Azione 29 del 17 luglio 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 17 luglio 2017

Azione 29 ping M shop ne 35-37 / 51 i alle pag

Società e Territorio A lezione da professionisti di fama mondiale: oggi si può grazie al web

Ambiente e Benessere Contaminanti ambientali nel Verbano: la situazione è migliorata ma non è ancora del tutto ottimale

Politica e Economia La difficile estate di Francesco fra nomine e riforme promesse che segnano il passo

Cultura e Spettacoli In giro per musei: piccola guida delle mostre programmate in Svizzera quest’estate

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di Guido Grilli pagina 3

Ti-Press

Navigazione verso i 170 anni

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Prove di nuove libertà di Alessandro Zanoli Luisa ha i capelli blu. Si guarda allo specchio mentre scende con l’ascensore e le scappa un sorriso. Non è proprio un blu intenso, quello da personaggio dei fumetti. È un azzurro leggero che si mescola in modo quasi impercettibile con i suoi capelli grigi. Però è blu, inequivocabilmente blu. Ai suoi colleghi in ufficio la cosa è sembrata strana, ma l’hanno presa con senso dello humor, pare. «Sembri la fata dai capelli turchini...» è stato il commento più simpatico, non senza una punta di imbarazzo. «E cosa sarà mai, avere i capelli blu...» si dice Luisa, ancora sorridendo, prima che si apra la porta scorrevole. «Ormai siamo in un mondo moderno, in cui tutto è possibile». Erano esattamente le parole che le aveva detto la sua parrucchiera mostrandole il nuovo espositore con le tinte all’ultima moda. Perché fingere colori naturali? Perché non mettere in mostra invece qualcosa che rispecchi uno stato d’animo, un desiderio di cielo, una voglia di libertà nei pensieri? Passati i cinquant’anni in fondo non si ha più paura di nulla, tantomeno dei giudizi della gente. Si è abbastanza indipendenti e maturi per compiere scelte scomode, non

ortodosse. Anche per fare qualche stupidaggine, perché no? A Luisa ci erano voluti tredici secondi per pensare tutte queste cose e per indicare con il dito il flacone azzurro. I suoi figli, ormai grandi e indipendenti, sulle prime avevano abbozzato un sorriso imbarazzato, sciolto poi in una franca risata. «Ma guarda la mamma che diventa un cartone animato! Come sei moderna, mà!» e subito le hanno srotolato al lista delle loro amiche ed amici che avevano fatto la stessa scelta. Luisa si è sentita immediatamente un po’ complice e un po’ coetanea dei suoi figli. In fondo perché no? Passati i cinquant’anni, metabolizzato anche un divorzio, raggiunta una situazione professionale stabile, la vita diventa una specie di tapis roulant da palestra. Ti muovi, ti muovi, ma non arrivi da nessuna parte. E allora tanto vale forzare un po’ gli eventi, cercare soluzioni nuove. Scartati per principio tatuaggi e piercing (Luisa non ha un buon rapporto con gli oggetti aguzzi), praticate solo saltuariamente le vacanze in forma di trekking «esperienziale», rinunciato per eccesso di noia ai gruppi di auto-aiuto e auto-conoscenza, Luisa si è lasciata tentare da una soluzione abbastanza semplice. Una trasgressione

simbolica a buon mercato. E ora si sente molto soddisfatta di sé. Per strada, avviandosi verso l’ufficio, finge di non notare lo sguardo di chi incontra. Imperturbabile vista da fuori, dentro invece è proprio contenta. Ogni mattina le sembra una nuova occasione di sfida. Luisa non ha certo risolto i suoi problemi esistenziali cambiando il taglio di capelli. Sta solo sperimentando un nuovo modo di sentirsi viva e interessante per il mondo. Le viene in mente quel racconto di Gianni Rodari che leggeva ai suoi figli, quando erano piccoli. Un giorno i semafori del mondo aggiunsero alle loro luci una lampadina blu. La gente costernata non sapeva più cosa fare, gli automobilisti esitavano non sapendo se fermarsi, o passare. Si creò un gran caos. Poi tutto tornò come prima. E i semafori pensarono: «Poveri umani, avevamo acceso una luce nuova, quella che dava libero accesso al cielo. Potevate volare e invece vi siete preoccupati di rimanere a terra. Peccato». Nel ricordare questa storia Luisa, estrae lo specchietto dalla borsa, si guarda, e prima di imboccare il portone dell’ufficio annota mentalmente che dovrà telefonare alla parrucchiera, in mattinata. La tinta ha bisogno di un ritocco: anche la libertà richiede una sua manutenzione.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Società e Territorio La Società di Navigazione del lago di Lugano Si raccolgono i primi frutti del progetto Elvezia avviato nel 2014 per rilanciare l’attività della storica società che sta per festeggiare i 170 anni

La città e la stazione A Lugano si è conclusa la consultazione sulle modifiche di Piano regolatore della stazione ferroviaria. Come sarà il futuro di quest’area nevralgica?

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Si naviga verso i 170 anni

Lago di Lugano Il progetto di rilancio della Società di Navigazione spiegato dal vicedirettore Sergio Martinetti

Guido Grilli Getta le sue reti, la Società di Navigazione del lago di Lugano, tra breve al suo 170esimo anno di vita. E dopo anni difficili seppure mai in rosso, il «pescato» inizia a farsi interessante, tanto da conoscere proprio in questo 2017 timide eppure solide cifre. Abbiamo voluto scoprire le mosse di un rilancio. Tra gli artefici e traghettatori di questa nuova scia, unitamente al presidente Agostino Ferrazzini, il vicedirettore, Sergio Martinetti, in carica da gennaio. «Si chiama Elvezia il progetto di rilancio avviato dal 2014» spiega Martinetti «e si è tradotto con l’introduzione di nuove misure per cui oggi raccogliamo i primi frutti. Abbiamo lavorato su più fronti: sulle risorse umane, con l’assunzione di nuovi giovani, una decina di persone sotto i trent’anni; abbiamo cambiato l’immagine della società, lavorando molto sulla corporate social responsibility – una maggiore responsabilità sul territorio, in tal senso lo scorso anno abbiamo inaugurato la Vedetta 1908, primo battello di linea in Svizzera a propulsione esclusivamente elettrica, un natante secolare che percorre il suo classico itinerario LuganoCassarate-Paradiso senza emissioni inquinanti. Abbiamo cambiato la struttura della società, rendendola più dinamica, rivedendo l’offerta volta al turismo, con una maggiore possibilità di noleggio dei battelli per feste, cerimonie, matrimoni, compleanni, cene aziendali. Anche la gastronomia è stata rinnovata, con un servizio catering sui battelli curato dalla Cambusa Lugano, parzialmente detenuta dalla Società di navigazione. Tra le misure allo studio, c’è inoltre quella di rafforzare le corse invernali, grazie a una stagione che alle nostre latitudini si fa sempre più mite e dunque favorevole alla navigazione». «È una leggera ripartenza» prosegue Sergio Martinetti «e crediamo che questa sia la chiave del successo. Tra le novità di quest’estate: Boat Now che prevede l’installazione su di un battello di uno schermo sul quale scorreranno immagini della storia della na-

A lezione dalle celebrità

Web Le Masterclass sono uno dei fenomeni

online del momento: permettono di imparare da artisti e professionisti di fama mondiale, da Jane Goodall a Garry Kasparov

Stefania Prandi Jane Goodall, celebre studiosa degli scimpanzé e attivista per la protezione dell’ambiente, con il viso luminoso e la voce pacata, promette di insegnare i segreti sulle strategie di conservazione della specie. Ci sono tre grandi problemi che minacciano la terra: la povertà estrema, la crescita della popolazione umana, i rifiuti. «Voi potete fare, ogni giorno, dei cambiamenti per migliorare il mondo. C’è ancora un periodo di tempo: la natura può vincere, se gliene diamo la possibilità», dice, nel video promozionale, guardando dritta nell’obiettivo. Per apprendere un po’ del suo sapere, ci si può iscrivere alla classe (in inglese), che inizierà in autunno, disponibile sulla piattaforma americana Masterclass (www. masterclass.com). Goodall è solo una delle tante celebrità pronte a trasmettere la loro preziosa conoscenza: sono già disponibili le lezioni dello scrittore James Patterson, dello sceneggiatore David Mamet, degli attori Dustin Hoffman e Kevin Spacey, della tennista Serena Williams, del regista Werner Herzog (per citare alcuni nomi). Le Masterclass sono uno dei fenomeni online del momento: permettono di imparare da artisti e professionisti di fama mondiale, attraverso video accessibili sul proprio computer o cellulare. Dietro a questa formazione permanente con le celebrità, che prevede anche materiale didattico, la possibilità di inviare domande (anche se le risposte non arrivano in diretta) e di discutere con gli altri compagni, ci sono Aaron Rasmussen e David Rogier, imprenditori californiani. La loro missione, spiegano in diverse interviste, è dare la possibilità di osservare i migliori, i fuoriclasse, ascoltando direttamente quello che hanno da dire con un format che, fino ad ora, «non era mai stato pensato in questo modo». Tra gli «alunni» ci sono persone da tutto il

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

mondo e diverse tra loro: si va da professionisti affermati, a premi Oscar, ad amatori e curiosi. Per accedere bisogna pagare una cifra standard, che permette di usufruire dei contenuti senza limiti di tempo, con la possibilità di rimborso entro un mese se ci si rende conto di avere fatto una scelta sbagliata. Non è detto che per forza si debba volere diventare registi, scrittori o attori per seguire certe lezioni. Si può anche essere dei semplici appassionati della materia e del personaggio. Non occorre nemmeno essere aspiranti campioni di scacchi per pensare di iscriversi alle lezioni, non ancora cominciate, di Garry Kasparov, il più grande giocatore di tutti i tempi, capace di vincere – anche se solo per una volta – contro Deep Blue, il cervello di silicio creato da Ibm. Nel video di presentazione del corso, Kasparov dice che intende mostrare la sua conoscenza degli scacchi non solo per aiutare chi lo segue a diventare più bravo, ma anche per stimolare la capacità di ragionamento in generale. Stessa filosofia alla base della classe di Diane von Furstenberg, famosa stilista americana, che per la prima volta ha accettato di tenere un corso online. Con la sua masterclass insegnerà come costruire un marchio di moda. E non solo: la creatrice del wrap dress, vestito inventato 40 anni fa che fascia il corpo con una cintura in vita, comodo e allo stesso tempo elegante, parlerà di come trovare l’ispirazione, superare i fallimenti, acquisire più fiducia e sicurezza. Secondo il sito americano Hollywood Reporter, nei primi quattro mesi di vita della piattaforma Masterclass si sono iscritte ai corsi oltre 30mila persone. Adesso, a distanza di due anni, la cifra esatta degli iscritti non si conosce, ma si sanno i nomi celebri per le prossime lezioni: l’attore Steve Martin, la fotografa Annie Leibovitz, l’architetto Frank Gehry. Nuovi investimenti al progetto in arrivo dalla Silicon Valley serviranno Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

per ampliare l’offerta, includendo altri ambiti, come quello dell’educazione e del business. Tra i sogni dei fondatori c’è la partecipazione di Elon Musk, miliardario visionario, fondatore di Tesla e SpaceX, che nel 2018 ha promesso di inviare nello spazio, intorno alla Luna, due privati cittadini. E chissà che le lezioni possano essere anche pensate in più lingue, come succede già con piattaforme simili. Tra le più conosciute ci sono quelle dei MOOC, acronimo di Massive Online Open Courses, corsi online gratuiti dedicati allo studio di diverse materie, dalla matematica alle lingue, che danno la possibilità di specializzarsi oppure di aggior-

narsi direttamente da casa, in qualunque parte del mondo. Ce ne sono anche in italiano, come ad esempio su Openup Ed (www.openuped.eu), progetto realizzato con la collaborazione dell’Unione Europea, che raccoglie lezioni in partnership con diverse università europee, e su Oilproject (www.oilproject.org), che offre lezioni gratuite online per studenti grazie all’impegno di docenti volontari. Oilproject è un esperimento di didattica digitale ideato da Marco de Rossi quando era solo un ragazzino, che adesso si è evoluto nella piattaforma We School (www.weschool.com/it/), strumento che permette ai professori di condividere contenuti con gli studenti, dai video di

YouTube agli articoli di giornale, dai corsi di lingua ai video quiz. Dà la possibilità di accedere ai corsi delle più importanti università del mondo e di ottenere certificati di frequenza, ma a pagamento, la piattaforma Coursera (www.coursera.org), che include diverse lingue oltre all’inglese, come francese, italiano, tedesco. L’offerta è incredibile, per la quantità e la qualità delle lezioni. Ce ne sono alcune realizzate da fondazioni e musei prestigiosi, ad esempio il Moma di New York. Un mondo di sapere, accessibile a chiunque abbia una connessione, un dispositivo per navigare, curiosità e voglia di continuare a imparare.

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

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Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

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vigazione; e il progetto 1887, una sorta di “trekking” per ripercorrere in modo combinato un’antica tratta che collegava i 3 laghi: Maggiore, Ceresio e Lario grazie alla navigazione e alle tratte ferroviarie Porlezza-Menaggio e Ponte Tresa-Luino». Ma l’evento più atteso sarà nel 2018: il giubileo dei 170 anni della Società di Navigazione del lago di Lugano, nata nel lontano 1848. Come vi state preparando? «La data dei festeggiamenti non è nota, coinciderà con l’inaugurazione della prossima stagione 2018, tra marzo e aprile. Usciremo per questa occasione con un digital book che ripercorrerà tutta la storia della Navigazione e con una pubblicazione che illustrerà il presente della società, soffermandosi sui grandi cambiamenti. Apriremo a visite guidate nel nostro cantiere, dove in inverno i battelli vengono sottoposti alla completa manutenzione ordinaria, e per alcuni natanti, straordinaria». Per molti, tuttavia, i prezzi dei battelli rimangono troppo alti. «Dal

dicembre 2016 abbiamo introdotto, grazie ad un accordo con la Ch-Direct, la gratuità su tutte le corse di linea per i possessori dell’abbonamento generale dei trasporti pubblici. E l’abbonamento Arcobaleno si traduce in tariffe dimezzate. Inoltre la Lugano Card consente di compiere crociere a 10 franchi; sconti inoltre per la clientela italiana grazie a Groupon, o ai soci Raiffeisen o ancora a favore di comitive e scolaresche. Infine ci sono le card dei Comuni lacuali a favore dei loro abitanti». E i turisti? «Sono aumentati (+9,8% nel 2016), superando persino gli aumenti registrati nel settore alberghiero (+3,8%). Sicuramente anche l’Alptransit, la velocizzazione delle tratte, penso in particolare a quella Zurigo-Lugano, ha certamente favorito la Navigazione. Registriamo anche un incremento del turista di giornata. Più del 50% dei turisti proviene dalla Svizzera interna o dalla Germania; in crescita poi ci sono gli svizzeri francesi e i francesi, i paesi asiatici e quelli arabi». In chiave di rilancio, la Società di

Navigazione si è rivolta anche al Municipio di Lugano per ottenere forme di collaborazione. Con quali esiti? «Un importante risultato lo abbiamo ottenuto lo scorso anno, con la richiesta, esaudita, di nuove strisce pedonali realizzate dalla Piazza della Riforma all’imbarcadero Centrale, che ora è così accessibile direttamente dalla strada. A maggio abbiamo incontrato la compagine municipale al completo per illustrarle il nostro piano di rilancio e tutte le nostre novità del 2017. Dal canto suo, l’Esecutivo ci ha messi a conoscenza dei futuri interventi pensati per la riva a lago, ciò che potrà portare a interessanti sinergie». Battello non fa solo rima con turismo, bensì sembra confermarsi quale mezzo di trasporto forse non ancora sfruttato appieno. «Questo è un altro tema su cui stiamo lavorando con la Città», fa sapere Martinetti. «Le strade stanno divenendo ormai sovraffollate, c’è per questo una maggiore sensibilità verso l’alternativa via lago e con la combinazione di più mezzi. Si tratterà

so educatore, nel senso più nobile del termine. Siamo nel ’52, l’incubo della guerra e del nazismo è ancora cocente: nessuna manifestazione di emarginazione o razzismo è tollerata in collegio, e anche gli episodi di bullismo (dovuti all’arrogante Annika, vera antagonista di Liesèl in questa storia), vengono gestiti con intelligenza. Il Direttore saprà inoltre incoraggiare Liesèl nel suo progetto di dare vita a un giornale, «Il giornale del Seeburg», gestendo una vivace redazione di giovani compagne e compagni. È un solido senso civico, quello che viene insegnato al Seeburg: i ragazzi crescono come cittadini, non solo come studenti. E non manca, lo sappiamo fin dal titolo, la dimensione sentimentale: il romanzo racconta anche di un amore tormentato, vitale, assoluto, come lo è, appunto, ogni amore adolescente. Helga Schneider (1937) è una scrittrice tedesca che oggi vive in Italia e scrive in italiano. Trascorse l’infanzia a Berlino, subendo l’abbandono della madre, che lasciò i suoi due bambini per entrare nelle

SS come ausiliaria e poi come sorvegliante nei campi femminili (da ciò e dai successivi laceranti incontri con lei nacque il libro Lasciami andare, madre, Adelphi, 2001). Anche Helga, come la sua giovane protagonista, venne internata in collegio dalla matrigna. Ma anche per lei, fortunatamente, il coraggio e la capacità di mettere per iscritto i propri mondi interiori saranno balsamo, salvezza e preziosa risorsa espressiva.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani

L’etologa e primatologa inglese Jane Goodall. (Keystone)

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Attualmente sono 13 i natanti che solcano le acque del Ceresio. (Società di Navigazione del Lago di Lugano)

di capire quali tratte si presterebbero maggiormente per un servizio mirato di navigazione, capace di dimostrarsi più rapido rispetto all’automobile, riducendo così tempi di percorrenza e inquinamento. Porto Ceresio-Morcote, rappresenta un possibile esempio». Ma qual è l’ampiezza del parconatanti della Società di Navigazione? «Complessivamente 13 sono i natanti che solcano oggi le acque del Ceresio. Abbiamo la Morcote 1977, la Paradiso 1978, la Ceresio varata nel 1931, la San Gottardo del 2001 (è la più recente); l’Italia del 1962; la Lugano del 1961; la Sant’Ambrogio e la San Lorenzo 1987 e 1988; la Milano 1927; e la Vedetta del 1908, il natante più antico. Fenice, Airone e Rex, con una capacità ridotta a 60 passeggeri, infine, sono entrati nel 2016 con l’acquisizione della Motoscafi Riuniti. Proprio quest’anno ricorrerà il giubileo del battello Milano che compie novant’anni, a tutt’oggi perfettamente funzionante e con un’architettura intatta, con ancora la demarcazione della prima e della seconda classe. L’anniversario sarà festeggiato ad ottobre, coinvolgendo dei novantenni». La Società di Navigazione del lago di Lugano è estranea allo sciopero della Navigazione Lago di Locarno... «Regna un buon clima da noi» assicura il vice direttore «e il personale è aumentato grazie all’assunzione di una decina di giovani, tra cui apprendisti manutentori nautici che operano all’interno del nostro cantiere, un segmento determinante della nostra società. Nel 2014 abbiamo ottenuto il marchio di azienda formatrice. Complessivamente contiamo 40 dipendenti fissi, più dieci stagionali». L’assetto societario ha conosciuto cambiamenti ai vertici: mentre il presidente di lungo corso, Giampiero Ferrazzini, è attualmente presidente onorario; dal 2015 il ruolo di direttore ad interim e di presidente è passato ad Agostino Ferrazzini. Si rimane in famiglia, si direbbe. Anzi, quel che dice il nostro interlocutore, Sergio Martinetti, è che «la Società di navigazione si può definire una grande famiglia, dove non manca lo slancio per nuovi progetti».

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–

Helga Schneider, Un amore adolescente, Salani. Da 14 anni Liesèl ha quattordici anni quando viene allontanata di casa dalla matrigna. Sembra un incipit fiabesco e invece è totalmente ancorato alla realtà, e in parte autobiografico, il nuovo romanzo di Helga Schneider. Siamo in un villaggio austriaco, nel 1952. La madre di Liesèl se ne è andata dalla famiglia da anni, abbandonando lei e il fratellino Lukas; il padre si è risposato con una donna che accetta solo il piccolo Lukas, facendogli addirittura credere di esserne la vera madre. Il rapporto con Liesèl, che (diversamente dal debole padre) costituisce la limpida e intransigente memoria storica della famiglia, va vieppiù deteriorandosi, fino al suo allontanamento verso un collegio, il Seeburg. Al contrario delle speranze della matrigna, il collegio non è una tetra prigione ma un luogo gestito da adulti illuminati, che permetteranno a Lièsel e agli altri ragazzi di crescere in maniera serena e equilibrata, nonostante gli inevitabili

conflitti interpersonali e interiori che ogni adolescente si trova ad affrontare. Il romanzo è tutto ambientato nel collegio, tranne le brevi vacanze a casa e le prime pagine dedicate al viaggio verso il Seeburg di Liesèl e della matrigna, che non vede l’ora di lasciarla lì, un incipit che ricorda quello di Heidi (romanzo non a caso citato nel testo), con la zia Dete che la trascina su all’Alpe dal nonno. In entrambi i casi, quella che doveva essere un’esperienza cupa si rivela un’occasione profonda di crescita interiore. In questo libro, un ruolo importante è giocato dal Direttore, l’Heimvater austero e serio, ma sensibile e attento, che saprà essere un prezio-

L’orsetto, e altri titoli, collana «Sbucaditino», Edizioni Abracadabra. Da 1 anno La collana «Sbucaditino» mette nel titolo un cucciolo: L’orsetto, Il tigrotto, Il pesciolino, Il coniglietto, eccetera. Diminutivi, non per leziosità, ma perché raccontano le storie di cuccioli, perché sono libri molto piccoli, adatti a bambini molto piccoli. Nella loro estrema semplicità, hanno innegabili punti di forza: pagine in cartonato davvero robusto, a prova di morsi, strappi, cadute dal seggiolone o dal passeggino; angoli

stondati, a norma di sicurezza; storie legate alla quotidianità affettiva, relazionale, cognitiva dell’animaletto, in cui tuttavia anche i bambini si possono identificare; testi semplicissimi ma in rima, adatti alla primissima infanzia, che si nutre della dimensione fonica e ritmica del linguaggio. Il vero tratto caratterizzante della collana è il fatto che questi libretti hanno un buco al centro, da cui sbuca il muso in peluche del cucciolo in questione, che quindi è animabile con un dito (del bimbo o prima ancora dell’adulto narratore), rendendo ogni pagina una vera, piccola, messinscena. Per un teatrino intimo delle storie e degli affetti.


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Società e Territorio La Società di Navigazione del lago di Lugano Si raccolgono i primi frutti del progetto Elvezia avviato nel 2014 per rilanciare l’attività della storica società che sta per festeggiare i 170 anni

La città e la stazione A Lugano si è conclusa la consultazione sulle modifiche di Piano regolatore della stazione ferroviaria. Come sarà il futuro di quest’area nevralgica?

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Si naviga verso i 170 anni

Lago di Lugano Il progetto di rilancio della Società di Navigazione spiegato dal vicedirettore Sergio Martinetti

Guido Grilli Getta le sue reti, la Società di Navigazione del lago di Lugano, tra breve al suo 170esimo anno di vita. E dopo anni difficili seppure mai in rosso, il «pescato» inizia a farsi interessante, tanto da conoscere proprio in questo 2017 timide eppure solide cifre. Abbiamo voluto scoprire le mosse di un rilancio. Tra gli artefici e traghettatori di questa nuova scia, unitamente al presidente Agostino Ferrazzini, il vicedirettore, Sergio Martinetti, in carica da gennaio. «Si chiama Elvezia il progetto di rilancio avviato dal 2014» spiega Martinetti «e si è tradotto con l’introduzione di nuove misure per cui oggi raccogliamo i primi frutti. Abbiamo lavorato su più fronti: sulle risorse umane, con l’assunzione di nuovi giovani, una decina di persone sotto i trent’anni; abbiamo cambiato l’immagine della società, lavorando molto sulla corporate social responsibility – una maggiore responsabilità sul territorio, in tal senso lo scorso anno abbiamo inaugurato la Vedetta 1908, primo battello di linea in Svizzera a propulsione esclusivamente elettrica, un natante secolare che percorre il suo classico itinerario LuganoCassarate-Paradiso senza emissioni inquinanti. Abbiamo cambiato la struttura della società, rendendola più dinamica, rivedendo l’offerta volta al turismo, con una maggiore possibilità di noleggio dei battelli per feste, cerimonie, matrimoni, compleanni, cene aziendali. Anche la gastronomia è stata rinnovata, con un servizio catering sui battelli curato dalla Cambusa Lugano, parzialmente detenuta dalla Società di navigazione. Tra le misure allo studio, c’è inoltre quella di rafforzare le corse invernali, grazie a una stagione che alle nostre latitudini si fa sempre più mite e dunque favorevole alla navigazione». «È una leggera ripartenza» prosegue Sergio Martinetti «e crediamo che questa sia la chiave del successo. Tra le novità di quest’estate: Boat Now che prevede l’installazione su di un battello di uno schermo sul quale scorreranno immagini della storia della na-

A lezione dalle celebrità

Web Le Masterclass sono uno dei fenomeni

online del momento: permettono di imparare da artisti e professionisti di fama mondiale, da Jane Goodall a Garry Kasparov

Stefania Prandi Jane Goodall, celebre studiosa degli scimpanzé e attivista per la protezione dell’ambiente, con il viso luminoso e la voce pacata, promette di insegnare i segreti sulle strategie di conservazione della specie. Ci sono tre grandi problemi che minacciano la terra: la povertà estrema, la crescita della popolazione umana, i rifiuti. «Voi potete fare, ogni giorno, dei cambiamenti per migliorare il mondo. C’è ancora un periodo di tempo: la natura può vincere, se gliene diamo la possibilità», dice, nel video promozionale, guardando dritta nell’obiettivo. Per apprendere un po’ del suo sapere, ci si può iscrivere alla classe (in inglese), che inizierà in autunno, disponibile sulla piattaforma americana Masterclass (www. masterclass.com). Goodall è solo una delle tante celebrità pronte a trasmettere la loro preziosa conoscenza: sono già disponibili le lezioni dello scrittore James Patterson, dello sceneggiatore David Mamet, degli attori Dustin Hoffman e Kevin Spacey, della tennista Serena Williams, del regista Werner Herzog (per citare alcuni nomi). Le Masterclass sono uno dei fenomeni online del momento: permettono di imparare da artisti e professionisti di fama mondiale, attraverso video accessibili sul proprio computer o cellulare. Dietro a questa formazione permanente con le celebrità, che prevede anche materiale didattico, la possibilità di inviare domande (anche se le risposte non arrivano in diretta) e di discutere con gli altri compagni, ci sono Aaron Rasmussen e David Rogier, imprenditori californiani. La loro missione, spiegano in diverse interviste, è dare la possibilità di osservare i migliori, i fuoriclasse, ascoltando direttamente quello che hanno da dire con un format che, fino ad ora, «non era mai stato pensato in questo modo». Tra gli «alunni» ci sono persone da tutto il

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Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

mondo e diverse tra loro: si va da professionisti affermati, a premi Oscar, ad amatori e curiosi. Per accedere bisogna pagare una cifra standard, che permette di usufruire dei contenuti senza limiti di tempo, con la possibilità di rimborso entro un mese se ci si rende conto di avere fatto una scelta sbagliata. Non è detto che per forza si debba volere diventare registi, scrittori o attori per seguire certe lezioni. Si può anche essere dei semplici appassionati della materia e del personaggio. Non occorre nemmeno essere aspiranti campioni di scacchi per pensare di iscriversi alle lezioni, non ancora cominciate, di Garry Kasparov, il più grande giocatore di tutti i tempi, capace di vincere – anche se solo per una volta – contro Deep Blue, il cervello di silicio creato da Ibm. Nel video di presentazione del corso, Kasparov dice che intende mostrare la sua conoscenza degli scacchi non solo per aiutare chi lo segue a diventare più bravo, ma anche per stimolare la capacità di ragionamento in generale. Stessa filosofia alla base della classe di Diane von Furstenberg, famosa stilista americana, che per la prima volta ha accettato di tenere un corso online. Con la sua masterclass insegnerà come costruire un marchio di moda. E non solo: la creatrice del wrap dress, vestito inventato 40 anni fa che fascia il corpo con una cintura in vita, comodo e allo stesso tempo elegante, parlerà di come trovare l’ispirazione, superare i fallimenti, acquisire più fiducia e sicurezza. Secondo il sito americano Hollywood Reporter, nei primi quattro mesi di vita della piattaforma Masterclass si sono iscritte ai corsi oltre 30mila persone. Adesso, a distanza di due anni, la cifra esatta degli iscritti non si conosce, ma si sanno i nomi celebri per le prossime lezioni: l’attore Steve Martin, la fotografa Annie Leibovitz, l’architetto Frank Gehry. Nuovi investimenti al progetto in arrivo dalla Silicon Valley serviranno Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

per ampliare l’offerta, includendo altri ambiti, come quello dell’educazione e del business. Tra i sogni dei fondatori c’è la partecipazione di Elon Musk, miliardario visionario, fondatore di Tesla e SpaceX, che nel 2018 ha promesso di inviare nello spazio, intorno alla Luna, due privati cittadini. E chissà che le lezioni possano essere anche pensate in più lingue, come succede già con piattaforme simili. Tra le più conosciute ci sono quelle dei MOOC, acronimo di Massive Online Open Courses, corsi online gratuiti dedicati allo studio di diverse materie, dalla matematica alle lingue, che danno la possibilità di specializzarsi oppure di aggior-

narsi direttamente da casa, in qualunque parte del mondo. Ce ne sono anche in italiano, come ad esempio su Openup Ed (www.openuped.eu), progetto realizzato con la collaborazione dell’Unione Europea, che raccoglie lezioni in partnership con diverse università europee, e su Oilproject (www.oilproject.org), che offre lezioni gratuite online per studenti grazie all’impegno di docenti volontari. Oilproject è un esperimento di didattica digitale ideato da Marco de Rossi quando era solo un ragazzino, che adesso si è evoluto nella piattaforma We School (www.weschool.com/it/), strumento che permette ai professori di condividere contenuti con gli studenti, dai video di

YouTube agli articoli di giornale, dai corsi di lingua ai video quiz. Dà la possibilità di accedere ai corsi delle più importanti università del mondo e di ottenere certificati di frequenza, ma a pagamento, la piattaforma Coursera (www.coursera.org), che include diverse lingue oltre all’inglese, come francese, italiano, tedesco. L’offerta è incredibile, per la quantità e la qualità delle lezioni. Ce ne sono alcune realizzate da fondazioni e musei prestigiosi, ad esempio il Moma di New York. Un mondo di sapere, accessibile a chiunque abbia una connessione, un dispositivo per navigare, curiosità e voglia di continuare a imparare.

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vigazione; e il progetto 1887, una sorta di “trekking” per ripercorrere in modo combinato un’antica tratta che collegava i 3 laghi: Maggiore, Ceresio e Lario grazie alla navigazione e alle tratte ferroviarie Porlezza-Menaggio e Ponte Tresa-Luino». Ma l’evento più atteso sarà nel 2018: il giubileo dei 170 anni della Società di Navigazione del lago di Lugano, nata nel lontano 1848. Come vi state preparando? «La data dei festeggiamenti non è nota, coinciderà con l’inaugurazione della prossima stagione 2018, tra marzo e aprile. Usciremo per questa occasione con un digital book che ripercorrerà tutta la storia della Navigazione e con una pubblicazione che illustrerà il presente della società, soffermandosi sui grandi cambiamenti. Apriremo a visite guidate nel nostro cantiere, dove in inverno i battelli vengono sottoposti alla completa manutenzione ordinaria, e per alcuni natanti, straordinaria». Per molti, tuttavia, i prezzi dei battelli rimangono troppo alti. «Dal

dicembre 2016 abbiamo introdotto, grazie ad un accordo con la Ch-Direct, la gratuità su tutte le corse di linea per i possessori dell’abbonamento generale dei trasporti pubblici. E l’abbonamento Arcobaleno si traduce in tariffe dimezzate. Inoltre la Lugano Card consente di compiere crociere a 10 franchi; sconti inoltre per la clientela italiana grazie a Groupon, o ai soci Raiffeisen o ancora a favore di comitive e scolaresche. Infine ci sono le card dei Comuni lacuali a favore dei loro abitanti». E i turisti? «Sono aumentati (+9,8% nel 2016), superando persino gli aumenti registrati nel settore alberghiero (+3,8%). Sicuramente anche l’Alptransit, la velocizzazione delle tratte, penso in particolare a quella Zurigo-Lugano, ha certamente favorito la Navigazione. Registriamo anche un incremento del turista di giornata. Più del 50% dei turisti proviene dalla Svizzera interna o dalla Germania; in crescita poi ci sono gli svizzeri francesi e i francesi, i paesi asiatici e quelli arabi». In chiave di rilancio, la Società di

Navigazione si è rivolta anche al Municipio di Lugano per ottenere forme di collaborazione. Con quali esiti? «Un importante risultato lo abbiamo ottenuto lo scorso anno, con la richiesta, esaudita, di nuove strisce pedonali realizzate dalla Piazza della Riforma all’imbarcadero Centrale, che ora è così accessibile direttamente dalla strada. A maggio abbiamo incontrato la compagine municipale al completo per illustrarle il nostro piano di rilancio e tutte le nostre novità del 2017. Dal canto suo, l’Esecutivo ci ha messi a conoscenza dei futuri interventi pensati per la riva a lago, ciò che potrà portare a interessanti sinergie». Battello non fa solo rima con turismo, bensì sembra confermarsi quale mezzo di trasporto forse non ancora sfruttato appieno. «Questo è un altro tema su cui stiamo lavorando con la Città», fa sapere Martinetti. «Le strade stanno divenendo ormai sovraffollate, c’è per questo una maggiore sensibilità verso l’alternativa via lago e con la combinazione di più mezzi. Si tratterà

so educatore, nel senso più nobile del termine. Siamo nel ’52, l’incubo della guerra e del nazismo è ancora cocente: nessuna manifestazione di emarginazione o razzismo è tollerata in collegio, e anche gli episodi di bullismo (dovuti all’arrogante Annika, vera antagonista di Liesèl in questa storia), vengono gestiti con intelligenza. Il Direttore saprà inoltre incoraggiare Liesèl nel suo progetto di dare vita a un giornale, «Il giornale del Seeburg», gestendo una vivace redazione di giovani compagne e compagni. È un solido senso civico, quello che viene insegnato al Seeburg: i ragazzi crescono come cittadini, non solo come studenti. E non manca, lo sappiamo fin dal titolo, la dimensione sentimentale: il romanzo racconta anche di un amore tormentato, vitale, assoluto, come lo è, appunto, ogni amore adolescente. Helga Schneider (1937) è una scrittrice tedesca che oggi vive in Italia e scrive in italiano. Trascorse l’infanzia a Berlino, subendo l’abbandono della madre, che lasciò i suoi due bambini per entrare nelle

SS come ausiliaria e poi come sorvegliante nei campi femminili (da ciò e dai successivi laceranti incontri con lei nacque il libro Lasciami andare, madre, Adelphi, 2001). Anche Helga, come la sua giovane protagonista, venne internata in collegio dalla matrigna. Ma anche per lei, fortunatamente, il coraggio e la capacità di mettere per iscritto i propri mondi interiori saranno balsamo, salvezza e preziosa risorsa espressiva.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani

L’etologa e primatologa inglese Jane Goodall. (Keystone)

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Attualmente sono 13 i natanti che solcano le acque del Ceresio. (Società di Navigazione del Lago di Lugano)

di capire quali tratte si presterebbero maggiormente per un servizio mirato di navigazione, capace di dimostrarsi più rapido rispetto all’automobile, riducendo così tempi di percorrenza e inquinamento. Porto Ceresio-Morcote, rappresenta un possibile esempio». Ma qual è l’ampiezza del parconatanti della Società di Navigazione? «Complessivamente 13 sono i natanti che solcano oggi le acque del Ceresio. Abbiamo la Morcote 1977, la Paradiso 1978, la Ceresio varata nel 1931, la San Gottardo del 2001 (è la più recente); l’Italia del 1962; la Lugano del 1961; la Sant’Ambrogio e la San Lorenzo 1987 e 1988; la Milano 1927; e la Vedetta del 1908, il natante più antico. Fenice, Airone e Rex, con una capacità ridotta a 60 passeggeri, infine, sono entrati nel 2016 con l’acquisizione della Motoscafi Riuniti. Proprio quest’anno ricorrerà il giubileo del battello Milano che compie novant’anni, a tutt’oggi perfettamente funzionante e con un’architettura intatta, con ancora la demarcazione della prima e della seconda classe. L’anniversario sarà festeggiato ad ottobre, coinvolgendo dei novantenni». La Società di Navigazione del lago di Lugano è estranea allo sciopero della Navigazione Lago di Locarno... «Regna un buon clima da noi» assicura il vice direttore «e il personale è aumentato grazie all’assunzione di una decina di giovani, tra cui apprendisti manutentori nautici che operano all’interno del nostro cantiere, un segmento determinante della nostra società. Nel 2014 abbiamo ottenuto il marchio di azienda formatrice. Complessivamente contiamo 40 dipendenti fissi, più dieci stagionali». L’assetto societario ha conosciuto cambiamenti ai vertici: mentre il presidente di lungo corso, Giampiero Ferrazzini, è attualmente presidente onorario; dal 2015 il ruolo di direttore ad interim e di presidente è passato ad Agostino Ferrazzini. Si rimane in famiglia, si direbbe. Anzi, quel che dice il nostro interlocutore, Sergio Martinetti, è che «la Società di navigazione si può definire una grande famiglia, dove non manca lo slancio per nuovi progetti».

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–

Helga Schneider, Un amore adolescente, Salani. Da 14 anni Liesèl ha quattordici anni quando viene allontanata di casa dalla matrigna. Sembra un incipit fiabesco e invece è totalmente ancorato alla realtà, e in parte autobiografico, il nuovo romanzo di Helga Schneider. Siamo in un villaggio austriaco, nel 1952. La madre di Liesèl se ne è andata dalla famiglia da anni, abbandonando lei e il fratellino Lukas; il padre si è risposato con una donna che accetta solo il piccolo Lukas, facendogli addirittura credere di esserne la vera madre. Il rapporto con Liesèl, che (diversamente dal debole padre) costituisce la limpida e intransigente memoria storica della famiglia, va vieppiù deteriorandosi, fino al suo allontanamento verso un collegio, il Seeburg. Al contrario delle speranze della matrigna, il collegio non è una tetra prigione ma un luogo gestito da adulti illuminati, che permetteranno a Lièsel e agli altri ragazzi di crescere in maniera serena e equilibrata, nonostante gli inevitabili

conflitti interpersonali e interiori che ogni adolescente si trova ad affrontare. Il romanzo è tutto ambientato nel collegio, tranne le brevi vacanze a casa e le prime pagine dedicate al viaggio verso il Seeburg di Liesèl e della matrigna, che non vede l’ora di lasciarla lì, un incipit che ricorda quello di Heidi (romanzo non a caso citato nel testo), con la zia Dete che la trascina su all’Alpe dal nonno. In entrambi i casi, quella che doveva essere un’esperienza cupa si rivela un’occasione profonda di crescita interiore. In questo libro, un ruolo importante è giocato dal Direttore, l’Heimvater austero e serio, ma sensibile e attento, che saprà essere un prezio-

L’orsetto, e altri titoli, collana «Sbucaditino», Edizioni Abracadabra. Da 1 anno La collana «Sbucaditino» mette nel titolo un cucciolo: L’orsetto, Il tigrotto, Il pesciolino, Il coniglietto, eccetera. Diminutivi, non per leziosità, ma perché raccontano le storie di cuccioli, perché sono libri molto piccoli, adatti a bambini molto piccoli. Nella loro estrema semplicità, hanno innegabili punti di forza: pagine in cartonato davvero robusto, a prova di morsi, strappi, cadute dal seggiolone o dal passeggino; angoli

stondati, a norma di sicurezza; storie legate alla quotidianità affettiva, relazionale, cognitiva dell’animaletto, in cui tuttavia anche i bambini si possono identificare; testi semplicissimi ma in rima, adatti alla primissima infanzia, che si nutre della dimensione fonica e ritmica del linguaggio. Il vero tratto caratterizzante della collana è il fatto che questi libretti hanno un buco al centro, da cui sbuca il muso in peluche del cucciolo in questione, che quindi è animabile con un dito (del bimbo o prima ancora dell’adulto narratore), rendendo ogni pagina una vera, piccola, messinscena. Per un teatrino intimo delle storie e degli affetti.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Società e Territorio

Più spazio meno cemento

Progetti urbani Conclusa la consultazione sulle modifiche di Piano regolatore della stazione ferroviaria di Lugano.

Un’area che diventerà nevralgica per l’intero Cantone. Ora il dossier passa ai Municipi e ai Consigli comunali Fabio Dozio Arrivare a Lugano con il treno può essere un’esperienza sensoriale. Dal marciapiede si scende nel sottopasso in direzione della città, dove le voci e i suoni rimbombano, si raggiunge l’atrio, il nuovo cuore della stazione, e il rumore di fondo svanisce.

Il progetto proposto dalla Città prevede la costruzione della nuova sede della SUPSI sul parcheggio a nord, la stazione dei bus sul piazzale di Besso e altri due edifici sul piazzale a sud «C’è silenzio, l’atrio offre un momento di pace, di tranquillità, prima di salire le scale per andare a scoprire il magnifico panorama del luganese: non solo la Città, ma le cime che la circondano: Cavaldrossa, Bar, Camoghé, Gazzirola, Denti della vecchia, Boglia, Brè, Sighignola, Generoso e San Salvatore. Prima di salire le scale si scopre il cielo, la luce, le verdi cime. Molte grandi città, come Milano, Parigi, Berlino, Zurigo, offrono, all’arrivo in stazione, un grande spazio di riferimento che invita alla città. Lugano può offrire, come spazio di accoglienza, l’intera valle del Cassarate». È l’architetto Lorenzo Felder che descrive l’arrivo del viaggiatore a Lugano. Felder è il progettista della nuova stazione: atrio, scala, fermata della funicolare, sottopassaggio che porta alla cattedrale, tutto sotto la grande tettoia, il segno che dà la nuova dimensione alla stazione e che si protrae sul piazzale, ovvero su quella che è stata definita, un po’ pomposamente, la «terrazza sul Ticino». Gli architetti parlano delle loro opere come fossero dei figli. Felder si illumina quando descrive il tunnel che fa scoprire la cattedrale o quando spiega che ha scelto di abbassare tutto il lungo parapetto del piazzale per non ostacolare la vista a chi arriva e guarda verso la città. Il progettista della nuova stazione ci accompagna non tanto per vedere la sua opera, ma per discutere sui progetti futuri. Si è appena conclusa la consultazione che riguarda le varianti dei Piani regolatori per la nuova area della stazione (StazLu2) e la zona della trincea ferroviaria (TriMa). Due i comuni interessati, Lugano e Massagno. È una storia vecchia, che parte alla fine degli anni ottanta. L’architetto Felder è uno dei più autorevoli interlocutori su questo tema, perché se ne occupa da sempre. Fa parte infatti del gruppo, coordinato in origine da Aurelio Galfetti, che ha studiato il rinnovo della stazione di Lugano fin dall’inizio degli anni novanta. Attorno alla stazione ci sono tre aree non edificate: il piazzale nord, dove ci sono i posteggi e le fermate dei bus, il piazzale sud, adibito pure a parcheggi e dove c’è il caseggiato che ospita il negozio di alimentari e l’edicola, che verrà abbattuto, infine il piazzale di Besso, a ovest, anche questo destinato alle automobili. Proseguendo verso Massagno, si incontra la trincea ferroviaria, creata con la costruzione della Gottardbahn a fine Ottocento, quando la città non si espandeva ancora in direzione del quartiere di Besso. «Il comparto della stazione FFS – scrive il Municipio di Lugano – unitamente all’area della trincea ferroviaria, assume una valenza strategica di svi-

Ai viaggiatori in arrivo la stazione di Lugano offre un «panorama di accoglienza» davvero unico. (Ti-Press)

luppo per l’intero Cantone, dato che presenta importanti riserve di spazio per sviluppi edificatori della Nuova Città». Le stazioni ferroviarie rappresentano infatti, come afferma il Consiglio federale, «L’ossatura per lo sviluppo del sistema urbano svizzero». Così il progetto proposto dalla Città prevede, in sostanza, di edificare questi spazi oggi vuoti. Sul parcheggio nord si costruirà la sede della SUPSI, un’operazione che garantisce la vocazione pubblica all’area, sul piazzale di Besso la stazione dei bus, sul piazzale sud due edifici con destinazione non ancora definita. Inoltre, si prevede di edificare lungo via Basilea, la strada che costeggia la ferrovia sul lato ovest della stazione, lungo la collina di Montarina. Ma non è finita: secondo il progetto che riguarda Massagno, sulla trincea ferroviaria si potrà installare la SUPSI 2, un’altra enorme costruzione. Troppo cemento in spazi relativamente ristretti, anche se queste costruzioni massicce sarebbero giustificate dalla nuova Legge federale sulla pianificazione del territorio che prevede di densificare i centri città, salvaguardando le aree verdi? «Densificare non significa riempire tutti i vuoti – ci dice l’architetto Felder – al contrario, densificare significa creare il vuoto, un vuoto che deve essere destinato a spazio pubblico, alla comunità. Deve essere questa la volontà politica del Municipio, dare un contributo pianificatorio urbanistico garantendo spazi pubblici vuoti. Sarebbe un grande peccato, partendo dall’idea che bisogna densificare, finire per riempire tutti gli spazi vuoti attorno alla stazione». Può sembrare che Felder giochi con gli ossimori, quando dice che densificare vuol dire creare un vuoto, ma non è così. Il dibattito su questo tema è vivace. L’ASPAN (Associazione svizzera per la pianificazione del territorio), per esempio, sottolinea che la densificazione richiede una nuova cultura del costruire. «Cantoni e Comuni – afferma l’ASPAN – devono stabilire un quadro che favorisca i progetti di qualità e, per raggiungere questo obiettivo, è necessaria la stretta collaborazione tra i privati e le autorità, oltre al coinvolgimento della popolazione». Densificare non significa riempire, ma pensare «a strategie edilizie diverse, fra le quali, per esempio, una crescita intelligente,

la formazione di comunità di dimensioni controllabili, e uno sviluppo attento alle esigenze sociali» (Treccani). A Lugano, a distanza di trent’anni dall’avvio dei progetti per la sistemazione urbanistica dell’area della stazione e della trincea, è la prima volta che è data alla popolazione la possibilità di esprimersi nella consultazione che si è conclusa a metà giugno. I «Cittadini per il territorio di Massagno» hanno inoltrato una serie di osservazioni e sulla costruzione della SUPSI non tralasciano le critiche: «L’opera è percepita come molto massiccia e ingombrante, nonostante l’indiscussa qualità del progetto» spiega l’ingegner Marco Sailer, presidente dei Cittadini. «Se realizzato in quel modo, costituirebbe l’edificio più mastodontico di Lugano, lungo 170 metri e alto sette piani. Sulla localizzazione della SUPSI nel piazzale nord della stazione tutti concordano. Per ridurre l’impatto visivo proponiamo di

estendere l’edificazione alla proprietà contigua, quella su cui è ora insediato l’Ufficio del lavoro. Suggeriamo inoltre di verificare i contenuti per eventualmente ridurre le esigenze. In questo modo pensiamo che si possa realizzare un edificio meno corpulento, limitato in altezza a cinque piani (come quelli esistenti in prossimità), più staccato dal complesso storico della stazione, così da marcare l’individualità della scelta e aumentare la trasparenza dai binari verso la città». Troppo cemento anche su via Basilea? Se si costruisce come prevede la modifica di PR si realizzeranno due edifici che ostruiranno completamente la vista verso la collina di Montarina, dove, tra l’altro, c’è l’albergo omonimo iscritto nei beni meritevoli di protezione. «Mi sono reso conto – spiega Felder – che se costruisci su via Basilea secondo la linea di arretramento proposta, le costruzioni sono sottoterra. Costo di scavo notevoli

Trincea verde Che fare della trincea ferroviaria che attraversa Massagno? Un primo progetto prevedeva che la trincea venisse coperta, si costruisse una sede SUPSI e si realizzasse una strada, sopra i binari, battezzata Viale della Stazione. Una proposta che si è scontrata con la reazione popolare che ha denunciato la dannosità e l’inutilità della strada. Ora la nuova pianificazione urbanistica rilancia la copertura della trincea e anche la costruzione di un nuovo imponente campus della SUPSI, con un parco e nessuna strada. Non è necessario essere esperti per capire che se si costruisce la SUPSI 2 (250 per 20 metri) il parco si assottiglia, perché gli spazi della trincea, larghi poco più dei doppi binari della ferrovia (da 10 a 30 metri), sono esigui, anche se si sviluppano lungo circa cinquecento metri. Nessuno spiega, nella variante di Piano regolatore intercomunale (TriMa), da chi e come potrebbe essere finanziata la copertura. E ancora, è verosimile l’idea che la SUPSI abbia bisogno a breve di una nuova sede di simili dimensioni? La proposta più semplice e interes-

sante l’ha formulata l’architetto Felix Wettstein, presidente della Commissione cantonale del paesaggio, in una serata pubblica tenuta a Massagno recentemente. Se si vuole realizzare un parco, sostiene Wettstein, bisogna coprire di verde in modo leggero la trincea, senza alcuna costruzione. Se si intende edificare, va fatto all’esterno di questo parco, dove oggi ci sono quartieri residenziali che possono ospitare molti nuovi abitanti. «Costruire nell’area della trincea ferroviaria di Massagno è particolarmente difficile» ci dice Marco Sailer, dei Cittadini per il territorio. «Si tratta di una superficie lunga e stretta, oltretutto con un vincolo di inedificabilità sulla striscia centrale sopra i binari. Costruire con queste condizioni comporta complicazioni e costi molto superiori al normale». Per ora, e per i prossimi anni, la trincea rimane al suo posto, così com’era alla fine dell’Ottocento, quando è nata per far scorrere la linea ferroviaria. Il rapporto di pianificazione la definisce «uno sfregio urbanistico». Giudizio severo: è invece uno spazio originale che non manca di un suo fascino.

e metà dell’edificio non puoi illuminarlo naturalmente. Chi avrà interesse a costruire in quelle condizioni? O il Comune intende espropriare?». Si parla molto di SUPSI e si tende a dimenticare che la stazione deve essere soprattutto il centro intermodale di tutti i trasporti pubblici, urbani ed extraurbani, il vero cuore del trasporto cittadino e regionale. «Il contenuto pubblico è la stazione ferroviaria» spiega Lorenzo Felder «quindi polo funzionale dei trasporti dove c’è un transito notevolissimo di persone. Essendoci questo afflusso considerevole di persone bisogna offrire uno spazio sufficiente. C’è chi arriva con il tram, con il bus, con gli autopostali, con la funicolare e con i treni. Il Piazzale di Besso sarà la stazione dei bus e dovrebbe restare solo a livello del suolo. Il terreno è comunale e non mi sembra che il Municipio abbia interesse a costruire in altezza. Le costruzioni non devono diventare muri, ci deve essere il massimo di aperture, mantenere la vista da Besso sulla città. La SUPSI deve essere il meno possibile vicino alla stazione. Sarebbe bello avere un vuoto tra la stazione e la SUPSI». Anche il Dipartimento del territorio, nella sua analisi del progetto StazLu2, non manca di esprimere critiche sull’eccesso di volumetrie e sottolinea l’importanza di salvaguardare gli edifici storici e i beni culturali che si trovano nell’area: Montarina, tunnel di Besso, i muri del terrapieno, la funicolare degli Angeli, la stazione della ferrovia Lugano Ponte Tresa. «Il Dipartimento ritiene che le stazioni storiche FFS e FLP necessitano di un intorno caratterizzato per lo più da spazi liberi (spazi liberi disegnati, aree verdi, giardini, ecc.)» Per questo motivo il DT boccia la proposta di costruire due edifici sul piazzale sud della stazione. «Non dobbiamo aver paura del vuoto» conclude l’architetto Felder. «Si può densificare all’esterno del comparto della stazione. Modificare il piano regolatore permettendo di ampliare le case della collina di Montarina o attorno al piazzale di Besso. Si può pensare anche a una torre, a un grattacielo dove oggi c’è l’ufficio postale di Besso. Costruire in altezza, come fanno a Basilea e a Zurigo, e lasciare spazio libero sui piazzali che circondano la stazione».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Banche: come una genesi Con questo nuovo appuntamento il vostro Altropologo preferito per default (nel senso che nessun’altro praticante la corsara disciplina ha fino ad ora osato il coming out), si avventura in territorio decisamente ostile per uno che non ha ancora capito l’arcana differenza fra una Carta Bancomat e una Carta di Credito. Ma lo faccio lo stesso persuaso come sono che se l’Altropologia ha un senso lo ha in quanto riesca a dimostrare come vi sia la possibilità di guardare alla realtà della quale siamo protagonisti da un punto di vista Altro, forse con il proposito di fare emergere alternative rispetto a quanto è dato intravedere qui e ora. Il tutto, per quanto ci riguarda oggi, comincia nel 1472 quando le Magistrature della Repubblica di Siena fondano il Monte Pio a garanzia di prestiti a tasso controllato alle classi più svantaggiate, per combattere l’usura.

Nel 1568 le attività del Monte vengono estese ai proprietari fondiari al fine di promuovere gli investimenti. Nel 1624 venne poi costituito un secondo Monte – Monte non vacabile dei Paschi e della Città di Siena – al quale il Granduca Ferdinando II concesse a garanzia dei debiti le rendite delle proprietà demaniali della Maremma toscana – e in primis quelle dei pascoli («Paschi»). Così nasce quella che si ritiene essere la più antica banca europea in esistenza continuata, fino al funambolico – e da più parti criticato – «eurosalvataggio» di qualche settimana fa. Ma digitiamo un fast-forward dal 1624 al 1982: il giovane Altropologo si trova in un villaggio remoto del Nord del Ghana, a metà del guado fra la sopravvivenza e la ricerca sulla religione tradizionale, qui ancora forte nonostante gli sforzi della Missione

Cattolica di Tuna a 80 chilometri di distanza. Per quanto si lavori per fini opposti (gli uni per convertire, gli altri per conservare) i rapporti sono buoni: chi converte ha bisogno di informazioni, chi vuole conservare ha bisogno di birra e benzina per la moto, entrambe introvabili nel Ghana di quegli anni. Dunque si negozia anche sulla base di una personale simpatia fra Convertitori e Conservatori. Un bel giorno l’Altropologo viene convocato alla Missione: gli si richiede nientemeno che di collaborare alla fondazione della prima Banca Cooperativa della Regione del Nord. In sintesi: la Diocesi Romano Cattolica di Tamale ha deciso di fondare quelle che chiama Unione di Credito per gli agricoltori della zona. Con le ricorrenti mini-carestie degli ultimi anni i contadini della regione si sono trovati a dover consu-

mare i grani di cereali messi da parte per la semina dell’anno successivo, finendo così a corto di semenza nell’anno entrante. La speranza strategica è che con gli interessi di un modesto deposito bancario negli anni di buon raccolto si possano poi acquistare le sementi negli anni di crisi. Ricordo la conversazione: «Ma io di sistema bancario non ho mai capito proprio un’accidente! Come faccio a spiegarlo agli anziani del villaggio?». Non dico quante bottiglie di birra e taniche da X litri di benzina in aggiunta trasformarono il Giovane Altropologo ipso facto in un broker della finanza internazionale. Intervento di Piraata, il Fabbro portavoce del Consiglio degli Anziani del villaggio di Jang: «L’Uomo Bianco (Boroni Baal) è veramente meraviglioso: tu, Kanitty (il nome indigeno dell’Altropologo che significa “pazienza” perché al tempo

stava pazientemente imparando la lingua dei suoi ospiti) vieni a dirci che se noi consegniamo i nostri soldi all’Uomo Bianco di Tuna e torniamo dopo un anno i nostri soldi sono cresciuti? Ma come è possibile?!». Già: com’è possibile? Il Giovane provò a mettere da parte reminescenze di Pinocchio e del Campo dei Miracoli (che sarebbero state – a posteriori – la spiegazione più credibile) per imbarcarsi invece in pseudospiegazioni di carattere pseudoscientifico – e del tutto frustranti per tutti. Un certo sociologo d’antan ora dimenticato sosteneva che il surplus estratto dal Capitale a tutti i livelli fosse il risultato di ore di lavoro non pagate. Ma poi gliene hanno dette (dicono dimostrate) di cotte e di crude e non se n’è fatto niente. Ma il mistero rimane: come succede che uno porta i soldi alla Missione, torna dopo un anno e sono cresciuti? O (forse) no?!

ostacoli che il destino ci presenta. Credo risulti evidente anche ai lettori che le critiche rivolte al ragazzo, colpevole soltanto di essere corrisposto dalla fanciulla che ama, sono solo un pretesto. Nessun pretendente, finché viene considerato un rivale, potrà mai essere accettato e accolto da una madre possessiva. Ma, quando la geometria della famiglia si scompone, come in questi frangenti, occorre organizzare una nuova scacchiera ed elaborare differenti regole del gioco. Questo compito spetta soprattutto al padre che torna a essere, come nei primi anni di matrimonio, soprattutto il marito di sua moglie. Alla coppia, che passa dal tre al due iniziale, si apre un progetto inedito dove, alle prospettive che si chiudono, se ne sostituiscono altre, fatte di amicizia, di curiosità, di complicità. Tutto quello cui si è dovuto rinunciare in gioventù può essere recuperato nella tarda maturità, quando si è abbastanza giovani per fare tante cose, e abbastanza vecchi per aver compiuto il proprio dovere di genitori.

Temo sia inutile, cara Daniela, cercare di convincere sua sorella a cambiare opinione sull’aspirante genero. I pregiudizi non sono contrattabili, occorre che il tempo e le circostanze mutino gli assetti mentali, che il destino offra nuove opportunità, che il racconto della vita inauguri un ulteriore capitolo. Con tutto ciò il suo affetto, la sua vicinanza, la disponibilità che generosamente offre alla sorella in difficoltà costituiscono il miglior viatico per una soluzione positiva del conflitto. Anche l’atteggiamento calmo e sereno di Greta, se sarà capace di non rispondere al rancore col rancore, finirà prima o poi per propiziare il disgelo nel cuore d’inverno di sua madre. In questi casi il Tempo è un grande terapeuta.

dese, è tutt’altro che nuova. Ha ormai alle spalle una serie di tentativi, in parte falliti e in parte ancora in corso. Magari con un discreto successo. Come nel caso del «Good News Liverpool», creato e prodotto da Rebecca Keegan, con il proposito di offrire ai suoi concittadini un’alternativa necessaria, rispetto alle cupe informazioni diffuse da giornali e reti televisive. Quindi, non si parla di terrorismo, di Brexit, di incendi, di migranti, per far posto a notizie positive, del tipo un taxi sociale per pendolari e turisti, una scuola di idee a Nairobi, progetti per sfruttare il vento prodotto dai Tir, e naturalmente , annunci di concerti, giochi. La pubblicazione, va precisato, esce una volta al mese. Ma già nel 1994 uno dei primi a sfruttare l’idea della buona notizia vincente, l’americano Daniel Marpel, con «The Joy Gazette», che, smentendo l’ottimismo del fondatore, ebbe la vita breve. In altre parole, il tentativo di affidare alle buone notizie un ruolo etico, addirittura salvifico per le sorti del mondo, doveva rivelarsi non solo difficile ma

persino controproducente. Con derive sul piano politico, favorendo interventi censori. Il fascismo vietava la pubblicazione di notizie di suicidi. Nell’era staliniana, il tema del divorzio era tabu, per non parlare dell’omosessualità. D’altro canto, e ne siamo sempre più spettatori sconcertati, proprio nelle nostre società liberali, la cattiva notizia ha creato un culto, attraverso un giornalismo sciatto, volgare, che sfrutta gli elementi peggiori dell’epoca. Infine, c’è un altro aspetto dell’informazione che ci concerne, da vicino, quali cittadini di una piccola regione dove, ogni tanto, anche l’attualità dà segni di stanchezza. Mancano gli avvenimenti per riempire i nostri quotidiani televisivi e, allora, si ricorre alla non-notizia: gite campestri con spuntini nostrani, bambini in spiaggia o sulla neve, costretti all’intervista, bancarelle con cianfrusaglie pseudoartigianali, insomma il niente. Tanto da giustificare, nello spettatore, una voglia di notizie, buone o cattive che siano, insomma vere.

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Una madre possessiva Gentile signora Vegetti Finzi, mia nipote Greta, figlia ventunenne di mia sorella, è una ragazza intelligente e matura che, dopo aver conseguito ottimi risultati scolastici, segue attualmente un corso universitario lontano da casa. Lo scorso Natale, Greta ha portato in famiglia il suo nuovo compagno perché i genitori lo conoscessero. Mia sorella, che non ne sapeva nulla, è caduta dalle nuvole. Quando l’ha visto l’ha bocciato subito. Fisicamente sportivo ma bruttino e senza stile. Veste sportivo trasandato sebbene di buona famiglia. Mia sorella sostiene che sua figlia poteva scegliere qualcosa di meglio. E qui inizia il dramma: mia sorella, dopo pianti e strazi perché sente delle brutte sensazioni e sta soffrendo per l’errore che sta commettendo la figlia, l’affronta e le dice che non è d’accordo sulla sua scelta e che intravvede un pessimo futuro. Lei prevede che si separeranno a causa di quest’uomo sbagliato. Quindi mette Greta di fronte alla decisione irrevocabile di non voler incontrare più il ragazzo perché lei sta male ed è stanca di star

male a causa delle scelte altrui. Come salvare il rapporto tra Greta e sua madre?. / Daniela Mi scuso per aver citato solo l’essenziale della lettera per proteggere, come lei chiede, l’anonimato. Ma, per rendere comprensibile la storia, devo ricordare che, nel passato della vostra famiglia, vi è il trauma di una sorella che anni fa, avendo aderito a una minoranza religiosa disapprovata dai genitori, è stata espulsa dalla famiglia. Evidentemente quell’incomprensione non è stata elaborata e ora si ripresenta nella generazione successiva, come un quesito irrisolto. Di fronte al fatto che Greta ha effettuato una scelta che non condivide, sua sorella è tentata di agire ora come un tempo vostra madre: escludendola dalla sua vita. Ma queste reazioni impulsive, irrazionali ed emotive non sono mai una soluzione. E lei fa bene a contrastare un rigetto così arbitrario. E lo stesso dovrebbe fare il padre della ragazza che invece, a quanto

pare, mantiene un atteggiamento di prudente riserbo. Quello che sta accadendo costituisce la punta di un iceberg che emerge dal mare profondo del rapporto madrefiglia, uno dei più ricchi e complessi dell’attuale famiglia. Mi sembra di capire che, mentre il marito era impegnato in una vertiginosa carriera, sua sorella si è dedicata esclusivamente a Greta, al suo accudimento, alla sua educazione. In questi casi una dedizione assoluta rischia di provocare un attaccamento eccessivo, un rapporto adesivo dove le identità si confondono. Con la differenza che, mentre la ragazza è riuscita, facendo tesoro della lontananza, a costruire una certa autonomia, la madre è rimasta in sospeso, incapace di trovare una sua dimensione, uno scopo nella vita che non dipenda dalla figlia. È vero che, mentre Greta va verso un luminoso futuro, la madre sta affrontando le malinconie del climaterio, ma ogni stagione della vita possiede risorse per farcela, per superare gli inevitabili

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Le buone notizie: rimedio illusorio Servono o non servono le giornate speciali, a sostegno di una buona causa, proposte dall’affollato calendario delle celebrazioni mondiali? Un certo scetticismo si giustifica, registrando la crescente indifferenza che spetta, ormai, a questo genere di crociate ufficiali. Per l’opinione pubblica sono troppe e su temi che sembrano lontani e persino astratti. Anche se, a volte, toccano la nostra quotidianità. Come, recentemente, nel caso dell’Impact Journalism Day, dedicato, il 24 giugno scorso, agli effetti negativi di un giornalismo che privilegia le cattive notizie favorendo una visione pessimistica della realtà. Secondo l’ideatore della giornata, Ulrik Haagerup, direttore dell’emittente radiotelevisiva pubblica danese, bisogna uscire da questa nefasta spirale, dove l’attualità si associa al reato, e dare avvio, invece, a un giornalismo, cosiddetto «costruttivo», dove l’eventuale denuncia di un problema comporta la proposta dei rimedi per risolverlo. Insomma, la cattiva notizia non è fine a se stessa, diventa il pretesto

per abbinarla a una buona. A questo punto, per gli addetti ai lavori mediatici, l’impegno supera i limiti di una prestazione professionale per assumere tratti d’ordine morale, paragonabili a quelli di un missionario. Non più cronisti o commentatori di eventi reali, bensì evangelizzatori. Quale, in effetti, è Ulrik Haagerup, classica figura di riformatore utopista,

Rebecca Keegan con il suo «Good News Liverpool».

convinto di battersi per la giusta causa, schierato sul fronte di un’informazione al servizio di un mondo migliore, grazie alla diffusione della «buona novella» che rassicura, conforta, promette. Ora, questo programma, che poteva sembrare ispirato all’ingenuità, una certa eco l’ha avuta. L’invito a celebrare l’Impact Journalism Day era stato raccolto da una cinquantina di testate di rilievo («TagesAnzeiger», «La Tribune de Genève», «La Stampa», «Le Monde», «El Pais», «USA Today», «Haaretz»: per citare quelle a noi più familiari), che si sono mobilitate per dimostrare che il giornalismo può vivere soltanto di buone notizie: almeno per un giorno. Infatti, passato il 24 giugno, la parentesi virtuosa si è chiusa. I media sono tornati a svolgere la loro funzione naturale di specchio dei tempi. Cioè di interpreti, più o meno corretti e attendibili, dell’attualità dove, in ogni ambito, pubblico e privato, avvengono fatti che si traducono in una miscela di notizie buone e cattive. Del resto, l’idea del giornalista olan-


PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Ambiente e Benessere Il sorriso dei cavalli Studi recenti hanno portato alla creazione di una guida delle espressioni facciali degli equini

Turismo in movimento lento Una traversata di 15 giorni a cavallo, dal Ticino al Giura, in pieno rispetto del territorio pagina 11

La Turchia e il vino Il Paese possiede la quinta area di vigneti più estesa al mondo, con i suoi oltre 500mila ettari

Piatto estivo o invernale? Perché ostinarsi a fare questa differenza: Allan Bay propone la ricetta della zuppa di cipolle

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Lago limpido, ma non pulito Inquinamento Il persistere del divieto di

pesca dell’agone segnala che la situazione dei contaminanti nel Verbano, seppur migliorata, non è ancora ottimale

Elia Stampanoni Una grave e diffusa contaminazione avvenuta nel 1995 diede il primo allarme riguardo la qualità delle acque nel lago Verbano. Fu uno stabilimento industriale situato a Pieve Vergonte, lungo il fiume Toce in provincia di Verbania, a causare l’importante inquinamento di bifenili policlorurati (PCB), para-diclorodifeni ltricloroetano (DDT) e metalli pesanti (in particolare mercurio). Proprio a seguito di questo infelice avvenimento il Laboratorio cantonale esegue da quella data un monitoraggio costante (annuale) delle concentrazioni di questi elementi, analizzando gli agoni che vivono nel Verbano. Tali pesci, essendo assai grassi, accumulano meglio le sostanze in questione e sono quindi i migliori indicatori della salute delle acque. Ebbene, i valori in questi dodici anni sono gradualmente calati, ma non a sufficienza per revocare il divieto di pesca professionale di questa specie, che rimane quindi in vigore, così come il commercio e la vendita. Ricordiamo che l’uso di DDT, uno dei primi insetticidi moderni a largo spettro, è stato proibito tra gli anni settanta e ottanta in quasi tutte le nazioni industrializzate. Anche in Italia l’utilizzo fu vietato nel 1969 ma, fino al 1997, venne regolarmente prodotto in diversi stabilimenti chimici, tra cui quello di Pieve Vergonte. Oltre al DDT, anche i PCB riscontrati nel Verbano sono molecole che creano ancora perplessità per la salute umana. Ma cosa sono questi PCB? Le miscele di PCB erano usate in un’ampia gamma di applicazioni, per esempio come fluidi dielettrici per grandi condensatori e grandi trasformatori, fluidi per circuiti idraulici, lubrificanti e oli da taglio. I PCB erano usati anche come additivi in vernici, pesticidi, carte copiative, adesivi, sigillanti, ritardanti di fiamma e fissanti per microscopia. Sono molto stabili, una caratteristica sfruttata dall’industria, ma tuttavia responsabile della loro persistenza nell’ecosistema. Il loro uso è andato decli-

nando dagli anni Settanta, a causa dell’allarme ambientale che ha condotto al bando della loro produzione in numerose nazioni. Seppur la contaminazione da DDT nel Verbano sia da tempo rientrata a livelli tollerabili, la situazione permane critica proprio per i PCB, tuttora situati a livelli superiori rispetto la tolleranza. I metalli pesanti come arsenico, mercurio, cadmio, cromo, piombo, rame, zinco e arsenico, anche se in dosi non pericolose per il consumatore, sono presenti in quantità significative nei pesci analizzati, a conferma di uno stato ecologico piuttosto critico delle acque del Verbano. Per questi motivi il monitoraggio effettuato dal Laboratorio cantonale prosegue, con prelievi di diversi pesci catturati in particolare a Tenero, Magadino, Ascona, Brissago, Vira Gambarogno, Isole di Brissago, Ronco sopra Ascona, Gerra Gambarogno, San Nazzaro e Ranzo. Come detto, il livello di DDT (sempre riferito alla parte edibile ottenuta dopo filettatura del pesce) è calato abbastanza rapidamente: all’inizio misurata a 2000 µg/kg, la concentrazione di questa molecola è scesa a 1000 µg (1998), per poi mantenersi dal 2016 al di sotto del limite di legge in vigore fino al 2010 di 1000 µg (il limite è stato poi rivisto al rialzo portandolo a 4000 µg/kg). Resta però aperto il problema come comunicato dal Laboratorio cantonale: «Dal 2012 gli indicatori di PCB (i-PCB) rilevati negli agoni del Verbano sono sistematicamente inferiori all’attuale limite di legge di 125 µg/kg, ma altri indicatori contribuiscono ancora al superamento del valore di tolleranza fissato per la somma delle sostanze inquinanti», da qui il divieto di consumo per l’agone, che evita così eventuali pericoli sanitari, mentre i risultati riscontrati non hanno alcun influsso sulla balneabilità, anche se un pensiero va all’ecosistema del lago che da questi contaminanti potrebbe essere perturbato. Situazione che ci è confermata da Nicola Solcà, capo dell’Ufficio della ge-

Il Lago Maggiore visto dal Pizzo Leone. (Wiki)

stione dei rischi ambientali e del suolo del Dipartimento del territorio: «Analisi e ricerche vengono eseguite annualmente, oltre che dal Laboratorio cantonale, anche nell’ambito della Cipais, Commissione Internazionale per la Protezione delle acque Italo-Svizzere. I risultati riscontrati su diverse specie di pesce, su zooplancton, su molluschi e su sedimenti mostrano un calo lento ma graduale delle concentrazioni di DDT e PCB». I risultati forniscono un quadro completo della contaminazione nei diversi comparti ambientali, con concentrazioni crescenti lungo la catena alimentare: basse nello zooplancton, più alte nei pesci predatori e adulti. Se da un lato l’evoluzione degli ultimi anni prospetta a medio termine un rientro alla normalità, va sottolineato che in occasione di alluvioni e piene del fiume Toce avvengono ancora oggi

dei nuovi apporti, seppur contenuti, di inquinanti verso il lago Maggiore. «Esatto» commenta Solcà «il problema del DDT e dei PCB è che si accumulano e si degradano molto lentamente. Per questo anche se ormai sono proibiti da anni, si ritrovano ancora nell’ambiente in maniera ubiquitaria. Inoltre la bonifica del sito inquinato non è ancora terminata e quindi succede che vengano ancora rilasciate sostanze inquinanti nel fiume». Nel 1998 la legge italiana inserì, infatti, lo stabilimento di Pieve Vergonte fra le 16 aree ad elevato rischio ambientale, prevedendo lavori di bonifica del sito. Nel 2001 è già stato costruito un depuratore a fianco degli impianti in modo da depurare le acque presenti nella falda sotterranea. Con questo sbarramento idraulico le acque inquinate dalle terre soprastanti dovrebbe-

ro poi defluire pulite nel Toce e quindi nel Lago Maggiore. Ma l’iter procede a rilento e gli interventi sembra possano avviarsi solamente in questo 2017. «Da un paio di settimane a Pieve Vergonte è iniziata l’attività di scavo delle terre inquinate. Sono 680mila i metri cubi che da qui al 2028 verranno estratti e analizzati nell’imponente bonifica da oltre 160 milioni di euro», leggiamo in un articolo pubblicato su «La Stampa Verbano Cusio Ossola» il 1° maggio scorso. Un passo concreto per eliminare forse in modo definitivo questi residui, le cui tracce ritroveremo però ancora per anni nel Toce e nel Lago Maggiore. Informazioni

Laboratorio cantonale, www.ti.ch/ laboratorio


La vincitrice del test povera di grassi.

VINCITORE

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1.95 Balance 250 g

La margarina Balance da della Migros è stata insignita del voto 5,4 (buono), risultando così vincitrice del test sulle margarine povere di grassi. Denota il contenuto di acidi grassi trans più basso in assoluto, mentre la sua percentuale di acidi grassi Omega 3 è alta. Non bisogna poi dimenticare che è anche buonissima!


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Ambiente e Benessere

Chiamiamole emozioni Maria Grazia Buletti Il noto etologo e biologo evoluzionista Marc Bekoff conduce da tempo ricerche scientifiche sull’evoluzione delle menti animali. Studi che già nel secolo scorso lo hanno indotto a concludere che gli animali siano dotati di emozioni. Egli ha di fatto osservato l’evoluzione del senso di giustizia e della moralità in differenti specie animali fra le quali spicca il cane (Il cane etico è un suo articolo divenuto pietra miliare sul tema specifico). Con le dovute differenze, Bekoff ha permesso di traslare i concetti da lui esposti a un’altra specie: quella equina (Il cavallo etico). D’altronde, ad avallare questa linea sta proprio uno studio condotto nel reparto di etologia e benessere animale dell’Istituto di scienze agrarie dell’ETH di Zurigo, dove i ricercatori hanno fatto un’interessante scoperta: «Attraverso il proprio nitrito i cavalli riescono a trasmettere delle informazioni complesse». E non è tutto, perché sempre secondo i risultati ottenuti: «Ciascun nitrito si compone di due frequenze base indipendenti tra di loro: una delle due esterna se si tratta di un’emozione positiva oppure negativa, l’altra indica la forza dell’emozione». Ancora non è stato dimostrato come i cavalli riescano ad emettere questi due suoni a due livelli di frequenze diversi e gli studiosi dell’ETH contano sul fatto che i suoni vengano creati attraverso un modello asincrono delle corde vocali. Dunque: non sorprende che i cavalli, animali sociali, provino delle emozioni. Sorprendente è però il fatto che essi riescano a leggere le espressioni dell’essere umano. Un gruppo di psicologi dell’Università del Sussex ha difatti dimostrato che il cavallo è in grado di riconoscere i differenti approcci dell’uomo nei suoi confronti: «Se lo guardi male, un cavallo ricambia guardandoti storto, con un lato solo del muso. E il suo battito cardiaco accelera a causa del timore che prova». Oltre a comprovare il feed back di emozioni del cavallo nei confronti dell’essere umano, i ricercatori dell’U-

niversità del Sussex hanno compilato un dizionario – guida delle espressioni facciali degli equini: «Per meglio suggerire agli umani cosa passa loro per la testa». Altri psicologi inglesi hanno sottoposto a 28 cavalli le immagini di uomini che non avevano mai visto prima, fotografie con espressioni felici o infuriate. Gli animali hanno dimostrato di saper leggere le emozioni partendo dal viso: «I cavalli hanno guardato con l’occhio sinistro le foto di persone arrabbiate, comportamento associato alla percezione di uno stimolo negativo». E questo combacia perfettamente con i risultati degli studiosi dell’Università del Sussex. Inoltre: «La frequenza cardiaca dei cavalli in rapporto alle fotografie delle persone arrabbiate è aumentata, dimostrando di essere sotto pressione». Sempre secondo lo studio (poi pubblicato su «Biology Letters»), questa risposta indica che gli equini capiscono se stanno guardando volti arrabbiati. Inoltre, l’effetto delle espressioni facciali sul battito cardiaco non era mai stato osservato prima nelle interazioni fra animali ed esseri umani. La coautrice dello studio Amy Smith (dell’Università del Sussex) ha affermato: «Ciò che risulta essere molto interessante è che riusciamo a dimostrare come i cavalli siano in grado di leggere le emozioni al di là delle barriere fra specie». La ricercatrice ha spiegato che: «Da parecchio tempo è noto che questi animali sono particolarmente sofisticati a livello sociale, ma questa è la prima volta che vediamo come sono in grado di distinguere fra espressioni facciali positive o negative». Dai risultati appare dunque particolarmente evidente la reazione alle espressioni corrucciate o arrabbiate. Dicevamo che lo studio ha in prevalenza evidenziato come l’aumento della frequenza cardiaca sia accompagnato al movimento della testa per vedere l’immagine con l’occhio sinistro. Anche questo si spiega molto bene: «Molte specie guardano gli eventi negativi con questa parte del corpo, in quanto è compito dell’emisfero destro (a cui lo stimolo viene inviato) di

Pexels

Mondoanimale Dalla scienza sempre più conferme sull’evoluzione del senso di moralità e giustizia degli animali

processare stimoli minacciosi». E questa tendenza è stata documentata anche nella specie canina. Nei cavalli, la risposta più marcata è arrivata nei confronti delle espressioni negative e l’ipotesi degli psicologi britannici è che ciò sia di particolare importanza per riconoscere le possibili minacce dell’ambiente: «In questo contesto, individuare facce arrabbiate potrebbe essere un ottimo sistema di allarme, permettendo ai cavalli di anticipare un comportamento negativo da parte dell’uomo, come ad esempio un trattamento rude».

Dal canto suo, Karen McComb, pure coautrice dello studio, ha osservato che «i cavalli possono aver adattato la loro capacità ancestrale per la lettura di segnali emotivi in altri cavalli, in modo da rispondere adeguatamente alle espressioni facciali umane. Cosa possibile anche attraverso i singoli cavalli che hanno imparato a interpretare queste espressioni durante il loro ciclo di vita». A questo punto, possiamo affermare che è provato come le emozioni possano passare attraverso le barriere della specie, malgrado le differenze morfologiche

del viso degli esseri umani in rapporto al muso del cavallo. «È probabile che la consapevolezza emotiva sia molto importante nelle specie altamente sociali come i cavalli, e la nostra ricerca ora è focalizzata ad esaminare la relazione tra una serie di competenze emotive e il comportamento sociale», possiamo così riassumere le conclusioni a cui sono giunti i ricercatori ai quali auguriamo di provare altrettante emozioni nell’interagire con questi magnifici animali, proverbialmente noti per la loro intelligenza più emotiva che razionale.

Dal Ticino al Giura a cavallo

Turismo sostenibile Una lunga passeggiata che desidera promuovere una mobilità lenta e in armonia con l’ambiente

Andare da Bogno a Saignelégier a cavallo lungo i sentieri della Svizzera. Un viaggio come si faceva in passato attraversando boschi e montagne per godere la natura. Una lunga passeggiata che vuole rinsaldare il legame tra il territorio e i cittadini e promuovere una mobilità lenta e in armonia con l’ambiente, con il fine di delineare un nuovo tipo di sviluppo turistico. È l’idea nata in seno all’Associazione Tarpan, che ha sede proprio nel Comune della Val Colla, e che da anni si occupa di creare esperienze per riflettere su vari aspetti della vita attraverso il rapporto con il cavallo. «In Ticino non abbiamo una grande cultura equestre. L’equitazione sembra essere legata per lo più a concorsi di salto» dice Bruno Brughera, segretario dell’Associazione Tarpan «ma in Svizzera sono circa 150mila i cavalli registrati, dei quali solo il sette per cento partecipa a concorsi. Questo significa che la maggior parte degli amanti dell’equitazione desidera passare il proprio tempo libero occupandosi del rapporto con l’animale o facendo delle passeggiate nel verde. Il cavallo offre la possibilità di interagire a più livelli ed è utile nello sviluppo di attività sociali a sfondo educativo e terapeutico. Sono molte le piccole realtà equestri presenti in Ticino. Scuderie che hanno due o tre cavalli, ma che rappresentano un

grande potenziale per lo sviluppo di una nuova filosofia di turismo. Un approccio diverso, che metta il territorio e il rispetto del cavallo al primo posto e che aiuti a promuovere il concetto di salvaguardia ambientale come bene comune». Su queste basi, l’associazione Tarpan, animata anche dal legame di amicizia nei confronti del Giura, ha scelto di organizzare la traversata della Svizzera a cavallo raggiungendo il Marché-Concours di Saignelégier: quindici giorni, con tappe che non affaticheranno particolarmente i cavalli. La partenza da Bogno è prevista per sabato 22 luglio mentre l’arrivo a Saignelégier, per mercoledì 9 agosto. Tra gli scopi dell’iniziativa anche

quello di monitorare l’accessibilità dei sentieri «e dei percorsi per la mobilità lenta. Inoltre si cercherà di incentivare le fattorie, le scuderie e gli enti preposti ad aprirsi e organizzarsi per sostenere lo sviluppo del turismo equestre in Ticino. Investire su un turismo lento, che incoraggi i cavalieri, potrebbe offrire nuove opportunità di sviluppo economico e sarebbe utile al sostegno di un escursionismo ecologico e attento alla salvaguardia ambientale. Tutta la mobilità slow favorisce il contatto tra uomo e natura e, inserire in questo rapporto un elemento di mediazione come il cavallo, stimola questo concetto e incrementa l’offerta già

Urbanwoodswalker

Roberta Nicolò

presente sul nostro territorio. Per poter incoraggiare gli investimenti in questo senso occorre, però, avere una mappatura chiara della situazione dei sentieri della nostra regione. Facendo dei sopralluoghi ci siamo resi conto che in Ticino molti sentieri non sono di facile accesso per i cavalieri. Per esempio, dal Motto della Croce a Gola di Lago puoi passare solo a piedi. È un tratto che un cavallo, se non è molto esperto, non può percorrere. Al Piottino invece ci siamo trovati davanti un sentiero franato. In altre zone del Ticino sei confrontato con dislivelli troppo ripidi. La nostra lunga passeggiata dovrà quindi percorrere dei tratti sul fondovalle, ma ci permetterà di costruire una carta chiara delle potenzialità presenti sul territorio e della mole di investimenti necessari al nostro Cantone per dotarsi di tutte le vie necessarie». L’Associazione Tarpan non è solo attenta al territorio, ma sostiene da sempre una visione di armonia con l’animale che sia rispettosa della sua natura, incentivando la ricerca di un rapporto sano. Una filosofia che non vuole soltanto ricordare la possibilità di una vacanza immersi nella natura, ma che desidera anche mettere in luce la rilevanza della scelta del cavallo adatto a questo tipo di attività all’aria aperta. «È importante notare un altro aspetto legato a questa iniziativa, ovvero l’importanza della relazione tra

territorio e specie animale. Alle nostre latitudini e con il clima che troviamo in Svizzera, la razza di cavalli più idonea è proprio quella allevata nel distretto Franches-Montagnes, di cui Saignelégier è capoluogo. Ecco perché la nostra meta è la cittadina nel cuore del Giura. Negli ultimi anni gli allevatori del Freiberger, la razza di cavalli originaria di quella regione, hanno avuto difficoltà a mantenere e promuovere questa specie. Il Freiberger è un cavallo rustico, energico e docile ed è particolarmente adatto al territorio montano. È, infatti, già utilizzato per il turismo equestre proprio per le sue doti. Il nostro viaggio sarà fatto con tre cavalli autoctoni di questa razza, perché riteniamo fondamentale ricordare che ogni animale deve essere rispettato per la sua peculiarità. Rendere lo stile di vita del cavallo domestico il più possibile simile a quello che l’animale condurrebbe in natura è importante. Il valore aggiunto del nostro approccio, rispetto alle prassi convenzionali, è dato dalla consapevolezza che il benessere del cavallo è l’aspetto principale per qualsiasi attività che si vuole intraprendere. Dotarsi in primo luogo di cavalli idonei alle lunghe passeggiate tra i boschi è quindi una buona prassi per chi desidera praticare questa attività nel modo corretto» chiarisce Brughera.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Ambiente e Benessere

I vini della Turchia

Bacco giramondo Nonostante le immense aree coltivate a vigna, solo il cinque per cento dell’uva viene vinificato

Davide Comoli Il territorio della Turchia rientra nelle aree di clima temperato e caldo, con però notevoli differenze tra le zone costiere e quelle interne. La coltura della vite è disseminata a macchia di leopardo un po’ in tutto il Paese, ad eccezione di quelle zone dell’altopiano orlate di catene montuose, dove si riscontra il tipico clima delle zone fredde. Questo Paese possiede la quinta area di vigneti più estesa al mondo, con i suoi oltre 500mila ettari, ma dato che la popolazione è in prevalenza mussulmana, la maggior parte delle viti produce uva da tavola o uva sultanina e solo il 5% viene vinificato, mentre, più precisamente il 3% viene utilizzato per produrre il pekmez (uno sciroppo d’uva), il 20% viene destinato a produrre uva passa (secondo posto al mondo dopo la California) e il 72% è venduto come uva da tavola (primo rango mondiale). I vini prodotti in Turchia sono di solito pesanti e poco freschi d’acidità, contengono molto zolfo e sono a volte ossidati. L’attuale territorio della Turchia fu teatro dell a promettente civiltà neolitica. Oggi possiamo con certezza affermare che certe regioni sono strettamente legate alla cultura della vite della specie vitis vinifera. Alcune vestigia dell’epoca degli Ittiti attestano che la vigna veniva già coltivata all’incirca dal IV sec. a.C. Ritrovamenti avvenuti a Catal-Höyuk VII sec. a.C., lasciano supporre che gli uomini a quell’epoca già producessero del vino. La viticoltura moderna in Turchia

comincia nel 1925 sotto il governo di Kemal Atatürk (il padre della moderna Turchia). Nel corso dello stesso anno fu creata la prima cantina di vinificazione equipaggiata con quelli che allora erano i macchinari più moderni e nel 1928 furono resi noti i primi dati statistici sulla produzione: 2’682’090 litri. Oggi la produzione di vino è attestata attorno ai 75 milioni di litri e si contano circa 80 produttori. Secondo l’enologo Altay Yavuzeser oggi in Turchia esistono tra i 500 e i 1000 vitigni autoctoni, ma solo una trentina sono descritti dettagliatamente, mentre una sessantina sono coltivati unicamente come uva da tavola o passa. I vitigni internazionali sono soprattutto coltivati in Tracia e a Marmara: i vini prodotti in queste zone erano già lodati da Omero nelle sue Iliade e Odissea e i romani non disdegnano di far ricorso a questi vini che erano in grado di rivaleggiare con quelli greci. In queste zone che assicurano il 40% della produzione, sono coltivati soprattutto i vitigni rossi Cinsault, il Gamay e una varietà autoctona chiamata Papazkarasi; per i bianchi il Semillon. Nella regione Egea, sul litorale vicino al mare si coltiva soprattutto uva da tavola o passa. Si coltivano vitigni bianchi, tra i quali spiccano il Colombard e il Semillon nei dintorni di Izmir, ma anche gli autoctoni Bornova Misketi e uno dei tanti cloni di Moscato e la Sultanina; tra i rossi il Calkarasi, il Merlot e l’Alicante Bouschet. La viticoltura gioca solo un ruolo secondario lungo le coste del mediter-

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Mehmet Ozbek, produttore di uva, raccoglie un grappolo di Kalecik Karasi, un’uva nera coltivata in Anatolia centrale, nel villaggio di Uyurca, a 100 chilometri a nord di Ankara, in Turchia. (Keystone)

raneo, dove si coltivano il Dökülgen tra i bianchi, il Sergi Karasi e il Burdur Dimrit tra i rossi; qui le uve maturano molto precocemente e già alla metà di giugno rappresentano una grossa fetta del mercato di uva da tavola. Per ragioni climatiche, intorno al Mar Nero la viticoltura è limitata. Nei dintorni di Toka, Çorum e Amasya vengono coltivati il Boğazkere e il Öküzgözü che sono la base per dei discreti vini bianchi. Nell’Anatolia centrale si coltivano in maggioranza

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vitigni autoctoni. Nella regione di Ankara troviamo il bianco Hasandede e nei pressi della regione di Nevşehir, Niğde e Kayseri si coltiva il bianco Emir e il rosso Dimrit in prossimità dell’impressionante paesaggio della Cappadocia. Nell’Anatolia orientale la produzione del vino è molto scarsa, a causa del freddo che colpisce questa zona montagnosa, ma i suoi confini orientali sono i luoghi di nascita di due grandi ceppi autoctoni il Boğazkere e

il Öküzgözü. L’Anatolia meridionale, occupa il primo posto in Turchia come superficie vitata e in volume d’uva, ma è soltanto al quarto posto come produzione di vino. Tra le uve rosse troviamo i vitigni citati precedentemente, mentre tra i bianchi troviamo il Rumi, il Kabarçik e il Dökülgen. Generalmente i vini turchi non sono vini di lunga conservazione (i rossi sono senz’altro migliori dei bianchi) ciò nonostante alcuni vini prodotti con le migliori uve della Tracia, Anatolia ed Egeo presentano un certo potenziale. Tali vini un po’ più complessi portano una dicitura supplementare: Özel (speciale). Ne abbiamo provati alcuni con grande soddisfazione. Ma la principale bevanda alcolica in Turchia è il Raki. Il Raki è un’acquavite prodotta con due distillazioni, la prima a base di uva secca fermentata; e si aggiunge dell’anice durante la seconda distillazione. Anche se il vino incomincia a essere consumato sempre di più tra la popolazione, è innegabile che il Raki addizionato con acqua, è considerato dalla popolazione turca come la bevanda indispensabile per accompagnare i ricchi antipasti (Mezeler) locali. Molti produttori stanno investendo molto nella scelta dei vitigni (in funzione del clima e del suolo), ma non privilegiano soltanto i vitigni internazionali (Chardonnay, Cabernet, Merlot). Essi considerano pericoloso il perdere la loro identità, e puntano molto sui vitigni locali da assemblare eventualmente ai vitigni più conosciuti per facilitare l’accesso ai consumatori stranieri al profilo del vino turco. Annuncio pubblicitario


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Ambiente e Benessere

La soupe à l’oignon? Una zuppa per tutto l’anno Gastronomia Da portata invernale, grande gloria e piatto nazionale francese

Una delle cose che mi piace sfatare della cucina è il luogo comune secondo cui esisterebbero piatti estivi e invernali, differenti. Di certo una volta valeva per gli ingredienti, ma davvero «una volta», ché oggi grazie alle serre e alle importazioni via aerea dal sud del mondo abbiamo a disposizione gli stessi ingredienti tutto l’anno. È pure presumibile che ai tempi, nelle case, d’inverno, facesse più freddo e d’estate si soffrisse comunque il caldo; oggi grazie a riscaldamento e condizionatori possiamo avere la stessa temperatura in casa tutto l’anno, se vogliamo. E in ogni caso d’inverno mangiamo i piatti più caldi, ma mai bollenti – ché il troppo caldo ammazza i sapori – mentre d’estate li lasciamo intiepidire un po’, anche se non troppo. Quindi io ho deciso da parecchio tempo di mangiare quello che mi piace in qualsiasi giorno dell’anno. Per esempio il mio modo di festeggiare Ferragosto è quello di mangiare cotechino, leggermente intiepidito e nappato con chutney; per dessert: panettone. Coerentemente con questo mio approccio, oggi vi parlo di un piatto che sembra il più invernale possibile: la zuppa di cipolle – anzi la soupe à l’oignon, grande gloria e piatto nazionale francese. Premessa: ma perché le cipolle sono così onnipresenti nelle cucine di tutto il mondo? L’hanno scoperto nel 1998 due bravi ricercatori, J. Billing e P. W. Sherman, che pubblicarono una ricerca dal titolo Antimicrobial functions of spices: why some like it hot. In questa ricerca hanno analizzato 4758 ricette di 36 paesi di tutto il mondo e hanno notato come la cipolla compare nel 65% delle ricette, il pepe nel 63%, l’aglio nel 35%, il peperoncino nel 24% e via a scendere. Hanno poi fatto uno studio sugli effetti antisettici e antibio-

tici dei 30 principali aromi comparati ai 30 principali batteri che contaminano, o possono contaminare, le preparazioni in tutto il mondo e hanno scoperto che cipolla e aglio, uccidono il… 100% delle specie di batteri esaminati! Il pepe, presunto super battericida, è da 2 a 4 volte meno efficace. Altrettanto spietati sono solo due altri ingredienti: il pepe di Giamaica e, curiosamente, l’origano. Evidentemente i nostri avi l’avevano intuito e fa piacere che ricercatori di oggi lo confermino. Questo è il motivo storico, unito al basso prezzo, che spiega il loro straordinario successo. E dato che come si sa la cultura viene dopo l’economia, ovvero che una cosa giusta diventa anche buona, la cipolla è da sempre vissuta come buona, ma è l’onnipresenza legata alla sua capacità di sanificare che l’ha resa tale, non viceversa. Ma veniamo alla ricetta. Per 4 persone, sbucciate 800 g di cipolle bianche e affettatele finemente. Tagliate a fette sottili anche 200 g di gruyére. Fate un mazzetto guarnito con 2 rametti di timo, 2 foglie di alloro e una manciatina di gambi di prezzemolo. Mettete le cipolle in una casseruola e fatele appassire a fuoco basso con una noce di burro, mescolando e sfumandole con un bicchiere di vino bianco secco. Unite un bicchiere di brodo di verdure o di pollo bollente e il mazzetto guarnito, quindi continuate la cottura per un’ora, unendo altro brodo quando necessario. Regolate di sale e di pepe. Nel frattempo affettate una baguette e fate tostare le fette in forno a 150° per 15’. Eliminate il mazzetto e versate 2 terzi della zuppa in 4 ciotole da forno. Appoggiate sopra le fette di pane, copritele con il formaggio e con il resto della zuppa. Fate gratinare per qualche minuto le ciotole in forno a 180°. Servitele non subito ma in modo che sia ancora intiepidite. Sono davvero tanto buone!

CSF (come si fa)

J.P. Lon

Allan Bay

Ludovic Péron

a preparazione estiva per le nostre tavole

Qui accanto vi ho parlato del mio piatto di Ferragosto, il cotechino con il chutney. Vediamo come si fa. Per il cotechino a vapore, è facile: sciacquatelo, punzecchiatelo con uno spillone o simile e cuocetelo per il tempo indicato sulla confezione, a vapore. Ovviamente questo vale per il cotechino da cuocere, quello precotto, più che buono anche lui, sia chiaro, è una preparazione che regge benissimo la

doppia cottura, si cuoce in acqua sobbollente nella busta sempre per il tempo indicato. Quanto al chutney, vi diedi la ricetta generica addirittura nel 2004, nel sesto articolo che scrissi per Azione. Per il cotechino, ottimale è il chutney di albicocche e zenzero. Fatelo così. Sciacquate le albicocche, se volete pelatele ma non è necessario, dipende dai gusti; privatele del nocciolo e pesatene 400 g circa. Sbucciate 1 mela piccola e pesatene 100 g di polpa: l’aggiunta della mela, dal sapore neutro, serve perché è ricca di pectina, un addensante naturale. Se il peso totale dei due frutti è maggiore o minore di 500 g non preoccupatevi. Tagliate in piccola dadolata la polpa di albicocche e mele. Mettete la dadolata a freddo in una casseruola antiaderente insieme a

un quarto del peso globale di zucchero di canna, meglio quello bianco (non facile da trovare), altrimenti scuro, o quello bianco di barbabietola, sempre un quarto del peso globale di aceto (meglio di cocco o di riso, altrimenti di mele), 25 g di zenzero fresco pelato e grattugiato, un pizzicone di sale grosso e 50 cl di vino bianco dealcolato. Portate al bollore a fuoco dolcissimo e fate cuocere, mescolando spesso, fino a ottenere un composto piuttosto denso, una specie di marmellata che sarà marrone più o meno scuro (dipende dallo zucchero). Ci vorrà circa 1 ora. Lasciate intiepidire e passate in barattoli a chiusura ermetica che conserverete in frigorifero o in luogo fresco. Consumatelo dopo un riposo di almeno 2 settimane. In frigorifero dura mesi.

Ballando coi gusti Oggi due semplici e gustose zuppette estive a base di frutti di mare. Gustatele tiepidine.

Zuppa di cozze, seppie, polpo e gamberi

Zuppetta di piselli con vongole

Ingredienti per 4 persone: 1 kg di polpo e seppie · 500 g di cozze · 16 gamberi · 40 g

Ingredienti per 4 persone: 1 kg di vongole già spurgate · 400 g di piselli · vino

di pinoli · concentrato di pomodoro · pane casareccio · vino bianco secco · rosmarino · peperoncino · olio di oliva · sale.

Mondate il polpo e le seppie, spezzettateli e sciacquateli. Private del bisso le cozze. Sgusciate i gamberi e privateli del budellino nero. Scaldate in una casseruola 1 giro di olio, fate insaporire polpo e seppie, sfumate con 1 bicchiere di vino. Cuocete per 20’ o fino a quando saranno teneri. Bagnate con un mestolo di acqua calda nella quale avrete stemperato una punta di concentrato di pomodoro, unite poco rosmarino, pinoli, cozze e gamberi e cuocete coperto fino a quando le cozze si saranno aperte, pochi minuti. Regolate di sale e di peperoncino. Servite con crostoni di pane tostato.

bianco secco, pangrattato · prezzemolo · brodo vegetale · olio di oliva · sale e pepe.

Mettete le vongole sul fuoco vivace in una casseruola coperta, con 2 bicchieri di vino. Appena si aprono scolatele e conservate il liquido di cottura. Mettete i molluschi, con o senza gusci a piacer vostro, in un tegame con un filo di olio, 4 cucchiai di pangrattato e prezzemolo tritato. Fate insaporire per pochi minuti. Cuocete i piselli nel fondo di cottura, poi frullateli e diluiteli con poca acqua bollente se necessario. Regolate di sale e di pepe. Servite la crema in piatti individuali, nappando con le vongole e arricchendo con olio.


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La fortuna dell’ibrido

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Motori Una tecnologia che vanta diversi tipi di propulsioni combinate

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Hybrid ovvero ibrido. Quando Toyota nel 2000 si approcciò a lanciare sul mercato mondiale la sua Prius, già presente in Giappone dal 1997, cercò a lungo un’alternativa alla parola ibrido. Perché? Il motivo è che in alcuni Paesi il termine «ibrido» aveva una sfumatura negativa. Veniva usato per indicare un qualcosa che era metà-metà o meglio che non è né l’una, né l’altra cosa.

Cruciverba Ecco un consiglio utile per le future mamme: per stimolare la produzione di latte bevete… Trova il resto della frase leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate. (Frase: 6, 2, 6, 1, 9)

5 3 4 3 4 1 Il motore della Nissan Skyline 350GT Hybrid powertrain. (TTTNIS)

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in 2 movimento anche attraverso colon4 nine di ricarica dedicate, oppure prese di 6 corrente posizionate nel box sotto 7 casa. E per quanto riguarda i costi di gestione? Gli esperti del settore sostengono che un’auto ibrida può essere più economica4di un corrispondente 6 veicolo convenzionale. La frenata rigenerativa, ovvero quella che permette 6 delle1batterie durante i ralla ricarica lentamenti, dovrebbe poi allungare la 5 così 7 come di dischi vita di pneumatici, e pastiglie freni. Per quanto riguarda la manutenzione di un’auto ibrida è fon9 damentale considerare che il motore elettrico e tutta l’elettronica di gestione non richiedono interventi di alcun tipo da parte del proprietario. Insomma la 4 7 ordinaria 1 su un’ibrimanutenzione da va eseguita quasi esclusivamente sul propulsore termico tradizionale. Quest’ultimo peraltro, lavorando in sinergia con la controparte elettrica, è sottoposto a un impiego meno intenso rispetto a1un motore 8 che deve 6 lavorare da solo. Il minore stress subito ne allunga sensibilmente la durata e ne mantiene inalterate le prestazioni. Un successo? Senz’altro. Basti pensare alla svolta storica annunciata 3 a inizio luglio da Volvo: dal 2019 solo auto a batteria. Il costruttore automobilistico 1 ha7annunciato che ogni nuovo modello della Casa svedese che debutterà a par1 dal 2019 3 sarà dotato anche di motire tore elettrico. Volvo Cars ha affermato di voler avere un totale di un milione di auto elettrificate vendute a clienti sulle strade di tutto il mondo per il 2025 1 7 comprendendo vetture solo elettriche, ibridi plug-in e auto con soluzioni mild9 hybrid. 6

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N. 23 DIFFICILE Giochi per “Azione” - Luglio 2017 tecnologia non sono però solo benzinaUn complesso sistema ripartisce2 Stefania Sargentini elettrico ma anche diesel-elettrico. Il in modo fluido i flussi di potenza ver7 6 motore tradizionale provvede durante so le ruote. Se la prima è stata proprio (N. 25 - ... nuovo gas che chiamarono Montgol er) il funzionamento a ricaricare le batterie Toyota con Prius sulla strada dell’ibri1 2 3 4 6 7 8 9 poi utilizzate dal 5 propulsore elettrico do sono poi arrivati anche Audi,9Bmw, N U C O R V O G A che entra11 in funzione per offrire una po- Cadillac, Ford, Peugeot, Porsche, Ran10 12 13 E Rover, S C Volkswagen F I A eCtanti C altri. H EAlle tenza ulteriore in determinate situazioni ge 14 15 5poi 2R 8 S CHybrid H I siAaggiungono V E I le «ibridi guida e che in alcuni casi consente di Full 16 17 18 19 viaggiare in modalità esclusivamente de è che S plug-in». I O La N loro E caratteristica M A R E 21 elettrica20ovvero a emissioni zero. possono leGbatterie oltre O A ricaricare R T N O M O che

cui il motore elettrico è in grado di far muovere il mezzo a prescindere dall’autonomia delle batterie. In pratica ci si può spostare con una sola delle due motorizzazioni, termica o elettrica, oppure utilizzando entrambe. Questa soluzione non pone problemi di autonomia dato che per viaggiare basta fare il pieno di carburante in qualsiasi distributore. Le auto con questa

Giochi per “Azione” - Luglio BIS 201 T O 6 3 Sargentini 2 O L Stefania Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 23

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S I 1 con il sudoku4 8 A e una delle 2 carte regalo da 50 Ifranchi SUDOKU PER AZIONE - LUGLIO 2017 (N. 29 - ... Tisana di galega e nocchio) N. 21 FACILE 3 8 9 (N. 26 - ... sono più alti di circa sei centimetri) Schema Soluzione 1 2 3 4 5 6 7 8 Sudoku ` S O4 N N 8O P 6I U` N.24 M1 A GENI 3 8 7 N 2 6 S T I A S A 4P 9 O 1

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LSoluzione: T E L I 5 2 i 3L I R AScoprire C 8 9 Nnumeri A Scorretti V O 6 da inserire nelle G R E T A caselle 2 3 colorate. S 6N 8 9 5 T 2I 2 5R N 3 2A O

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(N.2127 - ... un pezzetto di gesso)

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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ORIZZONTALI 1. Gabbia per polli 4. Servono per la pulizia 9. Il cortile della fattoria 10. Nome maschile 11. Sono in mezzo alla strada 12. Flemmatico 13. Le iniziali del giornalista Lerner 14. Le nozze dei venticinque anni 16. Lo paga il reo 17. Terreno dissodato 18. Ultimo cerchio dell’Inferno dantesco 20. Una battuta vincente... 22. Fiume della Francia 24. Due vocali 25. Dottrina che nega l’esistenza di Dio

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Giochi

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N. 22 MEDIO

La tecnologia più diffusa tra le automobili in circolazione è quella Full Hybrid, altrettanto nota anche la plug-in Cercando su Wikipedia si trova anche un significato ancora più sgradevole: «In senso colloquiale per ibrido si intende un organismo reale o di fantasia spesso con caratteristiche mostruose…». Tuttavia e nonostante l’impegno, dopo lungo cercare, l’alternativa non fu comunque trovata e la Toyota Prius Hybrid venne chiamata semplicemente ibrida: nome che a conti fatti le portò fortuna se consideriamo che è ad oggi la vettura ibrida più venduta al mondo. Entrando in tema di automobili, quando si parla di veicoli ibridi s’intende indicare quelli dotati di due propulsori. Nel caso di Prius, uno elettrico e un motore a scoppio alimentato a benzina. Ci sono però diversi tipi di propulsione ibrida. La tecnologia più diffusa tra le automobili in circolazione è quella Full Hybrid. Ovvero quella in

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Mario Alberto Cucchi

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A I A D A 6 R A L E N 1 M 5 A R GA E N T 9 T O 5 1A6 R 7 A N. 22 MEDIO E SC U V I A N OC 2 4 6 A G I P E R 5 6 1 I 5 Z 7R 5 A ZL O NO A O 3 I L A R E I 4 9 A UT P E L E TI8 T S R O M A 9 3 C D I O R E G S UN M IO D4 E 7 A 1L L2 A O S R 4 6

I1 7 5 2 4 1 6 8 3 9 2 9 5 3 4 G 7 2 R6 41I 8 O 1 6 4 3 9 5 7 2 8 1 T2 O 3 7 1 6 G 8 9 L 4 5 8 9 57 7 2 4 3 1 36 O4 2 6 5F 3 9I 1 O 8 7 7 3 9 7 3 2 8 1 5 6 84 N1 O 5 8 6 4 N 7 2 O 9 3 4H2 7 1 3 9 4 75 8 6 O84 296 53 78 362 15 47 29 31 O36 551 74 19 85 23 62 74 98 D97 924 864 45 73 68 819 13 725 5

P O T E R E A R S I 1 8 1 8 2 6 4 9 3 5 7 A N O M A L O T A 27. Stanno in coda 19. Una cricca di amici Soluzione della settimanaEprecedente 28. Il piccolo Fauntleroy 21. Un famoso Robin TRA CONIUGI 5 9 1– «Cara 8 è da 6 un po’ di tempo che mi 5 frulla 3 9un’idea 2 1in testa!» 7 8 6 4 VERTICALI 23. Prefisso che vuol dire orecchio Risposta della moglie: «NON PREOCCUPARTI, MORIRÀ DI SOLITUDINE». (N. 28 - “Non preoccuparti, morirà di solitudine”) N. 23 DIFFICILE 1. Nome femminile 24.2 Pari3 nel4 palmare 5 6 7 1 8 N O N N O P R3 E G O 9 1 5 2 4 6 7 3 8 2. Copricapo papale 1 2 926.3Suona se manca 4 una... 5 611 12 10 3. Come finisce comincia... O R 2C 7 O C U O R1 P A 3 8 2 7 5 9 6 4 1 13 14 15 16 4. Degno di venerazione T 7O 6 1V 3 E T R I A P E 4 7 6 1 3 8 2 9 5 7 8 5. Parte del corpo umano 17 18 T E T R I A M U R O 6 9 1 5 7 2 3 8 4 9 6. Nome di molti Papi 19 20 21 C O L T M O R I R E Vincitori del concorso Cruciverba 7. Seguono uno in cento 5 2 8 4 9 3 1 6 7 5 2´ 8 1 7 9 10 22 23 24 M A D E V A G L I O su ´«Azione 27», del 3.7.2017 8. Una casa freddissima 25 27 7 3 4 8 6 1 5 2 9 6 9 10. Duole dove batte la lingua S. Fracasso, M.26Moroni, G. Formenti28 A N N I S P A G O L 29 30 31 8 6 3 9 1 7 4 5 2 6 3 2 11 Vincitori del concorso Sudoku 12. Fibra tessile sintetica T A U R O D I G A I 32 su «Azione 33 34 35 13. In molti cocktail 27», del 3.7.2017 1 5 9 6 2 4 8 7 3 1A P 4 S8 M A R N I E T 15. Una sezione delle Alpi A.36Frigerio, S. Gervasoni 37 12 13 14 15 16 2 4 7 3 8 5 9 1 6 8 E 9 T A S S E A N 3I C 16. Il cognome di un attore al 10 orizzontale N.24 GENI I17premi, cinque carte regalo18Migros Partecipazione online: inserire la luzione, corredata cognome, è possibile 4 da nome, 2 7 8 un3 pagamento 9 4 1 in2contanti 5 6 del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti 6 1 9 6 2 8 3 5 7 4 teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori1 sarà 19 20 21 5Concorsi, 1 7 6901 Lugano». 3 5 1su «Azione». 4 2 6 Partecipazione 7 8 9 3 fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. C.P. 6315, pubblicato entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o Non9 si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente 7 3 8 1 9 5 6 7 3a lettori 4 2 che 8 zione del gioco.22 la cartolina postale che riporti la soconcorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera. 23 6 4 7 5 8 2 9 3 1 35

36

(N. 30 - Se toccata, le sue foglie si ritraggono) I vincitori

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Politica e Economia Il mondo che verrà: 3. parte Può la presidenza Trump segnare la fine del legame atlantico che ha scritto la storia delle relazioni fra Usa e Europa?

Califfato asiatico Nelle Filippine i vari gruppi di ribelli islamici del sud continuano a dare battaglia per la conquista non solo di Marawi ma di tutta l’isola. L’Indonesia e gli altri vicini sono allarmatissimi. Siamo a un passo dalla costituzione di un Califfato asiatico

Conti che costano Il risparmio è sempre meno remunerato dagli interessi e le spese crescono regolarmente pagina 24

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Il Papa in preghiera nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. (AFP)

La palude vaticana

L’estate del Papa Le ultime importanti nomine di Francesco prima delle «vacanze» estive, in un momento difficile

del suo Pontificato. Niente rivoluzioni ma continuità, per riguadagnare il sostegno soprattutto del clero in Italia

Giorgio Bernardelli Alla residenza estiva di Castelgandolfo in vacanza non c’è mai andato, men che meno sulle montagne che Wojtyla tanto amava. Stavolta, però, nell’agenda di luglio e agosto del Papa non compaiono neppure viaggi internazionali. Trascorrerà dunque a Roma tutta l’estate, Francesco, e in un momento quanto mai delicato per il suo Pontificato. Le ultime settimane hanno riportato, infatti, alla ribalta le difficoltà di governo per il Papa argentino, che sembra proprio non riuscire a trovare il bandolo della Curia Romana, la cui riforma pure era stata presentata come una delle sue priorità all’indomani dell’elezione. Due sono stati i principali fronti sui quali Francesco si è trovato a fare i conti con situazioni di crisi: innanzi tutto la Segreteria per l’economia, la scommessa più importante compiuta fin qui da Bergoglio nella gestione del Vaticano. Doveva rappresentare il nuovo corso all’insegna della professionalità e della trasparenza in un ambito finito troppe volte con lo Ior in pericolose zone grigie, incompatibili con la visione dell’economia e della finanza di papa Francesco. Ben conoscendo le insidie dell’ambiente romano, Bergoglio per fare piazza puli-

ta aveva scelto un altro uomo come lui proveniente «dalla fine del mondo», il cardinale australiano George Pell. Lo considerava un duro, capace di mettere ordine in una situazione complicata. Ma non aveva fatto i conti con l’ampiezza dello scandalo pedofilia in una realtà come quella della Chiesa australiana. E ora Pell – dopo essere già stato chiamato in causa per il modo in cui da vescovo aveva affrontato i casi di sacerdoti implicati in abusi sessuali – si trova egli stesso accusato per vicende degli anni Settanta, quando era un giovane sacerdote. Il cardinale respinge ogni addebito, ma il Papa lo ha comunque sospeso temporaneamente dal suo incarico inviandolo in Australia per affrontare il procedimento giudiziario. Pochi giorni prima, inoltre, erano arrivate improvvise anche le dimissioni di Libero Milone, l’ex manager di Deloitte, voluto proprio da Pell per l’inedito ruolo di revisore generale dei conti del Vaticano. In pratica, dunque, nel giro di un mese sono uscite di scena entrambe le figure chiave di quella che avrebbe dovuto essere la riforma delle finanze vaticane. Nel frattempo, però, è giunto all’epilogo anche un altro strappo in un ruolo ancora più cruciale in Vaticano. All’inizio di luglio Francesco stesso ha

deciso infatti di non rinnovare il mandato quinquennale al cardinale tedesco Gherard Müller, voluto da Benedetto XVI come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio, il dicastero dottrinale incaricato di vigilare sull’ortodossia del pensiero dei teologi cattolici). Müller era stato tra i più critici rispetto alle aperture nei confronti della riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati; non si aspettava affatto, però, la mancata riconferma. Tanto più che a settant’anni non ancora compiuti è ben lontano dall’età che il diritto canonico indica per la cessazione dagli incarichi. Alla proposta di Francesco di assumere il compito (decisamente meno rilevante) di patrono dell’Ordine del Santo Sepolcro ha risposto picche. Ma Bergoglio è andato avanti comunque per la sua strada, nominando come nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede il gesuita spagnolo Luis Ladaria Ferrer, l’attuale numero due del dicastero. Il caso Müller è comunque destinato a restare aperto: il cardinale tedesco non è uomo da opposizione dura; d’ora in poi, però, sarà il punto di riferimento a Roma per quell’ala più tradizionalista della Chiesa, che guarda con sospetto alle «fughe in avanti» di Francesco.

Dunque il Papa superstar a livello mediatico è oggi sempre più isolato in Vaticano? Detta così è ovviamente una semplificazione. Anche perché chi conosce un po’ da vicino i meccanismi della Chiesa cattolica sa che la vera insidia per un successore di Pietro non è mai lo scontro aperto, ma la palude. L’attesa che «l’effervescenza» passi e Santa Romana Chiesa possa ritornare alle abitudini di sempre. La cosa interessante, però, è che papa Francesco sembra averlo capito e forse sta cambiando strategia. Lo si vede in maniera abbastanza chiara dalle scelte che sta compiendo riguardo alla Chiesa italiana. Nei giorni scorsi è stata la volta di una nomina di peso, quella del nuovo arcivescovo di Milano, il successore del cardinale Angelo Scola, da molti indicato come l’antagonista nell’ultimo conclave, dimessosi per raggiunti limiti di età. Milano è la diocesi più grande d’Europa, i suoi arcivescovi – da Schuster a Montini, da Martini a Tettamanzi – sono sempre stati figure di primo piano nella Chiesa. Ci si aspettava, dunque, un grande nome, in qualche modo simbolico della svolta di Bergoglio per l’episcopato italiano. Invece Francesco ha scelto la con-

tinuità, indicando il vicario generale uscente Mario Delpini, il più stretto collaboratore di Scola a Milano; un uomo molto umile, tutt’altro che trascinatore, ma con un requisito per Bergoglio oggi fondamentale: conosce bene i preti della sua grande diocesi. Lo stesso tipo di scelta l’aveva compiuta il mese prima per il suo vicario a Roma, andando a scovare tra i vescovi ausiliari dell’uscente Agostino Vallini il non molto quotato Angelo De Donatis. Per due ruoli chiave non ha scelto ex preti di strada (come aveva fatto in passato), due vescovi capaci di portarsi dietro il clero delle parrocchie; quelli che stanno là dove la gente non trova ancora la Chiesa dal volto diverso che finora ha intravisto in televisione nei grandi gesti di Bergoglio. Uscire dal pantano con pazienza, ripartendo dal basso: sembrerebbe questa la strada scelta oggi da papa Francesco. Ricominciare dalle parrocchie; non per rinnegare l’idea di una Chiesa «in uscita», ma per realizzarla davvero. Non a caso all’inizio di quest’estate Bergoglio è andato a rendere omaggio a due parroci anomali come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. Due che dalla palude non si sono affatto lasciati fermare.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Politica e Economia

L’Atlantico, unisce o divide? Il mondo che verrà – 3. parte Il nazionalismo di Trump sarà il nuovo collante per l’Europa?

Federico Rampini Nella storia ci sono gli strappi, le svolte improvvise e traumatiche, anche se magari i contemporanei non le percepiscono immediatamente come tali. Quando Cristoforo Colombo partì con le tre caravelle alle ricerca della «rotta occidentale» per le Indie, e approdò invece in un continente nuovo (almeno per l’uomo bianco), nessuno percepì quel che stava per accadere. Fu l’inizio della decadenza per «l’economia mediterranea», quella che lo storico francese Fernand Braudel considerò come la prima forma di globalizzazione. Il Mare Nostrum diventò progressivamente marginale nei flussi degli scambi, sostituito dall’Atlantico. Questo sconvolse le gerarchie, i rapporti di forze tra nazioni. Cominciò a delinearsi un lento declino di potenze mediterranee come le Repubbliche marinare (Venezia, Genova), a vantaggio di porti come quelli olandesi e francesi. Portogallo e Spagna, più proiettate verso l’Atlantico, e con delle monarchie che avevano consolidato il controllo sulle loro nazioni, riuscirono a reagire meglio delle piccole città-Stato italiane e costruirono imperi ultraoceanici. Si posero le basi per l’ascesa dell’Inghilterra. L’Atlantico divenne il centro della nuova economia globale. Lo sarebbe rimasto per mezzo millennio. Fino a una storia molto recente: il passaggio di consegne dall’impero britannico alla nuova egemonia degli Stati Uniti nel corso del Novecento confermò che il baricentro del potere politico e militare, industriale e tecnologico, finanziario e culturale, rimaneva pur sempre l’Atlantico. L’entrata in guerra degli Stati Uniti nella prima e soprattutto nella Seconda guerra mondiale, consolidò la rete di rapporti tra la potenza leader del nuovo continente e la vecchia Europa. Il Patto atlantico si definì proprio in base a una geografia, identificando in quell’oceano l’asse che racchiude l’idea di Occidente: una comunanza d’interessi ma anche di valori, oltre che un’alleanza per la difesa. E oggi, che cosa ne rimane? L’Atlantico continua a unirci, o si sta… allargando? Nel corso del 2017 lo shock di due vertici (G7 di Taormina e G20 di Amburgo) ha aperto gli occhi agli europei. Donald Trump è davvero un nazionalista allo stato puro, la cooperazione con gli europei non lo interessa. «Non sono stato eletto per fare il presidente del mondo», un suo slogan ricorrente, si sta traducendo in atti concreti. Ma che prezzo può pagare l’America stessa, se abbandona l’Europa al suo destino? Non ci sono scenari traumatici nell’immediato, non è concepibile un divorzio veloce: troppo antichi e consolidati sono i legami politici e militari, economici e valoriali, perché un solo presidente possa distruggerli. È sul lungo termine che il logoramento dei rapporti può comportare danni strategici agli interessi americani. Difesa e alleanze

Lo strappo di Trump è brutale ma non è senza precedenti. Già con George W. Bush ci fu una presidenza unilaterali-

sta, con Donald Rusmfeld e i neoconservatori che apertamente disprezzavano la «vecchia Europa» pacifista e imbelle. Paragonata a Venere, rispetto al pianeta Marte che sarebbe l’America. La dissociazione franco-tedesca (Chirac-Schroeder) dall’invasione dell’Iraq nel 2003 contribuì alla mancanza di legittimazione internazionale di quella guerra. Col tempo un allentamento del rapporto atlantico può contribuire forse alla costruzione di un polo di difesa autonomo; soprattutto può incoraggiare tentazioni neutraliste che sono sempre state presenti sul Vecchio continente: Germania in testa. È lo scenario di una «finlandizzazione», già paventato nella Guerra fredda. L’America deve almeno una parte della sua forza globale alla rete di alleanze che seppe mantenere dalla Seconda guerra mondiale. Russia

Il primo a poter trarre vantaggi dal gelo euro-americano è Vladimir Putin. La Russia è una superpotenza militare eurasiatica, molto più vicina a noi di quanto lo sia l’America. È anche una fonte di approvvigionamento energetico. Da tempo c’è insofferenza verso le sanzioni inflitte a Mosca, che creano danni alle economie europee mentre sono irrilevanti per quella americana. Diverse lobby confindustriali, dall’Italia alla Francia alla Germania, lavorano per revocare le sanzioni. La voglia di «appeasement» si rafforza se Washington diventa un partner inaffidabile. Il che aprirebbe nuovi spazi all’espansionismo russo in Europa centrale e nel Baltico. Cina

La Nuova Via della Seta avviluppa l’Europa con investimenti nelle infrastrutture, dai porti alle ferrovie. Xi Jinping si è già candidato a sostituire Trump come leader «globalista». Una ritirata americana accelera la penetrazione cinese: commerciale, finanziaria, e alla fine anche politica. Con Trump che abbandona la bandiera dei diritti umani, non saranno gli europei a premere su Pechino per un’evoluzione democratica. Già adesso il volume degli investimenti è in crescita in ogni settore: in Italia, spazia dal calcio alle utility, crea legami profondi e durevoli. Fiscalità

L’Europa è stata generosa di privilegi fiscali alle multinazionali Usa: il caso più eclatante è il trattamento garantito per anni dall’Irlanda alla Apple. Già c’è stato un indurimento con le procedure della Commissione di Bruxelles che puntano a chiudere gli spazi dell’elusione fiscale. In palio c’è un bottino di centinaia di miliardi di gettito, su cui si può aprire una guerra fiscale tra le due sponde dell’Atlantico. L’America ha molto più da perdere, vista la ricchezza delle risorse parcheggiate offshore dalle sue multinazionali. Economia digitale

In parallelo con l’elusione fiscale, un vasto contenzioso investe i giganti della Silicon Valley. Da Google a Face-

Il presidente americano Donald Trump davanti al Monumento ai caduti dell’Insurrezione di Varsavia nel 1943. (AFP)

book, da Amazon a Uber, il dominio Usa nell’economia digitale è totale. È un’egemonia fondata anche su sistemi di regole squilibrate e inique: per esempio nel saccheggio dei contenuti, dalle immagini alle news, fino alla privacy individuale. Obama difese gli interessi della Silicon Valley. Colpendo Google per il suo comportamento monopolistico, l’antitrust di Bruxelles ha segnalato che questo sarà un terreno di battaglia. Potrebbe estendersi anche ai paesi europei quella tendenza a ri-nazionalizzare Internet, che è già in atto da tempo – per altre ragioni – nei regimi autoritari dalla Cina alla Russia all’Iran. Il danno per la Silicon Valley sarebbe immenso. Ma ora rovesciamo il punto di vista, dopo avere esaminato che cosa perde l’America se gira le spalle all’Atlantico, proviamo a immaginare se sia realistico uno scenario in cui l’Europa «fa da sola». Angela Merkel ha detto: «Ora l’Europa deve prendere in mano il proprio destino». È un obiettivo realistico? Quali sono i grandi dossier sui quali dovremmo emanciparci dalla leadership americana? Difesa

Ci fu un’epoca, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, in cui venne teorizzato un futuro dell’Europa come «superpotenza erbivora». Cioè capace di esercitare una vera egemonia fondata solo sul soft power: ricchezza economica, modello di diritti e inclusione sociale, patrimonio culturale. Presto arrivarono le guerre dei Balcani a spezzare quell’intervallo pacifico; più di recente il revanscismo russo in Ucraina, i segnali di aggressività di Mosca nel

Baltico. L’Europa occidentale dal 1945 è sempre vissuta sotto la protezione militare degli Stati Uniti, poi estesa agli exsatelliti del Patto di Varsavia. Una difesa europea autonoma costerebbe cara, i contribuenti italiani francesi o tedeschi non sono pronti a pagare il conto. Energia

Le ricadute della leadership militare americana si estendono all’approvvigionamento energetico. L’alleanza tra Stati Uniti e Arabia Saudita, il ruolo della Quinta e Sesta Flotta Usa nel Mediterraneo e nel Golfo Persico, garantiscono la sicurezza delle rotte navali. L’America in teoria potrebbe farne a meno: si avvicina all’autosufficienza energetica, quello che importa lo acquista da vicini come Canada e Messico. L’Europa (con l’eccezione della Francia nuclearizzata) dipende da Russia, Medio Oriente e Nordafrica, è vulnerabile a shock politici o ricatti. Crescita e lavoro

La divaricazione tra Nord e Sud dell’Europa si è acutizzata quando la crisi economica del 2008 ha incrociato le rigidità dell’euro. La Germania ha imposto un’austerity che è tra le cause della stagnazione in Italia, Grecia, Spagna. I paesi dell’Europa mediterranea hanno spesso trovato un appoggio nell’America, più favorevole a politiche di sostegno della crescita. Commercio globale

La Germania ha un attivo commerciale col resto del mondo e regge bene la competizione con la Cina. Non si può dire altrettanto di Francia e Italia. Le economie più deboli dell’Ue si ricono-

scono negli slogan di Trump su «reciprocità» e «commercio equo», mentre la Germania ha un interesse opposto. Immigrazione

Oggi è l’Italia in prima linea nell’esodo di profughi, e si sente abbandonata dai vicini. Due anni fa toccò alla Germania, prima che l’accordo con la Turchia chiudesse di fatto la strada dei Balcani. E perfino la potente Germania venne lasciata sola. Sul governo dei flussi migratori, l’Europa non è affatto unita. Terrorismo

Attentati feroci hanno preso di mira Parigi e Bruxelles, Nizza e Berlino, Londra e Manchester. Si è avvertita la mancanza di coordinamento tra polizie e servizi segreti dei paesi Ue. L’incapacità degli Stati del Vecchio continente a cooperare nell’anti-terrorismo tradisce diffidenze, miopie, incrostazioni burocratiche. Brexit

Il negoziato su Brexit assorbirà tanta attenzione della diplomazia e tecnostruttura europea. È poco verosimile che in parallelo «quel che resta dell’UE» riesca a elaborare un progetto forte per riempire il vuoto di leadership Usa. Del resto sul prezzo da far pagare a Londra ci sono già divisioni fra tutti gli altri. La teoria dello shock esterno

È l’idea secondo cui lo shock di un’America isolazionista e antagonista, può compattare gli europei. Ma se non ci sono riusciti altri shock esterni come la crisi economica del 2008, il terrorismo, l’Ucraina, l’arrivo dei profughi, è difficile sostenere che «stavolta è diverso». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Politica e Economia

Il Califfato mette radici in Asia

Filippine Marawi, 800 chilometri a sud di Manila, nell’isola

di Mindanao, è diventata la «capitale» della provincia filippina del Califfato. Allarmatissimi l’Indonesia e gli altri vicini

In Venezuela mancano acqua cibo e medicine

Unicef Per oltre il 50 per cento dei bambini Luisa Betti Dakli

Giulia Pompili Rodrigo Duterte è stato eletto presidente delle Filippine da poco più di un anno, e l’apprezzamento per il suo governo da parte dei cittadini non accenna a diminuire. Secondo l’ultimo sondaggio di Social Weather Station, l’istituto di ricerca più importante del Paese, il secondo quadrimestre del 2017 ha visto il gradimento del presidente Duterte al 66 per cento, e il fatto che sia in costante aumento pone il presidente in un trend completamente diverso rispetto ai suoi predecessori, che dodici mesi dopo l’elezione iniziavano a perdere il sostegno del pubblico. Il dato, proprio perché rilevato da un istituto indipendente e non governativo, è difficile da interpretare: Duterte è uno dei presidenti filippini più controversi della storia. Ha iniziato il suo percorso di governo tra le critiche, non solo per aver insultato Papa Francesco – nel Paese più cattolico d’Asia – e l’ex presidente americano Barack Obama. Non solo per le sue uscite molto più che politicamente scorrette circa le sue abitudini sessuali, e per il linguaggio condito da gesti eloquenti (come quello del «tagliare la gola» ai nemici delle Filippine). Duterte si è attirato le critiche delle associazioni internazionali che difendono i diritti umani, del Parlamento europeo e della senatrice filippina Leila de Lima – attualmente in carcere e considerata una delle prime «prigioniere politiche» del presidente – per via della sua sanguinosa «guerra alla droga» contro spacciatori e tossicodipendenti. «Farò nel palazzo presidenziale quello che ho fatto quando ero sindaco di Davao», aveva detto un anno fa, «Tutti voi che siete coinvolti nel traffico di droga, io vi ucciderò. Non ho più pazienza, non ho mezze misure, se pensate di uccidermi io vi ucciderò prima». Duterte è accusato non solo di aver aizzato la polizia contro i signori della droga – e per le strade di Manila sono ormai quotidiani gli omicidi che coinvolgono trafficanti – ma di aver messo su, proprio come aveva fatto nella città di Davao, degli squadroni della morte che colpiscono indiscriminatamente utilizzatori e spacciatori. La polizia parla di tremila persone uccise negli ultimi dodici mesi, ma secondo Human Rights Watch sarebbero quasi diecimila. Nel frattempo, però, Duterte ha dovuto affrontare un problema ancora più esteso: l’estremismo islamico, che rischia di destabilizzare l’intera area del sud est asiatico. Non è un caso se l’ultimo numero di «Rumiyah», il magazine online dello Stato islamico, è dedicato al «Jihad nell’Asia dell’est». A pagina quattro c’è una fotografia a pagina intera di Rodrigo Duterte con la scritta: «Ma Allah li raggiunse da dove non se lo aspettavano (e gettò il terrore nei loro cuori)». Gli jihadisti si riferiscono alla battaglia di Marawi, una città di duecentomila persone capoluogo della provincia di Lanao del Sud, nella Regione autonoma nel Mindanao musulmano. Mindanao è la seconda isola per grandezza delle Filippine, ed è posizionata all’estremo sud del Paese. La capitale de facto dell’isola è la città di cui Duterte era sindaco, Davao, che si trova a duecentocinquanta chilometri a sud-est da Marawi. Dal 24 maggio scorso in tutto quel vasto territorio Duterte ha proclamato la legge marziale, per tentare di contenere un’insurrezione islamista che ancora oggi, nonostante il massiccio uso di forza, non è riuscito a risolvere.

Operazione militare a Marawi contro i terroristi islamici Maute. (AFP)

Il caos è stato provocato da una operazione di intelligence finita male. Secondo le Forze speciali filippine, il 23 maggio scorso si sarebbe dovuta tenere a Marawi una riunione tra i due più potenti gruppi islamisti affiliati allo Stato islamico delle Filippine, il gruppo Maute e Abu Sayyaf. Il governo voleva trovare Isnilon Hapilon, nominato dall’Isis «emiro» dello Stato islamico nel sud est asiatico e uno degli uomini più ricercati dall’antiterrorismo mondiale. Quando, però, l’esercito filippino ha iniziato l’operazione contro il quartier generale del gruppo Maute dove si sarebbe dovuta tenere la riunione, la risposta è stata più forte delle loro aspettative. Gli islamisti, evidentemente preparati e addestrati alla guerriglia urbana, sono riusciti a cacciare le Forze armate, ad asserragliarsi nella chiesa locale, a prendere ostaggi. Il Vescovo Edwin De la Pena, che guida la Prelatura apostolica di Marawi, ha detto all’Agenzia Fides: «La situazione è estenuante: sono passati oltre 40 giorni di guerriglia e la nostra splendida città di Marawi è ridotta in macerie. Siamo in pena per padre Chito – uno dei rapiti del gruppo di estremisti – e gli altri ostaggi. Speriamo con tutto il cuore e preghiamo che la guerra qui finisca al più presto». Secondo le stime ufficiali fornite dal governo, a oggi la battaglia di Marawi avrebbe fatto 351 morti tra le fila degli jihdisti, 39 tra i civili e 85 tra i militari. Da qualche settimana il governo di Duterte, nonostante abbia più volte cercato di allontanarsi dall’influenza di Washington preferendo esplicitamente quella di Pechino, ha dovuto accettare l’aiuto strategico dell’esercito americano, che adesso assiste quello filippino nella riconquista della città. Tra i paesi più preoccupati dalla situazione nelle Filippine c’è l’Indonesia, che da mesi è alle prese con un revival dell’integralismo islamico, nonostante il governo laico e la Costituzione stessa di Giacarta che promuove la pluralità religiosa. Dopo l’accusa di blasfemia dell’ex governatore della capitale indonesiana, i gruppi islamici – anche quelli riconosciuti e vicini alle amministrazioni locali – sono galvanizzati. E ora il governo del presidente Joko Widodo teme che l’estremismo possa avere presa più facile tra i giovani, specialmente in quelle regioni indonesiane dove tradizionalmente l’islam radicale fa proseliti. Ultimamente Giacarta ha subìto diversi, contenuti segnali: il 14 gennaio del 2016 due kamikaze si fecero esplodere e uno sparuto gruppo armato tentò di attaccare vari punti della

città, facendo sette morti – compresi gli assalitori. La risposta della polizia aveva fermato gli islamisti, ma l’attacco era stato rivendicato dallo Stato islamico, segnando il primo attentato su territorio indonesiano del gruppo guidato da Abu Bakr al Baghdadi. Fino ad allora, l’Indonesia, aveva avuto una sanguinosa guerra con i proseliti di al Qaida, che sembrava finita. Secondo l’intelligence di Giacarta, nelle Filippine sarebbero operativi circa 1200 foreign fighters, e almeno quaranta di loro sarebbero cittadini indonesiani. Anche la Malaysia è in allerta: il ministero dell’Interno di Kuala Lumpur teme che gli jihadisti che ora fanno base nelle Filippine possano arrivare a Sabah, nel nord del Borneo. È la regione con cui condivide il Mare di Sulu, una delle aree di mare più pericolose del mondo proprio per la presenza di pirati e gruppi islamici. Dopo aver perso uomini e terreno nelle aree di Siria e Iraq, è in queste aree grigie asiatiche, dove i governi arrivano con difficoltà anche per motivi geografici, che lo Stato islamico sta puntando. A fine giugno, Filippine, Indonesia e Malaysia hanno ufficializzato un accordo per condividere le informazioni di intelligence, per tracciare le comunicazioni e il traffico di armi, di combattenti e di denaro. Tutto per cercare di far fronte in quello che è stato definita «la più grave minaccia alla sicurezza che il sud est asiatico abbia dovuto affrontare da decenni». Secondo molti osservatori, però, il problema più grave viene dalle Filippine: il presidente Duterte difficilmente riuscirà a trovare un canale di dialogo con gli estremisti che combattono a Marawi. «Questa guerra non finirà finché l’ultimo terrorista non sarà ucciso», ha detto qualche giorno fa, mostrando la volontà di continuare con l’offensiva militare, che nel frattempo sta provocando centinaia di migliaia di sfollati. Nella strategia da pugno di ferro di Duterte non è ammesso alcun errore da parte del governo, per questo, secondo alcuni osservatori, il problema del radicalismo islamico nelle Filippine rischia di essere sottostimato, oppure considerato risolto soltanto con la riconquista di Marawi: «La risposta violenta all’insurrezione a Mindanao non può distogliere dalla minaccia che pone Abu Sayyaf nelle province di Basilan e Sulu», ha scritto il «Philippine Star» in un editoriale, «qui il gruppo estremista continua a rapire, soprattutto stranieri, per finanziare la sua guerra al terrore».

Più di 90 morti da aprile a oggi: questo il bollettino di guerra che arriva dal Venezuela e che conta ormai, oltre ai decessi, 1413 feriti e 3971 sotto processo. Un violento conflitto politico tra chavisti e oppositori al governo di Nicòlas Maduro, in uno scontro che sta diventando guerra civile con ragazzi uccisi per strada, come il chavista Orlando Figueroa pugnalato e bruciato dall’opposizione ad Altamira – un quartiere residenziale di Caracas – e con studenti chiusi dalla polizia dentro un camion con gas lacrimogeni, come i 40 ragazzi che si stavano dirigendo verso la sede del Consiglio elettorale nazionale. Tra i decessi ci sono giovani dai 18 ai 25 anni, lavoratori, studenti, 7 donne e 8 minorenni tra i 14 e i 17 anni. Dati preoccupanti se si pensa che proprio in questi giorni l’Unicef si è mobilitata contro l’uso dei minori durante le manifestazioni sempre più violente, dichiarandosi profondamente preoccupata «per la sicurezza e il benessere dei bambini coinvolti in proteste di piazza in corso in Venezuela». Un’emergenza che vede le frontiere brasiliane e colombiane pressate da famiglie venezuelane in fuga con richieste d’asilo che nei primi mesi del 2017 hanno già superato il numero complessivo dei precedenti 6 anni e con circa 30’000 venezuelani arrivati solo nella città di Boa Vista, capitale del Roraima in Brasile. Una situazione che sta degenerando e che in un’economia in caduta libera ha effetti che ricadono prima di tutto su bambini e bambine, tanto che a oggi il 50% dei piccoli con meno di 5 anni risulta denutrito. In un Paese dove un pollo costa 5 volte uno stipendio, che non supera i 20 dollari, e dove un biglietto per l’Europa costa circa 1700 euro, la malnutrizione infantile sta raggiungendo il livello di crisi umanitaria. Secondo un recente Rapporto della Caritas Venezuelana, che ha analizzato la malnutrizione infantile in quattro Stati (Caracas, Vargas, Miranda e Zulia), l’11,4% dei bambini soffre di malnutrizione grave: un dato che confrontato con gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – che definisce come soglia della crisi di malnutrizione infantile il 10% – ci dice che il punto di crisi in Venezuela è stato superato. Janeth Márquez, che dirige la Caritas Venezuelana, dichiara che i risultati «mostrano chiaramente che i livelli generali di malnutrizione sono in aumento tra i bambini» e che se non si dà una risposta pronta, «sarà molto difficile per questi piccoli tornare alla normale curva di crescita nutrizionale». In queste regioni si calcola infatti che 8 famiglie su 10 siano a corto di cibo e che di solito le madri non mangiano per dare il loro cibo ai figli. «Solo quest’anno 37 bambini sono morti per malnutrizione e in alcuni luoghi che abbiamo studiato – spiega

Ragazzi rovistano in un supermercato dopo una protesta contro il governo Maduro. (AFP)

Susana Raffalli, specialista in emergenze alimentari per la Caritas Venezuelana – il livello di malnutrizione infantile ha raggiunto il 13%, un dato che sta crescendo in maniera spropositata, se si pensa che solo 4 anni fa il tasso di malnutrizione acuta era arrivata al 3%». «I bambini più colpiti – continua Raffalli – vivono nei villaggi ma anche nelle città più grandi, molte persone vivono di stenti e nelle prime ore del mattino, si possono vedere famiglie che rovistano tra bidoni della spazzatura per cercare cibo». In realtà una famiglia su 12 avrebbe una «alimentazione da strada» che consiste nello scavare tra i resti di cibo dei ristoranti o tra i cassonetti. Con un’inflazione al 720%, la più alta del mondo, le persone non hanno più le risorse per far fronte alla situazione e tutti i settori, dall’occupazione alla salute, sono al collasso. «Si tratta di una grave crisi e gli aiuti nazionali e internazionali per gestire il disastro, sono necessari», dice Susana Raffalli, «perché per quanto riguarda la denutrizione sono evidenti i classici sintomi di chi soffre la fame». Oltre alla mancanza di cibo c’è poi la mancanza di acqua potabile: un servizio che manca da tempo a causa di una scorretta manutenzione delle vasche e la mancanza di cloro. Secondo la Caritas l’aumento del contagio per malattie causate da zanzare Zika, dengue, malaria e chikungunya (malattie virali con febbre trasmessa dalla puntura di insetti infetti), va di pari passo con la denutrizione che facilita il contagio, e la mancanza di gas nelle case che rende impossibile bollire l’acqua. In questa condizione, dove le mamme non mandano i figli a scuola per farli dormire e quindi ridurre i pasti, anche il sistema sanitario è in crisi. In Venezuela oggi gli ospedali hanno finito i farmaci e mancano di forniture di base come il latte in polvere per i neonati. Qui, in base a un sondaggio condotto dalla Rete Salute Medici e diffuso dall’Osservatorio venezuelano della Sanità (OVS), il 78% degli ospedali ha scarsità di farmaci e il 51% delle sale operatorie non sono operative. All’ospedale José Gregorio Hernández di Amazonas, 11 bambini sono morti in una settimana, e nel centro materno di Cumana 26 neonati sono deceduti in un mese, mentre all’Ospedale di Pediatria a Maracaibo, che è uno dei più avanzati centri per il trattamento di malattie gravi, sono morti 10 bambini in 8 giorni. Nell’ospedale pediatrico J.M. de Los Ríos a Caracas è stata aperta un’inchiesta sulla morte di quattro pazienti tra i 2 e i 16 anni, avvenute tra maggio e giugno: bambini con deficienze renali che hanno contratto infezioni nel corso del trattamento di dialisi presso l’Unità di emodialisi. Ospedali che funzionavano molto bene e che oggi hanno meno del 5% dei farmaci di cui hanno bisogno e dove manca cibo, antibiotici, ma anche garze, guanti ospedalieri e addirittura il sapone per disinfettare le mani.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Politica e Economia

Il deposito costa più di quanto renda Interessi bancari La differenza fra gli interessi pagati e le spese per la tenuta dei conti è a sfavore del cliente

ed è dovuta ai tassi ormai vicini a zero, ma anche all’aumento delle spese

Ignazio Bonoli Molte persone che possiedono un conto in banca si saranno accorte che, sugli estratti-conto inviati regolarmente dalla banca, gli interessi maturati sul conto sono inferiori alle spese fatturate dalla banca per la gestione del conto. In effetti, da qualche tempo, col perdurare del livello eccezionalmente basso dei tassi di interesse, la banca si è vista restringere sempre più i margini di guadagno, per cui ricupera in parte su spese e commissioni fatturate ai clienti.

Le banche lamentano l’incidenza degli oneri di gestione ma d’altro canto registrano utili non indifferenti Il grafico che illustra questa situazione mostra chiaramente che dal 2000, adottando base 100 per l’indice del costo della vita e per l’indice delle spese fatturate dalle banche, il primo si mosso di poco e nel 2016 si situava poco al di sopra del livello di partenza, ma il secondo era salito a ben 180 punti. L’aumento dell’80% non ha mancato di attirare l’attenzione anche del sorvegliante dei prezzi. Quest’ultimo interviene di solito quando può constatare un ostacolo alla concorrenza. Ora, nel caso del conto bancario, il titolare scontento può sempre cambiare banca e liquidare il conto che non rende. Ma in questo caso alcune banche chiedono spese per la chiusura del conto che possono raggiungere cifre esorbitanti. Lo stesso avviene per il trasferimento di un deposito da un conto a un altro o anche per lo scioglimento di un debito ipotecario. Questo modo di procedere, testimoniato da molti reclami, secondo il sorvegliante dei prezzi è un ostacolo alla concorrenza, per cui ha incaricato il Segretariato di Stato all’economia (Seco) di un esame giuridico della situazione.

Nella statistica di «Moneyland» Postfinance è tra gli istituti meno esigenti. (Keystone)

La richiesta del sorvegliante dei prezzi si basa sulla nuova legge sulla concorrenza sleale, che è stata inasprita cinque anni fa e il cui articolo 8 prevede il caso in cui una banca renda le spese di chiusura di un conto tali da impedire (senza perdite importanti) la chiusura di un conto e la successiva apertura presso un’altra banca. Si configurerebbe qui il reato di concorrenza sleale.

Finora un caso simile non si è mai presentato, per cui si attende con interesse l’eventuale decisione dei tribunali. Per il momento la questione ha ottenuto l’avallo del professor Thomas Koller, docente di diritto privato all’Università di Berna, che condivide l’opinione del sorvegliante dei prezzi, riassumibile nel concetto secondo cui, se una tassa ha soprattutto lo scopo di evi-

tare che un cliente possa cambiare banca, è sicuramente in conflitto con l’articolo 8 della Legge sulla concorrenza sleale. Dal canto loro le banche tendono a giustificare questo modo di fare con l’argomento dell’aumento dei costi amministrativi. Lo hanno precisato anche in una presa di posizione richiesta dal Seco. Si pensa che perciò nei prossimi mesi si potrà contare su una decisione.

Se questa decisione non sarà favorevole alle banche, ci sarà un inasprimento della concorrenza. Del resto, se prendiamo come metro di giudizio anche solo i bilanci 2016 degli istituti bancari cantonali, vediamo che le banche realizzano tuttora utili considerevoli: si tratta globalmente di 3,4 miliardi di franchi, che significa circa 200’000 franchi per collaboratore. Anche le unità svizzere delle due maggiori banche hanno realizzato un utile di 3,5 miliardi di franchi. Nemmeno l’introduzione degli interessi negativi da parte della Banca Nazionale ha avuto gli effetti paventati. Per contro sono i risparmiatori che si vedono diminuire i loro conti con le spese che superano il reddito degli interessi, oltre la perdita di valore reale dovuta a un leggero tasso di inflazione. Oggi si teme anche che, se i tassi di interesse tenderanno ad aumentare, le tasse e commissioni bancarie non scenderanno e avranno un carattere definitivo. Il quadro attuale presenta comunque differenze talvolta notevoli da banca a banca. Una statistica allestita dall’agenzia «Moneyland» pone, tra le banche meno esose, al primo posto Postfinance con 53,45 franchi, seguita da Credit Suisse con 57,10 franchi; UBS segue con 115,60 franchi, mentre le banche cantonali come quella di Zurigo (222,50) e quella di Sciaffusa (263,50) sono più care. Va detto che i confronti sono resi difficili dalla grande diversità di prestazioni fra le banche. Il confronto fatto da «Moneyland» si basa comunque su un pacchetto medio di prestazioni con carte di credito e di debito. Le cifre qui indicate si riferiscono ai conti annuali, dedotti i tassi di interesse, per il primo anno, di un conto privato con 10’000 franchi e un conto risparmio con 50’000 franchi, per un conto utilizzato con frequenza media. In termini macro-economici, dato che i depositi bancari in Svizzera sono di circa 750 miliardi di franchi, la somma delle perdite nette dei clienti sale oltre i 3 miliardi di franchi all’anno. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Gallerie e turismo Alla fine del mese di maggio di quest’anno i media e gli addetti ai lavori hanno decretato la fine della crisi che da ormai più di tre decenni affliggeva il turismo alberghiero del nostro Cantone. Era capitato che in aprile gli arrivi di ospiti avevano superato del 30% gli arrivi del mese di aprile dell’anno prima. La statistica ci dice che variazioni estreme, di questo tipo, devono essere sempre considerate con la massima prudenza. I nostri esperti di turismo invece hanno pensato che fosse l’inizio di una stagione,

se non addirittura di una età dell’oro, che si sarebbe potuta prolungare per chissà quanto. Poi è venuto il dato di maggio a smorzare gli ardori: gli arrivi di turisti sono stati inferiori a quelli del maggio del 2016. Se consideriamo i primi 5 mesi dell’anno, invece di soffermarci solo sul dato eccezionale di aprile, ci accorgiamo che, con grande probabilità, il turismo alberghiero ticinese si ritrova oggi nella situazione di un anno fa, ovvero in piena crisi di riconversione. È questa una nuova dimostrazione di quello che gli

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Effetto sugli arrivi della galleria autostradale.

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feb

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mag

Effetto sugli arrivi del tunnel ferroviario di base.

Variazione dicembre-maggio degli arrivi (in % rispetto al mese dell’anno precedente) dopo l’apertura della galleria autostradale e di quella della galleria di base ferroviaria.

statistici chiamano l’effetto di regressione alla media. Mentre i comuni mortali – compresi gli esperti del turismo ticinese – si attendono dopo un mese di forte crescita un altro mese di crescita superiore alla media, gli statistici pensano invece che se la crescita nel mese precedente è stata molto superiore alla media, nel mese successivo dovremo aspettarci una diminuzione che riporti lo sviluppo verso la tendenza di lungo termine. Al contrario, se in un dato mese la perdita di arrivi, rispetto all’anno prima, è stata elevata, e quindi gli esperti prevedono il peggio per il mese successivo, l’effetto di regressione alla media farà sì che nel mese successivo si registri una crescita. E così via. Lo statistico che è in me, quindi, mi dice che per giugno di quest’anno dovremmo attenderci una piccola ripresa degli arrivi in albergo. Staremo a vedere. Al di là di queste considerazioni resta da chiarire la questione più importante: il turismo ticinese, quest’anno, approfitta o meno dell’apertura della galleria ferroviaria di base del S. Gottardo? Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare che i flussi turistici in Ticino

sono composti dal flusso dei turisti che si fermano da noi per qualche tempo (in alberghi, campeggi, case di vacanza, pensioni, rifugi e ostelli) e dal flusso di quei turisti che visitano il Ticino ma non vi pernottano. L’apertura della galleria ferroviaria di base ha certamente favorito il turismo di giornata. Basta salire su uno dei treni che dalla Svizzera interna portano in Ticino per rendersene conto. La ressa è tale che, tra poco, le FFS saranno obbligate a introdurre la prenotazione obbligatoria per i viaggi da e per il Ticino. Di conseguenza la galleria ha favorito tutti i commerci legati al turismo. Ma non necessariamente gli alberghi i quali, per prosperare, devono poter contare sul soggiorno. È interessante comparare la crescita degli arrivi negli alberghi, nei primi sei mesi (dicembre-maggio) dall’apertura della galleria ferroviaria con la crescita degli arrivi negli alberghi, nel medesimo periodo (dicembre-maggio) immediatamente successivo all’apertura della galleria autostradale. Mentre per la galleria autostradale (che era stata aperta in settembre) l’effetto positivo sugli arrivi – misurato dal tasso di crescita

degli arrivi in albergo rispetto al mese dell’anno precedente – c’è stato, ma si è spento durante la prima metà dell’anno successivo, per la galleria ferroviaria ancora non si può dire, ad eccezione ovviamente del mese di aprile, se di un effetto positivo si possa parlare o meno. I tassi di crescita, quando ci sono stati, sono stati infatti molto più contenuti di quelli prodotti dall’apertura della galleria autostradale. Non si può dimenticare però di precisare che più dei tre quarti dei nostri ospiti giungono in Ticino, ancora oggi, con l’automobile. Il che richiede di considerare in modo un po’ più approfondito di quanto sia stato fatto sin qui, le ragioni che hanno condotto al risultato eccezionale del mese di aprile. Il farlo non è certo compito di chi redige questa breve rubrica. Vorremmo tuttavia suggerire una pista di inchiesta. È probabile che gli arrivi in treno da oltre S. Gottardo siano molto influenzati dalla capacità disponibile per il trasporto di passeggeri attraverso la galleria di base. In questo senso, ogni treno speciale in più, organizzato dalle FFS, potrebbe essere una manna per i nostri albergatori.

ship del gruppo non sarà annientata. Ma chi controllerà i territori liberati? Questo è l’interrogativo che tutti si pongono, ed è il più difficile perché riporta alla memoria una delle debolezze più grandi dell’occidente in guerra: la ricostruzione politica dei paesi sfasciati dal terrorismo. L’Iraq è lì a dimostrarlo, anzi la storia stessa dello Stato islamico è lì a dimostrarlo: il gruppo nacque dalle ceneri di al Qaida in Iraq, distrutta dalla campagna militare americana e dal celebre «risveglio» delle province sunnite contro i terroristi. A oggi buona parte della leadership dello Stato islamico è composta da combattenti di lunga data, sopravvissuti alla coalizione dei volenterosi e poi pronti a ricostituirsi nel momento in cui l’attenzione internazionale s’è rivolta altrove. Il ritiro delle truppe americane dall’Iraq assieme alla politica fintamente inclusiva dell’allora premier iracheno Nouri al Maliki (che è ancora

in corsa, vuole riprendersi il potere alle elezioni del 2018) hanno consentito allo Stato islamico di proliferare, non visto. Quella lezione, a partire dal 2010, è oggi forse più rilevante rispetto alla tradizionale «lezione irachena», che riguarda l’invasione voluta dagli Stati Uniti nel 2003: se si distolgono gli occhi oggi, si rischia di ritrovarsi da capo nel giro di qualche anno. In Siria la situazione è ancora più complicata. L’offensiva contro Raqqa continua, buona parte dei miliziani dello Stato islamico è fuggita o è stata catturata, ma sul futuro della città e del paese ci sono molti interrogativi. Il regime di Bashar el Assad controlla alcune parti della Siria, ma da anni si occupa più di bombardare i ribelli che di ricacciare indietro lo Stato islamico. Essendo poi alla guida di uno stato tecnicamente fallito, Assad deve fare i conti con molti interlocutori per potersi accaparrare di nuovo la leadership di un paese che ha

ampiamente contribuito a distruggere. I suoi partner d’elezione, i russi e gli iraniani, hanno i loro interessi: Mosca vuole mantenere il suo approdo al Mediterraneo e soprattutto deve gestire con attenzione il budget e il rapporto con l’America di Donald Trump, tra accuse di collusione e parecchi dispetti. Teheran vuole creare un corridoio d’influenza che passa da Damasco e arriva a Beirut, ed è il motivo per cui sta già ingaggiando scontri aerei con gli americani. Anche l’abbattimento dei jet siriani da parte delle forze della coalizione a guida internazionale segnala il problema: la guerra per controllare i territori liberati dallo Stato islamico rischia di essere più destabilizzante di quella contro lo Stato islamico. Senza l’alibi «tutti insieme contro il terrorismo», la lezione del 2010 risulta decisiva: senza un piano di transizione chiaro, la sconfitta dello Stato islamico potrebbe non essere affatto risolutiva.

che certe discipline come il ciclismo, la F1, il motociclismo, e sempre più spesso anche il calcio, sottostanno ormai a una regia occulta che penalizza lo spettacolo: oggi più che le competizioni si guardano il paesaggio, la folla e gli incidenti. Nessuna meraviglia se i giovani alle dirette tv preferiscono i video-giochi sportivi, in grado di offrire maggiori emozioni e campioni sempre pronti a sfide. Non è molto d’aiuto il telecronista che sento commentare calcio (dalla Russia), incontenibile nell’elencare i giocatori, oltre che con cognome o nome, anche con il nome dei club di appartenenza, allegando cifre d’ingaggio e gossip vari. Lo farà per combattere il grigiore che domina in campo? A un certo punto la contesa si incattivisce. Dopo l’ennesimo fallaccio, l’arbitro ricorre alla Var (Video assistent referee), la moviola in campo. Nonostante una plateale gomitata sul viso alla fine rilascia al colpevole solo

un’ammonizione. Ricordo un aforisma di Ennio Flaiano: «L’italiano ha un solo vero nemico: l’arbitro delle partite di calcio, perché emette un giudizio». Mi sa che gli arbitri faranno di tutto perché, anche con la moviola in campo, le cose restino così...

mento ferroviario; il governo italiano fa sapere che l’esame del mantenimento della Svizzera nella sua «black list» finanziaria non è prioritario; il governo federale conferma di avere dubbi (ma va?) sull’effettiva reciprocità in materia fiscale fra Svizzera e Italia. Sono solo vicende politiche, dirà subito qualcuno. Ma proprio perché politiche servono a capire meglio comportamenti o difetti. Improvvisamente in questo clima non proprio idilliaco, aggravato anche da altre contese (collegamenti lacuali sul Verbano), a Bellinzona qualcuno avverte la necessità di svelare i futuri scenari di sviluppo di un Ticino che nei prossimi decenni potrà avere almeno altri 195’000 cittadini. La notizia dev’essere sfuggita ai media italiani, altrimenti avremmo potuto leggere: «In Ticino liberi altri 100’000 posti di lavoro per frontalieri». E se si pensa che negli stessi giorni per 30 nuovi posti alla Banca d’Italia hanno concorso in 85’000...

Affari Esteri di Paola Peduzzi Cosa succederà quando l’Isis sarà battuto? Lo Stato islamico continua a perdere uomini e terreno in Siria e in Iraq. Nel 2014, quando fu annunciato il califfato da parte di Abu Bakr al Baghdadi nella celebre (e ormai spianata) grande moschea di Mosul, il gruppo jihadista occupava circa 60 mila chilometri quadrati di territorio, a cavallo tra la Siria e Iraq, un unico stato. Oggi secondo le stime lo Stato islamico occupa 16 mila e cinquecento chilometri quadrati, ha perso il 70 per cento del suo impero, compresa Mosul, la capitale di fatto del califfato, caduta dopo nove mesi di combattimenti. La città irachena fa un po’ da sintesi della storia dello Stato islamico: Mosul fu conquistata nell’indifferenza del resto del mondo, gli abitanti provarono persino a capire se si poteva convivere con questi nuovi padroni, presto scoprirono – a suon di violenze e brutalità inimmaginabili – che non c’era modo, e la necessità di frenare questa avanzata trionfale è

diventata urgenza. Quando infine le forze irachene e le forze sciite, con la copertura aerea della coalizione a guida americana, sono riuscite a fare breccia dentro Mosul, lo Stato islamico è arrivato a distruggere la sua moschea, che è famosissima perché ha il minareto pendente, e non c’è abitante di Mosul che riesca oggi ad alzare gli occhi e a non struggersi per la mancanza, all’orizzonte, di quella torre con la gobba. Se non possiamo averla noi questa moschea, hanno detto gli jihadisti del califfato, non la può avere nessuno: la base della moschea era stata minata, pronta a esplodere – accusando ovviamente gli americani dello scempio – nel momento della sconfitta. Chi verrà dopo di noi, questo è il punto. Lo Stato islamico sta perdendo la sua capacità feroce d’attrazione, non arruola più foreign fighters, il Pentagono dice di aver ucciso 60 mila combattenti e di voler colpire ancora fino a che la leader-

Zig-Zag di Ovidio Biffi Letture, calcio e manovre estive Puntuale, quasi a voler rivaleggiare con il solstizio, è arrivata a fine giugno anche l’affollata corsa dei media a dare consigli per le letture sotto l’ombrellone. Difficile per i lettori rispettare gli ammonimenti a voler diffidare da questi suggerimenti, così com’è difficile per giornalisti e critici evitare le classifiche dei libri più venduti. Un esempio di come la corsa venga ormai trattata in modo sempre più stemperato lo ha fornito a inizio luglio «la Lettura» del «Corriere della Sera», in particolare con un articolo in cui Ida Bozzi «ribalta la questione» per proporre un elenco di testi di narrativa che hanno come ambientazione, e sovente anche come personaggio, proprio l’estate. La sua rassegna comprende una serie di romanzi che gravitano attorno all’estate «feroce come in Steinbeck, laida come in Lolita di Nabokov, sanguinosa come nel Grande Gatsby di Scott Fitzgerald, eroica come in Sostiene Pereira di Antonio

Tabucchi». Ma anche i libri che la Bozzi indica – una quarantina, nonostante un’autolimitazione nel caso di Pavese o a pochi accenni alla lunghissima serie di gialli da Maigret a Montalbano – confermano che questi esercizi non agevolano orientamenti e scelte, per cui credo che alla fine risulti più utile la segnalazione di due nuovissimi ed attesi romanzi: Un’estate da ragazzi di Richard Cox e la quarta puntata della pentalogia dei Cazalet, Allontanarsi, di Elizabeth Jane Howard. E confesso che, alla fine, questi consigli di letture estive mi fanno sempre tornare in mente il dramma confessato da Massimo Troisi, quando gli chiedevano: «Ma tu leggi?». E lui: «Io legg’, ma so’ solo; chilli scrivono e’ so’ tant’». Sto saltabeccando con il telecomando nel tentativo di vincere la noia di trasmissioni tv in diretta di avvenimenti sportivi. Chissà quando ci si accorgerà

In giugno ennesima conferma della sudditanza psicologica di noi, come svizzeri e ticinesi, nei confronti della vicina Repubblica. Il Consiglio di Stato, sospinto da Berna, decide che il casellario giudiziario per i frontalieri italiani non sarà più obbligatorio; il Governo federale non rinnova più la concessione di licenza per le navette di bus che collegano il Ticino alla Malpensa; la Regione Lombardia avvisa che per ragioni finanziarie il servizio ferroviario con il Ticino verso Malpensa verrà avviato solo nel 2018 e ridotto; il governo ticinese sospende la quota di finanziamento per i costi del collega-


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Cultura e Spettacoli Ceramica d’arte La prima retrospettiva della ceramista biaschese Raffaella Columberg alla Züst di Rancate pagina 28

Carona immagina Per le vie del borgo, fino al 15 ottobre, una mostra fotografica all’aperto propone tre itinerari artistici

Le voci di Frauenfeld Un resoconto dal celebre festival musicale open-air, quest’anno dedicato a Rap e dintorni

Una star dell’archetto La grande violinista Anne Sophie Mutter si racconta sulle nostre pagine

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Le tracce dell’umanità Mostre Christian Boltanski celebrato

con una serie di iniziative a Bologna

Gianluigi Bellei Christian Boltanski è un artista complesso, sofferto, intimista. Certo le sue origini – il padre ebreo ucraino, la madre cattolica còrsa – non sono fattori ininfluenti. I rimandi e i richiami alla Shoah sono alla base del suo lavoro. Per lui la Shoah non è stata solo la morte di milioni di ebrei ma il riflesso della morte di ogni uomo. Soprattutto di quelli sconosciuti, senza nome. Le sue esposizioni sono sempre degli eventi di grande impatto anche emotivo. Lavora per progetti e spesso in forma monumentale. Non a caso è stato chiamato nel 2005 al Grand Palais di Parigi nell’annuale esposizione chiamata, appunto, Monumenta. Nello stesso anno l’abbiamo trovato all’Hangar Bicocca di Milano, che proprio con il Grand Palais aveva una collaborazione ai tempi della direzione di Chiara Bertola (vedi «Azione», 12 luglio 2010). A Milano ha presentato Personnes, in una versione ridotta di quella di Parigi. Ridotta per modo di dire perché c’erano ben 30 tonnellate di vestiti, appartenuti a cinquecentomila persone, spostati con una gru in un incessante lavorio di morte e tragicità. Nel 2005 al Pac sempre a Milano è diventato più intimista, anche considerata la ristrettezza del luogo. In quell’occasione oltre a diversi lavori degli ultimi anni ha presentato migliaia di elenchi del telefono di tutto il mondo. In questi mesi Boltanski è al Mambo di Bologna in una piccola antologica curata da Danilo Eccher. Sono presenti 25 opere degli ultimi trent’anni e altre sparse in diversi luoghi della città. Al Giardino Lunetta Gamberini, nelle strade della periferia e al Museo della memoria di Ustica dove troviamo una sua installazione permanente. A settembre è previsto Take Me (I’m Yours), un intervento nel parcheggio Giuriolo durante il quale saranno donate e scambiate opere di vari artisti. Un progetto di largo respiro che prevede una preparazione preventiva prima della visita dato che gli orari delle varie sedi non coincidono e soprattutto al Mambo non sono previste indicazioni su come arrivare nei singoli posti, che sono decentrati. In fondo all’articolo ne forniamo alcune di massima, dato che in questo caso una dettagliata programmazione è d’obbligo. Ma andiamo per ordine. Bologna ha una lunga tradizione di incontri

con Boltanski. Vent’anni fa, all’inizio della sua carriera, gli ha dedicato una mostra a Villa delle Rose, sempre curata da Danilo Eccher; dieci anni fa è stato chiamato per collaborare con il futuro Museo per la Memoria di Ustica. Inserito in un deposito dell’azienda dei trasporti, il museo ospita i resti del DC9 Itavia partito da Bologna il 27 giugno 1980. L’aereo è esploso nei pressi di Ustica. Tutti i passeggeri sono morti. Boltanski posiziona attorno al relitto 81 specchi neri, questo il numero dei morti, dentro i quali lo spettatore può riflettersi mentre ascolta dal profondo le voci degli scomparsi. Appese al soffitto, 81 luci si accendono e si spengono come a seguire il loro battito cardiaco. L’esposizione al Mambo si apre proprio con Coeur del 2005 composta similarmente con specchi neri, una lampadina e il battito del cuore dell’artista. Poi in un crescendo di emozioni e tristezze diversi lavori come ad esempio Le grand mur de Suisses morts del 1990: «Se, ad esempio» dice l’artista «voglio parlare della Shoah non mostro foto storiche ma le immagini di svizzeri deceduti di recente, creando quindi una distanza con il dramma». Splendide le Véroniques del 1996: fotografie con un morbido tessuto trasparente sovrapposto. Immagini fluttuanti fra presenza e assenza. Struggenti le foto di Autel Lycée Chases del 1987 che ritraggono giovani adolescenti ebrei di Vienna tratte da un album scolastico del 1931. Al piano superiore Les Regards, opera esposta a suo tempo a Villa delle Rose e oggi nella collezione permanente del museo. Dieci fotografie di dieci partigiani tratte dal Sacrario della Resistenza di Piazza Nettuno nel cuore della città, dove i bolognesi avevano messo spontaneamente i ritratti dei parenti fucilati dai nazifascisti. Il progetto Billboards parte proprio da qui. Gli occhi delle immagini dei partigiani sono ingranditi e riprodotti in trenta fotografie poste nella periferia bolognese come dei cartelloni pubblicitari. Dal centro alla periferia e viceversa questi sguardi ricordano il nostro passato e danno dignità alla loro morte. Per trovarli possiamo per esempio andare in via Arcoveggio, in via Due Madonne, in via Marco Emilio Lepido, in via Stalingrado, in viale Togliatti… Alla fine del percorso museale troviamo Animitas (blanc), un video

Uno dei dieci Billboards di Christian Boltanski, esposti nelle vie di Bologna. (Matteo Monti)

di 11 ore con il sonoro di campanellini e davanti una distesa di fiori secchi. Realizzato nel deserto di Atacama in Cile dove si dice che Pinochet lasciasse cadere dagli aerei le salme delle sue vittime. Anime erranti, perse, delle quali molti hanno dimenticato i nomi. Al centro dello spazio espositivo Volver, realizzata espressamente per la mostra; una struttura alta sette metri composta da coperte isotermiche, come quelle che si danno ai migranti per i primi soccorsi in mare. Ai disperati è dedicata poi l’installazione Réserve alla ex Polveriera bunker Giardino Lunetta Gamberini dove sono messi a terra 500 chili di abiti usati. Questi vestiti in genere vengono associati all’Olocausto e agli ebrei spogliati prima di entrare nelle camere a gas, mentre in questo caso, dato che il giardino era un luogo di riparo per extracomunitari e migranti, richiamano le vite perdute di

uomini senza volto. «Il vestito usato ci parla di qualcuno che era lì ma non c’è più» spiega Boltanski. «L’odore, le pieghe, sono rimasti, ma non la persona». Il curatore della mostra Danilo Eccher – storico direttore dal 1995 al 2000 della vecchia Galleria d’arte moderna di Bologna, situata in zona Fiera – scrive: «In Boltanski certo emergono i racconti e le simbologie del popolo d’Israele, a cominciare dalle opere ispirate alla Shoah, ma forse si possono anche cogliere certe durezze ironiche delle genti còrse, la barbara spiritualità slava o l’eleganza francese della liturgia cattolica. All’interno di questo intreccio culturale è difficile inseguire un pensiero unico». Anche questo ci piace assieme alla sua drammatica visione della vita e a quei lunghi sospiri, fra singulti, lamenti e silenzi che vanno oltre le comuni atarassie di un mondo oramai senza più vergogna.

Dove e quando

Christian Boltanski. Anime. Di luogo in luogo. MAMbo, Museo d’arte moderna. Bologna. A cura di Danilo Eccher. Fino al 12 novembre. Orari: 10.00-18.00, gio. ve. sa. 10.00-19.00 Chiuso lunedì. Catalogo Silvana editoriale. Instant Book euro 5. A proposito di Ustica. Museo della memoria di Ustica. Via Saliceto 3/22. Ma-ve: 18.00-21.00. Sa-do 10.00-12.00, 18.00-21.00. Réserve. Ex Polveriera bunker Giardini Lunetta Gamberini, Via Pellizza da Volpedo. Orari: gio, ve, sa, 18.0022.00. Dal 22 settembre ve, sa, do 14.00-18.00. Billboards. Vari luoghi. Giugno-agosto Take Me (I’m Yours), ex parcheggio Giuriolo, settembre. www.anime-boltanski.it www.mambo-bologna.org


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Cultura e Spettacoli

All’essenza della materia

Mostre La Pinacoteca Züst ospita la prima retrospettiva della ceramista biaschese Raffaella Columberg Alessia Brughera Non era soltanto un atelier quello aperto nel 1954 a Biasca, in via Lucomagno, dalla ceramista Raffaella Columberg e da sua sorella Cerere: era bonariamente chiamato «la baracheta» ed era un vero e proprio punto di ritrovo per i giovani del paese che qui si incontravano per discutere di arte, di società e di politica. Anche quando negli anni Sessanta le due sorelle si trasferiscono in zona ai Grotti, nella spaziosa casa-chalet di famiglia circondata da grandi alberi di castagno, non viene meno il loro spirito di accoglienza che fa della nuova sistemazione un luogo altrettanto amato e abitualmente frequentato da pittori, scultori, architetti e intellettuali. Con Raffaella artista e Cerere impegnata in ambito politico e sociale (sebbene fosse anche preziosa assistente della sorella), l’abitazione diventa una fucina d’arte e di pensiero, uno spazio aperto alla pratica e al dibattito. Proprio con la ricostruzione dello studio dei Grotti si apre la mostra, curata da Daniele Agostini, che la Pinacoteca Züst di Rancate dedica a Raffaella Columberg a dieci anni dalla sua morte. Mentre gli strumenti del mestiere, le prove per la preparazione degli smalti e i libri sulla tecnica ceramica ci raccontano come l’artista di origini biaschesi sperimentava e ideava le sue opere, al-

Vinci i biglietti per la retrospettiva Fino al 20 agosto le opere di Raffaella Columberg sono esposte alla Pinacoteca Zuest Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» biglietti gratuiti per le manifestazioni organizzate tramite il Percento culturale. Per partecipare basta inviare una email a giochi@azione.ch indicando il proprio nome, cognome, indirizzo postale e la parola chiave «Mostra». Il concorso termina mercoledì 19 luglio alle 24.00 ed è riservato a chi non ha beneficiato di vincite nel corso degli scorsi mesi. Buona fortuna!

Raffaella Columberg, La pecora nera. (Collezione privata)

cuni lavori degli «amici di Raffaella» ci raccontano il fervido contesto culturale in cui si è mossa, animato da assidui contatti con figure di spicco ticinesi e internazionali. Ad arricchire la formazione della Columberg ci sono gli studi a Zurigo, le frequentazioni nei primi anni Cinquanta delle lezioni di Leoncillo Leonardi a Roma e negli anni Sessanta dei corsi all’Istituto Statale d’Arte di Faenza, dove inizia anche a lavorare nel laboratorio aperto dal ceramista greco Panos Tsolakos. Un’occasione, quest’ultima, che si dimostra estremamente importante per l’artista sia per i rapporti instaurati con gli esponenti del vivace gruppo gravitante attorno all’atelier faentino sia per il saldo legame con lo stesso Tsolakos, sua guida e mentore. Ci sono poi anche i numerosi viaggi in Europa e Oltreoceano, preziose opportunità per raccogliere nuovi spunti da rielaborare nel silenzio dello studio di Biasca: sebbene fortemente legata alla terra ticinese, la Columberg alimenta sempre la sua arte con espe-

rienze cosmopolite, sintomo della sua curiosità e dell’attitudine a confrontarsi con linguaggi espressivi differenti. Estrosa e innovativa, Raffaella Columberg ha dato un contributo non trascurabile allo sviluppo dell’arte ceramica nel nostro cantone, raggiungendo esiti di notevole interesse in un percorso di ricerca segnato dalla sperimentazione e dalla capacità di veicolare messaggi profondi. È proprio grazie alla sua dedizione e alla sua inventiva che le si può attribuire ampio merito nella riabilitazione di questa forma d’arte, ancora considerata dai più una semplice pratica artigianale. Con questo medium antichissimo e molto duttile la Columberg ha dato vita a opere di diverso genere in cui non è mai venuta a mancare l’attenzione all’originalità. Partendo da materie prime locali, l’artista era solita produrre da sé quasi tutti i semilavorati compresi gli smalti utilizzati nella decorazione, a dimostrazione della sua abilità in tutte le fasi del processo creativo e della volontà di ottenere risultati inediti.

La mostra di Rancate documenta bene la variegata produzione della Columberg, il cui filo rosso è rintracciabile proprio nell’inesausta esplorazione della materia attraverso la forma e il colore. Nella prima delle quattro sezioni in cui è suddivisa l’esposizione troviamo una serie di manufatti legati alla vita quotidiana. Si tratta di piatti, ciotole, tazze, teiere, vassoi e gioielli dagli smalti brillanti e dalle eleganti decorazioni che testimoniano l’alta considerazione della Columberg per l’oggetto, trattato come un’opera d’arte unica e irripetibile. Dai lavori presentati nel nucleo successivo si evince con maggior chiarezza quanto per la Columberg sia stata importante l’indagine formale, pungolata soprattutto dagli studi a Faenza e dalla frequentazione di Tsolakos. Qui troviamo opere in cui l’artista si focalizza sui volumi, creando sculture geometriche a incastro che vengono scomposte e ricomposte. Oltre agli aspetti più prettamente stilistici la Columberg ritiene fonda-

mentali quelli contenutistici, peculiarità evidente soprattutto nelle ceramiche delle due ultime sezioni, in cui sono raccolti lavori che richiamano ora le vicende più controverse del suo tempo, come ad esempio l’inquietante Centrale di Černobyl’ o il tragico Trittico dei busti, ora temi sociali e spirituali a lei cari quali la disuguaglianza, l’emarginazione e la solidarietà. Guardando queste opere vengono alla mente le parole di Leoncillo Leonardi racchiuse in un brano del suo Piccolo diario: «Creta, creta mia, materia mia artificiale, ma carica per metafora di tutto ciò che ho visto, amato, di ciò a cui sono stato vicino, delle cose che ho dentro, con cui, in fondo, mi sono, volta per volta, identificato». Dove e quando

Raffaella Columberg (1926-2007) ceramista. Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate. Fino al 20 agosto 2017. Orari: da ma a ve 14.00-18.00; chiuso il lunedì. www.ti.ch/zuest

In vacanza al museo Estate in mostra / 1 U na rassegna sulle proposte d’arte che il cartellone svizzero

dell’estate 2017 ha programmato «in periferia» Emanuela Burgazzoli D’estate i musei non vanno in ferie e le proposte di arte sono molte e di qualità, anche nei centri più periferici rispetto alle grandi città, come Basilea e Zurigo. Si comincia in Vallese con un classico, un padre dell’arte moderna, ammirato dai grandi come Picasso: la fondazione Gianadda di Martigny propone infatti un’ampia ricognizione della produzione pittorica di Paul Cézanne con ottanta dipinti e una ventina di acquarelli. L’esposizione, intitolata Il canto della terra e aperta fino al 19 novembre, privilegia la produzione paesaggistica, ma annovera anche ritratti, nature morte e scene di bagnanti, uno dei soggetti ricorrenti del pittore di Aix. Non può mancare la sagoma di quella montagna, la Saint Victoire, che Cézanne negli ultimi anni indaga e dipinge più e più volte, cercando una sintesi che lo avvicina all’astrazione. Cézanne è stato anche uno dei punti di riferimento per Ferdinand Gehr, artista nato a Niederglatt nel 1896, al quale

il Kunstmuseum di San Gallo dedica una mostra di impostazione inedita, che mette a confronto l’opera del «pittore svizzero delle chiese» del Novecento con Jean Arp e Henri Matisse. Arp, attirato da una xilografia, aveva voluto conoscere Gehr nei primi anni Cinquanta e ne era diventato amico. E l’esposizione – visibile fino al 27 agosto – sottolinea

le affinità elettive fra i due artisti, accomunati dalla stessa predilezione per le forme organiche e un’arte che mira all’essenza spirituale della realtà. Un confronto completato dall’accostamento con un altro maestro della modernità, Henri Matisse, e in particolare la sintesi formale dei suoi «papiers coupés». Nel canton Argovia vale di certo

Max Matter, Hungerberg, 1968. (Aargauer Kunsthaus)

una visita il Kunsthaus di Aarau, dinamico museo cittadino, che propone fino al 1. ottobre una rassegna sulla Pop art svizzera, la prima esaustiva mostra su questa corrente artistica in Svizzera. La Pop art, si sa, ha travalicato ben presto i confini di Stati Uniti e Gran Bretagna, diventando un movimento internazionale, che ha avuto i suoi esponenti anche in Svizzera. Cinquanta gli artisti scelti – da Renzo Ferrari a Markus Raetz, da Urs Lüthi a Jean Lecoultre, da Flavio Paolucci a Daniel Spoerri – e quasi 300 le opere selezionate nel decennio fra il 1962 e il 1972. Un’occasione per capire quali declinazioni ha assunto la Pop art in Svizzera e quanto questo movimento abbia dato un impulso a livello internazionale agli artisti elvetici. A partire infine dal 26 agosto e fino al 12 novembre il Kunstmuseum di Winterthur propone a cura dell’ormai ex direttore Dieter Schwarz, una monografica su uno dei padri dell’arte astratta, il pittore francese Jean Fautrier, di cui resta celebre la serie degli Otages, che inventano un informale

fatto di materia e luce. Un percorso, che documenta l’evoluzione del suo linguaggio pittorico dagli esordi figurativi, grazie anche al prestito di dipinti e disegni raramente esposti. A Vevey, il Musée Jenisch, che ospita anche la sede della Fondazione Oskar Kokoschka, la più ricca al mondo di opere del maestro della Secessione viennese, ha allestito fino al 1. ottobre una retrospettiva della sua produzione pittorica, in concomitanza con la pubblicazione del catalogo ragionato delle opere aggiornato al 1980. A Losanna infine da non mancare una visita al Musée de l’Hermitage per dare uno sguardo a una delle collezioni d’arte più prestigiose e controverse della Svizzera, divenuta poco accessibile dopo i clamorosi furti del 2008: la collezione Bührle, con un nucleo di capolavori dell’impressionismo raccolti dall’industriale zurighese a partire dal 1937. A fine ottobre ripartirà per il Giappone in attesa del rientro in Svizzera nel 2020, quando sarà collocata nei rinnovati e ampliati spazi dell’omonima fondazione a Zurigo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Cultura e Spettacoli

Carona si popola di immagini Fotografia Le antiche vie del borgo si trasformano in una esposizione a cielo aperto

in cui ammirare tre diversi itinerari iconografici Giovanni Medolago Non sono certo frequentissime le mostre fotografiche all’aperto. È dunque con particolare entusiasmo che segnaliamo «Carona Immagina», iniziativa voluta dalla Galleria La Loggia e dal suo responsabile Luciano Bignotti, il quale – con una nutrita schiera di collaboratori – ha scelto di trasformare l’affascinante nucleo di Carona in una galleria open air dove sono proposte una settantina di immagini di grande formato (si raggiungono persino i 2x3m). Un’iniziativa insolita e parecchio impegnativa dal punto di vista logistico. Le immagini sono stampate su alluminio – per resistere alle intemperie – e per trasportarle sin lassù si è dovuto ricorrere a un autocarro con tanto di rimorchio…

La manifestazione si concluderà domenica 15 ottobre con un’asta delle opere esposte e un «finissage» Sono tre i percorsi proposti dagli organizzatori e che partono tutti da Piazza Montaa, dove fra l’altro fa bella mostra di sé la fontana disegnata da Meret Oppenheim. Uno è dedicato alle foto di Alessandra Meniconzi, scattate durante alcuni dei suoi innumerevoli viaggi in terre lontane e talvolta inospitali come la Mongolia e la Siberia. La fotografa luganese, insignita recentemente dell’ennesimo riconoscimento internazionale, nell’estremo oriente russo ha documentato la vita dei Nenets,

Gli scatti di Ettore Silini indagano il mondo degli insetti.

popolo nomade che vive soprattutto dell’allevamento delle renne in una tundra oggi minacciata sia dai cambiamenti climatici, sia dalle trivellazioni

Le foto qui pubblicate sono ricostruzioni proposte sul sito della manifestazione. (www.caronaimmagina.ch)

condotte alla ricerca di gas e petrolio. In Mongolia, invece, è stata affascinata dalla caccia con le aquile, tradizione millenaria per il popolo kazako. «La fotografia» confessa Alessandra «mi consente non solo di registrare le mie sensazioni ma anche di stimolare la mia curiosità verso quello che viene definito diverso dalla nostra cultura. Così la fotografia nei miei viaggi è diventata un elemento indispensabile. Le immagini che sento più vicine sono quelle della gente e degli spazi selvaggi. L’elemento che cerco di sfruttare al meglio nelle mie foto è la luce: spesso resto seduta per ore a guardare un paesaggio aspettando che la luce trasformi una banale fotografia in qualcosa di meraviglioso».

L’altro itinerario propone qualcosa di più vicino a noi (anzi: «A km zero!», celia Bignotti), ma si entra in un microcosmo sconosciuto ai più. L’artista mendrisiense Ettore Silini, con la pazienza dei veri entomologi, è infatti andato alla ricerca degli insetti che popolano le nostre campagne. Ha puntato in particolare su quanto di antropomorfo presentano paleotteri o ditteri di casa nostra (i loro sguardi attoniti o curiosi, spaventati o disincantati), ottenendo effetti curiosi e talvolta addirittura inquietanti. Lo scopo del suo lavoro? «Esplorare quel piccolo universo che calpestiamo giornalmente. Svelare la bellezza celata nel semplice e nell’inconsueta realtà. Chiudere gli occhi per un istante e riaprirli in un mondo po-

polato da buffi individui che vestono i colori dell’arcobaleno. Osservarli, meravigliarsi e perdersi nell’infinità di dettagli che confermano la nostra diversità. Tutto questo mi emoziona, e perché no, mi permette di tornare bambino per qualche istante». Il terzo itinerario è riservato ad alcuni allievi del Centro Scolastico Industrie Artistiche (CSIA), i quali non hanno pensato a un fil rouge, presentando lavori che spaziano dall’impegno sociale (il bimbo di colore che deve prendersi cura dei suoi fratellini) all’immagine concettuale; dagli sguardi volitivi di una donna decisa ad affrontare le avversità della vita; a somiglianze, dettagli, frammenti di corpi e di vissuti.

C’è pizza e pizza Editoria Nella bella collana che l’editore il Mulino dedica alle parole più comuni dell’italiano,

un saggio storico e linguistico su uno dei piatti più celebri Stefano Vassere «La pizza napoletana non è certo un cibo che fa passare tranquilla la notte, nemmeno a un giovane dallo stomaco di ferro. Giovanni Verga, l’indomani, non aprì gli occhi. E De Roberto si dava pugni sulla testa, maledicendo quel vecchio imbecille che aveva fatto mangiare di notte, a un uomo di ottant’anni, un intruglio di pomodoro e olio fritto». Secondo Vitaliano Brancati, scrisse lui l’aneddoto in un articolo dal titolo Gli ultimi giorni di Giovanni Verga, fu una pizza mal digerita a uccidere, una mattina di gennaio del 1922, il grande scrittore siciliano. Nel gustoso Che pizza!, del linguista italiano Paolo D’Achille, il feroce aneddoto brilla in quanto unica e isolata voce nell’unanime coro di scrittori, giornalisti, storici e letterati che della pizza napoletana fecero e fanno, nei secoli e oggi, grande e reiterata lode; come se il piatto quasi nazionale per eccellenza presentasse, oltre all’indubbio portato culturale e

simbolico, una più concreta serie di virtù salutari, al riparo da qualsivoglia disagio nell’assunzione e nella conseguente digestione. L’aneddoto, che è pregevole appunto per quel suo solitario giudizio, sta appunto in un appena sfornato libro che entra come terzo in una collana dell’editore il Mulino dedicato a parole fondanti della nostra lingua: Luca Serianni vi ha già curato Parola e Giuseppe Patota Ciao!. E ora appunto Paolo D’Achille arriva con la pizza. La struttura è simile, l’ordine dell’esposizione conosciuto e confortante: prima di tutto, una sistemazione etimologica, che qui è tutta in salita, tra pizze, pinze e pite, con calate di goti e longobardi, antichi romani, soldataglie mediterranee che mangiano sempre qualcosa di simile, ora dolce ora no, ora con un grano ora con l’altro, con o senza pomodori, aglio, basilico, formaggio a fette o grattato sopra, molte altre complicazioni. La mangia Torquato Tasso a Mantova, la descrivono Francesco de Sanctis e Alexandre Du-

mas; la troviamo in italiano, nei dialetti, nel latino volgare. Più recentemente, il linguista onomasta Enzo Caffarelli

ne censisce quattromila denominazioni: dalla semplice Margherita su su, passando per i quattro formaggi, le quattro stagioni, le calabresi, le trevigiane, le tirolesi, le americane, le hawaiane, fino alle etichette più improbabili e personalizzate, ai confini del concetto, quando la pizza tende a smettere di essere tale e rischia di essere altro: quelle con le patatine fritte, con la cotoletta, con l’hot dog adagiato sopra. Una parola satura di storia e geografia come questa offre mille piste di studio: si può voler sapere come si chiamano i modi di prepararla e consumarla, i luoghi dove si vende (lo svizzero-italo-americano Hermann Haller diede, anni fa, un repertorio delle pizzerie newyorchesi), gli usi figurati (dalle pizze del cinema, agli usi, sempre connotati negativamente nelle esclamazioni: «che pizza», cioè «che noia»), i derivati pizzetta, pizzella, pizzeria. Spesso il piatto è associato, chissà per quale motivo, a luoghi, città, regioni, in una non delimitabile e quasi sem-

pre immotivata fucina di formazioni e associazioni. Un cibo relativamente semplice diventa testimone di culture infinite, varia, si modifica, si contamina, esprime sue modalità, suoi dialetti verrebbe da dire. Certo che la linguistica, quella ben fatta e ben scritta, se ha un pregio è proprio quello di una commovente leggibilità; questo libro sulla lingua delle pizze ha rigore indubbio nel metodo e nella scienza, ma si legge d’altro canto in un bóff. Uno. E due: più passa il tempo e più, chi legga spesso cose della materia, costruisce la convinzione che è nella storia della lingua che la provincia italiana degli studi linguistici si alza sopra ogni altra tradizione di studi sorella: la francese, l’anglosassone, la tedesca, ogni altra scuola. Questo libro fila subito nella libreria più cara. Bibliografia

Paolo D’Achille, Che pizza!, Bologna, il Mulino, 2017.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Cultura e Spettacoli Elena Boillat ha partecipato all’edizione 2017 del Performa Festival, sostenuto dal Percento culturale Migros. (www.performafestival.ch)

Rae Sremmurd, tra inni e ananas Open Air Ogni anno Frauenfeld si trasforma

per tre giorni nella capitale europea della cultura rap e hip hop, e questo grazie anche al fondamentale partenariato con Migros

Simona Sala

Corpo come arte

In scena La performing art in Svizzera: le giovani leve

rispondono «presente»!

Muriel Del Don Cosa si nasconde dietro l’etichetta «performing art»? Il termine è fluttuante, si ramifica e muta con il tempo. Le istituzioni di aiuto finanziario, fondamentali per la sopravvivenza dell’arte (e degli artisti), non sanno spesso come classificare questa pratica, sorta d’ibrido che ingloba differenti espressioni artistiche ed il cui risultato non assomiglia a niente di conosciuto. Certamente il corpo, inteso come strumento per esprimere la propria umanità e identità, è il suo fondamento essenziale in quanto la presenza fisica dell’artista garantisce l’esistenza stessa dell’opera. Malgrado le varie correnti e le differenti mutazioni nel tempo la performance si è imposta come una forma d’arte che esprime attraverso il corpo un rigetto dell’omologazione. Nel caso della performing art il pubblico è spesso confrontato con un avvenimento che per sua natura rompe i tabù mettendo in questione l’ordine prestabilito. Tantissimi i performer che nel passato, anche nella ridente Svizzera, hanno messo alla prova i nervi dei benpensanti, basti ricordare l’internazionalmente riconosciuto Dieter Meier dei Yello, l’ormai super star Roman Signer, la giunonica Manon e la sua corporalità in costante mutazione o ancora il carismatico e misterioso Urs Lüthi che amava scombussolare proponendo agli spettatori un’identità sessuale volutamente ambigua e seducente. La performance rappresenta per molti artisti plastici un mezzo inedito, rapido e diretto per reagire ai cambiamenti, inglobando il pubblico nelle loro riflessioni sull’arte e il mondo. Fra gli artisti o i collettivi che si esibiscono in Svizzera negli anni ottanta e che vogliono fare tabula rasa dei valori borghesi troviamo: Bataks, Walter Pfeiffer (fotografo e videomaker di fama mondiale), Christian Philippe Müller o i collettivi Minus Delta T e Black Market (diventato in seguito Black Market International). Nel decennio successivo i performer diventano invece porta parola di una violenta rimessa in questione dell’onnipotenza della medicina e della classica dicotomia uomini/donne (gender studies), senza dimenticare le riflessioni sul concetto di identità nazionale e etnica e sui nuovi media. Tra i porta bandiera di questa nuova generazione troviamo l’austriaco, bernese d’adozione, Gerhard Johann Lischka (filosofo e curatore), i docenti e gli allievi della F+F School for Art and Media Design Zürich, l’influente artista, educatore, organizzatore di festival (e molto altro ancora) Norbert Klassen o ancora, a Ginevra, il pioniere della «danza alternativa» Yann Marussich e l’eclettica artista spagnola, anche lei svizzera d’adozione, La Ribot. Se agli

inizi la performing art è considerata come un’arte marginale la situazione è decisamente mutata col tempo. Questa si impone oggi con forza nei musei, nelle gallerie d’arte e nelle fiere internazionali, una trasformazione avvenuta grazie agli sforzi dei numerosi artisti che hanno saputo valorizzarla e teorizzarla attraverso festival e conferenze. La Svizzera è stata da sempre terra di grandi performers, questo è un fatto ormai acquisito. Quello che è più difficile da valutare è invece l’impatto che questi hanno avuto (e continuano ad avere) sulle nuove generazioni. In breve: cosa rimane nel nostro paese di questa forma d’arte sovversiva e innovativa? In Svizzera le scuole d’arte e i festival dedicati alla performing art (pura o influenzata dal teatro o dalla danza contemporanea) sono numerosi e qualitativamente sorprendenti. Per quanto riguarda la Romandia La HEAD di Ginevra, che propone un Bachelor in arti visive con indirizzo Action/Interaction, sorta di laboratorio interdisciplinare dove gli studenti sperimentano usando corpo, voce, video, suono, immagine e testo, fa sicuramente sicuramente parte dei primi della classe. Anche lui di ottimo livello ma questa volta in Svizzera tedesca troviamo il Master Extended Theater di Berna (Hochschule der Künste), maggiormente improntato sul teatro ma permeabile alle altre arti della scena. Unico a livello internazionale questo Master offre agli studenti la possibilità di far conoscere il loro lavoro al di fuori del territorio elvetico avvalendosi di competenze transdisciplinari che vanno ben oltre l’idea di teatro nel senso classico del termine. Tra i professori invitati troviamo performers di fama internazionale quali Ivo Dimchev, la compagnia Peeping Tom, Felix Kubin e François Chaignaud. Un bouquet di personalità complesse ed allettanti alle quali ispirarsi. Il teatro nel senso ampio del termine (multimediale e multimodale) è messo in avanti anche all’Accademia Dimitri di Verscio, vero e proprio campus universitario immerso nella natura dedicato alle arti della scena. L’indirizzo Physical Theatre offre agli studenti un percorso multidisciplinare al fine di esplorare la propria individualità artistica. La ZHdK di Zurigo e La Manufacture di Losanna sono invece le due uniche scuole d’arte svizzere a proporre un Bachelor in danza contemporanea. A Losanna la direzione della scuola è affidata a Frédéric Plazy mentre il Bachelor in danza è diretto da Thomas Hauert, coreografo di fama internazionale formatosi alla Codarts di Rotterdam, ex ballerino della famosa compagnia Rosas di Anne Teresa De Keersmaeker e insegnante dell’altrettanto famosa scuola P.A.R.T.S. diretta dalla stessa De Keersmaeker a Bruxel-

les. I tre anni di Bachelor prevedono una fitta rete di collaborazioni proprio con P.A.R.T.S. e con l’Università di Berna (dipartimento di studi tetrali e coreografici). Per quanto riguarda invece i festival che mettono le arti performative sotto i riflettori ritroviamo tra gli altri il Festival Balluard Bollwerk di Friborgo, il BONE Performance Art Festival di Berna, La Bâtie Festival e l’Antigel di Ginevra, il Far° di Nyon o ancora Les Urbaines di Losanna e il ticinese Performa Festival. Basilea accoglierà invece alla fine di quest’anno PerformanceProcess, una rassegna unica nel suo genere che si svilupperà su cinque mesi. La ricchezza e la diversità della performing art svizzera dal 1960 ai giorni nostri sarà celebrata attraverso una cooperazione inedita tra il museo Tinguely, Kaserne Basel e la Kulsthalle di Basilea, in partenariato con il Centro Culturale svizzero di Parigi e con il sostegno della città di Basilea. Performance Process Basel metterà in luce la ricchezza delle pratiche performative svizzere da un punto di vista storico ma non solo. L’attenzione sarà in effetti portata sull’avvenire di questa pratica attraverso produzioni di artisti emergenti e già affermati. Il Centro Culturale Svizzero di Parigi è sempre stato attivo nella promozione della scena performativa svizzera anche grazie al suo festival Extra Ball, quest’anno curato da Patrick de Rham et Ysaline Rochat dell’insolente festival Les Urbaines di Losanna. Gli artisti presenti hanno trasformato negli anni la manifestazione in un appuntamento imperdibile per gli amanti delle arti della scena. L’ultima edizione ha visto sfilare il provocante e sensuale Lukas Beyeler con la sua performance di tre ore e un quarto Parodius, con Ivan Blagajcevic, François Sagat e il ticinese Rocco Schira, Raphael Defour e la sua performance autobiografica e radicale Da Love Tape tra delirio pop noise e intimismo adolescenziale, Laetitia Dosch con il suo one woman show Un album, una messa in scena toccante e umana impegnata di umorismo e Daniel Hellman che parla al pubblico delle sue esperienze in quanto prostituto nello spettacolo Traumboy, interrogando così la morale, le paure e i preconcetti di una società iper capitalista e sessualizzata. Senza dimenticare la radicale artista vodese Anna Rochat che con la video performance Doris Magico, Back on the Wall presenta al pubblico un condensato dei suoi lavori. La performer romanda mette il corpo al centro della sua ricerca artistica, tra fisicità e tensione psicologica. Tanti appuntamenti imperdibili insomma che dimostrano quanto le nuove leve della performing art siano agguerrite. Aspettiamo con ansia la prossima mossa.

Anche quest’anno le colline turgoviesi che circondano Frauenfeld su cui sono adagiate placide fattorie centenarie, per tre giorni hanno fatto da anfiteatro naturale al rimbombo dei bassi, da habitat a circa 50’000 ragazzi (Frauenfeld è un festival per giovanissimi), e da contrappunto quasi surreale a un palco che ha ospitato tutta una serie di star della musica, tra cui molte provenienti da quei moderni ghetti occidentali che da noi si chiamano quartieri popolari e negli USA «projects», e sono alquanto famigerati. I ragazzi sono tutti in shirts e shorts e hanno l’aria assai innocua a dire il vero, in contrasto quasi stridente con i testi che intonano. Le ragazze, come sempre più smaliziate dei loro coetanei, sono tutte con una medesima acconciatura a doppia treccia, sebbene questa non sia ispirata al paesaggio bucolico, come verrebbe forse ingenuamente da pensare, bensì alle star globali del reality, le sorelle Kardashian-Jenner. Quelle stesse sorelle che vengono spesso citate nei testi delle canzoni a Frauenfeld, anche perché nutrono un’aperta predilezione per alcuni importanti esponenti del rap, come Kanye West, Tyga o French Montana. Durante il giorno la voglia di ballare è forse attutita – nonostante i 51 (!) concerti in programma – dalle temperature tropicali; poco male però, perché le grandi star, quelle che sbancano il Billboard, YouTube e Spotify, che spopolano tra i giovani a suon di fb, meme e hashtag, entrano comunque in scena solamente a partire dal tardo pomeriggio, quando l’atmosfera scivola gradualmente verso temperature più sostenibili e la voglia di sentire dal vero artisti come Usher and The Roots, Travis Scott, Weeknd, G-Eazy, o Bushido e Marteria (star germanofone dell’hiphop) si trasforma in una collettiva frenesia emozionata. Il popolo di Frauenfeld è figlio di prima generazione della tecnologia, e per questo ne conosce mezzi, vezzi e richiami. Quando Desiigner (divenuto celebre a 19 anni grazie al tormentone Panda e all’aiuto di Kanye West) invita il pubblico a salire sul palco, e si fanno avanti in centinaia, tanti da finire per nascondere l’artista di Atlanta e costringere gli organizzatori a interrompere il concerto, nessuno si scompone. Grandi strascichi non ci sono nemmeno dopo la reazione di Travis Scott: quando un ragazzo del pubblico gli sfila dal piede una Yeezy, Scott ha un accesso di rabbia e aizza il pubblico contro il ladruncolo, invocando proprio quella violenza («Fuck him up») che i detrattori rinfacciano a questo genere musicale. Tra le grandi star di quest’anno spiccano due fratelli del Mississippi, Khalif «Swae Lee» e Aaquil «Slim Jxmmi», alias Rae Sremmurd, che dalla

Il loro nome è la lettura a rovescio di «Ear Drummers».

loro esibizione a Frauenfeld del 2015 di strada ne hanno fatta molta. Forse Rae Sremmurd (che non è altro che il contrario di Ear Drummers, la loro etichetta) non è un nome che ai più dica molto, ma basti sapere che sono stati fra gli indiscussi protagonisti del web per aver dato la colonna sonora a uno dei contest più celebri: era loro la Black Beatles del Mannequin contest. E proprio la provocazione di chiamarsi «Black Beatles», lanciata da due minuti afroamericani stratatuati, sprizzanti energia e turpiloquio, ha dato adito a una polemica (in rete, ovviamente) planetaria. I Fab Four sono solamente i quattro di Liverpool, con quale arroganza dunque due senzatetto che hanno fatto della festa, dei party e dello sballo il loro mandato primario, e che propongono testi non proprio ricercatissimi in cui spesso bitch fa rima con rich, osano tirare in ballo i mostri sacri della musica? (Per dovere di cronaca: Paul McCartney al Mannequin contest ha partecipato!) Ma come hanno dimostrato in concerto, fra un lancio di ananas e mille saluti alla Svizzera, fra una capriola e un duetto con Lil Yachty, i rampolli adottivi del megaproduttore Mike Will (che firma molte loro canzoni) sono in tutto e per tutto figli della nostra epoca. Il concerto non poteva dunque che aprirsi con l’inno alla gioia Start a Party, brano di apertura di SremmLife 2, album per il quale si sono scomodati anche «The New York Times» e «The Guardian». Rae Sremmurd fanno un genere ibrido, in bilico tra rap e trap, dance e melodico. «Inclusive rap» lo chiamano Oltreoceano, proprio per quella forza trascinatrice, magnetica e ipnotica che li contraddistingue, per la capacità di interagire con il pubblico (e l’interazione va avanti, tra un concerto e l’altro, incessantemente, sui social), per il talento di creare espressioni e linguaggi nuovi. No Type o Flex Zone, sono ormai molto più (o molto meno) di una canzone, quanto più dei mantra da gridare in coro: «I own my own money so I spend it how I like». Al loro secondo lavoro SremmLife 2 è stato anche rimproverato un calo di energia e creatività, che però con il tempo (anche se qui si parla di settimane, siamo nella social media speed culture) si è rivelato un percorso di maturità, come dimostra la nuova Unforgettable, realizzata insieme a French Montana, e il cui video è stato girato negli slum di Kampala, Uganda, quasi a testimoniare anche un viaggio «back to the roots» dei due fratelli. Come d’altronde conferma anche il brano Came a long Way, dove si racconta di due afroamericani dei projects, a un certo punto senzatetto, che mai avrebbero pensato un giorno di potersi scatenare contro Trump davanti a milioni di giovani, né di dettarne ritmi e modi di dire, tantomeno di navigare letteralmente nell’oro. Ma che ora, a poco più di 20 anni, lo fanno, divertendosi e divertendo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Cultura e Spettacoli

Le vibrazioni sulla pelle

Personaggi Incontro con la violinista tedesca, celebre per aver iniziato la sua carriera a 13 anni,

sotto la direzione di Herbert Von Karajan

Enrico Parola Poi sono arrivate le varie Hillary Hahn, Julia Fischer, Janine Jansen. Dopo. Perché la prima «lolita dell’archetto», la prima bambina a stupire il mondo col violino è stata lei, Anne-Sophie Mutter. Aveva solo 13 anni e già aveva stregato il mito del podio d’allora, Herbert von Karajan. Ora è una matura signora di 54 anni (compiuti il 29 giugno), fascinosa e virtuosa di uno strumento che la vede ancora tra i massimi interpreti viventi. «Ancora» suona strano, ma non per lei che a maggio ha festeggiato con i Berliner Philharmoniker diretti da Riccardo Muti e con il Festival di Salisburgo i quarant’anni di collaborazione, per poi riportare alla Scala il Concerto di Brahms con cui aveva debuttato nel 1986. Che cosa ricorda di quegli esordi con Karajan?

Un periodo meraviglioso: lui mi spingeva sempre ad andare al limite delle mie possibilità, anzi ad andare oltre perché mi suggeriva la sua visione della musica, aprendomi orizzonti sconfinati e prospettive di una profondità inimmaginabile. Soprattutto per una tredicenne…

Tanti immaginano quanta soggezione potesse avere una bambina al cospetto di un mito che intimidiva anche i più grandi solisti e le migliori orchestre; beh, da una parte certo, l’emozione era forte e lui sulla musica era inflessibile, non concedeva deroghe all’età, non ammetteva l’imperfezione; allo stesso tempo però mi trovavo a mio agio: era affabile e disponibile, forse perché aveva due figlie una più grande e una più piccola di me, quindi mi trattava un po’ come se fossi una terza figlia, quella di mezzo. Anche lei ha avuto due figli

E dall’avvocato di Karajan (Detlef Wunderlich, ndr.)! è stato il mio primo marito, per sei anni. Se Karajan ha influito in misura determinante sul mio percorso musicale, loro lo hanno fatto sulla mia vita e proprio per questo anche sulla carriera. Innanzitutto a livello quantitativo: prima suonavo tantissimo, anche cento serate consecutive in tournée, poi ovviamente ho limitato gli impegni, eliminando per un po’ di anni i viaggi più lunghi, annullando completamente l’Estremo Oriente e tornando a casa più spesso. Non è facile conciliare la carriera di concertista con quella di mamma.

Ma non è detto che un equilibrio pur

Il 29 giugno scorso ha compiuto 54 anni. (Bastian Achard)

impegnativo sia un limite, un di meno. Umanamente mi hanno arricchito, penso mi abbiano reso una persona migliore, hanno allargato la mia visione del mondo e questo ha approfondito anche il mio modo di guardare la musica. D’altra parte, pur essendo sempre dispiaciuta quando lasciavo i bimbi a casa per suonare in qualche città, penso che non sarei stata capace di rimanere a casa 365 giorni all’anno; forse senza musica non sarei stata neppure una brava mamma.

Avrà sicuramente insegnato la musica a loro

Diciamo che in famiglia sono stata migliore come mamma che come musicista. Arabella aveva problemi già col flauto a scuola, ha preferito la danza; Richard aveva provato col violino, a sei anni; ma pensava che bastasse imbracciarlo e agitare l’archetto per far uscire delle belle note, invece…Dopo un’oretta mi chiese perché non suonasse come suonavo io e gli ho spiegato che il suono mi usciva così perché studiavo da quarant’anni. Ha smesso subito ed è

passato al pianoforte, lì i suoni vengono subito precisi.

Arabella è un personaggio teatrale di Richard Strauss, Richard è anche il nome di Wagner oltre che del compositore bavarese. Si è ispirata a loro?

No, Arabella perché ci piaceva e basta; mi piace la musica di Wagner, ma come uomo era orribile e aveva idee orribili; Richard è per Riccardo Cuor di Leone, mi piace tantissimo come personaggio. In generale lei caldeggia molto l’avvicinamento dei bambini alla classica.

Certo! Bisogna portarli a concerto, tanto o si entusiasmano e seguono o si addormentano, comunque non disturbano, e anche se chiedono qualcosa a papà o mamma può andar bene, non sarà certo l’unico rumore in sala. Poi bisogna farli toccare con mano gli strumenti, farglieli provare; di tutto, anche i tamburi, le percussioni; se la questione diventa troppo rumorosa, beh… hanno inventato i tappi per le orecchie! Quelli di cera funzionano benissimo.

A proposito di musica in famiglia, il suo secondo marito fu André Previn, pianista e compositore acclamato.

Sì, un grande, per me anche più grande di Bernstein. Ovviamente ne ho suonato i brani e in casa suonavamo spesso assieme; lui però tra le mura domestiche amava soprattutto cimentarsi col jazz; e gli veniva benissimo. Lei, almeno pubblicamente, si è sempre tenuta nel solco classico.

Ma lì sono stata di ampie vedute, ho suonato di tutto da Bach fino ai contemporanei. Prima di diventare mamma suonavo anche l’intero repertorio in una sola stagione, anche se era molto impegnativo non solo fisicamente ma anche intellettualmente perché si deve continuamente cambiare mondo. I brani preferiti?

Beethoven e Brahms sono quelli che ho affrontato più volte e infatti quando debutto in una città preferisco farlo con i loro concerti; quello di Beethoven, in particolare, perché l’ho studiato tantissimo con Karajan e non mi sono

mai dimenticata dei suoi insegnamenti. Non ho remore a suonare Bach col violino moderno e non barocco: lui al suo tempo cercava gli strumenti migliori, avesse avuto i nostri…

Capitolo abiti; lei è sempre molto elegante, colori spesso sgargianti, ma se c’è una caratteristica comune dei suo vestiti da palco è l’essere sempre smanicati. Perché?

Non è un vezzo estetico ma una necessità musicale: voglio avere spalle e braccia completamente libere per suonare e adoro sentire le vibrazioni dello strumento direttamente sulla pelle, senza nessun filtro. Quale significato dà alla musica, al concerto?

Parlo per l’arte in generale: uscire da se stessi, maturare, spalancarsi; conservo ancora vivo il ricordo di quando, avrò avuto 15 anni, vidi per la prima volta il famoso campo di grano coi corvi dipinto da Van Gogh: mi sembrò davvero di uscire da me stessa ed entrare non solo nel quadro, in quella scena, ma nel mondo mentale del pittore.

Il fascino del canto antico

La musica va in vacanza Dai Piccoli cantori della Turrita ai madrigali di Monteverdi,

da Basilea alla Cina, Lorenza Donadini Camarca segue il filo del proprio progetto artistico Zeno Gabaglio Lorenza Donadini Camarca

Cresciuta a Camorino, nel 1997 si è trasferita a Basilea, dove ha conseguito una formazione filologica presso l’Istituto di musicologia e di italianistica e musicale alla Schola Cantorum Basiliensis. In questo contesto ha fondato l’ensemble Perlaro (www.perlaro.ch). Al rientro in Ticino ha seguito un corso di perfezionamento vocale al Conservatorio della Svizzera italiana con Luisa Castellani. Come solista e cantante di ensemble collabora con diversi gruppi – tra i quali il Coro della Radiotelevisione svizzera, Peregrina, Il Canto di Orfeo e Venice Baroque Orchestra – partecipando a tournée e incisioni in Europa e negli Stati Uniti.

Nella valigia musicale

1. La divisa dei Piccoli cantori della Turrita – A sette anni sono entrata nel coro dei Piccoli cantori della Turrita – diretto da Eros Beltraminelli – dove per quindici anni ho vissuto esperienze uniche e indimenticabili. L’attività corale iniziata sin da bambini costituisce una base educativa fondamentale non solo per gli aspetti artistici: con essa si forma infatti l’intera personalità e si allenano le prime relazioni sociali. 2. V libro dei madrigali di Claudio Monteverdi – La scintilla che ha acceso il mio già crescente interesse per la musica antica è scattata durante una lezione di musica al Liceo di Bellinzona, quando l’allora docente – Anna Ciocca-Rossi – aveva proposto l’ascolto di brani tratti dal V libro dei madrigali del «Divino Claudio». Uno stimolo e un motivo d’ispirazione così seducen-

ti che non ho più potuto farne a meno. 3. Schola Cantorum Basiliensis – Per ogni appassionata di musica antica la Schola Cantorum Basiliensis rappresenta un grande sogno, e il mio si è avverato quando gli studi universitari già avviati. Nella storica istituzione basilese ho vissuto un percorso accademico e artistico davvero intenso, grazie a professori di alta levatura culturale che hanno saputo coinvolgere noi studenti – provenienti da ogni parte del mondo – ad addentrarci nel repertorio antico, studiandone le fonti manoscritte e suonando insieme più opere possibili. 4. Biglietto aereo per la Cina – Nel 2007 con l’Ensemble Perlaro siamo stati invitati a esibirci in Cina, in vari contesti e anche all’ambasciata svizzera con l’allora ambasciatore Martinelli. Un’autentica avventura, quella di portare il nostro repertorio antico in una cultura

così diversa dalla nostra: già solo spiegare le esigenze acustiche di un piccolo gruppo è stato arduo rispetto alle loro grandi sale, in cui peraltro abbiamo dovuto esibirci amplificati. Oltre a cantare brani del repertorio di musica antica e della tradizione popolare ticinese abbiamo interpretato – a grande richiesta – la famosa canzone cinese MoLiHua, raccogliendo un entusiasmo e un sincero interesse oltre ogni attesa. 5. «Con voce quasi humana» – «Con voce quasi humana» è il titolo della seconda produzione discografica del mio ensemble Perlaro, da poco pubblicata dalla casa discografica Raumklang. La realizzazione di questa produzione è stata stimolata dall’organizzatrice del Festival Montalbâne in Germania che, per l’edizione del 2014 dedicata alla musica medievale italiana, desiderava un programma di brani trecenteschi, inter-

pretati esclusivamente da cantanti. Un obiettivo filologico audace che abbiamo perseguito con l’intento di ridare ai brani l’essenziale purezza della vocalità, seppure questo repertorio normalmente lo si esegue con il sostegno di strumenti. Valigia musicale

1. La divisa dei Piccoli cantori della Turrita 2. V libro dei madrigali di Claudio Monteverdi 3. Tessera di studente della Schola Cantorum 4. Biglietto aereo per la Cina 5. «Con voce quasi humana»


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Idee e acquisti per la settimana

shopping La carne nostrana alla brace Costolette di maiale** Facili da grigliare, le costolette devono essere cotte bene. Si grigliano a fuoco diretto. Una volta marinate a piacimento, si cuociono da ambo i lati per circa 8-10 minuti, fino a raggiungere una temperatura interna di 65°C. Lasciar riposare 5 minuti prima di servire affinché le fibre si rilassino e i succhi si possano distribuire bene.

Collo di maiale** Le bistecche di collo di maiale si preparano a fuoco sostenuto. Questo taglio risulta particolarmente saporito e succoso grazie alle venature di grasso che sciogliendosi conferiscono un aroma pronunciato alla carne. Strofinare prima la carne con la marinata e grigliarla per circa 10 minuti girandola di tanto in tanto. Lasciar riposare e servire.

Illustrazione Sergio Simona

Bistecche di manzo* Tenere e saporite, le bistecche cuociono in brevissimo tempo a fuoco diretto. Per condirle è sufficiente anche solo ungere la carne con qualche goccia d’olio d’oliva, sale grosso e pepe macinato di fresco. I tempi di cottura sono di circa. 5 minuti, oppure quando internamente la carne raggiunge una temperatura di 55°C.

Luganighe* Come la luganighetta, anche le luganighe sono prodotte con carne di maiale, pancetta e spezie varie, tra cui noce moscata, aglio e vino rosso che conferiscono un aroma incomparabile alla specialità. Le luganighe cuociono sul grill a fuoco medio per circa 10 minuti, tagliate longitudinalmente e schiacciate. Non serve condirle.

Cosa mettere sulla griglia? Migros Ticino propone agli appassionati succulenti tagli di carne della regione, ideali per il grill. I maiali sono allevati presso la Fattoria del Faggio di Giubiasco, mentre i bovini della razza Charolais pascolano liberamente sui terreni dell’Azienda Agricola Fratelli Aerni di Gordola. La lavorazione è invece affidata a specialisti del settore di lungo corso: la Salumi del Pin di Mendrisio, per quanto riguarda la carne di maiale, e alla Terrani SA di Sorengo per il manzo Charolais.

Spiedini di manzo* Gli spiedini di manzo sono amati da grandi e piccini non solo per la loro tenerezza, ma anche perché si possono mangiare con le mani. Prima di grigliarli, occorre spennellarli bene con la marinata, poi cuocerli a fuoco sostenuto diretto per circa 8 minuti girandoli spesso per evitare che si attacchino alla griglia e brucino.

*In vendita a libero servizio **In vendita al banco carne delle maggiori filiali

Luganighetta* Non c’è grigliata senza la tradizionale luganighetta ticinese a spirale. La salsiccia di insaccato crudo viene preparata con carne magra di maiale e pancetta macinate grosse, a cui viene aggiunta una sapiente miscela di spezie prima di essere confezionata nel budello naturale. La luganighetta va grigliata a fuoco medio per ca. 15 minuti. Dato il sapore già pronunciato, non è necessario marinarla.

Nostrani del Ticino in degustazione Fino al prossimo 16 settembre tutti i giovedì, venerdì e sabato vi aspettano golose degustazioni di diversi prodotti dei Nostrani del Ticino, nei supermercati Migros di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con la bontà.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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Idee e acquisti per la settimana

Gli insetti amici dei pomodori

Migros-Bio Floriano Locarnini ci parla di sé, della sua produzione di pomodori e della lotta

biologica contro gli organismi dannosi

Aphidius (in alto) e Phytoseiulus sono molto efficaci nella lotta biologica.

Vivina Martines, collaboratrice dell’Orticola Locarnini, durante la raccolta dei pomodori cherry bio. (Giovanni Barberis)

Floriano Locarnini, orticoltore bio a Sementina e fornitore Migros.

«Sono diventato contadino perché sono cresciuto in una famiglia di agricoltori che mi ha trasmesso la passione per questo mestiere. Dal 1995 ho convertito completamente l’azienda al biologico rinunciando all’utilizzo di qualsiasi prodotto chimico. La mia è stata una scelta di vita nell’ottica della salvaguardia dell’ambiente e della salute, come pure nella convinzione di produrre ortaggi naturali di eccellente qualità.

Tutti i miei prodotti sono coltivati nel rispetto delle severe direttive di Bio Suisse. Da giugno a settembre i pomodori sono tra le mie colture principali, suddivisi tra le varietà datterino, tondo, cuore di bue, rosa, Marmande, cherry e pomodoro Roma. Per ottenere prodotti gustosi e di qualità, tra i diversi metodi faccio capo anche alla lotta biologica, tramite l’uso di antagonisti naturali che lottano contro gli organismi no-

Azione 40%

civi alle colture: i parassiti più comuni che possono colpire e danneggiare le piante di pomodoro sono ad esempio la mosca bianca, i pidocchi e il temuto ragnetto rosso comune. Per ognuno di questi “nemici” si impiegano degli ausiliari mirati che vengono “lanciati” sulle foglie di pomodoro. Contro la mosca bianca c’è l’Encarsia Formosa, una piccola vespa che è il parassitoide principale di queste mosche e viene

utilizzato durante tutta la stagione. Tra i parassitoidi più efficaci contro i pidocchi troviamo invece l’Aphidius Colemani, il quale svolge il suo ciclo larvale all’interno del corpo dell’afide “svuotandolo” lentamente. Infine, per lottare contro il ragnetto rosso, facciamo uso del Phytoseiulus persimilis, un acaro predatore che attacca tutti gli stadi di sviluppo del ragnetto rosso con preferenza per gli stadi giovanili».

Trota grigliata

La Trüta (trota nostrana) Bio, per 100 g Fr. 1.95 invece di 3.30 dal 18 al 22.07.2017

Le trote iridee nostrane sono allevate nel Malcantone in laghetti di pura acqua di sorgente, nei quali dispongono di molto spazio per muoversi. L’alimentazione è costituita da mangimi bio certificati e da un mix di farina e olio di pesce sostenibili. Le trote sono apprezzate per la delicatezza delle loro carni, il contenuto di grassi ridotto e perché sono ottime cotte intere sulla griglia. Per prepararle, spruzzate i pesci con del succo di limone e spennel-

latelo con un po’ di olio d’oliva. Lavate delle erbe fresche a scelta, ad esempio prezzemolo, rosmarino, timo e origano, e inseritele nella cavità ventrale dei pesci. Condite con sale e pepe. Grigliate bene i pesci a fuoco medio sulla brace per ca. 10 minuti per lato. Quando la pinna dorsale si stacca facilmente, le trote sono pronte per essere impiattate e servite. Potete anche usare la speciale griglia per pesci per evitare che la trota si attacchi al grill.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

37

Idee e acquisti per la settimana

Piaceri gastronomici

Attualità Fino alla fine del mese i Ristoranti Migros propongono una variegata selezione

Flavia Leuenberger

di specialità nostrane

Come antipasto un piatto di affettati misti, una selezione di formaggi d’alpe oppure salametti al merlot con crostoni all’aglio e zucchine marinate. Tra i piatti freddi unici troviamo, la trota in carpione, o ancora formaggini freschi con pomodorini cherry, una croccante insalatona mista, tofu con verdure o la scarpazza. Per gli amanti dei primi il menù prevede polenta abbrustolita con formaggella Crenga della Valle di Blenio, gnocchi di patate al sugo o ancora Raviöö ripieni, per esempio, di formaggio d’alpe, asparagi, farina bona e caprino con pepe della Valle Maggia oppure melanzane… Durante le prossime due settimane gli chef dei Ristoranti Migros vi aspettano per farvi assaggiare prelibati piatti preparati con passione e savoirfaire utilizzando esclusivamente ingredienti della tradizione ticinese. Infine, per accompagnare le nostre invitanti proposte culinarie locali, non mancano nemmeno le gazose ai differenti aromi, la tisana e l’Aquaciara, l’acqua sorgiva del Monte Tamaro. Annuncio pubblicitario

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20% Tutto l’assortimento Starbucks per es. Caffè Latte Fairtrade, 220 ml, 1.65 invece di 2.10

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1.60 invece di 2.– Tutti gli yogurt Farmer 225 g, per es. Crunchy ai frutti di bosco

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20% Tutti i cake e i biscotti M-Classic per es. discoletti, 400 g, 3.60 invece di 4.50

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Confetture di fragole, lamponi e albicocche Extra in vasetto, 500 g a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione

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30% Tutti i caffè istantanei Cafino, Noblesse e Zaun per es. Cafino Classic, UTZ, in busta da 550 g, 7.70 invece di 11.–

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20% Tutte le olive in bustina, vasetto e scatola (Alnatura escluse), per es. olive nere spagnole Hojiblanca, 150 g, 1.85 invece di 2.35

Tutti i tipi di aceto e condimenti Ponti per es. aceto balsamico di Modena, 50 cl, 3.40 invece di 4.25

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 luglio 2017 • N. 29

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La scelta di cibi per gatti è molto ampia, e spesso è difficile trovare la qualità adatta al proprio micio. I nuovi alimenti Nala grazie all’alto contenuto di carne, sono la scelta giusta perché vengono prodotti senza utilizzare frumento, zucchero e aromatizzanti, quindi sono più digeribili e particolarmente adatti agli amici felini più sensibili. Gli alimenti sono disponibili sotto forma sia di cibo umido sia secco, in differenti varianti per ogni fase della vita del gatto.

Nala Junior pollo, alimento umido 6 x 85 g* Fr. 4.80

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