Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 7 agosto 2017
Azione 32 -63 ping M shop ne 33-41 / 56 i alle pag
Società e Territorio Un’iniziativa della SSR per promuovere gli archivi dell’informazione, aperta a tutti
Ambiente e Benessere La canicola non sarà più un’eccezione, è ormai già quasi un dato di fatto: dal 2003 al 2015 la prevenzione delle sue conseguenze è migliorata, ma si può e si deve fare ancora di più
Politica e Economia L’espansionismo russo è figlio della paura generata da una storia costellata di invasioni
Cultura e Spettacoli Alla Buchmann di Lugano un’opera del giapponese Tatsuo Myiajima, artista digitale
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di Fabio Dozio pagina 3
Ti-Press
Onsernone, valle da scoprire
Un solo volto per il Ticino di Peter Schiesser Il Comitato cantonale del PLR non ha avuto dubbi, ci sarà un solo candidato alla successione di Burkhalter in Consiglio federale: Ignazio Cassis, già medico cantonale, consigliere nazionale e capogruppo alle Camere (carica dalla quale si è sospeso), presidente di Curafutura (idem). Nonostante gli inviti giunti dall’esterno, una doppia o tripla candidatura (con Laura Sadis e Christian Vitta) è stata considerata troppo rischiosa da Bixio Caprara: poteva essere interpretata come un atto di arroganza, come il desiderio di occupare non uno ma due posti sulla lista che il 20 settembre il PLR nazionale presenterà ai deputati delle Camere. La politica non è una scienza, una strategia comporta sempre dei rischi, si potrà quindi valutare solo ad elezione avvenuta se questa sia la scelta giusta. A chi scrive sia solo permesso di aggiungere che una doppia (o tripla) candidatura poteva anche essere il segnale che si dispone di più persone valide con profili diversi, lasciando alla presidenza del partito nazionale la facoltà di decidere quale di questi incarna maggiormente lo spirito dominante nel partito e/o ha le maggiori possibilità di venire eletto.
Ignazio Cassis conosce i meccanismi di Palazzo federale, ha intessuto utili relazioni con i colleghi in parlamento, gli si riconoscono buone competenze in campo sanitario e sociale; , rispetto a Sadis e Vitta, dalla sua parte sta anche la statistica, secondo la quale quasi sempre i consiglieri federali provengono da una delle due Camere (anche se le quattro eccezioni erano donne: Ruth Dreifuss, Ruth Metzler, Micheline Calmy-Rey, Eveline Widmer-Schlumpf, quasi tutte con esperienza in governo). E senz’altro Cassis rispecchia maggiormente la linea, di centro-destra, del partito nazionale. Basterà? Cassis resta il candidato con le migliori possibilità. Anche sui giornali di Oltralpe, dalla «Neue Zürcher Zeitung» al «Tages Anzeiger», si percepisce un ampio sostegno alla rivendicazione di un seggio in Consiglio federale da parte del Ticino. Pure la costellazione generale parla a favore di un ticinese in governo. Come ha ricordato lo storico Urs Altermatt in un articolo sulla NZZ del 21 luglio, una candidatura ticinese ha avuto successo quando il Ticino si è trovato in una situazione di emergenza, perché un consigliere federale ticinese può contribuire a mantenere stabile la situazione nel sud della Svizzera: «Non siamo oggi, nel mezzo della crisi migratoria in Europa, in una
simile situazione?» scrive Altermatt. Tuttavia, i giochi non sono fatti, il 20 settembre possono sorgere dinamiche imprevedibili, alcune elezioni degli ultimi 15 anni ce lo hanno dimostrato. Cassis dovrà forse affrontare le azioni di disturbo della sinistra, che potrebbe preferirgli un(a) candidata dalla Romandia. Sui media svizzero tedeschi era circolata la voce che il PS volesse presentare una «Sprengkandidatur», come fece con Eveline Widmer-Schlumpf contro Christoph Blocher, ed era circolato il nome di Laura Sadis. Considerato che l’ex consigliera di Stato ha sempre fatto dipendere una sua candidatura dall’appoggio del partito, questa pare un’ipotesi remota. La presidente della Confederazione Doris Leuthard (ai suoi ultimi anni in Consiglio di Stato, secondo quanto annunciato da lei stessa) ha detto che un ticinese in governo non è strettamente necessario, più consiglieri federali parlano italiano e hanno un legame con il Ticino, c’è una sufficiente sensibilità verso i problemi del cantone. Con tutto il rispetto, non si tratta solo di saper cogliere i problemi del Ticino, ma anche di poter accogliere gli stimoli positivi, i progetti utili anche al resto della Svizzera che vengono dai ticinesi – e in questo un consigliere federale ticinese può contribuire senz’altro.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Società e Territorio La porta dei ricordi Le sensazioni aprono la nostra esperienza quotidiana alla pienezza della vita
Seppie da combattimento Splatoon 2 è un videogioco molto divertente proposto da Nintendo: usando varie modalità di azione sfideremo gli amici a colpi di colore
Onsernone valle vicina
Spot più equi Fa discutere l’intervento delle autorità inglesi su una pubblicità televisiva pagina 6
Chilometro zero Viaggio in valle per scoprire potenzialità e ambizioni di una regione che punta al rilancio
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Fabio Dozio
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La nostra storia va sulla Rete
Frammenti da rivivere e condividere. (RSI)
Teche RSI Un’iniziativa nazionale della SSR che promuove gli archivi dell’informazione e si apre alla partecipazione
di tutti gli utenti, in una sorta di grande social dedicato al passato della nostra regione Barbara Manzoni Il web offre possibilità fino a poco tempo fa inimmaginabili per la raccolta e la condivisione di documenti, un’evoluzione che ha modificato profondamente non solo gli archivi istituzionali ma anche quelli privati, dove si custodiscono testimonianze dirette del nostro passato, quelle che toccano l’emotività oltre che la curiosità. In questo ambito nella Svizzera italiana da qualche mese si sta muovendo un progetto voluto dalla Fondazione Patrimonio Culturale della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana (RSI). Si chiama lanostraStoria.ch, è accessibile a tutti e racconta di noi, del nostro territorio, della nostra gente. Ne abbiamo parlato con il redattore responsabile e moderatore Lorenzo De Carli, che è anche un collaboratore di «Azione» e che, sulle nostre pagine, proporrà nei prossimi mesi una sorta di «finestra sul nostro passato» avvicinandoci così ai contenuti che man mano arricchiranno la piattaforma. Lorenzo De Carli, che cos’è la piattaforma «lanostraStoria.ch» e come è nata?
Si tratta di un portale web che consente a chiunque di creare un proprio account
dove pubblicare contenuti multimediali dedicati alla storia della Svizzera italiana. È nato dalla volontà della Fondazione Patrimonio Culturale della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana di offrire anche nella nostra regione linguistica una piattaforma di storia partecipativa come «notreHistoire.ch». La piattaforma – di cui è responsabile Mauro Ravarelli, pure responsabile delle Teche RSI – è stata realizzata con un software specificamente sviluppato per svolgere attività editoriali collaborative. Ciò significa che se privati, musei e archivi sono liberi di creare il proprio profilo personale o istituzionale, «lanostraStoria.ch» focalizza l’attenzione degli utenti sui documenti e sulla loro aggregazione, incoraggiando la condivisione e il commento. Quali sono gli scopi?
L’obiettivo è quello di creare uno spazio pubblico, dove lasciare la libertà di pubblicare e condividere documenti utili allo scopo di tratteggiare la storia della Svizzera italiana. È un esempio di uso sociale degli archivi privati e pubblici. Ci sono già siti web molto belli, realizzati con l’intenzione di salvaguardare la memoria del nostro paese: il Museo della memoria, per esempio, o l’Archivio audiovisivo di Capriasca e Val Colla. La piattaforma «lanostraStoria.ch» svolge
un’azione complementare e federativa. Complementare perché fornisce agli utenti non solo contenuti, ma – gratuitamente – gli strumenti necessari per pubblicarli autonomamente; federativa perché consente a qualunque archivio o museo che già abbia un sito di pubblicare su «lanostraStoria.ch» una selezione dei contenuti con il doppio scopo di permetterne una facile condivisione e, nello stesso tempo, di attirare l’attenzione sulla loro attività. Che cosa viene raccolto e pubblicato? Come valutate la qualità del materiale?
Le tipologie di documenti che, per ora, la piattaforma può ospitare sono quattro: video, audio, foto e testi. Con queste tipologie, in un contesto editoriale privo di banner e di pubblicità, gli utenti, nei loro profili, possono creare dei dossier articolati in capitoli; oppure realizzare delle raccolte. Il principio di fondo che orienta l’attività editoriale della piattaforma è quello della knowledge sharing culture, vale a dire quella cultura che accorda un particolare valore alla condivisione delle conoscenze. In questa prospettiva la qualità del materiale non è intrinseca ai documenti stessi, ma al valore di conoscenza generato dal loro uso sociale, dalla loro capacità
di dar luogo a narrazioni – anche quelle degli storici professionisti. Chi può partecipare? E come?
La partecipazione è aperta a chiunque abbia interesse per il progetto editoriale e ne accetti le regole di comportamento. Per fruire senza restrizioni di tutti i documenti disponibili non occorre far nulla. Viceversa, per commentare, pubblicare e condividere bisogna avere un account. La creazione di un account offre anche la possibilità di creare un profilo dell’utente. Si può essere un utente privato, e in questo caso ci si presenta con nome e cognome; oppure si può essere un utente istituzionale, come per esempio un museo o un’associazione. Il profilo comincerà ad essere mostrato al pubblico non appena l’utente avrà pubblicato i primi suoi documenti. A scuola, per esempio, si può immaginare che una classe o un gruppo di ricerca crei un account nel portale «lanostraStoria.ch» allo scopo di pubblicare documenti raccolti nel corso di uno studio, inserendo nel dossier realizzato qualunque altro documento disponibile nella piattaforma. Come gestite la questione dei diritti d’autore?
Chi crea un account nella piattaforma «lanostraStoria.ch» s’impegna a pubbli-
care solo contenuti dei quali possiede i diritti. Siccome si tratta di una questione sempre un po’ spinosa, un paio di testi disponibili nella piattaforma forniscono le informazioni essenziali. Gli utenti possono scegliere di pubblicare i loro documenti, usando una delle varie opzioni disponibili. Noi suggeriamo la licenza Creative Commons CC-BY-NC-ND, che permette a chiunque di usare il documento pubblicato, a condizione di non modificarlo e di citare fonte e autore.
Nelle altre regioni linguistiche esiste una piattaforma simile? Con quale riscontro tra la popolazione?
La piattaforma editoriale «lanostraStoria.ch» usa la stessa tecnologia di «notreHistoire.ch», condividendone anche la struttura editoriale. Lanciata nel 2009 dalla Fondation pour la sauvegarde du patrimoine audiovisuel de la RTS (FONSART) e diretta da Françoise Clément, «notreHistoire.ch» conta ormai quasi centomila documenti e quattromila utenti attivi, quelli cioè che pubblicano contenuti con regolarità. Si tratta di un’iniziativa editoriale di successo e in continua evoluzione. In autunno, nei Grigioni, sarà inaugurata «nossaIstorgia.ch» in lingua romancia e l’auspicio è che possa presto veder la luce anche la versione in lingua tedesca.
C’è ma non si vede. Potremmo cominciare a descrivere la Valle Onsernone con un indovinello. Cosa c’è che non si vede? Non i boschi, visto che si tratta di una delle valli più verdi del Ticino, non i villaggi aggrappati alle pendici del versante sinistro della valle, con tante belle case costruite dagli emigranti che hanno fatto fortuna all’estero. Ciò che si può intuire, ma non si vede, è il fiume Isorno, che scorre sul fondo, sempre coperto dalla vegetazione: nasce in Italia, dove percorre circa dieci chilometri, poi disegna la valle in territorio elvetico bagnando il comune di Onsernone e a Intragna confluisce nella Melezza. L’Onsernone è la valle meno frequentata e meno conosciuta del Locarnese. Ed è anche la più povera. Nel 1850 contava tremila abitanti, oggi sono circa 800: 8 per chilometro quadrato. Negli ultimi anni il saldo migratorio è positivo, ma non c’è nessuna inversione di tendenza. Difficile che i giovani scelgano di andare a vivere in valle, ma questo rimane uno degli obiettivi del Municipio. Lo scorso anno c’è stata l’aggregazione comunale e da allora la valle ha un unico comune, Onsernone appunto. Un gran passo avanti, dal profilo politico, ma non ancora dal punto di vista economico. Che fare per rilanciare la valle? Bisognerebbe rendere virale la «sindrome dell’Onsernone» che ha colpito lo scorso anno Mike Keller, trentacinquenne nato e cresciuto in valle, espatriato per qualche anno, ma poi ritornato a casa per promuovere il turismo della regione. «Ho sempre avuto voglia di ritornare – ci confida Keller – poi c’è stata questa occasione. Passavo sempre davanti a questa bella villa che non era sfruttata secondo il suo potenziale, ora è un ostello che funziona. C’è gente di ogni parte del mondo che apprezza questa valle, abbiamo prenotazioni soprattutto da parte di giovani che cercano la tranquillità, il contatto con la natura, e scelgono ostelli rurali. Fanno yoga, camminano, studiano, vanno ai bagni. C’è un negozio a due passi e un ristorante a cento metri. È importante creare sinergie con le strutture che già esistono». Siamo nel giardino di Villa Edera ad Auressio, l’ostello rinnovato che offre camere singole e dormitori, cucina e spazi comuni ben arredati e molto accoglienti. La villa è stata costruita nel 1887 da Paolo Calzonio, cittadino di Auressio, emigrato giovanissimo a Parigi, dove da umile spazzacamino divenne impresario di successo. Nel bel giardino ombreggiato di villa Edera, accanto a Keller, c’è Nicola Pini, a cui il Comune e il Patriziato hanno affidato l’incarico di promuovere il rilancio della valle. Un impegno di due giorni la settimana per un periodo di quattro anni in qualità di manager regionale. «Il mio ruolo – spiega Pini – è di aiutare gli attori della valle a sostenere e dare impulso alle attività. Adesso
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Scorci e vedute della Valle Onsernone: dettaglio del Mulino di Vergeletto. (Ti Press)
siamo partiti con tre ostelli, se questi funzionano, possiamo aprire anche quello di Spruga. Stiamo organizzando l’accoglienza, anche puntando sugli alloggi privati a disposizione. Migliora anche il settore della ristorazione. Abbiamo una decina di ristoranti in valle, che stanno allestendo un prospetto che illustri questa offerta; fra settembre e ottobre organizzeremo una rassegna gastronomica, che non può dimenticare il prodotto tipico della zona, la farina bona. Poi introdurremo le biciclette elettriche, che fanno capo alla rete del Locarnese. Un’occasione in più per visitare la valle senza l’assillo del traffico motorizzato.» Una valle che già oggi offre molte attrazioni: un museo a Loco, il parco dei mulini e le cave di granito a Vergeletto, la riserva forestale tra Crana e Spruga, i Palazzi storici Gamboni e della Barca a Comologno, i bagni di Craveggia al confine di Spruga e, tanto per dissetarsi, tre birrerie artigianali. Un fiore all’occhiello da molti anni è il Centro sociale di Russo: punto d’incontro e di socializzazione, con una casa per anziani e un centro servizi.
L’intento di rilanciare la Valle Onsernone parte da lontano. Dalla nuova concezione federale della politica regionale, in vigore dal 2008, e dagli indirizzi della nuova politica regionale del Canton Ticino. In questo ambito, l’Onsernone è considerata una «zona a basso potenziale». Nel 2010 L’Istituto delle ricerche economiche ha presentato il rapporto «Onsernone 2020: il gusto dell’estremo» che, dopo un’ampia analisi del contesto socio economico, avanzava una serie di proposte per rilanciare la zona. Punto cruciale è che: «la Valle Onsernone è una regione a basso potenziale ma non a potenziale nullo, per cui siamo dell’avviso che sia opportuno lavorare e investire nello scenario “offensivo” di sviluppo programmato. La via è impervia, come la valle, ma non impraticabile. Proprio in questa connotazione di valle estrema si trovano le migliori possibilità di creare prodotti al confine tra tradizione, storia, svago, sport, salute e benessere da commercializzare in un mercato (anche) turistico, sempre più alla ricerca di emozioni forti ed esperienze uniche ed esclusive.» «Lo studio dell’IRE – ci dice Nico-
la Pini – pone molto l’accento sul turismo. Qui ci si aspetta di più, l’obiettivo del Municipio è di invitare la gente a trasferirsi in valle. Non siamo fuori dal mondo, Locarno è a trenta minuti. Il primo obiettivo è rilanciare il turismo, ma poi vogliamo incentivare il vivere in valle. Ho scoperto una grande voglia di promuovere la valle, bisogna lavorare assieme, condividere i progetti, coinvolgere gli abitanti. All’inizio c’era anche qualche diffidenza, solo se la gente ci crede le cose vanno avanti». «Per attirare nuovi residenti e non far scappare i giovani – ci dice il sindaco Cristiano Terribilini – stiamo lavorando su più fronti: dalla creazione di posti di lavoro (e qui il prospettato Parco già ora ha dato i suoi frutti), all’accesso all’abitazione per giovani famiglie, passando per la mobilità e la fiscalità. Ovviamente il Comune, per essere attrattivo, deve poter continuare a offrire quei servizi di base, quali ad esempio la scuola elementare, offerta questa, vista l’attuale evoluzione demografica in atto, che non è purtroppo più così scontata.» Il rapporto «Onsernone 2020»
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
Tiratura 101’766 copie
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
proponeva lo slogan «Il gusto dell’estremo», giudicato però forse troppo forte in valle. Il sito internet, appena nato e fondamentale per raggiungere soprattutto il turismo giovanile, si intitola «Wild Valley». Pazienza per aver tradito la lingua madre ma, se si pensa di coinvolgere turisti in provenienza dal resto del mondo, la licenza si giustifica. «Immagino per la nostra Valle un turismo consapevole, – precisa il sindaco – non di persone che arrivano da noi per caso. Un turismo attento alla bellezza del nostro paesaggio, ma anche alla nostra storia e cultura, visitatori che utilizzano i mezzi pubblici per spostarsi e che rimangono in Valle anche per pernottare. Certo, per arrivare a questo tipo di turismo dobbiamo adattare le nostre strutture ricettive, migliorandone la qualità, ma soprattutto quello a cui dobbiamo lavorare è la cultura dell’accoglienza, non solo tra le persone che lavorano nel settore turistico, ma anche tra tutta la popolazione». La vera scommessa futura è il Parco nazionale del locarnese, un potenziale di sviluppo non indifferente. È in gestazione da tempo e l’anno prossimo, verosimilmente, i cittadini coinvolti dovranno esprimersi. L’Onsernone è il polmone verde del Parco. «Ora si deve definire la Carta del Parco – spiega Pini – ma finora il processo di candidatura è stato positivo e stimolante, con decine di progetti sostenuti e finanziati, di cui anche noi abbiamo beneficiato. Le opportunità sono molte, la popolazione dovrà capire quali sono le limitazioni, ma anche i vantaggi. Va costruito un parco di nuova generazione, con le zone nucleo protette, ma anche con una certa elasticità. Per esempio noi abbiamo le cave in Val Vergeletto che devono poter continuare a lavorare. Bisogna coniugare protezione del territorio e sviluppo economico; se si propone un equilibrio sbilanciato, si rischia che la popolazione non accetti il progetto». «Il Parco – sostiene il sindaco – verrà approvato solo se prevarrà tra la popolazione chi ha a cuore il futuro della Valle in quanto comunità. Il pericolo concreto al quale siamo sottoposti è che se non troviamo una strada di sviluppo economico, e attualmente oltre al Parco vedo poco altro, diventeremo un territorio in cui ci saranno sempre più residenze secondarie e sempre meno abitanti permanenti. Uno scenario questo che certamente ad alcuni oppositori può anche far comodo, ma che non corrisponde con la mia visione del futuro dell’Onsernone.» Un’altra idea per far decollare l’Onsernone è la Casa delle valli, uno spazio fisico a Locarno dove vengano presentate tutte le valli del Locarnese con i loro prodotti e le loro attrazioni. L’obiettivo è attirare i locarnesi, ma anche gli altri ticinesi. «Dobbiamo far sentire la Valle Onsernone – conclude Nicola Pini – più vicina di quanto si pensi. Abbiamo bisogno di vicinanza fisica, ma anche politica. L’attenzione del mondo politico è importante. Vivere in Onsernone è bello!» Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Società e Territorio La porta dei ricordi Le sensazioni aprono la nostra esperienza quotidiana alla pienezza della vita
Seppie da combattimento Splatoon 2 è un videogioco molto divertente proposto da Nintendo: usando varie modalità di azione sfideremo gli amici a colpi di colore
Onsernone valle vicina
Spot più equi Fa discutere l’intervento delle autorità inglesi su una pubblicità televisiva pagina 6
Chilometro zero Viaggio in valle per scoprire potenzialità e ambizioni di una regione che punta al rilancio
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La nostra storia va sulla Rete
Frammenti da rivivere e condividere. (RSI)
Teche RSI Un’iniziativa nazionale della SSR che promuove gli archivi dell’informazione e si apre alla partecipazione
di tutti gli utenti, in una sorta di grande social dedicato al passato della nostra regione Barbara Manzoni Il web offre possibilità fino a poco tempo fa inimmaginabili per la raccolta e la condivisione di documenti, un’evoluzione che ha modificato profondamente non solo gli archivi istituzionali ma anche quelli privati, dove si custodiscono testimonianze dirette del nostro passato, quelle che toccano l’emotività oltre che la curiosità. In questo ambito nella Svizzera italiana da qualche mese si sta muovendo un progetto voluto dalla Fondazione Patrimonio Culturale della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana (RSI). Si chiama lanostraStoria.ch, è accessibile a tutti e racconta di noi, del nostro territorio, della nostra gente. Ne abbiamo parlato con il redattore responsabile e moderatore Lorenzo De Carli, che è anche un collaboratore di «Azione» e che, sulle nostre pagine, proporrà nei prossimi mesi una sorta di «finestra sul nostro passato» avvicinandoci così ai contenuti che man mano arricchiranno la piattaforma. Lorenzo De Carli, che cos’è la piattaforma «lanostraStoria.ch» e come è nata?
Si tratta di un portale web che consente a chiunque di creare un proprio account
dove pubblicare contenuti multimediali dedicati alla storia della Svizzera italiana. È nato dalla volontà della Fondazione Patrimonio Culturale della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana di offrire anche nella nostra regione linguistica una piattaforma di storia partecipativa come «notreHistoire.ch». La piattaforma – di cui è responsabile Mauro Ravarelli, pure responsabile delle Teche RSI – è stata realizzata con un software specificamente sviluppato per svolgere attività editoriali collaborative. Ciò significa che se privati, musei e archivi sono liberi di creare il proprio profilo personale o istituzionale, «lanostraStoria.ch» focalizza l’attenzione degli utenti sui documenti e sulla loro aggregazione, incoraggiando la condivisione e il commento. Quali sono gli scopi?
L’obiettivo è quello di creare uno spazio pubblico, dove lasciare la libertà di pubblicare e condividere documenti utili allo scopo di tratteggiare la storia della Svizzera italiana. È un esempio di uso sociale degli archivi privati e pubblici. Ci sono già siti web molto belli, realizzati con l’intenzione di salvaguardare la memoria del nostro paese: il Museo della memoria, per esempio, o l’Archivio audiovisivo di Capriasca e Val Colla. La piattaforma «lanostraStoria.ch» svolge
un’azione complementare e federativa. Complementare perché fornisce agli utenti non solo contenuti, ma – gratuitamente – gli strumenti necessari per pubblicarli autonomamente; federativa perché consente a qualunque archivio o museo che già abbia un sito di pubblicare su «lanostraStoria.ch» una selezione dei contenuti con il doppio scopo di permetterne una facile condivisione e, nello stesso tempo, di attirare l’attenzione sulla loro attività. Che cosa viene raccolto e pubblicato? Come valutate la qualità del materiale?
Le tipologie di documenti che, per ora, la piattaforma può ospitare sono quattro: video, audio, foto e testi. Con queste tipologie, in un contesto editoriale privo di banner e di pubblicità, gli utenti, nei loro profili, possono creare dei dossier articolati in capitoli; oppure realizzare delle raccolte. Il principio di fondo che orienta l’attività editoriale della piattaforma è quello della knowledge sharing culture, vale a dire quella cultura che accorda un particolare valore alla condivisione delle conoscenze. In questa prospettiva la qualità del materiale non è intrinseca ai documenti stessi, ma al valore di conoscenza generato dal loro uso sociale, dalla loro capacità
di dar luogo a narrazioni – anche quelle degli storici professionisti. Chi può partecipare? E come?
La partecipazione è aperta a chiunque abbia interesse per il progetto editoriale e ne accetti le regole di comportamento. Per fruire senza restrizioni di tutti i documenti disponibili non occorre far nulla. Viceversa, per commentare, pubblicare e condividere bisogna avere un account. La creazione di un account offre anche la possibilità di creare un profilo dell’utente. Si può essere un utente privato, e in questo caso ci si presenta con nome e cognome; oppure si può essere un utente istituzionale, come per esempio un museo o un’associazione. Il profilo comincerà ad essere mostrato al pubblico non appena l’utente avrà pubblicato i primi suoi documenti. A scuola, per esempio, si può immaginare che una classe o un gruppo di ricerca crei un account nel portale «lanostraStoria.ch» allo scopo di pubblicare documenti raccolti nel corso di uno studio, inserendo nel dossier realizzato qualunque altro documento disponibile nella piattaforma. Come gestite la questione dei diritti d’autore?
Chi crea un account nella piattaforma «lanostraStoria.ch» s’impegna a pubbli-
care solo contenuti dei quali possiede i diritti. Siccome si tratta di una questione sempre un po’ spinosa, un paio di testi disponibili nella piattaforma forniscono le informazioni essenziali. Gli utenti possono scegliere di pubblicare i loro documenti, usando una delle varie opzioni disponibili. Noi suggeriamo la licenza Creative Commons CC-BY-NC-ND, che permette a chiunque di usare il documento pubblicato, a condizione di non modificarlo e di citare fonte e autore.
Nelle altre regioni linguistiche esiste una piattaforma simile? Con quale riscontro tra la popolazione?
La piattaforma editoriale «lanostraStoria.ch» usa la stessa tecnologia di «notreHistoire.ch», condividendone anche la struttura editoriale. Lanciata nel 2009 dalla Fondation pour la sauvegarde du patrimoine audiovisuel de la RTS (FONSART) e diretta da Françoise Clément, «notreHistoire.ch» conta ormai quasi centomila documenti e quattromila utenti attivi, quelli cioè che pubblicano contenuti con regolarità. Si tratta di un’iniziativa editoriale di successo e in continua evoluzione. In autunno, nei Grigioni, sarà inaugurata «nossaIstorgia.ch» in lingua romancia e l’auspicio è che possa presto veder la luce anche la versione in lingua tedesca.
C’è ma non si vede. Potremmo cominciare a descrivere la Valle Onsernone con un indovinello. Cosa c’è che non si vede? Non i boschi, visto che si tratta di una delle valli più verdi del Ticino, non i villaggi aggrappati alle pendici del versante sinistro della valle, con tante belle case costruite dagli emigranti che hanno fatto fortuna all’estero. Ciò che si può intuire, ma non si vede, è il fiume Isorno, che scorre sul fondo, sempre coperto dalla vegetazione: nasce in Italia, dove percorre circa dieci chilometri, poi disegna la valle in territorio elvetico bagnando il comune di Onsernone e a Intragna confluisce nella Melezza. L’Onsernone è la valle meno frequentata e meno conosciuta del Locarnese. Ed è anche la più povera. Nel 1850 contava tremila abitanti, oggi sono circa 800: 8 per chilometro quadrato. Negli ultimi anni il saldo migratorio è positivo, ma non c’è nessuna inversione di tendenza. Difficile che i giovani scelgano di andare a vivere in valle, ma questo rimane uno degli obiettivi del Municipio. Lo scorso anno c’è stata l’aggregazione comunale e da allora la valle ha un unico comune, Onsernone appunto. Un gran passo avanti, dal profilo politico, ma non ancora dal punto di vista economico. Che fare per rilanciare la valle? Bisognerebbe rendere virale la «sindrome dell’Onsernone» che ha colpito lo scorso anno Mike Keller, trentacinquenne nato e cresciuto in valle, espatriato per qualche anno, ma poi ritornato a casa per promuovere il turismo della regione. «Ho sempre avuto voglia di ritornare – ci confida Keller – poi c’è stata questa occasione. Passavo sempre davanti a questa bella villa che non era sfruttata secondo il suo potenziale, ora è un ostello che funziona. C’è gente di ogni parte del mondo che apprezza questa valle, abbiamo prenotazioni soprattutto da parte di giovani che cercano la tranquillità, il contatto con la natura, e scelgono ostelli rurali. Fanno yoga, camminano, studiano, vanno ai bagni. C’è un negozio a due passi e un ristorante a cento metri. È importante creare sinergie con le strutture che già esistono». Siamo nel giardino di Villa Edera ad Auressio, l’ostello rinnovato che offre camere singole e dormitori, cucina e spazi comuni ben arredati e molto accoglienti. La villa è stata costruita nel 1887 da Paolo Calzonio, cittadino di Auressio, emigrato giovanissimo a Parigi, dove da umile spazzacamino divenne impresario di successo. Nel bel giardino ombreggiato di villa Edera, accanto a Keller, c’è Nicola Pini, a cui il Comune e il Patriziato hanno affidato l’incarico di promuovere il rilancio della valle. Un impegno di due giorni la settimana per un periodo di quattro anni in qualità di manager regionale. «Il mio ruolo – spiega Pini – è di aiutare gli attori della valle a sostenere e dare impulso alle attività. Adesso
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Scorci e vedute della Valle Onsernone: dettaglio del Mulino di Vergeletto. (Ti Press)
siamo partiti con tre ostelli, se questi funzionano, possiamo aprire anche quello di Spruga. Stiamo organizzando l’accoglienza, anche puntando sugli alloggi privati a disposizione. Migliora anche il settore della ristorazione. Abbiamo una decina di ristoranti in valle, che stanno allestendo un prospetto che illustri questa offerta; fra settembre e ottobre organizzeremo una rassegna gastronomica, che non può dimenticare il prodotto tipico della zona, la farina bona. Poi introdurremo le biciclette elettriche, che fanno capo alla rete del Locarnese. Un’occasione in più per visitare la valle senza l’assillo del traffico motorizzato.» Una valle che già oggi offre molte attrazioni: un museo a Loco, il parco dei mulini e le cave di granito a Vergeletto, la riserva forestale tra Crana e Spruga, i Palazzi storici Gamboni e della Barca a Comologno, i bagni di Craveggia al confine di Spruga e, tanto per dissetarsi, tre birrerie artigianali. Un fiore all’occhiello da molti anni è il Centro sociale di Russo: punto d’incontro e di socializzazione, con una casa per anziani e un centro servizi.
L’intento di rilanciare la Valle Onsernone parte da lontano. Dalla nuova concezione federale della politica regionale, in vigore dal 2008, e dagli indirizzi della nuova politica regionale del Canton Ticino. In questo ambito, l’Onsernone è considerata una «zona a basso potenziale». Nel 2010 L’Istituto delle ricerche economiche ha presentato il rapporto «Onsernone 2020: il gusto dell’estremo» che, dopo un’ampia analisi del contesto socio economico, avanzava una serie di proposte per rilanciare la zona. Punto cruciale è che: «la Valle Onsernone è una regione a basso potenziale ma non a potenziale nullo, per cui siamo dell’avviso che sia opportuno lavorare e investire nello scenario “offensivo” di sviluppo programmato. La via è impervia, come la valle, ma non impraticabile. Proprio in questa connotazione di valle estrema si trovano le migliori possibilità di creare prodotti al confine tra tradizione, storia, svago, sport, salute e benessere da commercializzare in un mercato (anche) turistico, sempre più alla ricerca di emozioni forti ed esperienze uniche ed esclusive.» «Lo studio dell’IRE – ci dice Nico-
la Pini – pone molto l’accento sul turismo. Qui ci si aspetta di più, l’obiettivo del Municipio è di invitare la gente a trasferirsi in valle. Non siamo fuori dal mondo, Locarno è a trenta minuti. Il primo obiettivo è rilanciare il turismo, ma poi vogliamo incentivare il vivere in valle. Ho scoperto una grande voglia di promuovere la valle, bisogna lavorare assieme, condividere i progetti, coinvolgere gli abitanti. All’inizio c’era anche qualche diffidenza, solo se la gente ci crede le cose vanno avanti». «Per attirare nuovi residenti e non far scappare i giovani – ci dice il sindaco Cristiano Terribilini – stiamo lavorando su più fronti: dalla creazione di posti di lavoro (e qui il prospettato Parco già ora ha dato i suoi frutti), all’accesso all’abitazione per giovani famiglie, passando per la mobilità e la fiscalità. Ovviamente il Comune, per essere attrattivo, deve poter continuare a offrire quei servizi di base, quali ad esempio la scuola elementare, offerta questa, vista l’attuale evoluzione demografica in atto, che non è purtroppo più così scontata.» Il rapporto «Onsernone 2020»
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proponeva lo slogan «Il gusto dell’estremo», giudicato però forse troppo forte in valle. Il sito internet, appena nato e fondamentale per raggiungere soprattutto il turismo giovanile, si intitola «Wild Valley». Pazienza per aver tradito la lingua madre ma, se si pensa di coinvolgere turisti in provenienza dal resto del mondo, la licenza si giustifica. «Immagino per la nostra Valle un turismo consapevole, – precisa il sindaco – non di persone che arrivano da noi per caso. Un turismo attento alla bellezza del nostro paesaggio, ma anche alla nostra storia e cultura, visitatori che utilizzano i mezzi pubblici per spostarsi e che rimangono in Valle anche per pernottare. Certo, per arrivare a questo tipo di turismo dobbiamo adattare le nostre strutture ricettive, migliorandone la qualità, ma soprattutto quello a cui dobbiamo lavorare è la cultura dell’accoglienza, non solo tra le persone che lavorano nel settore turistico, ma anche tra tutta la popolazione». La vera scommessa futura è il Parco nazionale del locarnese, un potenziale di sviluppo non indifferente. È in gestazione da tempo e l’anno prossimo, verosimilmente, i cittadini coinvolti dovranno esprimersi. L’Onsernone è il polmone verde del Parco. «Ora si deve definire la Carta del Parco – spiega Pini – ma finora il processo di candidatura è stato positivo e stimolante, con decine di progetti sostenuti e finanziati, di cui anche noi abbiamo beneficiato. Le opportunità sono molte, la popolazione dovrà capire quali sono le limitazioni, ma anche i vantaggi. Va costruito un parco di nuova generazione, con le zone nucleo protette, ma anche con una certa elasticità. Per esempio noi abbiamo le cave in Val Vergeletto che devono poter continuare a lavorare. Bisogna coniugare protezione del territorio e sviluppo economico; se si propone un equilibrio sbilanciato, si rischia che la popolazione non accetti il progetto». «Il Parco – sostiene il sindaco – verrà approvato solo se prevarrà tra la popolazione chi ha a cuore il futuro della Valle in quanto comunità. Il pericolo concreto al quale siamo sottoposti è che se non troviamo una strada di sviluppo economico, e attualmente oltre al Parco vedo poco altro, diventeremo un territorio in cui ci saranno sempre più residenze secondarie e sempre meno abitanti permanenti. Uno scenario questo che certamente ad alcuni oppositori può anche far comodo, ma che non corrisponde con la mia visione del futuro dell’Onsernone.» Un’altra idea per far decollare l’Onsernone è la Casa delle valli, uno spazio fisico a Locarno dove vengano presentate tutte le valli del Locarnese con i loro prodotti e le loro attrazioni. L’obiettivo è attirare i locarnesi, ma anche gli altri ticinesi. «Dobbiamo far sentire la Valle Onsernone – conclude Nicola Pini – più vicina di quanto si pensi. Abbiamo bisogno di vicinanza fisica, ma anche politica. L’attenzione del mondo politico è importante. Vivere in Onsernone è bello!» Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Società e Territorio
I sensi ci aprono al mondo Percezione Svetlana, Ivan, Gracinda, Sergio e Elena ci raccontano il modo in cui le sensazioni
arricchiscono la loro esperienza quotidiana, attivando ricordi e immagini e sapori
Marka
Roberta Nicolò I sensi sono strettamente legati alla memoria e hanno la capacità di risvegliare ricordi e suggestioni profonde e intime. La letteratura è ricca di esempi: da Proust a Baudelaire, ma anche Pirandello o Süskind. L’olfatto, l’udito, il gusto, la vista e il tatto hanno il potere di scatenare in noi fiumi di emozioni e di riportarci non solo lontani nel tempo, ma anche nello spazio. Si legano profondamente ad un luogo o a un momento della vita, con l’intrinseca capacità di costruire ponti sensoriali tra territori lontani e diversi, rimandando un’immagine di noi del tutto inedita. Un profumo, un sapore possono dare avvio al racconto di sé.
La sfera delle emozioni è strettamente collegata alle esperienze sensoriali compiute: scrittori e artisti lo sanno bene
Marka
Svetlana è nata e cresciuta nel sud est della Serbia «abito in Ticino ormai da ventisei anni, ma ci sono ricordi che mi riportano alla mia infanzia, come per esempio il profumo del pane fatto in casa. Nel paesino di mia nonna, dove da bambina stavo spesso, tutti facevano il pane e i dolci e nelle strade si sentiva questo meraviglioso profumo. Se chiudo gli occhi lo assaporo ancora. Qui in Ticino è raro sentire per strada il profumo del pane appena sfornato, ma quando mi capita il pensiero vola ai miei nonni. Ci sono sapori, invece, che ho ritrovato intatti come, per esempio, il pancotto o la cazzöla. Sono dei piatti che richiamano la mia terra. La verza, il maiale, il pane e le patate ci uniscono.
Vengono dalla tradizione contadina sia qui in Ticino sia in Serbia. Invece con la frutta non è così. Ero abituata al profumo intenso delle fragoline di bosco che andavamo a raccogliere nei prati, mia nonna ne faceva una deliziosa marmellata, qui non le trovi se non dal fruttivendolo, ma non hanno la stessa fragranza. Poi ricordo che appena arrivata in Ticino ho sentito il profumo dei funghi, un odore per me nuovo perché al mio paese non se ne trovavano. Il profumo dei funghi per me è il profumo del Ticino». Anche la vista e il tatto hanno un potere evocativo. Ivan è un artista californiano arrivato qui ormai più di trent’anni fa. «L’intensità della luce per me è importante, in California del sud, dove sono cresciuto, la luce è energica, forte, diversa da quella che abita la Valle di Muggio. Ma, in determinati periodi dell’anno, la ritrovo anche in Ticino quella particolare luce e il pensiero vola alla mia infanzia. Anche il sapore dell’anguria d’estate e il calore del sole che scalda la pelle mi fanno ricordare di quando ero piccino. Poi le arance, qui si trovano maggiormente d’inverno mentre in California sono sempre presenti. Bere una spremuta ogni mattina è un’abitudine che avevo da piccolo e che
ho trasmesso anche ai miei figli. L’orizzonte in Ticino è un altro. Al mare è infinito e si perde davanti ai tuoi occhi, in montagna lo devi cercare in alto. E poi il cambio delle stagioni. All’inizio è stato difficile abituarsi all’inverno, mi deprimeva molto. Oggi invece lo apprezzo, è un momento che dedico all’introspezione ed è diventato fondamentale per la mia creatività. Il passaggio all’inverno per me è legato alla mia Valle ticinese, il sole e l’acqua sono la California». A volte i sensi entrano in contrasto tra loro e ci danno la sensazione di vivere in mondi distinti. Per Gracinda, nata a Funchal, città marittima dell’isola di Madeira (Portogallo), vista e gusto litigano tra loro e le ricordano due terre lontane nei sapori. «Ricordo che, appena arrivata, un vicino di casa aveva una pianta del frutto della passione nel suo giardino. Io tenevo d’occhio la pianta aspettando che facesse i frutti, ma non arrivavano mai e neppure il profumo intenso dei fiori arrivava. Guardavo quel rampicante e ricordavo le fragranze e i sapori del frutto della mia terra, ma di quei caratteri, qui, neppure l’ombra. Era uguale alla vista, quella pianta, ma in verità completamente diversa. Così come le nespole. Ricordo l’emozione nel trovare, qui in Ticino, una
pianta di nespole coi frutti. Li ho colti subito perché a Madeira ce ne sono molti e sono saporitissimi. Ma quando li ho messi in bocca il mio palato è rimasto deluso. Il sapore era un altro. Questo vale un po’ per tutta la frutta. Ha un sapore che non è quello a cui ero abituata. Quando torno a Madeira, infatti, ne faccio delle grandi scorpacciate. Le banane, per esempio, sono più piccole e molto più dolci. Ho provato a portarle qui, ma cambiano gusto. Allora le assaporo dove crescono, lascio che tutti i sensi si riempiano di quell’esperienza, poi quando torno in Ticino porto con me il ricordo di quella bontà». Per Sergio l’udito è il solo mezzo per ritornare alla sua giovinezza. «Dalla Slovenia, mia terra natia, alla Svizzera non ci sono grandi differenze. I colori, i panorami e i sapori sono molto simili. Anche la lingua per me non è stata un problema, perché siamo bilingui e l’italiano lo parlavo già. Ma la musica quella sì che mi scatena ricordi della mia giovinezza in Slovenia. Tutta la musica anni Ottanta mi riporta immancabilmente alle avventure adolescenziali con gli amici e mi emoziona molto. Da allora sono passati ormai trent’anni ma i ricordi sono sempre vividi». Elena è nata a Suceava. Per lei l’ol-
mania a scuola si usava comprare una sorta di diario per farlo girare tra i propri compagni e amici. Ognuno si prendeva l’impegno e il piacere di scrivervi una dedica, una poesia o un semplice testo con tanto di disegno. Si faceva a gara tra chi avesse scritto la poesia più bella e ci si sentiva onorati se capitava di averla nel proprio diario. Che gioia anche ritrovare le cartoline ricevute in estate, che testi buffi, e dalla calligrafia sono ancora riuscita a riconoscere tutti ancor prima di leggere la firma in fondo. Le poesie che la maestra Rosa ci insegnava alle elementari come MerryGo-Round di Langston Hughes «Dov’è il posto per Jim Crow Su questa giostra? Signore, perché io voglio salire...Dov’è il cavallo per un bambino negro?». E mi è venuta in mente l’utopia dell’istruzione per tutti di Marc Augé, l’unica in
grado di frenare una società ineguale e ignorante condannata al consumo e all’esclusione. Ma anche le sue riflessioni sulla nostra vita sociale che ha bisogno del tempo e dello spazio perché le relazioni e gli incontri di fatto avvengano e maturino. Perché vi racconto tutto questo? Perché un domani non avremo più scatoloni da riordinare e ricordi in cui imbatterci per caso, avremo tutto su dei supporti digitali, in nuvole tanto leggere quanto impalpabili. Avremo più spazio per mettere via altre cose, saremo più leggeri durante i traslochi... Ma, temo, l’ordine e la semplificazione tecnologica uccideranno la magia dell’incontro inaspettato, del ricordo che affiora prepotente, misto a un sapore dolce e acre, in un caldo pomeriggio di luglio in cui ti stai interrogando sull’essenza dell’essere umano, sul
fatto è una mappa indelebile della sua terra «Ricordo la Romania attraverso i profumi. Sono gli odori che mi riportano a quando ero bambina. Ogni mattina, durante la pausa al lavoro, sento l’aroma del caffè tostato che viene da una finestra vicina e subito mi tornano alla mente le estati che passavo con i miei cugini dalla nonna in campagna. Eravamo in nove cugini e ci si trovava lì un mese intero. Le emozioni di quei momenti sono infinite. Ricordo il sapore del latte appena munto e del pane sfornato da poco. Mi tornano alla mente le risa di noi che giochiamo. Invece il sapore della pasta per me rappresenta il Ticino, è immagine di me adulta. Da noi non si usava e io la prima volta l’ho mangiata qui. Anche i colori della natura per me sono meravigliosi e diversi da quelli della mia giovinezza. Le montagne, il verde, sono bellissimi e nei miei pensieri rappresentano questa terra che oggi è la mia». Nel viaggio attraverso i sensi si stimola il ricordo e si scoprono sapori, odori e colori unici e allo stesso tempo universali. Ci si sente più simili gli uni agli altri. Basta chiudere gli occhi e i paesi si avvicinano, i confini cadono e le emozioni si scoprono, ancora una volta, le stesse.
La società connessa di Natascha Fioretti Il naufragar m’è dolce nei ricordi «La maggior parte delle persone mette da parte la propria infanzia come un vecchio cappello. La dimenticano come si fa con un numero di telefono che non esiste più. Un tempo sono stati bambini, poi sono diventati adulti, e adesso? Solo chi diventa adulto e rimane un bambino è un essere umano». L’ho riletto in un caldo, caldissimo pomeriggio di fine luglio sul retro di copertina di un libro in tedesco che lessi da bambina Das doppelte Lottchen (La doppia Carlotta) di Erich Kästner. Ricordavo di averlo letto ma non avrei saputo dire dove fosse finito e, soprattutto, non ricordavo questa bellissima citazione. Dovevo mettere a posto il box di casa per ritrovarlo e riaverlo tra le mani così come tutti i miei quaderni e libri di scuola dalle elementari in poi,
i diari, le cartoline dei miei compagni e amici, il libro Cuore con la dedica dei miei genitori. Ricordavo perfettamente ogni copertina, ognuna evocatrice di profumi, sensazioni, circostanze, ricordi, alcuni anche molto nitidi, che però altrimenti sarebbero rimasti assopiti ancora per un po’ in un cassetto della mia testa. Sommersa dalla polvere e da scatoloni ammuffiti, mi sono seduta in terra e, uno ad uno, ho sfogliato i quaderni di italiano. C’erano i temi sulle vacanze estive con tanto di fotografia incollata sulla pagina. In una siedo accanto a due piccoli amici della spiaggia mentre mangio il gelato, sull’altra, in spiaggia, sono accanto a mio nonno Peter che ogni mattina mi portava a fare delle lunghe nuotate fino alla boa. Che ricordi! E il diario delle dediche? In Ger-
senso della vita perché sai che stai per perdere una persona amata. E ridendo dei tuoi vecchi disegni sgangherati, dei commenti della tua insegnante «sei disordinata», perché disordinata lo sei ancora, sei grata di tanti insegnamenti che hanno contribuito nel tempo a fare di te ciò che sei oggi. Metto tutto a posto, salgo in casa e prendo in mano il giornale. Leggo sul «Corriere della Sera» che in autunno cellulare e tablet torneranno in classe per un uso consapevole e didattico di questi dispositivi digitali parte ormai della vita quotidiana dei ragazzi. Auguro loro, tra qualche anno, di poter fare gli stessi incontri che ho fatto io ed emozionarsi per una vecchia poesia imparata a scuola. E mi chiedo se riusciranno a sentirne l’odore ritrovandola nella memoria di un tablet...
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Società e Territorio
Il ritorno delle mischie mollusche!
Azione
Videogiochi S platoon 2 è finalmente
uscito su Nintendo Switch Davide Canavesi
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Quando, qualche mese fa, abbiamo parlato di Nintendo Switch, avevamo sottolineato la relativa mancanza di titoli importanti. Una scarsità che era destinata a ridursi durante il 2017 con l’arrivo sul mercato di giochi molto attesi. Uno di questi è Splatoon 2, il seguito di quello che fu una piccola rivoluzione nel mondo Nintendo nel 2015. Un gioco da giocarsi principalmente in multiplayer online, in compagnia di altri giocatori sparsi per il mondo era una svolta epocale per il marchio giapponese, da sempre molto reticente nel proporre produzioni sulle quali non ha il totale controllo. Ma perfino Nintendo ha dovuto riconoscere che i giochi online, se fatti bene, hanno una grande attrattiva sul pubblico. In Splatoon 2 impersoniamo un inkling, un buffo personaggio che è sia una persona che una seppia, composto principalmente da inchiostro colorato. Gli inkling vivono armoniosamente nella città di Coloropoli, vero e proprio centro nevralgico della cultura delle seppie. In questa città, che ci ricorda vagamente Tokyo, i giovani inkling fanno shopping, si incontrano con gli amici, seguono i loro idoli musicali e specialmente si sfidano nelle mischie mollusche. L’idea alla base di questo gioco è semplicissima: due squadre di quattro giocatori si contendono una mappa. La squadra che alla fine dello scontro spande la maggior parte di inchiostro a terra, ricoprendo strade, ponticelli, alberi e arredo urbano vario, vince la mischia. Per spruzzare inchiostro i giocatori hanno a disposizione diversi tipi di pistole, pennelli, rulli, bombe e attacchi speciali con diversi gradi di efficacia. Pur essendo impostato come un gioco di combattimento, dal momento che è possibile attaccare i giocatori della squadra avversaria col nostro inchiostro, l’obiettivo di Splatoon 2 non è però quello di eliminare la concorrenza ma solo quello di guadagnare più terreno possibile. Un’idea semplice, quella introdotta dallo Splatoon originale qualche anno fa che è stata rifinita e migliorata in questa nuova versione. Splatoon 2 è un gioco di squadra, tattico e raffinato in cui un team affiatato e coordinato vince perché compete con testa. I match si dividono in scontri amichevoli, partite pro e partite di lega. Per sbloccare il livello di sfida superiore il giocatore deve dimostrare la sua abilità in quello inferiore e l’accesso alla lega è condizionato dal-
la prestazione attuale combinata del giocatore. Splatoon 2 insomma non è solo un gioco per il divertimento senza pensieri ma è anche pensato per gli sport e le competizioni serie. Non c’è però solamente il multiplayer online. Switch è una console portatile e dunque è possibile che ci si ritrovi a giocare senza accesso ad internet. Come nell’originale Splatoon, anche in questo seguito c’è una modalità campagna per giocatore singolo. Nella campagna dovremo salvare Stella, la idol del gruppo musicale Sea Sirens che i fan del primo gioco conoscono molto bene. Grazie all’aiuto di Marina, l’altra componente del gruppo, dovremo affrontare cinque diversi mondi alla ricerca di pesci gatto elettrici rubati. La trama di questa modalità è davvero ridotta al minimo ma siamo rimasti molto piacevolmente impressionati dalla qualità dei livelli e del grado di sfida. I creatori di Splatoon 2 hanno infatti creato una gran quantità di situazioni e di livelli che hanno continuato a sorprenderci. Una modalità molto divertente che saprà accontentare coloro che sono rimasti delusi dalla proposta del primo Splatoon. Per finire, Splatoon 2 introduce la novità chiamata Salmon Run. Si tratta di una particolare modalità orda, dove i giocatori devono resistere a diverse ondate di nemici in modo da arrivare sino alla successiva. Nelle Salmon Run dobbiamo raccogliere uova di pesce d’oro, strappandole ai Gran Salmonidi. Al contempo dovremo difenderci dai salmoni soldato che attaccheranno di continuo i giocatori. Salmon Run è una modalità decisamente impegnativa, specialmente dopo qualche ondata. Come per il multiplayer, anche in questo caso è consigliabile giocare con degli amici e non affidarsi al sistema di formazione delle squadre automatico perché non è possibile comunicare con i membri del team a voce o via testo. Splatoon 2 è un gioco molto particolare, basato su un’idea che non poteva che giungere a noi dal Giappone. Divertente, strano, colorato e realizzato a regola d’arte. Al netto di qualche scomodità nella gestione delle partite online, visto che per comunicare con gli amici è necessario usare un app su cellulare, ci ha convinto. L’offerta di base è sufficiente a tenere occupato il giocatore per molte decine di ore e i contenuti extra che verranno pubblicati in futuro non faranno che aumentare l’offerta. Splatoon 2 è sicuramente uno dei giochi da avere questa estate su Nintendo Switch.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Il potere cambia volto Il potere, nelle sue molteplici forme, è sempre stato una componente necessaria di ogni società organizzata. Ma ogni potere deve avere un suo fondamento: certamente la forza di chi detiene il comando può essere un buon deterrente per chi volesse disobbedire, ma la forza, evidentemente, non basta per indurre volontariamente all’obbedienza. Il potere vero, il più forte, si realizza quando i sudditi sono portati spontaneamente a obbedire al comando. Ed ecco perché, a partire dagli antichi imperi – sumerico, babilonese, egiziano – la figura del re si riveste di un carattere sacro, assume il volto della divinità: in Egitto il faraone è figlio di una donna e del Dio Sole (Amon-Ra) ed è Dio egli stesso, e dunque la sua parola è legge divina. Il cristianesimo raccoglie questa tradizione: nella Lettera ai Romani di San Paolo si legge: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se
non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna». Con l’Illuminismo e con la Rivoluzione francese le cose cominciano a cambiare. Ma anche Napoleone si ricollega alla tradizione: è vero che, quando nel duomo di Milano celebrò la sua incoronazione a re d’Italia, nel 1805, si pose lui stesso la corona sul capo anziché farsi incoronare dal sacerdote; e tuttavia, mentre s’incoronava, pronunciò la celebre frase: «Dio me l’ha data e guai a chi la tocca!». Insomma, è pur sempre col volere divino che Napoleone legalizzava e garantiva il suo potere. Come non pensare al fatto che Marx ebbe a definire la politica come «la forma profana della religione»? Con l’avvento della democrazia, il potere è trasferito da Dio al popolo – ma la Costituzione elvetica, ad esempio,
esordisce con la formula: «In nome di Dio onnipotente». Comunque, il sovrano è il popolo, suo è il potere. E qui si celano e si svelano nuovi volti. Dietro i volti innumerevoli della folla dei cittadini-sovrani traspare a tratti l’immagine di un potere superiore: non di un Dio, ma della macchina per creare consensi, l’arte di persuadere e, a volte, di lusingare e illudere. Dal momento che il potere è del popolo, chi vuole comandare deve necessariamente convincere l’elettorato a seguirlo; e i mezzi per conseguire lo scopo, oggi, sono sostanzialmente gli stessi del messaggio pubblicitario. La pubblicità guida i percorsi dei consumatori da una vetrina all’altra e tra gli scaffali dei supermercati; analogamente, chi vuole guidare l’elettorato al voto deve usare una comunicazione efficace, una persuasione pubblicitaria. Non è un caso che, soprattutto negli Stati Uniti, l’aspirante a una leadership politica
organizzi la sua campagna elettorale sulla base dei sondaggi d’opinione: preso atto dei desideri e delle aspettative dell’elettorato, delinea poi un programma di governo conforme alle aspettative della maggioranza. E i manifesti, i talk-show, il sostegno dei media forniscono l’apparato pubblicitario occorrente. Noam Chomsky osservava, negli anni Novanta, che in una società libera e democratica l’uso del randello per obbligare al consenso non è più possibile: «È quindi necessario ricorrere alle tecniche della propaganda. La logica è chiara: la propaganda è per la democrazia quello che è il randello per uno stato totalitario». Ma dietro la pubblicità propagandistica affiora un altro volto del potere: quello del denaro – perché, com’è ovvio, la pubblicità costa. È parere sempre più condiviso che spesso, ormai, le istituzioni formali dell’apparato democratico siano guidate da interessi
economici enormi, che travalicano i confini di una nazione e ne riducono l’autonomia decisionale. Nietzsche, con la consueta lucidità, annunciava già nel 1881 il rinnovato connubio tra potere e denaro: «Quel che si faceva un tempo “per amor di Dio”, lo si fa oggi per amor del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà un sentimento di potenza». Insomma, pur cambiando il volto e i fondamenti sui quali si regge, il potere dirige inevitabilmente ogni organizzazione sociale. Anche in democrazia: in fondo, come diceva Alcibiade nei Memorabili di Senofonte, la legge imposta dalla maggioranza è prepotenza di una parte su un’altra parte della popolazione. Come dice il sociologo statunitense Richard Sennet, «il dominio è una malattia necessaria di cui soffre l’organismo sociale. Non c’è modo di guarirla; possiamo soltanto combatterla».
Intanto con cautela scendo gli scalini tra i due denti. Tra i sassi faccio la conoscenza dell’Helichrysum thianschanicum noto anche come elicriso del Tien Shan, sistema montuoso al confine tra Cina e Kirghizistan, il cui nome vuol dire Montagne Celesti. Qui infatti, oltre alla flora autoctona, ci sono piante di tutte le montagne del mondo. Guardando bene si nota che le rocce non sono naturali, ma poste ad arte come se lo fossero. Cementate tra loro con gli spazi necessari per l’acclimatazione ideale delle piante: una finzione chiamata rocaille come per le finte grotte nei giardini delle ville di fine ottocento-inizio novecento. Periodo piùomeno del boom dei giardini alpini, quando c’erano persino dei rocailleur di professione. I sassi sono stati raccolti in giro per le montagne non a caso, ma scegliendoli patinati dalle intemperie e cesellati dall’erosione. «Un sasso deve offrire un’immagine della bellezza» annota Henry Correvon in Les plantes des montagnes et les jardins alpins
(1914). Su un sasso, lenta e goffa, si muove una salamandra tutta nera. Risalgo e percorro l’itinerario sull’altro lato dove trovo la leggiadra Primula alpicola giallo pallido e il color vinaccia della splendida Saussurea taipaiensis. Dell’edelweiss nessuna traccia, gironzolo su e giù per i brumosi sentierini rocciosi, tra le rocailles farcite di flora alpina, ma niente. Poi quando sto per andare, eccola lì. È minuscola, mica tanto bianca come dice il nome o si vede nei souvenir, piuttosto grigina-argentea, vellutata. È posizionata proprio sotto il naso, appena uno arriva, ma forse proprio per questo passa inosservata. Non male alla fine, eccentrica di certo. Preferisco però la delicatezza dei petali rosa della non lontana Potentilla nitida conosciuta anche come cinquefoglia delle Dolomiti i cui stili rosso sciroppo di lamponi, accolgono sulla punta, commoventi goccioline di pioggia. Di colpo, mi fanno venire in mente, le ciglia dell’occhio di una ballerina di cancan immortalata da Man Ray.
della cultura, della socialità. Non per niente, la vicenda di questo spot delle padelle ha suscitato reazioni ironiche, che, in fin dei conti, sono le più temibili. Dimostrano la perdita di credibilità che spetta, ormai, al fenomeno di un «politically correct» allo sbando. Sembra, insomma, di assistere alla fine di un’epoca, che aveva preso avvio, già negli anni 30, quando negli ambienti universitari americani, fu coniata appunto la definizione « politically correct», con il proposito di correggere le parole che implicavano disprezzo e umiliazione per certe categorie di cittadini. Fu allora che «nigger», «black», «negros», venne sostituito, almeno sul piano ufficiale, con «afro-americans», e, a livello mondiale, con «nero» o «di colore». La svolta, che segnò una nuova stagione della «correttezza politica», risale agli anni 70/80, e allargò i propri confini, coinvolgendo altre categorie di persone, considerate vittime di discriminazioni: le donne, gli invalidi, i ciechi, gli omosessuali.
Strada facendo, però, il movimento doveva prestarsi a derive, il meno che si dica sconcertanti: del tipo, «verticalmente svantaggiato», o «diversamente dotato», o « non vedente» che, ai nostri amici ciechi, non piace. Per non parlare, infine, di assurdità che, comunque, impegnano i linguisti in ricerche grottesche. Ecco che, in USA, sono sotto processo le parole contenenti il suffisso «man», come «mankind», «chairman», addirittura «human»: considerate offensive nei confronti delle donne. Un’ossessione riformista tipicamente americana? Anche l’Europa ne è contagiata: anche da noi, si dibatte su sindaca, avvocata, piuttosto che avvocatessa, presidentessa, sempre più in disuso. Ma, negli ambienti del femminismo puro, si fanno avanti richieste ben più impegnative: come femminilizzare espressioni come «caccia all’uomo, a passo d’uomo, a misura d’uomo». L’interrogativo rimane aperto, a disposizione dei perditempo.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf La Rambertia sopra Montreux «Chiunque abbia fatto una passeggiata in montagna, una sola, sa che sopra il limite dove finiscono le pinete, nella zona dei pascoli superiori, regna una vegetazione che ha solo un piccolo numero di specie comuni con la pianura e la cui fisionomia è talmente originale che a prima vista ne siamo colpiti» scrive Eugène Rambert (1830-1886). Professore di letteratura francese, naturalista, poeta, scrittore eccetera – la cui opera maggiore è Les Alpes suisses (1866-75) in cinque volumi che pochi di voi avranno in casa a differenza magari del suo libro intitolato I nostri uccelli – al quale è stato dedicato un giardino alpino sopra Montreux. Dal binario otto della stazione di Montreux parte l’ultracentenario trenino a cremagliera che in una cinquantina di minuti ti porta su in questo singolare posto. Visitabile da fine giugno a inizio settembre, la Rambertia è stata creata nel 1896 da Henry Correvon (1854-1939): botanico e orticoltore considerato «il papà dei giardini alpini». E così, alle 13.17 di una
giornata mutevole ai primi di agosto, salgo sul trenino direzione Rochers-deNaye. Alla guida c’è un giovane rasta gioviale che dona un tocco di leggerezza in più alla scampagnata botanica. Già a Glion il Lemano è mozzafiato, qualche chalet di vacanza lo si incontra sul tragitto, mentre fiabesco è il grande castello panoramico dell’architetto Eugène Jost a Caux. Dopo le pinete entriamo nella nebbia. Sono l’unico passeggero e comincio a inquietarmi un po’, solo a Milano ho visto nebbia simile ma qui si tratta pur sempre di camminare tra le rocce e prati scoscesi a quasi duemila metri. Il giallo delle alte genziane maggiori, ai bordi delle rotaie, rassicura solo in parte. Rochers-deNaye, comune di Veytaux, capolinea: m’incammino con le inadatte clarks per il sentiero bagnato. Tira un vento che lascia sui capelli e i prati, una specie di rugiada o forse è pioggia portata. Una stupa himalayana è stata posta nel luglio 1996 in ricordo del centenario della Rambertia che raggiungo in dieci
minuti buoni. Il nome si legge impresso a fuoco su un’assicella di legno obliqua, appesa sul minichalet chiuso accanto. Non c’è nessuno. Sulla destra, subito una marea di sassifraghe alpestri, ognuna ha il suo bel cartellino con su il nome scientifico e sotto quello comune. I due caratteristici denti di roccia, tra i quali si svolge la parte in discesa dell’ettaro costellato da circa mille specie, si distinguono appena, avvolti nella bruma fatata. L’inquietudine lascia il posto a uno stupore solitario, scopro per la prima volta il viola della Campanula glomerata ancora in boccio. Oltre a non aver mai visto quasi nessuno di questi fiori, i colori risaltano per via del grigio nebbia. Il panorama sparisce, nessuna distrazione, soltanto un improvviso botanismo appassionato d’alta quota. E finalmente, benché non sia proprio un fan per via della sua riproduzione commerciale turistica in tutte le salse e la sua simbolizzazione nazional-alpina, qui alla Rambertia sopra Montreux (1999 m), vedrò la famosa edelweiss.
Mode e modi di Luciana Caglio Vita difficile per il «politically correct» Lei ha preparato la cena, lui rientra dal lavoro: sono i protagonisti di uno spot, che reclamizza pentole, diffuso recentemente dagli schermi televisivi inglesi. Poteva sembrare destinato, sia per il contenuto che per la grafica, a rimanere lettera morta, vittima insomma della sua stessa banalità. Invece ha fatto notizia innescando una polemica a non finire, che, partendo da un episodio irrilevante, ha coinvolto un fenomeno politico-culturale di portata mondiale, ormai storico: il «politically correct». Che, adesso, appare visibilmente in affanno, costretto a rincorrere cause pretestuose rischiando il ridicolo. Come nel caso dello spot delle pentole. Proprio in quell’immagine di coppia, simile a una vecchia cartolina, l’«Advertising Standards Authority» (ASA), l’ente preposto alla sorveglianza sulla propaganda commerciale, fedele ai principi della correttezza politica, ha ravvisato un messaggio pericoloso: basato, in verità, non tanto su constatazioni quanto su percezioni,
per usare un termine oggi di moda, che ben riflette la vaghezza contemporanea. Fatto sta che, a quella coppia di coniugi è stato attribuito un valore simbolico spropositato: lei casalinga
Donna uguale casalinga - un’identità superata. (Keystone)
e lui impegnato professionalmente, confermavano la continuità di uno stereotipo oggi inaccettabile, che sottintende un rapporto di dipendenza, culturale ed economica. Insomma, la vignetta denunciava un’offesa al principio della parità di genere, anche se, in questo caso, era più presunta che concreta. In altre parole, la denuncia di questo reato, d’ordine sociale e morale, faceva capo a una sorta di credo ideologico. L’ASA, infatti, dichiara che, con lo spot pubblicitario «non si vendono prodotti ma identità». E con queste parole sibilline ha cercato di giustificare il veto nei confronti di uno spot, in pratica innocente, imposto da un’interpretazione «politicamente corretta», ma falsa: che non teneva conto di dati statistici insospettabili, che registrano una tendenza di segno opposto. Altro che massaie, esiliate in cucina. Le donne, nei nostri paesi fortunatamente evoluti, sono sempre più presenti sul fronte delle professioni,
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Ambiente e Benessere La menta: una pianta sacra Utile in fitoterapia, se ne parla per la prima volta nel Papiro di Ebers, il più antico testo medico
Fate vacanza! Svizzera Turismo in esposizione dal 5 agosto al 22 ottobre 2017, nella Sala Arsenale di Castelgrande Bellinzona per sottolineare i cento anni di promozione turistica
I pini silvestri Possono raggiungere 48 metri di altezza lineare e vivere fino a 600 anni
Progetti del futuro Studi condotti in Indonesia cercano di usare la fotosintesi per risolvere i nostri bisogni pagina 15
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Un’estate canicolare
Clima e salute Gli studi delle ripercussioni
sulla salute della torrida estate del 2015 permettono di trarre insegnamenti per il futuro
Maria Grazia Buletti Sommer 2015: Hitze, Trockenheit und Auswirkungen auf Mensch und Umwelt: è il rapporto approfondito che analizza gli effetti prodotti da canicola e siccità sulla popolazione svizzera e nell’ambiente in cui viviamo. Pubblicato a inizio di quest’anno dall’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) in collaborazione con l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) e l’Ufficio federale della protezione della popolazione, questo studio è focalizzato sull’estate del 2015 (definita canicolare) e giunge alla conclusione che sia stata gestita bene, anche se esiste un potenziale grado di miglioramento. Dopo il caldissimo periodo estivo del 2003, la Svizzera ha vissuto nel 2015 un’altra estate canicolare di rilievo, e con una siccità diffusa, durante la quale, secondo il rapporto, il mese di luglio è stato il più caldo dall’inizio delle misurazioni e ha visto colpire in particolar modo la popolazione cittadina. «I problemi si sono riscontrati anche nell’agricoltura, a causa della penuria d’acqua. Ripercussioni anche per il bosco, per la biodiversità e la qualità dell’aria, e infine per la produzione di elettricità», afferma l’Ufam, secondo cui anche i ghiacciai hanno patito la siccità, avendo fatto registrare in passato uno scioglimento particolarmente forte e rapido. Le conclusioni del rapporto sono comunque incoraggianti, in quanto indicano che, nel complesso, la siccità del 2015 ha potuto essere gestita meglio rispetto a quella del 2003, anno in cui si è verificato l’ultimo periodo di canicola di rilievo. Questo è stato possibile «grazie alle misure adottate a partire da allora». Una condizione che ha indotto la Confederazione a studiare gli ulteriori margini di miglioramento in previsione di una prossima ondata di
caldo, dato che: «In futuro è previsto un aumento degli eventi di canicola, a seguito dei cambiamenti climatici». Malgrado le migliori misure di protezione dalla canicola messe in atto nel 2015, l’Ufam afferma che: «La canicola ha tuttavia avuto notevoli ripercussioni sulla salute della popolazione: durante l’estate 2015 si sono infatti registrati 800 decessi in più rispetto a un anno nella media. La mortalità nei mesi estivi del 2015 si è quindi attestata quasi allo stesso livello di quella dell’estate canicolare del 2003». Tuttavia, la gestione della canicola nel 2015 ha registrato anche alcuni successi: «Nella regione del lago Lemano, dove dopo il 2003 sono stati introdotti piani per farvi fronte in modo più adeguato, gli speciali provvedimenti destinati alle persone a rischio hanno consentito di ridurre notevolmente la mortalità per rapporto al 2003». L’esame dettagliato delle misure messe in atto dai diversi Cantoni è estremamente importante e necessario, in quanto «si prevede che, a causa dei cambiamenti climatici, in futuro i periodi di canicola non saranno più un’eccezione». Tra le misure di protezione della popolazione poste in atto troviamo l’informazione di gruppi a rischio (come possono essere gli anziani) e un’adeguata formazione del personale di cura sui comportamenti corretti da adottare in caso di canicola, come ad esempio bere a sufficienza o evitare sforzi fisici. Secondo il rapporto in questione, è inoltre molto importante emanare un’unica allerta canicola per tutta la Svizzera: «Le misure contro di essa, che si può manifestare con una natura molto diversa secondo il luogo geografico, devono essere coordinate e devono essere attuati nel modo più assoluto piani specifici nei Cantoni a rischio elevato». Si è indicata la popolazione delle città e
A vivere nelle città e negli agglomerati urbani si subisce molto di più il caldo estremo. (Keystone)
degli agglomerati urbani come quella più sensibile a queste condizioni estive di caldo estremo: «I suoli impermeabilizzati delle città immagazzinano calore, aumentando di conseguenza la temperatura. Inoltre, di notte le temperature si abbassano solo di poco e per far fronte a queste sempre più numerose isole termiche si spiega la necessità di superfici verdi e zone d’ombra». Per questo, lo studio preannuncia lo sforzo di Confederazione e Cantoni nel raccogliere idee per un’evoluzione della città adatta ai cambiamenti climatici. Purtroppo, le ripercussioni di canicola e siccità su piante e animali potranno essere valutate solo a distanza di anni: «A seconda delle condizioni meteorologiche, nei prossimi anni la natura potrà compensare in misura più o meno elevata gli effetti dell’anno estremo 2015». Per garantire anche nei periodi di siccità l’approvvigionamen-
to di acqua potabile in tutto il nostro Paese, la Confederazione raccomanda «l’elaborazione di un piano di utilizzazione specifico», come pure il collegamento delle reti di approvvigionamento idrico; in ogni caso, ricorda di fare capo ad almeno due fonti indipendenti: «In particolare, occorre continuare a garantire e a proteggere le falde freatiche, ossia le più importanti risorse di acqua potabile». Anche la produzione di elettricità viene studiata al dettaglio e ne deriva che: «Nel secondo semestre del 2015, a causa della siccità, le centrali ad acqua fluente hanno prodotto quantità di elettricità nettamente inferiori; laddove è mancata l’acqua di scioglimento, nella fase più acuta della siccità, numerose piccole centrali idroelettriche hanno dovuto essere chiuse». Considerando l’arco intero dell’anno: «La produzione di energia elettrica si è comunque atte-
stata a un livello superiore alla media rispetto agli anni precedenti e questo è da imputare, tra l’altro, alla primavera sopra la media». La raccomandazione più importante che emerge da questo rapporto riguarda la protezione del clima, molto più efficace del «combattere i sintomi»: «Tutte le misure di adattamento servono, di fatto, solo a lottare contro i sintomi. L’elemento centrale nella lotta contro l’aumento di canicola e siccità è, e rimane, la riduzione delle emissioni di gas serra, perché è questo che agisce all’origine del problema». Un’ultima osservazione ci riporta all’assunzione individuale e collettiva di responsabilità per arginare al meglio l’arrivo sempre più frequente di un’estate canicolare: «Le misure di adattamento sono possibili e sostenibili dal punto di vista finanziario soltanto se si riesce a limitare i cambiamenti climatici».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Ambiente e Benessere
La fama antica della Menta Fitoterapia Per i sacerdoti egizi rinforzava la memoria e donava longevità
L’etimologia del nome porta alla mitologia greca, alle Naiadi, ninfe delle acque dolci che vegliavano su sorgenti, laghi e fiumi; si chiamava Mintha la bellissima ninfa figlia del Dio degli Inferi Cocito, il fiume affluente dell’Acheronte. Era l’amante di Plutone e aveva suscitato la folle gelosia di sua moglie Persefone, che per vendicarsi l’aveva tramutata in vegetale, (pratica disinvolta non raramente adottata dalle divinità quando volevano punire qualcuno). Sembra che furono poi altri dei, o la stessa Persefone impietosita, a donarle l’inimitabile profumo affinché potesse rimanere per sempre amata. Le versioni del mito comunque non concordano, si narra anche che fu il solito Zeus, innamorato respinto, a mutarla in pianta dal freddo aroma per vendicarsi della sua freddezza. Della famiglia delle Lamiaceae, che comprende salvia, timo e rosmarino, la menta è una pianta perenne con foglie seghettate, i fiori spigati e minuti di un tenue colore biancastro rosato durano da maggio a settembre e si raccolgono appena sbocciano; le foglie invece vanno colte prima della fioritura. Predilige luoghi non troppo secchi, necessita di parecchia acqua e se la temperatura del clima scende, il suo inconfondibile acuto aroma perde intensità. Va essiccata appesa a mazzi in luoghi ventilati, e conservata in barattoli di vetro al riparo da luce e umidità. Raggruppa decine di specie e ibridi in varietà selvatiche e coltivate, il
pixnio
Eliana Bernasconi
cui aroma si differenzia mantenendo sempre la nota di fondo, come la menta dolce, la menta romana o menta viridis, la mentuccia spontanea o menta pulegium. Molto apprezzata è la mentha piperita, utilizzata in gastronomia, nell’industria dei liquori, per la preparazione di talco e creme: è un ibrido nato in Inghilterra nel 1750 dall’incrocio di tre specie diverse. Quando il botanico inglese John Ray notò nei giardini dell’Hertfordshire una menta dal profumo che ricordava il pepe, le diede quel nome; si cominciò a usarla e coltivarla a scopo medicinale in Piemonte e nel Veneto nel 1871. Tutte le specie di menta condivi-
dono le stesse proprietà medicamentose e nella medicina popolare se ne è sempre fatto un largo uso: le foglie erano impiegate, ad esempio, contro «il nervoso», l’infuso curava vertigini, insonnia, combatteva «la malinconia» ed era bevuto come digestivo per l’acidità gastrica, mentre l’Acetolito (preparato macerando le foglie di menta in aceto) era gargarizzato contro il mal di gola. Inoltre pochi sanno che era usata anche come efficace antiparassitario per piccoli insetti e pidocchi. Studi recenti hanno dimostrato le sue proprietà antivomitive, antifermentative, antidolorifiche e la sua azione su molti disturbi gastrointestinali e
respiratori. Stimola l’appetito, invece l’infuso che favorisce la digestione e può essere anche utile in certi tipi di emicrania. La tintura madre ha un’azione riflessa sulle terminazioni nervose dello stomaco; l’olio essenziale, estratto per dilatazione a vapore della pianta fiorita, va usato con cautela perché ricchissimo di mentolo. Di fatto ha un potere energizzante e balsamico oltre ad essere un vasodilatatore per la mucosa nasale. Uno studio recente di ricercatori indiani nel 2010 ha evidenziato le notevoli potenzialità radioprotettive, ambientali e terapeutiche degli estratti acquosi di menta, che avrebbero un’azione antiossidante sui metalli pesanti e inibirebbero i radicali liberi. La menta compare per la prima volta nel Papiro di Ebers, il più antico testo medico databile al XVII secolo avanti Cristo. Era sacra a Toth, dio della medicina dell’antico Egitto; i sacerdoti la usavano per acquistare lucidità mentale e longevità, mentre i romani la ritenevano in grado di aumentare la memoria. Un’altra interpretazione dell’origine del suo nome riporta appunto al termine latino «mentis» sulla quale eserciterebbe una forte azione. Nicolas Lémery, chimico e medico francese vissuto fra 600 e 700 nel suo Trattato delle droghe semplici così scrive: «Mentha è dedicata a mente perché questa pianta rinforzando il cervello risveglia i poteri e la memoria». Plinio il vecchio, naturalista e studioso nato a Como nel 23 dopo Cristo attribuiva alla Menta proprietà anafrodisiache, perché «impedirebbe al
liquido seminale di addensarsi», ma curiosamente i medici e botanici Galeno di Pergamo e Dioscoride, vissuti ai tempi di Nerone, sostenevano il contrario, ovvero la ritenevano un afrodisiaco dall’effetto talmente potente che ne era proibita la consumazione in tempo di guerra: avrebbe impedito la «gagliardia bellica» dei guerrieri. Pure Seneca sosteneva che i soldati non dovevano mangiarne perché avrebbe tolto loro vigore e forze. Nell’804 Carlo Magno nei suoi famosi Editti rese comunque obbligatoria la sua coltivazione negli orti dei monasteri. Nell’Islam la menta è pegno d’amore fra innamorati e nell’antica Grecia era dedicata ad Afrodite, mentre al tempo dei Samurai era ritenuta afrodisiaca (in Giappone si usava metterne delle foglie tra le lenzuola). Nell’Erbario antico di Castore Durante, medico botanico e poeta del Rinascimento si legge: «Ha facultà di scaldare, ristagnare, disseccare, la salvatica è più potente della domestica, e la menta che ha le foglie crespe è la migliore». Il potere straordinario su mente e corpo di quest’umile pianta, come si vede, ha millenni di storia: perché dubitare che anche nell’era della tecnologia e dei viaggi spaziali non conservi intatta la sua efficacia? Bibliografia
Gabriele Peroni, Trattato di Fitoterapia - Driope, Nuova Ipsa Ed. Laura Rangoni, Il grande libro delle Piante magiche, Xenia Ed. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Ci vorrebbe il mare 100 anni di promozione Una storia semiseria del turismo in Svizzera
Claudio Visentin La Svizzera divenne un Paese turistico praticamente senza accorgersene. Fecero tutto gli inglesi, senza consultarci. I loro scrittori (Wordsworth, Ruskin) spiegarono che la montagna non era affatto male, come si era sempre creduto sin lì. Nel 1857 fu fondato anche il primo club di appassionati delle Alpi (Alpine Club) a Londra, nebbiosa capitale di un Paese senza montagne degne di questo nome. Gli autori di guide turistiche inglesi frugarono e descrissero ogni più remoto angolo della Svizzera, taccuino e penna alla mano, senza trascurare neppure un ovile. Quando nel 1863 Thomas Cook condusse nella Confederazione il suo primo viaggio organizzato di gruppo, con tanto di signorine inglesi al seguito, la Svizzera era ormai diventata il Parco giochi dell’Europa (è il titolo di un fortunato libro del 1871) nonché la prima destinazione, il primo Paese al mondo interamente trasformato dal turismo. A dire il vero il paesaggio svizzero destava più interesse dei suoi abitanti, ma questi non se la presero. Gli svizzeri capirono rapidamente che con questa nuova moda si poteva guadagnare parecchio denaro e da un giorno all’altro si trasformarono da contadini in albergatori. Non era facile però soddisfare le richieste (chiamiamoli pure capricci) dei ricchi turisti inglesi: da un lato infatti questi inquieti visitatori volevano quanto più esotismo possibile – perché viaggiare altrimenti? – dall’altro pretendevano di parlare inglese con chiunque come a Trafalgar Square, di sorbire il loro tè alle cinque del pomeriggio e di pregare il buon Dio sotto la guida di un impeccabile pastore anglicano. In qualche modo comunque gli svizzeri se la cavarono, almeno fino a quel terribile 1917. Dopo tre anni di guerra, i russi – tradizionalmente ottimi clienti, famosi per la loro dissennata prodigalità e per questo molto amati dagli albergatori elvetici – pensarono bene di fare la rivoluzione e convertirsi al comunismo. Nel frattempo, in quello stesso anno, gli Stati Uniti entrarono in guerra e da oltre oceano sbarcarono migliaia di giovani americani: bastava immaginarli senza divisa per vedere i turisti di domani. Al tempo stesso i
guadagni del turismo internazionale cominciavano a fare gola a molti, a cominciare da francesi e italiani. Troppe novità e troppi concorrenti per continuare ad arrangiarsi alla buona, come si era fatto sin lì. Per questo, esattamente cent’anni fa, gli svizzeri decisero di creare un Ufficio nazionale del turismo (oggi Svizzera Turismo). Non era il primo al mondo, ma quasi. Fu un’ottima idea perché grandi rivolgimenti erano alle porte.
Fino ad allora la vacanza al mare era stata una faccenda di tranquille passeggiate nel clima mite dell’inverno mediterraneo, riservate a chi era malato o voleva farlo credere. Ma negli anni Venti alcuni sfaccendati americani, sulla riviera francese, inventarono l’estate e la vita di spiaggia; sole, sabbia, bagni, abbronzatura, cocktail e disinvolti amori estivi. I francesi ci aggiunsero di loro il bikini, inventato dallo stilista Louis Reard nel 1946. Quando fu
presentato, le modelle francesi inorridite si rifiutarono d’indossarlo e fu necessario ricorrere a una spogliarellista, Micheline Bernardini. Ma lo scandalo fu presto superato: mezza umanità lo indossò, l’altra metà manifestò la propria gratitudine. Gli esperti di costume (in tutti i sensi) sostennero concordi che non era rimasto più nulla da togliere, mostrando così di avere poca immaginazione. D’improvviso l’estate sulle rive
Invito a una mostra per viaggiare Per celebrare i suoi primi cento anni, Svizzera Turismo propone la mostra Fate vacanza! nella Sala Arsenale del Castelgrande di Bellinzona (dal 5 agosto al 22 ottobre, aperto tutti i giorni dalle 10 alle 18, biglietto intero CHF 15, ridotto CHF 7,50, famiglie CHF 20,00). Sono esposti soprattutto coloratissimi manifesti. Furono questi infatti i primi strumenti di promozione veramente efficaci. Affidati ai maggiori artisti del tempo, sapevano racchiudere in un’immagine le diverse attrattive del territorio e al tempo stesso suscitare un’emozione. Negli anni Trenta la professione di grafico si definisce meglio e Svizzera Turismo sfrutta anche le potenzialità di tipografia e fotografia. In quegli anni, la Svizzera è un riferimento in questo campo e i suoi manifesti fanno scuola. Le prime immagini proposte sono quelle di un Paese dimenticato dalla Rivoluzione industriale e vicino alle sue radici: laghi cristallini, giovani fiumi, scenari alpini, mandrie al pascolo… Il progresso tecnico ha quasi soltanto la funzione di rendere facilmente accessibili i luoghi: Grand Hotel, stabilimenti termali, funivie e funicolari. Gli abitanti compaiono di
Zermatt, Emil Cardinaux, 1908.
In viaggio per la Svizzera. H.L., 1939.
Vacanze d’inverno…, A.C., 1941.
rado, in abiti e ruoli tradizionali. Tuttavia, con l’ascesa degli sport invernali nel periodo tra le due guerre, ecco figure di sportivi in primo piano. Solo nel secondo dopoguerra anche la Svizzera moderna e urbana trova un suo spazio. Ma l’immagine originaria mostra una tenace capacità di resistenza, perché aiuta a distinguere il Paese nella crescente offerta di nuove mete in tutto il mondo. Qui di fian-
co, il famoso omaggio di Cardinaux al Cervino, che stabilisce un legame indissolubile tra l’immagine della Svizzera e la sua montagna più famosa (Zermatt, Emil Cardinaux, 1908). Nell’opera In viaggio per la Svizzera di Herbert Leupin (1939) si vede invece la strada sinuosa che rappresenta un invito al turismo motorizzato, dove però l’assenza di traffico non compromette l’atmosfera idilliaca. Suscitò
proteste invece il manifesto intitolato Vacanze d’inverno: energia vitale, di Alois Carigiet (1941) di quale un cittadino disse di sentirsi «profondamente sconvolto dal fatto che la direzione acconsenta alla pubblicazione di un manifesto così anormale!». E in questo caso Svizzera Turismo si ritrovò persino a doversi difendere dall’accusa di aver offeso il comune senso del pudore…
del mare era diventata il nuovo credo dell’umanità in vacanza, con tutta la forza irragionevole della moda. Dal punto di vista di Svizzera Turismo però c’era poco da stare allegri. Sul fronte del mare, la Svizzera era – come dire? – un poco sprovvista. I ticinesi si affrettarono a piantare palme e ombrelloni sulle rive dei loro laghi, spacciandoli per un Mediterraneo in miniatura. Ma il trucco funzionò solo con gli svizzero tedeschi, che accorsero entusiasti nella Sonnenstube (e, per inciso, sembrano non essersi ancora accorti dell’inganno). Per tutti gli altri, Svizzera Turismo inventò gli sport invernali: salire su una montagna, scendere con due assicelle sotto i piedi e due bastoncini in mano, risalire (magari con qualche aiuto meccanico) e scendere nuovamente, decine di volte nello stesso giorno. Condita con qualche slogan azzeccato – l’eccitazione della velocità, il vento sulla faccia, la sensazione di libertà ecc. – l’idea piacque ed è diventata da allora un nostro prodotto tipico. I pascoli furono trasformati in piste da sci e il raccolto invernale si rivelò più ricco di quello estivo. Difendendo con sano realismo i propri clienti più affezionati, e al tempo stesso ammiccando con civetteria ai nuovi mercati (arabi, cinesi), Svizzera Turismo è entrata nel suo secondo secolo di esistenza, senza mai prendersi troppo sul serio. Per esempio c’era il suo zampino dietro «l’albero di spaghetti» ticinese proposto dalla BBC nel 1957, così come nel pesce d’aprile del 2009 coi «pulitori di montagne»; senza contare i due simpatici montanari che hanno recitato nelle ultime campagne pubblicitarie. La Svizzera di Svizzera Turismo è un Paese diverso da tutti gli altri, al centro dell’Europa senza farne parte politicamente, abitato da persone alla mano anche se un poco stravaganti, pieno di curiosità nonostante lo spazio ridotto e dunque perfetto per quella pazzia collettiva chiamata turismo.
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Ambiente e Benessere
Gialli, verdi o arancioni
Mondoverde Non sono solo buoni, gli agrumi in vaso sono anche molto decorativi pexels
Anita Negretti Coltivati, consumati e soprattutto apprezzati da tutte le persone, gli agrumi risultano essere indispensabili per una corretta nutrizione grazie al loro elevato contenuto di acido ascorbico, la nota vitamina C.
Appartenenti alla famiglia delle Rutaceae, gli agrumi comprendono diversi generi, tra cui i Citrus o i Poncirus, mentre le specie sono più di 1600 Da non sottovalutare è anche la loro importanza economica: si calcolano circa nove milioni di tonnellate annue di frutta raccolta dai soli agrumi, a cui si aggiunge la vendita delle piante a scopo decorativo (da piantumare in piena terra nelle zone miti o in vaso come accade da noi), la frutta non commerciabile per il consumo fresco ma dirottata all’industria dei profumi e infine quella usata per la produzione di pectina, sostanza adoperata per gelificare marmellate e confetture. Gli agrumi sono molto apprezzati per decorare balconi e terrazze, grazie al loro sviluppo ridotto, alla produzione di foglie e fiori profumati e alla loro longevità. Appartenenti alla famiglia delle Rutaceae, comprendono diversi
generi, tra cui i più noti sono quelli del Citrus, Poncirus e Fortunella, mentre le specie sono più di 1600. Fra i più noti sicuramente vi è il limone (Citrus limon),che si presenta come un alberello dalle dimensioni modeste, alto tre-quattro metri e originario probabilmente da un’ibridazione naturale avvenuta nei secoli scorsi tra il cedro (Citrus medica) e il lime (Citrus aurantifolia) in Asia, suo luogo d’origine. Presenta rami solitamente spinosi, foglie alterne verde scuro, fiori molto
profumati e frutti dal classico colore giallo, ma per chi ricerca qualche particolarità vi sono anche limoni con frutta variegata di verde o bianco. La maggior parte delle varietà sono definite «quattro stagioni», ovvero producono fiori, frutticini e frutta in maniera più o meno intensa ma per tutto l’arco dell’anno e dunque necessitano di una buona concimazione e bagnature costanti. Tra le varietà poco conosciute si trova il limone vaniglia, con buccia
molto sottile e ricchissima di succo, il limone volkameriano (Citrus volkameriana) simile a un’arancia ma di color giallo, il limone eureka che porta foglie verdi variegate di bianco, mentre tra i più comuni si trovano i Primofiore e il famoso Femminello del Gargano. Un buon concime che soddisfi le esigenze di questi agrumi deve contenere alte quantità di azoto, potassio e ferro per supplire alla costante carenza a cui vanno incontro, specie se si è scelto di procedere con la coltivazione
in vaso. Un buon aiuto arriva anche dall’uso di lupini sminuzzati da spargere sulla terra, in grado di arricchire nel corso delle settimane il substrato. Altro agrume molto apprezzato è l’arancio, Citrus sinensis, chiamato anche arancio dolce: si presenta come un alberello dalle dimensioni modeste visto che non supera i dodici metri nelle zone mediterranee, mentre in vaso si assesta sui tre-quattro metri. Ha una chioma densa e tondeggiante, con foglie sempreverdi, allungate e con la presenza sul picciolo di due alette che li distinguono dalle foglie degli altri agrumi. I fiori, chiamati correttamente zagare, sono bianchi, intensamente profumati e si schiudono in primavera. Il frutto, noto a tutti per via del colore, aroma e soprattutto sapore, viene chiamato esperidio e per poterne ottenere in abbondanza è necessario provvedere anche in questo caso a una buona concimazione e a una costante bagnatura. Più piccolo di dimensioni, il Kumquat o mandarino cinese (Citrus japonica) produce anch’esso dei frutti commestibili simili a una piccola arancia schiacciata, che si possono mangiare direttamente o lavorare per ottenere marmellate o liquori. Semplice da coltivare, richiede la classica posizione in pieno sole e un riparo per l’inverno visto che mal sopporta le gelate invernali. Gli agrumi in generale sono soggetti all’attacco di cocciniglie, che possono però facilmente esser combattute con l’uso di un olio minerale o di un prodotto chimico specifico. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Ambiente e Benessere
Il popolo di Forcaridra Alberi Una riserva forestale per conservare un esempio delle pinete ticinesi
Fino ad alcuni decenni or sono, il bosco era uno dei componenti essenziali nella vita di ogni comunità umana stanziata fino a una certa altitudine. Era fonte di combustibile, di legname da opera, habitat dove raccogliere stramaglia per le stalle, funghi, frutti dei boschi e pascolo temporaneo. E nel caso delle conifere, luogo per raccogliere i pinoli dei pini cembri e la resina che sgorgava da altri pini e dai larici. Infine, per cacciare la selvaggina, preziosa fonte di cibo, oppure per le pellicce. Una trappola per catturare gli orsi è tuttora visibile e segnalata sui monti di Bodio in Leventina. La pineta è un bosco accogliente, caldo e profumato. Durante una luminosa giornata estiva, il calore solare esalta il profumo della resina emanato dalle fronde. La pineta di pino silvestre (Pinus silvestris) non ha la cupa solennità delle abetaie, né la vaporosa leggerezza dei larici, che entrambi sovrastano la pineta in quota. I1 suolo riceve la generosità del sole, e favorisce la presenza delle piante xeròfile (amanti del caldo secco), come il mirtillo rosso (Vaccinium Vitias-idaea, foto), l’uva orsina (Arctostaphylos uva-ursi), gli astragali, il crespino (Berberis vulgaris). Durante un certo momento della primavera, a seconda dell’andamento climatico più o meno favorevole, il bosco di pino silvestre si trasforma in un fiabesco palcoscenico. Miliardi di pollini, un pulviscolo dorato, sono sospesi nell’aria, e la pineta si trasforma in una nube luminosa. In Scandinavia è stato calcolato che i fiori dell’albero producono tra dieci e ottanta chili di pollini per ettaro in un anno. Gli assolati versanti alpini, dal Sud Tirolo (Alto Adige) alla Savoia e al Quéyras francese, attraverso la Valtellina, la Leventina, il Vallese e la Valle d’Aosta, costituiscono le «valli secche con pino silvestre». Per quanto riguarda il cantone Ticino i più vasti aggregati li troviamo nella media e alta Leventina: da Sobrio a Lurengo, ben esposti a sud-ovest, costituendo una fascia pressoché continua tra 1000 e 1300 metri lungo 35 chilometri. Proprio in questo contesto territoriale è stata istituita nel 2005 la «Riserva forestale di Forcaridra» in comune di Cavagnago intorno ai 1200 metri e su una superficie di quasi otto ettari. È 1’unica nel cantone Ticino per preservare a futura memoria la testimonianza e il dinamismo di questi tipi di boschi. Insieme con quella di «Selva Secca» nella zona del Lucomagno in alta valle di Blenio con pino cembro dominante, tra i pini della montagna alpina primeggia per la sua diffusione il pino silvestre. Non raggiunge nelle Alpi l’importanza che assume invece nelle pianure e sulle basse montagne dell’Europa media e settentrionale, in Scandinavia fino al 71° parallelo nord. Ma è presente con una tale frequenza e in tan-
Crusier
Alessandro Focarile
te differenti condizioni ambientali da diventare uno degli alberi più comuni e familiari dei nostri paesaggi forestali nelle vallate asciutte. Le pendici aride e povere di acque, spesso già bruciate e imbrunite dal sole estivo, fanno pensare senza esitazione a una steppa. Qui l’aria è chiara e trasparente, netti si disegnano i profili dei monti sullo sfondo del cielo, e pare che l’intero paesaggio sia percorso da un raggio di splendore del Sud. Manca solo il frinire delle cicale. Il pino silvestre è un albero di prima grandezza: può raggiungere 48 metri di lineare altezza e vivere fino a seicento anni. È resistente alla siccità e ai forti scarti termici: in Valle d’Aosta e nel Vallese prospera anche con una piovosità inferiore ai 500 millimetri annui. È frugalissimo, e capace d’insediarsi anche su terreni denudati, molto filtranti e poveri di nutrimento organico e minerale, sulle morene abbandonate dalle lingue glaciali vallive. Questo albero pare destinato ad allignare dove non possano altre essenze che hanno esigenze ecologiche maggiori, come l’abete rosso (Picea abies) e il faggio. Dopo il miglioramento climatico (12mila -9mila anni da oggi), i primi boschi che si stavano costituendo erano formati da pini silvestri e betulle, sospinti in quota dal progressivo e dominante arrivo dal basso delle latifoglie. L’istituzione della Riserva forestale di Forcaridra ha giustificato uno studio ecologico che permettesse di mettere in risalto anche le peculiarità della biodi-
versità in essa contenuta: il suo valore e il suo significato. A Forcaridra, grazie a ricerche svolte in tutte le stagioni, sono state censite 65 specie di insetti e di altri invertebrati. Questo contingente faunistico popola 1’ambiente forestale a vari livelli: dalle alte chiome degli alberi fino all’humus del suolo. Dai pollinivori che si cibano di questi corpuscoli vegetali – come le Xyela (vespe prive di pungiglione) e i coleotteri nemonicidi – ai predatori di afidi come talune coccinelle tipiche dei pini, agli insetti che contribuiscono alla demolizione del legno deperiente, come le larve del rutilante coleottero buprestide (foto), insieme con due specie di bostrici. Fino all’immenso mondo di invertebrati, soprattutto insetti, che colonizza la lettiera alla base degli alberi. In questa sede è stato scoperto il più piccolo insetto finora conosciuto della Svizzera, una millimetrica vespina di 0.6 millimetri (disegno), il Baeus castaneus che parassitizza le uova di altri insetti. Da segnalare inoltre il ritrovamento di Polyxenus lagurus, un minuscolo millepiedi, arcaico organismo trovato nell’ambra del Baltico (35-40 milioni di anni or sono), giunto fino ai nostri giorni senza aver cambiato la sua fisionomia e la sua ecologia, e cioè la lettiera dei Pinites: i progenitori dei pini attuali. Infine, il raro coleottero nitidulide Glischrochilus 4-punctatus (foto), il quale si ciba delle ife fungine che crescono nelle gallerie dei bostrici. Per contro, la pineta di Forcaridra
Cartina di distribuzione del pino silvestre nelle Alpi. (Da Luigi Fenaroli 1967)
non ospita per il momento la processionaria del pino, la farfalla i cui bruchi tessono i caratteristici nidi sericei sulle soleggiate chiome dei pini silvestri. E nemmeno le formiche rosso-nere del gruppo rufa, e questo per motivi climatici. È stato calcolato che gli alberi della pineta di Forcaridra hanno un’età di 150-170 anni. Si tratta, dunque di un aggregato forestale molto maturo e con una debole rinnovazione. Aggregato che conserva tuttora un popolamento faunistico (a livello di insetti) di tipo arcaico, con alcune entità di notevole interesse scientifico. Qual è il significato di una riserva forestale, e quali sono le sue finalità? Il concetto è stato elaborato dalla Sezione forestale cantonale, e concretizzato in
un rapporto approvato dal Consiglio di Stato il 6 marzo 2001, seguito da una ristampa aggiornata, del dicembre 2005. «Numerose ricerche hanno dimostrato che la sola applicazione di una selvicoltura naturalistica, che oggi (2001) rappresenta lo standard della gestione forestale in Svizzera, non garantisce la salvaguardia della diversità biologica. Accanto al bosco gestito, è quindi necessario creare un reticolo di aree consapevolmente lasciate all’evoluzione naturale. E questo in vista dei seguenti obiettivi: 1. conservare e favorire la diversità biologica stazionale e strutturale del bosco; 2. permettere che i processi, che regolano 1’evoluzione degli ecosistemi boschivi, possano esprimersi liberamente e in assenza di disturbo». Il rapporto citato metteva inoltre in risalto il fatto che era necessario istituire nel cantone Ticino un certo numero di riserve forestali per complessivi 25mila ettari. Attualmente (2017) siamo a 6076 ettari. Il cammino è ancora lungo. Bibliografia
Il più piccolo insetto finora conosciuto della Svizzera. L’imenottero scelionide Baeus castaneus, 0,6 millimetri. (Disegno originale di Dante Vailati, Brescia)
Glischrochilus 4-punctatus, coleottero nitidulide, 4,2 millimetri. (Alessandro Focarile)
Buprestis, coleottero buprestide, 20 millimetri (James Carmichael)
Ivo Ceschi, Il bosco del Cantone Ticino, Armando Dadò editore (Locarno), 2004 (ristampa 2014), 406 pp. Alios Farjon, Pines, E.J.Brill (Leiden) 1964, 220 pp. Luigi Fenaroli, Gli Alberi d’ltalia, Martello Editore (Milano),1967, 320 pp. Emil Schmid, Reliktenföhrenwälder der Alpen, Geobotanische Institutes Rübel (Zürich), 24 Heft, 122 pp.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Ambiente e Benessere
Lingue di suocera al rosmarino
Migusto La ricetta della settimana
Stuzzichini per party Ingredienti per 18 pezzi: 2 rametti di rosmarino · 120 g di farina · 150 g di farina
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
per spätzli · 1 cucchiaino di sale di 6 g · 1 cucchiaino di lievito secco · 4 cucchiai d’olio d’oliva · 1,25 dl d’acqua tiepida · farina per spianare la pasta · fleur de sel.
1. Staccate gli aghi di rosmarino dai rametti e tritateli finemente. Mescolateli con i due tipi di farina, il sale e il lievito in una scodella. Formate al centro una fossetta e versatevi l’olio e l’acqua. Impastate fino a ottenere una massa elastica e omogenea. Se necessario aggiungete un po’ d’acqua. Coprite e lasciate lievitare in un luogo caldo per circa 1 ora. 2. Scaldate il forno termoventilato a 200 °C. Dividete la pasta in pezzetti di circa 25 g ciascuno. Spianateli su poca farina in lingue ovali, lunghe e sottili. Distribuitele su più teglie foderate con carta da forno. Bucherellatele più volte con una forchetta e spennellatele con un po’ d’acqua. Spargete sulle lingue un po’ di fleur de sel. 3. Cuocetele per circa 8 minuti. Sfornatele, fatele intiepidire e lasciatele raffreddare su una griglia. Preparazione: circa 30 minuti + lievitazione di circa 1 h + cottura in forno di circa 8 minuti + raffreddamento. Per porzione: circa 2 g di proteine, 2 g di grassi, 11 g di carboidrati, 70 kcal/300 kJ.
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S I O N E M A R E 15 O A R T G Ambiente N O M eOBenessere 22 23 24 P N O T O 25 26 27 G E S U O L 28 29 E P I F I S I Progetti del futuro Catturano30l’energia del 31sole producendo l’ossigeno che respiriamo L E A R e la I biomassa A Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32 20
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Energia dagli organismi fotosintetici che utilizziamo per il cibo, le materie prime e le fonti crescenti di bio-energia
SUDOKU
(N. 26 - ... sono più alti di circa sei centimetri) Tatas Brotosudarmo: indonesiano, 36 anni, specialista in fotochimica, un curriculum di tutto rispetto. Dopo la laurea in chimica alla Satya Wacana Christian University di Salatiga, in Indonesia, consegue nel 2006 un master presso la Ludwig Maximilians University di Monaco; nel 2010 ottiene un PhD in biochimica e biofisica presso la Facoltà di biomedicina e scienze della vita all’Università di Glasgow e un Post-dottorato (all’interno del programma di scambio PARC – Photosynthetic Antenna Research Center), presso il Dipartimento di Bioscienza Molecolare della Northwestern University, USA; nello stesso anno si aggiudica anche una borsa di studio per un post dottorato finanziata dal PARC
The Energy Frontier Research Center US Department of Energy, 1 2 3 presso 4 l’Istituto di biologia delle cellule e dei sistemi molecolari sempre 10 presso l’Università di Glasgow. Tornato 13 in Indonesia, nel152011, è 14 cominciata la vera sfida. Aveva a disposizione un laboratorio tutto suo, ma 18 19 20 praticamente nessuna attrezzatura utile. Grazie a un grant ricevuto nel 2012 23 dalla TWAS – The World Academy of Sciences (www.twas.org) ha potuto fi26 nalmente acquistare gli strumenti che gli servivano per le sue ricerche: isolare 30 certe sostanze dalle piante oceaniche, purificare i pigmenti in modo da capire come assorbono la luce e studiare33 le loro potenzialità applicate alle tecno35 logie sull’energia solare. Questi studi gli hanno permesso di presentare ben tre pubblicazioni di rilievo, entrare in
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contatto con36altri giovani promettenti scienziati al Nobel Laureate Meeting di Lindau, in Germania, nonché di diventare membro del PARC della Washington University di St. Louis, Missouri. Oggi è uno dei ricercatori di punta nel settore delle cellule solari bio5 6 ibride e dirige il Ma Chung Research Center for Photosynthetic Pigments, a Malang, East Java (Indonesia), un centro di ricerca multidisciplinare dedica12to allo studio dei pigmenti come materiali attivi. Il suo interesse specifico si appunta sulla ricerca di base e sulle applicazioni complesse delle proteine 17pigmentarie 18 nei sistemi 19di fotosintesi 20 per i materiali innovativi nella produ24zione di energia bio-rinnovabile. 25 In Indonesia, come nel resto del mondo, la domanda per 29 è aumentata 30 la produzione di cibo, energia sostenibile e benessere. Gli studi condotti da 32 33 34 Brotosudarmo cercano di capire come la fotosintesi possa aiutarci a risolvere
(N. 27 - ... un pezzetto di gesso) Janus – Puntualizzazione e aggiornamenti 1
Nel numero di «Azione» del 14 novembre 2016, vi abbiamo parlato di Janus, l’esperanto 3.0 all’interno dell’articolo dedicato al progetto SUNRISE, in cui si trattava di «Internet delle Cose Sottomarino». Come da comunicato del NATO STO Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) di La Spezia, divulgato lo scorso 27 aprile, puntualizziamo per chiarezza e completezza di informazione che Janus, standard digitale usato nella comunicazione acustica sottomarina, è stato sviluppato dal Centro
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NATO per la Ricerca Marittima e la 7 8 9 Sperimentazione (CMRE) nel corso degli ultimi dieci anni e più, dedi10 11 cati agli studi, e successivamente in SUNRISE è stato integrato nei di13 14 spositivi innovativi del progetto. Ora Janus è stato approvato come NATO 15 16 standard (denominato STANAG per convenzione NATO). Ed è la prima volta in assoluto che 22 un protocollo 21 23 digitale per la comunicazione subacquea viene a livello in26riconosciuto 27 28 ternazionale. Per maggiori informazioni: http://www.nato.int/cps/en/ 31 natohq/news_143247.htm.
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Tra coniugi: «Cara dove sono i 1.500 franchi che erano nel cassetto?» – «I N V E S T I T I!» Trova la preoccupata risposta del marito leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate. (Frase: 4, 4, 3, 1, 3, 6)
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
N O E L I D R I N 9 2 7 3 5 L I R A I C I V O8 S S I 3M 4 2 T A I3 C E 9 O 8 8 S N4 I5R I S T I M O1 E 9I 7 R 7 N9 A 2 A R 4T 5 questi bisogni. Il paese, per posizione Aè passato studio di alcuni batteri A R allo I (come geografica, è un vero e proprio 3 O1epicen4 fotosintetici 2A il Rhodopseudomo6 tro di biodiversità terrestre e marina, anche per quanto riguarda gli organismi fotosintetici. Tra i pigmenti più abbondanti e visibili ci sono anche qui la clorofilla e i carotenoidi. Indispensabili alla vita, gli organismi fotosintetici catturano l’energia del sole attraverso la fotosintesi, appunto, producendo l’ossigeno che respiriamo e la biomassa che utilizziamo per il cibo, le materie prime e le fonti crescenti di bio-energia. Nelle sue ricerche Brotosudarmo ha innanzitutto mappato gli organismi fotosintetici tipici dell’Indonesia. Si sono testate nuove specie marine e terresti, come microalghe, fitoplancton, cianobatteri e batteri che hanno fotosistemi unici dai quali è possibile capire come la fotosintesi agisca a livello molecolare. Quindi, sempre grazie a un grant della TWAS, tra il 2012 e il 2013,
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nas acidophila, il Rhodopseudomonas palustris e il Roseobacter denitrificans) e cianobatteri (come l’Acaryochloris marina) dotati di complessi di raccolta della luce (complessi antenna) con spettri assorbenti insoliti. Tali complessi sono array (matrici) di pigmenti e proteine che raccolgono la luce solare e la trasferiscono per immagazzinarla in modo particolarmente performante. Lo scopo è capire quali meccanismi permettono alle proteine di correggere la posizione dei pigmenti, in modo da regolare la loro capacità di assorbimento per incanalare l’energia e utilizzarli per la produzione di cellule solari ibride. Utilizzando nanostrutture ibride appositamente fabbricate, si prevede di aumentare la fotochimica dei complessi antenna, da inserire poi nella progettazione di cellule solari miniaturizzate.
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ORIZZONTALI 1. Moderato 5. C’è anche quella gialla 9. Termine liturgico 10. Moglie di Abramo nella Genesi 11. Pronome personale 12. Chiarifica il testo 13. Primo cardinale italiano… 15. Bocca in latino 16. Nome femminile 17. Pallini parigini 18. Gobbe nel deserto 19. Fama, reputazione 20. Vertice, cima 22. C’è chi di lo accende in spiaggia 23. La Venier 24. Si spoglia d’inverno 25. Un anno a Parigi 26. Letta al contrario è grasso corporeo… 27. Un tempo del set 28. Una cattiva consigliera 29. Ispiravano i poeti 30. È nero a Ginevra 31. Molle in bocca 32. Oscillazioni d’acqua
O N T C A S R E
I P N A 4 A R E U P 7 C D I 5 1 U M I D E P O T E R 4 35 36 A N O M A 3 Giochi per “Azione” - Luglio BIS 2017 Vinci una delle 3 carte regalo da 50Sargentini franchi con il cruciverba Stefania 8 7 5 e 29 una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. - ... Tisana di galega e nocchio) (N. 28 - “Non preoccuparti, morirà di solitudine”) 9 8 2 S T I A S A P O N I 1 2 3 4 5 6 7 8 Sudoku ANI O A O G R E G O ND AN R OI N. 27P DIFFICILE R A L E N T O G L 9 10 11 12 Soluzione: R OO 1FC I U AOR G N T O O R Scoprire i3 EC 3 P7 A5 14 15 16 13 numeri A corretti R A T O N O N O T O V E A P1 E da inserire nelle C A C E H 7T 5R I 17 18 caselle colorate. LOO I R T AE O T R I A M U R 6 8 A T E I S M O 19 20 21 C O L T M O R I R E N O L O R D 2 22 23 24 ´ G L SUDOKU ´ V A I O PER AZIONE M A - LUGLIO D EBIS 2017 (N. 30 - Se toccata, le sue foglie si ritraggono) 25 26 27 28 4 3 7 5 FACILE A N.N25 N I S P A G Soluzione O L S E T T O R E Schema 30 31 29 C A7 T 4 5 G A9 I C2 R7 3I T 3 A U R 4O6 98 8D2 7I 1 3 5 O A L E S A 8 3 4 2 33 34 35 32 5 8 7 6 1 3 24 2 99 A PS 1 A P3 T9 M S8AO R N I E T 1 2 3 4 9 5 8 7 6 36 37 A U4 L E5 A F O 8 N I A 6 4 S14 5 S7 6E89 8 3 A N I C E R T 2A G L I S T E S I 1
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I7 A9 T2 O R4 R E A D 5 7 9 8 2 4 3 4 6 5 1 22 23 22. Si accusa in tarda mattinata L3 1 G4 O L 2I A 6 G N U 3 1 4 9 5 2 7 6 8 24. Altro nome del satin 25 24 I D O N E O O N D A 6 3 25. Se le dà il borioso Soluzione della settimana precedente 9 5 6 7 4 8 3 1 2 27. È buono in Germania BUONO A SAPERSI 8 6 – Il succo di limone è: … UN OTTIMO 8 7 2 DEODORANTE 3 6 1 5 9 4 28. Il pupo di Mascagni NATURALE. 5 3 (N. 31 - ... Un ottimo deodorante naturale) N. 26 MEDIO 29.2 Precede il se 1 3 4 5 6 7 8 9 30. Simbolo chimico del sodio P U N2 T I D O T T E 7 1 4 24 9 5 7 8 3 26 10 11 6 9 5 2 3 8 7 1 4 I D E A 3 M8 O Z A4 R T 12 13 I vincitori 6 1 7 3 8 6 1 4 6 9 2 5 V I I D E 9 S I 1O T 14 15 16 2 8 4 1 9 6 5 7 3 O T8 D E9 N S O7 R A 17 18 Vincitori del concorso Cruciverba 1 7 5 7 3 4 8 8 2 6 9 1 T 5 O R O N T2 O P1 E R 19 20 su «Azione 30», del 24.7.2017 1 7 4 9 1 6 3 7 5 2 4 8 T O N A T O A. Ortelli, M. Colombini, M. Casmiro 21 2 8 3 6 3 6 9 8 2 1 4 5 7 I P U R I Vincitori del concorso Sudoku 22 23 24 su «Azione 30», del 24.7.2017 8 7 5C A R D I N I 8 2 7 5 4 3 1 6 9 4 7 3 26 A. Lunghi, A.25Bucci 9 8 2 4 5 1 7 6 9 3 8 2 I L E O A E 19
VERTICALI 1. Si ammira da un’altura 2. Un profeta minore nella Bibbia 3. Vanno in cerca di alibi 4. Le iniziali dell’attore Norris 5. Personaggio da fiaba 6. Pappagallo americano 7. Viene in camera dopo me 8. Cantilene fastidiose 10. La stella più vicina a noi 12. Tra le Calende e le Idi 13. Il morto… con i cappotti 14. Lodare e celebrare pubblicamente 16. L’attore Zingaretti 17. È in capo al mondo… 18. Vuotare il sacco 19. Nome… inglese 21. Il cibo dei bambini
16
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N.28 GENI
(N. 32 - “Cara sono una o due parole?) Partecipazione online: inserire la 1 2 3 4 5 6 7 8 soluzione del cruciverba o del sudoku 9 10 nell’apposito formulario pubblicato 11 12 13 14 sulla pagina del sito. 15 16 Partecipazione postale: la17 lettera o la cartolina postale che 19riporti la so18
N. 27 DIFFICILE
3
luzione, 1 corredata da 3nome, 7 cognome, 5 P A Remail C O F A R deve I N indirizzo, del partecipante 7 5 1 A Mspedita E N a «Redazione S A R Azione, A E essere 6C.P. 6315, 6901 8 Lugano». Concorsi, N O I N O 7 T A U N Non si2intratterrà corrispondenza sui O S L O L A P O I concorsi. escluse. Non 4 Le vie3 legali 7 sono 5 R D U N E N O M E
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Politica e Economia Russia, gigante fragile Gli sforzi per allargare i confini e la propria influenza sono il retaggio di un passato segnato da innumerevoli invasioni pagina 22
Il Dragone cambia approccio Dopo aver accuratamente evitato ogni intromissione politica in Africa, puntando solo sul commercio, la Cina sperimenta le sue capacità diplomatiche nel Sud Sudan
I salari dei manager Secondo l’annuale studio della «Handelszeitung» le loro remunerazioni crescono meno
Il tonfo delle criptovalute L’analisi del consulente della Banca Migros su Bitcoin e valute virtuali analoghe
pagina 23
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Il tarlo della democrazia pakistana
Sostenitori di Nawaz Sharif protestano contro la sua destinazione. (Keystone)
Colpo di Stato giudiziario La Corte Suprema ha defenestrato Nawaz Sharif, inviso ai militari e ai servizi segreti
dell’ISI, perpetuando la tradizione secondo cui il primo ministro eletto non giunge mai al termine del suo mandato
Francesca Marino La democrazia alla pakistana inventa sempre nuovi e fantasiosi modi per non permettere ai suoi premier, anche e soprattutto quando sono stati (più o meno) legalmente eletti dal popolo, di completare il loro mandato: l’ultimo, in ordine di tempo, è il colpo di Stato giudiziario. Della Corte Suprema, nello specifico, che ha mandato a casa il premier Nawaz Sharif, non perché ci siano prove concrete delle accuse di corruzione e concussione a suo carico sulla base dei famosi Panama Papers: le accuse, secondo la Corte, dovranno essere ulteriormente investigate da una apposita Commissione. Sharif è stato mandato a casa, e probabilmente gli sarà vietato ricoprire ancora cariche statali, perché secondo quanto prescritto dall’articolo 62 (l)(f) della Costituzione (emanato dalla buonanima del dittatore Zia) un membro del Parlamento ha obbligo di essere «onesto, giusto e dalle mani pulite» per tradurre liberamente. E di adeguarsi agli standard dettati a ogni buon musulmano dal Profeta Maometto. Vale appena di notare che se si applicasse questo principio a tutti i politici pakistani non ne rimarrebbe in carica uno:
a cominciare dall’ex giocatore di cricket, ex-playboy internazionale Imran Khan, divenuto con l’avanzare dell’età un fustigatore di costumi e custode della morale, nonché un burattino nelle mani dell’esercito, dei servizi segreti e dei partiti integralisti, tanto da meritarsi il soprannome di Taliban Khan. Il buon Imran ha fatto della crociata contro Nawaz Sharif una delle principali ragioni della sua esistenza, e ha contribuito non poco a ridurre politicamente a un’ombra la figura del primo ministro mettendo un paio di anni fa sotto assedio per quasi un mese, coadiuvato dall’esercito e dall’Isi, la capitale Islamabad. Non è riuscito a far dimettere Sharif, ma è riuscito a renderlo politicamente innocuo. Ma non è bastato, nonostante Nawaz, pur di rimanere incollato alla poltrona di premier faticosamente conquistata per la terza volta, avesse praticamente consegnato di fatto il governo del paese, e soprattutto la politica estera, in mano ai generali e all’Isi. Che ai bei tempi della sua prima elezione ne avevano fatto il loro pupillo, ma che lo vedono come il fumo negli occhi da quando tentò di fare accordi con l’India e di esiliare l’allora generale Musharraf che aveva invaso Kargil mentre Nawaz trattava con Delhi.
Che Sharif sia corrotto è un dato di fatto, e in Pakistan lo sanno, e da sempre, anche i sassi. Ma il problema non è questo. Il premier eletto non è stato mandato a giudizio e trovato colpevole di un qualunque capo d’accusa, ma è stato «dimesso» con una decisione chiaramente politica della Corte Suprema. Che ha agito su raccomandazione di una Commissione di indagine sui Panama Papers, Commissione in cui sedevano, non si sa perché e a che titolo, due rappresentanti dell’esercito e uno dell’Isi. In pratica i giudici hanno agito, come da tradizione, su mandato dei militari. E d’altra parte, la Corte Suprema e i giudici pakistani hanno una lunga storia di acquiescenza totale e cieca verso i militari e di avere fornito vernice legale a tutti i colpi di Stato che si sono succeduti negli anni. In Pakistan nessun premier, dei quindici eletti nella travagliata storia del paese, ha mai concluso un mandato: sono stati tutti defenestrati da colpi di Stato vari ed eventuali. E Nawaz non fa eccezione. Per il momento, a succedergli in attesa delle elezioni per il seggio lasciato vacante, è stato nominato Shahid Khaqan Abbasi, ex ministro per il petrolio. In attesa che al seggio concorra il fratello minore di Nawaz, Shabhaz,
che è attualmente Chief Minister dello stato del Punjab. A quanto pare, però, Shabhaz non ha nessuna voglia di abbandonare una poltrona sicura per ricoprire un posto a rischio come quello di primo Ministro. Soprattutto perchè dovrebbe limitarsi a ricoprire, come suo fratello Nawaz negli ultimi anni, un ruolo di stretta rappresentanza. La politica estera, e per politica estera si intendono i controversi rapporti con l’India e l’aver consegnato di fatto economicamente il paese alla Cina, è in mano ai militari. Così come sono in mano ai militari i rapporti con l’Afghanistan e con la Casa Bianca, e la gestione dei terroristi ancora e sempre divisi in «buoni» e «cattivi»: dove i buoni sono quelli adoperati per attacchi suicidi in India e in Afghanistan, mentre i cattivi sono quelli che attaccano le istituzioni. Le elezioni politiche si dovrebbero tenere nel 2018, e nessuno ha intenzione di anticiparle. Fa comodo, molto comodo, avere un premier di facciata e che non tenti neppure (e questo è stato uno dei più gravi errori di Sharif) di ricominciare a processare Musharraf per alto tradimento. Nawaz ha pagato molto caro il suo tentativo di vendetta nei confronti dell’uomo che lo aveva destituito e poi
esiliato per dieci anni: andare contro l’ex-generale significava andare contro l’esercito, e l’esercito in Pakistan, si sa, è al di sopra di tutto. È una vecchia battuta ma è sempre valida: gli altri paesi hanno un esercito, nel caso del Pakistan è l’esercito ad avere un paese. Un paese che si avvia diventare ormai le mani sporche della Cina e che possiede la bomba atomica. L’Occidente, voltate le spalle al conflitto afghano e dintorni, tende a dimenticarsi del Pakistan: anzi, nel caso dell’Italia e di altri paesi europei, tende a fare affari con generali e politici corrotti facendo leva su una facciata di democrazia che fa comodo per tenere la coscienza a posto. Nelle dittature di fatto, nel caos e nelle zone grigie, si sa, gli affari prosperano. A farne le spese sono i cittadini pakistani, che ormai tra Corti marziali, legge sulla blasfemia e divieti di scrivere criticando l’esercito hanno paura anche di fare quattro chiacchiere al caffè, figuriamoci di scrivere sui giornali o di pubblicare libri. Ma a farne le spese, in un futuro non troppo lontano, sarà anche l’Occidente: che si occupa adesso soltanto di Siria, Iran o Corea del Nord, senza ricordarsi che a guardia della bomba ci sono, e ci saranno sempre più, generali e integralisti islamici.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Politica e Economia
Russia, superpotenza fragile Geopolitica La storia del paese è segnata dalle invasioni, le ultime delle quali guidate da Napoleone e Hitler,
e la sindrome di insicurezza collettiva spinge i suoi regnanti a «difendersi» espandendo i confini. Ma il gioco di Putin con l’America di Trump sta mostrando i suoi limiti Federico Rampini Le invasioni hanno segnato la storia della Russia. La Grande Armée di Napoleone contro l’esercito dello Zar Alessandro I. Un’epopea tragica dove le gesta degli uomini forse non furono decisive. Alla fine la ritirata di Russia segnò soprattutto la vittoria del Generale Inverno, il più temibile dei condottieri che difendono Mosca e San Pietroburgo dagli invasori stranieri. Anche la Wehrmacht tedesca agli ordini di Adolf Hitler fu sconfitta – oltre che dal sacrificio eroico di milioni di soldati russi – dall’indomabile Generale Inverno.
Come ai tempi degli Zar e poi dell’interregno sovietico, il paradosso russo rimane lo stesso: un territorio gigantesco, una notevole forza militare, ma un’economia povera e irrilevante Il fiasco delle due ultime invasioni, francese e tedesca, contiene un insegnamento ambiguo. Da una parte, l’ultima parola spetta al Generale Inverno che infligge un castigo mortale a chi si addentra in Russia e ci rimane nella stagione sbagliata. D’altra parte, è relativamente facile percorrere le grandi pianure dell’Europa centrale, arrivare in un lampo da Parigi o da Berlino fino al cuore della Russia. Non ci sono delle vere barriere naturali – geografiche – come potrebbero essere delle alte catene montuose o dei mari, dei deserti, o dei fiumi difficili da traversare. La Russia è facile da invadere (occuparla è un altro discorso). Per questo ci cascarono Napoleone e Hitler. Per questo i russi – popolo e leader – si portano dentro un’insicurezza antica. Che ognuno cerca di curare come può. Il paradosso della superpotenza fragile è illustrato in un saggio dello storico americano Stephen Kotkin, docente all’università di Stanford. S’intitola Russia’s Perpetual Geopolitics, pubblicato sulla rivista «Foreign Affairs». Descrive la sindrome dell’insicurezza alla quale generazioni di autocrati hanno dato sempre la stessa risposta: conquistare nuovi territori, espandersi ai danni dei paesi vicini, allontanare sempre di più da Mosca e San Pietroburgo i confini esterni. «Per mezzo millennio, a cominciare dal regno di Ivan il Terribile nel XVI secolo – scrive Kotkin – la Russia è riuscita a espandersi alla velocità media di 130 km quadrati al giorno per centinaia di anni, fino a occupare un sesto di tutta la superficie emersa del pianeta». Tra i momenti di massima ascesa e allargamento territoriale Kotkin elenca la vittoria dello Zar Pietro il Grande contro Carlo XII di Svezia che ricaccia indietro gli scandinavi e insedia i russi nel mar Baltico nel primo Settecento; la vittoria di Alessandro I su Napoleone che fa dello Zar uno dei protagonisti del Congresso di Vienna e quindi del nuovo equilibrio fra le potenze europee; la vittoria di Stalin contro Hitler quando l’Urss si allarga fino ai confini dell’Occidente, si annette di fatto la Mitteleuropa inclusa mezza Germania. Tra le fasi di ritirata (relativa): la sconfitta nella Guerra di Crimea del 1856 che porta a una prima crisi del regime zarista e all’emancipazione dei servi della gleba; l’umiliante disfatta nella guerra contro il Giappone del 1905, la prima
Le mani sul mondo, affinché il mondo non metta le mani sulla Russia. Da sinistra, il comandante della marina militare, ammiraglio Korolev, il presidente Putin, il ministro della difesa, generale Shoigu. (Keystone)
volta che un impero «bianco» nell’èra moderna perde il confronto militare con un avversario asiatico; la sconfitta nella prima guerra mondiale che genera il tracollo della dinastia Romanov e la rivoluzione del 1917; la ritirata dall’Afghanistan che accelera la crisi dell’Unione sovietica; infine la sconfitta nella guerra fredda e la dissoluzione dell’intero blocco comunista. La contraddizione di fondo è questa: anche nei momenti di massima espansione territoriale, militare e imperiale, la Russia è sempre stata un gigante coi piedi d’argilla, una superpotenza debole. Nel 1900, per esempio, il suo reddito pro capite era un quinto di quello inglese, la speranza di vita media per i suoi abitanti era di soli trent’anni contro 52 in Gran Bretagna, e solo un terzo dei russi sapevano leggere e scrivere. Come ai tempi degli Zar e poi nell’interregno sovietico, il paradosso russo rimane quello di sempre: un territorio gigantesco, una notevole forza militare, ma un’economia povera e irrilevante. Il Pil russo è di poco superiore a quello della Spagna, è più basso dell’India o del Brasile. L’economia della Russia è una frazione (un quindicesimo) di quella americana. Inoltre Putin ha ereditato un territorio amputato rispetto ai picchi della massima espansione. La disintegrazione dell’Urss, facendo nascere tante repubbliche ex-sovietiche, ha sottratto a Mosca un territorio superiore all’intera Unione europea, oltre cinque milioni di km quadrati. Ecco la linea rossa che qui c’interessa, e soprattutto interessa Putin: segna il confine mobile della sfera d’influenza di Mosca, il cui spostamento ha seguito cicli di espansione e di ritirata. La linea rossa dell’èra sovietica che includeva Germania Est, Paesi Baltici, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, più una serie di repubbliche dell’Asia
centrale, oggi si è «pericolosamente» rattrappita avvicinandosi a Mosca. La linea rossa più recente non include neppure più l’intera Ucraina. Una parte di quei territori sono finiti dentro la Nato, alcuni dentro l’Unione europea, due alleanze che a torto o a ragione Putin considera come rivali e perfino ostili. Di fronte alla fragilità economica e sociale, Putin reagisce con la classica fuga in avanti. O ritorno all’indietro… Cioè cerca compensazioni nazionaliste, aggrappandosi allo status di superpotenza. Riallacciandosi così alla Russia di sempre, alle parabole degli Zar. Annessione della Crimea, invasione di alcune regioni dell’Ucraina, intervento militare in Siria: a queste operazioni bisogna aggiungere la clamorosa ingerenza nell’elezione presidenziale americana del 2016. Dalla quale Putin sembrava destinato a incassare un beneficio enorme. Ma l’idillio con Donald Trump è durato poco. Centomila soldati mobilitati dalla Russia per le manovre al confine della Nato in questa estate 2017 sono un brutale risveglio. Anche la visita del vicepresidente americano Mike Pence in Estonia, Georgia e Montenegro, è un condensato di cattive notizie sul fronte orientale. Pence rilancia il vecchio progetto di inclusione della Georgia nella Nato, aborrito da Putin che lo considera un gesto ostile, un nuovo passo nel tentativo di accerchiamento della Russia. L’ipotesi di allargare la Nato fino a Tbilisi si affacciò sotto la presidenza di George W. Bush poco prima della guerra del 2008 fra Russia e Georgia; ma senza un orizzonte temporale preciso. Ora, dopo l’invasione-annessione della Crimea e i combattimenti in Ucraina, il premier Giorgi Kvirikashvili denuncia «provocazioni quotidiane» da parte dei russi e sollecita l’adesione al Patto atlantico. L’attenzione che gli riserva Pence la dice lunga sulla fine della luna di mie-
le Washington-Mosca. Anche Putin ha preso atto del revival di tensione e ci mette del suo: dall’espulsione di tre quarti del personale diplomatico Usa (755 su poco più di un migliaio) fino alle manovre militari ai confini del Baltico.
L’ intenzione di includere la Georgia nella Nato e le sanzioni imposte dal Congresso rimettono Putin sulla difensiva Non era questo lo scenario sul quale Putin puntava ancora un mese fa, al G20 di Amburgo, segnato da molteplici e cordialissimi incontri con Trump. Quel G20 sembrava sancire il successo di una scommessa inaudita, con la quale Putin aveva rilanciato la sua immagine globale, il suo prestigio personale, e il potere contrattuale della diplomazia russa. Bisogna ricordare il punto di partenza, un anno fa: i blitz degli hacker russi per carpire informazioni riservate al partito democratico americano, diffamare e danneggiare Hillary Clinton, favorire l’elezione di un candidato considerato come più congeniale agli interessi di Mosca. L’operazione fu condotta in maniera plateale e perfino sfacciata, denunciata dall’intelligence Usa e da Barack Obama. Sembrava impossibile che venisse coronata dal successo e lo stesso Trump fino alla notte dell’8 novembre credette assai poco nelle proprie chances di entrare alla Casa Bianca. Forse anche perché non immaginava se stesso presidente degli Stati Uniti, e quindi non calcolava le conseguenze, in campagna elettorale Trump «flirtò» con Putin, ostentando simpatia, stima, convergenza strategica.
Un test Putin lo aveva fatto con le ingerenze nella campagna referendaria inglese; ci ha riprovato in Francia a favore di Marine Le Pen ma con esito deludente. Il colpaccio americano era stato come vincere al Superlotto. Partendo da una condizione di debolezza, Putin aveva realizzato un capolavoro, si era rilanciato come un partner quasi di pari rango con l’America. E si era fatto accettare da Trump come un possibile salvatore nell’impasse della Siria, dove i due hanno concordato un parziale cessateil-fuoco. Putin aveva fatto i conti senza la contro-reazione americana. Affidata al Congresso. L’indignazione di tanta opinione pubblica e dei media per l’idillio Trump-Putin su sfondo di ingerenze nel processo elettorale, ha finito per irrigidire anche il partito repubblicano. Che ha infilato una zeppa nel dialogo bilaterale: la nuova legge votata a larga maggioranza bipartisan lega le mani al presidente degli Stati Uniti sulle sanzioni, le inasprisce, fino a minacciare il settore energetico cioè l’unico che regge l’economia russa (nel mirino delle sanzioni c’è il gasdotto Nord Stream 2). Pence conferma il ritorno nei binari della tradizione. Agevolato dal peso dei «tre generali» alla Casa Bianca: Kelly capogabinetto, Mattis alla Difesa, McMaster consigliere per la sicurezza nazionale. Il Pentagono ha formato generazioni di militari che credono nel primato americano; nessuno era felice di svenderlo sull’altare di una parità con Putin agguantata da quest’ultimo in maniera fortunosa. Gigante dai piedi d’argilla, l’Orso russo resta però una superpotenza militare in grado di spaventare l’Europa: vedi la sproporzione di forze tra le manovre congiunte della Nato nel Baltico che coinvolgono meno di tremila soldati, e quelle dell’Armata rossa che ne schiera 100’000 in Bielorussia.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Politica e Economia
Il laboratorio cinese in Africa
Sud Sudan Dopo 25 anni, in cui Pechino ha condotto nel Continente nero una strategia commerciale senza ingerenze
politiche, la Cina svolge per la prima volta il ruolo di paciere, fra chi si contende il potere nel più giovane Stato del mondo Pietro Veronese La presenza commerciale cinese in Africa stupisce ormai solo chi non frequenta quel continente. Le merci a buon mercato made in China sono onnipresenti nei mercati e nelle botteghe; magazzini, hangar e depositi stracolmi di mercanzie con vistose insegne scritte in ideogrammi sono sorti negli anni alle periferie di tutte le maggiori metropoli. Grandi infrastrutture dal look inconfondibile si fanno riconoscere nei centri urbani: stadi, palazzi presidenziali, alberghi, centri conferenze. Per non parlare delle strade di grande comunicazione o addirittura delle due linee di metropolitana di Addis Abeba, la capitale etiopica; o delle fabbriche tessili o di interi rami d’industria, come le miniere di rame dello Zambia. Una buona parte dell’Africa odierna è fatta in Cina, oppure in mani cinesi. Parliamo di un interscambio commerciale che nel decennio 2003-2012 si è accresciuto dieci volte, da 20 a 200 miliardi di dollari, ed è in costante aumento. Un volume di affari e di investimenti che ha da tempo superato quello degli USA in Africa, occupando stabilmente il primo posto, e che secondo le stime entro il 2020 sarà di nuovo quasi raddoppiato, raggiungendo i 380 miliardi di dollari.
La Cina ha favorito una tregua tra i contendenti poiché nel Sud Sudan gli interessi locali e quelli di Pechino coincidono Tutto questo è avvenuto a condizioni che deliziano i governanti africani. A differenza degli investitori occidentali, i cinesi concedono prestiti con grande facilità e a tassi estremamente vantaggiosi, talora addirittura gratuitamente. Soprattutto – esattamente al contrario degli aiuti pubblici europei o nordamericani – non legano la cooperazione bilaterale al rispetto dei diritti umani o delle regole democratiche. Stringono la mano, elargiscono denaro e un sacco di sorrisi e così facendo si sono fatti negli anni moltissimi amici nelle capitali di tutto il continente. Già quasi dieci anni fa il libro ormai classico dell’economista zambiana Dambisa Moyo (Dead Aid, traduzione italiana La carità che uccide, Rizzoli 2009) fustigava gli aiuti allo sviluppo occidentali ed esaltava il ruolo economico della Cina in Africa. In questo lungo e riuscitissimo cammino di penetrazione, il governo cinese ha sempre mantenuto un profilo relativamente basso. Certamente esso era in corsa per raggiungere una posizione di primato commerciale; non però altrettanto nell’arena diplomatica. Non ha mai cercato di far valere la propria partnership in termini di alleanze bilaterali o in una prospettiva geostrategica, se non forse quando ha avuto bisogno di qualche voto compiacente alle Nazioni Unite. Mentre la Cina affermava sempre più il suo rango di superpo-
La Cina è il principale operatore estero nei giacimenti di petrolio del Sud Sudan e intende rimanerlo. (Keystone)
tenza, è rifuggita dal ruolo egemone che sembrava ormai competergli, ben contenta che quest’onere restasse appannaggio degli Stati Uniti d’America. Così andavano le cose in Africa, a immagine di quanto accadeva su scala globale. Adesso però le cose stanno cambiando e la causa è, con tutta evidenza, la presidenza di Donald Trump. Un’America isolazionista, antagonistica, lontana dall’Europa, in ritirata da grandi accordi internazionali come quello sul clima, sempre più centrata sui propri interessi e ostile a un’ottica di governance globale, sta lasciando un vuoto. E la Cina è fatalmente chiamata a riempirlo, risucchiata in un ruolo che si va trovando costretta ad occupare con grande riluttanza. Lo si è visto molto bene al recente vertice G-20 di Amburgo, il 7 e 8 luglio, dove la cancelliera Angela Merkel ha vistosamente spinto il pre-
sidente cinese Xi Jinping sul proscenio mondiale nel ruolo del protagonista. In questo moto inesorabile verso un ruolo più attivo nel governo del mondo, la Cina sta forse prendendo per la prima volta un’iniziativa diplomatica nel tentativo di risolvere una devastante crisi molto lontano dai propri confini e dalla sua immediata sfera di influenza. Un laboratorio per rendere più concreto ed operante quello che già da tempo molti osservatori chiamano «il secolo cinese». Questo laboratorio si trova in Africa: è il Sud Sudan. Il Sud Sudan, dodici milioni di abitanti, è il Paese più giovane del mondo: è diventato indipendente il 9 luglio 2011. I suoi governanti sono gli ex capi militari che per decenni hanno combattuto una guerriglia prima autonomista, poi indipendentista, contro le autorità centrali del Sudan. Finalmente, dopo un re-
ferendum tenuto qualche mese prima, sei anni fa si sono staccati dal governo di Khartum. Il presidente e il vicepresidente erano entrambi espressione di una forte base etnica: rappresentavano le due maggiori etnie del Paese, i Dinka e i Nuer. Dopo un biennio di faticosa collaborazione i due leader – molto più signori della guerra che uomini di Stato – sono giunti al punto di rottura e hanno cominciato a combattersi. Il Paese, già quasi totalmente privo delle più elementari infrastrutture, ridotto a una condizione di stentata sussistenza dai decenni del precedente conflitto, è precipitato nella tragedia. Lo scontro di potere ha immediatamente assunto il carattere di una feroce faida tribale. Successive tregue e fragili accordi di pace, negoziati mentre la stagione delle piogge imponeva comunque una tregua sul campo, sono più o meno naufragati
con l’arrivo della stagione secca. Il Sud Sudan è oggi un gigantesco campo profughi alla fame, teatro di crimini inenarrabili e percorso da bande armate al di fuori di ogni controllo. Questo Paese privo di sbocchi al mare ha una sola risorsa, ma cospicua: il petrolio. L’obiettivo quest’anno è superare i 300mila barili di produzione al giorno, con i quali i signori della guerra finanziano i propri conti personali e l’acquisto di armi. Il principale operatore estero nei giacimenti sudsudanesi, e il principale acquirente del loro prodotto, è la Cina. Lo era fin dai tempi in cui i giacimenti erano ancora territorio sudanese e appartenevano al governo di Khartoum; ha continuato ad esserlo con il nuovo Stato. Nel 2012-2013 l’interscambio tra i due Paesi superava i 500 milioni di dollari e in Sud Sudan erano registrate un centinaio di imprese cinesi attive nei settori petrolifero, delle costruzioni, delle telecomunicazioni, alberghiero, della ristorazione e del commercio al dettaglio. I cittadini cinesi residenti erano svariate migliaia. Allo scoppiare della guerra civile l’alternativa era evacuare oppure tentare di favorire una tregua tra i contendenti. La fuga era stata la via scelta in Libia quando nel 2011 era esplosa la rivolta che avrebbe messo sanguinosamente fine al regime di Gheddafi: in dieci giorni, con una straordinaria operazione logistica, oltre 35mila cinesi erano stati evacuati via mare, terra e cielo. Un efficacissimo esempio della tradizionale politica di non interferenza più volte riaffermata da Pechino: cooperare sì, farsi coinvolgere no. Ma in Sud Sudan la scelta è stata opposta. I motivi sono diversi, ma il principale è certamente che gli interessi cinesi minacciati sono cospicui. Forte della sua radicata presenza, dei buoni rapporti con tutti i protagonisti, dell’assenza di rivali nel ruolo di mediatori internazionali, per la prima volta la Cina si è fatta avanti. Formulando un nuovo principio – «soluzioni africane ai problemi africani» – si è presentata nel ruolo di semplice interlocutore, riuscendo a portare i contendenti e i rappresentanti degli Stati vicini a sedersi allo stesso tavolo. E continuando per tutto il tempo ad estrarre il petrolio sudsudanese, vitale per la sopravvivenza del Paese: gli interessi locali e quelli di Pechino coincidevano perfettamente. Avversa a qualunque forma di sanzioni internazionali, la diplomazia cinese ha anche mediato tra le autorità sudsudanesi e i governi occidentali inclini all’uso di quello strumento. Ha sempre preferito il ricorso alle organizzazioni regionali anziché coinvolgere direttamente le potenze europee o quella americana. La tregua sudsudanese, come si è detto, è molto fragile e largamente ignorata. Ma la Cina è ormai riconosciuta in tutta la regione come l’autorità internazionale di riferimento. Quando Pechino avviò la sua politica commerciale verso l’Africa, ormai oltre un quarto di secolo fa, nessuno in Occidente prestò particolare attenzione. Vediamo cosa accadrà questa volta. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Politica e Economia
Fermi i salari dei dirigenti in Svizzera Studio «Handelszeitung» Aumenti minimi lo scorso anno, forti differenze tra settori economici e regioni:
i meglio pagati a Zurigo, quelli meno pagati in Ticino, mentre è importante il ruolo delle prestazioni complementari
Ignazio Bonoli All’inizio dell’estate, come avviene ormai da 35 anni, la «Handelszeitung» ha pubblicato i dati essenziali di uno studio molto dettagliato, in collaborazione con la «Kniebaum Consultants», sui salari dei quadri dirigenti dell’economia in Svizzera. Da esso risulta chiaramente che anche lo scorso anno i dirigenti hanno dovuto accontentarsi di aumenti contenuti delle rimunerazioni. Gli anni in cui si otteneva dal 4 al 5 per cento di aumento sembrano definitivamente tramontati, e quindi gli emolumenti stabilizzati.
Per lo studio di quest’anno sono state analizzate in dettaglio 46 posizioni dirigenziali e 15’561 stipendi, offrendo un’ampia panoramica della situazione Per vedere aumenti di un certo peso si deve prendere in considerazione un cambiamento di datore di lavoro o della regione. Sussistono infatti forti differenze regionali, che vedono in testa le regioni di Zurigo e Basilea e in coda sempre il canton Ticino, ma anche alcune regioni della Svizzera romanda o di quella nordorientale. Si constatano differenze di peso anche tra i vari settori economici. In testa alla graduatoria troviamo le assicurazioni e l’economia energetica, ma anche alcuni manager dell’edilizia e delle banche. In fondo alla classifica troviamo invece alcuni rami dell’industria che hanno sofferto della forza del franco svizzero, ma anche la logistica, il commercio e i «media». Nelle rimunerazioni dei manager
Il CEO di UBS Sergio Ermotti al Forum di Davos nel 2016, anno in cui è risultato il manager più pagato in Svizzera. (Keystone)
contano talvolta parecchio anche alcune prestazioni complementari. Tra queste per esempio anche i nidi d’infanzia aziendali, che sono ancora pochi (solo il 12% delle ditte) e le vacanze pagate, che si avvicinano al mese. Anche l’uso privato del cellulare viene pagato, mentre circa il 40% delle aziende offre ai dirigenti una cassa pensione particolare. Per lo studio di quest’anno sono state prese in considerazione 46 posizioni dirigenziali che hanno permesso di valutare ben 15’561 stipendi. Lo studio offre quindi un’ampia panoramica della situazione in Svizzera e contribu-
isce alla trasparenza delle rimunerazioni. Esso permette perciò di considerare non solo le variazioni importanti, ma anche di analizzare dozzine di funzioni fin nel dettaglio. Lo studio suddivide le posizioni su quattro livelli: dal massimo al minimo per una funzione dirigenziale. Troviamo quindi, al primo livello, quello del dirigente unico, con salario di base di 325’000 franchi, cui si aggiunge la rimunerazione variabile che può raggiungere un livello di 85’000 franchi. A questo livello troviamo anche il presidente della direzione con un salario di base di 398’000 franchi e il membro
della direzione che può raggiungere i 279’000 franchi. Al secondo livello, come al terzo e al quarto si trovano i direttori della parte commerciale, delle succursali, della parte tecnica e una quarantina di altre posizioni le cui rimunerazioni variano dai 233’000 franchi (secondo livello) ai 99’000 franchi (quarto livello) per un direttore di laboratorio. Senza entrare troppo nel dettaglio, si possono vedere differenze notevoli a seconda dei rami economici. Considerando una media svizzera di 100, i direttori delle assicurazioni si trovano a 116, con quelli del settore energetico,
acqua e rifiuti, a 111 quelli del settore legno e carta, seguiti da quelli dell’edilizia a 108. Sotto la media sono pagati i dirigenti del settore materie prime, miniere, ceramica e vetro (83), preceduti da quelli dei servizi dell’informatica (86), del commercio (91), fino a quelli dell’IT, telecomunicazioni e tecnica radio (97). Esattamente nella media sono i dirigenti del settore biotecnologia e plastiche. Suddividendo le varie rimunerazioni globali, la classe più frequentata è quella fra i 140 e i 180’000 franchi (27,1%), a livello più elevato (oltre 300’000 franchi) vi è il 9,4% dei dirigenti, mentre al livello inferiore (fino a 80’000 franchi) troviamo soltanto lo 0,8%. Sul piano regionale, troviamo le migliori rimunerazioni nell’agglomerato di Zurigo (109 rispetto alla media svizzera a 100), seguito da Basilea-Città (107) e dalla Svizzera centrale (105). Sotto la media troviamo la Svizzera romanda e il Vallese (96), la Svizzera orientale (93), mentre in coda segue il Ticino (90). Le cifre qui sopra si riferiscono alle rimunerazioni globali (salario più prestazioni complementari). Queste ultime sono molto frequenti (96% delle aziende) per i massimi dirigenti, un po’ meno (72%) nelle altre funzioni. Consistono essenzialmente nell’auto, in casse pensioni generose, nel rimborso spese per viaggi e soggiorni, asili nido, vacanze (media 29 giorni), cellulare pagato. Ogni azienda tende a sviluppare un proprio modello salariale. Spesso non è l’alto livello salariale che riveste l’importanza maggiore, ma piuttosto un giusto «mix» di salario, rimunerazioni variabili, una certa equità salariale interna e anche il confronto con altre situazioni. Lo scopo è quello di offrire condizioni adeguate a un mercato del lavoro particolare, ma anche quello di attirare e conservare personale ben qualificato.
Dopo l’euforia arriva il tonfo La consulenza della Banca Migros
Thomas Pentsy
Bitcoin (Cambio in USD) 3500 3000 2500
Fonte: www.coindesk.com (Aggiornato al 17 luglio 2017)
Thomas Pentsy è analista dei mercati e dei prodotti presso la Banca Migros
Tutto ciò che sale prima o poi finisce per scendere. Il caso delle criptovalute è una chiara conferma di questo vecchio proverbio borsistico. Per le monete virtuali come Bitcoin il secondo semestre è iniziato all’insegna di pesanti flessioni, ma è anche da premettere che le criptovalute sono caratterizzate da una notevole volatilità. All’origine di Bitcoin c’è soprattutto la sfiducia nei confronti delle banche centrali e la mancanza di trasparenza del sistema bancario. Basati sulla tecnologia blockchain, i bitcoin hanno iniziato a circolare su Internet come mezzo di pagamento digitale a partire dal 2009. Nel frattempo si è sviluppato un vasto e complesso universo di monete virtuali: attualmente ne esistono più di 800. Le più famose sono Bitcoin, Ethereum e Ripple. Queste valute alternative svolgono la stessa funzione del denaro tradizionale nelle transazioni online e servono come mezzo di pagamento per l’acquisto di beni e servizi reali. Ciononostante, presentano alcune differenze sostanziali rispetto alle valute tradizionali. Né le banche centrali né gli Stati ne sono garanti e non esistono sotto forma di moneta legale. Le criptovalute esistono
2000 1500 1000 500 0 L’evoluzione del valore del Bitcoin dal 1. gennaio 2016 ad oggi.
esclusivamente come codice digitale. La blockchain è una banca dati decentralizzata, nella quale vengono salvate tutte le azioni che avvengono tra gli utenti. Per evitare eventuali truffe, il percorso dei bitcoin viene tracciato e ogni transazione è salvata nella blockchain, con la conseguenza che le informazioni
non risultano manipolabili. Le criptovalute garantiscono anche un alto livello di protezione della privacy, ma è appunto per questo che i criminali le utilizzano come mezzo di pagamento. Un fattore di incertezza è rappresentato dalla struttura sperimentale del sistema delle criptovalute, senza contare
che la loro accettazione e diffusione è molto limitata. Per gli investitori non c’è finora un metodo di valutazione consolidato per stabilire se una moneta digitale sia da considerarsi cara o un affare. Le criptovalute sono quindi adatte solo a investitori con un’elevata tolleranza del rischio.
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Ritratto di un’istituzione in declino: la famiglia con figli L’Ufficio di statistica cantonale ha appena pubblicato un ritratto statistico della famiglia con figli. Come si sa la famiglia è un’istituzione in declino. Non che sia destinata a scomparire: il numero delle famiglie continua lentamente ad aumentare. Ma il suo tasso di aumento è minore di quello al quale cresce l’effettivo delle persone sole. Di conseguenza la quota delle famiglie nel totale delle economie domestiche diminuisce. Mentre, ancora nel 1950, più dell’80% delle economie domestiche era formato da famiglie, con o senza figli, oggi, la percentuale delle famiglie è scesa al 40%. L’invecchiamento della popolazione e fenomeni sociali come il divorzio continueranno a far scendere questa quota. Anche la quota delle famiglie senza figli continua ad aumentare. Nel 2015 rappresentava un quarto del totale delle economie domestiche. L’avvenire quindi non è delle famiglie, con o senza
figli, ma delle persone sole. Un giorno o l’altro dovranno accorgersene anche gli esperti di marketing e il legislatore. Ma torniamo alla pubblicazione dell’Usta. Per precisare dapprima che il mondo delle famiglie con figli è formato da tre tipi di famiglia. La famiglia classica con padre, madre e uno o più figli, che, nel 2015, rappresentava il 76.6% delle economie domestiche con figli. Abbiamo poi le famiglie monoparentali, ossia, per definizione, quelle famiglie che hanno solamente un genitore (di solito la madre) che formano il 22.1% delle economie domestiche con figli. E infine il gruppo delle economie domestiche plurifamigliari, nelle quali vivono più famiglie, con una quota pari all’1.3% del totale. Il rapporto dell’USTA è, lo si è già ricordato, un ritratto delle famiglie. Ci dà quindi la situazione in un dato momento del tempo, il 2015 per l’esattezza. Poche sono le informazioni sull’evolu-
zione nel corso del tempo. Non sappiamo, per esempio, come sia evoluto, nel corso degli ultimi decenni, l’effettivo delle famiglie monoparentali. C’è però da credere che anche questa componente del mondo delle famiglie cresca rapidamente in seguito al crescere del numero dei divorzi e all’invecchiamento della popolazione. Delle coppie con bambini il 90% è rappresentato da coppie sposate mentre il resto è costituito da coppie conviventi. Nonostante questo, il tasso di nuzialità continua a diminuire. Nel 1950 si contavano ancora 7 matrimoni per ogni mille abitanti; nel 2015 questo rapporto è sceso a 4.3 matrimoni per mille abitanti. Il rapporto dell’Usta contiene ancora molte altre informazioni che, dato lo spazio limitato a nostra disposizione, non possiamo presentare. Scegliendo abbastanza a caso ci soffermiamo però, in conclusione, ancora sue due risultati interessanti.
Il primo riguarda le opinioni delle coppie sul rapporto tra l’avere uno o più figli e la gioia e la soddisfazione nella vita. La valutazione che domina è quella che non riconosce nessuna importanza all’avere figli rispetto alla gioia e alla soddisfazione nella vita. Questa valutazione aumenta di importanza con l’aumentare del numero dei figli. Se, all’altro opposto prendiamo le opinioni positive, quelle di chi trova che i figli migliorano la vita della coppia, ci accorgiamo che la loro quota nel totale è elevata soprattutto nelle coppie che non hanno figli e in quelle che hanno un figlio unico. Avere figli quindi sembra non essere più lo scopo della vita, neanche per le persone che vivono in coppia. L’altro risultato sul quale vorremmo soffermarci è l’età media delle madri sposate al momento della nascita del primo figlio perché, più di altri indicatori, dà la misura di come sia cambiata, negli ultimi decenni, la
posizione della donna nella società ticinese. Ancora nel 1980 l’età al momento del primo parto era inferiore ai 27 anni ed era vicina alla media nazionale. Nel 2015 l’età in questione era salita a più di 31 anni ed era, almeno di sei mesi, superiore all’età media delle madri sposate alla nascita del primo figlio in Svizzera. C’è chi alle statistiche non crede. C’è chi pensa che siano sempre manipolate. Quando si tratta di aspetti che riguardano l’evoluzione della famiglia e, in particolare, della famiglia con figli è però difficile parlare di manipolazione dei dati o di credere addirittura che siano falsi. Anche perché in questo caso sono i contatti quotidiani che abbiamo con i nostri concittadini che vengono a confermarci che il ritratto statistico, tratteggiato dall’Usta, corrisponde effettivamente alla realtà. A quando l’apertura del primo supermercato per persone sole in Ticino?
a Marsiglia l’esordio con la Norvegia, finiscono per applaudire la doppietta di Piola e il gol di Colaussi, che si chiama in realtà Colàusig. Hanno trovato riparo in Francia Nenni, Turati, Sereni, Saragat, Pertini, Amendola, Lussu, Valiani, Pajetta, Nitti, Trentin, Buozzi. L’anno prima i fascisti della Cagoule hanno assassinato i fratelli Rosselli. Una delle figlie di Bruno Buozzi, fucilato dai nazisti in fuga da Roma, sposerà il futuro segretario del partito socialista francese, Gilles Martinet. Ambasciatore di Mitterrand a Roma, Martinet ha lasciato nel suo libro Les italiens i ritratti di Andreotti, Craxi, Bobbio, Rossanda, Fellini, Agnelli, De Benedetti, Maraini, Eco. Un mese dopo la vittoria al Mondiale del ’38, Gino Bartali vince il Tour: «Ils gagnent tout, ces italiens» brontola Albert Lebrun, presidente della Repubblica. Due anni dopo il Duce dichiara guerra alla Francia, l’alleata del 1859 e della Grande Guerra. «Nizza, Savoia, Gibuti, Tunisi». Reparti alpini si ammutinano: non vogliono combattere nelle terre dove d’estate emigrano per lavorare. A Torino Edgardo Sogno spalanca le finestre perché i vicini ascoltino la radio francese
che trasmette la Marseillaise. Finisce con migliaia di italiani congelati – a giugno – , i tedeschi a Parigi e i francesi che rifiutano di chiedere l’armistizio a un nemico che non li ha battuti. L’ossessione dei francesi per l’Italia è antica. 1575: da quasi un secolo le armate di Carlo VIII, Luigi XII, Francesco I percorrono l’Italia nel vano sogno di conquistarla, quando François Hotman, uno degli spiriti più brillanti del Rinascimento d’Oltralpe, denuncia: «Lione è piena di finanzieri italiani; Parigi, pure. Le fattorie e le rendite di tutti i vescovi e di tutte le abbazie sono nelle mani degli italiani, che succhiano il sangue e il midollo del povero popolo francese». La Francia aspirante conquistatrice fu conquistata dai banchieri lombardi e dai mercanti genovesi, come ha dimostrato Jean-Marie Dubost nel suo La France italienne. Il prestigio degli italiani è tale che i francesi affidano loro pure la guerra: Giuseppe Gamurrini comanda l’esercito di Luigi XIII; Richelieu manda Pompeo Targone ad assediare La Rochelle. Non tutti fanno fortuna: Concino Concini, Rasputin di corte grazie all’influenza della moglie astrologa e fattucchiera,
cade in disgrazia, viene assassinato e poi fatto a pezzi dalla folla. Tre secoli dopo, ad Aigues-Mortes, finiranno linciati anche gli emigrati che fanno crollare i salari in Provenza. Lo scontro e lo scambio non sono mai finiti. L’Italia esporta Coluche e Belmondo, la Francia le fa riscoprire Paolo Conte e Gianmaria Testa. Le fughe di Mitterrand a Venezia, seguito da Lang e da Pinault, e l’esilio parigino di Calvino e Fruttero&Lucentini. Le vacanze romane di Sartre e Simone de Beauvoir e le zampate a Pigalle del giovane chansonnier Berlusconi («L’Eliseo ce l’ha con me, ma alle donne francesi sono sempre piaciuto moltissimo»). La commistione è tale che si fatica a distinguere, e la Gioconda che Leonardo porta con sé nei castelli dei Valois è considerata dai turisti sulle orme di Dan Brown un quadro francese. Forse le incomprensioni sono anche colpa di un grande equivoco: gli italiani pensano di essere disprezzati dai francesi, che invece li amano; pur sentendosi migliori di loro. Ed è per questo che, come ricordava l’Avvocato Agnelli, «i francesi possono vincere o perdere; ma se a batterli è l’Italia, la cosa li fa soffrire di più».
1952 e più volte rivista, prevede sempre un soggiorno sul territorio svizzero della durata di almeno dodici anni: solo a quel punto il candidato ha la facoltà di presentare la domanda in base ai requisiti richiesti, definiti nell’apposita Ordinanza (la nuova entrerà in vigore il prossimo 1° gennaio). I requisiti (o criteri d’integrazione) sono condensati nei seguenti tre punti: a) «possiede conoscenze basilari del contesto geografico, storico, politico e sociale della Svizzera»; b) «partecipa alla vita sociale e culturale della società in Svizzera»; e c) «intrattiene rapporti con cittadini svizzeri». Deve inoltre aver dato prova di una condotta di vita irreprensibile (fa stato il casellario giudiziale). Una procedura del genere implica non solo un esame comprovante le conoscenze di cui sopra (test obbligatorio, in primis della lingua del cantone in cui abita), ma anche una pesante ingerenza nella vita privata (indagini delle autorità
competenti). Insomma, l’atmosfera illustrata nel 1978 dal cineasta Rolf Lyssy nel suo Die Schweizermacher appare riproponibile tuttora con poche, minime variazioni. Più che di «porte semiaperte» (l’espressione è del demografo Etienne Piguet) si dovrà parlare, in futuro, di «usci semichiusi». Il che appare paradossale per un paese come la Svizzera, un paese – come si dice spesso – «fondato sulla volontà». Se fa stato la volontà, e non il sangue, tutti i richiedenti che si riconoscono pienamente nei princìpi elencati nella Costituzione repubblicana potrebbero diventare cittadini svizzeri. A determinare la cittadinanza basterebbe questo discrimine normativo, ovvero il «patriottismo costituzionale», e non la tanto invocata «questione dei valori», che sappiamo essere mutevole ed esposta agli umori del momento. Umori che oggi non consentono di ragionare in modo spassionato su questi temi.
In&outlet di Aldo Cazzullo Francia e Italia, rivali intrecciate La Francia che affonta la questione Libia. La Francia che non accoglie i migranti sbarcati a Lampedusa. La Francia che tollera che i cantieri navali bretoni diventino coreani, non che diventino italiani. Tre schiaffi in pochi giorni hanno fatto chiaramente capire a Roma che da Macron non possono attendersi molto più di nulla. Forse sarebbe ingenuo aspettarsi il contrario. Certo colpisce il divario tra un sistema politico che funziona, semplifica, individua una leadership e le dà cinque anni a disposizione, e un altro – quello italiano – che si avvia allegramente verso il marasma generale, un’improbabile resurrezione berlusconiana, i singulti del renzismo tramontante, un’alternativa populista e sovranista incarnata da Salvini, Meloni, Grillo. Eppure non esistono due popoli in Europa più legati tra loro, dalla storia più intrecciata, di italiani e francesi. Tant’è che in Italia sono molti a pensare, più o meno seriamente, che dopo aver dato alla Francia due regine – Caterina e Maria de Medici, un cardinale quasi re – Mazzarino – , un imperatore – Napoleone, nato nell’ex colonia genovese della Corsica da famiglia toscana – , un primo ministro
– Léon Gambetta, figlio di un droghiere genovese – e un capitano della nazionale – Michel Platini – , sarebbe tempo di riprendersi qualcosa. «L’Italia non è un paese povero; è un povero paese» diceva De Gaulle. È vero però che, senza la Francia, l’Italia non ci sarebbe: assenti i piemontesi sul campo di Magenta, dove gli zuavi aprirono le porte di Milano e accolsero gli alleati in ritardo con urla di scherno; cruento ma marginale lo scontro del colle di San Martino, nel quadro della grande battaglia d’incontro vinta a Solferino da Napoleone III su Francesco Giuseppe. La rivalità è ovviamente anche calcistica, ravvivata dalla testata di Zidane nella finale dei Mondiali 2006. Italia-Francia fu la prima partita della storia azzurra: 15 maggio 1910, Arena di Milano; 6 a 0 per l’Italia. Se è per questo, nel ’25 a Torino i gol furono 7, sempre a 0, con tripletta di Baloncieri e doppietta di Levratto, quello che spaccava le reti. Giocano in casa anche nel ’38 i francesi, ma vengono travolti a Parigi per 3 a 1; gli azzurri di Pozzo, che non appartiene all’antifascismo torinese, dominano al punto che pure i fuoriusciti, dopo aver fischiato
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Dalle porte semiaperte agli usci semichiusi Le migrazioni dall’Africa all’Europa stanno rivoltando il terreno politico del vecchio continente. Partiti finora marginali, inconsistenti, privi di programmi sono diventati improvvisamente l’ago della bilancia degli equilibri politici. L’afflusso di profughi ha dato loro voce ed ossigeno: senza questa insperata propulsione esterna avrebbero continuato a vegetare nel limbo delle monche esistenze. Ma gli effetti delle correnti migratorie sono molteplici ed estesi, una vera e propria bomba a grappolo. Investono non solo la politica, ma anche la sfera mentale, condizionando scelte e comportamenti. Il divieto del burqa in Ticino ha rappresentato un caso esemplare. Pochi, pochissimi avevano visto di persona una donna abbigliata in quel modo. Un pericolo immaginario. Eppure si è ritenuto urgente approvare una norma in via preventiva. Televisione e web stanno viepiù orien-
tando l’opinione pubblica. Un tempo si diceva che la paura è cattiva consigliera. Adesso non più; anzi, la paura è considerata un’efficiente macchina generatrice di voti. Cavalcarla assicura consensi e seggi. Il ricorso alla paura, naturalmente, non è una strategia nuova nella contesa politica. Ma fino a qualche anno fa le forze organizzate (partiti, sindacati, associazioni) sapevano controllarla, addomesticarla, incanalarla. I politici esitavano prima di gettare benzina sul fuoco; tra la civiltà e l’inciviltà correva una linea rossa che non andava varcata. I partiti maggiori s’erano dati come missione quella di formare le giovani leve. Giornali, riviste, seminari interni, convegni provvedevano a diffondere la cultura politica di riferimento. Ch’era cattolica, liberale-radicale, socialista, comunista. Una cultura politica non fatta di 140 caratteri, ma di letture, studio, documenti strutturati, confronti
tra persone d’estrazione diversa. Di questa stagione sono rimaste solo briciole, ritagli di giornale ormai ingialliti, fogli staccati da libri malamente incollati. Oggi siamo tutti prigionieri di una centrifuga mediatica che ruota sempre più velocemente, vortice di emozioni e risentimenti che impediscono alla ragione di esercitare le proprie funzioni. Al punto che l’altro (il rifugiato, il migrante, l’espatriato, il frontaliere, il fresco naturalizzato, il doppio cittadino) non incrocia sguardi amichevoli ma occhi malfidenti. Come se lo statuto di forestiero portasse con sé automaticamente quello di delinquente potenziale. Eppure la legislazione elvetica sulla cittadinanza – fondata sullo «ius sanguinis» – è probabilmente la più restrittiva d’Europa e non si vede come si potrebbe renderla ancor più rigida ed esclusiva. La «Legge federale sull’acquisto e la perdita della cittadinanza», varata nel
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Cultura e Spettacoli Il Festival entra nel vivo Rassegne, retrospettive, volti nuovi e volti celebri: in agosto Locarno si trasforma in capitale culturale della Svizzera
Nel nome della serie Il cinema è sempre più spesso costretto a cedere il posto alle serie, che la fanno da protagoniste anche in campo editoriale, come nell’ultimo libro di Tommaso Ariemma
Meistersinger impegnativi Quest’anno ai Festspiele di Bayreuth oltre alla musica era necessario conoscere anche un po’ di storia pagina 30
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L’anima dell’arte tecnologica
Mostre Lo spazio Buchmann Lugano
ospita un’opera dell’artista giapponese Tatsuo Miyajima
Alessia Brughera Alla Biennale di Venezia del 1999, diretta dal critico d’arte svizzero Harald Szeemann, per rappresentare il Giappone venne scelto Tatsuo Miyajima. Mega Death era il titolo dell’opera che l’artista nipponico espose nel padiglione dedicato al suo paese, una creazione immersiva lunga trentacinque metri e disposta su tre pareti in cui migliaia di contatori digitali si accendevano lentamente uno dopo l’altro su pannelli di colore blu notte per spegnersi poi tutti insieme in maniera inaspettata. Dopo qualche secondo di black out totale che lasciava lo spettatore avvolto nel buio, i contatori riprendevano a illuminarsi un po’ alla volta. Ciascun numero a LED simboleggiava una vita umana e il suo smorzarsi repentino insieme agli altri diventava metafora delle nefaste conseguenze della guerra, causa della morte improvvisa di tanti esseri innocenti. Era un lavoro attraverso cui l’artista rifletteva sulla caducità dell’esistenza, sulle tragiche vicende della contemporaneità e sulla capacità dell’uomo di guarire e di ricominciare. Tutti temi che Miyajima avrebbe continuato a esplorare durante il suo percorso. Quest’opera dal grande impatto visivo ed emotivo ha permesso all’artista di farsi conoscere a livello internazionale, divenendo emblematica del suo peculiare linguaggio in cui tecnologia e spiritualità sanno fondersi con inattesa armonia. È sicuramente una sfida non facile quella di riuscire a sollevare grandi questioni esistenziali utilizzando circuiti elettrici e contatori a LED, eppure Miyajima concepisce installazioni in cui la tecnica più moderna sa essere, con una sorprendente semplicità, lo strumento espressivo di un pensiero profondo che rimanda alle filosofie e alle tradizioni orientali.
È difatti l’idea di continuità e di eternità ciò che incarnano i suoi caratteristici numeri lampeggianti: il loro scorrere costante rappresenta il flusso ininterrotto della vita che travalica lo spazio e il tempo per approdare a una dimensione dove tutto ritorna. Nella Galleria Buchmann Lugano in questi giorni è esposto un lavoro dal titolo C.T.C.S. Flower Dance no. 12, un’opera che condensa molti dei tratti distintivi delle creazioni di Miyajima. È un’installazione composta da tre pannelli a specchio appesi alla parete, all’interno dei quali sono stati collocati alcuni display numerici a LED. Le cifre da 1 a 9 che sembrano illuminarsi in maniera accidentale osservano invece un criterio ben definito dall’artista, susseguendosi secondo un algoritmo complesso ed evocando liricamente, nel modo in cui ciascuna è stata disposta, un fiore che cade sulle superfici riflettenti. Emerge così lo stretto legame che Miyajima sa intessere con la cultura nipponica nel richiamo a riti millenari ricchi di fascino quali la fioritura dei ciliegi e la contemplazione dei fiori, immagini della bellezza, della precarietà e della rinascita. Emerge il suo affidarsi ai numeri, da lui considerati un «linguaggio internazionale», per indagarne le simbologie e farne messaggeri di un pensiero che ritiene il cammino terreno una reiterazione di vita e di morte, dove la morte non è altro che un momento di preparazione a una nuova vita. Per questo lo zero nei suoi lavori non appare quasi mai, è il numero del silenzio, del vuoto: non può essere visto perché è il punto di passaggio in cui un’esistenza finisce e un’altra comincia. Emerge poi la stretta connessione tra lo spazio e il tempo, resa nell’opera presente a Lugano attraverso i pannelli che rispecchiano l’ambiente circostante da varie angolazioni, coinvolgendolo nel defluire ritmato dei LED colorati. Il
Tatsuo Miyajima. C.T.C.S. Flower Dance no. 12, 2016. (©Courtesy Buchmann Galerie Agra/Lugano and the artist; Photo Antonio Maniscalco)
tempo è trattato da Miyajima nella sua irripetibilità, nel suo essere un avvicendarsi di istanti unici che mai più torneranno e che per questo devono essere considerati preziosi. «Vorrei comunicare e ricordare che viviamo in momenti che non possono essere recuperati», sottolinea l’artista. Momenti che con il lampeggiare continuo dei piccoli numeri si caricano di urgenza e di importanza, da una parte turbandoci per il loro inesorabile scivolare via dall’altra spronandoci a viverli appieno. Nei lavori di Miyajima è dunque la
tecnologia a dare il senso del movimento fisico e temporale, a scandire l’esistenza di ogni essere umano che per l’artista è in costante evoluzione e che va esplorata osservando i tre principi su cui si fonda la sua visione, ovvero la capacità di cambiare, di restare in contatto con ogni cosa e di andare sempre avanti. Quella di Miyajima è un’esortazione a diventare parte del naturale mutamento della vita e a percepire la realtà cogliendone il significato profondo proprio attraverso la sua fuggevolezza: spazio e tempo, vita, morte e rinascita,
limiti e potenzialità umane, tecnologia e misticismo si combinano nelle sue opere con raffinata poesia per cercare di sondare il senso ultimo del nostro essere al mondo. Dove e quando
Tatsuo Miyajima. C.T.C.S. Flower Dance no. 12. Buchmann Lugano, Via della Posta 2, Lugano. Fino a metà agosto 2017. Orari: ma-ve 13.00-18.00; sa 13.00-17.00. www.buchmanngalerie.com
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Cultura e Spettacoli
Pantere e leopardi
Locarno Festival Il maculato simbolo della manifestazione omaggiato attraverso le opere di un regista
maestro della rappresentazione cinematografica del soprannaturale.
Nicola Falcinella Il Festival del cinema che ha per emblema il Pardo non poteva non arrivare, prima o poi, a dedicare una retrospettiva completa al regista di «Il bacio della pantera» e, soprattutto «L’uomo leopardo». È l’americano d’origine francese Jacques Tourneur, figlio del grande regista del muto Maurice, al fianco del quale visse la giovinezza negli Stati Uniti e mosse i primi passi nel mondo del cinema. Nato nel 1904, Jacques esordì dietro la macchina da presa nel 1931 con «Tout ça ne vaut pas l’amour» durante una parentesi europea, iniziando una carriera che si sarebbe conclusa nel 1965, con il ritorno in patria e il ritiro a Bergerac, semidimenticato, dove morì nel 1977.
Atmosfere tetre, vera paura nelle suggestioni evocate dai fantascientifici noir horror di Tourneur Quarant’anni dopo si torna doverosamente a investigare e guardare con attenzione l’opera di un autore sempre riconosciuto come grande professionista, capace di affrontare quasi tutti i generi principali, ma defilato e schivo e mai celebrato come si converrebbe, tanto che il suo nome oggi suona nuovo alla maggior parte delle persone. Ben altro effetto hanno sugli spettatori i titoli di suoi lavori come Il bacio della pantera (1942) o Ho camminato con uno zombi (1943), uno dei primi film con zombi nel titolo, dopo L’isola degli zombi (1932) con Bela Lugosi, quando George Romero ancora non aveva dato al termine l’accezione di morti viventi. La ricca ed eclettica filmografia fa di Tourneur un cineasta da scoprire e capace di sorprendere, un vero genio spesso dimenticato, in grado di lasciare un segno nell’epoca d’oro di Hollywood, ampliando e ridefinendo i confini dell’horror e del fantastico a inizio anni ’40 con i tre lungometraggi sopra menzionati. Opere frutto dell’incontro con il produttore Val Lewton della RKO, all’epoca una delle Big Five, che aveva sotto contratto Ginger Rogers e Fred
L’attore francese Mathieu Almaric scherza durante il photocall della pellicola «Demain et tous les autres jours»
Astaire e produsse i primi film di Orson Welles. Il regista dopo i primi quattro film in patria, una sorta di apprendistato, tornò a lavorare oltreoceano, scelta compiuta in quegli anni da molti cineasti europei mossi da motivazioni politiche e artistiche. Tra loro Fritz Lang e Alfred Hitchcock, due grandi con i quali ebbe più di un’affinità nel raccontare i mali profondi e inconsci della società, l’irrazionalità che prende il so-
pravvento. L’uomo leopardo racconta di uno dei primi omicidi seriali, sulla scia del fondamentale M – Il mostro di Dusseldorf di Lang, mentre come il cineasta inglese, anche Tourneur, rivoca la sessualità repressa, ma evidente, in cui la seduzione e la bellezza costituiscono un pericolo talvolta mortale, come nella trilogia con la RKO, e non solo. Egli credeva nel soprannaturale, sapeva trattarlo e tradurlo in immagini
quasi senza mostrare niente, una pulizia nel racconto derivante da una grande conoscenza e possesso degli strumenti linguistici del cinema, capace di evocare emozioni attraverso dissolvenze, montaggio (con stacchi anche azzardati), suggestioni, sonoro e ombre. La sua carriera dura poco più di trent’anni, durante i quali si è cimentato con quasi tutti i generi, il noir (Out Of The Past o L’alibi sotto la neve
Il primo Pardo d’onore al regista Todd Haynes Nel 1991 Poison, film in tre storie di violenza e sesso che contribuì anche a stabilire un nuovo modo di rappresentazione dell’omosessualità al cinema e nella società, rivelò il talento dell’esordiente Todd Haynes al pubblico e agli addetti ai lavori del Locarno Festival. Sei lungometraggi dopo, e la serie Mildred Pierce e vari lavori da produttore (soprattutto per Kelly Reichardt), il regista californiano ritira stasera in Piazza Grande il Pardo d’onore, il più prestigioso dei premi alla carriera locarnesi. Il primo dei due assegnati in questa 70esima edizione; l’altro andrà a Jean-Marie Straub venerdì sera, alla vigilia della conclusione e della premiazione. Del regista di I’m not there e Carol sarà presentato, oggi alle 16.15 al PalaCinema, il recentissimo Wonderstruck, tratto dal libro di Brian Selznick, lo scrittore di Hugo Cabret. Una favola in due tempi, una nel 1927 e una nel 1977, che finiscono con l’incontrarsi nel Museo di storia naturale di New York, presentata in concorso al recente Festival di Cannes, dove non ha riscontrato molti consensi. Un omaggio al cinema muto e a New York,
che fatica a decollare, ma nell’ultima parte scatta la magia, con Julianne Moore in due piccoli ruoli magnifici, la danza tra i plastici e i più teneri dialoghi tra sordi che si possano immaginare. Haynes segue altri celebri nomi, da Natassja Kinski ad Adrien Brody, che hanno già arricchito la manifestazione. Tra questi anche Fanny Ardant, attrice mito, vera mattatrice di Lola Mater di Nadir Moknéche, uno dei più convincenti lavori presentati in Piazza Grande. La Ardant è Lola, una danzatrice del ventre che riceve la visita inattesa del figlio Zinedine, abbandonato molti anni prima. La protagonista non è però sua madre, bensì il padre: il giovane faticherà ad accettare la verità. In una commedia drammatica di equivoci e senza grandi impennate, l’attrice è una regina della scena, trans esuberante e insieme tormentata, credibile e non cade mai nella macchietta. Meno convincente il film d’apertura, Demain et tous les autre jours di Noemie Lvovski, non banale commedia tra realismo e favola cupa, che però non funziona del tutto nel conciliare i due
registri. Molto brava la piccola protagonista Luce Rodriguez, nei panni di Mathilde di nove anni, che vive da sola con una madre inadeguata e si rifugia in un mondo di fantasia, insufficiente a incanalare la sua rabbia e la sua solitudine. Meritano un cenno il tedesco Drei Zinnen con Berenice Bejo, ambientato sulle Dolomiti, con un bambino che
Il regista Todd Haynes. (Keystone)
fatica ad accettare il nuovo compagno della madre, e l’azione d’autore, mix di adrenalina e ironia di Good Time di Bennie e Josh Safdie, con Robert Pattinson efficace rapinatore in fuga rocambolesca. Tra i primi film del concorso spicca Freiheit di Jan Speckenbach: Nora lascia marito e figli a Berlino per cercare una difficile libertà a Bratislava. Meno convincenti il gelido dramma Winter Brothers dell’islandese Hlynur Palmason, che eccede in ricerca di stile, e Ta peau si lisse del canadese Denis Coté, documentario sui culturisti che lascia un po’ distaccati. Debutta oggi nella Semaine de la critique dedicata ai documentari The Family / Družina dell’emergente sloveno Rok Biček rivelatosi con Class Enemy nel 2013. Il giovane Matej è seguito per dieci anni da figlio di una famiglia problematica a padre a sua volta in lotta con l’ex compagna per la custodia del bambino. Una vicenda di scelte spiazzanti che sembra scritta dai fratelli Dardenne e filmata in lunghi pianisequenza da un autore del nuovo cinema romeno.
– Nightfall), lo spionistico (Il treno ferma a Berlino), il western (Stars In My Crown) o il melodramma (Experiment Perilous), per il quale aveva una sensibilità particolare che portava tocchi melò in molti lavori. Girò anche in Italia il peplum La battaglia di Maratona (1959) con Steve Reeves nel ruolo di Filippide, con la regia congiunta di Bruno Vailati e Mario Bava. Aveva debuttato dirigendo un interprete mitico come Jean Gabin e ha diretto parecchie star come Robert Mitchum (superbo in Out Of The Past con Kirk Douglas), Burt Lancaster (The Flame And The Arrow) Anne Bancroft (L’alibi sotto la neve), Boris Karloff e Vincent Price (The Comedy Of Terrors) e altri, ma il suo cinema aveva bisogno più di attori giusti che di nomi altisonanti. La recitazione che chiedeva era sotto tono, a basso tono, in apparenza inespressiva e uno dei suoi interpreti feticci era Dana Andrews (perfetto in La notte del demonio). Tourneur era regista di atmosfere, di notti davvero tetre e paurose, che fossero ai Caraibi, nel West, in Inghilterra, a New York o in guerra. Usava miti, credenze e superstizioni locali (San Sebastian è Haiti con i riti voodoo in Ho camminato con uno zombi), l’esotico e il folkloristico, in maniera sempre appropriata e coerente. Spesso nei suoi film pone il dilemma tra credere alla stregoneria e al soprannaturale o non credere. E lo scontro tra razionale e irrazionale è spesso vinto dal secondo. Il Festival propone 33 opere del regista, più i cortometraggi, e la retrospettiva sarà portata alla Cineteca di Losanna dal 23 agosto. Nel programma locarnese c’è anche il remake de Il bacio della pantera firmato da Paul Schrader nel 1981, inserito nell’omaggio a Nastassja Kinski.
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Cultura e Spettacoli
Pop culture e filosofia
Pubblicazioni Con La filosofia spiegata con le serie tv Tommaso Ariemma si inserisce
in modo per certi aspetti nuovo in un filone ormai battuto da anni Mariarosa Mancuso Le librerie americane sono stracolme. L’editore Blackwell ha addirittura una collana dedicata: la dirige William Irwin, professore di filosofia in Pennsylvania; lo conosciamo grazie a un libro uscito da ISBN: I Simpson e la filosofia. Come illustrazione – purtroppo non in copertina, lì campeggiava il codice a barre, chiamato appunto ISBN – le caricature in giallo Homer di Marx, Sartre, Wittgenstein, Nietzsche, Foucault e Kant. Volendo, i Simpson rendono meno ostica anche la matematica, come insegna Simon Singh in La formula segreta dei Simpson. In copertina una ciambella, che altro ci doveva stare? Sappiate che in geometria quella forma – anche del salvagente – viene chiamata «toro». La collana diretta da William Irwin esplora le fascinose relazioni tra pop culture e filosofia. Precisazione necessaria: non diciamo «cultura popolare», giacché in italiano le parole non evocano i grandi film, i grandi fumetti, le grandi serie o i grandi romanzi che allietano le nostre giornate e serate con personaggi di fantasia. Evocano piuttosto le orchestrine e le sagre della luganiga. Si intitola «Philosophy and pop culture», vanta una quarantina di titoli arricchiti da un ricco sito, non dimentica proprio nulla. Da The Big Lebowsky dei fratelli Ethan e Joel Coen al recentissimo Wonder Woman, primo campione di incassi con una strepitosa e sexy supereroina femmina diretto dalla regista Patti Jenkins (speriamo che Hollywood guardi al piatto ricco e prosegua: non vogliamo le quote, preferiamo il merito). Friedrich Nietzsche serve per decifrare la serie Game of Thrones (tremano i fan, la HBO ha subito un attacco informatico, si teme per la prossima e ultima stagione). Martin Heidegger serve a leggere il supereroe Daredevil (o il contrario, magari: può essere la volta che afferriamo qualcosa dell’antipatico pensatore tedesco).
Daniel Kaluuya e Jessica Brown Findlay in un episodio della serie britannica Black Mirror.
Altri titoli si trovano curiosando su Amazon (anche nella nostra libreria, volendo, abbiamo sempre trovato irresistibili gli intrecci tra quel che abbiamo studiato all’università e la pop culture). Oltre alla filosofia dei Simpson, abbiamo la filosofia dei Soprano, la filosofia di Mad Men, la filosofia di Seinfeld, quel che possiamo imparare da Breaking Bad, e – gettonatissimo – cosa possiamo imparare sulla vita dal Grande Lebowsky. Oltre, si intende, a indossare il cardigan con le greche – disponibile su internet – e a calzare sandali di plastica. (Confessione per confessione, abbiamo anche un Big Lebowsky riscritto alla maniera di William Shakespeare.) In Italia, quasi dieci anni fa, il collettivo «Blitris» si era esercitato sulla filosofia del Dr House, il dottore che chiede ai pazienti «preferisci un burbero che ti guarisca o uno che ti tenga la mano mentre muori?». Simone Regaz-
zoni, che faceva parte del gruppo, poi provò a smontare e filosoficamente a rimontare Lost, aiutandosi con Derrida. Non è un terreno vergine, quindi, quello su cui si incammina Tommaso Ariemma, con La filosofia spiegata con le serie tv, appena uscito da Mondadori. Cambia però la prospettiva. I titoli citati all’inizio erano rivolti agli appassionati di serie tv, quindi espertissimi di trame e personaggi. Anche un po’ stufi di sentirsi dire – come era accaduto per i fumetti – che perdevano tempo guardando sciocchezze. Questo libretto è invece rivolto agli insegnanti di filosofia – anche Ariemma esercita la professione – perché cerchino di acchiappare la sempre più fluttuante attenzione dei ragazzi parlando di qualcosa che sentono vicino più di Giovanni Pascoli. Si comincia dall’inizio. Dai presocratici – come già ebbe a fare Luciano De Crescenzo nella sua Storia della filosofia (con risultati per nulla spre-
gevoli, va detto). Da Parmenide e dalla sua frase «l’essere è e non può non essere». La serie tv che viene in soccorso a mo’ di bigino è la prima stagione di True Detective, con Woody Harrelson e Matthew McConaughey che gli spiega il nichilismo – o almeno così sembrava a noi – più che il filosofo greco. Si continua con Platone – ma si arriverà fino a Sartre, passando per Hegel, per Kant, per Spinoza – usando come stampella la serie britannica Black Mirror, ambientata in un futuro dove i social e la rete sono un po’ più invasivi di adesso (ma basta un niente per trasformare il mondo dei «like» nel mondo della sorveglianza totale). La stessa serie, che prende il titolo dallo schermo nero degli smartphone e dei tablet, serve a Tommaso Ariemma per illuminare le idee di Cartesio che finora la pop philosophy aveva spiegato con la pillola rossa e la pillola blu di Matrix.
La musica va in vacanza La mezzosoprano Valentina Londino, oltre ad amare tutto
quello che ha a che fare con il sonoro, ha un rapporto speciale anche con le sue inseparabili scarpe da ginnastica
Valentina Londino – biografia
Di formazione mezzosoprano si è accostata alla musica sin da bambina, studiando pianoforte dall’età di quattro anni. Presso il Conservatorio della Svizzera italiana ha ottenuto il Master in Vocal Pedagogy con il massimo dei voti e la lode nella classe di Monica Trini. È ecletticamente attiva in produzioni di svariati generi: dalla classica (con il DuoDurbans e il Trio Torrello) al blues (con i Sound Ceck e la SoulFactory), dal jazz (con il Blue Valentine Jazz Trio) al cantautorato sperimentale (con il duo Looppoli), dal teatro (per i recenti spettacoli Occhi che raccontano e Cattiverie) ai doppiaggi radiotelevisivi. Svolge attività didattica nella scuola media ed elementare ticinese e presso il Conservatorio della Svizzera italiana.
sato dal salotto alla mia camera da letto, condividendo lo spazio vitale con poster, peluche e fotografie, suo malgrado. Sono cresciuta, fisicamente e musicalmente, davanti a quei tasti e ancora oggi, come due vecchi amici, passiamo molto tempo insieme facendo musica. 2. Lo studio di registrazione della scuola media – Ho avuto la fortuna di frequentare una scuola media nel cui bunker il professore di musica aveva costruito un piccolo studio di registrazione, piuttosto rudimentale ma assolutamente funzionale. In quello studio – con l’in-
Valigia musicale
1. Il mio pianoforte – Quando sono nata, nel salotto di casa già da tempo viveva un pianoforte nero verticale. Dico «viveva» perché per me è stato un compagno di giochi (e di litigi!) sin dalla primissima infanzia e per tutta l’adolescenza. Quando sono passata allo studio del canto in Conservatorio, il piano è pas-
Pubblicazioni
Di fantasy e serie TV nel libro del sociologo Alessandro Dal Lago Stefano Vassere
Nella valigia di Valentina
Zeno Gabaglio
I buoni e i cattivi
Un repertorio eclettico quello di Valentina Londino.
confondibile odore di cantina umida e le scatole di uova appese – ho passato intere ricreazioni e pause pranzo giocando con la mia voce e credo sia stato il luogo in cui ho capito quanto amassi cantare e quanto volessi fare del canto e dell’insegnamento il mio futuro. Più di qualsiasi teatro o sala da concerto in cui io abbia cantato, è forse questo il luogo più prezioso da mettere nella mia valigia musicale. 3. ll disco «Grigio» dei Quintorigo – Sono una modesta collezionista di CD e tra tutti gli album che riposano in bellavista sugli scaffali del mio salotto quello a cui sono più affezionata è sicuramente il primo che, emozionata e impacciata, ho comprato con i primi risparmi. Ammetto di essere stata una teenager dai gusti piuttosto insoliti: mentre le amiche ascoltavano i Backstreet Boys e le Spice Girls io andavo matta per i Quintorigo, band romagnola sperimentale guidata dall’eccellente voce di John De Leo. Ho consumato quel disco cercando di imitare e di assorbire il più possibile i virtuosismi e la duttilità di quella voce incredibile. Ancora oggi mi inorgoglisce sfoggiare la copertina dell’album con i loro autografi sbiaditi, a testimonianza di un periodo da vera groupie. 4. Un biglietto del treno Lugano – Firen-
ze a/r – La vita da musicista ti impone di fare e disfare regolarmente la valigia, per portare quello che fai anche lontano da casa. La prima volta che è successo avevo diciott’anni: in mano un biglietto del treno per andare a Firenze a incidere il mio primo inedito Le fil de ta vie, canzone del pianista siciliano Sandro Crippa, con testo del cantautore francese André Gaborit. Durante quel viaggio ho sentito chiaramente che cantare era quello che avrei fatto davvero nella vita: al mio ritorno a Lugano ho preparato gli esami d’ammissione al Conservatorio, escludendo definitivamente l’idea di perseguire altri percorsi di studio. 5. Le mie Converse – La mia statura non esattamente slanciata e la lunghezza degli abiti da concerto mi impongono di indossare scarpe con il tacco ogni volta che mi esibisco. Ammetto di non appartenere a quella categoria di donne che si sente a proprio agio con quindici centimetri di spessore sotto i talloni quindi, in qualsiasi camerino io mi trovi, per qualsiasi occasione io mi sia esibita, mie fedeli amiche e compagne di avventura restano le mie Converse, pronte ad accogliermi e a darmi ristoro. Solo dopo aver lanciato in aria le décolleté e aver infilato le mie agognate AllStar posso tornare a ragionare e godermi il post-concerto.
«C’è più da fare a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose, e ci sono più libri sui libri che su altri argomenti. La principale e più illustre scienza dei nostri tempi non è forse saper comprendere i sapienti? Non è questo il fine comune e ultimo di tutti gli studi?». È un libro sui libri, questo Eroi e mostri del sociologo Alessandro Dal Lago. Ed è, va detto subito, un libro decisamente provocatorio e schierato, che ha al centro una analisi sociologica, culturale e letteraria del genere fantasy, che tanto imperversa in letteratura ma anche, da qualche tempo in qua, nell’estetizzante e molto di tendenza mondo delle serie TV. La vicenda è quella di due autori che sono anche studiosi, J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, e delle loro opere maggiori, Lo Hobbit e Il signore degli anelli per il primo, Le cronache di Narnia per il secondo; l’intento sostanziale è quello di indagare come si costruisce un fantasy, di quali strumenti bisogna disporre, quali mondi bisogna apparecchiare. Eroi, mostri, tesori, magia, viaggi, dinamica morale decisamente statica. Le componenti del catalogo di genere sono queste, i mondi e le macchine mitologiche e simboliche creati dagli autori sono universi alternativi alla vita di tutti i giorni, dove gli eroi sono tutti belli, gli antagonisti sono tutti brutti e gli ambienti spesso malconci: eppure, dopo peripezie anche disgustose, solo in quei mondi fantastici, è il bene che finisce per trionfare senza appello. Se il mondo reale è complesso, quello della fantasia, forte dell’opposizione poco elastica tra bene e male, è di una semplicità primaria. Può piacere o non piacere, questo mondo dove buoni e cattivi si tirano senza sforzo fuori dal mazzo: è un prendere o lasciare (con qualche isolata cautela nel prendere: le opere del genere sono spesso in più volumi di numerose centinaia di pagine). Certo la totale mancanza di ambiguità di questi personaggi può risultare piuttosto stucchevole e asfittica anche se tanto gratificante. Per spiegare queste cose, il libro di Alessandro Dal Lago finisce per sondare il fantasy in lungo e in largo: la formazione degli autori e le loro convinzioni sulla letteratura, sulla religione, sulla vita; i miti antichi e medievali; il modo di vivere e di morire dei buoni e dei cattivi; il modo di scrivere questi libri e di sceneggiarne la relativa serie TV. Parlare di libri gratifica; leggere di libri che parlano di libri poi… Bibliografia
Alessandro Dal Lago, Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica, Bologna, il Mulino, 2017.
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Cultura e Spettacoli
Wagner sotto processo
Musica Il Festival di Bayreuth 2017 apre con Die Meistersinger von Nürnberg Sabrina Faller Ha fatto bene il Festival di Bayreuth a proporre come nuova produzione i Meistersinger nel 2017, anno in cui si celebrano cinquecento anni dall’inizio della Riforma protestante, perché al centro dell’opera di Wagner c’è un personaggio, Hans Sachs, poeta e calzolaio, realmente vissuto, che della Riforma e di Lutero fu il cantore. Non si può però dire che l’allestimento del regista australiano Barrie Kosky curi molto questo aspetto, anzi non lo cura per nulla, ma del resto nei lavori di Wagner gli spunti sono innumerevoli e Kosky sceglie di mettere al centro della sua lettura registica Wagner stesso. Attenzione: il pubblico che si recherà a vedere lo spettacolo farà bene a studiare non solo il libretto – che nei programmi di sala del Festival è assente, né esistono sopratitoli in altre lingue –, ma anche le vicende biografiche di Richard Wagner, se vuole godere appieno la messinscena di Kosky. Ogni personaggio dell’opera ha infatti un suo corrispettivo nella vita reale di Richard: Eva è la sua seconda moglie Cosima, Pogner è il padre di Cosima, Franz Liszt; Richard è il conservatore illuminato Hans Sachs e anche il rivoluzionario Walther. Inoltre il pedante antipatico Beckmesser è Hermann Levi, il direttore d’orchestra ebreo che Wagner volle a dirigere il suo primo Parsifal. Il primo atto non è ambientato nella chiesa di S. Caterina, sede storica dei Maestri Cantori, ma nel salotto di casa Wahnfried, a Bayreuth. C’è la famiglia
I Meistersinger nella versione di Barrie Kosky in una scena del 3. Atto. (©Bayreuther Festspiele / Enrico Nawrath)
e la cerchia di amici di Wagner, ci sono anche i suoi bellissimi cani. Il compositore, vanitoso e amante del lusso, riceve i doni dei suoi ammiratori: scarpe, stoffe preziose, profumi, quadri. Dal pianoforte escono piccoli Wagner, bambini e adolescenti, riconoscibili dal basco nero con cui il compositore amava farsi immortalare nei dipinti. La vicenda narrata nel libretto (di Wagner stesso) ha comunque le sue esigenze, e così anche i Maestri Cantori in abiti del Cinquecento entrano ed escono dal salotto dell’artista, sedendosi con lui a sorseggiare il caffè nelle tazzine. Il primo atto si snoda felicemente sul leitmotiv della leggerezza e dell’ironia, appena spez-
zata dall’accenno all’antisemitismo del compositore che si esprime nei confronti di Levi-Beckmesser con l’imposizione di inginocchiarsi nell’immaginaria chiesa di S. Caterina. Ma l’accenno diventa qualcosa di più importante negli atti successivi. Già alla fine del primo atto il salotto di casa Wahnfried si trasforma, o meglio, si scopre essere parte di quell’aula del Palazzo di Giustizia che ospitò i processi di Norimberga tra il 1945 e il ’46. Si vuole dunque processare anche Wagner in quanto antisemita. L’aula non è ancora allestita interamente, il secondo atto si svolge su uno spoglio tappeto erboso che ne stravolge l’impronta da
vera commedia, mentre il finale scopre le carte del regista: il suo BeckmesserLevi è battuto e picchiato non per caso, nella rissa notturna, ma in quanto ebreo. E la scena è invasa da un faccione gonfiabile che rappresenta lo stereotipo dell’ebreo, naso prominente, sguardo cattivo, pelle capelli occhi scuri, in testa la kippah. Nel terzo atto il popolo di Norimberga si assiepa nell’aula dei processi, pronto ad assistere alla gara poetica e a giudicare. Eh sì, perché i Meistersinger è anche una gara di poesia e canto, che secondo Wagner doveva essere il corrispettivo comico della gara proposta in forma altamente drammatica nel
Tannhäuser. Ma ancora: qui si vuole giudicare Wagner, e la corona del vincitore non andrà a nessuno. Nel finale del terzo atto Sachs-Wagner resta in scena da solo per il suo celebre monologo sulla sacralità della grande arte tedesca. Poi si gira verso il fondoscena dove un’orchestra scintillante appare e l’opera si chiude sul compositore che, spalle al pubblico, la dirige impetuosamente.Dunque Wagner vince con la sua musica: viene assolto al processo in nome della grandezza di quell’arte, di cui resta forse l’ultimo esponente. Lo spettacolo si avvale di un cast eccellente. Su tutti svetta Michael Volle magnifico interprete di Hans Sachs, visto alla Scala qualche mese fa in questo stesso ruolo, ma oggi in forma smagliante. Nel ruolo di Walther c’è ancora, come nella precedente produzione di Bayreuth del 2007, il tenore Klaus Florian Vogt, voce tenera ed espressiva, ma una menzione speciale va all’intenso Beckmesser di Johannes Martin Kränzle e al David simpaticamente acrobatico di Daniel Behle. Nel non facile sdoppiamento Eva-Cosima, due caratteri in apparenza opposti, c’è Anne Schwanewilms. Sul podio c’è lo svizzero Philippe Jordan, già direttore di Parsifal a Bayreuth, morbido e ben sintonizzato con la regia. In questo che è l’anno delle celebrazioni per il centenario della nascita di Wieland Wagner, scenografo e regista, protagonista della «nuova Bayreuth», il Festival con le sue produzioni e la città con le sue mostre hanno molto da offrire al pubblico internazionale. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Vacanze liguri Mi chiedono di tessere l’elogio della Liguria, il mare di noi piemontesi. Ci provo, in base ai miei ricordi di quando d’estate portavo i figli piccoli a fare i bagni di mare, sperando invano che una provvidenziale telefonata mi obbligasse a rientrare subito al lavoro. In Liguria il bene più prezioso è il posto macchina, difeso con astuzia, ferocia e accanimento. Non sono ritenute sufficienti le strisce di vernice gialla a delimitare il perimetro, né i vistosi cartelli che proclamano «Proprietà privata. Vietato l’accesso» messi all’inizio di tutte le strade che si inerpicano in collina. È in atto una gara di ingegnosità nell’inventare picchetti piantati a terra con catenelle chiuse da lucchetti come quelli delle tombe di famiglia. Al centro del rettangolo dispositivi a molla sembrano trappole per topi che solo un codice segreto detenuto dal capo famiglia è in grado di disinnescare. Persino l’area sotto i piloni del viadotto ferroviario che altrove è terreno demaniale è stata lottizzata e picchettata. In compenso un
negozio su tre vende focaccia. Un terzo del Pil della Liguria è frutto dello smercio della focaccia genovese. Sulla base di pasta si sperimentano gli accoppiamenti più fantasiosi, compresi quelli contro natura, frutta, verdura, formaggi, erbe aromatiche, affettati, melograni, tutto va bene sulla focaccia ligure, purché la faccia pesare come piombo. Se compri quella semplice, senza niente, ti guardano come se fossi un accattone. Albergo, pensione, campeggio? No, con i bambini è meglio la casa in affitto. Eccoci al passaggio di consegne con la padrona, fra mille raccomandazioni, mentre i bambini già saltano con le scarpe sul divano foderato di bianco e collaudano la pompa per innaffiare le piante dirigendola sul balcone dei vicini. La spiegazione più lunga e dettagliata è sul funzionamento delle serrature. I mazzi di chiavi sono due e, sempre, uno funziona e l’altro no. Il mazzo che non funziona finisce in tasca a chi rientra prima dalla spiaggia con la spesa per preparare il pranzo. Gli altri che tornano pensando
di fare una rapida doccia e di sedersi a tavola lo troveranno in lacrime seduto sul primo gradino della casa. «Questo mazzo di chiavi non funziona». «Fammi provare» e Tac! Le porte si aprono. Al mattino presto, quando sei sceso a prendere i giornali, hai comprato anche un paio di bottiglie di Vermentino o di Pigato e ti sei affrettato a metterli in frigo, nei piani alti. Per tutto il giorno soffri il caldo e la sete ma ti consoli pensando al vino ghiacciato che ti aspetta a casa e che tirerai fuori all’ultimo momento, quando già tutti sono a tavola. «Avete mica visto dov’è il cavatappi?» Nessuno ti fila, loro bevono acqua o aranciata. Seconda domanda, con voce stridula e venata da panico incipiente: «Qualcuno per favore mi aiuta a trovare il cavatappi? Deve pur esserci a qualche parte». In una casa provvista di tutto, dall’estrattore di conchiglie marine, alle tenaglie per rompere le chele dell’aragosta, un semplice, qualunque, volgare cavatappi non c’è. Tutto sommato però, vale la pena fare qualche sacrificio perché le
ore trascorse in spiaggia sono impagabili. I concessionari degli stabilimenti hanno l’accortezza di allineare le sdraio una accanto all’altra, così sembra di stare seduti in platea a teatro e non è un problema attaccare discorso con i vicini d’ombrellone. E in ogni caso ascoltare le loro conversazioni. «Io vengo sempre ad Arma di Taggia, è il posto dove mi trovo meglio». «Mia cognata sostiene che l’acqua della Liguria è scadente. Dice che è meglio l’acqua dell’Adriatico perché la disinfettano». «Però sa di cloro». «La Liguria è più sana perché e riparata dalle montagne e sul mare c’è sempre un po’ di vento che porta via lo smog». «Però in Liguria l’acqua è cattiva» «Se lei va a Comacchio è peggio perché lì ci sono le zanzare». Ci ritroviamo tutte le estati in Liguria, ansiosi di raccontare ai vicini di ombrelloni i nostri viaggi all’estero. «Abbiamo comprato il pacchetto tutto compreso e siamo andati a Torremolinos. Quindici giorni. Ti danno da mangiare, scusi il termine, come porci. Sono piatti diversi dai nostri, il primo
giorno lei si abbuffa, il secondo vomita». «Noi invece siamo andati a Tangeri e al ritorno ci siamo fermati alla rocca di Gibilterra che è un pezzo d’Inghilterra. C’erano le scimmie con tanto di cartello, non toccatele». «In questo gli inglesi sono spietati». Le conversazioni sono interrotte continuamente dai bambini che vengono a chiederci se possono fare il bagno. Guardi l’ora, non è ancora trascorso il tempo sufficiente dopo la colazione. Quando puoi dare il via, hanno cambiato idea, non vogliono più saperne, preferiscono giocare a beach volley. Alla sera c’è un’ampia offerta di serate musicali, blues, jazz, gospel. I musicisti in cartellone sono sempre in ritardo; per ingannare il tempo ascolteremo per un paio d’ore un gruppo locale che suona musiche celtiche con una zampogna e una ghironda: chi la suona trascorre metà del tempo ad accordarla e l’altra metà a suonarla scordata. Un’ora per sistemare microfoni e altoparlanti e finalmente si parte. Ed ecco l’effetto zampogna: comincia a piovere.
che prende quando la mente manda l’indicazione «e ora riposo». L’arrivo non è vera vacanza, nessuno si stupirà se non saremo felici, all’arrivo. Fase quattro: ora sì che si può essere felici. Pertanto si mangi, si beva, si faccia sport, si prenda il sole, si pratichino attività sociali come le danze e gli aperitivi, si tiri tardi la sera, si facciano molte nuove conoscenze. Che stanchezza. Una cosa alla volta, per evitare di avere subito e insieme tutte le nefaste conseguenze di queste attività: pesantezza e bruciori di stomaco, aumento di peso, incidenti sportivi dovuti al tempo di sedentarietà da recuperare, bruciature perché per abbronzarsi in fretta meglio lasciar perdere le creme, insoddisfazione per il compagno-la compagna di danza, sonno da privazione di, gelosie (per via delle nuove conoscenze: o forse pensiamo di essere simpatici a tutti, amati da tutti? E che per contro noi troveremo solo persone gradevoli e degne di essere amate?). Passano le ore, i giorni, è adesso il momento di essere felici, se non ora quando? Forse
i filosofi potranno aiutarci. Non che trattino proprio del tema delle vacanze, ma della felicità molto spesso sì. Platone e Aristotele per esempio: felicità è correre nell’altra vita per le praterie della verità, in compagnia degli dèi, e contemplare le idee, soprattutto quella del Bene, per il primo. Una vacanza, ma da rimandare, sembrerebbe. Il secondo, l’allievo: felicità è compiere l’atto umano più elevato, contemplare ciò che esiste di più elevato, quindi il primo motore immobile, la cui essenza è appunto pensiero di pensiero. Per fortuna, nell’Etica a Nicomaco leggiamo anche che salute, amici e benessere sono fondamentali per essere felici, non basta il pensiero. Forse gli epicurei la sapranno più lunga. Oppure quei contemporanei, quelli che spiegano come l’aumento del PIL delle nazioni non comporti un uguale aumento della felicità dei loro abitanti. Incredibile vero? Come se qualcuno pensasse che non è obbligatoria la felicità in vacanza. Ma la rubrica ha finito il suo spazio, rimanda felicemente alla prossima puntata.
no, a un certo punto si impenna, quando entra in scena un Dostoevskij redivivo: e mi chiedo come mai questo scrittore, nato nel 1907 e morto nel 1974, sia stato quasi del tutto dimenticato (lo Strega, vinto nel 1970, non gli ha garantito l’eternità!). Ma torniamo agli incipit, eccone un altro: «Quando si è giovani, si è giovani, più o meno, tutti nello stesso modo. Vecchi, se si resta in vita abbastanza, lo si diventa ognuno a modo suo». Decisamente tolstojano, ma bello. È Lidia Ravera, Il terzo tempo, romanzo sulla vecchiaia, che naturalmente non può essere e non è Anna Karenina, pur evocandone l’inizio. Fatto sta che gli incipit si prestano al gioco della citazione (più o meno occulta) o addirittura al gioco del rovescio: la «notte buia e tempestosa» di Snoopy (altro 6+) non è l’opposto della «notte dolce e chiara e senza vento» di Leopardi? Pur somigliandosi nella vaghezza: una notte, d’accordo, ma in quale
data esatta? Ci sono scrittori che preferiscono la sospensione cronologica e altri che dichiarano subito il preciso tempo storico dell’azione. Celebre l’apertura dei Fiori blu di Queneau: «Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara» (per il voto d’aria, vedi sopra). Affacciandosi oggi su internet, al mattino, la liceale-scrittrice Federica, in calo di ispirazione, potrebbe identificarsi nel Duca d’Auge e iniziare così il suo quinto romanzo da cassetto: «Il primo agosto duemilaediciassette, sul far del giorno, accesi l’iPad per considerare un momentino la situazione storica. La trovai poco chiara». Oppure, immedesimandosi in Gregor Samsa, buttar giù questo attacco: «Destandomi un mattino da sogni agitati, mi trovai trasformata nel mio letto in un enorme Smartphone immondo…».
Postille filosofiche di Maria Bettetini La felicità va in ferie Lo spettacolo si ripete, come ogni estate. Una voce, dall’alto dei mercati, grida: avete solo pochi giorni, siate felici mentre siete in vacanza! È una gara, ci saranno ricchi premi, perché partecipare così in tanti altrimenti? La gara, come tutti gli eventi competitivi, va preparata, quindi la macchina dei suddetti mercati da febbraio manda segnali di non difficile comprensione, come foto di signorine al mare, di bambini al mare, di bei ragazzi al mare. Sorridono, felici per l’ultimo ritrovato della telefonia mobile o l’ultimo gusto del golosissimo gelato, e mostrano la felicità nel corpo e nel volto, perché si stanno divertendo un sacco. Un segnale, dunque, è: usate quel telefono, mangiate questo gelato, e sarete felici. Un altro, più forte perché trasversale, è: tutti, anche tu, potrai essere felice se ti sforzi di assomigliarmi. Non sembrerebbe nemmeno così difficile, a cominciare dal corredo che bisognerà procurarsi. Ogni anno purtroppo va cambiato, non si può essere felici con gli stessi colori dell’anno passato. Comun-
que non li trovereste nemmeno, nei negozi, perché di quella sfumatura di verde acido che l’anno scorso riempiva vetrine e armadi, quest’anno non v’è traccia. Sì, c’è un verde, ed è già strano, ma virato più verso il verde mela, che con l’acido stona come… come il verde acido col verde mela, stavo per dire il nero e il blu, ma gli ultimi anni ci hanno abituati a tutti i neri con tutti i blu (evviva, così basta un paio di scarpe per entrambi. No, solo se nere, perché le scarpe blu – che già sono sempre più rare – stanno malissimo col nero). Quindi, il corredino nuovo per essere felici, dal costume al cappello, all’ombretto, al portafoglio. Poi la scelta di dove andare a essere felici, e con chi. Anche in questo caso indicazioni trasversali dai media, dai social, dai discorsi dei colleghi: meglio mare, meglio se esotico, meglio in compagnia di belle persone. Non tutti possono avere proprio tutto, ma una almeno di queste tre priorità cercheremo di rispettarla. In fondo tutti i mari, volendo, sono un po’ esotici, e in quale località marina non
trovi una palma, un’amaca, non puoi farti un mojito? Allora siamo pronti, abbiamo il corredo, la destinazione esotica, la bella gente, se scelta da noi bella di certo, se imposta dalla vita lo stesso, perché la vita ce la scegliamo noi. No? Possiamo cominciare a essere molto molto felici. Poi magari dura anche dopo, anche per l’inverno. Fase uno: le valigie. Le valigie però non sono ancora vacanze, fanno parte di sudore, fatica, quotidianità, per fortuna, così nessuno si sente in colpa se non è felice mentre fa i bagagli. Fase due, il viaggio. Tantomeno, alzati presto, sali, scendi, fai la coda, spogliati al controllo in aeroporto oppure eccoti in coda al casello, cerca i biglietti, che caldo che afa si suda, che freddo l’aria condizionata. Per fortuna, nessuna colpa, è solo il viaggio, non è obbligatorio essere felici. Fase tre: l’arrivo. Non mi direte che è già vacanza, l’arrivo. La sistemazione, il posto nuovo, o invece vecchio ma con novità dovute al tempo e all’usura, il jet-lag, il mal di testa proprio dei primi giorni in cui non si lavora, quella specie di crollo delle forze
Voti d’aria di Paolo Di Stefano E Gregor Samsa si trasformò in Smartphone Qualche settimana fa Federica, una ragazza di seconda liceo che ha già quattro romanzi nel cassetto pur non amando la lettura (a parte quella dello Smartphone), mi ha chiesto consigli su come superare il blocco della pagina bianca: le ho risposto che un buon metodo sarebbe quello di riavviare il motore inventivo leggendo i grandi libri. Non certi romanzi mediocri che occupano le chiacchiere dell’estate, le pagine culturali, le classifiche dei bestseller, ma davvero i Grandi Libri. Federica mi ha replicato che una volta ha aperto Il barone rampante ma l’ha trovato noioso e l’ha chiuso dopo la prima pagina. Per non scoraggiarla troppo (sbagliando) le ho consigliato allora di limitarsi agli inizi: dagli incipit dei classici si imparano un sacco di cose, certi attacchi possono ispirare, suggerire capovolgimenti e attualizzazioni per nuovi romanzi a venire. «Chiamatemi Ismaele» (Moby Dick di Melville).
«Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti”» (Lo straniero di Camus). «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo» (Anna Karenina di Tolstoj). «Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo» (La metamorfosi di Kafka). Sapreste scegliere il migliore tra questi inizi? Io no (del resto, nella mia valutazione oscillerebbero tutti tra il 6 e il 6+): sono incipit diversi, dichiarativi, insinuanti, pacati, argomentativi, descrittivi, fulminei, concitati (il più concitato di tutti è quello, magistrale, di Lolita: «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi»). Lenti o veloci, fermi o frizzanti, chiusi o aperti. Darei un 6½ (sentimentale) a Pinocchio: «C’era una volta… “Un re!” diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno». Perché questo è uno degli incipit che preferisco in assoluto? Perché parla direttamente al lettore, sorprendendolo, assecondandolo e depistandolo insieme, e non solo anticipa la vicenda e l’atmosfera, ma fa anche assaporare lo stile del racconto che verrà. Ci pensavo, per contrasto, leggendo Le stelle fredde di Guido Piovene, appena riproposto da Bompiani con prefazione di Andrea Zanzotto: «La presenza di Piovene nella nostra letteratura del ‘900 è una delle più vive e caratterizzate, nel bene e nel male; tutto il suo lavoro esprime commenta e accompagna un intero periodo storico nei suoi fermenti e nelle sue contraddittorie tensioni…». Ebbene, l’inizio è avvolgente («Il medico mi chiese: “Peggio dal destro o dal sinistro?”») e temevo, forse per un assurdo pregiudizio contro l’autore, che da un momento all’altro la tensione calasse fino a precipitare improvvisamente. Invece
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Idee e acquisti per la settimana
shopping La Tórta da pan
Flavia Leuenberger
Attualità Un dolce della nostra tradizione per una merenda gustosa e fresca
Dolce «povero» della tradizione ticinese, la torta di pane è conosciuta fin dall’inizio del secolo scorso. È una di quelle ricette anticamente utilizzate per sfruttare il pane secco, che non poteva certo essere sprecato. Secondo il Lessico dialettale della Svizzera italiana esistevano diverse varianti di questa specialità. Nel Mendrisiotto per esempio si preparava una torta di pane particolare in occasione delle feste di Sant’Anna o dell’Assunzione chiamata «Torta di mosch»; mentre a Bellinzona e Arbedo si arricchiva l’impasto con cinnamono e questa specialità era conosciuta come «torta rossa». In ogni caso veniva considerata la torta casalinga per eccellenza e in diverse regioni del Ticino era semplicemente nota come «Torta da cà». La Tórta da pan dei Nostrani del Ticino attinge dalla tradizione locale ed è preparata dai mastri pasticceri della Jowa di S. Antonino con ingredienti semplici e genuini, ispirandosi ad una ricetta di famiglia dello chef bellinzonese Lorenzo Albrici. Pane raffermo ammollato nel latte una notte intera, zucchero, canditi, uvette, mandorle, cacao, qualche fiocco di burro e un goccio di buona grappa nostrana tutti sapientemente miscelati danno vita ad un dolce straordinariamente profumato, ricco di sapori e fragranza. Una particolare attenzione viene data alla fase di cottura, che deve essere seguita costantemente per ottenere una torta dal colore dorato all’esterno, ma leggermente umida e morbida all’interno. La torta deve essere conservata in frigorifero protetta nella sua confezione originale e, una volta aperta, consumata entro breve tempo per gustarne pienamente tutte le sfumature aromatiche.
Nostrani del Ticino in degustazione
Torta di pane nostrana* 520 g Fr. 11.60
Tranci di torta di pane nostrana* 210 g Fr. 4.80 *In vendita nelle maggiori filiali Migros
Fino al 16 settembre 2017 tutti i giovedì, venerdì e sabato vi aspettano golose degustazioni di numerosi prodotti dei Nostrani del Ticino, nei supermercati Migros di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con la bontà!
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Idee e acquisti per la settimana
Lasciatevi tentare dai pomodori nostrani Azione 25% sui pomodori peretti San Marzano nostrani, al kg Fr. 2.85 invece di 3.80 dall’8 al 14 agosto
Davide Zucco, responsabile del reparto frutta e verdura di Migros S. Antonino: «Il nostro assortimento di pomodori nostrani è ampio e variegato». (Flavia Leuenberger)
Pane del mese: il pane ai pomodori A Migros Agno ogni mese un pane diverso della Fondazione La Fonte
I pomodori secchi regalano colore e gusto non solo agli antipasti e alle insalate, ma anche al pane di agosto della Fondazione la Fonte. Come il pane alle olive del mese scorso, anche quello ai pomodori affonda le sue radici nella tradizione mediterranea. Il suo impasto è ricco di pomodori secchi che lo rendono un delizioso abbinamento per mozzarella, pesce, verdure grigliate o croccanti insalate di stagione. Lo si può anche abbrustolire un po’ e farcire con
luganighetta alla griglia per preparare un panino ghiotto. Come tutti pani della Fondazione La Fonte, anche il pane ai pomodori viene prodotto con il prezioso contributo di alcuni utenti disabili. Pane ai pomodori 300 g Fr. 3.90 In vendita dal lunedì al venerdì da Migros Agno. Il ricavato è interamente destinato alla Fondazione La Fonte
Flavia Leuenberger
Maturati al sole, saporiti e profumati come non mai: i pomodori sono i protagonisti dell’estate ticinese! Piccoli, grandi, tondi, oblunghi, costoluti, ramati… c’è solo l’imbarazzo della scelta sugli scaffali Migros in fatto di varietà ideali per le vostre ricette preferite. Rinfrescanti nelle insalatone, perfetti per sughi aromatici e immancabili sulle croccanti bruschette per l’aperitivo, i pomodori coltivati da decine di orticoltori della nostra regione sono più che sani: sono un’ottima fonte di vitamina C, poveri di calorie e ricchi di licopene, la sostanza vegetale responsabile del colore rosso utile nella prevenzione delle malattie cardiovascolari.
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Idee e acquisti per la settimana
Pasta artigianale di Gragnano Novità Tre formati di pasta direttamente dalla «Città della pasta»
La località campana di Gragnano è famosa nel Mondo per la qualità della sua pasta, in particolare per i «maccaroni». Qui già alla fine del sedicesimo secolo nascono i primi pastifici a conduzione famigliare. La produzione di «oro bianco» è da sempre aiutata dal clima molto favorevole, caratterizzato dalla leggera aria umida tipica della zona che permette una delicata essiccazione della pasta. Un tempo i mulini ad acqua diedero un prezioso contributo allo sviluppo della produzione di pasta; nella «Valle dei Mulini» ne erano presenti ben 30 e i loro ruderi possono essere ammirati ancora oggi. A Gragnano si trova anche il pastificio artigianale «Il Vecchio Pastaio», che da oltre tre generazioni produce pasta trafilata al bronzo seguendo i segreti e le tecniche tramandati negli anni. L’utilizzo di pura acqua di sorgente e di semola italiana di alta qualità certificata, seguita dalla lenta essiccazione a bassa temperatura, sono i tratti distintivi della produzione di questa azienda. Nel 2012 al pastificio è stato assegnato l’ambito marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). La pasta «Il Vecchio Pastaio» conquista i palati più raffinati con l’intenso profumo dato dalla semola di alta qualità, con la sua porosità che permette a qualsiasi sugo di aderire alla perfezione, e per il colore bianco, proprio come «l’oro di un tempo».
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Maccaroni Napoletani «Il Vecchio Pastaio» 500 g Fr. 3.90
Spaghetti di Gragnano «Il Vecchio Pastaio» 500 g Fr. 3.90
Piaceri senza glutine
Calamarata «Vecchio Pastaio» 500 g Fr. 3.90
Azione 50% sulle costine di maiale al banco Svizzera, 100 g Fr. –.95 invece di 1.90
Tre nuove dolci tentazioni entrano a far parte dell’apprezzato assortimento Dolcerial, un marchio specializzato nella produzione artigianale di pasticceria per chi soffre di intolleranze alimentari. I prodotti si caratterizzano per l’assoluta assenza di glutine garantita dall’accurata selezione di fornitori e materie prime. Sono dolci davvero buonissimi, appetitosi per chiunque. Inoltre, alcuni prodotti Dolcerial, oltre all’assenza di glutine, sono disponibili anche senza zucchero e senza lattosio. I tre nuovi prodotti sono in vendita singolarmente nelle maggiori filiali Migros. 1 Il classico biscotto fatto con ingredienti ben miscelati tra loro che ricorda il vecchio biscotto della nonna. Frolla senza glutine, senza zucchero, senza lattosio 20 g Fr. 1.30 2 Settanta grammi di cioccolatosa bontà per una prima colazione o uno spuntino davvero unici. Tortina al cioccolato senza glutine, senza zucchero, senza lattosio 70 g Fr. 2.– 3 La classica crostatina di frolla, morbida e friabile per la gustosissima merenda di grandi e piccini. Tortina all’albicocca senza glutine 70 g Fr. 2.–
dall’8 al 14 agosto
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Costine che passione 3
Impossibile resistere al profumo della carne alla griglia! Tra i tagli preferiti da mettere sulla brace, non possono ovviamente mancare le costine di maiale. Eccovi una ricetta molto saporita: costine al curry e alla birra. Per 4 persone servono 1,2 kg di costine, 1 cucchiaino di zucchero greggio, 2 cucchiai di ketchup, 1 cucchiaio di curry madras, 1 cucchiaio di senape, 2 dl di birra, 1 peperoncino, 2 rametti di ro-
smarino e 2 di timo. Procedimento: tritare timo e rosmarino. Affettare finemente il peperoncino privato dei semi. Emulsionare il tutto con birra, senape, curry, ketchup e zucchero. Spalmare la salsa sulla carne e far marinare per una ventina di minuti. Cuocere le costine sulla griglia a fuoco basso (180°C circa), da ambo il lati per ca. 45 minuti. Servire con insalata di patate.
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Sélection
Fiori in festa
Alla base della nuova specialità Sélection c’è una delicata semola di frumento con una nota d’Oriente. Gli ingredienti del couscous ai fiori provengono da agricoltura biologica, la calendula e il fiordaliso vengono coltivati sugli alpeggi, per un’economia di montagna sostenibile
Estivo
Couscous ai fiori con pesche Ingredienti per 4 persone 200 g couscous ai fiori 4 pesche sode 2 rametti di menta 2 rametti di prezzemolo 1 cucchiaio di succo di limone 4 cucchiai d’olio di oliva sale, pepe 1 spicchio d’aglio 1 rametto di rosmarino 1 cucchiaino di miele liquido Preparazione 1. Preparate il couscous seguendo le indicazioni sulla confezione. Tagliate le pesche a spicchi. Mettete la metà degli spicchi da parte, riducete il resto a dadini piccoli. Tritate finemente la menta e il prezzemolo. Mescolate il trito con i dadini di pesca, il succo di limone, la metà dell’olio e il couscous. Condite con sale e pepe. 2. Tritate finemente l’aglio e il rosmarino. Scaldate l’olio rimasto in una padella e rosolatevi gli spicchi di pesca, l’aglio e il rosmarino per ca. 2 minuti. Condite con il miele, sale e pepe e distribuite sul couscous.
Azione 20X Punti Cumulus sul couscous ai fiori Sélection
Foto Claudia Linsi
dall’8 al 21 agosto
Gli agricoltori biologici lavorano in armonia con la natura. Si prendono cura di animali, piante, suolo e risorse idriche. Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
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I pesci e i frutti di mare contrassegnati dal marchio MSC (Marine Stewardship Concil) provengono unicamente da pesca sostenibile, che previene la cattura accidentale di altre specie, tutela i fondali marini e garantisce il mantenimento e la crescita del patrimonio ittico.
Parte di
D’effetto e veloci da preparare: crostini con tonno, cipollotto e cucunci (fiori di cappero)
Il tonno in scatola è molto più di un semplice condimento. La sua carne compatta e aromatica può essere utilizzata in svariati modi, per esempio per fare la classica salsa del vitello tonnato, per preparare primi piatti mediterranei o come ripieno per le empanada. Il tonno M-Classic, sia quello in scatola che quello contenuto nel tramezzino, proviene da pesca sostenibile. I pesci non vengono pescati con reti a strascico, bensì in modo tradizionale, con il metodo a canna. Ciò previene la cattura accidentale di altre specie e tutela i giovani pesci.
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
M-Classic Tonno rosa in salamoia MSC 80 g Fr. 1.25
M-Classic Tonno rosa all’olio MSC 80 g Fr. 1.25
M-Classic Tonno rosa all’olio MSC 295 g Fr. 3.60
M-Classic Tonno MSC 2 tramezzini 175 g Fr. 3.20
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Idee e acquisti per la settimana
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Dal chicco di granturco al popcorn L’azienda della Migros Chocolat Frey produce popcorn in grande stile: 6000 pezzi al minuto, pari a oltre 200 milioni all’anno. Il responsabile della produzione Dominik Zinsstag ne illustra il processo
Dominik Zinsstag (36) Responsabile produzione per il settore popcorn presso Chocolat Frey.
Testo Thomas Tobler; Illustrazioni Carsten Mell
1
Da 300 e fino a 400 chilogrammi di chicchi di mais vengono trasferiti da un silo all’apposita apparecchiatura per la preparazione dei popcorn. Qui, a ritmo continuo, vengono portati in quattro-cinque minuti alla temperatura di 210 gradi, quando i chicchi scoppiano.
i popcorn prodotti ogni minuto.
3 2
Affinché i singoli pezzi di popcorn non si attacchino l’uno all’altro, vengono a questo punto raffreddati per 10 minuti in un grande tamburo rotante.
In uno speciale tamburo meccanico il popcorn viene raffreddato una prima volta. I singoli chicchi di mais scoppiati passano quindi in un miscelatore, che distribuisce uniformemente la pasta di cacao sul popcorn.
popcorn circa sono contenuti in ogni confezione da 120 grammi. Star della settimana
0,73 grammi di delizia
minuti è il tempo necessario affinché i chicchi di mais vengano trasformati in popcorn confezionato.
4
I popcorn giungono infine alla bilancia, composta da molteplici recipienti di carico che si muovono lungo una torre di quattro metri di altezza. In ogni recipiente confluiscono esattamente 120 grammi di popcorn, poi inseriti nella confezione tramite un tubo. Ogni minuto vengono preparate 35 confezioni di popcorn.
5
Terminato l’impacchettamento, le confezioni passano attraverso un metal-detector e vengono sottoposte a controlli visuali. Il metal-detector è necessario affinché nessuna componente metallica dell’impianto di produzione, come viti o bulloni, possa finire in uno degli imballaggi.
Da oltre un quarto di secolo Chocolat Frey rende felici i golosi di dolci grandi e piccoli con i suoi popcorn al cioccolato. Ogni singolo popcorn rivestito di cacao pesa 0,73 grammi. Imballato assieme ai suoi simili nella confezione da 120 grammi, accompagna i suoi estimatori al cinema e dappertutto. Concorso Rispondendo all’indovinello sul popcorn al cioccolato della Migros su www. noifirmiamonoigarantiamo/stardella-settimana si partecipa all’estrazione. In palio carte regalo Migros per un valore totale di 150.– franchi.
6
Durante ogni turno di lavoro di otto ore, presso Chocolat Frey vengono prodotte 16000 confezioni di popcorn. Ogni anno vengono trasportati alle filiali Migros oltre 200 milioni di imballaggi di popcorn al cioccolato. M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i Popcorn choco M-Classic.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Idee e acquisti per la settimana
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Dal chicco di granturco al popcorn L’azienda della Migros Chocolat Frey produce popcorn in grande stile: 6000 pezzi al minuto, pari a oltre 200 milioni all’anno. Il responsabile della produzione Dominik Zinsstag ne illustra il processo
Dominik Zinsstag (36) Responsabile produzione per il settore popcorn presso Chocolat Frey.
Testo Thomas Tobler; Illustrazioni Carsten Mell
1
Da 300 e fino a 400 chilogrammi di chicchi di mais vengono trasferiti da un silo all’apposita apparecchiatura per la preparazione dei popcorn. Qui, a ritmo continuo, vengono portati in quattro-cinque minuti alla temperatura di 210 gradi, quando i chicchi scoppiano.
i popcorn prodotti ogni minuto.
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Affinché i singoli pezzi di popcorn non si attacchino l’uno all’altro, vengono a questo punto raffreddati per 10 minuti in un grande tamburo rotante.
In uno speciale tamburo meccanico il popcorn viene raffreddato una prima volta. I singoli chicchi di mais scoppiati passano quindi in un miscelatore, che distribuisce uniformemente la pasta di cacao sul popcorn.
popcorn circa sono contenuti in ogni confezione da 120 grammi. Star della settimana
0,73 grammi di delizia
minuti è il tempo necessario affinché i chicchi di mais vengano trasformati in popcorn confezionato.
4
I popcorn giungono infine alla bilancia, composta da molteplici recipienti di carico che si muovono lungo una torre di quattro metri di altezza. In ogni recipiente confluiscono esattamente 120 grammi di popcorn, poi inseriti nella confezione tramite un tubo. Ogni minuto vengono preparate 35 confezioni di popcorn.
5
Terminato l’impacchettamento, le confezioni passano attraverso un metal-detector e vengono sottoposte a controlli visuali. Il metal-detector è necessario affinché nessuna componente metallica dell’impianto di produzione, come viti o bulloni, possa finire in uno degli imballaggi.
Da oltre un quarto di secolo Chocolat Frey rende felici i golosi di dolci grandi e piccoli con i suoi popcorn al cioccolato. Ogni singolo popcorn rivestito di cacao pesa 0,73 grammi. Imballato assieme ai suoi simili nella confezione da 120 grammi, accompagna i suoi estimatori al cinema e dappertutto. Concorso Rispondendo all’indovinello sul popcorn al cioccolato della Migros su www. noifirmiamonoigarantiamo/stardella-settimana si partecipa all’estrazione. In palio carte regalo Migros per un valore totale di 150.– franchi.
6
Durante ogni turno di lavoro di otto ore, presso Chocolat Frey vengono prodotte 16000 confezioni di popcorn. Ogni anno vengono trasportati alle filiali Migros oltre 200 milioni di imballaggi di popcorn al cioccolato. M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i Popcorn choco M-Classic.
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ACCOPPIATA PERFETTA Il lieve aroma di noci del Leerdammer si sposa divinamente con quel tocco di dolcezza del pane al mais. L’abbinamento diventa sublime se il pane è fatto in casa. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
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5.50 invece di 7.90 Steak di rognonata di vitello TerraSuisse imballate, per 100 g
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Mirtilli Svizzera, conf. da 250 g
Pesche noci gialle extra Italia, al kg
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1.50 invece di 1.90 Tilsiter alla panna bio per 100 g
conf. da 3
30% Phalaenopsis, 2 steli, in vaso da 12 cm disponibile in diversi colori, per es. lilla, 11.80 invece di 16.90
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1.95 invece di 2.80 Zucchine Ticino, sciolte, al kg
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1.60 invece di 2.40 Insalata mista Anna’s Best conf. da 260 g
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3.60 invece di 4.80 Patate Amandine Svizzera, imballate, 1,5 kg
20%
3.45 invece di 4.35 Mozzarella Alfredo in conf. da 3 3 x 150 g
20% Tutto l’assortimento Philadelphia per es. al naturale, 200 g, 1.80 invece di 2.30
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10.90
Grana Padano DOP conf. da 700 g/800 g, in self-service, al kg
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4.65
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13.50 invece di 19.30 Formagín ticinés (formaggini ticinesi) conf. da 2, al kg
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i. z z e r p r e p u s i tr s o n I conf. da 6
20%
Consiglio
Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. al naturale, 500 g, –.95 invece di 1.20
40% Tortine in conf. da 6 per es. tortine all’albicocca, 6 x 75 g, 4.50 invece di 7.50
20% Tutti i cereali per la colazione bio (Alnatura esclusi), per es. semi di zucca, 400 g, 4.95 invece di 6.20
DELIZIOSI PER IL BRUNCH O L’APERITIVO I panini appena sfornati sono perfetti per il brunch o l’aperitivo. E per accompagnarli, bocconcini di formaggio fresco ai fiori e pistacchi, che in più aggiungono alla tavola un tocco variopinto. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
20% Tutti i panini confezionati M-Classic per es. mini sandwich TerraSuisse, 300 g, 1.80 invece di 2.30
Tortelloni e gnocchi M-Classic in confezioni multiple per es. tortelloni con ripieno di carne in conf. da 3, 3 x 250 g, 8.10 invece di 11.70
di riduzione
conf. da 2
20% Focaccia alsaziana originale in conf. da 2 per es. grande, 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80
OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.8 AL 14.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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1.50 invece di 1.70 Snack al latte o fette al latte Kinder in confezioni multiple prodotti refrigerati, per es. fetta al latte in conf. da 5, 5 x 28 g
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conf. da 3
30%
–.2 0
20%
3.80 invece di 4.80 Mezza panna UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
Tutte le salse per insalata e le vinaigrette già pronte non refrigerate (Alnatura escluse), per es. French Dressing M-Classic, 700 ml, 2.05 invece di 2.60
20% Tutti i prodotti Thomy in tubetti, vasetti e flaconi squeezer (concentrato di pomodoro escluso), per es. maionese à la française, 265 g, 2.– invece di 2.50
conf. da 2 conf. da 50
50%
Branches Classic, Eimalzin e Noir Frey in conf. da 50, UTZ per es. Classic, 50 x 27 g, 12.30 invece di 24.75
conf. da 6
20% Tonno in olio di soia o in acqua M-Classic in conf. da 6 per es. in olio di soia, 6 x 200 g, 9.10 invece di 11.40
40%
6.85 invece di 11.45 Sminuzzato di pollo al naturale M-Classic in conf. da 2 surgelato, 2 x 350 g
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di riduzione l’uno Tutti gli sciroppi da 0,75 l e 1,5 l a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. ai lamponi, 1,5 l, 3.75 invece di 4.25
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Tutto l’assortimento Hygo WC a partire da 2 confezioni, 33% di riduzione
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7.40 invece di 9.30 Manella in conf. da 3 per es. Europa-Park Classic, 3 x 500 ml, offerta valida fino al 21.8.2017
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6.20 invece di 12.40 Cornetti assortiti M-Classic in conf. da 16 16 x 130 ml
20% Tutti i biscotti bio (Alnatura esclusi), per es. biscotti alla spelta bio, 286 g, 3.45 invece di 4.35
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Tutto l’assortimento di confetture Favorit Tutte le bacche e la frutta bio surgelate a partire da 2 pezzi, –.60 di riduzione l’uno, per es. (Alnatura escluse), per es. lamponi, 300 g, albicocche del Vallese, 350 g, 3.35 invece di 3.95 3.45 invece di 4.35
33% Pellicole e bustine Tangan in conf. da 3 per es. bustine con chiusura a zip n. 24 da 1 litro, 7.30 invece di 10.95, offerta valida fino al 21.8.2017
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Tutte le capsule Café Royal a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione
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Tutti i detergenti Potz a partire da 2 pezzi, –.70 di riduzione l’uno, per es. Calc, 1 l, 4.20 invece di 4.90, offerta valida fino al 21.8.2017
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Altre offerte. Frutta e verdura
Sacchetto per il pane in poliestere Cucina & Tavola, 43 x 34 cm, 2 pezzi, 6.90 Hit
Altri alimenti
Pane e latticini
Spelucchino Cucina & Tavola in set da 3, disponibile in diversi colori, per es. verde e viola, 6.90 Hit Insalata novella Anna’s Best in conf. da 2, 2 x 100 g, 5.60 invece di 7.– 20%
Tutti i prodotti per la cura del viso Nivea nonché Nivea Creme, Nivea Soft e Nivea Care (esclusi prodotti Nivea Men, Nivea per la doccia, confezioni da viaggio e confezioni multiple), per es. crema da giorno antirughe Q10 Plus Visage, 50 ml, 8.65 invece di 12.40, offerta valida fino al 14.8.2017
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30% Deodoranti Rexona nonché prodotti per la doccia e deodoranti Axe in confezioni multiple per es. gel doccia Africa Axe in conf. da 3, 3 x 250 ml, 7.35 invece di 10.50
Pane rustico Pain Création, 400 g, –.50 di riduzione, 3.30 invece di 3.80 Tutte le torte svedesi (a fette e intere), per es. torta svedese, 350 g, 6.20 invece di 7.80 20%
Pesce, carne e pollame
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Popcorn salati M-Classic in conf. da 2 e Pom-Bär in confezioni speciali, per es. Pom-Bär Original in conf. speciale, 225 g, 3.95 invece di 4.95 20%
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Novità
Falafel Alnatura, 200 g, 3.90 Novità **
Fiori e piante
Alimenti per gatti Gourmet Gold, 4 x 85 g, per es. ragout raffinato, 4.– Novità **
Ali di pollo Optigal, Svizzera, conf. da 6 pezzi, al kg, 9.90 invece di 13.50 25%
Tutti gli alimenti per gatti Vital Balance, a partire da 2 pezzi 20% Bouquet estivo Linda, il mazzo, 14.90 Hit
Couscous ai fiori Sélection, bio, 200 g, 3.50 Novità ** Spicchi di mango essiccati Sélection, 100 g, 4.20 Novità **
**Offerta valida fino al 21.8 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.8 AL 14.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Da giovedì 10.8 fino a sabato 12.8.2017
Tutti i prodotti per la cura del viso e del corpo e i deodoranti Garnier (confezioni multiple escluse), per es. trattamento da giorno antirughe Ultralift, 50 ml, 11.20 invece di 14.–
25%
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Tutto l’assortimento Secure Calzini da donna Ellen Amber in conf. da 3 (confezioni multiple escluse), per es. assorbenti Light disponibili in nero o antracite, numeri 35–38 o 39–42, Plus, 24 pezzi, 4.25 invece di 5.70 per es. antracite, numeri 35–38
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2.45 invece di 4.10 Spiedini misti in conf. speciale Svizzera, per 100 g, offerta valida dal 10.8 al 12.8.2017
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19.80
Coperta Tamara disponibile in turchese, bianco o grigio chiaro, 150 x 200 cm, per es. turchese
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Calzini da uomo Rohner o Camano in conf. da 3 disponibili in diversi colori e numeri, per es. Rohner, neri, numeri 43–46
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RAM da 8 GB, disco rigido da 1 TB
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PER I TUOI TESTI
50.–
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129.–
999.–
Notebook 15-bs076nz Processore Intel® Core™ i7-7500U, masterizzatore DVD-RW, tastiera numerica, Wi-Fi AC, HDMI, 2 prese USB 3.1, 1 presa USB 2.0, Windows 10 – 7981.861 Le offerte sono valide fino al 14.8.2017 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.
OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.8 AL 21.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Le giornate della convenienza all’inizio
Riduzione
Stampante/scanner/fotocopiatrice/fax OfficeJet 4656 AiO Stampante a getto d’inchiostro 4 in 1, alimentazione automatica dei documenti, stampa automatica su entrambi i lati, schermo touch LCD da 5,5 cm, alimentatore carta per 100 fogli, AirPrint – 7972.776
melectronics.ch
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1.45 invece di 2.20 Carote Svizzera, busta da 1 kg
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTA VALIDA SOLO DALL’8.8 AL 14.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
La natura sa cosa fa bene.
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15.80 invece di 23.10 Salmone affumicato bio in conf. speciale d’allevamento, Irlanda/Scozia/Norvegia, 260 g
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5.50 invece di 8.30 Pomodori a grappolo bio Ticino, imballati, al kg
20%
4.40 invece di 5.50 Prosciutto affumicato bio in conf. speciale Svizzera, per 100 g
20%
1.50 invece di 1.90 Tilsiter alla panna bio per 100 g
20% 20% Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. al naturale, 500 g, –.95 invece di 1.20
20% Tutti i cereali per la colazione bio (Alnatura esclusi), per es. semi di chia, 200 g, 3.60 invece di 4.50
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.8 AL 14.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Miscela di noci bio e mandorle al timo e rosmarino bio per es. miscela di noci, 170 g, 2.80 invece di 3.50
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Bio
Una voglia matta di prodotti svizzeri
Gli alimenti a base di carne a marchio Migros Bio provengono da produttori locali. Le materie prime utilizzate sono prodotte da agricoltori che seguono le severe direttive di Bio Suisse* Testo Heidi Bacchilega; Foto Claudia Linsi; Ricette Andrea Pistorius
Da sapere
Impegno
Migros Bio si basa sui seguenti principi: • rispetto della natura e dell’ambiente • produzione nel rispetto dei cicli e dei processi naturali • promozione della fertilità naturale del suolo • rinuncia ai fitofarmaci chimici di sintesi • allevamento rispettoso delle esigenze degli animali • divieto di ricorso all’ingegneria generica • divieto di trasporti aerei
Circa il 40 percento di tutti i maiali bio allevati in Svizzera è venduto da Migros, che in tal modo garantisce uno smercio sicuro ai produttori bio. I maiali bio vengono allevati in gruppo, hanno quotidianamente libertà di movimento e ricevono mangimi biologici.
Migros contrassegna con il logo Migros Bio Svizzera tutti i prodotti bio freschi e lavorati, i cui ingredienti sono per almeno il 90% di provenienza svizzera. Tutte le materie prime naturali utilizzate sono prodotte secondo le direttive Bio Suisse.
Tutta la salumeria bio affettata così come gran parte della carne fresca sono ora proposte nella nuova confezione che contiene meno plastica, sostituita dal cartone. Quest’ultimo è certificato FSC. Con tale misura Migros è stata in grado di ridurre il consumo di plastica fino al 70 percento.
Anche i polli biologici Migros hanno ogni giorno la possibilità di stare all’esterno. In Svizzera ciò è reso possibile grazie all’utilizzo di moderne strutture mobili per il loro allevamento.
Migros Bio Prosciutto cotto affumicato per 100 g Fr. 5.50
Migros Bio Carne secca dei Grigioni per 100 g Fr. 10.60
Gastronomia
Una piccola porzione di salumeria svizzera sarà apprezzata a qualsiasi ora del giorno e della notte da chi ama gli spuntini sostanziosi. La carne secca grigionese e il prosciutto svizzero apportano una nota fragrante anche quando vengono utilizzati per farcire la pasta sfoglia o la pizza. I cornetti al prosciutto sono un classico per gli aperitivi. Gli amanti della carne li mangiano volentieri anche con ripieno di pancetta o speck.
Degusta i prodotti bio svizzeri!
Proposta di ricetta Come trasformare una tradizionale pizza margherita in una pizza originale? Dopo la cottura disporre sulla pizza un avocado tagliato a fette sottili e fette di carne secca grigionese. Distribuire del pepe appena macinato e servire.
Fino al 12.08.2017 Ulteriori informazioni: www.migros.ch/bio
A pagina 58-59 due raffinate ricette a base di petto di pollo e entrecôte di manzo.
Concorso
* Bio Suisse è la maggiore organizzazione bio in Svizzera e rappresenta gli interessi delle oltre 6140 aziende agricole e orticole associate.
Partecipa e vinci premi per un valore totale di 11’000 franchi. Per esempio un fine settimana presso l’albergo castello bio Wartegg, sul lago di Costanza (cena inclusa). Ulteriori informazioni: www.migros.ch/bio
Migros contrassegna con il logo Migros Bio Svizzera tutti i prodotti bio freschi e lavorati, i cui ingredienti sono per almeno il 90% di provenienza svizzera. Tutte le materie prime naturali utilizzate sono prodotte secondo le direttive Bio Suisse. Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Migros Bio
Una voglia matta di prodotti svizzeri
Gli alimenti a base di carne a marchio Migros Bio provengono da produttori locali. Le materie prime utilizzate sono prodotte da agricoltori che seguono le severe direttive di Bio Suisse* Testo Heidi Bacchilega; Foto Claudia Linsi; Ricette Andrea Pistorius
Da sapere
Impegno
Migros Bio si basa sui seguenti principi: • rispetto della natura e dell’ambiente • produzione nel rispetto dei cicli e dei processi naturali • promozione della fertilità naturale del suolo • rinuncia ai fitofarmaci chimici di sintesi • allevamento rispettoso delle esigenze degli animali • divieto di ricorso all’ingegneria generica • divieto di trasporti aerei
Circa il 40 percento di tutti i maiali bio allevati in Svizzera è venduto da Migros, che in tal modo garantisce uno smercio sicuro ai produttori bio. I maiali bio vengono allevati in gruppo, hanno quotidianamente libertà di movimento e ricevono mangimi biologici.
Migros contrassegna con il logo Migros Bio Svizzera tutti i prodotti bio freschi e lavorati, i cui ingredienti sono per almeno il 90% di provenienza svizzera. Tutte le materie prime naturali utilizzate sono prodotte secondo le direttive Bio Suisse.
Tutta la salumeria bio affettata così come gran parte della carne fresca sono ora proposte nella nuova confezione che contiene meno plastica, sostituita dal cartone. Quest’ultimo è certificato FSC. Con tale misura Migros è stata in grado di ridurre il consumo di plastica fino al 70 percento.
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Migros Bio Prosciutto cotto affumicato per 100 g Fr. 5.50
Migros Bio Carne secca dei Grigioni per 100 g Fr. 10.60
Gastronomia
Una piccola porzione di salumeria svizzera sarà apprezzata a qualsiasi ora del giorno e della notte da chi ama gli spuntini sostanziosi. La carne secca grigionese e il prosciutto svizzero apportano una nota fragrante anche quando vengono utilizzati per farcire la pasta sfoglia o la pizza. I cornetti al prosciutto sono un classico per gli aperitivi. Gli amanti della carne li mangiano volentieri anche con ripieno di pancetta o speck.
Degusta i prodotti bio svizzeri!
Proposta di ricetta Come trasformare una tradizionale pizza margherita in una pizza originale? Dopo la cottura disporre sulla pizza un avocado tagliato a fette sottili e fette di carne secca grigionese. Distribuire del pepe appena macinato e servire.
Fino al 12.08.2017 Ulteriori informazioni: www.migros.ch/bio
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Concorso
* Bio Suisse è la maggiore organizzazione bio in Svizzera e rappresenta gli interessi delle oltre 6140 aziende agricole e orticole associate.
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Migros contrassegna con il logo Migros Bio Svizzera tutti i prodotti bio freschi e lavorati, i cui ingredienti sono per almeno il 90% di provenienza svizzera. Tutte le materie prime naturali utilizzate sono prodotte secondo le direttive Bio Suisse. Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Bio Entrecôte di manzo per 100 g prezzo del giorno Nelle maggiori filiali
Migros Bio Petto di pollo per 100 g Fr. 5.20
Petto di pollo Migros Bio
Entrecôte di manzo Migros Bio
Petto di pollo con albicocche su medaglioni di rösti Ingredienti per 4 persone 500 g di rösti pronti da arrostire 4 petti di pollo di ca. 100 g ciascuno Sale e pepe 3 cucchiai di olio d’oliva 1 cucchiaino di senape granulosa 2 cucchiai di confettura d’albicocche 1 cipolla grossa 3 albicocche 30 g di gruyère Erba cipollina per guarnire Preparazione 1. Scaldate il forno a 200 °C. Rosolate i rösti mescolandoli per 3-4 minuti in una padella senza grassi. Trasferite i rösti su una teglia foderata con carta
da forno e formate 4 medaglioni. Cuoceteli al centro del forno per ca. 5 minuti. 2. Nel frattempo, condite i petti di pollo con sale e pepe e rosolateli brevemente nella metà dell’olio a fuoco medio. Mescolate la senape con la confettura e insaporite con sale e pepe. 3. Dividete i petti di pollo ognuno in 4 pezzi, spennellateli con la confettura alla senape e mettete da parte il resto. Distribuite i pezzetti di pollo sui medaglioni di rösti e infornate per 2-3 minuti. Tagliate la cipolla ad anelli, dimezzate le albicocche, snocciolatele e tagliatele in spicchietti. Fate appassire gli anelli
di cipolla nell’olio rimasto finché diventano trasparenti. Mescolate gli spicchi di albicocche con la confettura messa da parte. Distribuite tutto sui rösti e spolverizzate con il gruyère grattugiato. Gratinate per 2-3 minuti in forno. Prima di servire, guarnite con l’erba cipollina sminuzzata. Tempo di preparazione ca. 35 minuti Per persona ca. 26 g di proteine 19 g di grassi 34 g di carboidrati 1750 kj/420 kcal
Entrecôte con burro profumato allo ziger e gratin di patate Ingredienti per 4 persone 4 entrecôte di ca. 160 ciascuna 2 cucchiai di olio d’oliva 1 cucchiaino di fleur de sel pepe Burro allo ziger e alle erbe ½ rametto di erbe aromatiche miste, p. es. prezzemolo, erba cipollina e aneto 40 g di burro morbido ½ cucchiaino di scorza di limone 1 cucchiaino di burro allo ziger paprica, sale, pepe Gratin di patate 500 g di patate farinose 1 spicchio d’aglio 2 dl di panna semigrassa 1,5 dl di latte 40 g di gruyère sale, pepe, noce moscata
Preparazione 1. Per il burro aromatizzato, tritate finemente le erbe. Lavorate il burro a spuma e incorporate il trito di erbe. Aggiungete la scorza di limone grattugiata e il burro allo ziger. Condite con sale e pepe e mettete in frigo. 2. Per il gratin di patate, scaldate il forno a 200 °C. Tagliate le patate a fettine di 2 mm. Schiacciate l’aglio. Aggiungete la panna, il latte, il formaggio grattugiato e mescolate. Condite con sale, pepe e noce moscata. Accomodate le patate negli stampi e cuocete al centro del forno per ca. 30 minuti.
la cottura per 2–3 minuti, poi lasciate riposare brevemente le entrecôte. Tagliate la carne a fette e servitela con il burro alle erbe e il gratin di patate. Tempo di preparazione ca. 35 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti Per persona ca. 43 g di proteine 39 g di grassi 24 g di carboidrati 2650 kj/640 kcal
3. Spennellate la carne con l’olio. Scaldate una bistecchiera senza ungerla d’olio. Rosolate la carne a fuoco alto, 1 minuto per lato. Abbassate il fuoco e continuate Migusto è la piattaforma di cucina della Migros. www.migusto.ch
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Migros Bio Entrecôte di manzo per 100 g prezzo del giorno Nelle maggiori filiali
Migros Bio Petto di pollo per 100 g Fr. 5.20
Petto di pollo Migros Bio
Entrecôte di manzo Migros Bio
Petto di pollo con albicocche su medaglioni di rösti Ingredienti per 4 persone 500 g di rösti pronti da arrostire 4 petti di pollo di ca. 100 g ciascuno Sale e pepe 3 cucchiai di olio d’oliva 1 cucchiaino di senape granulosa 2 cucchiai di confettura d’albicocche 1 cipolla grossa 3 albicocche 30 g di gruyère Erba cipollina per guarnire Preparazione 1. Scaldate il forno a 200 °C. Rosolate i rösti mescolandoli per 3-4 minuti in una padella senza grassi. Trasferite i rösti su una teglia foderata con carta
da forno e formate 4 medaglioni. Cuoceteli al centro del forno per ca. 5 minuti. 2. Nel frattempo, condite i petti di pollo con sale e pepe e rosolateli brevemente nella metà dell’olio a fuoco medio. Mescolate la senape con la confettura e insaporite con sale e pepe. 3. Dividete i petti di pollo ognuno in 4 pezzi, spennellateli con la confettura alla senape e mettete da parte il resto. Distribuite i pezzetti di pollo sui medaglioni di rösti e infornate per 2-3 minuti. Tagliate la cipolla ad anelli, dimezzate le albicocche, snocciolatele e tagliatele in spicchietti. Fate appassire gli anelli
di cipolla nell’olio rimasto finché diventano trasparenti. Mescolate gli spicchi di albicocche con la confettura messa da parte. Distribuite tutto sui rösti e spolverizzate con il gruyère grattugiato. Gratinate per 2-3 minuti in forno. Prima di servire, guarnite con l’erba cipollina sminuzzata. Tempo di preparazione ca. 35 minuti Per persona ca. 26 g di proteine 19 g di grassi 34 g di carboidrati 1750 kj/420 kcal
Entrecôte con burro profumato allo ziger e gratin di patate Ingredienti per 4 persone 4 entrecôte di ca. 160 ciascuna 2 cucchiai di olio d’oliva 1 cucchiaino di fleur de sel pepe Burro allo ziger e alle erbe ½ rametto di erbe aromatiche miste, p. es. prezzemolo, erba cipollina e aneto 40 g di burro morbido ½ cucchiaino di scorza di limone 1 cucchiaino di burro allo ziger paprica, sale, pepe Gratin di patate 500 g di patate farinose 1 spicchio d’aglio 2 dl di panna semigrassa 1,5 dl di latte 40 g di gruyère sale, pepe, noce moscata
Preparazione 1. Per il burro aromatizzato, tritate finemente le erbe. Lavorate il burro a spuma e incorporate il trito di erbe. Aggiungete la scorza di limone grattugiata e il burro allo ziger. Condite con sale e pepe e mettete in frigo. 2. Per il gratin di patate, scaldate il forno a 200 °C. Tagliate le patate a fettine di 2 mm. Schiacciate l’aglio. Aggiungete la panna, il latte, il formaggio grattugiato e mescolate. Condite con sale, pepe e noce moscata. Accomodate le patate negli stampi e cuocete al centro del forno per ca. 30 minuti.
la cottura per 2–3 minuti, poi lasciate riposare brevemente le entrecôte. Tagliate la carne a fette e servitela con il burro alle erbe e il gratin di patate. Tempo di preparazione ca. 35 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti Per persona ca. 43 g di proteine 39 g di grassi 24 g di carboidrati 2650 kj/640 kcal
3. Spennellate la carne con l’olio. Scaldate una bistecchiera senza ungerla d’olio. Rosolate la carne a fuoco alto, 1 minuto per lato. Abbassate il fuoco e continuate Migusto è la piattaforma di cucina della Migros. www.migusto.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 agosto 2017 • N. 32
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