 centri di consulenza sparsi in tutto il Paese, dove le persone della terza età ricevono consulenza sociale gratuita. Inoltre, propone corsi di tutti i tipi – dal-

Roberto Porta

la formazione allo sport – e una vasta gamma di prestazioni. Questa offerta viene utilizzata da circa 700’000 pensionati e dai loro congiunti. Dal 1° gennaio 2017 anche la Migros è tra i partner che cooperano con Pro Senectute Svizzera (nel settore del commercio al dettaglio e nella salute). www.prosenectute.ch

Guglielmo Canevascini fu consigliere di Stato dal 1922 al 1959. (Keystone)

per temperamento ma anche e soprattutto per estrazione sociale – sottolinea l’autrice del volume – Canevascini era un autodidatta di umili origini contadine. Reale apparteneva invece ad una famiglia della borghesia pugliese. Si era poi trasferito a Roma per gli studi universitari. Tra i due c’erano comunque molti punti in comune. In primo luogo l’ammirazione per Giuseppe Mazzini, forse il sostrato culturale che li accomunava maggiormente. Anche il socialismo di Canevascini era più di derivazione mazziniana che non marxista, e lo stesso si può dire di Reale, un repubblicano storico». Sono ben 205 le lettere che compongono il carteggio tra il politico ticinese e l’esule italiano, che nel suo periodo in Svizzera abitò prevalentemente in Romandia. Frequenti furono i suoi viaggi in Ticino, dove su incarico del governo tenne diverse lezioni per gli insegnanti delle scuole superiori del cantone. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Reale fu nominato dapprima ministro plenipotenziario e poi ambasciatore italiano a

tici. Due aree di frontiera come le nostre non possono prescindere l’una dall’altra. In questo contesto gli spostamenti delle persone sono inevitabili e anche a volte vitali. Basti ricordare come in relazione all’arrivo in Ticino di esuli italiani si sia sviluppata una stagione culturale e politica molto importante». In questo senso è doveroso ricordare come lo stesso Reale dedicò alcuni saggi proprio alla Svizzera. «Reale – sottolinea Sonia Castro – vedeva nel nostro Paese il nucleo di quello che sarebbe potuta diventare l’Europa. Un’unione su base federalista vista come garanzia per la sconfitta definitiva della guerra. In fondo l’essenza dell’Unione europea di oggi è proprio questa. Non è solo una struttura burocratica ma è anche e soprattutto un progetto, dove l’uso della forza viene sostituito dal diritto». Il volume Al di sopra di ogni frontiera parla anche di questo, della forza del diritto in cui hanno creduto i due protagonisti del carteggio, a cominciare da quell’incontro lungo la linea del San Gottardo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Gli gnocchi del professore Si dice (è quasi una banalità) che ormai in tutto il mondo si parli inglese. Un momento: si parla un inglese che sta a quello del Bardo come il muggito di una vacca sta al Rigoletto di Verdi. Due o trecento parole bastano ed avanzano per andare dappertutto, col paradosso che l’inglese di Sua Maestà lo parlano ormai in pochi e lo capiscono ancora in meno. A chi come chi scrive è capitato di lavare i panni nel Tamigi per una trentina d’anni ed impiega termini desueti anche per i sudditi isolani è già capitato di sentirsi dire che non parla inglese-inglese bensì una strana variante arcaica difficile da comprendere. Tant’è: quando uno studente giapponese dell’Università di Kobe mi spiegò che la sera, al party conclusivo del corso al quale avevo contribuito come docente, si sarebbero mangiati gli gnocchi fatti dagli studenti stessi sotto la guida di un mio collega, pure lui italiano, credevo di non aver capito. E invece era proprio così. Per una qualche ragione il profes-

sore in questione se ne era uscito con l’espressione «ridi ridi che la mamma ha fatto i gnocchi» (sì, con la «i» come da modo di dire originale) e pure l’aveva condita con una ricca esegesi. Non chiedetemi come mai si fosse arrivati lì né tantomeno in che modo il detto fosse stato tradotto in inglese internazionale. Fattostà che la cosa (il concetto?) aveva fatto colpo sul corpo discente al punto che gli studenti avevano richiesto a gran voce che «gli gnocchi» diventassero la pièce de résistence del menù serale. Al mio collega il coraggio non manca: andare in giro per Kobe alle cinque di pomeriggio a cercar di comprare patate e farina di frumento per fare gli gnocchi della mamma è impresa non da poco. Le patate, quando si trovano, vengono vendute in sacchettini griffati molto design che contengono due-tre tuberi in formato mignon. E la farina di frumento – in Giappone – è rara come le cartacce per strada. E fu così che l’appartamento che ci ospitava per la

festa di fine corso divenne una fabbrica di gnocchi. Organizzazione capillare nipponica, studenti in squadre miste allineati che poco ci mancava ciascuna cantasse il suo inno, il Professore a dar ordini e spiegare le meraviglie della dieta mediterranea – e via: in men che non si dica c’era farina dappertutto. Tanto tuonò che piovve: gnocchi di patate a centinaia che sembravano non finire più. Credo che i nostri studenti, adusi ad una dieta parca, parchissima e minimalista, non avessero mai mangiato tanto in vita loro. Eccetto alcuni. Uno in particolare mi aveva colpito: scrutava il contenuto della sua ciotola con atteggiamento di chi non sappia decidersi. Il primo gnocco gli era scivolato dalle bacchette ed era finito per terra. Il secondo era stato masticato lentamente con evidente poco entusiasmo. Solo, in un angolo, faceva un po’ tristezza. Decido di fare il gastrosamaritano (io che, peraltro, dopo aver assaggiato il primo gnocco mi ero per prudenza trincerato

sulla linea dei sushi) «Allora? Ti piacciono?». Mi guarda con uno sguardo triste, impallidisce (?) di vergogna poi si ricompone, accenna ad un sorriso e dunque s’inchina: «Veryverygood! Buonissimi! Straordinari! Superlativi!» – e comincia a far viaggiare le bacchette a velocità supersonica. Ciotola svuotata in un’amen. Mi sembra patriottico spezzare una lancia a favore della cucina mediterranea e dico: «Guarda che non sono proprio come dovrebbero essere…». Mi guarda un po’ sospettoso, da sotto in su. Carico l’asso: «… forse perché non li ha fatti la Mamma». Sorride e sembra convinto. Lo lascio sollevato. E convinto della sua missione civilizzatrice era anche il Signor Motoyama, che più che uno chef sembrava un Pirata della Malesia, ma cosa ci vuoi fare. La sua specialità era la Cucina Mondiale – World Cuisine. O meglio: lo sarebbe diventata quando in un paio d’anni avrebbe portato a compimento Parte

Seconda del progetto che lo vedeva impegnato da anni. Da anni, infatti, girava il mondo in moto (sic) e per mantenersi nei viaggi faceva il cuoco. Aveva così imparato a cucinare 192 piatti delle tradizioni nazionali dell’orbe intero: corroborava la sua Relazione con una diapositiva che esibiva le foto di tutte le 192 frecce al suo arco. Immaginatevi un gigantesco McDonald dove ci siano 192 opzioni gastropornofotografiche naturalmente tutte uguali, come si conviene. Ora il Progetto entrava nella Parte Seconda: imparati a cucinare i piatti della tradizione mondiale avrebbe cominciato a fonderli gli uni con gli altri (fusion il termine esatto) al fine di produrre la prima autentica World Cuisine della Storia. Mi volto a guardare i colleghi italiani: uno è impietrito, l’altro piange. All’intervallo del Convegno allungo la mia carta da visita al Signor Motoyama: sul retro ho scritto l’indirizzo web con la ricetta degli gnocchi – ma quelli mondiali della Mamma.

una decisione quanto, piuttosto, una impossibilità. Una seconda gravidanza non è sopraggiunta nonostante, mi sembra di capire, lei l’abbia desiderata e cercata. Dov’è la colpa? La nostra cultura pecca spesso di onnipotenza mentre, di fronte a certe imposizioni del destino, non resta che accettare gli eventi con umiltà. Non tutto quanto accade dipende da noi, dalla nostra volontà, molto ci sfugge e resta segreto. Dispiace inoltre che il desiderio di sua figlia sia rimasto inappagato, ma nessuno ottiene tutto quello che vorrebbe e, spesso, le carenze costituiscono il motore della vita. Probabilmente ciò che le è mancato come figlia lo otterrà come madre perché, come sono solita sostenere, ci è sempre concesso un «secondo tempo». Per un paradosso dell’amore, ciò che non ci è stato dato si può ottenere offrendolo agli altri. Peccato invece che il rapporto tra il padre e la bambina sia stato ridotto ai minimi termini. Incontrarsi una volta all’anno non consente un vero e proprio legame filiale. Ho riscontrato spesso questo rammarico nelle confidenze di donne che erano cresciute senza aver accanto una figura

paterna. Nel libro Quando i genitori si separano: le emozioni dei figli, Oscar Mondadori, una racconta che, mentre si recava all’altare al braccio dello zio, si è voltata indietro cercando ancora una volta suo padre e l’altra che, dopo la nascita del primo figlio, ha atteso assurdamente che, come nonno, si facesse vivo. Lo dico non per rimproverarla (ognuno fa quello che può) ma per sensibilizzare chi sta per separarsi e, stanco di trattare con l’ex coniuge, preferisce pensare che i figli stiano bene così, accanto a un solo genitore. Perciò, se possibile, convinca sua figlia a riallacciare i rapporti col padre. Spesso il tempo è un buon consigliere e permette di recuperare quanto la vita aveva disperso. Anche per il suo secondo matrimonio valgono le considerazioni precedenti: non a tutti capita di incontrare un nuovo partner e di poter iniziare una nuova narrazione di sé, della propria vita. Come diceva Pablo Neruda, voltandosi indietro: «in fondo ho vissuto». Mi fanno molto più pena le esistenze vuote, le identità senza racconto, le occasioni mancate: meglio avere rimorsi che rimpianti. La vita umana si è fatta così lunga

che, a cinquant’anni, resta ancora molta strada da fare. Purché non si continui a inciampare nei «se»: se avessi fatto, se fossi stata, se… Quello che è stato è stato; ma il futuro è una pagina bianca ed è su quella che lei può ricominciare a scrivere, ancora una volta, il suo romanzo familiare, trovando parole nuove perché il tempo scorre e non ci è mai concesso, come sapevano gli antichi, bagnarci due volte nella sua acqua. Cara Marisa, grazie di essere entrata nella «stanza del dialogo», dove trova tutta la nostra comprensione. Possiamo comprenderci in quanto ogni vita è unica, diversa da le altre ma, alla fine, tutte si assomigliano. Come scrive il grande psicoanalista Donald Winnicott: «Non dobbiamo pensare che la natura umana sia cambiata. Dobbiamo piuttosto cercare l’eterno nell’effimero».

dall’ONU, in occasione della giornata mondiale della felicità, (sì, esiste anche quella) ha pubblicato l’elenco dei paesi da considerare, statisticamente, i più felici. Fra i quali, figuriamo anche noi, in quarta posizione, dopo Norvegia, Islanda e Danimarca. Un attestato da prendere con moderata soddisfazione, consapevoli che, nel nostro paese di certo ordinato e benestante, la felicità non sembra di casa. Basta guardarsi attorno. Le facce imbronciate dei nostri concittadini, e ticinesi in prima fila, trasmettono ben altri sentimenti. Insomma, credere o non credere ai verdetti delle ricerche? Al di là dei limiti di risultati opinabili, sta di fatto che, qui, ci si trova alle prese con un fenomeno scientifico, culturale e professionale in continua espansione. Si allarga la sfera delle cose e dei comportamenti misurabili e cresce la schiera degli addetti ai

lavori. Il ricercatore e la ricercatrice è diventato un iter professionale attraente, che comporta un certo prestigio, ed è persino di moda. Tant’è vero che, fra le parole maggiormente usate sul piano mondiale, lo scorso anno, figuravano proprio ricerca e ricercatore. Ma, oltre che una promettente occasione di lavoro, la ricerca è diventato un hobby che, in Svizzera, si dirige verso la genealogia familiare. Una scelta, a prima vista insolita, non campata in aria però. Coincide, infatti, con la decantata riscoperta delle proprie radici e serve da antidoto alla globalizzazione e alla cultura multietnica. Il «Sonntagsblick», che questi umori li fiuta, dedicava, domenica scorsa, un servizio a questa «Ricerca dei propri avi su sponde infinite». Si tratta, infatti, di un viaggio interminabile che può riservare sorprese e persino delusioni.

Si parte animati dalla curiosità e, non da ultimo dall’affetto e dall’orgoglio nei confronti di nonni, bisnonni, trisavoli, e via numerando, uomini e donne che, nell’immaginario collettivo, appartenevano a un passato virtuoso. Grandi fatiche e magari grandi talenti, come nel caso dei ticinesi, artigiani, architetti, scultori che lasciarono tracce gloriose in mezz’Europa. Basta fare il nome del Borromini. Senonché, frugando negli archivi e nei registri parrocchiali, si possono ritrovare figure di antenati non precisamente esemplari. Vagabondi, ladruncoli, perdigiorno, insomma la pecora nera, presente anche nelle famiglie d’antan. Intanto, anche questo hobby ha creato un fiorente settore commerciale. Con 2000 franchi è possibile ottenere il proprio albero genealogico con tanto di stemma.

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Cinquant’anni, tempo di bilanci Carissima Silvia alla soglia dei miei 50 anni mi sento un po’ delusa, come se la vita mi avesse sempre dato e poi tolto; incomincio a tirare le somme di ciò che ho costruito o piuttosto «distrutto». Due matrimoni falliti, una figlia meravigliosa di 17 anni avuta dal primo marito, poi con il secondo matrimonio volevamo un figlio, che non è mai arrivato. E, poiché per mio marito era importante avere un figlio suo, ci siamo lasciati. Eravamo sposati da 10 anni, e ora stiamo divorziando. La cosa che mi fa più male è che, involontariamente, ho fatto soffrire mia figlia. Parlando con lei, ho percepito che le sarebbe piaciuto avere una sorellina o fratellino. Ho capito dalle sue emozioni che il padre le è mancato (lui vive in un altro cantone dove si è rifatto una famiglia), anche se sostiene di no! Quando ci siamo lasciati aveva 2 anni, siamo rimasti in buoni rapporti, ogni tanto si telefonano e si vedono una volta all’anno. Mi ritrovo a pensare: ma se avessi fatto, ma se fossi stata… e così, mi ritrovo stanca, stanca di non aver fatto le scelte giuste, e forse a pagarne è stata proprio mia figlia, e questo mi fa molto male! La saluto con affetto / Marisa

Cara Marisa, il suo affetto è ricambiato perché la fiducia che lei manifesta nei miei confronti mi commuove e mi impegna. Lei sta attraversando un periodo della vita straordinariamente intenso perché, a cinquant’anni, si allontanano gli anni della giovinezza matura e si apprestano quelli della maturità avanzata. Questo snodo ci induce a tratteggiare bilanci e, come sanno gli psicoanalisti, abbiamo tutti la tendenza a sopravvalutare le ombre a scapito delle luci o, in altri termini, a vedere il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno. Lei definisce « falliti» i suoi due matrimoni ma, prima di concludersi, devono essere stati contratti e, quando ci si sposa, lo si fa sempre di fronte a un orizzonte positivo, animato dalla fiducia e dalla speranza. Dal primo matrimonio è nata una figlia «meravigliosa», un dono della vita da non sottovalutare, soprattutto in tempi così conflittuali quando, tra genitori e figli, vige spesso una tensione sotterranea che ostacola la comunicazione e inaridisce l’affettività. Ora lei si rammarica di non averle dato un fratellino o una sorellina, ma non mi sembra sia stata

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio La ricerca, tentazione multiuso Non passa giorno senza la sua ricerca. Ci si sta abituando a una razione quotidiana di statistiche, graduatorie, valutazioni che dovrebbero contribuire a vederci chiaro. Invece, succede l’opposto. L’eccesso di messaggi ne sminuisce l’impatto e crea un circolo vizioso che giustifica spontanee reazioni di rifiuto e di scetticismo. E, per finire, i risultati e le graduatorie di indagini persino ambiziose, frutto del lavoro di specialisti, accreditati da università e istituzioni autorevoli, perdono credibilità, si prestano addirittura al ridicolo. L’avallo di Harvard o della nostra Supsi non basta per salvare una ricerca, ormai estesa a qualsiasi ambito, dal pericolo della banalità e della contraddizione. Sembra, infatti, di assistere a una sorta di gioco, una scommessa sul «fa bene o fa male» che, da un’indagine all’altra, rovescia le conclusioni. Dal caffè al cioccolato,

dal vino al sale, dagli integratori ai surgelati, dalla carne rossa alla farina bianca, si sprecano gli esempi di cibi passati dalla condanna all’assoluzione. Ma la lente della ricerca incombe ormai su ogni ambito, anche quelli meno traducibili in cifre. Ecco che, la settimana scorsa, una squadra di studiosi presso l’università di Warwick (Regno Unito), dopo approfondite osservazioni, è giunta alla conclusione che «dormire bene contribuisce al benessere fisico e psicologico». Bella scoperta, verrebbe da dire, ma non è il caso di ironizzare. La notizia trova una conferma ufficiale su «Sleep», rivista che affronta il tema del sonno, dal profilo scientifico, precisando che «una buona dormita è come vincere al lotto», senza peraltro dimostrarlo. Mentre, spostandosi su un piano socio-psicologico, il World Happiness Report, patrocinato


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Ambiente e Benessere Digestivo ma pure eccitante Sono innumerevoli le applicazioni e le virtù terapeutiche del rosmarino

Bacco made USA Lo Stato di New York conta circa 125 aziende vinicole, nonostante il clima non ideale pagina 17

Un villaggio fluttuante Reportage dall’interno delle case galleggianti del Lago Tempe nel sud dell’isola di Sulawesi, in Indonesia

Tornerà l’alborella Per ripopolare il Lago di Lugano si farà capo alla piscicoltura cantonale di Brusino Arsizio

pagina 18

pagina 14

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Dentro le polveri fini

Aria e salute Mirco Moser ci parla delle

Elia Stampanoni Se ne è parlato tanto ma poi, come capita spesso, il problema delle polveri fini e dell’inquinamento dell’aria torna a interessare meno i media e la gran parte della popolazione. O almeno fino alla prossima occasione. Forse è anche giusto che sia così: si tratta in fondo solamente di polvere che diventa minacciosa quando è sospesa nell’aria, perché a quel punto riesce a penetrare nei polmoni. Si chiamano polveri fini, sottili o PM10 (le particelle hanno diametro inferiore ai dieci micrometri) e sono l’ingrediente principale di quello che è anche definito smog invernale. Quell’inquinamento che in Ticino ha fatto tanto discutere la settimana scorsa, e prima ancora a febbraio quando, in seguito al superamento delle soglie stabilite dal decreto antismog per le concentrazioni delle PM10, sono state attuate alcune misure d’urgenza. Limitazioni del traffico, mezzi di trasporto pubblico gratuiti e altre prescrizioni sono infatti state diramate dal Dipartimento del territorio, che già a inizio del periodo invernale aveva sensibilizzato la popolazione con diversi comunicati di prevenzione. Ma le misure precauzionali non sono bastate, anche e soprattutto perché la meteorologia ha contribuito in modo determinante a creare una situazione particolarmente favorevole all’accumulo di polveri fini nell’atmosfera. La situazione critica, a cui la pioggia caduta dopo quasi 70 giorni di siccità ha aiutato a mettere fine, è infatti tipica di questi mesi, quando l’inversione termica impedisce il circolo dell’aria e favorisce l’accumulo delle particelle, trasformandole in una minaccia per la salute e l’ambiente. Durante l’inversione, l’aria è stratificata e il rimescolamento delle masse d’aria è limitato o annullato, sia verticalmente sia orizzontalmente a causa dell’assenza di vento. Ciò significa che le emissioni locali si accumulano sempre di più, senza disperdersi e con un accumulo progressivo che s’aggrava di giorno in giorno, raggiungendo valori critici in tempi relativamente brevi. La meteorologia è dunque determinante e, infatti, si osserva che a parità d’emissioni le concentrazioni possono variare da

5 a 120 µg/mc nel giro di alcuni giorni, unicamente in seguito alle differenti condizioni di vento e d’inversione termica. Anche intervenire sulle emissioni ha però un senso e di notte, quando le fonti d’inquinamento sono minori, si nota di fatto come i valori calino ciclicamente. Le principali fonti sono i trasporti (stradali, ferroviari, aerei e lacustri), l’industria, l’artigianato, le economie domestiche, l’agricoltura e la selvicoltura. I trasporti contribuiscono alla formazione delle PM10 attraverso l’emissione dei gas di scarico, ma soprattutto mediante l’abrasione e l’usura di freni e pneumatici. Per questo anche i veicoli elettrici sono toccati dalla limitazione di velocità prevista dalle misure d’urgenza inserite nel decreto del 23 novembre 2016. Misure che scattano al superamento, in almeno due stazioni di rilevamento, dei 90 µg/mc, mentre con il superamento per due giorni consecutivi dei 100 µg/mc entrano in vigore il divieto di circolazione per gli autoveicoli Euro3 e la promozione del trasporto pubblico (gratuito). A 120 µg/mc entra infine in vigore il divieto d’utilizzo di caminetti a legna secondari. A Mirco Moser, capoufficio dell’Ufficio dell’aria, del clima e delle energie rinnovabili, abbiamo posto alcune domande La situazione creatasi in Ticino a gennaio è un segnale di cui preoccuparsi?

I valori rilevati a Chiasso e Mendrisio nella giornata di martedì 31 gennaio non si registravano in Ticino da oltre 15 anni e possono considerarsi insoliti, ma ancor più straordinaria è la rapidità con cui i valori sono saliti. In quanti giorni si è passati da una situazione normale a una di emergenza?

La situazione è peggiorata rapidamente, passando in appena due giorni da valori al di sotto dei 50 a ben oltre i 90 µg/mc, valore limite per l’adozione delle misure d’emergenza. Il Mendrisiotto è davvero svantaggiato rispetto al resto del Ticino?

Assieme alla piana del Vedeggio, il Mendrisiotto è una regione ad alto insediamento abitativo e anche la più industrializzata e trafficata di tutto

Ufficio dell’aria, del clima e delle energie rinnovabili

polveri fini che tanto hanno preoccupato e continuano a preoccupare in Ticino

il cantone. Confina inoltre con due province italiane densamente abitate e altamente industrializzate come Como e Varese. Come valutate l’effetto delle misure messe in atto?

L’effetto è da considerarsi positivo: l’applicazione delle misure d’urgenza ha contribuito a ridurre di oltre il 30% le emissioni derivanti dal traffico. In seguito a questo calo pure le misurazioni hanno subito un sensibile arresto, assestandosi sui livelli raggiunti o addirittura diminuendo. Nelle citate località di Mendrisio e Chiasso il primo febbraio sono per esempio stati misurati valori di 139 e rispettivamente 160 µg/mc. Sono previste misure di prevenzione per evitare il ripetersi della situazione?

Le misure di prevenzione sono sempre valide e ognuno può dare il proprio contributo alla limitazione delle emissioni di sostanze inquinanti in

atmosfera, non solo per le PM10 e non solo durante i periodi d’emergenza. Quanto dannosi possono risultare i giorni d’allerta per la salute della popolazione ticinese?

Difficile da dirsi. Gli effetti dannosi delle polveri fini sulla salute si esplicano soprattutto sul lungo termine (cronicità). Un nesso tra PM10 e salute è comunque innegabile. La natura aiuta con la pioggia per pulire l’aria. Quali sono le misure a disposizione del Cantone?

Più che di pioggia parlerei di cambiamento significativo delle masse d’aria. Infatti, anche la rottura dell’inversione termica permette un altrettanto netto miglioramento. Le misure d’urgenza relative alla restrizione del traffico motorizzato possono in ogni caso essere attuate per un massimo di otto giorni. Quelle di tipo ambientale (divieto di accensione fuochi all’aperto, fissazione della temperatura a 20°C negli edifici

dell’amministrazione cantonale o divieto d’uso di impianti a legna secondari) possono invece rimanere in vigore fintanto che i valori delle concentrazioni medie giornaliere delle PM10 scendono al di sotto della soglia dei 75 µg/mc. L’inquinamento dell’aria non è dovuto solamente alle polveri fini e l’anno 2016, per quanto attiene alle medie annuali di PM10, non ha dato grossi problemi. Com’è lo stato generale dell’aria in Ticino?

La qualità dell’aria sta migliorando in Ticino e i rilievi a lungo termine lo dimostrano. Certo si deve fare ancora molto, soprattutto a livello individuale cambiando certe abitudini. Informazioni

Ufficio dell’aria, del clima e delle energie rinnovabili, via Franco Zorzi 13, 6500 Bellinzona, tel. 091 814 29 70, www.ti.ch/aria


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Ambiente e Benessere

Rosmarino, un amico fedele Fitoterapia I grandi tesori racchiusi da sempre in una comunissima pianta

Quando ci si sente stanchi o esauriti, magari indeboliti da fastidiosi ma indefiniti piccoli disturbi, si può facilmente correre alla ricerca di qualche rimedio esotico e portentoso senza accorgersi che può essere inutile cercare lontano: sulla soglia di casa cresce una pianta dalle straordinarie proprietà, generosa e onnipresente, umile e preziosa. Può essere ospitata sul balcone, nell’orto, in giardino, ai bordi delle aiuole, ovunque. Forse per questo abbiamo cessato di apprezzarla.

Il rosmarino in fitoterapia è utile negli stati di depressione, esaurimento psicofisico, stanchezza generale Derivato dal latino ros (rugiada) e marinus (marino), il rosmarino è originario del bacino del Mediterraneo, (uno dei suoi habitat preferiti è ad esempio la Liguria, ma non solo) cresce sino a 1500 m s.l.m., ha un arbusto legnoso, ramificazioni con tipiche foglie resinose e aghiformi, inserite due a due, e l’aroma è assolutamente unico, immediatamente riconoscibile. Questa pianta necessita di calore e luminosità per crescere, per maturare il prezioso olio essenziale che racchiude. Innumerevoli le applicazioni e le virtù terapeutiche del rosmarino. Grazie ai suoi principi attivi, ha proprietà eccitanti e toniche, digestive e diuretiche: è utile negli stati di depressione, esaurimento psicofisico, stanchezza generale. L’olio essenziale contiene tannino, pinene, borneolo, canfora, cineolo, acido rosmarinico e altre componenti antiossidanti che contrastano l’invecchiamento delle cellule. Come tutte le

piante, racchiude dosi più o meno elevate di calcio, potassio, ferro, sodio, fosforo e molti altri minerali. Il modo migliore per utilizzare il rosmarino è la tisana, come decotto o infuso. A differenza dell’infuso che si prepara semplicemente versando acqua bollente sulla droga (il termine tecnico che in fitoterapia indica la parte della pianta medicinale fresca o essiccata) il decotto si ottiene con la breve cottura di 10-15 minuti in acqua bollente di un cucchiaio di fiori e foglie freschi o essiccati. Bevuti prima o dopo i pasti, sia il decotto e sia l’infuso sono digestivi, drenanti e sgonfianti. Esiste poi la Tintura madre idroalcolica (la macerazione della pianta fresca o essiccata in acqua e alcol) che è impiegata come diuretico e tonico negli stati di astenia e debilitazione, nelle cefalee, nelle emicranie, nei disturbi della digestione e del fegato. È stata dimostrata la sua azione stimolante dell’attività della corteccia surrenale e una migliore reattività alle condizioni di stress. (Driope – Trattato di Fitoterapia, di Gabriele Peroni). Distillando l’essenza vegetale in corrente di vapore si estrae invece l’olio essenziale, da usarsi con prudenza perché in forti dosi diventa tossico. A tal proposito non si smetterà mai di insistere: le erbe sono prodotti della natura ma non per questo sono prive di rischi, mai quindi farne uso senza aver consultato un farmacista esperto, un erborista, un fitoterapeuta. L’olio essenziale è indicato ad esempio nei casi di astenia, stanchezza, reumatismi. Per uso esterno ha molte applicazioni: in soluzione alcolica viene usato per massaggi antidolorifici contro dolori muscolari e nevralgie. Con l’olio essenziale siamo nel grande regno dell’aromaterapia: una ricerca australiana (dal «Corriere del Ticino» del 5 gennaio 2016) ha esaminato su vasta scala gli effetti dei diversi odori e aro-

Thor

Eliana Bernasconi

mi sul comportamento umano dimostrando come questi possano evocare ricordi profondi, addirittura modificare il modo in cui le persone pensano. Questa rinnovata credibilità verso l’aromaterapia apre strade potenziali nel trattamento di stress, aggressività, perdita di memoria e sintomi di demenza. Gli antichi da sempre bruciavano il rosmarino come un’essenza sacra nelle cerimonie funebri o nuziali al pari dell’incenso; e in particolare i romani lo utilizzavano nei templi. Ancora oggi si può diffonderne l’aroma negli ambienti riscaldando l’essenza negli appositi bruciatori, restano eternamente attive le sue proprietà balsamiche, rigeneranti e purificanti. Rami di rosmarino possono essere immersi nell’acqua bollente per un bagno stimolante e tonico per la circolazione; indicato anche per i bambini. Uno dei rimedi più forti per rinforzare i capelli e favorirne la crescita si ottiene bollendo gli aghi e lasciandoli riposare: il decotto andrà poi massaggiato sui capelli senza sciacquarli. Superfluo, poi, è il dilungarsi sul ben noto uso del rosmarino come spezia in cucina, mentre in cosmetica entra a livello industriale nella fabbricazione di dentifrici, profumi, collutori. Nel 1522 un Herbolario così si rivolgeva alle donne: «Per provocare i mestrui e generare fare fomenti ai genitali con decotto di rosmarino e melissa», mentre in un Codice miscellaneo in latino volgare conservato a Genova e raccolto sul finire del 400 troviamo scritto: «Il vino di rosmarino cura l’umor nero, il fiato puzzolente, sana le donne sterili e tiene lontane le pestilenze, guarisce le ferite e aguzza l’appetito, è ottimo contro il catarro, la febbre quartana e quotidiana. Se qualcuno ha assunto un veleno faccia un bagno nel rosmarino fiorito e si risanerà. Il rosmarino è utile anche contro le tigne di abiti e manoscritti».

Sedric, ovvero l’auto che non si guiderà più Motori Volkswagen ha presentato a Ginevra il suo veicolo a trazione elettrica e a guida totalmente autonoma Mario Alberto Cucchi Si chiama Sedric e sotto i riflettori di Ginevra ha conquistato molti cuori. Sedric non è un’attrice alle prese con la registrazione di un film sulle sponde del lago Lemano. Sedric è l’acronimo di «Self driving car». Si tratta di un prototipo realizzato da Volkswagen e presentato in anteprima mondiale al salone dell’auto di Ginevra, che ha da pochi giorni chiuso i battenti. Sedric è un veicolo a trazione elettrica e a guida autonoma di livello 5, il grado più avanzato secondo la scala messa a punto dalla SAE (Society of Automotive Engineers) e rico-

nosciuta da tutti i costruttori di auto. Il livello 5 prevede che il sistema elettronico che controlla l’auto non richieda mai l’intervento umano ai comandi del mezzo a prescindere dalla situazione. Insomma a bordo di Sedric non si guida più! Le quattro poltrone dedicate a ospitare i passeggeri sono tutte rivolte verso il centro dell’auto come in un salotto, e al tragitto ci pensa il veicolo a guida autonoma. Un po’ come quando nel telefilm Supercar il bolide nero Kit portava a spasso David Hasselhoff. Il prototipo tedesco è un progetto sviluppato a Potsdam in Germania dal Future Center Europe del Gruppo Volkswagen, in collaborazione con il

loro centro ricerche di Wolfsburg. A bordo non mancano Laser, Lidar, radar e telecamere e anche delle piante per purificare l’aria dell’abitacolo, amplificando l’effetto dei grandi filtri al carbone di bambù. Il parabrezza è un ampio schermo a realtà aumentata che viene utilizzato per la comunicazione e l’intrattenimento. Gli ingegneri ritengono che Sedric potrebbe essere un ottimo mezzo per la mobilità di gruppo, il Car Sharing. Utilizzabile come se fosse un taxi, ma senza il conducente. Quando necessario, lo si chiama, magari utilizzando un App sul cellulare ed ecco che arriva a prenderti. Gli automobilisti che non

vogliono rinunciare a possedere la propria auto, possono però condividere le capacità di guida autonoma con il resto della famiglia. Ad esempio, Sedric potrebbe andare in autonomia a prendere i bambini a scuola. Oppure recarsi a prendere un famigliare per accompagnarlo agilmente a vari appuntamenti. Esteticamente sembra un piccolo vagone della metropolitana: il cofano è sparito e il pianale è basso per salire più facilmente. La carrozzeria è monolitica e nasconde un vano batterie piatto posizionato a centro veicolo e un motore elettrico compatto situato a livello delle ruote. «Da qui al 2025 Volkswagen pre-

senterà 30 nuovi modelli elettrici» spiega Matthias Mueller, amministratore delegato del Gruppo tedesco. «L’elettrificazione della gamma e la guida autonoma andranno avanti di pari passo». Difficile da credere? Forse sì, però i tedeschi negli ultimi anni ci hanno abituati bene: centrano i loro obiettivi automobilistici e fanno quel che promettono. Ad esempio sino a pochi anni fa nessuno voleva credere che un costruttore come Porsche potesse produrre auto ibride ed elettriche. Oggi le Porsche ibride sono realtà e la Casa di Zuffenhausen sta investendo circa un miliardo di Euro per realizzare il suo primo modello totalmente elettrico che debutterà nel 2020.


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Ambiente e Benessere

Quel che mangia Babette Gastronomia Dal Potage di tartaruga alle Cailles en sarcophage à la perigourdine Allan Bay Una gentile lettrice mi chiede informazioni su due piatti presenti nel mitico film Il Pranzo di Babette (1987 – una scena nella foto): forse il più bel film di tutti i tempi dedicato al cibo. Un film che, va da sé, amo moltissimo. Eccole. Potage di tartaruga. I potages clairs sono consommé, cioè brodi chiarificati, di carne, pesce o verdura, talvolta arricchiti con una guarnizione. Quindi il potage di tartaruga è un brodo di tartaruga chiarificato arricchito con dadini di carne di tartaruga e profumi vari, fra i quali tradizionalmente si utilizzava lo sherry Amontillado, delicato e ambrato. Era un grande piatto della cucina internazionale, diffuso in Francia ma anche in Gran Bretagna, Stati Uniti, Cina e un po’ in tutto il mondo. Tuttavia solo (o quasi) in Francia il brodo veniva chiarificato, altrove invece no e la preparazione era più paragonabile a una zuppona. Quella di tartaruga, era una carne ricercata e cara. Per questo – concedetemi questo dato curioso – in Gran Bretagna preparavano questo «piatto» con procedure simili, utilizzando però carni diverse, offrendo a conti fatti sia una mock turtle soup (finta zuppa di tartaruga) con guance di vitello, sia una oxtail soup (di coda di manzo), popolarissima preparazione. Oggi è un piatto che non esiste più. La tartaruga mediterranea, la Caretta Caretta, è semi estinta e protetta da anni, come pure quella verde, green turtle, caraibica. In Cina ci sono tanti allevamenti di tartaruga, però non viene esportata: i cinesi la usano per la carne e per la loro industria farmaceutica con tanta abbondanza che non ne avanza per l’export. Quanto ai possibili sostituti, direi che la guancia di vitello è (quasi) perfetta mentre il pollo sa troppo di pollo: per cui il risultato ottenuto è ottimo, ma si tratta di un’altra cosa.

Certo, anche il serpente andrebbe bene, ma non è facile da suggerire – e da trovare… Cailles en sarcophage à la perigourdine. Questo è il piatto cuore del pranzo di Babette, quello che tutti ricordano. Per molti è ormai quasi il simbolo della grande cucina classica. Le cailles, le quaglie, pesano circa 100 g l’una. Di sostanza ce n’è poca, di sapore dipende se sono state allevate e come sono state allevate; di magia ce n’è, nonostante tutto, tanta. Dato che sono così piccoline, vanno mangiate con le mani. In alternativa si possono disossare, farcire e cuocere: mangiarle sarà più facile. Se farcite, la cottura arrosto è perfetta. Il sarcophage non è che un volau-vent, fatto con la pasta sfoglia. Tradizionalmente venivano servite, in Francia, anche in un nido di patate: patate tagliate a filetti, inserite in un doppio stampo che ben le comprimeva in una trama fitta simile, appunto, a un nido, e fritte. Fra trovare questo stampo e i vol-au-vent, è di certo più facile la seconda ipotesi, cioè trovare o fare i vol-au-vent. Una preparazione si chiama «à la perigourdine» se viene utilizzata la salsa perigueux, una salsa al Madera (che è un vino liquoroso) addizionata di tartufo nero. Più classico, nella cucina francese classica, non si può. Ma attenzione! Permettetemi di ricordare che la prima volta che vidi il Pranzo di Babette, notai una cosa al volo (ero in un cinema, non c’era il telecomando stop and rewind): ovvero notai che le quaglie venivano aggiunte da crude nei vol-au-vent che poi venivano messi a cuocere in forno. È un grave errore: i liquidi interni delle quaglie, fuoriuscendo nella cottura, infradicerebbero la base del vol-auvent distruggendolo. Non ho avuto cuore, rivedendo il film in cassetta, di controllare se quella mia impressione fosse corretta. Non fatelo neanche voi: sono cose che succedono, in un montaggio… La magia di questo piatto resta comunque inalterata.

CSF (come si fa)

E visto che siamo in tema, ecco come si fanno le quaglie en sarcophage, sia nella versione classica sia in quella sontuosa. Per 4 persone: 8 quaglie disossate, 8 fette di pancetta, 4 grossi vol-au-vent, 60 g di funghi spugnole o porcini, 60 g di fegatini di pollo, scalogno, timo, vino bianco, burro, sale e pepe. Per la salsa: 800 g di ritagli di quaglia arricchiti con ritagli di pollo, 1 cipolla,

1 carota, 1 gambo di sedano verde, 1 mazzetto guarnito, pepe, chiodi di garofano, vino tipo Madera, 30 g di tartufi neri. Per la salsa. Mettete in una pentola i ritagli con: cipolla, carota, gambo di sedano (mondati), qualche grano di pepe bianco, 4 chiodi di garofano e il mazzetto guarnito. Versate un litro di acqua e portate al bollore. Lasciate sobbollire a fuoco basso schiumando il brodo di tanto in tanto, eliminando al meglio, con un cucchiaio, il grasso che si raccoglie in superficie. Dopo 1 ora di cottura eliminate le verdure e cuocete ancora per 30’. Alla fine spegnete, lasciate intiepidire, scolate e filtrate con un colino coperto con una mussola. Quando è freddo mettete in frigorifero. Il giorno dopo eliminate il grasso che si sarà solidificato sulla su-

perficie, unite 2 bicchieri di Madera, Porto o Marsala e fate ridurre fino a ottenere circa 200 g di salsa. Lavate i fegatini e affettateli. Mondate i funghi e spezzettateli. In una casseruola rosolate i fegatini con burro per 2’. Aggiungete uno scalogno tritato, un pizzico di timo e i funghi e fate saltare a fuoco vivo per 2’. Spegnete, lasciate intiepidire e frullate. Riempite ogni quaglia con questa farcia e avvolgetela in una fetta di pancetta. Disponete le quaglie in una pirofila imburrata e cuocete in forno a 200° per 20’. Ritiratele dalla pirofila, tenetele in caldo e deglassate il fondo di cottura con la salsa, poi unite il tartufo nero tagliato a fettine e regolate di sale e di pepe. Adagiate 2 quaglie in ogni volau-vent, nappate con la salsa e passate in forno a 180° per 5’.

Ballando coi gusti Oggi due semplici bruschette, ovvero pane a fette tostato e guarnito. Usate il pane che volete, non necessariamente il classico pancarré

Bruschette con verdure

Bruschette con funghi e carne

Ingredienti per 4 persone: 600 g di verdure a piacere · 2 spicchi di aglio · 1 ciuffo di

Ingredienti per 4 persone: 400 g di funghi misti · 200 g di carne trita abbastanza grassa · 1 scalogno · 2 spicchi di aglio · 1 ciuffo di prezzemolo · ½ bicchiere di vino bianco secco · 4 fette di pane · burro · sale e pepe.

prezzemolo · 4 fette di pane · olio di oliva · sale e pepe.

Mondate le verdure e tagliatele in misura omogenea nella forma che volete. Scaldate in una padella 1 filo di olio con 1 spicchio di aglio mondato e leggermente schiacciato e rosolate le verdure: mettendo ovviamente prima quelle più coriacee, che richiedono tempi di cottura più lunghi, e dopo quelle più tenere. Alla fine profumate con prezzemolo e regolate di sale e di pepe. Tostate le fette di pane, strofinatele con il secondo spicchio di aglio, distribuitevi sopra le verdure e servite.

Mondate e tritate finemente lo scalogno. Scaldate in una padella una noce di burro con uno spicchio di aglio mondato e leggermente schiacciato e lo scalogno tritato, unite la carne e rosolatela per 10’. Aggiungete i funghi mondati e spezzettati, fate insaporire, sfumate col vino e fate cuocere per una decina di minuti o fino a quando i funghi non avranno buttato fuori tutta la loro acqua. Alla fine profumate con prezzemolo e regolate di sale e di pepe. Tostate le fette di pane, strofinatele con il secondo spicchio di aglio, distribuitevi sopra il composto e servite.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Ambiente e Benessere

I vini di New York e del Nord-Est

Bacco giramondo Lo Stato nordamericano cerca di competere a livello nazionale e internazionale con i migliori cru

Davide Comoli La regione che oggi forma lo Stato di New York fu toccata per la prima volta da Giovanni da Verrazzano nel 1524, ma fu solo dal 1609 che cominciò l’esplorazione e poi la colonizzazione della stessa. Nel cosiddetto «polmone verde» che si affaccia sui laghi Ontario ed Eire, accanto ai cereali, ai foraggi, agli ortaggi e ai numerosi tipi di frutta, trova lo spazio anche l’uva, sia pure con molte difficoltà ambientali, poiché diversi vitigni che derivano da ceppi europei non vi possono essere coltivati. Si è però in larga parte ovviato all’inconveniente creando diversi ibridi, ottenuti mediante incrocio di viti indigene con quelle europee. Famosi sono diventati gli incroci creati dall’ibridatore Seibel, che ha messo a punto le uve Aurora, De Chaunac e Chelois, mentre un altro specialista, Seyve Villard, ha creato il vitigno Seyval Blanc, particolarmente adatto alle regioni nord-orientali degli USA. L’uva maggiormente coltivata nell’Ohio e nello Stato di New York, è l’Aurora, molto resistente alla peronospora e all’oidio, capace di sopportare le basse temperature invernali, che alle volte si protraggono sino a tarda primavera. Purtroppo in questi casi un’eccessiva stasi vegetativa della pianta può essere molto dannosa, sino a portare alla perdita del raccolto. Un posto di rilievo, viene tutt’ora riservato all’uva Concord, l’antenata delle uve americane: è una varietà indigena appartenente alla famiglia delle Vitis labrusca, dal colore rosso scuro,

dal sapore accentuato di tipo foxy (pelo bagnato), dalla quale si ricava un vino non troppo gradito al nostro palato europeo. Molto usata un tempo, ma ora molto in regresso è un’altra uva indigena americana: l’Isabella, ora quasi totalmente soppiantata dalla Chelois. A questi aggiungiamo un altro ibrido che si è ben ambientato: il Baco Noir (usato nell’Armagnac) dal quale si ricava un vino rosso abbastanza accettabile. Senza dimenticare l’uva Catawba il cui abbondante residuo zuccherino riesce a mascherare un po’ le marcate note foxy. Nel 1976 però, la situazione incominciò a cambiare grazie alla Farm Winery Act, la legge che permise di ridurre il costo delle licenze e che permise ai piccoli produttori con la produzione di meno di 240mila bottiglie di vendere direttamente ai consumatori il loro prodotto. Oggi tuttavia la superficie vitata si sta riducendo con l’espianto di vitigni di Vitis labrusca, sostituiti in parte da ceppi di ibridi come Aurora, Cayuga White, Seyval Blanc e Vidal Blanc tra i bianchi, il Baco Noir e lo Chaunac tra i rossi, ma anche da ceppi di Vitis vinifera introdotti alla fine degli anni Sessanta dall’Europa, come Chardonnay, Riesling, Gewürtztraminer, Cabernet Sauvignon. Oggi più di 85 piccole aziende vinicole sono sparse nei territori della New England, New Jersey, Pennsylvania e Maryland. New York, con circa 125 aziende vinicole e nonostante un clima sfavorevole alla viticoltura, cerca di competere a livello nazionale e internazionale con i migliori vini.

spumanti con i vitigni Chardonnay, Riesling, Vignoles e Seyval Blanc, ma abbiamo anche provato degli ottimi Cabernet Sauvignon. L’AVA Lake Eire è la più grande dello Stato di New York e copre circa 8500 ettari vitati, qui si coltivano soprattutto vitigni autoctoni e le uve vengono usate per gelatine e succhi. Il clima è influenzato dalle acque del lago, che in primavera e in autunno svolge una funzione di volano termico, consentendo alle uve di raggiungere al meglio la maturazione. In inverno le abbondanti precipitazioni nevose formano una spessa coltre di neve che protegge le viti dalle temperature molto basse. La regione dei Finger Lakes, resta il principale fornitore di vino di New York City; questa regione di laghi e colline (e in inverno di ruscelli ghiacciati), è piena di charme ed è meta di apprezzate escursioni di fine settimana. Il paesaggio viticolo è dominato dai ceppi ibridi. La regione presenta la più grande varietà di ceppi. Le wineries continuano a vinificare i vitigni «labrusca» come: Delaware, Diamond, Dutchess, Elvira, Isabella o Niagara per i bianchi, Concord, Ives o Steuben per i rossi. Troviamo pure molti ceppi ibridi come: Aurora, Cayuga, Seyval Blanc, Vignoles per i bianchi e Baco Noir, Chambourcin, Chancellor, Rosette e Villard Noir per i rossi. Nessuno di questi è però di qualità convincente, meglio un Nostranello dei nostri grotti. Bisogna tuttavia ammettere che grazie ai ceppi europei (francesi) s’incomincia a bere abbastanza bene anche negli States.

Una scena di vendemmia in un vigneto sul Hudson River, incisione su legno del 1867. (Keystone / Collezione Granger)

Lo Stato di New York è oggi il secondo produttore di vino negli USA (circa 18mila ettari) e comprende sei AVA, rese possibili grazie alla presenza di oceano, fiumi e laghi, dove il clima fresco è molto adatto alla produzione di vini per la spumantizzazione. Gli inverni piuttosto rigidi continuano però a frenare gli investimenti sui vitigni europei, meno resistenti alle basse temperature. Vengono quindi preferiti i ceppi ibridi che abbiamo sopra elencato. Due sono le denominazioni, Hamptons e North Fork, sull’isola di Long Island, dove l’Atlantico assicura un clima temperato, si coltivano ceppi di origine bordolese, ma problemi finanziari

hanno impedito un consolidamento delle cantine. L’AVA Hudson River, ospita alcune cantine storiche degli USA, la regione si trova a nord della metropoli di New York, qui la vite viene coltivata da più di tre secoli. La viticoltura è legata al vitigno Concord e ad altre varietà autoctone, usate soprattutto per succhi di frutta, gelatine e per la produzione dei vini Kosher (Royal Kedem e Manischewitz), e ora s’incominciano anche a produrre dei discreti Chardonnay. L’AVA Cayuga Lake, il più orientale di tutti, è una piccola sotto-denominazione, il suolo ricco di depositi minerali dona ai vini aromi e caratteristiche particolari, si producono ottimi vini

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Il villaggio che danza sulle acque Reportage Indonesia: impressioni dalle case galleggianti del lago Tempe

Simona Dalla Valle, testo e foto La vivace città di Sengkang, un tempo capitale del regno dei Bugi, oggi è un affollato scalo commerciale della regione a sud-ovest dell’isola indonesiana di Sulawesi. La città conserva tuttora un carattere autentico e diverse tradizioni culturali come la tessitura della seta e le variopinte cerimonie nuziali buginesi, celebrate ancora oggi secondo gli antichi costumi con danze e orchestre tradizionali. Il lago Tempe è lo specchio d’acqua più esteso di Sulawesi. Ubicato tra la placca continentale australiana e quella euroasiatica, è attraversato da numerosi uccelli migratori che affollano i cieli sopra al lago, soprattutto nella suggestiva ora di punta del tramonto, rendendolo una destinazione popolare per ornitologi e amanti della natura. È possibile navigare le acque del lago a bordo di lunghe barche appuntite, dette katinting, e visitare quanto il lago e le sue coste hanno da offrire: la prima parte del percorso, che nella sua interezza è lungo circa sette chilometri, avviene nelle acque del sungai Walanae a Sengkang, il fiume che attraversa la città, sormontato da ponti e circondato da edifici, stazioni di servizio e garage per barche a motore. Successivamente il fiume si apre in un delta e in poco meno di un’ora di navigazione in una sorta di sentiero vegetale attraverso le piante acquatiche che crescono sul lago, si iniziano a intravedere le tipiche abitazioni galleggianti, che formano il villaggio di Salotangah. Non di rado vi si incontrano pescatori, bambini che fanno il bagno o donne che lavano i vestiti. La popolazione del lago è amichevole e ospitale, e in cambio di una piccola offerta le donne del villaggio, che in genere si occupano della casa e della cura dei figli, offrono una tazza di tè e degli ottimi pisang goreng (frittelle di banana) a tutti i visitatori che arrivano ogni giorno. Ogni mattina accompagnano i figli a scuola a Sengkang a bordo di un’imbarcazione e si fermano al mercato a vendere il pesce. Gli uomini si dedicano per lo più alla pesca e all’essiccamento del pesce, oltre che alla manutenzione delle case. Il villaggio è composto all’incirca

da trenta case galleggianti, le quali necessitano di un tempo di costruzione di circa due settimane. Prima le palafitte sono conficcate nel terreno, in modo che le piante acquatiche si sviluppino in verticale e non in orizzontale lungo la superficie del lago. Le prime tre abitazioni sono state costruite nel 1985. Osservando il lago da lontano, si può notare come tutte le case siano rivolte nella stessa direzione: questo fenomeno è causato dal vento, che sposta di continuo le costruzioni. Quando i venti cambiano direzione, le case iniziano a ruotare e l’intero villaggio si sposta

sull’acqua, provocando un costante mutamento dei «quartieri». All’abbassarsi della marea, le case più vicine ai confini del villaggio vengono lentamente spostate verso il centro e si avvicinano alle altre, creando un agglomerato più stretto. Ogni volta che vengono costruite delle nuove abitazioni, la loro struttura è eretta direttamente sul lago al di sopra di una casa già esistente, e una volta completata è spostata a livello dell’acqua. Le famiglie che vi abiteranno sceglieranno poi un punto dove posizionarla e la affrancheranno a una palafitta.

Non tutti gli abitanti del lago vivono nelle case galleggianti durante tutto l’anno. Alcune famiglie, infatti, approfittano dei periodi di alta marea per abitare nelle case galleggianti e vivere di pesca, mentre si spostano nell’entroterra dove si dedicano all’agricoltura quando il lago si ritira, occupandosi così della coltivazione di mais, legumi e verdura. Questo stile di vita rende l’abitazione un mezzo per lo sfruttamento sostenibile delle risorse del lago, e la casa stessa diventa parte della funzione economica dell’intero sistema buginese. Abitare in queste case costituisce una parte fondamentale del processo di adattamento, da parte della comunità, alle risorse naturali dell’ambiente del lago Tempe e della zona circostante, e l’utilizzo dei vari settori dell’abitazione è regolamentato dal governo locale, allo scopo di mantenere l’armonia e la sostenibilità del rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente in cui essi vivono: per questo motivo un’intera area delle case è utilizzata per la conservazione e l’essiccamento del pesce, ed è mantenuta separata dalle stanze da letto e dall’area a uso strettamente domestico. Le case galleggianti hanno una struttura semplice. I pavimenti in canne di bambù sono tenuti insieme da funi e, a causa dei movimenti provocati dal vento e dalle maree, sono soggetti a un rapido deterioramento, perciò sono

rinnovati ogni due anni. A fianco di ogni casa vi è una latrina esterna, che scarica nelle acque del lago. L’acqua da bere e per cucinare viene portata dalla terraferma, ma per lavarsi e per le pulizie si utilizza l’acqua del lago. Il 23 agosto di ogni anno si svolge il Maccera Tappareng, il festival del lago, che consiste in una cerimonia per purificare le acque del lago. All’evento i partecipanti indossano l’abito tradizionale buginese, il baju bodo e si scatenano nella danza maggiri, anche conosciuta come danza bissu, l’ermafrodita: a praticarla è un uomo travestito da donna, il quale secondo la tradizione fa da tramite tra i mortali e gli dei. La zona di Sengkang, tra Bone e Pare-Pare, è stata scoperta solo di recente dai turisti stranieri, che in genere visitano Sulawesi per i rituali dei Tana Toraja o per le magnifiche spiagge delle isole Togian, al nord. Secondo i geologi il Danau Tempe, questo il nome del lago in lingua bahasa, era un tempo un golfo che collegava la zona meridionale del Toraja e il resto del sud di Sulawesi. Nel corso dei secoli i due lembi di terra si sono unificati e il golfo ha lasciato posto all’attuale lago, anch’esso probabilmente destinato a una lenta scomparsa.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Mondoanimale A breve il Dipartimento del territorio del canton Ticino adotterà puntuali misure

di ripopolamento dell’alborella nel lago Ceresio

9 «L’alborella riveste un ruolo di primaria importanza sia dal punto di vista faunistico, sia da quello ecologico. Purtroppo però, negli ultimi anni nelle acque pedemontane a sud dell’Arco alpino questo pesce osseo è stato confrontato con situazioni critiche che hanno minacciato la sopravvivenza della specie»; così il Dipartimento del territorio ticinese introduce la volontà di attuare misure di ripopolamento delle alborelle nel lago Ceresio. «Lago di Lugano nel quale possiamo considerarla specie estinta», rincara Tiziano Putelli, responsabile tecnico dell’Ufficio caccia e pesca, al quale chiediamo di spiegarci l’importanza di questo pesciolino e i plausibili motivi della sua sparizione dalle acque dei nostri laghi. «In realtà, non è scomparsa in tutti i laghi, ma la sua presenza è sostanzialmente diminuita a causa di fattori variabili di lago in lago; di fatto, nel Verbano, l’alborella, ancorché rarefatta, ha mantenuto una presenza costante e ora si assiste a un incoraggiante recupero, con un importante incremento degli esemplari, insieme a imponenti aree di frega, come ad esempio nel tratto terminale del fiume Tresa». Indubbio il suo valore nella biodiversità: «Si tratta di una specie ittica che si nutre di zooplancton e, perciò, sta alla base della piramide alimentare, come primo anello fra la biomassa planctonica e quella ittica. In buona sostanza, l’alborella si nutre di plancton ed è a sua volta il “pesce-foraggio” dei grossi predatori come il lucioperca, il pesce persico, il luccio, senza dimen-

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nylon molto fine 4 (da90,3 a 0,8 mm), della dimensione in funzione del pesce che ospitano; sul Ceresio abbiamo copiato N. 50 per GENI questo sistema utilizzato sul lago Lemano per il salmerino e per i coregoni, mentre adattare alle 2 oggi lo vogliamo 5 alborelle per le quali avremo reti fini una 1 6 con 3luce interna4che attira lo zooplancton; le poseremo alla profondità dove se ne trova parecchio, fino a meno 3 5 metri, così la luce interna attirerà il 20 plancton durante la notte e le alborelle 7 potranno nutrirsi in un luogo protetto. Questo sistema permetterà di comprimere i tempi della in 4 1 5 stabulazione 3 piscicoltura e di liberare i pesciolini in Al momento nel breve tempo, appena avranno 1 acquisiLago di Lugano to sufficienti capacità natatorie per sol’alborella 6 8 pravvivere». 7 un 3 è data per estinta. Sarà scelto punto lontano dai (Keystone) grandi predatori, strutturato con rifu4 6 dell’habitat 7 gi e caratteristiche dell’alticare il nutrimento degli uccelli ittio- don di cui si alimenta il lucioperca, da Da qui la volontà del Dipartimento borella: «Un grande deposito di fascine fagi». notare che entrambi questi pesci non del territorio di varare, a breve, la prima 4 di ramaglia 8 con interstizi piccoli2a faPutelli ricorda che fino alla metà fanno parte in origine della fauna itti- fase del ritorno alle immissioni regolari vorire il rifugio per i piccoli pesci, ma degli anni Novanta nel Ceresio si pe- ca dei due grandi nostri laghi Verbano delle alborelle: «Si ricostruirà un nuovo non per i grandi predatori, più la ghiaia 51laper scava ancora qualche tonnellata di al- e Ceresio, ma sono stati involontaria- ceppo di riproduttoriN. presso pisci- GENI a creare condizioni favorevoli, speranborelle: «Poi, di colpo, nel 1997 abbia- mente immessi». Tornando all’albo- coltura cantonale di Brusino Arsizio, do che l’alborella rimanga in quella Giochi per “Azione” - Febbraio 2017 mo assistito a un calo drastico e non se rella, oggi si intensificano gli sforzi per attraverso la cattura e il trasferimen1 zona e lì torni2a riprodursi». 9 7 Ancora Sargentini ne sono più viste». Secondo l’esperto, la riuscire a riportarla nel Ceresio: «Quale to diStefania un nucleo di alborelle adulte del altre azioni sono al vaglio del Cantone tesi della scomparsa è multifattoriale e (N. contromisura alladella tendenza di spari9 - Il portatore accola olimpica)Verbano». Dal canto suo, 2Putelli spiega 4 e della 6Confederazione: «Dobbiamo ancora non del tutto chiara: «I numero- zione-estinzione, fino al 2012, presso inoltre che per il futuro novellame della ancora identificare ulteriori misu1 2 3 4 6 si esperti chinatisi sul problema hanno la piscicoltura cantonale di 5 Brusino piscicoltura saràF sfruttata I L la I possibiliP P O re, come ad esempio potrebbe essere 5 potuto osservare la fluttuazione del- Arsizio si è 7provveduto all’allevamentà «data da un maggior accrescimento il trasferimento di letti di ghiaia8 con 8 I R I S R T la presenza di alborelle tra lago e lago, to di uno stock di alborelle adulte con attraverso la stabulazione per qualche uova di alborelle dal Verbano al Cere9 10 A Tflottanti O S considerando i diversi laghi ticinesi immissioni annuali del suo novellame mese nelle gabbie realizzate 3 E R sio; inoltre vogliamo valutare9se e come 5 11 12 e del nord Italia; questo ci fa pensare a nel lago Ceresio». Purtroppo il nostro nel 2012 a Lugano L inEzona Belvedere». R A D E migliorare il transito, se c’è, tra i due 14 15 16 una somma di differenti cause per cia- 13 interlocutore spiega17 pure che, succeslaghi, affinché 8via». 9sia l’alborella 4 2stessa a riS Si U provvederà, L L A infine, F aI predisporL A scun lago». sivamente, le difficoltà incontrate nel re il luogo adatto dove liberare le giosalire la 18 19 20 C Ialborelle. A C Un’impresa S O L per E niente A Putelli racconta che oggi nel Cere- 21 reperire nuovi esemplari adulti23di albo- vani Un’impresa per nulla scontata, 22 O L R«Si tratta S C I A con M telaio P I sio il pesce Gardon ha occupato lo stes- relle hanno determinato l’interruzione scontata: di gabbie dunque, per favorire il ripopolamento 24 25 26 so spazio che era dell’alborella: «Gar- di questa attività. costituito di fili R G daR una A magliatura I E M I di D di questo pesce nel lago Ceresio.

Giochi per “Azione” - Aprile 2017 Stefania Sargentini

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Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 4 (N.e10una - Tredici mesi, più sessanta) delle 2 dicarte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 13 - ... girasoli, mais e saggina) 8 6 1 3 1

Cruciverba Il germanio è un semimetallo difficile da reperire e viene usato per la costruzione di smartphone e computer. Secondo alcuni scienziati presto potrà essere estratto dalle radici e germogli di… Trova il resto della frase leggendo, a soluzione ultimata, nelle caselle evidenziate. (Frase: 8, 4, 1, 7)

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Ritornano le alborelle Maria Grazia Buletti

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T R A RSUDOKU E D E PER N TGENI I - DICEMBRE BIS 2016 A I C I M N. E 52I per R A GENI N. 49 per GENI Schema Soluzione L E S I V I S P O T 2 8 5 2 1 8 5 4 Soluzione: P I L A S U O N O Scoprire7 i 3 numeri 5 7 6 8 9 A N D E A L 1I T 4O corretti da inse4 3 6 9 4 3 1 7 E rire nelle caselleA S I N I 3 2 9 4 6 colorate. S I T 8I T S 6 7 2 8 6 1 9 3 M A T N O S 2A 8 E T I 9 7 5 4 2 8 C A

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G I O R G I 3 7 2 E 5 L6 L A 2D 1 6 5 9S4 E I 7 P 5O68 3T O R1 E 71 N943 4 3 7 6 5 9 2 L9 57 I 76 5M 2B 23O M A R E 1 9 5 7 2 8 6 I S A4 59R T E6 8 D2 3 I18 4O19 I F F E R O N. 50 per GENI N O E LD2 I RI 4 5 C E S 9 4 A 7 2R 1 8 6 E N D C I 1 5 6 7 3 9 4 1 6 3 4 9 7 6 4G89 S T T A A N C O M I S S 8 3 2 5E 3 5 E F I N F I D E‘ 7 8 34 6 51 1 2 7 C ANM O E B IA 5 NS O N T I A N 4 1 9 8 7 2 5 4 1 5 3

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ORIZZONTALI 1. Canta Scelgo ancora te 7. Pronome 8. Le iniziali della protagonista di Ghost 9. Un quinto di trenta 10. Genere musicale 11. In italiano e in tedesco 12. Ai lati della colonna vertebrale 13. Nel primo cerchio dell’Inferno dantesco 17. Può allungare o accorciare la spiaggia 18. Il fiume di Monaco 19. Uggia 20. Un sommo sacerdote ebreo 21. Celebre scultore francese 23. È finita in fondo... 24. L’eletta tra le belle

25. Prima persona latina 21. Prefisso che35vuol dire «al di qua» 34 6 9 8 1 2 7 3 4 5 27. Proscioglie dalla condanna 22. Piccolo Stato dell’India, 5 2 1 3 4 6 7 8 9 4 6 7 precedente 28. Simbolo chimico del sodio anagramma di ago Soluzione della settimana VERTICALI 24. Nota musicale IL PROVERBIO NASCOSTO – Proverbio risultante: 3 PECCATO 7 4 9 CONFESSATO 8 5 1 6 2 1 2 3 4 5 6 7 8 4 8 2 (N.26. 12Le - Peccato confessato mezzo perdonato) 1. Può essere inconsulto iniziali della cantante Nannini MEZZO PERDONATO. N. 51 per GENI 2. Parte dell’intestino 1 4 5 6 7 8 9 10 9 10 2 311 P I E 1 C A R2 I 9 C7 A T O 3. Si vendono in lattine 3 8 1 5 4 2 9 7 6 11 12 13 14 4. È rapida all’inizio C O N F E M A 2N S 4A 2 9 4 7 6 8 5 3 1 6 15 16 17 18 12le qualità per la sua funzione13 14 5. Ha S C A V I A S T R O 6 5 7 9 1 3 2 4 8 5 8 19 20 21 22 6. Larga e lunga T I M I D A A U O T 7 3 8 4 2 1 6 9 5 3 9 5 10. Soccombere, decedere16 Vincitori del 23 24 concorso 25 26 15 17 Cruciverba O S E E S O P O M R su «Azione 11», del 13.3.2017 12. Insenatura costiera 27 28 29 1 6 5 3 8 9 4 2 7 8 9 4 2 R E Z A I N O Z I O H. Oppliger, S. Pergolini, 13. Serena, gioiosa 30 31 32 18 19 4 2 9 6 7 5 1 8 3 14. Il mondo musulmano S. Martinoni E P I T E R O I C I 33 34 35 9 1 3 2 5 7 8 6 4 9 2 7 Vincitori del concorso Sudoku 15. Avverbio di tempo D I P O I E X T R A 37 39 20iniziali 21 della showgirl Rodriguez 36 su «Azione 22 16. Le 11», del38 13.3.2017 5 4 2 8 3 6 7 1 9 T E 4A R O N A T O N 17. Nunzi E. Schumacher, G.C. Werner 40 41 8 7 6 1 9 4 3 5 2 L 8A N 6T 1 E R N A3 I N O 19. Esame di laboratorio 23 24

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno25sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto26pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

(N. 14 - ... alle venti, massimo alle venti e trenta)

I vincitori

Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-

A L L U C E V E N A T I E N M A I S S I M O G A L A L T P E B U I A V I R I R E A L N O T I C U O R I E N. 52 GENI N I perO E R L luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 5 6 del partecipante 2 deve 7 1I vincitori 5 6 4saranno 9 3 avvertiti 2 8 indirizzo, email premi. R Edei I 9 Il4nome 9 4 a «Redazione 7D 6Azione, 2 3 7dei 8vincitori 5 6 sarà 1 essereTspedita per iscritto. Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 3 1 9 7 6 3 8 5 2 1 4 9 7 N A T E A Non A si intratterrà corrispondenza sui M riservata esclusivamente a lettori che 2 9 2 6 8 1 5 7 4 3 concorsi. Le vie legali sono escluse. Non 5

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Politica e Economia Verso la paralisi Ondata di scioperi in Argentina a causa della fine del patto fra sindacati e governo Macri, che delude per la sua politica economica pagina 22

La battaglia di Mosul: 1. parte Il Califfato tenta disperatamente di resistere all’offensiva delle forze irachene che da quattro settimane combattono per prendere la parte ovest della città e infliggere al gruppo terrorista una storica sconfitta sul campo

Kaspar Villiger e l’Europa Intervista all’ex consigliere federale in occasione di un suo libro sul tema e dei 60 anni del Trattato di Roma

Fine di una carriera Oskar Freysinger manca la rielezione nel governo vallesano; l’UDC perde il suo ultimo consigliere di Stato in Romandia

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Tutto il Paese nelle ore successive l’attentato si è stretto attorno alle vittime e alle forze dell’ordine. (Keystone)

Una sconfitta per l’intelligence

L’attacco a Westminster La ministra dell’Interno Amber Rudd sostiene che non si possa comunque parlare

di un fallimento dell’MI5. Ma in futuro dovrà tuttavia adattarsi a un terrorismo che lavora sempre più di minuzia

Cristina Marconi L’incubo degli attentati low-tech, quelli che qualunque individuo può portare a termine sgusciando agevolmente tra le reti dell’intelligence, è andato a colpire il cuore di Londra: cuore politico e istituzionale, certo, ma anche turistico, affacciato sulla grande vena aperta del Tamigi e sovrastato dall’icona inconfondibile del Big Ben. Però sono bastati pochi minuti dall’attacco di Westminster perché i britannici facessero quello che l’istinto gli suggerisce di fare, come diceva George Orwell: non la cosa giusta, bensì tutti insieme la stessa cosa. E quindi il Paese si è stretto intorno ai suoi morti e ai suoi feriti, internazionali come la popolazione di Londra, e alle sue forze dell’ordine, concentrandosi sull’immagine eroica degli agenti che correvano verso il pericolo mentre tutti gli altri fuggivano per trovare un motivo di orgoglio nazionale in questo momento così instabile per la vita del Paese, che questo mercoledì inizierà a scivolare via dall’Unione europea in un processo che si preannuncia accidentato e pieno di insidie. Le inevitabili polemiche sul ruolo dell’MI5 (Military Intelligence, sezione 5) sono iniziate subito dopo l’attentato di mercoledì 22 marzo, quando

Scotland Yard ha rivelato il nome, o uno dei nomi, dell’attentatore, Khalid Masood, nato in Kent come Adrian Elms, piccolo criminale violento di 52 anni noto ai servizi per il suo ruolo «periferico» nella galassia del radicalismo islamico. La ministra dell’Interno Amber Rudd ha difeso l’intelligence, dicendo che non si può parlare di fallimento, e lo stesso suggeriscono gli esperti come Raffaello Pantucci, direttore degli Studi di sicurezza internazionale al Royal United Services Institute (RUSI) e autore di Amiamo la morte quanto voi amate la vita: I terroristi dei sobborghi britannici, resoconto puntiglioso di una realtà in rapida evoluzione. «È ovvio che quando c’è un attentato c’è una sconfitta, per l’antiterrorismo un 99% di successi non basta», osserva lo studioso, secondo cui quello di questi giorni tuttavia non è un fallimento di intelligence – «lo sarebbe stato se dell’attentatore non avessero mai sentito parlare» – ma di priorità. «Non hanno visto il problema. Quando hai 3 o 4mila persone d’interesse e magari qualcuno è finito nella lista solo perché ha un fratello che è andato in Siria, non puoi pensare di seguire tutti», osserva. «Ci si concentra su chi è ritenuto ancora attivo, i mezzi sono limitati, per se-

guire qualcuno 24 ore su 24 ci vogliono 30 persone, sarebbe uno spreco farlo per tutti». La Brexit, secondo Pantucci, non cambierà la situazione del Regno Unito sotto il profilo della sicurezza. «Il problema è europeo, ci stiamo tutti confrontando con la stessa cosa», ossia una «situazione che si esprime con regolarità» e che mette tutti i cittadini nel mirino, anche se i britannici hanno dimostrato di gestire molto meglio il problema rispetto ai colleghi continentali. Come ha ricordato in questi giorni la morte di uno dei padri del processo di pace nordirlandese con un passato nelle file dell’Ira, Martin McGuinness, il Regno Unito ha un passato recente di terrorismo sanguinoso, che ha fatto 1800 morti e che vive ancora nella memoria di molti. Ma ora le modalità sono cambiate, come mette in evidenza Pantucci e il fatto «che siano stati messi al bando i laptops sugli aerei dimostra in che direzione si sta andando», ossia quello della lotta al microterrorismo. Un attentatore cinquantenne come Khalid Masood non è la tipologia più frequente: la gente sparisce dai radar, cambia vita, fa figli. Bisognerà aspettare i prossimi giorni per capire «di

che entità sarà questo fallimento», se l’attentatore aveva dato segni di essere sveglio o, come si teme, ri-radicalizzato dopo una lunga pausa apparente. Ma Birmingham è un buco nero del Paese, una Molenbeek britannica in cui non si riesce a penetrare, o il problema è diverso? «Birmingham secondo me c’entra poco, ci sono anche tanti casi di africani convertiti, tante di queste persone vengono da retroterra diversi, non sono solo casi emersi dalla comunità pakistana, ma staremo a vedere». Così come il disagio sociale non c’entra, sennò tutti i poveri sarebbero terroristi, una «linea di discussione» che passa attraverso questa lettura geografica «non è convincente». Lo dimostra il fatto che «poche città hanno i problemi che ha Marsiglia, ma i terroristi marsigliesi coinvolti in attentati sono pochissimi in proporzione», aggiunge. Qui siamo davanti a un presunto lone wolf, definizione anch’essa fuori fuoco che non tiene conto del fatto che «i casi di persone totalmente distaccate dal mondo, senza una rete, sono rarissime» e che l’intelligence deve invece cercare di capire «dove si situano in questa rete, se serve a finanziarli, a motivarli, a coprirli, a sostenerli o a spingerli all’azione, anche da remoto»,

come si è visto in molti casi in America. È cruciale lavorare sulle connessioni anche minime in un momento in cui «le organizzazioni terroristiche non hanno i mezzi per far viaggiare la gente, addestrarla all’estero, farla tornare in Europa a colpire». Il Regno Unito, fuori o dentro la Ue, resterà «un Paese di crociati» e agli occhi del terrorismo internazionale di matrice islamica avrà «sempre una posizione strategica». Ed essendo già fuori da Schengen non trarrà nessun beneficio dall’uscita dall’Unione europea, tanto più che Londra non smetterà di cooperare con le intelligence europee, anche se ha dimostrato nel tempo di «aver risolto più problemi» dei colleghi continentali, che non hanno «saputo far funzionare la cooperazione», un fatto tristemente illustrato dai casi di Parigi e di Bruxelles. Il Regno Unito deve adattare le sue priorità all’evoluzione di un terrorismo che lavora sempre più di minuzia e ha dimostrato di averlo saputo fare piuttosto bene. Ma se è vero, come tutto fa credere, che in poco più di tre anni sono stati sventati tredici attentati, far ricadere su un sistema così complesso e finora salvifico la mannaia delle emozioni sarebbe un errore. Molto poco britannico.


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Politica e Economia

Argentina verso la paralisi

Scontro governo sindacati Il patto politico fra i potentissimi sindacati peronisti

e il governo liberale di Macri è saltato dopo un anno di tregua a causa di una politica economica che non sovvenziona più gas, elettricità e trasporti. Scioperano tutti, dai maestri, ai camionisti, ai calciatori

Angela Nocioni Autunno australe caldo in Argentina. Rotta la tregua sindacale con il governo. Non scioperano soltanto i calciatori delle serie minori, che dicono di non ricevere lo stipendio da un anno. Scioperano anche i maestri delle scuole pubbliche. L’anno scolastico è iniziato con due settimane di sciopero degli insegnanti che chiedono miglioramenti ai loro miseri stipendi. Il governo risponde con un dossier che fotografa il drammatico stato in cui è ridotto il sistema scolastico pubblico argentino, che negli anni Sessanta fu un modello mondiale di educazione pubblica. Il 46,7 per cento degli studenti tra i 16 e 17 anni – campione statisticamente rappresentativo degli alunni delle scuole secondarie pubbliche coinvolti nell’indagine governativa – non comprende un testo semplice, se lo legge non riesce a sintetizzarlo né a spiegare con altre parole che cosa ha letto. Il 70 per cento degli studenti non sa risolvere quesiti matematici elementari. «Questo è il risultato delle tantissime giornate di sciopero delle scuole pubbliche», accusa il governo. «Questo è il risultato delle condizioni infime in cui ci costringete a lavorare», rispondono i maestri. Fatto è che, stando ai risultati del dossier governativo la cui veridicità non è stata messa finora in discussione dagli scioperanti (ne contestano solo l’uso politico da parte del governo, non i dati riportati) sembrerebbe andata in fumo la gloriosa eredità del sistema scolastico pubblico argentino che consentì laggiù di sconfiggere l’analfabetismo di massa prima che in molte parti di Europa. Rimangono pochissime punte di eccellenza nel pubblico. Chiunque possa, manda i figli alle scuole private. Ce ne sono di vari livelli e di diverse fasce di costo. Alla pubblica finiscono ormai per andarci solo i poveri. E i poveri sono tanti in Argentina. L’aggravamento delle situazioni di indigenza è innegabile. I dati governativi confermano che ci sono 13 milioni di poveri in un Paese di 42 milioni di persone. Secondo l’ultimo rapporto della Università cattolica argentina, che da anni è la fonte più rispettata per la panoramica sociale del paese, si è passati dal 29% della fine del 2015, al 33% nel terzo trimestre del 2016.

L’inflazione, salita al 40 per cento, vola al punto che le banche non sanno più dove stipare le banconote Nel frattempo l’inflazione vola al punto che le banche non sanno più dove stipare le banconote. Alcuni istituti di credito hanno fatto accordi con compagnie di deposito e trasporto di valori perché si occupino di immagazzinare le enormi quantità di contanti per le quali non c’è più posto. Nel dicembre del 2016 l’inflazione secondo i dati ufficiali superava il 40%. Il problema principale sono le banconote da 100 pesos. Rappresentano il 70% del contante in circolazione. Ne esiste una quantità enorme in un Paese in cui la metà dell’economia è al nero. I depositi delle banche strabordano di biglietti da 100, che però valgono meno di 7 dollari l’uno. Un problema anche dal punto di vista dei ladri: chi va a rapinare una banca per portarsi a casa una montagna di carta che vale poco? Per il governo Macri l’autunno appena iniziato è tutto in salita. I grandi

Davanti a Casa Rosada lavoratori protestano contro la revoca delle sovvenzioni pubbliche decisa da Macri. (AFP)

settori dell’impiego pubblico, scuole a parte, hanno annunciato mobilitazioni ovunque. Sono già iniziati i blocchi stradali di protesta. Non si tratta soltanto della protesta per le inevitabili conseguenze sociali di medio periodo della revoca di quasi tutte le sovvenzioni pubbliche ai principali consumi di base garantiti dai governi Kirchner, per esempio al consumo dell’energia elettrica (il liberale Mauricio Macri ha annullato il sussidio costato carissimo alle casse argentine e le bollette sono rincarate fino al 500%). Si tratta soprattutto della rottura politica di un fragile equilibrio concesso l’anno scorso dai potentissimi sindacati peronisti di varie correnti all’allora neopresidente Mauricio Macri, ex presidente del Boca Junior, figlio di un immigrato italiano (Franco Macri, uno dei principali imprenditori dell’America Latina), il primo non peronista arrivato alla presidenza dell’Argentina democratica dopo Raul Alfonsìn, che governò dal 1983 al 1989 e di scioperi generali contro ne contò 13. Finora a Macri era riuscito molto bene il difficile gioco di mantenere buoni i principali sindacati peronisti. Aveva silenziosamente trattato con i deputati e i senatori rappresentanti dei settori sindacali in parlamento versando milioni alle loro Obras sociales, le assicurazioni sanitarie legate ai sindacati argentini, eredità dei tempi del generale Peròn. Aveva stretto una relazione politicamente tanto pericolosa quanto utile con il capo del sindacato dei camionisti, Hugo Moyano. Aveva addirittura portato con sé in viaggio di Stato in Spagna alcuni sindacalisti tra i quali il temibile Momo Venegas, per mostrare agli investitori spagnoli che l’epoca della pace sociale stava tornando in Argentina. Prospettiva che era sembrata reale nel marzo scorso, quando, per la prima volta dopo decenni, l’anno scolastico era cominciato regolarmente in tutto il paese. L’avvicinarsi delle elezioni di me-

dio termine di ottobre ha però convinto i sindacati peronisti a iniziare la lotta interna per decidere chi sarà nei prossimi mesi il leader dell’opposizione antimacrista, visto che la famiglia Kirchner è messa fuori gioco nella corsa alla leadership a causa dei processi giudiziari in corso. E quindi in piazza si è aperta la stagione delle proteste contro il governo. Il settore imprenditoriale è ancora saldamente dalla parte del governo. L’agroindustriale è stato benedetto dalla decisione, economicamente inevitabile, dell’annullamento del cambio fisso fittizio con il dollaro e dalla conseguente svalutazione del peso, la moneta nazionale, che ha determinato una grande crescita del profitto di chi esporta e riceve pagamenti in dollari. L’abbassamento delle tasse sull’export di minerali e di prodotti agricoli (in particolare grano, miglio e soia) ha soddisfatto gli esportatori. La politica di riduzione della spesa – che Macri rivendica come necessaria perché, dice, «appena siamo arrivati al governo abbiamo trovato le casse vuote, sarebbe irresponsabile continuare a sovvenzionare politiche simili senza avere i soldi per farlo» – ha però duramente colpito la classe mediobassa metropolitana in cui Macri ha raccolto voti determinanti per vincere le ultime presidenziali. Macri ha tracciato un bilancio dei risultati del suo governo davanti alle due Camere riunite, ai governatori provinciali, al corpo diplomatico accreditato, giudici ed ai ministri della sua squadra di governo. Con un tono di forte ottimismo che, secondo molti osservatori, voleva sottolineare l’apertura della prossima campagna elettorale, ha detto il presidente: «Abbiamo superato il momento più difficile di questa transizione, il Paese oggi sta cambiando, l’Argentina si sta rialzando in piedi». «Abbiamo ristabilito relazioni mature e pragmatiche con il resto del mondo: ci hanno visitato una gran

quantità di capi di Stato e di governo». La ripresa dell’agenda delle sessioni ordinarie del Parlamento coincide con un momento di particolare tensione per l’esecutivo, in un periodo caratterizzato dalla campagna delle prossime elezioni primarie obbligatorie (PASO) di agosto e le legislative di ottobre, banco di prova per la tenuta del «macrismo». L’esecutivo è in calo di consensi e si constata una perdita di coesione della maggioranza. Oltre alle proteste per la riforma del settore pensionistico, ad agitare il clima c’è il caso del debito del Correo Argentino. Il procuratore generale del Tesoro, Carlos Balbin, ha richiesto un’indagine per stabilire le dinamiche che hanno portato all’accordo tra lo Stato e il gruppo di Franco Macri, padre del presidente, relativo ad un milionario debito del Correo Argentino, equivalente a un condono di quasi il 99%. L’accordo è stato siglato nel giugno 2016 dal ministro delle comunicazioni Aguad, il quale ha assicurato «di non aver mai parlato con lui dell’argomento». Il procuratore federale Juan Pedro Zoni tuttavia, ha formalmente accusato il presidente Macri per presunti reati legati all’accordo. La denuncia si estenderebbe, secondo indiscrezioni di stampa, anche al ministro delle comunicazioni, Oscar Aguad, e al direttore degli affari giuridici del ministero, Juan Manuel Mocoroa. Il governo ha definito «oltraggiosa» l’indagine. Intanto, sono rimandate almeno a non prima del 2018 le scelte che potrebbero avere un elevato costo in termini di consenso in vista delle prossime elezioni. Così, se anche sarà improcrastinabile l’aumento tariffario del gas per un ammontare pari al 67%, verrà diluito in tre tappe (aprile 2017, novembre 2017 e aprile 2018), con l’auspicio di non sconvolgere l’inflazione e soprattutto di ridurre il valore del peso nei mesi di campagna elettorale. Infine, risultano essere state sospese, al momento, le proposte di aumento del trasporto pubblico fino al 2018.

Notizie dal mondo Papa Francesco chiede perdono al Ruanda Lunedì scorso papa Francesco ha incontrato al Palazzo Apostolico Vaticano il presidente del Ruanda Paul Kagame, e ha chiesto perdono per il ruolo della Chiesa cattolica nel genocidio del 1994, quando centinaia di migliaia di persone, soprattutto di etnia tutsi, vennero uccise per motivi razziali e politici. Il genocidio in Ruanda durò un centinaio di giorni, dall’aprile al luglio del 1994, ed ebbe inizio con l’abbattimento dell’aereo sul quale viaggiava il presidente del Paese Juvénal Habyarimana, che era di etnia hutu e guidava un regime dittatoriale. Il Ruanda era abitato in larga parte da persone di etnia hutu, che avevano tolto il potere alla minoranza tutsi alla fine degli anni Cinquanta. Cominciò allora un’operazione di sterminio condotta da milizie estremiste hutu e in parte da civili, che uccisero – secondo le stime – 800mila persone, soprattutto tutsi ma anche hutu moderati. Circa 200 suore e sacerdoti furono uccisi, ma altri furono complici del massacro, permettendo a volte che le persone che avevano cercato rifugio nelle chiese venissero uccise. In una chiesa cattolica di Ntarama furono massacrate circa 5000 persone il 14 agosto del 1994. In certi casi si conoscono anche i nomi dei sacerdoti responsabili, perché sono stati processati dai tribunali internazionali. Le ragioni della collaborazione della Chiesa cattolica con il genocidio dipesero dalla vecchia collusione tra il clero locale e la classe dirigente hutu: l’arcivescovo Vincent Nsengiyumva fece parte per 15 anni del comitato centrale del Movimento nazionale repubblicano per la democrazia e lo sviluppo, quello del presidente Habyarimana, in un periodo in cui il partito discriminava i tutsi. Non fece niente per impedire il massacro, che anzi si rifiutò di riconoscere come genocidio. L’anno scorso avevano chiesto scusa per il ruolo della chiesa locale i vescovi del Ruanda, riconoscendo le responsabilità del clero nel compimento del genocidio, che vennero stabilite anche da un’inchiesta dell’Organizzazione dell’unità africana. Il Vaticano non aveva però mai riconosciuto esplicitamente le colpe della Chiesa cattolica – Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano lasciato intendere che le colpe fossero dei singoli sacerdoti – e in molti casi i vescovi e i sacerdoti colpevoli avevano lasciato il Ruanda e proseguito le loro carriere in altri posti: Munyeshyaka in Francia e Seromba a Firenze, per esempio. Louise Mushikiwabo, ministra degli Esteri del Ruanda, ha detto che l’incontro con papa Francesco «ci permette di costruire delle basi più resistenti per riportare l’armonia tra i ruandesi e le istituzioni cattoliche». Gli Usa rendono pubblici video di test nucleari Lawrence Livermore National Laboratory, un ente del governo americano che lavora per la sicurezza dell’arsenale atomico del paese, ha pubblicato su YouTube 64 video di esperimenti nucleari condotti dagli Stati Uniti tra il 1945 e il 1962. I video sono una piccola parte degli oltre seimila che il laboratorio ha restaurato negli ultimi anni. Mostrano i 210 esperimenti con armi nucleari che gli Stati Uniti hanno condotto all’interno dell’atmosfera tra il 1946 e il 1962, l’anno in cui furono vietati (da allora i test sono stati spostati sottoterra). Il laboratorio stima che in tutto siano stati girati 10 mila filmati, alcuni lunghi pochi secondi, altri che arrivano fino a sette minuti: ogni esplosione infatti veniva ripresa da numerose angolazioni.


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Politica e Economia

La Stalingrado del Medio Oriente

Iraq – 1. parte Il piano dello Stato islamico a Mosul per sopravvivere

Daniele Raineri L’impressione è che l’avanzata dei soldati dentro Mosul, ex capitale di fatto dello Stato islamico in Iraq, sia fin troppo veloce. Da quattro settimane le truppe scelte dell’Iraq hanno cominciato un’offensiva per prendere la parte ovest della città e infliggere al gruppo islamista guidato da Abu Bakr al Baghdadi una storica sconfitta sul campo. I baghdadisti oppongono una resistenza feroce, ma l’impressione generale è che sloggiarli da Mosul sarebbe stato più difficile e che avrebbe richiesto molto più tempo. Sia chiaro, è meglio così e non vuol dire che finora sia stata una passeggiata, anzi, è tutto l’opposto: ogni giorno qui si assiste a una delle battaglie più violente della storia del Paese, dove conta ogni metro e dove ogni strada, ogni angolo e ogni giardino sono diventati piccoli capisaldi da espugnare al costo di giornate di combattimenti furiosi. Sarà ricordata come una Stalingrado del Medio Oriente, sia perché c’è una lotta senza quartiere sia perché ci saranno conseguenze durature – come i nazisti abbandonarono l’idea di conquistare la Russia dopo la sconfitta a Stalingrado, così anche gli estremisti dovranno abbandonare l’utopia sanguinosa del ritorno del Califfato e regredire allo status di banda di guerriglieri. Eppure, ci si aspettava peggio. Siamo embedded con gli Scorpioni della Divisione di ricezione rapida, una delle due divisioni che hanno il compito di sfondare le linee dello Stato islamico – sui mezzi spicca lo scorpione nero in campo giallo – che da quasi tre anni si prepara a resistere a questa offensiva annunciata. Sono truppe scelte, anche se non hanno l’aspetto atletico dei loro colleghi americani e appartengono più alla categoria degli smilzi determinati: farebbero meno

figura in un film, ma hanno tutti alle spalle almeno un paio di anni di battaglie urbane per liberare pezzi di Iraq dallo Stato islamico: Tikrit, Fallujah, Ramadi… È una campagna che a malapena è ricordata sui media internazionali e infligge perdite pesanti agli estremisti. Si muovono su convogli blindati che sembrano bizzarri a chi non conosca le difficoltà di combattere nelle città: c’è un bulldozer corazzato ad aprire la strada e svellere le barricate che chiudono le strade, alcuni blindati leggeri a portare gli uomini che devono infilarsi nelle case, un carro armato a fare la parte del grosso del gruppo, pronto a sparare proiettili che hanno una gittata di quindici chilometri – ma qui si spara a cento metri. Ogni volta che i soldati iracheni provano l’affondo, riescono a prendere circa un chilometro di territorio. Poi devono fermarsi per almeno tre o quattro giorni, per riorganizzarsi e lasciare che gli elicotteri e i jet americani – soprattutto quest’ultimi – dissodino il terreno davanti a loro, vale a dire localizzino tutte le postazioni dello Stato islamico e le facciano saltare in aria. Queste postazioni possono essere nidi di mitragliatrici nascosti sui tetti, camion-bomba nascosti nei garage, intere squadre di guerriglieri nascoste in tunnel fra le case e singoli cecchini appostati dentro le stanze degli appartamenti (stanno sdraiati e lontani dalle finestre, così quando sparano non si vede la fiammata e il suono è confuso). A volte gli estremisti tentano contrattacchi molto pericolosi perché arrivano vicini e causano perdite tra gli iracheni, quando succede è facile da capire perché ai giornalisti viene tolto l’accesso alla prima linea, il comando non vuole che escano fotografie delle perdite. Ma, tutto sommato, la direzione dello scontro è già decisa. Lo Stato islamico continua a

perdere terreno e i suoi avversari non si arrestano. Tutta Mosul ovest è circondata e questo vuol dire che i jihadisti sono assediati, senza nessuna via di fuga. Uno dopo l’altro, i grandi luoghi simbolici passano di mano: è toccato all’aeroporto, poi alla stazione dei bus, al grande carcere di Badoush e al museo (famoso per un video ignobile che mostrava lo Stato islamico fare a pezzi le statue). Mosul ovest cadrà, è soltanto una questione di tempo. Sull’altra parte del fiume Tigri, Mosul est gode già della libertà ritrovata, è stata riconquistata tra ottobre e inizio dicembre, i venditori di frutta sono tornati nelle strade, le scuole hanno riaperto, le forze speciali arrestano ogni settimana una trentina circa di uomini sospettati di avere fatto parte dello Stato islamico. È il destino che toccherà anche alla metà ovest. Queste cose le sa anche lo Stato islamico e viene il dubbio che siano il motivo della velocità dell’avanzata dei soldati dentro Mosul. Il gruppo ha già un piano per il dopo. Resistere a oltranza dentro la città e sprecare tutte le risorse in una grande, apocalittica battaglia finale. È probabile che abbia deciso di dividere le sue forze e di cominciare a pianificare quello che succederà nella fase che seguirà la fine dei combattimenti – vale a dire quando questa ondata di uomini e mezzi spropositata e schierata per alcune settimane contro di loro dovrà necessariamente dissolversi e molti soldati torneranno alle loro basi sparse per tutto l’Iraq, anche a mille chilometri di distanza. Esattamente come alcune banche in tempo di crisi si sdoppiano e creano una cosiddetta «bad bank» che si accolla tutti i debiti, così lo Stato islamico ha lasciato a combattere dentro Mosul alcuni uomini agguerritissimi ma che nel dopo-Mosul sarebbero soltanto un fardello per il gruppo.

AFP

all’offensiva delle forze irachene

Vale a dire i combattenti stranieri che non avrebbero speranza di superare nemmeno un posto di blocco nell’Iraq degli anni a venire, perché sarebbero subito scoperti alla prima domanda in arabo. I foreign fighters russi e francesi, ma anche quelli sauditi e tunisini – che hanno un accento arabo riconoscibile con facilità e che non saprebbero come mescolarsi ai civili – sono rimasti dentro a combattere fino alla morte. Loro hanno il compito, in un certo senso, di salvare la faccia allo Stato islamico, e di dimostrare che sa imporre un prezzo in vite umane e mezzi altissimo per ogni sconfitta che incassa. Assieme con i foreign fighters anche molti combattenti che sono rimasti mutilati in guerra e molti bambini soldato sono restati a farsi uccidere – è una situazione che ricorda la Berlino del 1945 e gli ultimi giorni della parabola nazista. Mutilati e bambini non avrebbero utilità nella nuova forma che prenderà il gruppo se tornerà a diventare una guerriglia clandestina simile a quella che conduceva nel 2011. Allora non controllava alcuna piazza di città dove mozzare teste davanti alla folla, ma faceva saltare autobombe in giro per il paese e tendeva imboscate solitarie ai soldati. I capi, e con essi anche il leader supremo Abu Bakr al

Baghdadi, hanno già lasciato Mosul e forse non ci sono mai stati davvero in pianta stabile, perché sapevano che era un territorio di caccia per i droni e l’intelligence americana. Tra i capi che si fanno uccidere molti sono stranieri, per esempio Abdul Kareem al Rusi, che in arabo vuol dire «il russo», capo della brigata Tariq bin Zayed – che è una brigata dello Stato islamico formata esclusivamente da stranieri (Tariq bin Zayed fu il conquistatore arabo della Spagna, è molto caro alla memoria dei jihadisti). Se lui era a Mosul, vuol dire che almeno metà della legione straniera dello Stato islamico combatte a Mosul. Si capisce perché (l’altra brigata di stranieri dello Stato islamico porta il nome del predicatore americano Anwar al Awlaki, forse è rimasta a difendere l’altra capitale del gruppo, Raqqa nel deserto siriano). A provare che questa è più che una teoria c’è stato il rinvenimento alcuni giorni fa, a ovest di Mosul, di tonnellate di munizioni sepolte sotto la sabbia. Era un deposito segreto preparato dallo Stato islamico, segno che il gruppo non vuole bruciare tutte le sue risorse ora e che si prepara al dopo. Del resto in alcune zone dell’Iraq, per esempio a est di Ramadi, è tornato a colpire con una determinazione tale che è stato imposto di nuovo il coprifuoco.

Luigi Di Maio, il volto presentabile del M5S Figurine d’Italia La sua grande scommessa è la candidatura a primo ministro Alfio Caruso Il mancato ingegnere e mancato dottore in legge Luigi Di Maio potrebbe regalare a mamma Paola e a papà Antonio l’enorme soddisfazione di diventare il più giovane capo di governo della storia nazionale. Per i genitori – lei insegnante d’italiano e latino, lui dirigente prima del Movimento sociale italiano e poi di Alleanza nazionale, i due partiti della destra nostalgica entrambi spariti – sarebbe la massima ricompensa per la fallita laurea e la conferma di aver allevato il figlio nel migliore dei modi: prima democristiano e poi grillino, disse la signora Paola in un’intervista televisiva a Bruno Vespa. Di Maio è infatti il candidato leader del Movimento 5 Stelle, indicato dai sondaggi quale probabile vincitore delle elezioni politiche dell’inverno 2018. Ma per governare servirebbe o il premio di maggioranza o l’accordo con altre forze. Il primo appare problematico: presuppone il 40% dei voti, dieci punti in più della quota attualmente attribuita al M5S; il secondo contrasterebbe con uno dei tanti dogmi predicati da Grillo. E benché l’incoerenza si sia rivelata negli anni il credo più sostanzioso del comico genovese e dei suoi adepti, Di Maio naturalmente in prima

fila, la convivenza con gli aborriti partiti – dalla Lega pararazzista di Salvini ai nostalgici di Fratelli d’Italia della Meloni – potrebbe risultare indigeribile anche per una base ormai abituata a digerire rospi in quantità. D’altronde il consenso crescente per il M5S ha resistito agli sconquassi romani della sindaca Raggi, ai dispotici comportamenti di Grillo, pronto a cancellare ogni elezione interna contraria ai propri gusti, allo stravolgimento dei famosi punti programmatici a cominciare dal famoso e strombazzato «uno vale uno», risoltosi in clamoroso bluff, fino all’aver adottato la più democristiana delle regole: le leggi si applicano contro i nemici, il sindaco di Parma, Pizzarotti, e s’interpretano con gli amici, dalla Raggi allo stesso Di Maio impantanatosi in alcune vicende capitoline. Ormai è chiaro che nessuna nefandezza politica li può fermare. Sessant’anni di pessima partitocrazia hanno infatti scatenato in un terzo dell’elettorato la voglia di azzerare tutto quanto possa avere attinenza con il passato e con il presente. Ruberie, clientelismi, tangenti, favoritismi, privilegi, nepotismi hanno cancellato gli antichi e considerevoli meriti del sistema. C’è una tale richiesta di cambiamento che a Grillo si può attagliare il paradosso

pronunciato da Trump durante la campagna elettorale negli Usa: vincerebbe anche se si mettesse a sparare in piazza contro i passanti. Di questo fenomeno viscerale Di Maio è stato per un lungo periodo il volto più presentabile. L’aspetto assai curato da bravo ragazzo, mai con la barba, mai un capello fuori posto, mai un’occhiaia; l’inappuntabile eleganza grandi magazzini, con il colletto delle camicie ben stirato sotto il blazer d’ordinanza, hanno assolto al compito di tranquillizzare i potenziali elettori sulle tendenze piccolo borghesi, più destrorse che pro-

gressiste, del Movimento. Il tifo sfegatato per la Ferrari e per Schumacher, l’impegno al liceo contro la Sinistra e per la ricostruzione dell’edificio scolastico, la passione per la storia di Montanelli e per le biografie dell’ex presidente Pertini sono servite a disegnare il ritratto del ragazzo della porta accanto. Una voce talmente dentro il coro che alla prima prova elettorale, le comunali a Pomigliano d’Arco, il suo paese, raccolse 59 voti. Andò un po’ meglio all’esame del web nella scelta dei candidati alle elezioni nazionali del 2013: 189 voti, che poi si sono trasformati nelle decine di migliaia di consensi capaci di regalare al M5S il primo posto e di aprire ai tanti suoi carneadi le porte di Camera e Senato. Di Maio ha subito esibito la furbizia di ostentare il massimo distacco da ogni incarico pubblico e di conquistare così la designazione a vice presidente della Camera con un semplice annuncio: «Non chiamerò mai più i deputati “onorevoli”». I suoi avversari interni garantiscono che abbia contraddetto pure quest’impegno, mentre si conquistava l’etichetta di «mister cartellino rosso» a causa del gran numero di onorevoli espulsi allorché gli è toccato dirigere i lavori di Montecitorio. Negli ultimi mesi il suo sorridente profilo di predestinato è stato spesso

attraversato da espressioni corrucciate e non solo per aver sbagliato qualche congiuntivo o aver definito Pinochet il dittatore del Venezuela. Il ruolo di grande protettore della disastrosa Raggi l’ha esposto a figuracce, smentite, mezze verità al punto da sembrare un esponente della vecchia politica «merda e sangue» (celeberrima definizione dell’ex ministro socialista Formica) piuttosto che un aedo della rivoluzione purificatrice prossima ventura. Ha capito che la rinuncia ad auto blu, diarie, indennità viene giustamente apprezzata da tanti cittadini desiderosi di sobrietà, ma non basta per governare; che a parole si può promettere il reddito di cittadinanza, guai però a concederlo: per quanto limitato alla popolazione in età lavorativa costerebbe oltre 350 miliardi l’anno, il doppio dei costi totali della sanità, della scuola e dell’università messe insieme. Tant’è vero che il M5S in silenzio ha virato su un reddito minimo, che comporterebbe comunque un esborso di 16 miliardi l’anno. Eppure, dopo un eventuale successo, a Di Maio non mancherebbero la faccia e l’ambizione di presentarsi sul proscenio e dire: «Abbiamo scherzato». Ha già preannunciato: «Non avremo preclusioni sulla provenienza dei voti a favore del nostro programma».


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Politica e Economia

«I veri difetti dell’Europa? Centralizzare e armonizzare»

Politica europea A colloquio con l’ex consigliere federale Kaspar Villiger sulle cause della crisi dell’UE e sul modello

per salvarla dalle tendenze populiste, in occasione di un suo libro sul tema e dei 60 anni dei Trattati di Roma

anche la difesa dello Stato di diritto, dei diritti umani e dei valori democratici. Per questi compiti, il peso politico di Bruxelles dovrebbe addirittura essere rafforzato. Questa è la seconda colonna portante.

Luca Beti Dopo aver lasciato nel 2009 la carica di presidente del Consiglio di amministrazione dell’UBS, l’ex consigliere federale Kaspar Villiger è quasi completamente scomparso dalla scena politica ed economica della Svizzera. Non intende più dare consigli, se non richiesti, a chi ora regge le redini del Paese, né esprimersi pubblicamente sui temi d’attualità. Di recente ha però deciso di rompere questo suo silenzio. All’inizio del 2017 è uscito un suo saggio, edito dalla «Neue Zürcher Zeitung», dal titolo Die Durcheinanderwelt, in cui descrive il mondo, secondo lui, sottosopra (da lì il titolo). Il politico dedica un intero capitolo alle sorti dell’Europa ed è proprio su questo argomento che abbiamo incentrato la nostra intervista esclusiva a Kaspar Villiger. L’Unione europea rischia il collasso delle istituzioni. È con questa frase che lei, signor Villiger, inizia il capitolo in cui presenta le sue idee per dare vita a una nuova Europa. Ma la situazione è davvero così drammatica?

Sì, secondo me la situazione è davvero drammatica. Una serie di motivi mi inducono a descrivere un simile scenario. Basti ricordare che la disoccupazione in molti Stati è a livelli scandalosi e che la crescita economica è insufficiente. L’indebitamento in taluni Paesi europei non è sostenibile a lungo termine. Inoltre, nonostante gli sforzi intrapresi, non si è ancora riusciti a risanare il sistema bancario, così come non si sono ancora superate né la crisi in Grecia né quella dei profughi. Di recente si stanno affermando dei movimenti populisti che certo non facilitano la ricerca di soluzioni assennate da parte dei governi e in alcuni Paesi dell’Est, i valori democratici e di uno Stato di diritto sono messi in discussione. Per finire, la Brexit è una realtà e ci ricorda che l’integrazione europea non è irreversibile. Sono tutti dei sintomi clinici che incutono paura. Poi, va ricordato che sullo sviluppo futuro dell’UE regna il dissenso e l’incertezza.

«La migrazione è utile, ma solo a dosi non troppo grandi, se è eccessiva crea tensioni e sviluppi preoccupanti» Perché scende in campo ora per difendere l’Unione europea nonostante sia contrario all’adesione della Svizzera?

L’UE ha permesso all’Europa di trascorrere un periodo di pace che non ha precedenti nella storia, ha sancito la fine delle dittature sul suo territorio e ha favorito un benessere molto superiore rispetto a quello registrato a livello mondiale. Sono dei risultati politici eccezionali. Anche la Svizzera ha approfittato di questa evoluzione poiché è una nazione esportatrice che ha forti legami con l’UE. Per questo motivo, il declino dell’Unione europea avrebbe gravi conseguenze anche per noi. Con l’Asia e gli Stati Uniti d’America, l’UE è il terzo maggiore attore economico mondiale. Un’Europa che va a pezzi perderebbe importanza da un punto di vista politico ed economico, una situazione che avrebbe ripercussioni negative anche sulla nostra prosperità e sulla nostra sicurezza. Non dobbiamo

Questo modello sarebbe la panacea di tutti i mali dell’UE e potrebbe funzionare?

Questo modello si basa sul modello del laboratorio svizzero, che per me è da sempre un esperimento politico molto interessante e appassionante. Anche gli Stati Uniti d’America funzionano secondo questi principi. Sono convinto che questo modello potrebbe davvero funzionare anche per l’Europa.

Ma perché l’UE dovrebbe ascoltare i consigli di un ex politico svizzero?

Sono naturalmente realista. Da sempre, gli Stati più grandi pensano di saperla più lunga di quelli più piccoli. Le mie idee – condivise e sostenute da altri politici ed economisti – non cambieranno il mondo. Mi sono semplicemente divertito a sviluppare un modello europeo alternativo. Kaspar Villiger: «La politica monetaria espansiva è stata necessaria per superare la crisi finanziaria, purtroppo i governi europei non hanno poi adottato le necessarie riforme per rilanciare l’economia». (Keystone)

infatti dimenticare che l’Europa confina a est, a sud-est e a sud con regioni che attraversano delle gravi crisi.

Nel suo libro fa una diagnosi delle malattie dell’UE per poi proporre delle terapie adeguate. Secondo lei, anche la politica in materia di tassi di interesse della Banca centrale europea (BCE) è corresponsabile dell’attuale situazione. È una politica monetaria espansiva che Mario Draghi, presidente della BCE, ha confermato di recente. Perché sostiene che sia necessario abbandonare la politica dei tassi zero?

La politica monetaria espansiva è stata necessaria per superare la crisi finanziaria. Altrimenti si rischiava di scivolare in una depressione, simile a quella vissuta negli anni Trenta, da cui sarebbe stato molto difficile uscire. Finora, la politica dei tassi d’interesse bassi mirava a concedere del tempo ai Paesi pesantemente indebitati affinché avessero la possibilità di mettere in atto i necessari cambiamenti strutturali volti a rilanciare le loro economie nazionali. Purtroppo però ciò non è avvenuto nella misura auspicata poiché i tassi di interesse bassi hanno dato l’illusione ai politici che fosse possibile superare le difficoltà senza riforme. Se i tassi di interesse sono mantenuti bassi artificialmente non rispecchiano più i reali rischi e così l’economia di mercato perde la sua principale bussola. Ciò produce delle strutture non sostenibili, spoglia i risparmiatori, mette in difficoltà le casse pensioni ecc. È un’evoluzione che ritengo molto pericolosa. È necessario abbandonare questa politica, anche se non è per nulla facile. Nel mio libro cito alcuni economisti che indicano quali strade percorrere per riuscirci.

E nel suo libro scrive anche che l’euro, la moneta che doveva favorire questo processo di integrazione europea si è invece trasformato in un elemento di frattura, diventando una delle principali causa dell’attuale crisi europea.

Certo, l’euro ha anche avuto degli effetti positivi. Ma è una specie di «letto di Procuste» per i Paesi poiché li obbliga a rispettare delle regole molto severe. Se gli Stati della zona euro non avessero sistematicamente infranto le varie disposizioni dell’UE in materia

di disciplina finanziaria, forse l’euro potrebbe addirittura funzionare. La BCE può fare una sola politica monetaria che però non risponde sempre ai reali bisogni dei singoli Stati, visto che ciascuno ha una situazione economica molto diversa. Dall’introduzione dell’euro, i Paesi meridionali deboli non dispongono più della possibilità di svalutare la loro moneta per rimanere concorrenziali sul mercato internazionale. E visto che non hanno risolto adeguatamente i loro problemi strutturali non riescono a migliorare la loro situazione economica. Non sono sicuro che l’euro, nella forma attuale, riesca veramente a sopravvivere.

Propone dunque di reintrodurre le vecchie monete nazionali?

Non credo sia nemmeno questa la strada giusta da seguire. Secondo me, l’uscita dall’Unione monetaria dei Paesi molto deboli, rispettivamente di quelli molto forti è un’opzione non così impensabile. Non propongo certo di abbandonare l’euro. Se verrà però applicato il mio modello, l’euro potrebbe forse sopravvivere. Naturalmente è un modello difficile da realizzare; i Paesi dovrebbero assumersi la totale responsabilità delle loro economie nazionali e verrebbe introdotto il diritto fallimentare anche per gli Stati. Il fallimento di uno Stato americano o di un Cantone svizzero non metterebbe in pericolo il dollaro o il franco poiché queste economie nazionali non poggiano su un sistema basato sulla solidarietà.

Nel suo libro, poco dopo, scrive che la libera circolazione delle persone è il secondo principale elemento di divisione all’interno dell’Unione europea. Perché? E come andrebbe ripensata secondo lei?

La migrazione è utile, ma solo, per così dire, a dosi non troppo grandi. Il successo della Svizzera sarebbe impensabile senza le idee e le conoscenze che i migranti hanno portato nel nostro Paese nel corso dei secoli. Tuttavia, una migrazione eccessiva, concentrata in un breve periodo, crea tensioni, che vanno prese sul serio e che sono all’origine di preoccupanti sviluppi politici, gravidi di conseguenze. A titolo d’esempio, ricordo la Brexit e il crescente successo dei populisti. Chi non vuole guardare in faccia la realtà, corre il pericolo di perdere il controllo della situazione.

Non credo che l’UE debba abbandonare completamente la libera circolazione, tuttavia per difendere i propri interessi l’Europa dovrebbe introdurre alcune clausole di salvaguardia. Una soluzione che non stravolgerebbe la geniale idea del mercato unico europeo.

Con la sua critica alla libera circolazione delle persone non corre il rischio di portare acqua al mulino dell’Unione democratica di centro?

Non posso semplicemente ignorare il problema a causa dell’UDC. Il problema della Svizzera è che tutti gli accordi bilaterali sono vincolati alla libera circolazione. E i vantaggi della libera circolazione sono sempre superiori agli svantaggi. Sono in molti a saperlo ed è anche per questo che l’iniziativa contro l’immigrazione di massa è stata accettata dal popolo con meno di 20mila voti di differenza. Secondo me, l’abbandono della via bilaterale avrebbe gravi conseguenze economiche per tutti noi. L’UE è pur sempre il principale partner commerciale della Svizzera, un partner insostituibile anche solo per una questione geografica. Per salvare l’Europa propone un modello europeo federalista. Come funzionerebbe un simile modello?

Si tratta di un’idea molto semplice: negli ultimi secoli le conquiste europee più sorprendenti a livello tecnologico, di idee e di politica economica sono il frutto di un sistema basato sulla concorrenza e sulla diversità. Questa enorme e forte fonte di creatività e progresso è stata inaridita dalla centralizzazione e dall’armonizzazione, tendenze promosse sempre più dall’UE. Per ritornare a un sistema fondato sulla concorrenza bisogna riconsegnare le redini del proprio destino ai singoli Stati. È questo l’elemento centrale. I Paesi hanno delegato troppe responsabilità a Bruxelles e di riflesso Bruxelles si è impadronita di troppe responsabilità che spetterebbero invece ai singoli Stati. Dobbiamo assolutamente invertire questa tendenza. Questa è la prima colonna portante. Tuttavia, in un mondo globalizzato ci sono delle sfide che gli Stati europei possono affrontare efficacemente solo in maniera comune. Tra queste ci sono la protezione delle frontiere esterne, la difesa, la politica estera, la politica migratoria, il mercato unico, la politica di libero scambio, ma

Oggi, nell’attuale clima politico è molto difficile promuovere e realizzare delle riforme. Inoltre, in questo momento Bruxelles non ha molto tempo per riflettere sui massimi sistemi. Quale futuro vede per questa Europa?

So naturalmente quanto sia difficile realizzare delle riforme. Quando sedevo in Consiglio federale ho maturato un bel bagaglio di esperienze, per esempio con la perequazione finanziaria, il risanamento delle finanze statali o i negoziati in ambito della fiscalità del risparmio con l’UE. Se un Paese piccolo ha già grandi difficoltà a promuovere delle riforme, la sfida diventa quasi insuperabile per l’Unione europea formata di 27 Stati nazionali e a causa dei complessi e lenti meccanismi decisionali di Bruxelles. Ma la riluttanza nei confronti delle riforme può avere conseguenze catastrofiche in un contesto globale in continuo mutamento. Per questo motivo è necessario porsi degli obiettivi ambiziosi e perseguirli con caparbietà. Se l’UE non riesce a reinventarsi rischia con il passare del tempo di diventare un’attrice comprimaria sulla scena internazionale. È un ruolo che non auguro né all’Europa né alla Svizzera! Bibliografia

Die Durcheinanderwelt – Irrwege und Lösungsansätze di Kaspar Villiger, edito da NZZ Libro, Neue Zürcher Zeitung, 2017, Zurigo.

Kaspar Villiger Kaspar Villiger, nato nel 1941 a Pfeffikon, nel canton Lucerna, è un politico del Partito liberale radicale e imprenditore svizzero. Dal 1989 al 2003 è stato membro del Consiglio federale. Inizialmente ha diretto il Dipartimento federale della difesa, in seguito quello delle finanze. Negli anni 1995 e 2002 ha ricoperto la carica di presidente della Confederazione. Dopo le sue dimissioni dal governo elvetico, Kaspar Villiger ha fatto parte dei Consigli di amministrazione di Nestlé, Swiss Re, NZZ e dell’UBS, di cui ha assunto per tre anni la presidenza. Nel 2016 ha ricevuto il premio per la libertà della Fondazione Friedrich-Naumann.


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Politica e Economia

Fine di una carriera politica roboante

Elezioni cantonali La mancata rielezione di Oskar Freysinger nell’esecutivo vallesano mette in risalto la difficoltà

dell’UDC di entrare e mantenere il posto nei governi cantonali, dove vige il principio di collegialità Marzio Rigonalli L’interesse per l’elezione di un governo cantonale non travalica quasi mai i confini del cantone interessato. Arriva, tutt’al più, ad estendersi alle regioni che sono geograficamente vicine o che hanno in comune determinate caratteristiche, come per esempio la lingua parlata. Non è stato così una settimana fa, quando si è svolto il secondo turno dell’elezione dell’esecutivo vallesano. I principali media nazionali e regionali hanno focalizzato la loro attenzione sulla votazione. Pagine intere ed articoli si sono susseguiti nei giorni che hanno preceduto il voto, lo spoglio delle urne è stato seguito con grande attenzione e, quando il risultato finale è arrivato, la notizia è finita d’apertura sulle prime pagine. Al centro di tutto questo interesse c’erano Oscar Freysinger, la sua discussa personalità, il suo futuro politico e il suo tentativo di farsi rieleggere in seno all’esecutivo cantonale. Le altre poste in gioco, come per esempio l’elezione dell’ex presidente nazionale del PPD, Christophe Darbellay, o la possibile entrata in governo di due socialisti, non vennero ritenuti altrettanto rilevanti. Il clamore dei media è stato dunque la spia dell’importanza dell’evento. L’uscita di scena di Oskar Freysinger, uno dei tre vicepresidenti nazionali dell’UDC, ha segnato la fine di un’esperienza cantonale durata quattro anni ed il ritorno alla formula di governo che vigeva prima in Vallese, con tre rappresentanti del PPD, uno del PLR e uno del PS. Ha messo in luce anche due caratteristiche della scena politica svizzera, che riguardano in primo luogo l’UDC. La prima tocca la collegialità in seno agli organi eletti, la seconda mette in evidenza le difficoltà che il partito di Christoph Blocher incontra, quando vuol far eleggere suoi rappresentanti negli esecutivi cantonali. Oskar Freysinger non ha rispettato il principio della collegialità, lanciandosi in iniziative personali ed in manovre politiche che non sono state ben viste dalla compagine di governo, che non si sono rivelate utili al lavoro collettivo dell’esecutivo e che sono state mal recepite anche dalla popolazione. Un esempio sono stati i suoi viaggi all’estero per

partecipare a degli incontri di movimenti di estrema destra e per tenervi conferenze. Un altro esempio è stata la decisione di prendere come consulente all’interno del Dipartimento della sicurezza e della formazione il «survivalista» Pietro San Giorgio. Questi, attraverso un video diffuso sui social media e le affermazioni che conteneva, si rivelò essere un estremista di destra pronto a ricorrere alla violenza. La diffusione del video provocò un’ondata di indignazione e di proteste in tutto il cantone, cominciando dai colleghi di governo di Freysinger, nonché il lancio di una petizione online che chiese le dimissioni di San Giorgio e che in poco tempo raccolse quasi mille firme. Messo alle strette, il consigliere di Stato UDC decise di allontanare lo scomodo personaggio. Un ultimo esempio è stata la tentata manovra elettorale per impedire l’elezione del suo acerrimo nemico Christophe Darbellay. Freysinger si è alleato ed ha fatto una lista comune con Nicolas Voide, ex presidente del Gran Consiglio, rappresentante la destra del PPD. Con questa alleanza, Freysinger voleva anche dare una certa forza alla sua «rivoluzione conservatrice». Di fronte a questa manovra, il partito di maggioranza relativa si è sentito aggredito, nonché esposto al pericolo di una scissione. Ha reagito in poco tempo, schierandosi a sostegno di Darbellay e dei suoi due membri uscenti del governo. Il risultato del braccio di ferro fu chiaro già la sera del primo turno: Darbellay raggiunse il miglior risultato e Voide ottenne troppi pochi voti per poter presentarsi al secondo turno. Con il suo agire, Freysinger si è così creato molte antipatie nel PPD e, probabilmente, ha provocato anche un forte desiderio di vendetta. Lo testimonia anche il fatto che molti elettori del PPD abbiano preferito votare a favore del liberale radicale Frédéric Favre, trentottenne, membro del PLR da un anno soltanto, e con nessuna esperienza politica. La mancata rielezione di Freysinger rappresenta uno novità nella storia recente del Vallese. Per trovare un altro magistrato cantonale non rieletto, bisogna risalire al 1937. Evidenzia anche come una forte personalità, eletta in una compagine governativa, rischia di farsi estromettere quando assume

Freysinger ha pagato per le numerose polemiche che ha scatenato. (Keystone)

posizioni per lo più estreme, che non vengono condivise dai suoi colleghi, e quando non si piega alle esigenze della collegialità. A livello federale è successo nel 2007, quando l’Assemblea federale non rielesse Christoph Blocher, lo stratega dell’UDC, ma gli preferì Eveline Widmer-Schlumpf. Il caso vuole che uno degli artefici dell’esclusione di Blocher sia stato Christophe Darbellay, un Darbellay che ritroviamo presente anche nella non rielezione di Freysinger. Voci sparse hanno addirittura ipotizzato una congiura ordita da Darbellay e dall’ex consigliere federale Pascal Couchepin per eliminare Freysinger. La seconda caratteristica della scena politica svizzera che merita di essere sottolineata rappresenta la difficoltà dell’UDC a far eleggere suoi rappresentanti nei governi cantonali. L’UDC è il primo partito svizzero, è il partito con il maggior numero di rappresentanti nei parlamenti cantonali, ma arriva soltanto quarto nella classifica riguardante il numero dei consiglieri di Stato. Al primo posto troviamo il PLR e il PPD, ciascuno con 40 rappresentanti negli

esecutivi cantonali, e al terzo posto il PS, con 28 rappresentanti. L’UDC ne ha soltanto 22, praticamente tutti concentrati nella Svizzera tedesca. Dopo l’esclusione di Freysinger non c’è più nessun rappresentante UDC nei governi cantonali romandi. Il solo francofono presente è il giurassiano Pierre Alain Schnegg, membro dell’esecutivo bernese dallo scorso mese di luglio. La difficoltà per l’UDC a far parte dei governi cantonali è emersa anche nelle elezioni svoltesi nel canton Friburgo in autunno e nel canton Soletta, lo scorso 12 marzo, una settimana prima del secondo turno dell’appuntamento vallesano. Per la quinta volta consecutiva, l’UDC ha tentato di far parte dell’esecutivo solettese, ma il suo candidato ha ottenuto un risultato così poco lusinghiero da farlo desistere dal partecipare al secondo turno che si svolgerà il 23 aprile. L’attenzione si porta ora sulle due prossime elezioni cantonali che si svolgeranno nella Svizzera romanda, il 2 aprile nel canton Neuchâtel ed il 30 aprile nel canton Vaud. L’UDC ci riprova. A Neuchâtel, lancia ben tre candida-

ti per tentare di riconquistare il seggio, al quale il suo rappresentante Yvan Perrin ha dovuto rinunciare per malattia tre anni fa, dopo un anno di presenza nel governo. A Losanna, punta sul suo presidente cantonale e consigliere nazionale Jacques Nicolet, per conquistare il seggio lasciato libero dalla socialista Anne-Catherine Lyon. In questo caso, l’UDC può contare sull’apporto del PLR con il quale ha concluso un’alleanza elettorale. Un apporto non trascurabile, perché il PLR detiene tre dei sette seggi dell’esecutivo e, con l’UDC, vorrebbe trasformare l’attuale maggioranza di governo di centro-sinistra in una maggioranza di centro-destra. Dopo l’elezione in Consiglio federale di Guy Parmelin nel 2015, l’UDC mirò ad estendere la sua presenza in Romandia. Fin ora, i risultati elettorali mostrano che questo obiettivo non è stato raggiunto. Anzi, gli stessi dati lo fanno apparire ancora molto lontano e lasciano supporre che, probabilmente, bisognerà attendere ancora molto tempo, prima di poter assistere ad un eventuale effetto Parmelin. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

La Banca Nazionale Svizzera non cambia rotta

Politica monetaria Segni di miglioramento congiunturale negli USA e in Europa fanno sperare in minori pressioni

sul franco svizzero. Ma le forti incertezze sul piano politico consigliano prudenza nelle decisioni da adottare

Ignazio Bonoli Le incertezze – tanto di tipo economico, quanto e soprattutto politico – che dominano ancora i mercati in questo inizio d’anno rendono le autorità monetarie dei vari paesi molto prudenti. La Banca Nazionale Svizzera, nel suo primo rapporto trimestrale, ha deciso di non cambiare politica, mantenendo invariati il tasso di interesse sui depositi a vista al –0,75%, e l’obiettivo delle oscillazioni consentite al Libor a tre mesi sul franco fra il –1,25% e il –0,25%. Il suo giudizio su un franco sopravvalutato sui mercati valutari non è cambiato, per cui la BNS rimane disponibile a ulteriori interventi di freno. I mercati hanno comunque reagito il giorno stesso con una leggera spinta al rialzo, sia sull’euro, sia sul dollaro, ma senza un preciso indirizzo. Accanto all’attesa della piega che prenderà la politica americana del nuovo presidente Trump, anche i motivi di incertezza in Europa sono dettati da attese politiche. Un primo dato positivo è dato dall’esito dello scrutinio svoltosi a metà marzo in Olanda, che ha visto la conferma del partito dell’attuale presidente del governo, ma che solleva anche nuove incertezze sulla coalizione che dovrà reggere le sorti politiche del paese nei prossimi mesi. Attese – e quindi incertezze – sono

però provocate dall’avvicinarsi delle scadenze elettorali in Francia e Germania, nonché dalla situazione politica in Italia. Mentre l’economia in Europa soffre di queste situazioni, a livello mondiale le prospettive di crescita sono migliori. La Banca Nazionale Svizzera tiene conto di queste situazioni nelle previsioni per l’anno in corso, mantenendo le prospettive di crescita del PIL all’1,5%. Di conseguenza, rivede le previsioni di crescita dei prezzi dallo 0,1% allo 0,3% per quest’anno. Ma il prezzo del petrolio, su cui si basano gran parte delle previsioni di rincaro, ha subito proprio negli stessi giorni un calo significativo. Il prezzo di questo (ancora) importante fattore energetico dipende in gran parte dalla domanda (talvolta anche dalle manovre dei produttori). Domanda che cresce se l’economia cresce. Anche sotto questo punto di vista, quindi, le previsioni di crescita sono importanti. Lo sono per tutte le economie e, in particolare, quella americana che sembra avviata sulla buona strada, nonostante certi atteggiamenti politici, come ad esempio un ritorno al protezionismo, che potrebbero frenare certi sviluppi. La Svizzera – come noto – basa molto della sua crescita economica sui rapporti commerciali con l’estero. Sotto questo aspetto i primi bilanci del commercio estero sono positivi, nono-

La politica monetaria resta un «cantiere» aperto in tutta l’Europa. (Keystone)

stante l’alta quotazione del franco svizzero sui mercati delle divise. Compito principale della Banca Nazionale resta comunque quello di mantenere le quotazioni del franco svizzero a un livello sopportabile per l’economia d’esportazione. Sovente però un livello basso del franco svizzero genera il pericolo di importare inflazione. Oggi anche i maggiori contraenti commerciali della Svizzera vivono un periodo di bassi tassi di inflazione. Tan-

to che uno degli obiettivi delle politiche monetarie delle banche centrali è oggi quello di provocare un livello di inflazione che possa fare da sostegno alla crescita economica. Obiettivo però non ancora raggiunto per il momento, né dalla Riserva federale americana, né dalla Banca Centrale Europea. La prima ritiene giunto il momento di alzare leggermente i tassi di interesse di riferimento (+0,25%), mantenendo però molta

prudenza sui futuri adeguamenti. La seconda prosegue invece la sua politica di «Quantitative Easing», cioè di acquisto di titoli di scarsa qualità presso le banche e quindi immissioni di euro nel sistema monetario europeo. In Europa però l’inflazione ha raggiunto l’obiettivo del 2%. È quindi probabile che la BCE possa procedere entro breve tempo a un rialzo dei tassi direttori. Questo potrebbe avvenire perfino prima della fine del programma di «Quantitative Easing», contrariamente a quanto ha fatto la Federal Reserve americana. Finirebbe cioè la fase di tassi negativi e lascerebbero quota zero anche i tassi di riferimento principali. Ci sono quindi chiari segnali di cambiamento, che anche la Banca Nazionale Svizzera segue con attenzione. Segnali che però non sono ancora tali da costringere le autorità monetarie elvetiche a una modifica sostanziale della politica finora seguita. I tassi di interesse negativi rimarranno per qualche tempo ancora, dato che la domanda di franchi svizzeri resta alta e le incertezze politiche in Europa rischiano di incrementarla, mentre le previsioni di crescita dell’inflazione in Svizzera restano moderate. Solo per il prossimo anno si può prevedere un’eventuale ripresa dell’euro, il che potrebbe permettere – se necessario – qualche allentamento anche della politica della BNS. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Kneschaurek, superconsulente e futurologo E così se ne è andato anche il Cecch, come lo chiamavano, affettuosamente, i suoi studenti. Francesco Kneschaurek, professore di economia all’università di S. Gallo, è spirato, dopo breve malattia, una decina di giorni fa. Era l’ultimo sopravvissuto della triade di professori di economia ticinesi, nati negli anni Trenta dello scorso secolo, e diplomati della Scuola cantonale di commercio di Bellinzona. Ed era anche il più conosciuto, almeno in Svizzera, anche se, a differenza degli altri due, Luigi Solari e Piero Balestra, non aveva mai ricoperto la carica di presidente dell’associazione degli economisti svizzeri. Dal 1960 al 1990, aveva insegnato a più generazioni di economisti ticinesi, a molti dei quali, con le sue raccomandazioni, aveva poi anche facilitato la carriera. Terminati gli studi a S. Gallo, era stato dapprima consulente di una conosciuta ditta sciaffusana e poi aveva soggiornato negli Stati Uniti. Al suo rientro in Svizzera era stato nominato professore e aveva così cominciato la sua carriera di insegnante e di ricercatore. Si può

dire che i temi principali della ricerca del prof. Kneschaurek sono stati due: la previsione di lungo termine e la politica strutturale. Kneschaurek è stato uno dei primi studiosi in Svizzera ad occuparsi di previsioni macroeconomiche. Non delle previsioni annuali sull’andamento del prodotto nazionale diventate così comuni oggi. No, Kneschaurek si è occupato delle estrapolazioni delle tendenze di lungo termine, ossia di quello che avrebbe potuto succedere nei prossimi venti o trent’anni. Utilizzava per far questo un approccio neoclassico, basato sul concetto di output potenziale. Questo concetto corrisponde alla produzione massima che un’economia può realizzare con un dato effettivo di lavoratori, una data tecnologia e un dato livello dei prezzi. Partendo da stime dell’evoluzione della popolazione e della popolazione attiva, da un lato, e della produttività per lavoratore, dall’altro, Kneschaurek calcolò la crescita nel lungo termine del reddito sociale di un’economia, un aggregato che equivale all’odierno prodotto nazionale netto. Stimò anche

l’evoluzione storica di questo aggregato, dall’Ottocento alla metà del Novecento, come pure il modo nel quale si era sviluppato nelle economie cantonali. Dal 1968 al 1973 occupò il posto di delegato del Consiglio federale per la prospettiva economica. Era allora, si può dire, il principe dei consulenti del settore pubblico. Per il governo federale produsse una serie di studi sulla crescita probabile della popolazione e dell’economia e sulle conseguenze che le stesse avrebbero potuto avere sugli investimenti pubblici nell’infrastruttura. È in relazione a questi studi, in particolare in relazione ai risultati di una variante di previsione per l’evoluzione demografica, da lui formulata per le concezioni nazionali per l’evoluzione degli insediamenti dell’istituto ORL del Politecnico federale, che nacque l’equivoco della Svizzera con 10 milioni di abitanti nell’anno 2000 e che gettò purtroppo molto discredito sulle previsioni di lungo termine. Di fatto, un paio di anni dopo, nel suo rapporto del 1974, Kneschaurek avanzò per il 2000 una previsione di popolazione di

7-7,1 milioni, vicinissima a quella che sarebbe stata rilevata dal censimento federale del 2000 (7,2 milioni). Ma molti si ostinarono a considerarlo come il padre della previsione di 10 milioni, ritenendolo addirittura in parte responsabile per gli investimenti eccessivi nell’infrastruttura fatti, in quegli anni, da molti comuni. Aggiungo infine che, sempre nel campo della prospettiva, a Kneschaurek e ai suoi collaboratori si deve anche la fondazione della Società svizzera di futurologia e del Centro di S. Gallo per la ricerca sul futuro. La politica strutturale costituì il secondo tema fondamentale della sua ricerca. Da noi, Kneschaurek fu il primo economista ad occuparsi in modo approfondito dei problemi legati alle modifiche strutturali che ingenerava il processo di rapida crescita economica, manifestatosi a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. La finalità maggiore dei suoi studi in questo campo era di avvertire le autorità politiche di ogni livello che la rapida crescita creava insufficienze e colli di bottiglia in molti domini

dell’infrastruttura. Lo Stato avrebbe quindi dovuto investire nella costruzione di case e appartamenti necessari per albergare il crescere rapido degli effettivi della popolazione residente, nella rete stradale per dar sfogo alla fiumana di veicoli che la stava invadendo, nella produzione di energia per evitare che il paese dipendesse troppo dall’estero per il suo approvvigionamento e nella formazione dei giovani per far fronte alla crescente richiesta di lavoratori con alte qualifiche. Anche il suo famoso rapporto su Stato e sviluppo dell’economia ticinese, pubblicato nel 1964, può essere iscritto tra le sue analisi di politica strutturale. Questo rapporto è, come molti altri scritti dal maggior esperto della prospettiva economica che la Svizzera abbia mai avuto, una testimonianza di come, nel trentennio di forte crescita che ha seguito la seconda guerra mondiale, economisti e politici erano convinti di aver trovato finalmente il modo di eliminare le disparità territoriali e assicurare a tutte le regioni il medesimo livello di benessere.

non voterà Hamon – non ha dato il suo sostegno a Macron, ma il messaggio al proprio partito è stato netto. Se Hamon non ha saputo contenere il drenaggio di voti al centro, non è nemmeno riuscito a convincere il leader alla sua sinistra, l’istrionico Jean-Luc Mélenchon, a un’alleanza. Al dibattito televisivo della settimana scorsa – il primo organizzato con i cinque candidati posizionati meglio nei sondaggi – è risultato evidente che la mancata alleanza tra il Ps e il partito di Mélenchon, France insoumise, ha radici più personali che ideologiche. A parte la questione russa, che monta molto a causa dell’ultimo scandalo in cui è stato coinvolto il candidato gollista François Fillon e che divide i due leader della sinistra, c’è una sostanziale vicinanza di idee e di ispirazioni. Ma nonostante il corteggiamento di Hamon, le telefonate, gli incontri fissati e rimandati, le indiscrezioni sprezzanti filtrate, Mélenchon non ha ceduto, e ha

preferito spaccare il fronte della sinistra piuttosto che dargli una chance elettorale più concreta. Hamon viaggia attorno al 15 per cento dei sondaggi, Mélenchon all’11: insieme avrebbero potuto insidiare i big, Macron e l’ineffabile frontista Marine Le Pen, ma hanno deciso di non farlo, condannandosi alla possibilità di non partecipare al ballottaggio del 7 maggio prossimo. Il clima dalle parti dei socialisti è così mesto che i giornali parlano già di un piano di Hamon per il dopo presidenziali che si fonda sulla consapevolezza di una sconfitta. L’elettorato di sinistra si tormenta sull’ipotesi di un voto utile: se Hamon non ce la fa, per il bene del Paese e per contrastare l’ascesa dei frontisti, conviene votare Macron già dal primo turno. Per molti però si tratta di un passo doloroso: l’ex ministro dell’Economia è percepito come un ultracapitalista poco attento ai valori della sinistra, un traditore poco coraggioso che è uscito dal gruppo senza

provare a farsi piacere lì dentro. Come facciamo a votarlo?, dicono sospirando molti elettori, pur sapendo che le alternative non sono molte. Se patto repubblicano deve essere al 7 maggio, contro Marine Le Pen, portiamoci avanti adesso, suggeriscono alcuni, senza alcuna allegria. E mentre si leggono ormai ovunque necrologi sulla sinistra francese, il rimpianto cresce. Questa elezione è un’occasione mancata: una candidatura della destra debole come quella di Fillon è difficilmente ripetibile. Il leader dei Républicains non riesce a uscire dallo scandalo legato agli stipendi parlamentari di sua moglie e dei suoi figli – anzi, la sua posizione s’aggrava: c’è anche l’accusa di truffa – e intanto è già finito in altri due: vestiti costosissimi e soprattutto metodi poco chiari per ottenere visibilità presso la corte russa di Putin, che in un modo o in un altro finirà per avere un ruolo anche nelle elezioni francesi.

una foliazione più contenuta nei giorni lavorativi della settimana e, precisava che al lettore non avrebbe più dato tantissime cose «lasciando a lui il peso di scegliere: ha poco tempo da dedicare alla lettura, dobbiamo essere noi a selezionare per lui. L’altra faccia della medaglia di questa scelta è il giornale del fine settimana». Era già una chiara indicazione che la formula vincente, o perlomeno la piattaforma più sicura su cui idealmente avrebbe potuto posizionarsi il mondo della stampa scritta, era quella di una informazione a due velocità: rapida e consapevolmente «liquida» (nel senso che la si consuma in fretta, idealmente per poter disporre di tutte le carte nella successiva fase di verifica) dal lunedì al venerdì; poi, al sabato e alla domenica, un’informazione basata su tutta una serie di riscontri e di approfondimenti che solo la carta riesce a offrire e a valorizzare e che possono giungere da un giornalismo che fa affidamento su inchieste, lunghe

interviste, ricerca grafica e originalità. In estrema sintesi: notizie continue da tv, radio e web, ma solo la carta stampata può garantire chiarezza e ricchezza di nessi argomentativi per interpretarle. Domanda da scettico: se invece di essere noi a cercare le informazioni saranno le informazioni a venire a cercare noi, sentiremo veramente e ancora la necessità di letture di approfondimento durante il fine settimana? Il «trend» è comunque in atto ormai da anni, con tutta una serie di accorgimenti e varianti, presso le maggiori testate del mondo anglosassone, e inseguito da quasi tutti i maggiori giornali, molti dei quali spinti più da problemi di sopravvivenza che da programmi industriali. Su tutti i progetti continuano a pendere incognite che attenuano le certezze per il futuro, rendono difficili le scelte e originano in continuazione nuovi ostacoli. L’incertezza è in gran parte dovuta al fatto che anche radio, televisioni e media online (e il fatto di

trovare editori e redazioni dei grandi giornali su entrambi i fronti non aiuta) si muovono per preservare e, potendo, favorire i propri interessi. Ci sono poi, da sempre, problemi legati alla migrazione dei volumi pubblicitari, attratti dalle novità e dalle mode del web, ma fondamentalmente indecisi a compiere passi definitivi, anche perché le nuove generazioni hanno sì detto addio a giornali e riviste, ma sono sempre meno attratte dalla pubblicità online. Inoltre negli ultimi mesi i dubbi relativi alle future tecnologie e all’uso degli algoritmi (studiati per conoscere dati ma anche per influenzare comportamenti), stanno spingendo grandi editori a rivedere la loro opposizione ad alleanze con Apple, Facebook o Google, cioè con giganti dell’online smaniosi di diversificare le loro attività sfruttando le immense liquidità e i potentissimi aggregatori di informazioni. A questo punto vien da chiedersi: com’era quel gioco cinese? Carta vince sul sasso, forbice vince...

Affari Esteri di Paola Peduzzi La fine della gauche Benoît Hamon non pensava che sarebbe stato il candidato del Partito socialista francese all’Eliseo, «nessuno lo ha visto arrivare perché nemmeno lui credeva di arrivare», ha detto un deputato parlando di lui con «L’Obs». Era sempre stato un funzionario di secondo rango, Hamon, con un istinto di ribellione che i suoi amici fanno risalire al divorzio dei suoi genitori, quando aveva 12 anni, e all’iscrizione a un liceo cattolico che doveva essere un invito alla disciplina e che si è trasformato in un ulteriore motivo di rivolta. Il «frondeur»: così è chiamato dentro al Partito, e Hamon è fiero di essere ostinato, ispirato a uno scontro di classe che persegue fin da quando era giovane. Soltanto che ora, di fronte alla candidatura all’Eliseo, Hamon è stato chiamato a mostrare altre doti, basta con le rivolte e uniamoci tutti fortissimo. E come forse era immaginabile, la missione per ora non gli è riuscita. Dopo aver vinto le primarie, Hamon ha

cercato di parlare a tutta la base di sinistra, ma fin da subito l’ala più moderata non ha accolto il suo appello: la frattura con il centro era già di per sé inevitabile, a causa del profilo molto radicale della carriera di Hamon. L’emorragia ha favorito il candidato outsider, quell’Emmanuel Macron che, senza partito e senza passato, si è posizionato al centro dello spettro politico e ha cercato di approfittare delle debolezze della sinistra e della destra. Da settimane si rincorrevano le voci di un possibile endorsement per Macron da parte dei ministri del governo socialista – quello della Difesa, l’influente Jean-Yves Le Drian, è arrivato per primo giovedì scorso. Propenso ad appoggiare Macron sembra anche lo stesso presidente, François Hollande, descritto nei retroscena molto deluso e molto nervoso per l’andamento della campagna elettorale dei socialisti. Manuel Valls, ex premier e principale sfidante di Hamon alle primarie, ha già spiegato perché

Zig-Zag di Ovidio Biffi Carta, sasso, forbice Bighellonando sul web, o rileggendo lunghi articoli, spesso mi imbatto in frasi che mi colpiscono. Me le segno e le riunisco in una cartella del mio Mac. Alla fine però, il caos del web e il mio disordine patologico si coalizzano per farmi dimenticare riferimenti, date ecc. rendendo abbastanza fatuo, se non proprio inutile questo esercizio. A spingermi a continuare dev’essere il piacere che provo quando mi metto a sbirciare nei lunghissimi elenchi e ritrovo brevi testi, frasi, poesie e altre note che avevo scordato. Un piacere un po’ simile a quello che provavo da bambino rovistando nelle scatole della lana, quelle (solitamente in vimini, cassettine ricoperte di stoffa) in cui, oltre a gomitoli e ferri per i lavori a maglia, nonna e mamma dimenticavano anche caramelle, pizzini, qualche santino ecc. L’ultimo «appunto» depositato nell’elenco iniziava così: «Dire, come fa “l’Espresso”, “carta vince” è un po’ troppo. Si può dire la carta, rispetto a internet, è come fermarsi oltre

che correre, digerire oltre che mangiare, bere acqua oltre che vino, camminare oltre che salire in auto, usare a tavola un po’ di buon pane». È l’avvio usato su «Il Foglio» da Alfonso Berardelli per commentare un articolo che «l’Espresso» aveva dedicato al riproporsi della carta stampata come tecnologia insuperabile del leggere e dello scrivere. Il duello in atto da ormai due decenni fra carta e digitale, cioè fra giornali e informazione online, torna periodicamente sui giornali, tanto da generare il sospetto che le redazioni decidano di ripresentarlo per cavarne forza e speranze più che per interesse e convinzione, tanto più che i dati riguardanti vendite e lettura di giornali cartacei fanno pensare a situazioni meno tranquille, purtroppo anche in Ticino. Ricordo che già qualche anno fa un documento del «Corriere della Sera» (messo in rete, ma non dalla redazione milanese) annunciava progetti editoriali basati su un quotidiano che avrebbe dovuto avere


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Cultura e Spettacoli Una scena sempre ricca Al Teatro Foce la comicità del duo Full House, mentre il Paravento presenta Il Muro

Fogli di architettura La Pinacoteca Züst ripercorre la storia dell’architetto Giacomo Quarenghi attraverso opere grafiche realizzate dalla mano di ticinesi

L’incanto dei Meistersinger La Scala di Milano propone la «commedia che scalda il cuore» di Richard Wagner pagina 36

Magnetico Bowie Alla [dip] Contemporary Art di Lugano gli iconici scatti di Masayoshi Sukita a David Bowie

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Idillio e perdizione

Mostre Retrospettiva su Ernst Ludwig

Kirchner al Kunsthaus di Zurigo

Gianluigi Bellei Sono trascorsi esattamente cento anni da quando Ernst Ludwig Kirchner si trasferì a Davos, in Svizzera. Per lui sono momenti difficili; il suo dottore, Luzius Spengler, gli diagnostica una dipendenza da barbiturici e morfina. Comincia a curarsi, seguito da un’infermiera, in uno chalet a Stafelalp, vicino a Davos, e poi nel sanatorio del dottor Ludwig Binswanger a Kreuzlingen sul lago di Costanza. L’anno seguente il Kunsthaus di Zurigo espone alcuni suoi lavori in una collettiva. Ed è proprio in occasione di questo centenario che lo stesso Kunsthaus propone le opere degli anni berlinesi: dal 1912 al 1914. Kirchner è noto soprattutto come uno dei fondatori del gruppo Die Brücke, Il ponte. Nato il 7 giugno del 1905 a Dresda, Die Brücke si prefigge lo scopo di coordinare le forze avanguardiste del periodo fungendo, appunto, da ponte fra la Germania e le altre nazioni. Il nome deriva da Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche nel quale il filosofo sostiene che l’uomo è un ponte fra il bruto e il Superuomo. Il manifesto del gruppo non è altro che una xilografia dello stesso Kirchner nella quale si legge: «Con una profonda speranza nel progresso, in una nuova generazione di creatori e di pubblico, chiamiamo a raccolta l’intera generazione dei giovani e come la gioventù è legata al futuro, desideriamo procurarci libertà d’azione e di vita, contro le vecchie forze così profondamente radicate. È al nostro fianco chiunque corrisponda con immediatezza e con sincerità a quanto lo spinge a creare». I membri del gruppo leggono Nietzsche, Kierkegaard, Freud, Ibsen, Strindberg… e ovviamente non condividono i valori della borghesia, ma quelli soggettivi e irrazionali. Nel 1911 si trasferiscono a Berlino ed è il loro momento di maggiore attività. Nel 1913 Die Brücke si scioglie. In quegli anni, ma non solo, Kirchner dipinge un mondo diviso fra la solitudine, la meschinità vacua e volgare delle grandi città e la visione idilliaca della natura e dei suoi nudi femminili. Il primo caso si riferisce a Berlino, città che lo attrae e nel contempo lo respinge, e l’altro al paesaggio

naturale dell’isola baltica di Fehmarn, ove trascorre lunghi periodi estivi con gli amici e la compagna Erna Schilling. I colori della sua tavolozza sono acidi, violenti, innaturali, quasi primitivi, basati sui contrasti dei complementari: rosso, verde, giallo, viola. Berlino è una città caotica con due milioni di abitanti. Una delle più grandi d’Europa; piena di contraddizioni fra lussuose automobili e miserabili operai, ricchi borghesi e prostitute. In mostra troviamo uno dei dodici olî della serie dedicata alle scene di strada e più precisamente quello proveniente dal Museum of Modern Art di New York del 1913. Le figure sono stilizzate e allungate, camminano indifferenti l’una dell’altra, ma sempre vicine, come in ogni moltitudine. Le donne sono macchiette, piene di trucco e con gli abiti esagerati, simbolo della corruzione e della decadenza. Nessuno guarda lo spettatore e, anzi, molti hanno il viso rivolto verso il basso. Kirchner è affascinato e nello stesso tempo disgustato da questo mondo vacuo e ridondante. A Fehmarn, al contrario, l’artista vive una situazione paradisiaca, lontano da tutto, in mezzo alla natura selvaggia e incontaminata. Le diverse fotografie del periodo mostrano i protagonisti completamente nudi in bagni di sole, in mezzo alle onde o sugli scogli. I suoi nudi femminili sono eloquenti, spensierati, ritratti fra una vegetazione rigogliosa e mossa e case da fiaba. Come nel celeberrimo dipinto Le tre bagnanti del 1913, proveniente dall’Art Gallery of New South Wales di Sydney, nel quale tre ragazze sono circondate da un’onda gigantesca con sopra la testa una colomba bianca in volo. O magari come in Girl, Fehmarn sempre dello stesso anno, proveniente dal Lehmbruck Museum di Duisburg, dove due ragazze sinuose sono immerse in un ambiente lussureggiante di foglie verdissime ondulate dal vento. In mostra, a corollario del percorso cronologico, alcune opere del periodo precedente e successivo. I primi anni a Dresda sono caratterizzati dai suoi scandalosi nudi. Due le modelle, Marcella e Fränzi, che posano anche per Pechstein e Heckel, due membri del gruppo Die Brücke. Sono figlie di

Ernst Ludwig Kirchner, Tre bagnanti, 1913. (AGNSW)

un artista del varietà e lo hanno conosciuto tramite il custode dell’Accademia di Belle Arti di Dresda. I loro nomi sono citati nei titoli dei quadri. Un’altra modella è Dodo. Con l’inizio della Prima guerra mondiale Kirchner lascia Fehmarn per arruolarsi. Certo la disciplina militare non è il suo forte e a causa delle sue precarie condizioni fisiche e mentali viene ricoverato nel sanatorio di Königstein e poi nel 1917, appunto, si rifugia a Davos. Icona di questo periodo è l’Autoritratto come soldato del 1915, purtroppo presente solo in catalogo, nel quale con la divisa del 75esimo reggimento di artiglieria si ritrae con la sigaretta in bocca e la mano destra mozzata. A Davos i dipinti si fanno più surreali, stranianti; forse maggiormente leggiadri. Di certo bellissimi nella loro visionarietà alluci-

nata. Da vedere l’Autoritratto sotto l’effetto della morfina del 1917. Il resto è storia. Nel 1938 la Germania nazista annette l’Austria; Kirchner è comunque già inserito nella lista degli artisti degenerati. Sempre più depresso e scoraggiato il 15 giugno di quell’anno si uccide con un colpo di pistola al cuore. La mostra, organizzata assieme al Brücke-Museum di Berlino, propone 160 fra dipinti, disegni, pastelli, stampe, sculture e fotografie, provenienti dai maggiori musei del mondo, come il Guggenheim e il Museum of Modern Art di New York, il ThyssenBornemisza di Madrid e ovviamente il Kirchner Museum di Davos che da solo detiene la più ampia collezione di opere. In un angolo viene proposta la ricostruzione della nicchia del suo atelier berlinese. Di fronte la gigantogra-

fia di una foto del suo studio nel 1915 con in primo piano un giovane nudo che balla. Mostra da vedere anche da coloro i quali si ricordano ancora quella di Villa Malpensata del 2000 curata da Rudy Chiappini. Belle luci, ottimo allestimento, con le pareti colorate di violenti viola, rossi e gialli. Catalogo, come sempre, in tedesco o in inglese. Dove e quando

Kirchner. Gli anni berlinesi. Kunsthaus, Zurigo. A cura di Sandra Gianfreda e Magdalena M. Moeller. Orari: ve-do/ma 10.00-18.00, me/gio 10.00-20.00. Fino al 7 maggio. Catalogo Kunsthaus/Hirmer D/E, fr. 59.–. www.kunsthaus.ch


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Cultura e Spettacoli

Un muro e un duo d’«alta cultura» In scena Il Teatro canzone del Paravento a Locarno e l’intrattenimento intelligente a Lugano

Giorgio Thoeni Dopo la creazione del Muro di Berlino, il numero delle barriere nel mondo è quadruplicato. Ma se durante la Guerra Fredda un muro era simbolo di conflitto e di zona militare, negli ultimi 25 anni è tornato ad essere un simbolo di «sicurezza e protezione» desiderato dai cittadini spaventati dalle minacce esterne, in particolare dalle ondate migratorie: un sentimento sfruttato dalla politica ma che oggi si è trasformata in un’emergenza umanitaria. Il muro ha una storia antica: da quelle di Troia alla Grande Muraglia, dal Vallo di Adriano alla «murata» di Bellinzona del ’500, già ci siamo anche noi: creata per riscuotere tasse di passaggio è poi andata distrutto dall’onda della «Buzza di Biasca». Fino a quello annunciato da Trump l’elenco dei muri fa paura: sono più di 70 quelli che in pochi anni sono stati eretti per dividere e se si somma la loro lunghezza si ottiene una cifra pari a più di un terzo della circonferenza della terra. È il soggetto sviluppato da Il muro, l’ultima produzione del Teatro Paravento che ha debuttato recentemente a Locarno. Utilizzando la formula del «teatro canzone», lo spettacolo scritto e diretto da Miguel Angel Cienfuegos prende le mosse dalla progettazione di un muro divisorio: tre architetti confrontano le loro idee, ma uno di loro viene presto emarginato in quanto propone una soluzione utopistica e dialettica. Si entra così nel vivo di una sorta di manifesto/

Henry Camus e Gaby Schmutz sono il duo Full House. (Agendalugano)

denuncia di stretta attualità che la compagnia locarnese aveva già affrontato con Dall’altra parte sulla falsariga di un’opera di Ariel Dorfman. In poco più di un’ora la pièce snocciola tutte le contraddizioni, le assurdità e le inquietudini di un tema che rivendica solidarietà e che è ormai uscito dall’ambito della metafora per diventare un enorme dramma epocale. Successo alla prima per gli attori (con Miguel ci sono Luisa Ferroni e Amanda Rougier) e per i musicisti (il «Vad Vuc» Fabio Martino alla fisarmonica con Fabrizio Barale alla chitarra) autori delle musiche di

scena cantate su testi di Paolini, Papa Francesco, De Andrè, Guillèn e lo stesso Cienfuegos. Una lezione di professionalità

«La pubblicità è l’anima del commercio». Se ci riferiamo al mondo del teatro il celebre slogan potrebbe sembrare sminuente. Eppure uno dei problemi del teatro indipendente, soprattutto quello più fragile, consiste nel veicolare il più possibile l’informazione per avere presenza in platea. Se non lo fa corre il rischio che in una città come Lugano, che non è una metropoli tentacolare

dall’esuberante massa critica, il pubblico ignori l’offerta lasciando semideserta la sala. E se oltre a una promozione improvvisata ci aggiungiamo una concomitanza istituzionale fortemente pubblicizzata il triste risultato è assicurato. Non potevamo evitare certe considerazioni, soprattutto dopo aver fatto parte di quella dozzina di spettatori presenti recentemente al Teatro Foce per assistere a Alta cultura, spettacolo proposto dal Duo Full House. Henry Camus e Gaby Schmutz è una coppia di artisti di alto livello sulla breccia da almeno venticinque anni. Provengono da quel genere

di intrattenimento fantasista che nasce nelle piazze e che appartiene alla grande famiglia del teatro di strada. Può vivere lunghe stagioni nelle sale teatrali di ogni dimensione come pure nei cabaret o per convention aziendali. I nostri hanno girato il mondo, dal Giappone a Montecarlo e sono in grado di affrontare ogni tipo di pubblico anche grazie a un eccellente e ironico eclettismo linguistico. Coppia sulla scena e nella vita, lui è americano di New York, lei è svizzera e dice di venire dalla cittadina di «Oberunterlunkenhofen»: nome di fantasia che numerose e pigre citazioni ormai hanno reso quasi attendibile. Henry è l’esuberante, eccentrico e incontenibile showman americano che gioca sul contrasto con la flemma svizzerotedesca e precisina della sua partner. Per contro Gaby non si lascia sottomettere facilmente e nel programma del loro show c’è spazio per momenti di collaudata bravura individuale per un’esilarante kermesse dove trovano spazio gag, spettacolari numeri di jonglage, acrobazie, animazioni col pubblico e virtuosi momenti musicali per dare quel tocco di «alta cultura» a cui fa riferimento il titolo. Una lezione di grande e ammirevole professionalità, dunque, di fronte a una platea ridotta al minimo che ha ripagato con divertito entusiasmo: un degno tributo per due straordinari e simpatici artisti. Alta cultura del Duo Full House tornerà al Teatro di Locarno il prossimo 5 novembre. C’è ancora tempo ma almeno lì la promozione andrà sicuramente meglio. Perché se lo meritano. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Un architetto bergamasco alla corte di Caterina

Mostra Alla Pinacoteca Zuest esposti alcuni disegni riferibili all’opera di Giacomo Quarenghi,

opere conservate in Ticino all’Archivio del Moderno

Elena Robert La piccola mostra che la Pinacoteca Züst dedica al grande Giacomo Quarenghi (1744-1817) nelle raccolte grafiche degli architetti ticinesi si presenta ricca di contenuti e di charme. Riserva inediti e non poche sorprese anche a chi si interessa già a queste tematiche o a chi vuole andare oltre l’appagante godimento estetico. I risvolti più interessanti stanno nelle pieghe nascoste delle ricerche ultraventennali su quell’inesauribile cantiere aperto del fenomeno dell’emi-

Acquisizioni Il Fondo Luigi Rossi della Pinacoteca Züst si è arricchito di un altro bel dipinto dell’artista ticinese. L’acquisizione di Madre triste, 1909 ca., di Luigi Rossi (1853-1923) risale a fine 2016. Nella balconata del mezzanino Matteo Bianchi cura una piccola esposizione contestualizzando con documenti e altre opere provenienti dalla casa museo Luigi Rossi in Capriasca il clima del socialismo umanitario caro alla sensibilità dell’artista e di personalità della Milano d’inizio Novecento. Con Madre triste che ritrae la custode di un edificio popolare milanese non lontano da dove abitava Rossi, si ammirano i dipinti Alveare (la casa di ringhiera) e la Scuola del dolore (la morte di un bambino): tutti rinviano alle tematiche di interesse dell’artista: socialità, infanzia, universo femminile. Visitabile fino al 17 aprile.

grazione ticinese in Russia. Nella mostra curata da Nicola Navone, vicedirettore dell’Archivio del Moderno (AdM) e docente all’Accademia di architetturaUSI, alcuni di questi stimolanti risvolti ci vengono svelati oggi dalle schede che accompagnano la ventina di disegni esposti e lo saranno in seguito con gli approfondimenti della pubblicazione prevista a conclusione dell’anno quarenghiano, dedicata alle stesse testimonianze grafiche e al rapporto tra Quarenghi e gli architetti ticinesi. Ricorre infatti nel 2017 il bicentenario della morte del disegnatore e architetto bergamasco, protagonista del rinnovamento dell’architettura russa nel regno di Caterina II, attivo per quarant’anni a San Pietroburgo, nei cui prestigiosi cantieri è affiancato da architetti e capomastri ticinesi. Dell’ampio, articolato programma internazionale di festeggiamenti per Giacomo Quarenghi al quale partecipano una trentina di istituzioni (tra cui il Museo Ermitage a San Pietroburgo) è parte anche l’Archivio del Moderno dell’Accademia di architettura-USI, rappresentato nel Comitato internazionale delle celebrazioni presieduto da Piervaleriano Angelini, direttore dell’Osservatorio Quarenghi a Bergamo. E non è un caso che il 2 marzo scorso a Mosca, nell’Istituto di Cultura italiana, Letizia Tedeschi, direttrice dell’AdM, abbia aperto l’anno Q, con la conferenza Un architetto per Caterina la Grande. Giacomo Quarenghi e le sue radici italiane. L’iniziativa concretizzata a Rancate è frutto della prima collaborazione tra l’AdM, diventato polo di riferimento per le ricerche sulla diffusione della cultura architettonica italiana in Russia in epoca neoclassica e la Pina-

Prospetto d’edificio all’Ermitage. (AdM)

coteca Züst, che si impegna da tempo nel tessere una rete di conoscenza più ampia su artisti e architetti provenienti dalle terre ticinesi. Giacomo Quarenghi è tra le figure più importanti del panorama neoclassico europeo e portavoce attraverso la sua architettura della cultura italiana in Russia. Per capirne le fonti è necessario riferirsi anche al piccolo Ticino da dove partì l’emigrazione verso est e dove sono conservati documenti grafici di notevole valenza storicodocumentaria come quelli esposti a Rancate: testimonianze che talora non hanno corrispettivi in Russia e sono fondamentali per le ricerche a livello internazionale. I disegni sono presentati per raccolta grafica di appartenenza, la maggior parte riferibili a fondi custoditi all’AdM (Adamini, Gilardi, Domenico Quadri, Album Rusca Grimani) mentre quattro fogli provengono dall’Archivio Camuzzi del Comune di Collina d’Oro. Alcuni disegni documentano per esempio edifici quarenghiani che non esistono più, o le cui testimonianze grafiche sono andate

perdute, o la cui genesi progettuale non avrebbe potuto essere svelata se non proprio attraverso quel tassello indispensabile. Nei confronti di architetti e capomastri ticinesi Quarenghi nutre sentimenti diversi, dalla stima per l’affidabilità dell’operato alla diffidenza per quella che definisce «rapacità» nell’occupare i posti chiave nell’edilizia russa. Anche dagli studi compiuti su questi disegni emergono quelle qualità che si riconoscono ormai ai ticinesi e cioè la competenza tecnica, la rete di relazioni, la duttilità sul lavoro, la reinterpretazione delle pratiche costruttive. E continuano del resto a sorprenderci – osserva il curatore – la grande vivacità culturale, gli interessi, la curiosità, l’ampiezza e velocità degli scambi. D’altro canto, la diffusa ammirazione dei ticinesi nei confronti del grande architetto italiano è attestata nei disegni scelti per la mostra, di mano, ambito o soggetto quarenghiano. Il pezzo forte della mostra è lo splendido album di venti disegni confluito all’AdM, donato nel 1795 da

Luigi Rusca all’ambasciatore uscente della Repubblica di Venezia Zampiero Grimani, tra i quali figura il prospetto dell’edificio progettato da Quarenghi all’Ermitage per ospitare la replica delle Logge di Raffaello al Vaticano, unica testimonianza autografa della facciata ideata dall’architetto italiano, poi trasformata nell’Ottocento da Leo von Klenze durante la costruzione del Nuovo Ermitage. Va infine menzionata una rara incisione della Borsa (oggi al Museo Civico Villa dei Cedri a Bellinzona), commissionata nel 1785 da Quarenghi al calcografo Giacomo Mercoli di Mugena, che testimonia il precoce interesse dell’architetto per la diffusione a stampa delle proprie opere. Dove e quando

Giacomo Quarenghi (1744-1817) nelle raccolte grafiche degli architetti ticinesi, mostra a cura di Nicola Navone, Pinacoteca Züst, Rancate, fino al 17 aprile 2017. Orari: 9.00-12.00 e 14.00-17.00, chiuso il lunedì (aperto il lunedì di Pasqua).

Una Milano tutta da vedere Itinerari artistici Nei prossimi giorni la capitale della Lombardia si trasformerà in luogo

di pellegrinaggio artistico e di scoperte architettoniche e tecnologiche Ada Cattaneo Per il milanese conservatore l’ultima settimana di marzo e la prima di aprile sono il momento per fuggire dalla città: vernissage e opening in ogni dove, creativi che si affollano nei locali storici alla ricerca della «Milano più autentica» e visitatori che si riversano su tram e metropolitane. Ma per ogni appassionato d’arte contemporanea e di design quegli stessi giorni sono imperdibili: è massima la concentrazione di mostre, conferenze, aperture straordinarie di luoghi altrimenti inaccessibili e anche il 2017 non fa eccezione. Si comincia dal 31 marzo al 2 aprile con la fiera Miart, dopo soli due giorni di riposo, si prosegue con il Salone del Mobile. Il nuovo direttore artistico di Miart, Alessandro Rabottini, ci ha raccontato cosa dobbiamo aspettarci per questa ventiduesima edizione della fiera di arte contemporanea e moderna che negli ultimi anni ha saputo, a parere unanime, distinguersi per qualità. «Sono state riconfermate le sezioni centrali – Emergent, First Step, Established Contemporary ed Established Masters – con una selezione di gallerie internazionali che si occupano di arte del XX e XXI secolo. Nuova è la sezione “On Demand”, dedicata a tutte quelle opere che hanno una relazione diretta con il momento in cui vengono viste o comprate – da installazioni site specific ai wall painting –, che vivono della

relazione con il contesto e con il collezionista, e che vengono realizzate in via definitiva solo dopo essere state acquisite. Insieme alla casa di produzione grigionese Snaporazverein è anche stato istituito un premio per l’artista più meritevole della sezione, che possa permettere una produzione futura, così da travalicare i confini temporali della fiera». Rinnovata è anche la sezione «Generations» che vede collaborare coppie di gallerie per mettere a confronto due artisti di generazioni diverse. Emerge anche da questi aspetti come una fiera d’arte sia sempre più chiamata a svolgere un approfondimento culturale, non limitandosi al ruolo di vetrina per le gallerie partecipanti. A questo proposito Rabottini, già attivo alla GAMeC di Bergamo e in seguito al Museo MADRE di Napoli, aiuta a capire questi meccanismi: «L’anima di una fiera è la programmazione delle gallerie. Ma la

presenza del curatore nelle fiere è funzionale al dialogo con gli espositori e può aiutare a veicolare i contenuti. Siccome le fiere sono sempre di più e sempre più complesse, sussiste la necessità di avere professionisti che gestiscano la contestualizzazione delle opere in dialogo con le gallerie». Le nuove partecipazioni internazionali – quest’anno sono presenti 175 gallerie – sono un chiaro segnale del consolidamento sempre maggiore di Miart e che tale formula è molto apprezzata. Il programma per il pubblico si arricchisce anche dei Miart Talks, dibattiti fra personaggi del mondo dell’arte che ogni anno sono strutturati secondo un’unità tematica, tanto da diventare quasi un simposio. «La coincidenza che si verifica solo ogni dieci anni e che vede in programma per il 2017 Biennale di Venezia, Documenta di Kassel e Skulptur Projekte di Münster, ci ha fat-

Vista a MiArt 2016: Babel, opera di Isabella Travaglio Vismara. (Keystone)

to considerare che è il momento giusto per interrogarsi su cosa siano le biennali in questo momento storico, come si trasformino e dove stiano andando. Peraltro le biennali sono in parte affini alle fiere: un fenomeno globale, una strategia per molte città di posizionarsi sulla mappa internazionale dell’arte». Se Miart si svolge negli spazi della Fiera di Milano, molte sono anche le iniziative concomitanti nel resto della città, sviluppate insieme all’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano: sono già in corso le mostre di Keith Haring e Manet a Palazzo Reale, Kandinskij al MUDEC, oltre a quella dell’artista polacco Miroslaw Balka all’Hangar Bicocca, con aperture prolungate nei giorni della fiera. Inaugurano invece le personali Adrian Paci presso la Basilica di Sant’Eustorgio e Santiago Sierra al Padiglione d’Arte Contemporanea. Da cogliere anche l’occasione dell’apertura speciale dello splendido Albergo Diurno di Porta Venezia, un centro di servizi per viaggiatori realizzato negli anni Venti da Piero Portaluppi e solitamente chiuso al pubblico. La settimana successiva molte zone di Milano si animeranno anche per il Salone del Mobile: oltre alla grande fiera dedicata all’arredamento nell’area espositiva di Rho, che nel 2016 aveva fatto registrare circa 40’000 visitatori in pochi giorni, i quartieri particolarmente vivaci in queste giornate saranno quelli del cosiddetto «Fuori Salone», i cui spa-

zi più interessanti sono via Tortona con il Superstudio di Brera e la zona di Via Ventura e di Lambrate. Il lavoro di designer da tutto il mondo viene presentato in spazi inconsueti e spesso destinati ad altri usi, con numerose iniziative tutte da consultare sul sito www.fuorisalone.it. Quest’anno riaprono anche alcuni dei Magazzini Raccordati: l’area di stoccaggio appena sotto i binari della Stazione Centrale, estesa per circa 40’000 mq e chiusa da decenni, diventa luogo espositivo temporaneo per installazioni site specific in attesa della riqualificazione. A Palazzo Litta in Corso Magenta sarà invece visitabile il padiglione degli architetti Diller Scofidio + Renfro, autori tra le altre cose della «nuvola» che in occasione di Expo 02 aleggiava sulle rive del Lago di Neuchâtel. Sempre nel palazzo cinquecentesco verranno presentati i prototipi di bicicletta elettrica realizzati dagli studenti di ECAL, Royal College of Art di Londra e Design Academy Eindhoven su invito del brand svizzero Punkt. E, ancora, l’Istituto Svizzero ospiterà gli esperimenti di robotica applicata alla costruzione architettonica del gruppo Gramazio Kohler Research dell’ETH di Zurigo. Dove e quando

MilanoArtWeek e Miart 2017, 27 marzo-2 aprile. Milano Design Week e Salone del Mobile, 4-9 aprile.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Cultura e Spettacoli

L’arte rinasce tra le rovine

Opera In scena alla Scala di Milano Die Meistersinger von Nürnberg

di Richard Wagner Sabrina Faller

La «commedia che scalda il cuore», così è stata definita Die Meistersinger von Nürnberg – che Richard Wagner concepì , scrisse e rappresentò tra il 1845 e il 1868 –, perché umana, gioiosa, viva, con gli elementi tipici della commedia, equivoci, scambi di persona e lieto fine. Siamo verso la metà del Cinquecento a Norimberga in pieno rinascimento germanico, scaturito anche dalla Riforma Protestante di cui Hans Sachs, poeta calzolaio realmente vissuto e personaggio-chiave della vicenda narrata da Wagner, è stato il cantore. Al centro una gara poetica e canora tra poeti riconosciuti, maestri cantori appunto, per ottenere la mano di Eva, figlia del facoltoso orefice Pogner. Il cavaliere Walther von Stolzing non è né poeta né cantore, ma quando tra lui ed Eva scoppia il colpo di fulmine, decide di diventarlo. Si sottopone a un primo giudizio e viene subito bocciato per la sua non adesione alle regole di metrica, molto complesse e rigide. Ma Hans Sachs, il più fulgido fra i maestri cantori e il più amato dal popolo, riconosce la sua arte e lo aiuta a prepararsi per la gara, sebbene anche lui nutra un sentimento per la giovane Eva. Il rivale in amore e in poesia di Walther è lo scrivano della città, Beckmesser, comica figura di pedante e imbroglione, ma nonostante i suoi rag-

giri, – ruba il testo di Walther e cerca di farlo suo –, nella gara poetica che si svolge all’aperto in un tripudio di folla, viene rifiutato, mentre Walther trionfa. Tema centrale dei Maestri Cantori è dunque «che cosa è arte? ciò che segue le regole o ciò che le rompe? chi deve decidere che cosa è arte? un’élite o appunto il popolo?». Per Hans Sachs l’arte ha bisogno di essere nutrita, le regole da sole non bastano. C’è forse un riferimento autobiografico: Richard Wagner è Walther (ma è anche Sachs!), il sovvertitore delle regole, il rivoluzionario. Non è un caso che Walther rifiuti la corona del vincitore e che Eva stessa deponga la corona sulla testa di Sachs, che rimprovera il giovane, sollecitandolo a non disprezzare i maestri e ad onorare la sacra arte tedesca. E il popolo lo acclama, quel popolo che Sachs indica come punto di riferimento per l’arte. Questi Maestri Cantori che approdano alla Scala dopo ventisette anni di assenza sono un allestimento dell’Opernhaus di Zurigo del 2102, la regia è affidata a un grande vecchio della scena tedesca, Harry Kupfer, che firmò alla fine degli anni ’80 un celebre Ring a Bayreuth. Kupfer non resiste all’idea di trasportare i suoi Meistersinger nel secondo dopoguerra, tra le rovine della chiesa di S. Caterina, distrutta da un incendio nel ’45, chiesa che era stata sede della scuola di canto dei maestri cantori

nel Cinquecento, in cui si svolge il primo atto dell’opera e che oggi, in quanto rovina molto ben conservata, è sede di spettacoli all’aperto. Siamo verso la fine degli anni ’40, Norimberga, città-simbolo del nazionalsocialismo, semidistrutta dai bombardamenti, ha visto lo storico processo contro i criminali nazisti nel ’45, e sta cercando – con fatica ma anche con determinazione – di uscire da un passato buio, proprio come la Norimberga di Lutero e Hans Sachs usciva dalle tenebre del Medioevo. L’ambientazione postbellica getta un’ombra sulla luce della rinascita, e nel contempo dà forma a quelle inquietudini che avvertiamo nell’opera di Wagner e che parte della critica novecentesca ha chiamato deriva verso il populismo, idea di superiorità della razza e altro. Le rovine della chiesa di S. Caterina sono il palcoscenico fisso dell’azione e, disposte su una pedana ruotante, si mostrano da diversi scorci. Sullo sfondo cambia il volto della città: nel primo atto è un cumulo di macerie, nel secondo comincia la ricostruzione e si vedono le gru, nel terzo atto la città si è sviluppata e svettano i nuovi edifici. Ma l’intenzione registica si svela soprattutto nella scena finale della gara poeticocanora, in cui il fastoso cerimoniale che la precede è trasformato in una specie di festa di provincia, con processione

Azione

© 2017 The Coca-Cola Company.

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Un momento di Die Meistersinger von Nürnberg, al Teatro alla Scala fino al 5 aprile. (Brescia/Amisano, Teatro alla Scala)

quasi carnevalesca e il sindaco che inciampa nel gonfalone in un’atmosfera dimessa e senza pretese, come presumibilmente l’arte che vi si propone. Tutto questo va contro il trionfale e solenne finale wagneriano. Kupfer s’inventa un finale a sorpresa, con Sachs che rinuncia alla corona di maestro cantore e l’appende al chiodo, rifiutando quella Germania nazionalista e xe-

nofoba cui sembrano fare riferimento le sue stesse parole. Michael Volle è un Hans Sachs sanguigno e potente, Markus Werba un Beckmesser poco comico ma convincente, mentre Daniele Gatti negli ultimi dieci anni – dal Parsifal di Bayreuth in poi – si è ritagliato il meritato titolo di «direttore wagneriano». Da vedere al Teatro alla Scala fino al 5 aprile.

Architettura ideale e jazz improvvisato Concorsi In palio biglietti per una mostra

a Villa dei Cedri e una ECM Session alla radio Regolamento

Biglietti in palio

8 per 6

4.20 invece di 5.60 Coca-Cola, Coca-Cola zero 8 × 330 ml

Villa dei Cedri, Bellinzona In(de)finiti luoghi. Utopie architettoniche e realtà artistiche Fino al 6 agosto 2017 Orari: Me - ve 14:00 -18:00 Sa, do, festivi 11:00 - 18:00 Una decina di artisti svizzeri propongono le loro visioni di spazi globalizzati, di «luoghi indefiniti» tipici del mondo contemporaneo.

Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» biglietti gratuiti per le manifestazioni organizzate tramite il Percento culturale. Il concorso è riservato a chi non ha beneficiato di vincite nel corso degli scorsi mesi. Per vincere basta inviare martedì 28 marzo una email all’indirizzo giochi@azione.ch indicando il proprio nome, cognome, indirizzo, e scegliendo la manifestazione a cui si intende prendere parte. I vincitori saranno estratti a sorte tra tutti partecipanti e riceveranno una conferma via e-mail. Buona fortuna!

Tra Jazz e nuove musiche Rassegna di Rete Due Gio 30 marzo, ore 21.00 Auditorio S. Molo, Lugano Besso Thomas Strønen, Time is a blind guide

SU TUTTI I PRODOTTI COCA-COLA 8 × 330 ML, OFFERTA VALIDA SOLO DAL 28.3 AL 3.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Ayumi Tanaka pianoforte Lucy Railton violoncello Håkon Aase violino Ole Morten Vågan contrabbasso Thomas Strønen batteria, percussioni, composizione

Il batterista scandinavo registrerà il suo prossimo album durante il concerto.


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Cultura e Spettacoli

Molta onestà ma poche sorprese Musica Il nuovo lavoro del rocker Ryan

Adams, dominato dall’amarezza per il suo divorzio, conferma le sue capacità compositive

Il fotografo giapponese di Bowie Fotografia La galleria luganese [dip] contemporary art presenta

gli scatti di Masayoshi Sukita, che ha seguito per anni la carriera dell’artista inglese

Giovanni Medolago

Un album energico ma che non riesce a proporre nulla di nuovo.

Benedicta Froelich Negli ultimi anni, la scena musicale d’oltreoceano ha visto rifiorire un ampio e attivissimo sottobosco «alternativo», dedito a quella forma di rock «made in America» che, pur arrivando raramente a toccare le vette delle classifiche commerciali, sta via via raccogliendo sempre più consensi, al punto da poter oggi contare su un discreto e crescente pubblico di appassionati. Il cosiddetto «alternative rock» è così divenuto una vera e propria branca a sé stante della già ampia e variegata offerta che la categoria di musica leggera più popolare di sempre può vantare; e non vi è dubbio che, all’interno di questo gettonatissimo genere, uno dei nomi di maggior spicco dell’ultimo decennio sia stato quello dell’oggi quarantaduenne Ryan Adams. Spesso confuso con il quasi-omonimo (ma ben più stagionato) collega canadese Bryan Adams, il performer della North Carolina è salito alla ribalta come solista nel 2000 dopo una militanza di qualche anno nella sottovalutata band country-rock dei Whiskeytown; e benché dischi come Heartbreaker (2000) e Love Is Hell (2004) siano stati accolti da un notevole successo di critica, dal punto di vista commerciale Adams non è mai riuscito a raggiungere vendite davvero stellari. Tuttavia, il suo «zoccolo duro» di fan è tutt’altro che trascurabile, e ha quasi unanimemente espresso entusiastica approvazione all’uscita di questo nuovo Prisoner – il quale, fin dal primo ascolto, si distingue come un perfetto compendio del rock targato USA degli ultimi venticinque anni, condito dall’alquanto nostalgica e malinconica interpretazione di Ryan, il cui mood compositivo è qui fortemente influenzato dal recente divorzio dalla moglie Mandy Moore. Ne consegue che Do You Still Love Me, l’efficace singolo di lancio dell’album, si presenta come un’irresistibile ballatona rock in puro stile anni 80, il cui sound ipnotico – un curioso mix tra le sonorità dei Foreigner di Lou Gramm e quelle di un’altra storica formazione del periodo, gli Whitesnake – di certo non mancherà di mandare in estasi i più accaniti tra i fan di Adams. Del resto, bisogna dire che, fin dai suoi esordi, Ryan non si è mai distinto per particolare originalità compositiva o interpretativa, in quanto la sua musica costituisce da sempre una perfetta combinazione di American rock e cantautorato anni 90, realizzata secondo i dettami stabiliti da nomi quali Springsteen e Prince, ma in più condita con un gusto chitarristico crudo ed estre-

mamente efficace, in cui la voce ruvida ma espressiva di Adams sembra esplorare i recessi più profondi dell’emotività umana. Questo nuovo album ne è esempio perfetto, come dimostrato anche dai brani più delicati – ad esempio i romantici To Be Without You e Shiver and Shake, ottimi esempi di soft rock riflessivo e d’atmosfera. E si potrebbe dire che forse siano proprio l’immediatezza e onestà della musica di Ryan – il modo in cui qualsiasi ascoltatore può subito riconoscersi nei suoi accordi rabbiosi e al tempo stesso aggraziati, e la naturalezza del suo timbro vocale – ad aver fatto la fortuna di questo performer, un po’ come successo, su scala planetaria, al già citato Bruce Springsteen. Lo si può notare anche in una traccia come Doomsday, che beneficia di un potente e suggestivo attacco di armonica e contiene echi dei classici di artisti quali Cock Robin (band americana che nel magico decennio degli Eighties firmò brani memorabili come Just Around the Corner e When Your Heart is Weak), e perfino Tom Petty e i suoi Heartbreakers. Lo stesso si può dire della title track, Prisoner, un lento intenso e malinconico nella migliore tradizione del cantautorato statunitense anni 90; in questo senso, anche Haunted House, dotato di un testo intrigante e a tratti toccante, può considerarsi un esperimento riuscito. Ma uno dei brani più convincenti resta senz’altro l’amaro Breakdown, sorta di ballata disincantata e rabbiosa in cui, ancora una volta, Adams riesce a coinvolgere l’ascoltatore fin dalle prime note. Da parte sua, seppur animato da considerevole energia, un pezzo come il ritmato Outbound Train non possiede la medesima forza, finendo per apparire come una riproposizione un po’ ripetitiva di altre composizioni dell’artista; risulta invece molto più mosso e originale il frenetico Tightrope, il quale conferma l’impressione che, in questa fase della sua carriera, Ryan tenda a privilegiare brani quanto più possibile travolgenti. In definitiva, Prisoner costituisce ulteriore riprova del fatto che, per quanto non possiamo ambire a trovare in Ryan Adams un artista destinato a rivoluzionare il mondo della musica leggera, egli resta comunque un ottimo e onesto professionista, sul quale è sempre possibile fare affidamento per del sano rock «verace»; così, sebbene quest’album non riservi all’ascoltatore alcuna vera sorpresa o inaspettata rivelazione stilistica, resta un prodotto di cui qualsiasi vero rocker può essere più che orgoglioso – particolare non da sottovalutare, soprattutto in un’epoca come la nostra.

Aveva vari soprannomi, all’epoca era appena diventato Ziggy Stardust, di lì a poco sarebbero nati il Duca Bianco e «l’uomo che cadde sulla Terra». Era nato in Inghilterra, ma davvero era caduto sulla Terra per cambiare – e a più riprese – il volto non solo della musica, bensì addirittura del famoso immaginario collettivo. È il 1972 e David Bowie è in tournée nel suo Paese per promuovere l’album The Man Who Sold the World, proprio quando il fotografo giapponese Masayoshi Sukita si aggira per l’Inghilterra per portare davanti al suo obiettivo un’altra star britannica, Marc Bolan, che con i suoi T. Rex sta riscuotendo un incredibile successo. Bolan, il primo a presentarsi con scialli di piume, lustrini e cilindro, diventa profeta di quel glam rock (da glamour) su cui Bowie punterà per ri/crearsi personaggi e pagine nuove della carriera, atmosfere musiche e mondi ogni volta diversi. Sukita ha un’attrazione per la musica rock: è stato a Woodstock, ha fotografato Jimi Hendrix pochi mesi prima della sua tragica scomparsa. Ha avuto esperienze nel campo nella moda, ma il suo primo maestro, un oscuro artigiano di Osaka, era un appassionato di «fotografia pura», quella che in Occidente chiamiamo «artistica» e che ha solide tradizioni in Giappone. Bowie si gode un successo arrivato dopo anni e anni di tentativi, di formazioni scioltesi come neve al sole o per dissapori dopo i primi successi (leggi: guadagni). Da quando ha imparato a suonare il sax, tuttavia, egli sa

che il suo destino è quello del solista, dell’artista multiforme e dotato di sorprendente creatività. È la sua curiosità ad arricchire il suo già straordinario talento musicale. Un esempio? La vigilia di quella che diventerà «la trilogia berlinese», Bowie è in Germania per disintossicarsi: è un pluritossicodipendente bisognoso di cure che però s’informa sulla musica del Paese che lo ha accolto e scopre così il «krautrock», termine piuttosto spregiativo coniato dalla stampa USA per riferirsi ai gruppi tedeschi attivi negli anni 70 del secolo scorso, vuoi di rock progressivo o addirittura per la musica elettronica di Karlheinz Stockhausen… Dal canto suo, Sukita sa che deve conoscere quell’istrione: «La prima volta che ho visto Bowie sul palco, accanto a Lou Reed, ho capito che era diverso da tutti gli altri cantanti. C’era qualcosa in lui che dovevo per forza fotografare».

David Bowie, ha influenzato il mondo sia con la sua musica, sia con l’immagine Da quel lontano 1972, Bowie e Sukita si sono rincorsi nei quattro angoli del mondo e una selezione di quell’enorme archivio costituito negli anni dal fotografo nipponico è approdata adesso nelle sale della Galleria luganese [dip] contemporary art. Aperto nell’ottobre scorso con una personale di Melik

As I Ask You To Focus On, 1973. (© Photo by Sukita)

Ohanian (Prix Marcel Duchamp 2015 e Leone d’Oro alla 56. Biennale di Venezia), lo spazio diretto da Michela Negrini si propone di creare un forum innovativo per l’arte contemporanea e nell’attuale allestimento curato da ThinkDesign (agenzia di eventi e comunicazione di Lugano) ci presenta, se possibile, un David Bowie inedito. Non mancano certo né il rock ’n roll animal o la celeberrima copertina dell’album Heroes (due colori per gli occhi del cantante), ma c’è una galleria di personaggi che Bowie ha interpretato solo per il suo amico Masayoshi oppure ha immediatamente abbandonato. Sukita confessa che il suo lavoro è stato parecchio aiutato dall’attitudine di Bowie: «Non si limitava a creare un personaggio, ma diventava quel personaggio e così era più facile ritrarlo». La solida amicizia nata tra i due ha poi portato ad alcuni click molto intimi, con un Bowie finalmente libero di non dover apparire. Immediatamente dopo la chiusura della mostra, la galleria proporrà un altro omaggio alla star prematuramente scomparsa con le cinque sessioni fotografiche (Aladdin Sane, Lodger, Scary Monsters, L’uomo che cadde sulla terra e Ziggy Stardust) realizzate con Bowie tra il 1972 e il 1980 dall’artista britannico Brian Duffy. Dove e quando

David Bowie & Masayoshi Sukita: HEROES. [dip] contemporary art, Lugano (Via Dufour 21, Angolo Via Vanoni). Fino al 26 aprile 2017. dipcontemporaryart.com


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M per Momenti di tenerezza.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Colpo di fortuna

Europa-Park

Chi visita il celebre parco di divertimenti tedesco può girare tutta l’Europa in un solo giorno. Le famiglie vi trovano, infatti, 15 quartieri tematici europei con l’architettura, la vegetazione e la gastronomia tipiche di ciascuna nazione. Ad intrattenere gli ospiti ci sono anche un centinaio tra attrazioni e spettacoli

In palio 12 avventurosi soggiorni e 200 entrate giornaliere per famiglie all’Europa-Park a Rust

Concorso

Condizioni e termini di partecipazione

1 Con il «Volo da Vinci» nel quartiere italiano, gli ospiti spingono personalmente i pedali delle navicelle volanti per vivere dall’alto l’atmosfera mediterranea. Nel quartiere greco i più coraggiosi fluttuano sul Mar Mediterraneo per un «Volo di Icaro» in mongolfiera. Con il «Pilota dei ghiacciai» nel quartiere svizzero, grandi e piccini volano sul Cervino godendosi un panorama alpino mozzafiato. Nel nuovo quartiere irlandese gli ospiti scoprono l’isola verde dal cielo, volando sul dorso di un drago nella giostra «Spinning Dragons». I visitatori hanno modo di sperimentare il vento tra i capelli anche nel quartiere russo. Qui, possono trasformarsi in astronauti salendo sul terribile ottovolante «Euro-Mir», che li lancia nello Spazio alla velocità di un missile. Chi, invece, vuol provare a trasformarsi in temerario vichingo, nel quartiere islandese sale sulle montagne russe di legno «WODAN – Timburcoaster», che lo lanciano alla velocità pazzesca di 110 km/h. Una nuova avventura attende gli ospiti sull’ottovolante «Alpenexpress Coastiality». Mentre con il vento tra i capelli si affrontano curve e forze centrifughe, davanti agli occhi si spalancano mondi fantastici grazie agli speciali occhiali della realtà virtuale. Oltre a un’infinità di attrazioni, l’Europa-Park offre anche 23 ore al giorno di spettacoli. Inoltre, durante tutto l’anno si svolgono numerosi eventi speciali. Tra le novità della prossima estate: uno Street Food Festival abbinato a un raduno di automobili americane e uno Street Art Market durante il quale alcuni «pittori di strada» espongono le loro opere artistiche. Come sempre, l’appuntamento saliente dell’anno è la grande festa d’estate, che si svolge il 22 luglio con il parco illuminato a giorno fino a mezzanotte. Novità 2017

Con «Project V» arriva all’EuropaPark un’attrazione grandiosa. A partire da giugno, nel più grande «teatro

volante» del continente, gli spettatori possono vivere un viaggio mozzafiato sorvolando il continente europeo. Dopo che nella sala d’attesa gli ospiti vengono immersi nel mondo dei pionieri del volo Eckbert e Kaspar Eulenstein, si trasformano in passeggeri: allacciatevi le cinture e preparatevi al decollo! In due sale, 140 esploratori seduti all’interno di gondole sospese si librano in aria in modo spettacolare. Nel frattempo, su grandi schermi di tela del diametro di 21 metri vengono proiettate immagini affascinanti che incantano gli spettatori, conducendoli attraverso località europee di una bellezza unica. Effetti supplementari come i profumi, il vento e l’acqua rafforzano la sensazione di volare e rendono l’attraversata della volta della cupola alta 16 metri un’esperienza davvero molto speciale. In apertura di stagione, le famiglie potranno assistere al divertente spettacolo «Happy Family» in programma nel quartiere francese. Nella «Cupola del sogno» va in scena il nuovo film evento «The Secrets of Gravity – From Europe to Space», in cui gli spettatori saranno accompagnati da un ragazzino e dal suo amico robot sulle orme di Albert Einstein. E non solo per scoprire i segreti della forza di gravità, ma anche per esplorare lo spazio e il tempo. La movimentata proiezione a 360 gradi conduce lo spettatore dall’Europa alla Luna, passando per la stazione spaziale ISS per poi spingersi fino agli estremi dell’Universo. Dopo la terza vittoria di fila nel Campionato mondiale di Formula 1, l’area espositiva Mercedes-Benz Hall è interamente consacrata a una delle vetture da corsa più veloci del mondo. La mostra «Monaco» è dedicata alle macchine vincitrici, ai piloti e alle scuderie. Inoltre, i piccoli e grandi appassionati degli sport dei motori, potranno immergersi nel Gran Premio di Monaco ed esplorare uno dei circuiti da gara più leggendari ed eccitanti del mondo. Come nella realtà geografica, anche

all’Europa-Park il Principato è ubicato proprio accanto al quartiere tematico dedicato alla Francia. Ritemprarsi negli hotel dell’Europa-Park

Gli alberghi a 4 stelle di proprietà del parco «El Andaluz» e «Castillo Alcazar», così come i 4 stelle superior «Colosseo», «Santa Isabel» e «Bell Rock», offrono agli ospiti tutto quel che si può desiderare per una perfetta vacanza in famiglia o per un romantico fine settimana all’insegna del wellness. Atmosfere e ambienti sono unici e autentici in ognuno dei cinque alberghi a tema. Un’offerta gastronomica variegata completa il soggiorno. Le rustiche capanne-dormitori e i numerosi carri coperti del Camp Resort costituiscono un’altra offerta di pernottamento esclusiva dell’Europa-Park. Nel villaggio di tende indiane, gli appassionati del Far West si possono sedere davanti al fuoco da campo e poi dormire all’interno di autentici tepee. Infine, 200 piazzole per le roulotte sono a disposizione nel campeggio adiacente al parco.

1 Divertimento assicurato sull’ottovolante «Silver Star». 2 Ampia scelta e ottima cucina nei ristoranti all’Europa-Park. 3 Uno po’ di relax nella piscina del Resort Bell Rock.

Date di apertura

Durante la stagione estiva, l’Europa-Park è aperto dal 1° aprile al 5 novembre 2017, mentre d’inverno è aperto dal 25 novembre 2017 al 7 gennaio 2018 (esclusi 24 e 25 dicembre).

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I settimanali della Migros Azione, Migros Magazin e Famigros estraggono a sorte fra tutti i lettori fantastici premi per un valore complessivo di 18’000 franchi: – 12 soggiorni da sogno per 4 persone all’EuropaPark con pernottamento e prima colazione in uno degli hotel tematici a 4 stelle di proprietà del parco, più i biglietti d’entrata al parco per 2 giorni. Ogni soggiorno vale 700 franchi. – 200 singole entrate giornaliere all’Europa-Park del valore di 50 franchi ciascuna. Come si partecipa Basta rispondere alla seguente domanda: Quante persone trovano posto nel «teatro volante» per assistere allo spettacolo «Project V»? Modalità di partecipazione: Via telefono: Chiama il numero 0901 560 019 (1 fr./chiamata) e comunica la tua risposta, assieme a nome e indirizzo. Via SMS: Invia un SMS al numero 920 (1 fr./SMS) con la parola VINCERE, la risposta, il tuo nome e indirizzo. Per esempio: VINCERE, la risposta, Maria Rossi, Via Maestra 1, 6999 Località. Via cartolina postale: Invia una cartolina (posta A) con la risposta, il nome e l’indirizzo a: MigrosMagazin/Azione, «Famigros», Casella postale, 8099 Zurigo. Online: Si partecipa gratuitamente sul sito Internet www.azione.ch/concorsi. Termine d’invio: 2 aprile 2017. I vincitori saranno informati per iscritto. I premi non saranno corrisposti in denaro. Si esclude il ricorso alle vie legali. Non si tiene alcuna corrispondenza inerente al sorteggio. I collaboratori della stampa Migros non possono partecipare al concorso. Eventuali partecipazioni multiple non sono consentite e saranno invalidate. I premi non riscossi dai vincitori entro tre mesi dall’estrazione scadono senza possibilità di sostituzione.

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Una Pasqua che profuma di tradizione Attualità Il modo più semplice per entrare nell’atmosfera pasquale è quello di concedersi una fetta di colomba

San Antonio. Il suo gusto delicato e la sua soffice consistenza sono il frutto di una composizione sapientemente dosata, che si rifà ad un’antica ricetta tramandata da decenni tra mastri pasticceri. L’anno scorso la Jowa di S. Antonino ha sfornato qualcosa come 175’000 colombe per tutta la Svizzera

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La Jowa di S. Antonino prepara il dolce emblema della Pasqua in differenti tipi e formati: dalla più classica colomba con arance candite a quella senza frutta candita, da quella in scatola, ideale come regalo, a quella Sélection con una maggiore percentuale di burro, fino alla colombella da 120 grammi per soddisfare le piccole golosità.

San Antonio Colomba Classica 1 kg Fr. 11.50

La produzione della colomba necessita ancora di parecchia manualità. Tra lievitazione, lavorazione, cottura e raffreddamento ci vogliono 48 ore di lavoro. Prima di essere infornata, l’ultimo ritocco del pasticcere Jowa consiste nel ricoprire la superficie dell’impasto con una glassa a base di albumi e zucchero, a cui seguono la granella di zucchero e le mandorle tostate appositamente selezionate.

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Gli ingredienti della tradizionale colomba San Antonio sono semplici e genuini e vengono lavorati con grande passione artigianale per mettere in risalto tutta la qualità delle materie prime. In primis viene impiegato il prezioso lievito madre, sostanza custodita e curata dalla Jowa stessa, che conferisce al prodotto finale una leggerezza e una digeribilità senza eguali.

San Antonio La Colombella 120 g Fr. 2.50

4 La freschezza è sempre di casa presso la panetteria del Centro S. Antonino. Gli amanti della tradizione potranno acquistare il loro dolce preferito a poche ore dalla preparazione. L’impasto della colomba viene preparato al mattino dagli specialisti della panetteria e cotto sul mezzogiorno. Una volta raffreddata, la colomba sarà messa in vendita alla clientela a partire dalle ore 15.00. Questa invitante iniziativa è prevista nei giovedì 30 marzo e 6 aprile.

Illustrazioni Sergio Simona

La colomba appena sfornata a S. Antonino

Il «viaggio» della colomba San Antonio è quasi giunto al termine: dopo circa un’ora di cottura il profumato dolce esce dal forno e viene posto a raffreddare lentamente prima di essere imballato e fornito ai negozi. La Jowa di S. Antonino produce la specialità per i supermercati Migros di tutta la Svizzera da oltre 30 anni.

Sélection Colomba 750 g Fr. 17.50


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Idee e acquisti per la settimana

Il salame Strolghino

Azione 20%

Salame Strolghino di Culatello Ferrarini Italia, per 100 g Fr. 3.95 invece di 5.– Dal 28.3 al 3.4 Nelle maggiori filiali Migros

Attualità Una pregiata specialità emiliana

per arricchire gli aperitivi prepasquali

alla stagionatura. Essendo un salame «dolce» dal gusto leggero e delicato è da consumarsi quando è ancora morbido passato poco tempo dalla stagionatura. Si usa consumarlo tagliandolo a fette molto spesse: accostandolo a pane fragrante o crostini tostati diventa protagonista in qualsiasi aperitivo. Secondo la tradizione dei vecchi salumieri emiliani, il salame Strolghino, viene venduto incartato nella caratteristica carta paglia. Una volta acquistato va conservato idealmente in un luogo fresco oppure in frigorifero per evitare un essiccamento eccessivo che comprometterebbe la qualità del prodotto. La curiosità

Le teorie sull’origine del suo nome sono diverse. Una delle più diffuse lo fa risalire al termine dialettale «strolga», ossia mago o capacità di prevedere il futuro. Questo perché, grazie alla sua rapida maturazione, permetteva di prevedere l’andamento della stagionatura degli altri salami più grossi. Secondo un’altra opinione il nome deriva da «strolgher», parola che in dialetto parmigiano indica la capacità di inventare soluzioni fantasiose.

Sono arrivati i gerani ticinesi Per portare la gioia della stagione calda in giardino o sul balcone di casa non c’è niente di più bello dei variopinti gerani. Queste piante sono ora disponibili presso i Do it + Garden Migros e nei maggiori reparti fiori. Si potranno trovare le varietà a fiore rosso, rosato, lilla, rosa, arancio o bianco; quelle con fusti a edera o zonali. Sono prodotte in Ticino dall’azienda Rutishauser Fiori SA di Gordola e sono pronte per essere trapiantate nei vasi. I gerani possono essere perfettamente combinati con altri fiori estivi per creare delle composizioni floreali di sicuro impatto estetico. Sono adatti all’abbinamento per esempio i tageti, le margherite, le lobelie, i garofani, le verbene o le petunie. Per quello che riguarda la loro cultura, i recipienti migliori in cui rinvasarli sono quelli di terracotta perché mantengono l’umidità e una temperatura più equilibrata del terriccio. Le innaffiature vanno effettuate regolarmente senza mai eccedere e ogni seconda innaffia-

tura aggiungere del concime liquido. I terricci privi di torba contengono sostanze nutritive sufficienti per 2-3 settimane, dopodiché le piante vanno concimate con moderazione. Il periodo di fioritura dei gerani va da aprile a settembre. Ai primi freddi è importante proteggerli portando i vasi all’interno in un luogo fresco ma luminoso. Curiosità: si ritiene che alcune varietà di geranio emettano un profumo molto efficace contro le zanzare.

Un pomodoro sopraffino

Flavia Leuenberger

Tipicità conosciuta e apprezzata sin dal 1700, il «salame Strolghino» o «magro di culatello» è un salume a breve stagionatura di piccolo formato preparato solo con le carni magre ottenute dalla coscia del suino, nella fattispecie le rifilature della lavorazione del culatello e del fiocchetto. Come il suo cugino culatello, il salame Strolghino proviene dalla stessa zona tipica di produzione, ossia dalla provincia di Parma che si affaccia sul fiume Po, zona che successivamente si è estesa anche al resto dell’Emilia Romagna, fino in Toscana e Lombardia. Un tempo lo Strolghino era a forma di ferro di cavallo, mentre oggi si caratterizza perlopiù per la sua forma cilindrica, dritta e allungata. La carne macinata grossolanamente viene mischiata ad altre parti tagliate a mano. Per favorirne la perfetta maturazione l’impasto viene insaccato in un budello sottile di origine naturale – bovino o suino, – oppure anche in budelli sintetici cellulosici. Nella tradizione contadina lo Strolghino era il primo salame che veniva consumato già dopo 2-3 settimane dalla macellazione casalinga del suino e dalla lavorazione delle sue carni destinate

Grazie al suo particolare colore che va dal verde scuro al rosso acceso, alla sua consistenza croccante e al suo sapore pronunciato dato dalla perfetta combinazione tra acidità e grado zuccherino, il pomodoro Camone conquista sempre più buongustai. Questo prelibato ortaggio di piccole dimensioni e dalla forma tonda si gusta preferibilmente crudo, da solo, o semplicemente con l’aggiunta di un filo di olio extra vergine d’oliva oppure come ingrediente di una ricca e variopinta insalata di stagione. Il pomodoro Camone è coltivato principalmente nelle assolate regioni del sud della Sardegna e nella Sicilia sud orientale, in prossimità del mare, dove il terreno salino gioca un ruolo importante nel determinare le caratteristiche organolettiche del prodotto. Il pomodoro Camone è in vendita attualmente nelle maggiori filiali di Migros Ticino. A proposito: il colore mezzo verde e mezzo rosso è una caratteristica del pomodoro Camone ed è pertanto pronto al consumo.


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Idee e acquisti per la settimana

La pasta fatta con acqua sorgiva del Monte Tamaro

Regionalità Il Pastificio Simona di Quartino produce per Migros Ticino l’apprezzata pasta secca Bel Ticino

in una ventina di formati. Intervista ad Alberto Simona, titolare insieme al fratello Gianni di questa piccola azienda locarnese attiva nel settore da quasi 80 anni

Alberto Simona, la vostra azienda vanta una lunga storia alle spalle…

Esatto. La produzione della nostra pasta inizia nel lontano 1938, quando nostro padre Alberto rileva un vecchio pastificio ad Ascona. Alla fine degli anni Quaranta, per poter soddisfare al meglio la crescente domanda, la sede si trasferisce a Locarno e vengono acquistati macchinari particolarmente innovativi per l’epoca. Infine, nel 1994 mio fratello ed io abbiamo aperto il sito di produzione attuale, a Quartino. Alcuni anni orsono abbiamo ulteriormente rinnovato gli impianti dotandoci di una nuova linea di produzione in continuo all’avanguardia. Quanti tipi di pasta producete?

La nostra produzione spazia dalla pasta di semola di grano duro senza uova (pasta lunga, corta, a nidi, matasse, lasagne) a quella all’uovo, fino alla pasta bio. I formati prodotti sono all’incirca 200. A Migros Ticino forniamo una ventina di tipi di pasta tra i più classici sotto il marchio Bel Ticino. Quali sono i criteri fondamentali per poter ottenere della pasta di prima qualità?

Per ottenere dell’ottima pasta occorre prima di tutto una semola di prima qualità e dell’acqua molto pura. In Svizzera, per ragioni climatiche, non viene coltivato il grano duro. La nostra materia prima proviene perlopiù dal Canada dove si trovano i migliori grani duri al mondo. L’acqua, invece, proviene dalle pendici del Monte Tamaro, zona selvaggia priva di pascoli. Ci vogliono inoltre macchine efficienti che trattino la materia prima in tempi sufficienti e senza surriscaldamenti, come nel nostro caso. Usando gli impianti al 50 per cento della loro capacità massima si ottengono queste condizioni ottimali. La produzione relativamente lenta permette un’essiccazione a bassa temperatura che esalterà al meglio il sapore e la qualità delle materie prime.

Migros Ticino propone una ventina di formati di pasta Bel Ticino del Pastificio Simona di Quartino. Qual è la sua pasta preferita?

Ogni formato di pasta ha la sua specificità e la sua propensione a determinati condimenti. A un tipo dallo spessore più grosso verrà normalmente abbinata una salsa dal gusto più marcato mentre per spessori più leggeri andrà bene qualcosa dal sapore più delicato. Io propendo spesso per la pasta lunga,

quindi per i nostri spaghetti fabbricati con le trafile di bronzo. Non disdegno però di tanto in tanto anche altri formati, come le penne o i fusilli. Una ricetta per i nostri lettori?

Una ricetta semplice da realizzare con un minimo sforzo potrebbe essere quella delle «Tagliatelle con crema di

Alberto Simona, titolare insieme al fratello del Pastificio Simona e una fase della produzione degli spaghetti. (Giovanni Barberis)

porri». Per 2-3 persone servono: 500 g di porri, 250 g di tagliatelle all’uovo Bel Ticino, 200 g di luganighetta, 50 g di piselli lessati, 50 g di panna fresca, olio extravergine d’oliva, timo e sale. Procedimento: tagliate a listerelle i porri e fateli appassire in una padella con 2 cucchiai di olio. Salateli, unite 3 o 4 mestolini di acqua calda e cuoceteli

per circa 10 min. Frullate i porri con la panna e i piselli per ottenere una salsina fine. Tagliate a pezzetti la salsiccia e rosolatela qualche minuto in una padella antiaderente. Cuocete le tagliatelle e scolatele al dente. Conditele con la salsina di porri. Completate con la salsiccia e portate in tavola il piatto cosparso di timo. Buon appetito!


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Gusto delicato all’aroma di arancia.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Idee e acquisti per la settimana

Pesce surgelato

Di segreto c’è solo la ricetta

*Azione 20%

Pelican Filets Gourmet à la Provençale, con filetti di merluzzo dell’Atlantico, è il piatto pronto surgelato della Migros più richiesto. La sua preparazione è un modello di produzione sostenibile di pietanze a base di pesce, in quanto tutte le fasi della catena di distribuzione sono certificate. Uno sguardo dietro le quinte

La rete a strascico a maglia grossa garantisce che vi siano poche catture accidentali e che siano pescati solo merluzzi adulti. La lavorazione inizia subito dopo la cattura: nella fabbrica galleggiante, i collaboratori selezionano i pesci in base alle dimensioni, poi li decapitano, li eviscerano e li lavano. Al ritorno a terra, il pescato viene immediatamente caricato sui camion per essere trasportato in Danimarca e qui consegnato alla Espersen, una compagnia certificata.

Testo Sonja Leissing; Illustrazioni Mira Gisler

Da generazioni il peschereccio norvegese Hermes solca le acque del Mare di Barents e del Nord Atlantico. Hermes è certificato MSC, il che significa che può catturare solo una determinata quantità di pesce. Hermes è specializzato nella pesca del merluzzo e dell’eglefino (chiamato anche asinello). Il pescato viene lavorato direttamente sulla barca.

su tutto l’assortimento di pesce surgelato dal 28.03 al 3.04 (ad eccezione dei prodotti Alnatura, M-Budget o già in promozione)

Filetti di coregone di lago svizzero in pastella surgelati, 300 g Fr. 8.40* invece di 10.50

ASC Pelican Filetti di salmone dell’Atlantico surgelati, 250 g Fr. 6.30* invece di 7.90

Da oltre mezzo secolo la ricetta dei Filets gourmet à la Provençale è un segreto di fabbrica. Si può svelare solo un minimo: per il condimento si usano ingredienti scelti, come burro puro, aromi freschi e spezie, oltre a del vino bianco frizzante. La ricetta è stata ideata da una famiglia privata danese verso la metà degli anni 60 e da allora non è mai cambiata. È stata solo ridotta la quantità di sale.

MSC Pelican Filetti dorsali di merluzzo bianco surgelati, 400 g Fr. 8.30* invece di 10.40

La Migros collabora con la società Espersen ormai da oltre 60 anni. I filetti imballati e surgelati vengono trasportati dalla Danimarca alla centrale di distribuzione della Migros a Neuendorf (AG) a bordo di «camion congelatori». Da lì, i prodotti vengono poi consegnati alle filiali. Migros Bio Filetti di pangasio surgelati, 300 g Fr. 5.10* invece di 6.40

Tutti i pesci e i frutti di mare in vendita alla Migros – che siano surgelati, in scatola o freschi – provengono da fonti sostenibili. Anche i prodotti ittici senza un’etichetta particolare sono sostenibili, in quanto sono classificati «consigliati» o «consigliati con cautela» dal WWF. A proposito: a causa della grande richiesta, i filetti di merluzzo alla provenzale non sono disponibili solo nella confezione convenzionale da 400 g, ma anche in piccolo formato da 200 g (ideale per i single) e in confezione famiglia da 600 g.

MSC Pelican Bastoncini di nasello surgelati, 300 g 300 g Fr. 3.–* invece di 3.75

I collaboratori della Espersen filettano a mano i merluzzi e rimuovono accuratamente le lische. Infine, i filetti vengono inseriti all’interno di vassoi d’alluminio e guarniti con il condimento. Ovviamente, tutte queste operazioni avvengono nel rispetto di severissime norme igieniche. La Espersen è una delle industrie ittiche più grandi del mondo.

MSC Pelican Nasello senza testa surgelato, 2 pezzi, 300 g Fr. 2.50* invece di 3.15


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Idee e acquisti per la settimana

Pesce surgelato

Di segreto c’è solo la ricetta

*Azione 20%

Pelican Filets Gourmet à la Provençale, con filetti di merluzzo dell’Atlantico, è il piatto pronto surgelato della Migros più richiesto. La sua preparazione è un modello di produzione sostenibile di pietanze a base di pesce, in quanto tutte le fasi della catena di distribuzione sono certificate. Uno sguardo dietro le quinte

La rete a strascico a maglia grossa garantisce che vi siano poche catture accidentali e che siano pescati solo merluzzi adulti. La lavorazione inizia subito dopo la cattura: nella fabbrica galleggiante, i collaboratori selezionano i pesci in base alle dimensioni, poi li decapitano, li eviscerano e li lavano. Al ritorno a terra, il pescato viene immediatamente caricato sui camion per essere trasportato in Danimarca e qui consegnato alla Espersen, una compagnia certificata.

Testo Sonja Leissing; Illustrazioni Mira Gisler

Da generazioni il peschereccio norvegese Hermes solca le acque del Mare di Barents e del Nord Atlantico. Hermes è certificato MSC, il che significa che può catturare solo una determinata quantità di pesce. Hermes è specializzato nella pesca del merluzzo e dell’eglefino (chiamato anche asinello). Il pescato viene lavorato direttamente sulla barca.

su tutto l’assortimento di pesce surgelato dal 28.03 al 3.04 (ad eccezione dei prodotti Alnatura, M-Budget o già in promozione)

Filetti di coregone di lago svizzero in pastella surgelati, 300 g Fr. 8.40* invece di 10.50

ASC Pelican Filetti di salmone dell’Atlantico surgelati, 250 g Fr. 6.30* invece di 7.90

Da oltre mezzo secolo la ricetta dei Filets gourmet à la Provençale è un segreto di fabbrica. Si può svelare solo un minimo: per il condimento si usano ingredienti scelti, come burro puro, aromi freschi e spezie, oltre a del vino bianco frizzante. La ricetta è stata ideata da una famiglia privata danese verso la metà degli anni 60 e da allora non è mai cambiata. È stata solo ridotta la quantità di sale.

MSC Pelican Filetti dorsali di merluzzo bianco surgelati, 400 g Fr. 8.30* invece di 10.40

La Migros collabora con la società Espersen ormai da oltre 60 anni. I filetti imballati e surgelati vengono trasportati dalla Danimarca alla centrale di distribuzione della Migros a Neuendorf (AG) a bordo di «camion congelatori». Da lì, i prodotti vengono poi consegnati alle filiali. Migros Bio Filetti di pangasio surgelati, 300 g Fr. 5.10* invece di 6.40

Tutti i pesci e i frutti di mare in vendita alla Migros – che siano surgelati, in scatola o freschi – provengono da fonti sostenibili. Anche i prodotti ittici senza un’etichetta particolare sono sostenibili, in quanto sono classificati «consigliati» o «consigliati con cautela» dal WWF. A proposito: a causa della grande richiesta, i filetti di merluzzo alla provenzale non sono disponibili solo nella confezione convenzionale da 400 g, ma anche in piccolo formato da 200 g (ideale per i single) e in confezione famiglia da 600 g.

MSC Pelican Bastoncini di nasello surgelati, 300 g 300 g Fr. 3.–* invece di 3.75

I collaboratori della Espersen filettano a mano i merluzzi e rimuovono accuratamente le lische. Infine, i filetti vengono inseriti all’interno di vassoi d’alluminio e guarniti con il condimento. Ovviamente, tutte queste operazioni avvengono nel rispetto di severissime norme igieniche. La Espersen è una delle industrie ittiche più grandi del mondo.

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Idee e acquisti per la settimana

Da sapere Tramite la certificazione di tutta la catena di distribuzione si garantisce l’integrale tracciabilità del pesce con il marchio MSC catturato in tutto il mondo secondo metodi certificati MSC.

Filets Gourmet à la Provençale con verdure primaverili Per 2 persone Preparazione Cuocete nel forno preriscaldato i Filets Gourmet à la Provençale secondo le indicazioni per 30-35 minuti a 200°C finché risultano belli dorati. Per le verdure scaldate 2 dl di brodo di verdura con un po’ di scorza di limone. Aggiungete

300 g di patate resistenti alla cottura piccole, 150 g di cavolo rapa a fette e 150 g di carote novelle, coprite e cuocete per ca. 20 minuti. Aggiungete le foglie del cavolo rapa 2 minuti prima di fine cottura. Scolate, spruzzate con succo di limone e servite con il pesce.

MSC Pelican Filets Gourmet à la Provençale 400 g, surgelato, Fr. 5.75* invece di 7.20

Il marchio MSC è sinonimo di pesca sostenibile certificata. Pesci e frutti di mare contrassegnati con questa sigla provengono sempre da pesca selvatica.

Il marchio ASC contrassegna pesci e frutti di mare provenienti da un allevamento certificato e responsabile, che rispetta criteri ecologici e sociali.

L’etichetta Migros Bio contrassegna peschi e frutti di mare provenienti da allevamento sostenibile e rispettoso della natura, nutriti con mangime biologico.

Questa etichetta indica pesci svizzeri provenienti da laghi o acquacultura. I prodotti della pesca selvatica sono «consigliati» dal WWF Svizzera.

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Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.3 AL 3.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30% Tutto l’assortimento di piadine e cascioni Artigianpiada per es. piadina classica, conf. da 600 g, 3.80 invece di 5.50

20% Nocciole e mandorle macinate M-Classic per es. nocciole, UTZ, 200 g, 3.35 invece di 4.20


. a z z e h c s e fr a ll e d o p m li ’o ll e n Benvenuti conf. da 5

50%

7.10 invece di 14.25

Consiglio

Wienerli M-Classic in conf. da 5 Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg

40%

2.85 invece di 4.80 Fettine di manzo à la minute TerraSuisse in conf. speciale per 100 g

20%

1.70 invece di 2.15 Fettine di collo di maiale Svizzera, imballate, per 100 g

UNA GUSTOSA COMBINAZIONE Gli champignon sono un ingrediente molto versatile in cucina che, ad esempio, si abbina perfettamente alle polpette di carne con salsa alla panna. Trovi la ricetta delle polpette su migusto.ch, tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.

35%

3.60 invece di 5.90 Champignons bianchi Svizzera, vaschetta da 500 g

30%

6.60 invece di 9.50 Pollo intero Optigal, 2 pezzi Svizzera, al kg

20%

5.50 invece di 6.95 Roastbeef cotto Svizzera/Germania, affettato in vaschetta, per 100 g

30% Prosciutto crudo dell’Emilia Romagna affettato e salame Felino affettato* per es. prosciutto crudo dell’Emilia Romagna, Italia, per 100 g, 4.65 invece di 6.70

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.3 AL 3.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

2.60 invece di 3.75 Prosciutto cotto Puccini Rapelli affettato finemente in conf. speciale, aha! Svizzera, per 100 g

20%

30%

5.75 invece di 7.30

1.80 invece di 2.60

Fettine di fesa di vitello tagliate fini TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g

20%

3.80 invece di 4.75 Piatto misto ticinese prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g

Lesso magro di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

20%

3.95 invece di 5.– Salame Strolghino di culatello Italia, pezzo da ca. 250 g, per 100 g

20%

2.40 invece di 3.– Capretto fresco tagliato Francia, imballato, per 100 g, dal 29.3.2017


. a z z e h c s e fr a ll e d o p m li ’o ll e n Benvenuti conf. da 5

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20%

2.40 invece di 3.– Capretto fresco tagliato Francia, imballato, per 100 g, dal 29.3.2017


25%

3.60 invece di 4.90 Fragole extra Italia, conf. da 450 g

25%

4.40 invece di 5.90 Pere Abate Italia, al kg

20%

1.90 invece di 2.40 Zucchine bio Spagna/Italia, in busta da 500 g

35%

2.70 invece di 4.20 Broccoli Italia, imballati, al kg

conf. da 2

–.90

di riduzione

3.80 invece di 4.70 Formaggio fresco Cantadou in conf. da 2 alle erbe aromatiche, al rafano o al pepe, 2 x 125 g, per es. alle erbe aromatiche

conf. da 2

20%

30%

2.– invece di 2.55

13.50 invece di 19.30

Formentino bio Ticino, imballato, per 100 g

Formagín ticinés (formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, conf. da 2, al kg

conf. da 2

20%

3.65 invece di 4.60 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g

Hit

10.90

Grana Padano DOP conf. da 700 g/800 g, a libero servizio, al kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.3 AL 3.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g

20% Tutte le erbe aromatiche bio in vaso da 14 cm la pianta, per es. rosmarino, 3.90 invece di 4.90

25%

5.90 invece di 7.90 Asparagi verdi USA/Messico, mazzo da 1 kg

15%

5.85 invece di 6.90 Tulipani M-Classic, mazzo da 10 disponibili in diversi colori, per es. gialli e rossi

25%

1.95 invece di 2.60 Banane Colombia, al kg


25%

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. te r e p io m r a p is r te r e ff o Le nostre –.2 0

di riduzione

1.– invece di 1.20 Croissant pur beurre 70 g

20%

conf. da 3

20%

– .5 0

di riduzione

Tutti i biscotti «Fatti con amore» a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione

Tutti i tipi di pane fresco bio per es. corona del sole, 360 g, 2.40 invece di 2.90

Bastoncini alle nocciole, fagottini alle pere e fagottini alle pere bio per es. fagottini alle pere bio, 2 pezzi, 2 x 75 g, 1.50 invece di 1.90

20%

Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. alla fragola, Tutte le tavolette di cioccolato Frey Les Délices e Les Adorables, 100 g, UTZ a partire da 3 pezzi, 20% di riduzione 180 g, –.60 invece di –.75

a partire da 2 confezioni

20%

a partire da 3 pezzi

20% Tutti i rotoli dolci non refrigerati marmorizzato e ai lamponi, per es. marmorizzato, 310 g, 2.85 invece di 3.60

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.3 AL 3.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

50%

3.70 invece di 7.40 Succo d’arancia Anna’s Best 2l

20% Tutti i caffè istantanei in bustina per es. Cafino Classic, UTZ, 550 g, 8.60 invece di 10.80

33%

5.– invece di 7.50 Petit Beurre in conf. da 3 cioccolato al latte e cioccolato fondente, per es. cioccolato al latte, 3 x 150 g

a partire da 2 pezzi

– .5 0

di riduzione l’uno Tutti i succhi di frutta Gold, 1 l a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. succo d’uva rossa, 1.30 invece di 1.80

conf. da 8

8 per 6

4.20 invece di 5.60 Tutti i tipi di Coca-Cola in lattina, in conf. da 8, 8 x 33 cl Classic o Zero, per es. Classic

50% Tutti gli Ice Tea in bottiglie di PET, in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. all’aroma di limone, 4.05 invece di 8.10


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conf. da 2

20% Tutti i sofficini M-Classic surgelati, per es. sofficini al formaggio, 6 x 60 g, 3.10 invece di 3.90

20% Tutto l’assortimento di pesce surgelato (Alnatura escluso), per es. bastoncini di filetto di nasello azzurro Pelican, MSC, 450 g, 3.50 invece di 4.40

a partire da 2 confezioni

– .5 0

di riduzione l’una Tutta la pasta Garofalo a partire da 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. rigatoni, 500 g, 2.– invece di 2.50

30%

8.80 invece di 12.60 Carta per uso domestico Twist Style in conf. speciale, FSC Style, 12 rotoli, offerta valida fino al 10.4.2017

Hit

9.90

Biancheria intima per bambini in conf. da 2 disponibile in diversi motivi e misure, per es. boxer da bambino Minions, blu, tg. 98/104, offerta valida fino al 10.4.2017

conf. da 2

20%

5.60 invece di 7.– Kezz Zweifel in conf. da 2 Sweet Barbecue, Salt e Curry, per es. Sweet Barbecue, 2 x 110 g

20% Tutto l’assortimento Knorr per es. salsa per arrosto, 150 g, 3.40 invece di 4.30

a partire da 2 confezioni

conf. da 2 conf. da 2

30% Involtini primavera J. Bank’s in conf. da 2 surgelati, con verdura o pollo, per es. con pollo, 2 x 370 g, 9.80 invece di 14.–

a partire da 2 pezzi

20%

Tutto l’assortimento Pancho Villa a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.3 AL 3.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

20%

11.45 invece di 16.40

Tutti i prodotti per la cura dei bebè e i detersivi Milette (confezioni multiple escluse), a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione, offerta valida fino al 10.4.2017

Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 2 surgelato, 2 x 300 g

20% Tutti i tipi di zucchero fino cristallizzato da 1 kg e da 10 x 1 kg per es. cristal, 1 kg, –.80 invece di 1.–

conf. da 3

33% Calgon in conf. da 3 per es. in polvere, 3 x 1,65 kg, 37.75 invece di 56.40, offerta valida fino al 10.4.2017

50% Tutti i pannolini e i pannolini-mutandina Milette (inserti per pannolini monouso esclusi), per es. maxi 4+, 39 pezzi, 5.90 invece di 11.80


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Fiori e piante

Gamberetti tail-on cotti bio, in conf. speciale, d’allevamento, Ecuador, per 100 g, 4.70 invece di 5.90 20% Filetto di sogliola limanda, pesca, Atlantico nord-orientale, per 100 g, 4.55 invece di 6.50 30% fino al 1.4

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Slip maxi e midi Ellen Amber in conf. da 4 o canottiera con spalline fini in conf. da 2 per es. slip maxi, bianchi, tg. S, in conf. da 4

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Tutti gli snack al latte o tutte le fette al latte Kinder, refrigerati, per es. Kinder Pinguí in conf. da 4, 4 x 30 g, 1.50 invece di 1.70 –.20 di riduzione

Panino alle nocciole bio, 85 g, 1.– invece di 1.30 20%

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Biancheria intima da uomo John Adams in conf. da 7 disponibile in diversi colori e misure, per es. boxer aderenti, blu marino, tg. M

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Tutti i prodotti per la depilazione I am (prodotti I am men e confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

Prodotti Kellogg’s in conf. da 2, per es. Special K Classic, 2 x 500 g, 7.60 invece di 9.50 20% Bouquet di tulipani Fiona, disponibili in diversi colori, per es. rossi, il mazzo, 12.90 Hit

Near Food/Non Food

Menù freschi in ciotola di legno Anna’s Best, per es. gnocchi al basilico con pomodori e mozzarella, 400 g, 7.80 20x Punti Pizza Anna’s Best in confezioni multiple, per es. ovale al prosciutto in conf. da 3, 3 x 205 g, 9.80 invece di 14.70 33% Ravioli e gnocchi M-Classic in confezioni multiple, per es. ravioli al formaggio e al pesto in conf. da 3, 3 x 250 g, 9.60 invece di 12.90 25%

Tutte le bacche e tutta la frutta, surgelate, per es. lamponi M-Classic, 500 g, 6.20 invece di 7.80 20%

20x PUNTI

Novità

Rocchetta e Brio Blu, 6 x 1,5 l o 6 x 50 cl, per es. Rocchetta, 6 x 1,5 l, 3.35 invece di 4.20 20% Gocciole, Gocciole extra dark e Pavesini, per es. Gocciole, 500 g, 3.90 invece di 4.90 20% Tutti i conigli di Pasqua in PET Frey, UTZ, per es. Sunny, al latte, pink, 170 g, 6.80 20x Punti Tutto l’assortimento di tè e tisane Messmer, UTZ, a partire da 2 confezioni 25% Tutte le conserve e tutti i piatti pronti bio (Alnatura esclusi), per es. purea di mele, 445 g, 1.35 invece di 1.70 20% Tutti i tipi di aceto Fattorie Giacobazzi, per es. condimento agrodolce bianco, 250 ml, 3.90 invece di 4.90 20%

Fiori rari L’Oréal, latte detergente e tonico per il viso, per es. tonico per il viso, 400 ml, 7.40 Novità ** L’Oréal Magic Retouch beige, 75 ml, 9.80 Novità ** Spray per capelli secchi o sfibrati Elnett, 150 ml, 5.20 Novità ** L’Oréal Elseve Phytoclear antiforfora, shampoo, peeling per il cuoio capelluto e lozione, per es. shampoo per capelli normali, 250 ml, 3.55 Novità ** L’Oréal Elseve Low Shampoo, olio e Color-Vive, per es. Color-Vive, 400 ml, 8.90 Novità **

Tutto l’assortimento di alimenti per cani Asco, per es. stick di manzo, 180 g, 1.45 invece di 1.85 20%

Colomba S. Antonio senza frutta candita, 500 g, 5.10 invece di 6.40 20%

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Tutte le salse Agnesi Passione, per es. sugo al basilico, 280 g, 2.80 invece di 3.50 20%

Altri alimenti

Pane e latticini

Cake Salvatore, 300 g, 4.40 invece di 5.50 20%

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Confezione regalo Café Royal con due bicchieri di vetro da espresso in omaggio, UTZ, 40 capsule, 13.10 invece di 16.40 20%

Maybelline Lip Contour Palette, 01 Crimson Vixen e 02 Blushed Bombshell, per es. 02 Blushed Bombshell, il pezzo, 18.90 Novità ** Pizza all’aglio orsino Anna’s Best, 410 g, 6.90 Novità ** Gnocchi bio all’aglio orsino, 300 g, 3.90 Novità ** Pesto all’aglio orsino Anna’s Best, 150 g, 3.30 Novità ** Spätzli all’aglio orsino Anna’s Best, 500 g, 3.50 Novità **

Happy Bread con noci, TerraSuisse, 350 g, 2.90 Novità ** Maschera in tessuto Hydra Bomb Garnier, il pezzo, 2.80 Novità ** Detergente micellare in gel Garnier, 200 ml, 7.50 Novità ** Trattamento antietà Revitalift Laser X3 Double Care L’Oréal, 48 ml, 27.80 Novità ** Maschere di argilla L’Oréal, al carbone attivo, all’eucalipto o alle alghe rosse, per es. al carbone attivo, 50 ml, 13.80 Novità **

Ravioli con pesto all’aglio orsino Anna’s Best Vegi, bio, 250 g, 5.90 Novità ** Insalata di penne e pollo all’aglio orsino Anna’s Best, 300 g, 5.90 Novità ** BBQ Sauce M-Classic, 250 ml, 2.45 Novità ** Stufato di lenticchie bio, 240 g, 3.20 Novità ** Café Royal Agent’s Choice Espresso No. 2, UTZ, 10 capsule, 4.50 Novità ** Tavoletta di cioccolato Frey Suprême Maïs Croquant, UTZ, Limited Edition, 180 g, 4.30 Novità **

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Solo il 29 marzo: numero doppio di bollini.

Due bollini ogni fr. 20.— di spesa. S o l o qu es t o merco l e d ì

Il 29.3.2017 per ogni fr. 20.– di spesa, alle casse di ogni supermercato Migros ricevi due bollini (al massimo 30 bollini per acquisto, fino a esaurimento dello stock; sono esclusi i buoni e le carte regalo). La cartolina completa di tutti i bollini può essere consegnata in tutte le filiali Migros fino al 18.4.2017 ricevendo in cambio un pacchetto del valore di circa fr. 20.– contenente prodotti di uso quotidiano e un coniglietto di peluche. L’offerta è valida fino a esaurimento dello stock. Ulteriori informazioni su migros.ch/coniglietti


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Idee e acquisti per la settimana

Frey

Una parata di variopinti coniglietti Negli stabilimenti della Chocolat Frey la produzione dei coniglietti di cioccolato inizia sei mesi prima di Pasqua. Le macchine lavorano a pieno regime da due a tre turni al giorno. Da 900 tonnellate di cioccolato si ottengono qualcosa come sette milioni di conigli in 89 varianti diverse. Il più piccolo pesa soltanto 18 grammi, mentre il più grande 900 grammi. All’incirca il 60 per cento dei

conigli è a base di cioccolato al latte; il 25 per cento di cioccolato bianco, mentre il 15 per cento di cioccolato scuro. Ma come nascono le simpatiche faccine dei conigli pasquali? Prima che la massa di cioccolato giunga negli stampi, quest’ultima viene «truccata» meccanicamente nelle parti corrispondenti utilizzando del cioccolato bianco, scuro o colorato

Frey Junior Cowboy Joe Rabbit 245 g Fr. 9.50

Frey Bunny Latte Limited Edition 170 g* Fr. 7.20 Frey Bunny Family Duo 110 g* Fr. 6.60

Frey Junior Biker Rabbit 170 g Fr. 7.90

Frey Bunny Happy Noir 55 g* Fr. 3.30 Frey Junior Soccer Rabbit 170 g Fr. 7.90

*Azione 20X Punti Cumulus sull’assortimento Bunny Family in PET dal 28.03 al 03.04 Frey Bunny Shiny bianco 55 g* Fr. 3.30

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il cioccolato della Frey.

Frey Junior Capitain John Rabbit 240 g Fr. 9.50


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Idee e acquisti per la settimana

Frey

Una parata di variopinti coniglietti Negli stabilimenti della Chocolat Frey la produzione dei coniglietti di cioccolato inizia sei mesi prima di Pasqua. Le macchine lavorano a pieno regime da due a tre turni al giorno. Da 900 tonnellate di cioccolato si ottengono qualcosa come sette milioni di conigli in 89 varianti diverse. Il più piccolo pesa soltanto 18 grammi, mentre il più grande 900 grammi. All’incirca il 60 per cento dei

conigli è a base di cioccolato al latte; il 25 per cento di cioccolato bianco, mentre il 15 per cento di cioccolato scuro. Ma come nascono le simpatiche faccine dei conigli pasquali? Prima che la massa di cioccolato giunga negli stampi, quest’ultima viene «truccata» meccanicamente nelle parti corrispondenti utilizzando del cioccolato bianco, scuro o colorato

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Idee e acquisti per la settimana

Migros-Industria

La produzione della margarina Sanissa

1

Noi firmiamo. Noi garantiamo

La margarina si fa con la colza e con la competenza

Nella «fase oleosa» gli oli, come ad esempio quello di colza e altri grassi, vengono pompati nei cilindri di miscelazione. Passano poi alla cosiddetta «fase acquosa», in cui vengono mescolati con acqua, una parte di latte, sale e acido citrico. Infine la margarina viene raffreddata in un cilindro di raffreddamento e pompata verso l’impianto di riempimento.

Christoph Schori di Seedorf, nel canton Berna, coltiva la colza da dieci anni: l’olio che se ne ricava viene usato dall’Industria Migros Mifa per la produzione della margarina Sanissa. All’inizio però lui non lo sapeva

2

Testo Reto Baer; Foto Paolo Dutto

Dopo essere stata messa in forma e ricoperta dalla carta dorata, la margarina esce dallo stabilimento di produzione e viene impacchettata, 4 panetti alla volta, nelle scatolette di cartone.

Nel reparto di riempimento la margarina viene confezionata nella forma a panetto e avvolta immediatamente nella carta dorata. Vengono prodotti 200 panetti da 125 g al minuto.

3

4 Con una speciale stampante si incide la data minima di conservazione sulla parte inferiore dell’imballaggio. Le confezioni fallate, che ad esempio non riportano tale data, sono riconosciute automaticamente e fatte uscire dal circuito di produzione. Alla fine del percorso la margarina correttamente stampigliata arriva fino al settore imballaggio e poi avviata verso le filiali.

La star della settimana

La poliedrica Dal punto di vista meteorologico la giornata non è proprio delle migliori: le nuvole sono basse e minacciano pioggia. Nonostante questo, l’agricoltore Christoph Schori ci conduce volentieri attraverso il suo campo di colza presso Surenhorn, nel canton Berna. In realtà non c’è molto da vedere. Le piante di colza della qualità Avatar sono alte solo un paio di centimetri. Prima che crescano e fioriscano in tutta la loro bellezza dorata ci vorrà ancora un po’. Sul campo grande

poco meno di due ettari la colza è stata seminata alla fine di agosto dello scorso anno. La raccolta è prevista per il prossimo luglio. Se tutto andrà bene, il raccolto dovrà ammontare a circa otto tonnellate di semi, i quali produrranno circa 3000 litri di olio alimentare. E tutto questo è il ricavato di soli 10 chili di semi. La colza come sfida

Schori ha 27 anni. È meccanico agricolo diplomato e nel contempo è agricoltore.

In questo periodo sta inoltre completando una formazione come responsabile d’azienda e si divide i compiti con suo padre nel settore dell’allevamento dei suini e nell’agricoltura. In due gestiscono diversi tipi di coltivazioni. «Visto che negli ultimi anni è aumentata la richiesta di colza svizzera, da un decennio abbiamo iniziato a coltivarla» ci spiega Christoph Schori. «Tra l’altro la colza è un vegetale ideale nella rotazione con il grano e le patate. Ma resta

comunque una bella sfida». Già la scelta del momento per la semina è decisivo. Se infatti le piante crescessero troppo durante l’inverno, il freddo potrebbe danneggiarle. Anche in primavera la famiglia Schori deve trattenere un po’ il fiato: «È il momento in cui si sviluppano i due principali parassiti, il punteruolo dello stelo e il meligete della colza» dice il giovane agricoltore. Il particolare è quest’ultimo quello che dà più filo da torcere, perché può provocare perdite di

raccolto fino al 100 per cento. È a causa sua se la presenza sul mercato dell’olio di colza Bio è così rara». La dedizione assoluta al suo lavoro di Christoph Schori è evidente. Ci parla della cura intensiva richiesta dalla colza, in particolare in rapporto alle altre colture. Ciò significa che la coltivazione in primavera deve essere ben coordinata alla serie di attività che si praticano nella tenuta agricola. La colza richiede un terreno non troppo acido, e le piante

non devono essere troppo vicine, perché sviluppano radici molto profonde. Sinceramente, un tipo «Müesli»

Christoph Schori non sa dire da quando ha iniziato a fornire olio di colza a Migros, perché da sempre consegna il suo prodotto al centro di raccolta di Aarberg, nel canton Berna. «All’inizio non sapevo nemmeno che il mio olio di colza fosse usato per la produzione della margarina Sanissa» conferma. «L’ho saputo dal pro-

duttore della Mifa AG di Frenkendorf». E adesso che lo sa? Magari ha deciso di usarla ogni giorno per imburrare le sue fette di pane a colazione? «Naturalmente ho provato la margarina Sanissa» risponde con un sorriso sornione. «È buona, ma detto francamente, a colazione io sono affezionato al Müesli». In ogni caso, Christoph Schori usa esclusivamente olio di colza svizzero per cucinare e condire l’insalata. «Lo faccio per convinzione» afferma.

La storia dell’invenzione della margarina risale a più di un secolo fa. L’imperatore francese Napoleone III già nel 1867 stava cercando di approvvigionare l’esercito con un surrogato del burro a prezzo ragionevole. Due anni dopo il chimico Hippolyte Mège-Mouriès inventò la margarina. Dagli anni 50 del 900 Sanissa è in vendita alla Migros. Maggiori informazioni sulla Sanissa au beurre sono disponibili su www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch.

Quiz delle star

Che olio viene usato per produrre la Sanissa? Come partecipare: inserire la risposta esatta su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/sanissa e partecipa all’estrazione di carte regalo Migros da 150 franchi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Idee e acquisti per la settimana

Migros-Industria

La produzione della margarina Sanissa

1

Noi firmiamo. Noi garantiamo

La margarina si fa con la colza e con la competenza

Nella «fase oleosa» gli oli, come ad esempio quello di colza e altri grassi, vengono pompati nei cilindri di miscelazione. Passano poi alla cosiddetta «fase acquosa», in cui vengono mescolati con acqua, una parte di latte, sale e acido citrico. Infine la margarina viene raffreddata in un cilindro di raffreddamento e pompata verso l’impianto di riempimento.

Christoph Schori di Seedorf, nel canton Berna, coltiva la colza da dieci anni: l’olio che se ne ricava viene usato dall’Industria Migros Mifa per la produzione della margarina Sanissa. All’inizio però lui non lo sapeva

2

Testo Reto Baer; Foto Paolo Dutto

Dopo essere stata messa in forma e ricoperta dalla carta dorata, la margarina esce dallo stabilimento di produzione e viene impacchettata, 4 panetti alla volta, nelle scatolette di cartone.

Nel reparto di riempimento la margarina viene confezionata nella forma a panetto e avvolta immediatamente nella carta dorata. Vengono prodotti 200 panetti da 125 g al minuto.

3

4 Con una speciale stampante si incide la data minima di conservazione sulla parte inferiore dell’imballaggio. Le confezioni fallate, che ad esempio non riportano tale data, sono riconosciute automaticamente e fatte uscire dal circuito di produzione. Alla fine del percorso la margarina correttamente stampigliata arriva fino al settore imballaggio e poi avviata verso le filiali.

La star della settimana

La poliedrica Dal punto di vista meteorologico la giornata non è proprio delle migliori: le nuvole sono basse e minacciano pioggia. Nonostante questo, l’agricoltore Christoph Schori ci conduce volentieri attraverso il suo campo di colza presso Surenhorn, nel canton Berna. In realtà non c’è molto da vedere. Le piante di colza della qualità Avatar sono alte solo un paio di centimetri. Prima che crescano e fioriscano in tutta la loro bellezza dorata ci vorrà ancora un po’. Sul campo grande

poco meno di due ettari la colza è stata seminata alla fine di agosto dello scorso anno. La raccolta è prevista per il prossimo luglio. Se tutto andrà bene, il raccolto dovrà ammontare a circa otto tonnellate di semi, i quali produrranno circa 3000 litri di olio alimentare. E tutto questo è il ricavato di soli 10 chili di semi. La colza come sfida

Schori ha 27 anni. È meccanico agricolo diplomato e nel contempo è agricoltore.

In questo periodo sta inoltre completando una formazione come responsabile d’azienda e si divide i compiti con suo padre nel settore dell’allevamento dei suini e nell’agricoltura. In due gestiscono diversi tipi di coltivazioni. «Visto che negli ultimi anni è aumentata la richiesta di colza svizzera, da un decennio abbiamo iniziato a coltivarla» ci spiega Christoph Schori. «Tra l’altro la colza è un vegetale ideale nella rotazione con il grano e le patate. Ma resta

comunque una bella sfida». Già la scelta del momento per la semina è decisivo. Se infatti le piante crescessero troppo durante l’inverno, il freddo potrebbe danneggiarle. Anche in primavera la famiglia Schori deve trattenere un po’ il fiato: «È il momento in cui si sviluppano i due principali parassiti, il punteruolo dello stelo e il meligete della colza» dice il giovane agricoltore. Il particolare è quest’ultimo quello che dà più filo da torcere, perché può provocare perdite di

raccolto fino al 100 per cento. È a causa sua se la presenza sul mercato dell’olio di colza Bio è così rara». La dedizione assoluta al suo lavoro di Christoph Schori è evidente. Ci parla della cura intensiva richiesta dalla colza, in particolare in rapporto alle altre colture. Ciò significa che la coltivazione in primavera deve essere ben coordinata alla serie di attività che si praticano nella tenuta agricola. La colza richiede un terreno non troppo acido, e le piante

non devono essere troppo vicine, perché sviluppano radici molto profonde. Sinceramente, un tipo «Müesli»

Christoph Schori non sa dire da quando ha iniziato a fornire olio di colza a Migros, perché da sempre consegna il suo prodotto al centro di raccolta di Aarberg, nel canton Berna. «All’inizio non sapevo nemmeno che il mio olio di colza fosse usato per la produzione della margarina Sanissa» conferma. «L’ho saputo dal pro-

duttore della Mifa AG di Frenkendorf». E adesso che lo sa? Magari ha deciso di usarla ogni giorno per imburrare le sue fette di pane a colazione? «Naturalmente ho provato la margarina Sanissa» risponde con un sorriso sornione. «È buona, ma detto francamente, a colazione io sono affezionato al Müesli». In ogni caso, Christoph Schori usa esclusivamente olio di colza svizzero per cucinare e condire l’insalata. «Lo faccio per convinzione» afferma.

La storia dell’invenzione della margarina risale a più di un secolo fa. L’imperatore francese Napoleone III già nel 1867 stava cercando di approvvigionare l’esercito con un surrogato del burro a prezzo ragionevole. Due anni dopo il chimico Hippolyte Mège-Mouriès inventò la margarina. Dagli anni 50 del 900 Sanissa è in vendita alla Migros. Maggiori informazioni sulla Sanissa au beurre sono disponibili su www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch.

Quiz delle star

Che olio viene usato per produrre la Sanissa? Come partecipare: inserire la risposta esatta su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/sanissa e partecipa all’estrazione di carte regalo Migros da 150 franchi.


Pasqua è delizia. 20% Nocciole e mandorle macinate M-Classic per es. mandorle macinate, 200 g, 2.25 invece di 2.85

20% Tutte le bacche e tutta la frutta, surgelate (Alnatura escluse), per es. mezze albicocche M-Classic, 750 g, 3.35 invece di 4.20

50% Tutto l’assortimento di teglie e stampi per il forno Cucina & Tavola Baking per es. stampo per cake, estraibile, 20–35 cm, il pezzo, 7.40 invece di 14.80, offerta valida fino al 10.4.2017

20% Tutti i tipi di zucchero fino cristallizzato da 1 kg e da 10 x 1 kg per es. cristal, 1 kg, –.80 invece di 1.–

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Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.3 AL 3.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 marzo 2017 • N. 13

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Idee e acquisti per la settimana

M-Classic

Dei classici alla frutta

Nuova confezione

60 per cento di rifiuti in meno grazie al contenitore di carta anziché d’alluminio e all’imballaggio in plastica al posto del cartone.

Per i veri fan della pasticceria alla frutta la torta di Linz di M-Classic è un vero must: ogni anno ne vengono venduti qualcosa come 500’000 pezzi.

La torta alle albicocche e quella di Linz sono dei veri «evergreen» nell’assortimento di pasticceria della Migros. Questi dolci pronti al consumo si presentano ora con un look più fresco, ma sempre nella medesima apprezzata qualità. Ma non è tutto. La nuova confezione permette infatti di risparmiare ben il 60 per cento di rifiuti. Le torte non sono più cotte in un fondo di alluminio, bensì in un contenitore di carta per la cottura al forno. La confezione di cartone con l’etichetta di carta è stata sostituita da un foglio di plastica prestampato.

M-Classic torta alle albicocche 400 g Fr. 3.40

M-Classic torta di Linz 400 g Fr. 3.–

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le torte di M-Classic.


Novità Frey. 20x PUNTI

i Gli amati mini tutt insieme.

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Cioccolato al latte te con mais croccan aromatico.

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Un classico del modo di vivere italiano.

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In vendita nelle maggiori filiali Migros. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.3 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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