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Genitori alla ricerca della ricetta perfetta
Da essere genitori siamo passati a fare i genitori: secondo lo psicoterapeuta Alberto Rossetti «pensare alla genitorialità come a una professione è uno dei tratti specifici di questo nostro tempo». (Pexels.com)
Il caffè delle mamme ◆ Sui social sono sempre più numerosi i coach che elargiscono consigli su come comportarsi con i propri figli
Sui social sotto al nome di personaggi seguiti da decine di migliaia di follower c’è una qualifica sempre più ricorrente: counselor o parent coach. Al di là delle definizioni in inglese, il significato è sempre lo stesso: a spopolare, in particolare su Instagram, sono i coach per genitori, ossia figure che ci dicono come è meglio comportarci con i nostri figli. Sotto la qualifica, ogni genere di promessa: «Mi prendo cura di te per migliorare il rapporto con i tuoi figli», «Ti alleno a potenziare la comunicazione con tuo figlio», «Aiuto a comunicare meglio con bambini e adolescenti», «Ti aiuto a trovare la soluzione alle difficoltà con tuo figlio», «Ti aiuto a gestire meglio le emozioni con tuo figlio», «Aiuto le mamme e i papà a diventare i genitori che vogliono essere», «Guido genitori e bambini a diventare più felici e ad avere più successo», «Ti aiuto a smettere di arrabbiarti con i tuoi figli», «Ti aiuto a gestire i momenti di capricci, rabbia e opposizione», «Da genitore frustrato a sereno e sicuro di sé», «Diventa il genitore che avresti voluto». Via via che scorriamo i profili Instagram a Il caffè delle mamme ci sorge spontanea una domanda: noi genitori siamo davvero messi così male nel rapporto con i nostri figli?
Ci assicurano la soluzione per farci ascoltare, comunicare in modo ef- ficace, gestire la nostra e la loro rabbia, passare da minacce e punizioni ad amorevole fermezza ed empatia. Ci suggeriscono gli incoraggiamenti da dare prima dell’ingresso a scuola, le domande da rivolgere quando escono, le parole migliori da usare nelle più svariate circostanze («Invece di dire “attento che cadi”, prova a dire “mantieni l’equilibrio”», «Invece di dire “basta capricci” prova a dire “vieni qui che mandiamo via le lacrime”», ecc.). Ci indicano come comportarci per porre regole e limiti, avere autorevolezza, uscire dal loop di punizioni e premi, prevenire i capricci. Ci snocciolano gli errori da evitare per migliorare la relazione con i nostri figli: smettere di correggerli, non avere l’ansia da controllo emotivo, non tentare di condizionarli ma lasciar loro il tempo di crescere. Ci svelano segreti, strategie infallibili, strumenti efficaci per vivere in famiglia serenamente, perfino per pianificare una giornata efficace (testuali parole) con i nostri figli.
Il fenomeno è sicuramente la conseguenza di una diffusione di massa dei social che rendono accessibile a tutti la psicologia o presunta tale e che vede soprattutto nelle mamme in cerca di consigli delle frequentatrici assidue delle piattaforme. La convinzione a Il caffè delle mamme è, però, che bisogna andare più a fondo e capire perché siamo arrivati fin qui. Degli spunti interessanti a tal proposito arrivano dal capitolo «Da essere genitore a fare il genitore: la vana ricerca della ricetta perfetta» del nuovo saggio dello psicoterapeuta Alberto Rossetti La vita dei bambini negli ambienti digitali (ed. GruppoAbele, gennaio 2023). Le cause del bisogno spasmodico di consigli su come comportarci possono essere principalmente tre, tutte interconnesse tra loro. Uno: la sempre maggiore solitudine dei genitori. Dice Rossetti: «Nella famiglia allargata le competenze inerenti alla cura, all’accudimento e all’educazione di un figlio si apprendevano sul campo. Con le famiglie che diventano meno numerose, una maggiore mobilità sul territorio e l’arrivo del primo, a volte unico, figlio in età più avanzata rispetto al passato, questa fonte di apprendimenti si è indebolita. E la sempre maggiore solitudine dei genitori ha fatto più spazio a conoscenze tecniche, scientifiche o evidence based, come si sente dire spesso». Due: l’ansia da prestazione da ricondurre all’insicurezza generata dalla solitudine. «Pensiamo ai figli, come ultimamente accade purtroppo sovente, come a un investimento fatto dai genitori, e non come a degli esseri umani liberi che devono emanciparsi dalla famiglia e diventare cittadini del mondo. Le famiglie hanno cominciato a spendere più tempo e denaro nella scuola e nella formazione in generale. Il figlio è diventato anche un investimento economico, per cui si fanno delle rinunce in cambio della sua felicità futura – osserva Rossetti –. In più, anche i genitori hanno cominciato a investire tempo e denaro su loro stessi, frequentando corsi e laboratori rivolti a genitori e affidandosi a manuali che promettono di avere successo con i figli. Si è via via diffusa l’idea che la genitorialità potesse essere un mestiere e quindi che dovesse essere trattata alla stregua di qualsiasi altro lavoro. Ovvero con una formazione iniziale e dei corsi di aggiornamento a seconda del problema e dell’età del bambino/ragazzo». Tre: da essere genitore siamo passati a fare i genitori. «Pensare alla genitorialità come a una professione è uno dei tratti specifici di questo nostro tempo – sottolinea Rossetti –. Da quest’ultima prospettiva il parenting si riferisce a un modello di genitorialità in cui ci sono una serie di “compiti”, oppure tasks per dirla con il termine inglese, di cui ci si deve occupare per essere dei bravi genitori. Come se esistesse uno standard giusto, una sorta di genitore perfetto a cui fare riferi- mento». In sintesi: siamo alla ricerca della ricetta perfetta.
A Il caffè delle mamme, a questo punto, non possiamo fare a meno di chiederci: la ricetta perfetta esiste davvero? Ognuno di noi deciderà se i consigli dei coach per genitori ci possono essere d’aiuto o minare le già poche certezze che abbiamo. Ma questa riflessione di Rossetti merita, a nostro avviso, di essere considerata: «È impossibile avere certezza sul risultato finale. Il risultato finale non dipende soltanto dalle nostre azioni. Non c’è traccia di ricerca che ci dica, con sufficiente validità, che una certa azione educativa avrà un risultato specifico a lungo termine. Genitori alle prese con il digitale, nel lettone insieme ai figli, lasciarli piangere oppure prenderli in braccio, costringerli a studiare o lasciarli liberi di giocare… ebbene, nessuna di queste decisioni prese dai genitori potrà determinare a priori come sarà quel bambino da adulto. In termini più tecnici potremmo aggiungere che a un certo input non corrisponderà un dato output. Tra l’altro, parlando di esseri umani, meno male. Altrimenti più che di educazione dovremmo parlare di addestramento e quindi di annullamento di qualsiasi soggettività del bambino». Rassegniamoci, dunque: la ricetta giusta non esiste. Per fortuna.