Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Una seconda vita per le persone con lesioni cerebrali grazie all’Associazione Fragile Ticino
Ambiente e Benessere In netto aumento gli incidenti stradali causati dai ciclisti: ogni anno gli assicuratori ne registrano circa 17mila
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 14 agosto 2017
Azione 33 Politica e Economia Molte potenze ruotano attorno alla Libia, come capitò nel Dopoguerra ma con fini diversi
Cultura e Spettacoli A Napoli una mostra ripercorre la rappresentazione dell’amore mitologico nell’arte
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Sull’orlo del precipizio
di Angela Nocioni pagina 18
AFP
La cicala e la maledizione del petrolio di Peter Schiesser In Venezuela li chiamano bachaqueros, dal nome di una formica gigante che vive nell’Amazzonia (bachaco) e porta sul dorso pesi diverse volte superiori a quello del proprio corpo: sono coloro che comprano tutto quanto ancora si trova nei negozi per poi rivendere la merce sul mercato nero, a prezzi enormemente maggiorati. Come leggo in Crude nation, o Cuando se jodìo Venezuela? nella versione in spagnolo tradotta dallo stesso autore, Raùl Gallegos, per diversi anni corrispondente a Caracas per il «Wall Street Journal», secondo il rinomato direttore di Datanàlisis Luis Vicente Leòn due terzi delle persone che fanno la coda davanti ai negozi rivendono i prodotti sul mercato nero, accentuando la penuria di prodotti. Come biasimarli, dovendo vivere in un Paese in cui l’inflazione ha superato il 700 per cento nel 2017 e riduce drasticamente il potere d’acquisto dei salari? Scrive Gallegos che i venezuelani hanno imparato anche altri metodi per far fronte all’inflazione: molti si indebitano, perché sanno che in poco tempo il debito si polverizza, mentre i tassi d’interesse delle banche per i crediti non possono superare il 29 per cento.
Ma come si è giunti a questa inflazione, alla penuria di ogni bene e medicamento? Com’è possibile che il paese con i più grandi giacimenti di petrolio al mondo sia sull’orlo della bancarotta? La risposta è semplice: è il petrolio la maledizione del Venezuela. Fin da quando si è scoperto il primo giacimento nel 1914, il Venezuela ha legato il suo destino a quest’unica ricchezza. Certo, era in sintonia con i tempi che i dittatori Juan Vicente Gomez (al potere dal 1908 al 1935) e poi Marcos Pérez Jiménez (1952-1958) si accontentassero di arricchirsi con il solo petrolio, ma anche i governi democratici non hanno mai stimolato una diversificazione dell’economia. E oggi, come già successo in passato, dopo il crollo del prezzo del petrolio il Venezuela si trova sul lastrico. Con una situazione economica aggravata dalle politiche socialiste di Chavez prima e di Maduro poi. In che modo ha reagito il governo al crollo delle entrate in dollari? Chavez e Maduro, come prima di loro altri presidenti (anche democratici), hanno ridotto al minimo le importazioni, limitato enormemente l’accesso ai dollari e, per finanziarsi (e per finanziare i debiti che generano le molte aziende nazionalizzate), stampato moneta a più non posso, alimentando l’inflazione. Oggi esistono tre diversi
cambi del dollaro (fino all’anno scorso erano 4), solo pochi privilegiati (i generali per primi) hanno accesso ai dollari, le aziende che hanno bisogno di acquistare componenti all’estero pagano un cambio ben più alto, e infine c’è un fiorente mercato nero. Chi possiede dollari è ricco, gli altri cercano di sopravvivere. Persino le politiche sociali introdotte da Chavez acuiscono i problemi: oltre alla benzina (che costa pochi centesimi al litro) ci sono molti generi di prima necessità il cui prezzo è fissato a livelli bassissimi dal governo, eppure c’è penuria di tutto, a causa dei bachaqueros e di chi contrabbanda merci nella vicina Colombia per ottenere guadagni enormi. Il venezuelano di classe media, scrive Gallegos, è da tempo un grande consumatore, ha conosciuto la ricchezza, si è accontentato di importare ogni ben di dio ma non si è premurato di produrlo. E oggi le difficoltà burocratiche che il regime impone alle aziende private rendono ancora più debole il settore manufatturiero. Quando la crisi politica si risolverà – sperando che non sfoci in guerra civile – ci vorrà una rivoluzione culturale. L’opposizione a Maduro non dà finora segno di averlo compreso, forse faranno la differenza i cervelli fuoriusciti dal Venezuela, che non vedono l’ora di poter tornare.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Società e Territorio Un sostegno alla fragilità L’associazione Fragile Ticino e il suo impegno per le vittime di lesioni cerebrali
Sonogno, il museo raddoppia Il comune in fondo alla Valle Verzasca ha inaugurato a fine aprile un secondo edificio, accanto al primo pagina 5
Esperti sotto tiro Secondo una critica corrente, lo specialista sarebbe incapace di cogliere la complessità della realtà nel suo insieme, ma questo è solo un lato della medaglia
La fragilità di una seconda vita
Solidarietà L’associazione Fragile Ticino offre sostegno alle vittime di lesioni cerebrali, ai loro familiari
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e ai professionisti del ramo Sara Rossi Guidicelli
pagina 3
Da non sottovalutare le conseguenze psicologiche di una violazione del proprio spazio. (Ti-Press)
Come evitare i furti in casa
Campagna di prevenzione La tendenza è in diminuzione, ma non in tutti i comuni del Luganese – I consigli
della polizia per migliorare la sicurezza delle propria abitazione e su come comportarsi in caso di furto con scasso Stefania Hubmann Il miglior antifurto nelle abitazioni è il comportamento stesso del residente. Sovente si dimenticano infatti precauzioni semplici e banali. La polizia è vicina alla popolazione anche in questo ambito, presente sul territorio e attiva nella prevenzione. «Insieme a voi, contro i furti con scasso!» è il titolo della campagna proposta a inizio estate dagli otto corpi di polizia del Luganese. Un volantino con sette consigli principali per prevenire i furti con scasso è stato spedito a tutti i fuochi dei 47 Comuni del comprensorio Regione III. I consulenti per la sicurezza dei rispettivi corpi di polizia sono inoltre a disposizione per consigli mirati. Benché la tendenza dei furti con scasso sia in diminuzione a livello nazionale come pure cantonale, non bisogna mai abbassare la guardia. Essi restano infatti uno dei reati più frequenti con numerosi Comuni luganesi al di sopra della media cantonale. Da non sottovalutare nemmeno le conseguenze psicologiche nelle vittime che vedono violata la propria intimità. La stagione a rischio non è solo quella estiva, perché i cosiddetti topi d’appartamen-
to sono attivi anche negli altri mesi dell’anno, soprattutto nelle zone più discoste e a bassa densità demografica. Il Malcantone è sicuramente una giurisdizione particolare per posizione geografica e conformazione del territorio. In alcuni suoi comuni nel 2016 si sono registrate le frequenze più elevate del Ticino. Per Fabrizio Ponti, comandante della Polizia Malcantone Ovest con sede a Caslano «le azioni di prevenzione hanno sempre un buon riscontro. Anche l’invio a oltre 60mila fuochi di un volantino in busta chiusa con lettera accompagnatoria firmata dagli otto comandanti è stato apprezzato. Abbiamo optato per questa formula proprio per essere sicuri di raggiungere i destinatari, per essere vicini al cittadino con consigli pratici e per manifestare la nostra disponibilità nel caso fossero necessari ulteriori chiarimenti. In effetti alcune persone ci hanno contattato per una consulenza personale. Grazie anche ai sopralluoghi si riesce a consigliare in maniera più precisa chi ha dubbi riguardo la sicurezza della propria casa o del proprio appartamento. In relazione ai punti deboli e alle possibili vie di fuga si possono suggerire diverse misure di
prevenzione fino ai sistemi di sicurezza e di allarme di cui si occupano le ditte specializzate». Il comandante, con una lunga esperienza al fronte nella regione malcantonese, sottolinea inoltre come i ladri agiscano di solito dopo aver perlustrato la zona e studiato le abitudini dei residenti. Nelle abitazioni i colpi sono messi a segno per lo più di pomeriggio, mentre negli stabili industriali e negli uffici di notte. La riorganizzazione delle polizie comunali del Luganese, avvenuta nel 2015 e sfociata in otto corpi, ha favorito una migliore organizzazione del lavoro soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse. Precisa il comandante Ponti: «Nella nostra giurisdizione, che comprende dodici Comuni e quattro dogane per un totale di circa 14mila abitanti, possiamo così assicurare il passaggio di una pattuglia in tutti i Comuni due volte al giorno. I villaggi più discosti, vicino al confine, beneficiano di qualche ulteriore transito. Si tratta di un’azione deterrente valutata in modo positivo dalla popolazione, in particolare dalla fascia anziana. In queste zone, molto vicine al confine, i ladri si spostano a piedi, fuggono attraverso i boschi e in autun-
no tendono a prendere di mira i rustici situati in posizione isolata. In diversi casi il problema non è tanto l’entità del bottino quanto i danni e la violazione dello spazio privato, usato anche solo per rifocillarsi o passare la notte». Come difendersi quindi da questo tipo di delinquenza? Il comandante Ponti risponde con i sette consigli ufficiali riportati nel volantino spedito alle economie domestiche del Luganese. Chiudere a chiave le porte, chiudere le finestre, mettere al sicuro gli oggetti, aprire gli occhi segnalando comportamenti sospetti, accendere le luci utilizzando dei temporizzatori, attivare l’allarme e rivolgersi ai consulenti per la sicurezza della polizia. Sono questi i comportamenti da assumere per ridurre il rischio di subire i danni di un furto con scasso. Ulteriori dettagli per un alloggio sicuro sono forniti sul sito della Prevenzione Svizzera della Criminalità (www.skppsc.ch/it/temi/ furto-con-scasso) che affronta diverse tematiche legate alla sicurezza. La campagna «Insieme a voi contro i furti con scasso» fornisce informazioni anche su come agire in presenza di tale avversità. Chiamare la polizia senza mettere a repentaglio la pro-
pria sicurezza e non toccare nulla fino all’arrivo degli agenti sono le parole d’ordine. La collaborazione con la polizia è un aspetto che Fabrizio Ponti tiene a sottolineare: «Le segnalazioni dei cittadini sono molto preziose, perché non possiamo essere presenti sempre e ovunque. Nella nostra giurisdizione, che è la più vasta, disponiamo di sette agenti. Il veicolo di pattuglia con due poliziotti a bordo è un deterrente per i ladri e infonde sicurezza alla popolazione, ma in caso d’intervento è essenziale la collaborazione delle vittime e di chiunque possa fornire indicazioni utili per fermare i ladri, molto spesso attivi in banda». Come già avvenuto negli scorsi anni con azioni di sensibilizzazione direttamente sul territorio, grazie ad esempio a una postazione mobile, la Polizia della Regione III offre al cittadino disponibilità e competenza per contrastare un fenomeno al momento non particolarmente acuto, ma che può subire repentini cambiamenti a dipendenza di come si muovono le bande di ladri. Anche i consigli che sembrano scontati sono quindi da accogliere con rispetto e soprattutto da mettere in pratica.
Sanno tutti con precisione la data in cui è successo. In cui poi più niente è stato come prima. Giuseppe, detto Pino, mi racconta la sua storia: nato ad Airolo nel 1964, l’incidente è avvenuto il 13 marzo 1988, sulla Biaschina, in Leventina. Era elettricista, aveva vinto il primo premio come ticinese e il sesto a livello svizzero della scuola in cui si è diplomato. Era una domenica, alle 5 di mattina. Si è scontrato con una macchina e non si è fatto quasi niente. È uscito in strada per chiedere soccorso e un altro veicolo lo ha investito. 40 giorni di coma, tre mesi a Bellinzona, poi riabilitazione alla clinica Hildebrand di Brissago. «Non parlavo, non mi muovevo. Per un anno sono stato in carrozzella. Ora ho ripreso l’uso delle gambe e della lingua. Quante ore ho fatto e faccio ancora di ergoterapia, fisioterapia, logopedia? Tantissime. Una volta sono andato per un mese nel canton Giura in una clinica apposita dove siamo andati a cavallo e ho aiutato in lavori come tosare il prato; mi è piaciuto moltissimo. E poi ogni settimana vengo qui, a Biasca». A Biasca c’è la sede ticinese di Fragile Suisse, un’associazione presieduta da Marzia Geninasca, che aiuta le persone colpite da lesioni cerebrali a riappropriarsi della loro vita e condurre un’esistenza il più indipendente possibile. Quando ci vado mi accolgono come un’amica, con i pasticcini e una montagna di regali. Un lavoro con legno e fiori di carta, un libro, un biglietto. E poi i racconti. Lele era apprendista panettiere, gli piaceva fare le trecce fresche. Una mattina non ha sentito la sveglia e allora ha preso il motorino per arrivare prima. «Mi ha investito un furgone. Ho volato per dieci metri e con la testa ho aperto un cancello di ferro. Avevo 17 anni». Due mesi e mezzo di coma, due anni di riabilitazione. Poi ha ripreso gli studi: panettiere, pasticcere. Un guerriero, lo chiamano. Ma gli arriva una seconda disgrazia: un tumore a causa del quale gli asportano il cervelletto. Dopo l’operazione sta in carrozzella, poi usa le stampelle e ora cammina senza aiuti, benissimo. «Sono fortunato, posso fare tutto. Però senza Fragile sarebbero guai: mi dà un motivo per uscir di casa, è come andare di nuovo al lavoro e incontrare nello stesso tempo gli amici, quelli che sono in situazioni simili alla mia e con i quali ci capiamo. Andiamo persino in vacanza insieme...». Fragile Ticino organizza infatti una settimana all’anno di villeggiatura a Olivone, una settimana al mare e alcune uscite di una giornata, oltre ai pomeriggi e ai giorni in sede. L’anima del bel luogo di incontro a Biasca è Paola Valli, fino a poco tempo fa responsabile dell’antenna di Fragile Ticino. Ruolo che ora ricopre sua figlia, Adele Vanzetta, che praticamente «è cresciuta con loro». Paola è molto più di una professionista formata per stare lì: è un’amica, con la spalla e la battuta sempre pronta. Raccoglie desideri e cerca di soddisfarli. Paola,
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Paola Valli, fino a poco tempo fa responsabile dell’antenna di Fragile Ticino, con due utenti. (Stefano Spinelli)
andiamo a mangiare i pizzoccheri? E lei organizza una serata fuori. Paola, e se facessimo una passeggiata? E via che lei ci pensa su e poi propone di andare al monastero di Claro. Durante la settimana gli utenti si cimentano per un paio di pomeriggi in un atelier creativo: pittura, disegno, lavorazione del legno, cucina. Un giorno a settimana si arriva fin dal mattino per occuparsi della sede, del materiale, dell’Officina creativa, il negozio di piante e fiori e spazio espositivo. Ci sono anche incontri con un’infermiera diplomata che stimola la memoria e la logica, con specifici giochi di società e un gruppo di auto-aiuto per familiari e amici di persone con lesioni cerebrali. Importante è inoltre la helpline di Fragile Ticino, attiva ogni giorno 24 ore su 24. Quel pomeriggio trascorso insieme si ride, si ascolta, si parla, ci si prende in giro. C’è un ambiente di amicizia stretta là dentro che riscalda il cuore.
Ognuno mi racconta la sua storia difficile, ingiusta, come se ci fosse una prima vita, iniziata grazie alle cure di mamma e papà e poi quella seconda vita rubata per miracolo, guadagnata con sudore e fatica, a furia di medicina, esercizi e tantissima forza di volontà. Loris dice «Ogni tanto mi passava la voglia di vivere. A 17 anni era come se avessi perso tutto. Però adesso va abbastanza bene, penso che a tutti capita una giornata no, a me come a te e a tutto il mondo». Lavora alla Fondazione Diamante, perché «stare a casa senza fare niente non è per me» e ogni anno va in quella clinica giurassiana di cui parlava Pino. Da fuori non si vede niente, non si capisce che c’è stato quel momento chiamato coma in cui tutto si è fermato. Questa è un’altra delle particolarità del trauma cerebrale: ci sono conseguenze visibili come la mimica ridotta, possibili spasmi, movimenti rallentati o l’andatura incerta, ma anche conseguenze
invisibili, come cambiamenti nel comportamento sociale ed emotivo, disturbi di memoria, di orientamento o altro. C’è Afrim, per esempio, che sorride sempre e non avrei notato niente se non mi avesse raccontato che «ero con mia zia, ho visto arrivare un bus e poi pum». E Fabrizio, che si è sposato, guida l’auto e fa da autista per tutti. «Certe cose di prima non le posso più fare, ma per il resto sono veramente stato fortunato. Alle gambe e alle mani non mi è successo niente». Enzo invece ha trovato qui a Biasca una seconda famiglia, dove «abbiamo costruito insieme tante cose» e so che non si riferisce solo agli orologi intagliati in legno o ai lavoretti creativi. Michele a Fragile Ticino ha addirittura trovato un lavoro: è il responsabile del materiale di bricolage e magazziniere; era selvicoltore e gli è caduta in testa, sul casco, una pianta. E dopo essere stato a un passo dal dover lasciare questa vita ha ricominciato tutto daccapo. Il che signi-
fica, per continuare a citare un libro dedicato a uno di loro, cercare di riprendere la sua dignità, provando a recuperare ciò che potevano essere i gesti più banali e più semplici, come mangiare da solo, parlare, ridere... insomma cercando di ridiventare un uomo bello, sano e giovane. Sono parole di Doriana Baldassarri, sorella di un signore con dei bei baffi che parla poco e sta seduto in fondo alla sala. Anche lui scrive, e forse un giorno, mi fa capire ma non mi promette, potrò leggere i suoi diari. Ciao Berto è il libro di poesie che sua sorella gli ha dedicato e ha dedicato a tutti quelli che venendo qui stanno, con tenacia, ora buonumore ora malinconia, provando a vivere, un po’ più fragili di prima, ma pur sempre se stessi. Informazioni
www.fragile.ch/ticino. Helpline: 091 880 00 00.
Un utente, la presidente M. Geninasca e la neo-responsabile A. Vanzetta. (S. Spinelli)
Per alcuni, il disegno è una forte passione. (Stefano Spinelli)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Società e Territorio Un sostegno alla fragilità L’associazione Fragile Ticino e il suo impegno per le vittime di lesioni cerebrali
Sonogno, il museo raddoppia Il comune in fondo alla Valle Verzasca ha inaugurato a fine aprile un secondo edificio, accanto al primo pagina 5
Esperti sotto tiro Secondo una critica corrente, lo specialista sarebbe incapace di cogliere la complessità della realtà nel suo insieme, ma questo è solo un lato della medaglia
La fragilità di una seconda vita
Solidarietà L’associazione Fragile Ticino offre sostegno alle vittime di lesioni cerebrali, ai loro familiari
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e ai professionisti del ramo Sara Rossi Guidicelli
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Da non sottovalutare le conseguenze psicologiche di una violazione del proprio spazio. (Ti-Press)
Come evitare i furti in casa
Campagna di prevenzione La tendenza è in diminuzione, ma non in tutti i comuni del Luganese – I consigli
della polizia per migliorare la sicurezza delle propria abitazione e su come comportarsi in caso di furto con scasso Stefania Hubmann Il miglior antifurto nelle abitazioni è il comportamento stesso del residente. Sovente si dimenticano infatti precauzioni semplici e banali. La polizia è vicina alla popolazione anche in questo ambito, presente sul territorio e attiva nella prevenzione. «Insieme a voi, contro i furti con scasso!» è il titolo della campagna proposta a inizio estate dagli otto corpi di polizia del Luganese. Un volantino con sette consigli principali per prevenire i furti con scasso è stato spedito a tutti i fuochi dei 47 Comuni del comprensorio Regione III. I consulenti per la sicurezza dei rispettivi corpi di polizia sono inoltre a disposizione per consigli mirati. Benché la tendenza dei furti con scasso sia in diminuzione a livello nazionale come pure cantonale, non bisogna mai abbassare la guardia. Essi restano infatti uno dei reati più frequenti con numerosi Comuni luganesi al di sopra della media cantonale. Da non sottovalutare nemmeno le conseguenze psicologiche nelle vittime che vedono violata la propria intimità. La stagione a rischio non è solo quella estiva, perché i cosiddetti topi d’appartamen-
to sono attivi anche negli altri mesi dell’anno, soprattutto nelle zone più discoste e a bassa densità demografica. Il Malcantone è sicuramente una giurisdizione particolare per posizione geografica e conformazione del territorio. In alcuni suoi comuni nel 2016 si sono registrate le frequenze più elevate del Ticino. Per Fabrizio Ponti, comandante della Polizia Malcantone Ovest con sede a Caslano «le azioni di prevenzione hanno sempre un buon riscontro. Anche l’invio a oltre 60mila fuochi di un volantino in busta chiusa con lettera accompagnatoria firmata dagli otto comandanti è stato apprezzato. Abbiamo optato per questa formula proprio per essere sicuri di raggiungere i destinatari, per essere vicini al cittadino con consigli pratici e per manifestare la nostra disponibilità nel caso fossero necessari ulteriori chiarimenti. In effetti alcune persone ci hanno contattato per una consulenza personale. Grazie anche ai sopralluoghi si riesce a consigliare in maniera più precisa chi ha dubbi riguardo la sicurezza della propria casa o del proprio appartamento. In relazione ai punti deboli e alle possibili vie di fuga si possono suggerire diverse misure di
prevenzione fino ai sistemi di sicurezza e di allarme di cui si occupano le ditte specializzate». Il comandante, con una lunga esperienza al fronte nella regione malcantonese, sottolinea inoltre come i ladri agiscano di solito dopo aver perlustrato la zona e studiato le abitudini dei residenti. Nelle abitazioni i colpi sono messi a segno per lo più di pomeriggio, mentre negli stabili industriali e negli uffici di notte. La riorganizzazione delle polizie comunali del Luganese, avvenuta nel 2015 e sfociata in otto corpi, ha favorito una migliore organizzazione del lavoro soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse. Precisa il comandante Ponti: «Nella nostra giurisdizione, che comprende dodici Comuni e quattro dogane per un totale di circa 14mila abitanti, possiamo così assicurare il passaggio di una pattuglia in tutti i Comuni due volte al giorno. I villaggi più discosti, vicino al confine, beneficiano di qualche ulteriore transito. Si tratta di un’azione deterrente valutata in modo positivo dalla popolazione, in particolare dalla fascia anziana. In queste zone, molto vicine al confine, i ladri si spostano a piedi, fuggono attraverso i boschi e in autun-
no tendono a prendere di mira i rustici situati in posizione isolata. In diversi casi il problema non è tanto l’entità del bottino quanto i danni e la violazione dello spazio privato, usato anche solo per rifocillarsi o passare la notte». Come difendersi quindi da questo tipo di delinquenza? Il comandante Ponti risponde con i sette consigli ufficiali riportati nel volantino spedito alle economie domestiche del Luganese. Chiudere a chiave le porte, chiudere le finestre, mettere al sicuro gli oggetti, aprire gli occhi segnalando comportamenti sospetti, accendere le luci utilizzando dei temporizzatori, attivare l’allarme e rivolgersi ai consulenti per la sicurezza della polizia. Sono questi i comportamenti da assumere per ridurre il rischio di subire i danni di un furto con scasso. Ulteriori dettagli per un alloggio sicuro sono forniti sul sito della Prevenzione Svizzera della Criminalità (www.skppsc.ch/it/temi/ furto-con-scasso) che affronta diverse tematiche legate alla sicurezza. La campagna «Insieme a voi contro i furti con scasso» fornisce informazioni anche su come agire in presenza di tale avversità. Chiamare la polizia senza mettere a repentaglio la pro-
pria sicurezza e non toccare nulla fino all’arrivo degli agenti sono le parole d’ordine. La collaborazione con la polizia è un aspetto che Fabrizio Ponti tiene a sottolineare: «Le segnalazioni dei cittadini sono molto preziose, perché non possiamo essere presenti sempre e ovunque. Nella nostra giurisdizione, che è la più vasta, disponiamo di sette agenti. Il veicolo di pattuglia con due poliziotti a bordo è un deterrente per i ladri e infonde sicurezza alla popolazione, ma in caso d’intervento è essenziale la collaborazione delle vittime e di chiunque possa fornire indicazioni utili per fermare i ladri, molto spesso attivi in banda». Come già avvenuto negli scorsi anni con azioni di sensibilizzazione direttamente sul territorio, grazie ad esempio a una postazione mobile, la Polizia della Regione III offre al cittadino disponibilità e competenza per contrastare un fenomeno al momento non particolarmente acuto, ma che può subire repentini cambiamenti a dipendenza di come si muovono le bande di ladri. Anche i consigli che sembrano scontati sono quindi da accogliere con rispetto e soprattutto da mettere in pratica.
Sanno tutti con precisione la data in cui è successo. In cui poi più niente è stato come prima. Giuseppe, detto Pino, mi racconta la sua storia: nato ad Airolo nel 1964, l’incidente è avvenuto il 13 marzo 1988, sulla Biaschina, in Leventina. Era elettricista, aveva vinto il primo premio come ticinese e il sesto a livello svizzero della scuola in cui si è diplomato. Era una domenica, alle 5 di mattina. Si è scontrato con una macchina e non si è fatto quasi niente. È uscito in strada per chiedere soccorso e un altro veicolo lo ha investito. 40 giorni di coma, tre mesi a Bellinzona, poi riabilitazione alla clinica Hildebrand di Brissago. «Non parlavo, non mi muovevo. Per un anno sono stato in carrozzella. Ora ho ripreso l’uso delle gambe e della lingua. Quante ore ho fatto e faccio ancora di ergoterapia, fisioterapia, logopedia? Tantissime. Una volta sono andato per un mese nel canton Giura in una clinica apposita dove siamo andati a cavallo e ho aiutato in lavori come tosare il prato; mi è piaciuto moltissimo. E poi ogni settimana vengo qui, a Biasca». A Biasca c’è la sede ticinese di Fragile Suisse, un’associazione presieduta da Marzia Geninasca, che aiuta le persone colpite da lesioni cerebrali a riappropriarsi della loro vita e condurre un’esistenza il più indipendente possibile. Quando ci vado mi accolgono come un’amica, con i pasticcini e una montagna di regali. Un lavoro con legno e fiori di carta, un libro, un biglietto. E poi i racconti. Lele era apprendista panettiere, gli piaceva fare le trecce fresche. Una mattina non ha sentito la sveglia e allora ha preso il motorino per arrivare prima. «Mi ha investito un furgone. Ho volato per dieci metri e con la testa ho aperto un cancello di ferro. Avevo 17 anni». Due mesi e mezzo di coma, due anni di riabilitazione. Poi ha ripreso gli studi: panettiere, pasticcere. Un guerriero, lo chiamano. Ma gli arriva una seconda disgrazia: un tumore a causa del quale gli asportano il cervelletto. Dopo l’operazione sta in carrozzella, poi usa le stampelle e ora cammina senza aiuti, benissimo. «Sono fortunato, posso fare tutto. Però senza Fragile sarebbero guai: mi dà un motivo per uscir di casa, è come andare di nuovo al lavoro e incontrare nello stesso tempo gli amici, quelli che sono in situazioni simili alla mia e con i quali ci capiamo. Andiamo persino in vacanza insieme...». Fragile Ticino organizza infatti una settimana all’anno di villeggiatura a Olivone, una settimana al mare e alcune uscite di una giornata, oltre ai pomeriggi e ai giorni in sede. L’anima del bel luogo di incontro a Biasca è Paola Valli, fino a poco tempo fa responsabile dell’antenna di Fragile Ticino. Ruolo che ora ricopre sua figlia, Adele Vanzetta, che praticamente «è cresciuta con loro». Paola è molto più di una professionista formata per stare lì: è un’amica, con la spalla e la battuta sempre pronta. Raccoglie desideri e cerca di soddisfarli. Paola,
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Paola Valli, fino a poco tempo fa responsabile dell’antenna di Fragile Ticino, con due utenti. (Stefano Spinelli)
andiamo a mangiare i pizzoccheri? E lei organizza una serata fuori. Paola, e se facessimo una passeggiata? E via che lei ci pensa su e poi propone di andare al monastero di Claro. Durante la settimana gli utenti si cimentano per un paio di pomeriggi in un atelier creativo: pittura, disegno, lavorazione del legno, cucina. Un giorno a settimana si arriva fin dal mattino per occuparsi della sede, del materiale, dell’Officina creativa, il negozio di piante e fiori e spazio espositivo. Ci sono anche incontri con un’infermiera diplomata che stimola la memoria e la logica, con specifici giochi di società e un gruppo di auto-aiuto per familiari e amici di persone con lesioni cerebrali. Importante è inoltre la helpline di Fragile Ticino, attiva ogni giorno 24 ore su 24. Quel pomeriggio trascorso insieme si ride, si ascolta, si parla, ci si prende in giro. C’è un ambiente di amicizia stretta là dentro che riscalda il cuore.
Ognuno mi racconta la sua storia difficile, ingiusta, come se ci fosse una prima vita, iniziata grazie alle cure di mamma e papà e poi quella seconda vita rubata per miracolo, guadagnata con sudore e fatica, a furia di medicina, esercizi e tantissima forza di volontà. Loris dice «Ogni tanto mi passava la voglia di vivere. A 17 anni era come se avessi perso tutto. Però adesso va abbastanza bene, penso che a tutti capita una giornata no, a me come a te e a tutto il mondo». Lavora alla Fondazione Diamante, perché «stare a casa senza fare niente non è per me» e ogni anno va in quella clinica giurassiana di cui parlava Pino. Da fuori non si vede niente, non si capisce che c’è stato quel momento chiamato coma in cui tutto si è fermato. Questa è un’altra delle particolarità del trauma cerebrale: ci sono conseguenze visibili come la mimica ridotta, possibili spasmi, movimenti rallentati o l’andatura incerta, ma anche conseguenze
invisibili, come cambiamenti nel comportamento sociale ed emotivo, disturbi di memoria, di orientamento o altro. C’è Afrim, per esempio, che sorride sempre e non avrei notato niente se non mi avesse raccontato che «ero con mia zia, ho visto arrivare un bus e poi pum». E Fabrizio, che si è sposato, guida l’auto e fa da autista per tutti. «Certe cose di prima non le posso più fare, ma per il resto sono veramente stato fortunato. Alle gambe e alle mani non mi è successo niente». Enzo invece ha trovato qui a Biasca una seconda famiglia, dove «abbiamo costruito insieme tante cose» e so che non si riferisce solo agli orologi intagliati in legno o ai lavoretti creativi. Michele a Fragile Ticino ha addirittura trovato un lavoro: è il responsabile del materiale di bricolage e magazziniere; era selvicoltore e gli è caduta in testa, sul casco, una pianta. E dopo essere stato a un passo dal dover lasciare questa vita ha ricominciato tutto daccapo. Il che signi-
fica, per continuare a citare un libro dedicato a uno di loro, cercare di riprendere la sua dignità, provando a recuperare ciò che potevano essere i gesti più banali e più semplici, come mangiare da solo, parlare, ridere... insomma cercando di ridiventare un uomo bello, sano e giovane. Sono parole di Doriana Baldassarri, sorella di un signore con dei bei baffi che parla poco e sta seduto in fondo alla sala. Anche lui scrive, e forse un giorno, mi fa capire ma non mi promette, potrò leggere i suoi diari. Ciao Berto è il libro di poesie che sua sorella gli ha dedicato e ha dedicato a tutti quelli che venendo qui stanno, con tenacia, ora buonumore ora malinconia, provando a vivere, un po’ più fragili di prima, ma pur sempre se stessi. Informazioni
www.fragile.ch/ticino. Helpline: 091 880 00 00.
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Per alcuni, il disegno è una forte passione. (Stefano Spinelli)
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Società e Territorio
Il museo raddoppia
Val Verzasca A fine aprile è stato inaugurato un nuovo edificio a Sonogno, sulla piazza del villaggio da poco
riqualificata – Intanto, da quest’anno il museo partecipa al programma svizzero GaM, Generazioni al museo, iniziativa nazionale promossa dal Percento culturale Migros
Elena Robert Ci sono tanti modi di raccontare e far vivere l’identità di una regione. Il Museo di Val Verzasca da quest’anno sta sperimentando un concetto innovativo che punta sul coinvolgimento diretto e sul ruolo attivo del visitatore, anche attraverso esperienze di mediazione culturale rivolte a far incontrare persone diverse. Con questi stimoli alla conoscenza si vivrà con maggiore consapevolezza il rapporto con il territorio, vasto e articolato, che va dal Piano di Magadino all’alta Valle, fino ai passi e alle bocchette che lo collegano a Valmaggia, Leventina, Riviera e Bellinzonese.
Il nuovo edificio aiuta i visitatori a farsi un’idea più ampia del territorio e del sapere pratico dei valligiani A fine aprile si è aperto il nuovo edificio del complesso museale di Sonogno, in posizione strategica sulla piazza del villaggio, riqualificata su progetto dell’architetto Enrico Sassi nell’autunno scorso. Qui ora si respira davvero un’aria diversa. Le due sedi del museo sono diventate a tutti gli effetti parte integrante del riuscito intervento urbanistico. Ci accompagna la curatrice e mediatrice culturale Veronica Carmine: «Casa Genardini, la sede storica, con le ambientazioni tradizionali della dimora verzaschese, è un luogo della memoria, ci ricorda un microcosmo in cui prevalgono il senso del collettivo, la solidarietà, il controllo sociale. A pochi metri di distanza i contenuti dell’edificio progettato dall’architetto Franco Patà invitano invece ad uno sguardo più ampio sul territorio e al sapere pratico dei valligiani, quello dei gesti del lavoro quotidiano, tramandati dalla cultura orale ed emanazione essi stessi di un sapere». Il concetto museale si è ispirato ad una rilettura critica delle ricerche di Franco Binda, Max Gschwend e Giovanni Bianconi, arricchita da testimonianze orali e scritte. Nella nuova sede si sviluppa la tematica del movimento praticato dalla comunità per gestire l’attività agropastorale povera di risorse: spostamenti propri del semi-nomadismo stagionale (su quattro livelli, il piano, la valle, i monti, gli alpi), della transumanza, dell’emigrazione periodica (in particolare di spazzacamini, vetrai, muratori) e di quella duratura oltreoceano verso l’Australia e la California. L’allestimento, essenziale, fa dialogare il territorio storico e geografico e l’operosità dell’uomo animata dall’onnipresenza della fede. Ci si confronta al pian terreno con l’evoluzione del paesaggio dagli anni Quaranta in poi attraverso le restituzioni tridimensionali di un modello interattivo della valle. Si focalizzano così, in sintonia con immagini che scorrono sulla parete, aspetti della morfologia, dell’utilizzo del territorio, confronti tra il passato e la contemporaneità e presenze interessanti come i massi cuppellari (una cinquantina quelli inventariati) e le cappelle (più di trecento). Un approccio più emozionale è invece offerto da una carta della Valle sulla quale i visitatori possono lasciare un pensiero, un disegno, un aneddoto riferito a un ricordo o a una percezione vissuti in un luogo. Vale la pena soffermarvisi per rendersi conto di quanto sia profondo l’attaccamento di abitanti, turisti, escursionisti alla regione, testimoniato da persone di età, origini e provenienza diverse.
Le due sedi del Museo di Sonogno che si affacciano sulla piazza principale. (Elena Robert)
Il fare dell’uomo è presentato in modo dinamico anche nell’unico spazio al primo piano, ricco di contenuti, dove il tema del movimento sul territorio viene scandito oltre che dalle stagioni, dalle esigenze degli animali, dalla pratica dei compiti quotidiani. Il nucleo familiare si riuniva solo in particolari momenti dell’anno, nello stesso periodo c’era chi si muoveva nelle zone alte dei monti e degli alpi, mentre altri della stessa famiglia si spostavano tra i fondovalle e gli insediamenti del piano, per occuparsi ad esempio della vigna. Il visitatore viene invitato a mettersi nei panni di un verzaschese degli anni Quaranta, provando di persona alcuni gesti antichi, guidato da oggetti, immagini storiche, dalle voci di chi ha vissuto la valle e da brevi filmati: racconti e preghiere ci riportano con l’immaginazione allo sprügh delle sette culle, a provare a trasportare un quintale di fieno su una fassoéra, a preparare il pastone con cui sfamarci fatto di corteccia di faggi e qualche castagna, o ancora davanti al fuoco serale con il corno di becco in mano per lanciare segnali. «Alla riuscita del museo vallerano contribuiscono da decenni molte persone. Il coinvolgimento di famiglie e scuole ha fatto sì che col tempo si sviluppasse un legame intenso, autentico con la realtà locale. Questa filosofia – ci racconta la curatrice – si è particolarmente rafforzata nel contesto del più recente e ampio progetto di modernizzazione e crescita del museo che ha portato al raddoppio della sede e a un nuovo concetto di trasmissione di
valori e di conoscenza. La chiave del rilancio sta proprio in questa forma di partecipazione concreta sulla quale anche in futuro intendiamo puntare ancora di più, con strumenti diversi, attraverso esperienze mirate sul territorio e nel museo con occasioni di dialogo, di incontro, di scambio di saperi». Uno di questi strumenti è la formula semplice e efficace del GaM, che sta per Generazioni al museo, iniziativa promossa a livello svizzero da Percento culturale Migros e che si è concretizzata quest’anno anche in Ticino, nel Museo di Val Verzasca e in altri musei etnografici nel Cantone. Sono pertanto diventati parte integrante del calendario delle manifestazioni museali anche momenti speciali di condivisione proposti a persone di generazioni diverse. I GaM diventano così opportunità di scambi sociali e emotivi che possono contribuire ad allargare i propri orizzonti. Per i musei significa avvicinare il pubblico in modo nuovo, informale. Percento culturale Migros appoggia dal 2014 questo tipo di esperienze nello spirito di quel rafforzamento della partecipazione culturale, uno degli assi portanti della politica culturale in Svizzera e che Città, Cantoni e Confederazione hanno deciso di approfondire nel corso dei prossimi anni. Veronica Carmine che coordina le esperienze GaM nella Svizzera italiana è un vulcano di idee e intende coinvolgere col tempo anche le altre realtà istituzionali sul territorio. Un incontro GaM tra fotografi del Verzasca Foto Festival e abitanti della Valle
è previsto a Sonogno il 1° settembre, mentre il 28 ottobre al Monte Verità ci sarà un incontro plenario sulla mediazione culturale aperta a tutti i musei della Svizzera italiana.
Il programma Generazioni al Museo permette di avvicinare il pubblico in modo nuovo, informale Ideatrice della formula GaM è Franziska Dürr, dal 2000 responsabile della mediazione culturale nell’ambito della formazione Kuverum proposta nei musei in Svizzera e all’estero: «Un centinaio di istituzioni ha già vissuto esperienze GaM e una cinquantina di esse continua a proporle. Al di là dell’interesse che si mantiene alto nel Paese, nella Svizzera interna dove il pubblico nei musei è molto diversificato, gli incontri tra persone di generazioni diverse vanno perfezionati. Nella Svizzera francese si sperimentano preferibilmente nuove idee di eventi GaM volti a far socializzare persone di culture diverse. In Ticino – ci dice Franziska Dürr – si è partiti con entusiasmo, l’esperienza sembra promettere bene, forse anche perché i piccoli musei etnografici hanno sempre coltivato un rapporto vicino alla gente e alla realtà locale. L’incontro previsto a Berna al Museo della comunicazione il prossimo 15 settembre al quale sono invitati
direttori di musei, mediatori culturali, pubblico e gruppi che collaborano con le istituzioni darà la possibilità a tutti di confrontarsi e di mettere sul tappeto piccole e grandi idee. Un’opportunità da non perdere, anche per mostrare cosa è possibile fare insieme e a livello nazionale per promuovere la partecipazione culturale». Informazioni
Museo di Val Verzasca, Sonogno, 1° maggio-31 ottobre, ma-do 11.0016.00, lu chiuso. Tel. 091 746 17 77. www.museovalverzasca.ch. Altre sedi del Museo a Frasco, dove sono in funzione una centralina elettrica e un mulino (sa 15.00-17.00) e a Odro (2 ore a piedi da Vogorno), dove in una piccola cascina sono esposti gli attrezzi per il taglio e la raccolta del fieno selvatico (J.-Louis e Christiane Villars. Tel. 091 745 48 15, aperta tutto l’anno). http://www.generazioni-al-museo.ch/ it/home www.kuverum.ch Il Museo propone cinque itinerari etnografici sul territorio da scoprire individualmente: raccolta del fieno selvatico a Odro ( Vogorno), lüere di Brione Verzasca, sfruttamento della forza idrica e centro artigianale a Frasco, sistema idrico e vasche monolitiche a Revöira (Lavertezzo), fregère a Cabioi (Sonogno). «Azione», Un laboratorio di gesti antichi articolo di Roberta Nicolò, 21.3.2016 pag. 3.
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Società e Territorio
Specialisti: miopi o indispensabili? Dibattiti Secondo una critica diffusa, sarebbero incapaci di cogliere la complessità della realtà nel suo insieme,
tuttavia le specializzazioni sono la risposta adattiva dell’umanità alla vastità ed eterogeneità del mondo in cui viviamo
Massimo Negrotti Da lungo tempo gli specialisti, nelle più diverse attività professionali o scientifiche, sono nell’occhio del ciclone, indicati come il segno perverso della modernità e della sua tendenza alla cosiddetta parcellizzazione del sapere. In questa critica si sono distinti vari pensatori, da Ortega Y Gasset a Geymonat, ai quali si è affiancata una opinione pubblica colta che ha finito per dipingere lo specialista come un uomo miope, dal sapere limitato ad un settore, incapace di cogliere la complessità della realtà nel suo insieme. Si è persino ricorsi alla metafora del paraocchi che lo specialista indosserebbe, come si fa per i cavalli, per non venire disturbato da osservazioni estranee al suo campo specifico. Si tratta di una critica che, sotto il profilo sociologico, proviene da un mondo umanistico che si attarda sulla persuasione che la saggezza, la «vera» conoscenza e, in definitiva, la verità, non possano che essere generate da un atteggiamento speculativo di carattere generale quando non addirittura metafisico. Se a ciò si aggiunge che la specializzazione riguarda oggi non solo le professioni tradizionali ma anche il prorompente ambito della tecnologia e della scienza, è facile intuire come il mondo umanistico stia riversando sul fenomeno una sorta di malcelato risentimento. Una premessa che, da un lato, porta a negare implicitamente che anche la scienza e la tecnologia, e dunque non solo la poesia o la filosofia, costituiscano un lavoro di ordine intellettuale e, dall’altro, induce a ritenere, con una certa presunzione, che la complessità della realtà sia catturabile dalla speculazione mentre scienza e tecnologia, al contrario, non si stancano di sottolinearne l’estrema varietà e l’intima incertezza. Il fatto è che le specializzazioni non sono altro che la risposta adattiva dell’umanità alla vastità e alla grande eterogeneità dei fatti in senso lato «fisici» del mondo in cui viviamo. Come ci insegna l’antropologia, un certo grado di specializzazione è sempre esistito in tutte le popolazioni e, fra l’altro, persino le religioni, come il paganesimo, il cristianesimo e l’induismo, conoscono una sorta di specializzazione delle divinità per cui esistono dei o santi per i viaggi in mare, per la fertilità, per la cucina e per tutta una serie di malattie. Tuttavia è da due secoli che il fe-
Salendo sempre più in alto, l’alpinista allarga il paesaggio che può osservare, ma ne perde i dettagli, scendendo recupera i dettagli, ma perde la visione d’insieme. Lo stesso succede nella ricerca del sapere. (Keystone)
nomeno sociale dello specialismo sta allargandosi. È per questo che, sul piano sociologico, Durkheim ha coniato i termini «solidarietà meccanica» e «solidarietà organica». La prima è la forma di integrazione che, in una società preindustriale, vede i suoi membri come individui che possiedono competenze generiche indistinte, mentre nella seconda emerge la «divisione del lavoro», e dunque la specializzazione. La società attuale, insomma, è tenuta assieme organicamente poiché ognuno ha competenze specifiche ma, per tutto il resto, ha bisogno delle competenze dell’altro. La scienza non si comporta diversamente. E lo fa perché prende atto che la realtà non è affatto un tutt’uno graziosamente disponibile alla mera riflessione filosofica ma è un insieme di dimensioni e livelli di enorme articolazione. Per affrontare una simile enormità di livelli va preso atto della nota parabola del grande fisico Heisenberg quando sottolinea l’inesorabile destino dell’al-
pinista il quale, salendo sempre più in alto, allarga il paesaggio che può osservare ma ne perde i dettagli, mentre, scendendo, scopre i dettagli ma perde la visione dell’insieme. Dunque si tratta di decidere: la conoscenza «vera» e più opportuna è quella dell’insieme o quella dei dettagli? La vita quotidiana dimostra che i «dettagli» in effetti non sono quasi mai aspetti secondari e che trascurarli può significare andare incontro al disastro. La risposta non può quindi che essere la ricerca di un equilibrio grazie al quale i dettagli siano messi in relazione fra loro e le visioni d’insieme si lascino analizzare concretamente nelle loro componenti, come richiede la scienza sperimentale. Si tenga però presente un’ulteriore proprietà del mondo fisico: l’insieme cui la scienza fa riferimento non è sempre e solo quello macroscopico, come l’Universo o la Terra. Chiunque abbia posto gli occhi sul mirino di un microscopio
per osservare una goccia d’acqua di pozzanghera si sarà accorto che anche lì c’è un «universo ad alta eterogeneità e che, aumentando progressivamente l’ingrandimento, esso si apre nuovamente su ulteriori profondità cosicché nuove realtà complesse emergono continuamente. Il nostro sistema immunitario, per esempio, è un mondo, osservabile e non speculativo, la cui complessità è inavvicinabile senza dedicarvi l’intera vita di uno specialista come del resto non può che accadere ad un astrofisico nei confronti delle galassie. È ovvio che lo specialismo, se assunto come paraocchi intenzionale o per scarsa intelligenza, può generare distorsioni, come sarebbe per un dermatologo che insistesse ad attribuire a disfunzioni epidermiche una malattia che, in effetti, sia dovuta a problemi cardiaci. Ma lo specialista intelligente sa quel che fa e sa reindirizzare ogni fattispecie verso la specializzazione più idonea. A questo scopo è strategica la
mento «peace and love» di Élianor e del suo papà, meditativo guru in tunica bianca, coda di cavallo e piedi nudi; e nell’altrettanto miracolosa vicenda che coinvolge la nonna cieca del bullo stesso (personaggi che forse citano il deamicisiano Sangue romagnolo in versione 2.0). Per fortuna lo humour innegabile dell’autrice riesce a contenere queste piccole derive, e a offrirci, con leggerezza, un buon finale. Questo romanzo è stato tradotto in italiano da Silvia Rogai: se lo avesse tradotto lei stessa, ha raccontato l’autrice alla Fiera di Bologna, non avrebbe smesso di riscriverlo, e sarebbe diventato un altro libro. Gaia Guasti si è invece autotradotta nell’opera più recente e appena uscita: Lettere di un cattivo studente, in cui regala una voce al classico «peggiore della classe», per dargli la possibilità di raccontarsi in lettere indirizzate ai genitori, alla compagna «brava», al professore, alla maestra delle elementari, alla sorellina, persino al Ministro dell’Istruzione.
Nicoletta Costa, Il Signor Tigre. Una storia piena di vento, Ape Junior. Da 2 anni Ha scritto più di 400 libri, conosciuti e amati dai bambini di tanti paesi del mondo. I suoi personaggi più noti sono Giulio Coniglio, La nuvola Olga, La strega Teodora, ed ora arriva anche Il signor Tigre, un cuoco molto bravo che vive in mezzo alla foresta. In questa nuova storia piena di vento di Nicoletta Costa, sarà appunto il forte vento a far volar via tutte le torte che il signor Tigre ha appena preparato. Ma ogni torta, volata in angoli diversi della foresta, sarà apprezzata da altri animali, come Paolo Pantera, Elio Elefante, Sergio Serpente, Leo Leone, Silvia Scimmietta. I quali non dimenticheranno di ringraziare, oltre che il vento, anche e soprattutto il Signor Tigre, e gli offriranno il loro aiuto a prepararne di nuove. Al di là del bel messaggio di solidarietà e gratitudine, questa semplicissima storia ha, come punto di forza, tutta l’esperienza
formazione generale dello specialista, cosa che caratterizza particolarmente gli studi universitari europei rispetto a quelli americani o russi. Così come sono estremamente utili le funzioni di raccordo esercitate da studiosi di metodologia, di matematica e di statistica, veri e propri «ufficiali di collegamento» come sono stati definiti da un fisico. Ma anche costoro sono specialisti perché la divisione del lavoro è una condizione inevitabile se si desidera, come si dice correttamente, approfondire le cose. Il rifiuto della specializzazione può comprensibilmente avere origine da esperienze individuali negative a causa, talvolta, dell’incapacità dello specialista di aprirsi verso la diversità delle competenze. Senza specialisti saremmo però condannati all’ignoranza, con tutte le sue conseguenze, così come, alle Olimpiadi, saremmo condannati alla noia e all’insoddisfazione se tutti gli atleti dovessero solo partecipare al decathlon.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Gaia Guasti, Maionese, ketchup o latte di soia, Camelozampa. Da 9 anni Gaia Guasti è nata nella culla dell’italiano, ma scrive in francese. Ne conosceva solo una decina di parole (come ha dichiarato lei stessa in un’intervista) quando da Firenze, all’età di 18 anni, si è trasferita a Parigi. Ha studiato sceneggiatura, si è innamorata della Francia e da allora vive lì, facendo la sceneggiatrice e la scrittrice. Ha scritto vari libri per ragazzi che ora, grazie alla casa editrice Camelozampa, iniziano a essere conosciuti anche in Italia. Mayonese, ketchup o latte di soia è stato finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2017. È la storia di due ragazzini, Noah e Élianor, con tante cose in comune, ma di quelle che non si vedono (una sensibilità profonda, la consapevolezza del dolore della mancanza, perché entrambi hanno perso un genitore) e una cosa che li differenzia, e che si vede –e si sente – tantissimo: il regime alimentare. Arrosti e merendine industriali per
Noah; latte di soia, semi vari e veganismo per Élianor. A scuola Élianor è emarginata perché secondo i compagni «puzza»; in realtà è solo il suo personale odore, legato alla sua alimentazione. Tutt’altro che una puzza, semplicemente un odore diverso da quello della maggioranza. Ma la diversità, come questo breve romanzo sottolinea, viene spesso declinata con connotazioni spregiative, e ci vorrà il piccolo miracolo dell’amicizia tra i due protagonisti per superare ogni barriera. A volte superandole con ottimismo fin eccessivo, come nell’ammansimento miracoloso del bullo di turno grazie all’atteggia-
dell’autrice nel renderla perfettamente adeguata alla prima infanzia: libro in cartonato robusto; immagini chiare, nitide e al contempo non prive di dettagli; personaggi simpatici e ben caratterizzati, sia dal nome proprio, che condivide l’iniziale con l’animale che lo porta, sia dall’azione che ognuno compie mentre viene «colpito» dalla torta volante; andamento a struttura ripetitiva con variazioni (sorpresa iniziale per l’arrivo della torta, apprezzamento, ringraziamento «grazie vento!»); finalino a sorpresa. Una storia da assaporare con entusiasmo, come le torte del signor Tigre!
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Narrenschiffe di ieri e di oggi Nella Germania del tardo Medioevo, quando le città erano largamente autonome nella gestione degli affari interni, accadeva spesso che i malati di mente fossero esiliati dal luogo natale. Venivano allora caricati a forza su uno dei tanti battelli che trasportavano merci nelle acque interne e scaricati di nascosto in qualche altra città. Come ci ricordava Michel Foucault in Storia della Follia nell’Età Classica, nel 1399, a Francoforte, ci si liberò così di un pazzo che girava nudo per le vie della città. Alcuni anni più tardi un folle criminale venne allo stesso modo spedito dalla città di Magonza. Un fabbro infermo di mente fu per due volte imbarcato per la deportazione ancora a Francoforte per poi tornarsene a piedi nella città natale. L’usanza era sicuramente più antica di quanto ci tramandino gli scarni documenti a proposito. Il folclore relativo al Narrenschiff – «La Nave dei Folli» – era infatti diffuso ai tempi nell’intera Europa del Nord. Si credeva, si tramandava,
si paventava nelle taverne degli angiporti che navi cariche di folli vagassero lungo quelle vie di comunicazione difficilmente controllabili che erano i canali, i fiumi e le acque interne paludose, pronte a scaricare nottetempo il loro carico sui pontili delle tranquille e indaffarate città mercantili. Erano – si badi – i secoli della paura del contagio e dei terrori che ne derivavano. La lebbra era ancora considerata contagiosa, e si era capito come la peste fosse trasmessa dai carichi che dall’Oriente giungevano in Europa nelle stive delle navi. Se quelle potevano essere messe in quarantena, l’innumerevole sciame del naviglio minore che solcava le acque interne era invece incontrollabile e dunque tanto più pericoloso. La Follia, poi, forma strana di morbo situata a metà strada fra la colpa morale e l’incolpevole fisiologia, misteriosa fusione di Bestialità e Ragione (non erano forse i Buffoni di Corte – i Folli patentati – coloro che potevano sbattere in faccia ai Re le verità più scomode, i paradossi
forward – per restare in gergo mediatico – e il tema si ripresenta oggi con la vicenda dei migranti del Mediterraneo. Cresce nella cosiddetta «opinione pubblica» – che a volte altro non è se non una versione neanche tanto più sofisticata di quello che per altre epoche chiamiamo «folclore» – una nuova paura del Contagio Che Viene dal Mare. Nottetempo, in maniera misteriosa, disordinata, inarrestabile – in sostanza «folle» in quanto irrispettosa di quella «sicurezza» che sembra essere diventata la parola d’ordine di una forma di civilizzazione che ama il frisson della paura – centinaia di natanti malsicuri e fatiscenti – anch’essi dunque «folli», si avvicinano nottetempo alle «nostre» coste pronti a scaricare un contagio che – a detta di molti – rischia di mettere fine al mondo civile così come lo conosciamo. Non si fra-intenda l’Altropologo: il problema c’è, ed è un problema serio e reale tanto a Sud quanto a Nord e quanto in mezzo sta fra il Sahara e la Scandinavia. Ma
quello che colpisce della contemporaneità è che la percezione culturale della crisi migratoria sembra dipanarsi fra le elaborazioni folcloriche del populismo catastrofista e le contro-deduzioni di una miriade di opinionisti, censori, moralisti, filosofi e meno, e tutti l’un contro l’altro armati. Latitante, assente come se la cosa non la riguardasse, la Grande Politica. Intenta più al piagnisteo ed allo scaricabarile (è colpa tua/no è colpa sua; io sì però ve lo avevo detto/no guarda che il microfono era rotto e non ha sentito nessuno; sono fatti vostri – anzi loro) che ad una risposta vigorosa e responsabile ad un fatto che tutti ci riguarda. Insomma: una pena. Scriveva Friedrich Engels a Karl Marx il 3 Dicembre 1851: «(la Storia) si presenta in prima battuta come tragedia, la seconda come farsa…». Occorre oggi, al nostro proposito, sovvertire il verdetto: farsa della paura e dell’impotenza allora, tragedia con gli stessi e medesimi protagonisti oggi. Kyrie eleison.
che orienta la nostra identità verso il perfezionamento di sé e il riconoscimento del nostro valore e, come tale, svolge una funzione evolutiva. La differenza con la sua amica consiste, come insegna Freud a proposito dei nevrotici, più nell’eccesso che nella modalità di comportamento. L’impossibilità di accettarsi spinge infatti la poverina a mentire al di là del verosimile, oltre l’accettabile. Suppongo che la sua esistenza le risulti così insopportabile da essere rifiutata del tutto e sostituita con un’altra o con altre essendo, l’immaginazione, illimitata. Il risultato immediato consiste nell’evitare il compatimento e di godere piuttosto dell’invidia degli altri. È probabile che, mentre raccontava i suoi improbabili successi, l’amica ritrovata spiasse le sue reazioni per constatare se avesse colpito nel segno. Tuttavia riscontro, nell’evidente esagerazione di quel resoconto esistenziale, il desiderio inconscio di essere scoperta e di ritrovare, nel crollo del suo castello di bugie, un contatto con la realtà. Non so se lei abbia intenzione, oltre che
di comprendere anche di aiutare, in nome della vostra antica amicizia, questa persona in difficoltà. Se così fosse, dovrebbe mantenere i contatti cercando man mano di farle accettare la realtà. In un mondo di falsità, la sua stessa discreta, disponibile presenza può rappresentare un elemento di verità. Non è tuttavia necessario infrangere completamente lo specchio magico dell’illusione dietro cui si cela una grande fragilità e un bisogno di aiuto e di conforto che non trova parole per dirsi. In un caso, che ho avuto occasione di seguire indirettamente, una giovane millantatrice cercava di curare con una falsa identità la ferita profonda che la tormentava senza tuttavia riconoscerla. Alla nascita del fratello, i genitori l’avevano consegnata alla nonna e alla zia per concentrarsi sul desideratissimo maschio e il trauma era stato così forte da indurla a sprofondare nell’inconscio l’evento e il risentimento. Col risultato di affidare al sintomo il compito di compensare indebitamente, attraverso l’artificio, il riconoscimento che le era stato negato dalla sua famiglia.
Solo quando, grazie alla psicoanalisi, riuscì ad affrontare quell’esperienza negata, le fu possibile ammettere la sofferenza ed elaborarla senza ricorrere a trucchi e inganni. Più grave e più nociva della tentazione di presentarsi, non come si è ma come si vorrebbe essere, vi è quella di provare la propria superiorità denigrando gli altri, calunniandoli, esponendoli al disprezzo degli altri. In ogni caso dovremmo educare i giovani a superare l’onnipotenza della prima infanzia, quando si crede di poter essere tutto, e accettare limiti, debolezze e fragilità, non per farsene un alibi ma per superarli con la consapevolezza che il senso della vita non sta tanto nel successo (termine pericoloso e ambiguo) ma nello sforzo di realizzare le nostre potenzialità.
ben figura nella graduatoria delle cosiddette riscoperte, un mix di rimpianto e progresso. Se, un tempo, era riservata allo sport e al tempo libero, la due ruote compare adesso in versione, riveduta e corretta, alla stregua di un toccasana, virtuoso e pulito, in grado di contrastare efficacemente i guai del traffico quotidiano. I politici ne sembrano convinti, e, per dare il buon esempio, si fanno fotografare in sella. Chiudendo gli occhi sulla curiosa immunità che protegge questi utenti della strada, i soli a potersi muovere come garba loro. E, già che si parla di politici, ecco un’altra parola, entrata recentemente, nel lessico locale: TICKET, eventualità infine eliminata, per puntare su una candidatura unica alla carica di consigliere federale, che però non ha fatto l’unanimità. Difficile da raggiungere in un Ticino litigioso. Allargando il discorso a fenomeni
di portata mondiale, ci s’imbatte in TURISMOFOBIA, che definisce l’altra faccia di una conquista sociale, irrinunciabile ma discussa. Tutti in vacanza significa, adesso, intrupparsi, assediando città rese invivibili: da Venezia a Barcellona. Coinvolgendo persino la Val Verzasca, con le sue pozze d’acqua cristallina, luogo incantevole, ma per pochi. Intanto c’è un’altra categoria di gente che si sposta, suo malgrado: i MIGRANTI. Niente da spartire con gli emigranti di memoria storica, in viaggio verso una precisa destinazione, o per lo meno una speranza. A quelli di oggi spetta una sorte ambigua, che sfugge a regole e previsioni, e divide insidiosamente anche i nostri sentimenti. Ultima arrivata fra i neologismi estivi, INFLUENCER: il termine si riferisce agli ospiti, approdati sui « social,» in particolare su INSTAGRAM, con il
proposito di esercitare, appunto, un influsso sul maggior numero possibile di adepti, paragonabili proprio ai seguaci di una setta, altrettanto ingenui e sciocchi, ed esposti al rischio d’ inganno. Da un lato, personaggi che non rappresentano nulla, se non un’ambizione balorda di arrivare chissà dove, impartendo lezioni di vita e di successo, dall’altro, un pubblico, purtroppo numeroso, dell’ordine di centinaia di migliaia di cosiddetti FOLLOWER, che ammirano modelli sbagliati, vittime dell’ignoranza e dell’ingenuità. Se leggessero i quotidiani, scoprirebbero presto che quei loro maestri sono finiti in galera. Sarà perché è breve, destinata a un ruolo alternativo, rispetto alle stagioni, fatto sta che l’estate sembra dar vita, ogni volta, a un proprio linguaggio. Dove si ritrovano parole prevedibili, associate a condizioni climatiche.
più evidenti e dichiarare che anche il Re è nudo?). Ambigua e scivolosa, scomoda e proverbiale, la Follia medievale bene si prestava ad un’epoca che vide, con il fiorire dell’Umanesimo, il ricorso all’allegoria come mezzo per mettere alla gogna vizi e peccati del secolo. Stultifera Navis – La Nave dei Folli – era il titolo della traduzione latina a firma di Jachob Locher, pubblicata nel 1497, dell’opera dell’umanista alsaziano Sebastian Brant, che aveva visto la luce a Basilea nel 1494. In 112 satire Brant aveva messo in piazza vergogne e scandali del suo tempo, ed in primis quelle riscontrabili in ambiti ecclesiastici. Giocando sulla coincidenza fra «navis – imbarcazione») e «navis – navata delle chiese», Brant aveva inaugurato un genere di satira di costume consacrato poi da Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della Follia (1509) per essere trasmesso poi al pubblico più in forma mediatica visuale da una quantità di artisti ispirati dal tema che vanno da Dürer a Bosch. Fast
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Un’identità fittizia Cara Silvia, in questi giorni di vacanza ho ritrovato con piacere una cara amica di università che avevo perso di vista. Mi ha accolto con grande entusiasmo e, come capita a noi donne, ci siamo raccontate in quattro e quattr’otto tutta la nostra vita. La sua mi è sembrata di grande successo professionale e affettivo: avvocatessa a Parigi, sposata con un uomo ricchissimo, dopo la nascita di due figli, maschio e femmina, si è separata per amore di una nota personalità politica con cui felicemente convive. Le confesso che, in confronto, mi sono sentita una fallita. La mia è una vita serena ma modesta, senza infamia e senza lode. Peccato che poco dopo sia venuta a sapere, da un’amica comune, che sono tutte menzogne. La bugiarda non ha realizzato niente di tutto quello di cui si vanta: dopo vari cambi di Facoltà e di sede, non si è mai laureata e vive, mantenuta dai genitori, nella casa di famiglia. Ma perché, mi chiedo, inventarsi una falsa identità? Perché rischiare di farsi scoprire mostrandosi così più perdente di quanto non sia? Non è meglio presentarsi per quello che si è
piuttosto che come si vorrebbe essere? Grazie se vorrà rispondermi. / Valeria Cara Valeria, vorrei per prima cosa attenuare il suo sdegno con la constatazione che nessuno è completamente indenne dalla tentazione di edulcorare la realtà. Vi è, nella vita di ognuno, qualche aspetto intollerabile che cerchiamo di ammortizzare con la fantasia. Sono soprattutto i bambini che, abitando nell’infanzia dove quasi tutto deve ancora avvenire, si permettono di evocare mondi possibili, esistenze probabili, affetti desiderabili, come racconto nel libro Una bambina senza stella. Crescere, diventare adulti, comporta invece di abbandonare lo spazio dell’illusione per riconoscere la realtà che, essendo l’unica possibile, ha sempre qualche cosa d’impositivo e limitante. Infatti non lo facciamo mai del tutto e, per rendere la vita vivibile, ci consentiamo qualche abbellimento, qualche aggiustamento che ci renda migliori ai nostri occhi, ancor prima che allo sguardo degli altri. Accanto all’Io reale esiste un Io ideale
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Parole di stagione Succede ogni estate. Sarà perché, pur essendo breve, è carica di proposte e promesse, destinata insomma a svolgere un ruolo alternativo, rispetto alla normalità: fatto sta che questa stagione riesce a dar vita, di anno in anno, a un proprio lessico. Una sorta di «estivese», per dirla parafrasando «politichese», «burocratese», «socialese», che definiscono linguaggi settoriali ormai storici. Qui, invece, si allude a parole momentanee che, forse, scompariranno senza lasciare traccia, ma intanto esprimono questa nostra quotidianità accelerata e persino illusoria, di cui l’estate è il simbolo. Diversamente da altri linguisti, Ottavio Lurati non è prevenuto nei confronti delle parole nuove. Come osserva nella sua Neologia anni 1980/90, «attraverso la lingua che cambia si tenta di capire il segreto dell’ora che batte». Eccoci, quindi, a sfogliare le pagine di quest’ipotetico dizionario dell’estivese
2017, dove, per cominciare, ci s’imbatte in METEO, che non è certo un neologismo, ma si presenta in ben altro modo, rispetto al passato. Non soltanto ha conquistato credibilità scientifica ma, soprattutto, risalto mediatico. Informa, grazie alla tecnologia, e impressiona, grazie a un linguaggio di forte impatto. E, così, si parla non tanto di episodi naturali quanto di anomalie estreme: temperature a 50 gradi «percepiti», in estati torride, roventi, di cui sono responsabili personaggi nefasti: Caronte, Lucifero, Nerone, Hannibal. Del resto, la meteorologia è poi un aspetto di quel fenomeno, al centro delle preoccupazioni mondiali, che si chiama CLIMA: la parola ormai più presente nel nostro linguaggio, e con effetti sui comportamenti pubblici e privati, per lo meno sul piano delle buone intenzioni. Ne consegue, il nesso è logico, la popolarità del termine BICICLETTA, che
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Ambiente e Benessere La patria natale delle mele Reportage dal Kazakhstan: il più grande Stato del mondo senza accesso al mare
Presentata l’Audi A8 Non debutta un’ammiraglia, arriva semmai una vera ambasciatrice della nuova mobilità
Il vino d’Oltre Manica Oggi in Gran Bretagna ci sono poco più di mille ettari vitati, pari alla superficie vitata nel Canton Ticino
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Una morte improvvisa Nonostante accurati esami, può morire anche un cavallo da competizione
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Tutti in sella, ma con rispetto
Secondo le statistiche, in Svizzera, già solo l’utilizzo del casco ha permesso nel 2016 di evitare 400 ferimenti gravi alla testa. (pexels)
Sicurezza La Suva vuole sensibilizzare sul crescente numero d’incidenti in bici, spesso causati dai ciclisti stessi:
il mancato rispetto delle precedenze, la causa principale Elia Stampanoni Muoversi con la bicicletta è sempre più un’abitudine. Lavoratori che si recano in ufficio sulle due ruote non sono più l’eccezione e non sono più visti come extraterrestri come era invece il caso ancora pochi anni fa. Anche i ciclisti per svago sono in netto aumento in Svizzera, sia nelle città, sia sulle strade o nei boschi. Nel contempo, assistiamo a un aumento progressivo del traffico urbano, dello stress e della fretta che interessano un po’ tutti gli utenti della strada. Tanti fattori che incrementano le situazioni pericolose sulle strade svizzere, come ribadito dall’Istituto nazionale svizzero di assicurazione contro gli infortuni (Insai, che dal 1996 utilizza la sigla tedesca Suva). Proprio per richiamare l’attenzione dei ciclisti sui rischi a cui si espongono, la Suva e i corpi di polizia cantonali di Basilea Città, Vaud, Friburgo e Svizzera Centrale hanno prodotto il cortometraggio Il ciclista, un filmato (che può essere visto consultando il sito www.azione.ch) di circa un minuto e mezzo, dove il protagonista si distingue per una guida spericolata nel tragitto casa-lavoro. Si mostrano così alcune delle più comuni trasgressioni al codice della strada: sor-
passi a destra, semafori «bruciati», mancato rispetto delle precedenze, lo sfrecciare tra le auto in colonna o tra i pedoni. Il protagonista, sebbene abbia perlomeno il casco, si vanta di arrivare sempre puntuale e in poco tempo in ufficio, dopo un quarto d’ora di pedalata che sicuramente non può fargli che bene. Il video può piacere o non piacere, ma di sicuro colpisce e dovrebbe sensibilizzare anche il ciclista più negligente a non mettere in gioco la propria vita e quella degli altri. La Suva motiva quest’iniziativa con il netto aumento d’incidenti stradali causati dai ciclisti: ogni anno sono circa 17mila quelli registrati dagli assicuratori. Incremento in parte dovuto al crescente numero di persone che utilizzano la bicicletta come mezzo di locomozione, ma non per questo giustificato. La polizia, a sua volta, ha constatato in Svizzera 3860 incidenti nel 2016 con almeno un ciclista coinvolto. Interessante notare che, secondo le statistiche, oltre la metà di questi incidenti siano da attribuire a negligenze dei ciclisti, tra cui le maggiori cause sembrano essere il mancato rispetto del codice della strada (su tutti, il mancato rispetto delle precedenze), la distrazione e l’alcol. In altre situazioni il ciclista è vittima senza colpe e quasi sempre ne esce nel peggior modo. D’altron-
de, a causa della loro forma più stretta e sottile, le biciclette corrono il pericolo di essere viste troppo tardi o non essere viste del tutto dai conducenti di automobili in situazioni di precedenza. La Suva, nella sua campagna di sensibilizzazione, promuove il rispetto: rispetto da parte dei ciclisti e rispetto da parte degli altri utenti delle strade. «Avere rispetto nel traffico stradale significa avere riguardo per gli altri» afferma Esther Hess, responsabile della campagna bici alla Suva. In concreto ciò significa che il codice della strada vale per tutti e tutti devono rispettarlo. «Molto importante è calcolare un lasso di tempo sufficiente per il percorso casalavoro, in modo da arrivarci incolumi», ribadisce la Suva. La campagna di sensibilizzazione si appoggia sui validi suggerimenti che in particolare raccomandano di segnalare con un gesto chiaro della mano quando s’intende svoltare e di cercare il contatto visivo con gli altri utenti della strada, senza dimenticare il rispetto delle regole di circolazione e degli altri utenti della strada. Indicazioni che rispecchiano anche quelle elaborate da Pro Velo Svizzera nel suo promemoria (www.pro-velo.ch). Gesti semplici che possono salvare una vita.
A Regina Pinna-Marfurt, portavoce e media relations per il Ticino della Suva, abbiamo chiesto dove e in quali situazioni avvengo i maggiori incidenti. «Due terzi di questi incidenti avvengono in un contesto di traffico stradale, dove i danni maggiori (ferite più gravi e conseguentemente costi di cura maggiori) si constatano quando i ciclisti entrano in collisione con altri veicoli. Da qui la campagna di sensibilizzazione Precedenza alla prudenza – Non sai mai cosa ti può capitare! (ndr. http://vorsicht-vortritt.ch anche in italiano), promossa da Pro Velo, ATA, upi, Suva, TCS e Polizia, assieme ad altri partner e con il sostegno finanziario del Fondo per la sicurezza stradale. Anche qui si pone l’accento sul rispetto delle precedenze, informando dei rischi sia i ciclisti che i conducenti di altri veicoli». Oltre al rispetto delle regole di circolazione, l’esistenza di buone ciclopiste potrebbe aiutare, ma in questo senso Pinna-Marfurt ammette che seppure «delle infrastrutture migliori aiuterebbero di certo a creare delle strade più sicure, purtroppo questo potenziamento non rientra nelle competenze della Suva che comunque lo promuove in continuazione in occasione degli incontri e discussioni con gli altri attori coinvolti».
Fra gli altri accorgimenti: «Con il nostro lavoro di prevenzione cerchiamo di aumentare la consapevolezza del ciclista sull’importanza del casco. È dal 1994 che Suva s’impegna in tal senso e i risultati sono incoraggianti: la quota di ciclisti che portano il casco è salita dal 4 per cento iniziale al 49 per cento nel 2016. D’altronde, studi e ricerche internazionali hanno dimostrato come il casco sia in grado di ridurre sostanzialmente le ferite alla testa in caso di collisione. All’inizio della campagna di sensibilizzazione sull’utilizzo del casco, nel 10 per cento degli incidenti ciclistici la diagnosi era di danni alla testa. Oggi, con l’aumento del numero di ciclisti e del numero di incidenti, questa percentuale è scesa al 7,5 per cento e ciò significa che grazie al casco nel 2016 si sono potuti evitare 400 ferimenti gravi alla testa». Concludiamo con alcuni spunti tratti dall’opuscolo che contiene le regole d’oro di Pro Velo Svizzera: mantenere una distanza di sicurezza dal margine della carreggiata; mai circolare sulle linee bianche; tenersi ad almeno 70 cm di distanza dalle automobili parcheggiate; nel dubbio, mai sorpassare a destra; guardare sempre indietro prima di svoltare a sinistra; vedere ed essere visti; indossare correttamente il casco.
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Ambiente e Benessere
Kazakhstan: dal Tien Shan al Mar Caspio Reportage Un viaggio alla scoperta di questa repubblica dell’Asia centrale
Alessandra Focarile, testo e foto Kazakhstan: il nome evoca uno Stato lontano, fortunatamente sconosciuto per motivi di cronaca e turisticamente poco noto. La sua estensione, pari a 2,7 milioni di chilometri quadrati, lo colloca al nono posto tra i Paesi più vasti al mondo: la popolazione è di circa 18 milioni, con una densità abitativa di soli 6,6 abitanti per chilometro quadrato; è inoltre il più grande Stato del mondo a non aver accesso al mare, in quanto il Mar Caspio è considerato un lago. Ha dichiarato l’indipendenza dalla Russia nel 1991, entrando a far parte della Comunità degli Stati Indipendenti e adottando successivamente la nuova bandiera nazionale, di colore celeste, con il sole e un’aquila della steppa al centro. Tutto ha avuto inizio con la visita del padiglione del Kazakhstan a Milano in occasione di Expo 2015: un’affascinate presentazione del Paese e un filmato in 3D che ha consentito di ammirare virtualmente le sue meraviglie naturali e architettoniche sono stati il motore propulsore per l’organizzazione di questo viaggio, resa possibile grazie alla conoscenza della lingua russa. Roma-Almaty via Istanbul: 5000 km, 6 fusi orari, atterriamo quando è ancora notte. Almaty è stata capitale fino al 1997; il suo nome deriva dal kazako AlmaAta, «il padre della mela». Si è accertato, infatti, che questa regione è la patria della progenitrice di tutte le specie di mele attualmente esistenti. Seppur non più centro amministrativo del Kazakhstan, Almaty rimane sempre la città più grande e rappresenta il maggior centro economico e finanziario del Paese. Qui, al Museo Centrale di Stato, è esposta una copia dell’«Uomo d’Oro»: in occasione di una campagna kazaka di ricerca archeologica condotta alla fine degli anni Sessanta in una località ad alcune decine di chilometri dalla città, fu rinvenuto un tumulo con all’interno uno scheletro e un ricco corredo funebre, tra cui più di 4mila ornamenti realizzati con foglie d’oro, un tempo cuciti su un vestito, su calzature e su un copricapo alto 70 cm. Si ritiene che il costume appartenesse a un principe (o a una principessa secondo altre fonti) saka del V secolo a. C. Per osservare Almaty dall’alto e ammirare (nubi permettendo!) le vette dei Monti Alatau, di 4000-4600 m (con il Pik Talgar che raggiunge la ragguardevole altezza di 4979 m) che racchiudono la città a sud è possibile farlo dalla collina di Kok-Tobe, raggiungibile anche con una cabinovia. Sempre in zona, appena «fuori porta» si trova il Charyn Canyon, situato nell’omonimo Parco e considerato il «fratello minore» del Grand Canyon degli Stati Uniti. Ma si trova pure il
La Torre Bayterek di Astana. (Sul sito www.azione.ch una galleria fotografica più ampia)
recondito sito, incluso nei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, di Tanbaly. In questo museo a cielo aperto vi sono ben 5mila incisioni rupestri per lo più risalenti all’Età del Bronzo: sono raffigurati animali (tra cui l’uro, antenato degli attuali bovini e tuttora presente nello stemma del Cantone Uri), cacciatori, scene sacrificali, partorienti, danzatori e particolari divinità con la testa a forma di sole. Per raggiungere questo luogo si percorrono decine di chilometri in mezzo al «nulla»: aree completamente disabitate, immense distese in cui si vedono solo mandrie di cavalli allo stato brado e greggi di pecore al pascolo in praterie che si estendono a perdita d’occhio. A proposito: i primi cavalli furono addomesticati proprio in Kazakhstan 5500 anni or sono e solo 2000 anni dopo in Europa. La vita nomade era ed è inconcepibile senza i cavalli; in Kazakhstan viene utilizzato anche in numerosi giochi nazionali e per la caccia con l’ausilio di rapaci, tra cui l’aquila.
In questo Paese, oltre al leopardo delle nevi, gode di particolare tutela il cavallo di Przewalski (dal nome del colonnello ed esploratore russo suo scopritore a fine 1800), noto anche come pony della Mongolia. Dichiarato estinto alla fine degli anni Sessanta si è riusciti nel corso dei decenni successivi a portare positivamente a termine un programma di ripopolamento grazie agli esemplari presenti in alcuni zoo. Notevole anche l’escursione alla vicina Shymbulak, importante stazione sciistica i cui impianti consentono di raggiungere un passo a 3200 m; in tale località vi sono numerose villette «finlandesi» e una lussuosa villa completamente in legno, seminascosta da altissime conifere: appartiene al presidente kazako Nursultan Nazarbaev, il quale da 27 anni guida le sorti di questo straordinario Paese, potenzialmente ricco e che galleggia su un mare di idrocarburi. Dopo un volo interno verso ovest, raggiungiamo, sorvolando la lunga ca-
tena innevata dei Monti Alatau, la città di Shymkent, punto di partenza per visitare nei giorni successivi Taraz e Turkestan. Furono tre città carovaniere ubicate lungo la celeberrima Via della Seta. Taraz ha una travagliata storia alle spalle e vari nomi prima dell’attuale; venne per la prima volta menzionata in fonti scritte nell’anno 400, fu nei secoli successivi sotto il regno della dinastia samanide e diventò poi capitale del khanato kharakanide, raggiungendo la maggiore prosperità. Nel XIII secolo fu rasa al suolo dalle armate mongole di Gengis Khan e per la sua ricostruzione furono necessari sei secoli. Delle antiche vestigia non rimane purtroppo più nulla. Il museo storico-etnografico della città ospita anche una collezione di balbal, menhir antropomorfi databili tra il VI ed il IX secolo rinvenuti nelle steppe, lasciati in numerosi siti sacri dai primi turchi nomadi, raffiguranti i volti di famosi condottieri e guerrieri.
Prima con il nome Shavgar, poi Yasy, infine Turkestan: tra il XVI ed il XVIII secolo fu capitale del khanato kazako. Qui vale sicuramente la visita l’imponente mausoleo del grande maestro sufi Ahmed Yasawi, fatto erigere da Tamerlano alla fine del XIV secolo, oggi patrimonio dell’umanità dell’UNESCO e tuttora importante sito musulmano di pellegrinaggio. Per la sua edificazione, le maestranze persiane adottarono un insieme di innovative soluzioni architettoniche che furono utilizzate per costruire Samarcanda, capitale dell’impero timuride. Le magnifiche cupole color turchese ci hanno infatti fatto rivivere le emozionanti sensazioni del precedente viaggio in Uzbekistan. Voliamo quindi ancora più ad ovest per raggiungere Aktau, sul Mar Caspio, principale città della remota regione del Mangystau e dalla quale si estende una vastissima area desertica, con necropoli antichissime e moschee sotterranee o nella roccia, utilizzate all’epoca come eremi dagli asceti sufi. Una diramazione della Via della Seta passava anche da qui ed è una zona archeologicamente poco conosciuta, infatti la sua esplorazione ha avuto inizio solo recentemente. Ad Aktau la maggior parte delle vie non ha nome e, quando presente, non viene comunque utilizzato per indicare l’indirizzo; la città è quindi suddivisa in microdistretti e gli indirizzi assomigliano a dei numeri telefonici: ad esempio 5-39-15 sta ad indicare che 5 è il microdistretto, 39 l’edificio e 15 l’appartamento. Raggiungere la moschea nella roccia di Beket-Ata, un maestro sufi vissuto tra il XVIII ed il XIX secolo, situata a circa 300 km dalla città, è un’avventura, tanto più se si compie l’escursione in taxi in una giornata di pioggia come abbiamo fatto noi: abbandonata la strada «principale» si percorre per decine e decine di chilometri una pista sterrata in mezzo al deserto, dopodiché occorre scendere a piedi per circa un chilometro fino a raggiungere questo importante luogo di pellegrinaggio. Nei due giorni seguenti, con un fuoristrada Hummer (indispensabile anche per guadare un torrente che si era formato a causa delle forti piogge) abbiamo raggiunto il monumento naturale nazionale Sherkala, somigliante a una yurta, nonché la straordinaria moschea nella roccia di Shakpak-Ata, costruita tra il IX ed il X secolo in onore del maestro sufi che visse qui durante le invasioni nemiche curando molte persone con la magia (il malato veniva lasciato nella grotta una notte, nel corso della quale sarebbe sceso uno spirito benevolo allontanando la malattia). Tuttora le persone si recano qui con la medesima speranza di guarigione. Compiamo quindi l’ultimo volo interno in direzione nord-est per raggiungere Astana, sorta nel mezzo della steppa e capitale da circa un ventennio per volere del presidente kazako, essendo Almaty troppo a sud, in area ad elevato rischio sismico e senza particolari possibilità di espansione territoriale. Sorta come fortezza nel 1800, Astana si presenta oggi come una città dagli avveniristici grattacieli, multietnica e in rapida espansione, e nei tre mesi estivi ospita l’edizione di Expo 2017, dedicata all’energia del futuro. Il Kazakhstan è presente anche in Ticino con Timur Azimov, già campione della squadra di hockey su ghiaccio dell’Ambrì, il quale sta realizzando nel complesso immobiliare dell’ex sanatorio di Piotta una scuola accademica per giovani sportivi praticanti per lo più hockey o pattinaggio artistico.
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Ambiente e Benessere
La mobilità del futuro a quattro anelli Motori All’Audi Summit di Barcellona, presentata l’ultima generazione della A8
Mario Alberto Cucchi Dalle corse ai prototipi. Dalle ammiraglie alle utilitarie. L’innovazione tecnologica in campo automobilistico spesso segue questo percorso. Ecco perché assume un valore particolare l’evento Audi Summit di Barcellona dello scorso mese di luglio, durante il quale la Casa dei quattro anelli ha illustrato la sua visione della mobilità del futuro presentando la quarta generazione della A8. Non il semplice debutto di una nuova ammiraglia, ma l’arrivo di un’ambasciatrice della nuova mobilità. Audi A8 è sviluppata per una guida altamente automatizzata: ad oggi è equipaggiata con sistemi di guida autonoma di livello 3. In pratica cosa può fare questa ammiraglia? Su richiesta del pilota, un sistema elettronico si occupa di gestire partenza, accelerazione, sterzo e freni evitando al guidatore di dover controllare in modo continuativo l’auto sino a sessanta chilometri orari. Il tutto si attiva con la semplice pressione del tasto AI sulla consolle centrale. In conformità con le disposizioni nazionali vigenti, una volta attivato l’Audi AI Traffic Jam Pilot, il conducente può togliere le mani dal volante per un periodo prolungato. Quando il sistema raggiunge i propri limiti, richiede immediatamente al conducente di riprendere la guida.
Audi A8 è sviluppata per una guida altamente automatizzata: ad oggi è equipaggiata con sistemi di guida autonoma di livello tre
Così tecnologica che dovrebbe addirittura parcheggiarsi da sola, senza che il conducente debba trovarsi nell’abitacolo.
generali di legge chiare, un’applicazione specifica per il Paese e il collaudo del sistema. Ecco perché AI Traffic Jam Pilot non fa parte della dotazione di serie della nuova A8, ma verrà bensì introdotto in maniera graduale. Non è però finita qui.
La nuova ammiraglia può anche parcheggiare da sola senza la presenza del conducente a bordo della vettura. Tutto vero, si può fare tramite smartphone grazie alla nuova myAudi App. Per monitorare le manovre di
Ma come funziona? Un’elettronica di assistenza alla guida (zFAS) centrale calcola costantemente un’immagine dell’area intorno all’auto, combinando i dati inviati dai sensori. Oltre ai sensori radar, a una telecamera anteriore e ai sensori a ultrasuoni, Audi è la prima Casa automobilistica a utilizzare uno scanner laser. Tutta questa tecnologia funziona, ma richiede per ogni Stato condizioni
parcheggio basta tenere premuto il pulsante Audi AI, visualizzando sul display un’immagine dal vivo delle telecamere perimetrali della vettura. AI Remote Park Pilot e AI Remote Garage gestiscono autonomamente l’A8 sotto la supervisione del conducente sino a parcheggio avvenuto. Una funzione particolarmente comoda in spazi angusti. In autunno le concessionarie tedesche saranno le prime a ricevere la nuova A8 equipaggiata con i motori V6 turbo 3.0 TFSI da 340 cavalli e 3.0 TDI da 286 cavalli, cui seguiranno i propulsori 8 cilindri 4.0 TFSI da 460 cavalli e 4.0 TDI da 435 cavalli. Ci sarà anche una variante con motore 12 cilindri in grado di erogare una potenza massima di 590 cavalli. È abbinato a tutti i propulsori un sistema mild-hybrid a 48 Volt che consente di «veleggiare» a motore spento tra 55 e 160 orari per un tempo che può arrivare a 40 secondi, riattivando poi il propulsore. In questo
modo diminuiscono i consumi di carburante e le emissioni. In un futuro non troppo lontano arriverà l’A8 a passo lungo e-tron, quindi ibrida plug-in, che abbinerà un 3.0 TFSI a un motore elettrico per una potenza di sistema di 449 cavalli e con coppia di 700 NewtonMetro. A8, che viene prodotta nello stabilimento tedesco di Neckarsulm, avrà un prezzo di partenza intorno ai 100mila franchi. «Digitalizzazione, sostenibilità e urbanizzazione – ha dichiarato l’Amministratore Delegato di Audi, Rupert Stadler – sono le nostre nuove parole chiave. Audi in latino vuol dire ascolta, sia quando i clienti applaudono sia quando criticano, e noi cerchiamo di essere sempre all’avanguardia della tecnica per offrire loro il meglio della mobilità. Permettere l’autonomia del tempo, creare la 25esima ora, è il miglior modo per offrire un’esperienza di mobilità premium: semplificata, connessa e digitale». Annuncio pubblicitario
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Fare la cosa giusta
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Monwara Begum (40 anni) è fuggita dal cambiamento climatico
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Ambiente e Benessere
La versatilità dei fagiolini Pochi alimenti sono più versatili dei fagiolini. In primavera-estate si trovano freschi, nel resto dell’anno si trovano freschi importati oppure surgelati o in scatola o barattolo: e la loro caratteristica, che oggi li rende vincenti sul mercato, è che sono uno degli alimenti che reggono la surgelazione e l’inscatolamento al meglio; la differenza col fresco è minima. Vanno veramente bene con tutto. Vediamo di conoscerli meglio. I fagiolini sono una pianta erbacea appartenente alla famiglia dei legumi. È una varietà di fagiolo che si coglie allo stato immaturo, quando i semi sono ancora in embrione, e di cui si mangia anche il baccello. Detti per questo anche mangiatutto, i fagiolini possono essere curvi – e da qui il nome anche di cornetti – o dritti, più o meno esili, verdi, a volte anche gialli e violetti.
Il meglio, i fagiolini lo danno in un piatto mitico: la pasta (cotta assieme alle patate) con il pesto avvantaggiato A parte quelli, diciamo, così standard, che tutti conosciamo, esistono anche esemplari lunghi e stretti detti stringa, o metro o serpente. A volte quelli più larghi vengono chiamati taccole, ma è un termine improprio e fuorviante, le taccole sono un particolare tipo di piselli, non di fagioli: e dato che entrambi vengono mangiati col baccello, entrambi vengono chiamati mangiatutto. Nel caso di quelli freschi, per essere certi di comprare quelli da poco raccolti e ancora giovani a sufficienza, occorre verificarne il colore, che deve essere brillante, e provare a spezzarne un’estremità: deve rompersi schioccando e senza mostrare il «filo» (la spessa fibra
«dorsale» che caratterizza gli esemplari maturati troppo sulla pianta). Questi ortaggi, che possono essere conservati per qualche giorno in frigorifero, vanno puliti privandoli delle estremità, in gergo si dice spuntarli, e strofinandoli delicatamente in acqua. Tradizionalmente vengono lessati prima di essere serviti in insalata o ripassati in padella con il burro o stufati con il pomodoro o con altro. Al posto della lessatura possono anche essere cotti a vapore: così da un lato diminuisce il rischio che poi si sfaldino troppo, dall’altro non solo mantengono intatte le loro caratteristiche, ma così avremo anche un colore più vivo e un gusto più intenso. Personalmente preferisco sbollentarli, diciamo tre minuti, gettarli in acqua freddissima e poi finire la cottura in padella, diciamo cinque minuti: ma sono gusti miei, i tempi di cottura sono del tutto personali. Ma così soprattutto il colore ne resta avvantaggiato. Pur non presentando l’elevato contenuto proteico e calorico dei legumi, essendo raccolti prima di giungere a maturazione, i fagiolini hanno una discreta quantità di vitamine e sali minerali (in particolare calcio, fosforo, potassio e vitamina C); tra l’altro, hanno una lieve azione ipoglicemica. Sono versatili, ma comunque il meglio lo danno in un piatto mitico, la pasta col pesto avvantaggiato. Si fa così. Quando si cuoce una pasta si aggiungono nell’acqua di cottura, per 4 persone, circa 150 g di patate sbucciate e tagliate a fettine di mezzo centimetro di spessore e 150 g di fagiolini spuntati. Devono cuocere circa 10 minuti, quindi vanno messi prima o dopo la pasta in funzione dei tempi di cottura di quest’ultima. Alla fine si scola il tutto e si condisce col pesto. Questo trucco trasforma una pasta al pesto praticamente in un piatto unico. Ovviamente i fagiolini possono essere aggiunti nell’acqua di cottura di una pasta con tantissimi altri sughi, sia di verdure sia di pesce.
CSF (come si fa)
Pxhere
Allan Bay
Selengkapnya
Gastronomia Oltre a ben sopportare vari modi di conservazione, è un legume adatto per moltissimi piatti
Vediamo come si fanno delle straclassiche ricette italiane a base di fagiolini. Fagiolini alla genovese. Per 4 persone. Spuntate 600 g di fagiolini, lavateli e cuoceteli al vapore per 5’. Dissalate 3 acciughe sotto sale e tritate una manciata di prezzemolo con uno spicchio di aglio. In una casseruola sciogliete 3 cucchiai di olio di oliva e una noce di burro, unite il trito e le acciughe
e soffriggete per pochi minuti. Infine aggiungete i fagiolini ben scolati, regolate di sale e di pepe, mescolate e lasciateli insaporire per 5’, mescolando. Fagiolini alla panna. Per 4. Mondate 600 g di fagiolini verdi e sbollentateli in abbondante acqua bollente salata per 3’. Scolate i fagiolini e metteteli in una casseruola coprendoli a filo di panna fresca. Regolate di sale e di pepe, coprite e fate sobbollire a fuoco basso fino a che la panna si sia ridotta della metà. Servite i fagiolini cosparsi di prezzemolo tritato o di erba cipollina tagliuzzata. Fagiolini e patate con cozze. Per 4. Mondate e sciacquate 800 g di cozze, poi apritele in padella con 1 spicchio di aglio e poco vino bianco. Spegnete, lasciate intiepidire e separate i mol-
luschi dalle valve, filtrando il fondo. Mondate 300 g di fagiolini, sbollentateli per 3’. Cuocete 12 patatine novelle ben sciacquate a vapore per 20’, passatele al passaverdura e aromatizzatele con un poco del fondo delle cozze. Regolate di sale e di pepe. Mettete le patate passate nelle fondine, nappatele con i fagiolini e le cozze, condite ancora con poco fondo e pochissimo olio e servite. Fagiolini allo scalogno. Per 4. Spuntate e lavate 600 g di fagiolini, sbollentateli per 3’ in abbondante acqua salata e scolateli. In un tegame fate fondere 40 g di burro, aggiungete i fagiolini e 8 scalogni mondati e tagliati a fettine. Mescolate e fate cuocere a fuoco moderato per circa 20’. Regolate di sale e di pepe. Sono un ottimo contorno per tutte le carni grigliate e arrosto.
Ballando coi gusti Da sempre i fritti piacciono tanto e a tutti. Eccone due gustosi, farciti con Emmentaler.
Panzerotti all’Emmentaler
Ravioli fritti all’Emmentaler
Ingredienti per 4 persone: 250 g di farina · 1 uovo · 2 tuorli · burro · olio di semi di arachide · sale. Per la farcia: 100 g di Emmentaler · 100 g di prosciutto o speck · 1 uovo · 2 cucchiai di sbrinz grattugiato · sale e pepe.
Ingredienti per 6 persone: 500 g di farina · 100 g di strutto · 400 g di Emmentaler
Tagliate l’Emmentaler a dadini, tritate il prosciutto e amalgamateli in una ciotola con l’uovo, lo sbrinz, sale e pepe. Per i panzerotti, versate la farina a fontana sulla spianatoia; al centro raccogliete i 3 tuorli e una noce di burro. Impastate con le mani, aggiungendo acqua tiepida leggermente salata quanta ne occorre per ottenere un impasto morbido. Stendetelo sulla spianatoia in una sfoglia non troppo sottile. Con un tagliapasta rotondo ricavate dei dischi di circa 10 cm di diametro. Mettete un mucchietto di farcia al centro di ogni disco, spennellate i bordi con l’albume leggermente sbattuto e chiudeteli a mezzaluna, premendo lungo l’orlo per sigillarli. Friggeteli con abbondante olio bollente, scolateli con il mestolo forato non appena sono dorati e trasferiteli su carta assorbente da cucina a perdere l’unto in eccesso. Serviteli caldi.
· olio di semi di arachide · sale e pepe.
Lavorate la farina con lo strutto, un pizzico di sale e tanta acqua tiepida quanta ne occorre per ricavare un impasto liscio e sodo. Lasciatelo riposare per circa un’ora, coperto da un canovaccio. Grattugiate l’Emmentaler. Stendete la pasta in 2 sfoglie sottili. Disponete su una queste, tante palline di farcia delle dimensioni di noci, distanziandole di circa 4 cm l’una dall’altra; coprite con la seconda sfoglia, premete i bordi per sigillarli e ritagliate i ravioli della forma che preferite. Friggeteli pochi per volta in abbondante olio ben caldo, facendoli dorare su entrambi i lati. Sgocciolateli, trasferiteli su carta assorbente da cucina perché perdano l’unto in eccesso e serviteli caldi.
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Ambiente e Benessere
I vini di Albione
Bacco giramondo In Inghilterra erano prodotti ben prima dell’arrivo dei romani – Oggi molto diffusi gli spumanti
Davide Comoli Con certezza, grazie a ritrovamenti a Wollaston (Wellingborough, Regno Unito), nella valle di Nene, i vitigni di vitis vinifera erano già presenti nelle isole britanniche prima dell’arrivo delle legioni romane. La conferma di questa affermazione ci è fornita dal rinvenimento di anfore datate precedentemente alla conquista da parte di Roma. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che le tribù migratorie delle popolazioni Belgae, di origine celto-germanica, che stanziavano sul territorio, erano ben note per il consumo di vino e soprattutto di birra. Stranamente le numerose invasioni sassoni e normanne susseguitesi nei secoli, non ebbero nessun effetto negativo sulla viticoltura inglese. Alla fine del primo millennio la coltivazione della vite era gestita dagli ordini monacali, per la maggior parte francesi. Quando nel 1152 Eleonora d’Aquitania (la madre di Riccardo Cuor di Leone) sposando Enrico II divenne regina d’Inghilterra, tutta l’area a sud di Bordeaux fino al confine con la Spagna, divenne dominio inglese. In quel tempo il bere vino era uno status symbol, e molti proprietari terrieri inglesi cercarono di portare sull’isola per essere impiantati i vitigni francesi, con alterni risultati. Un brutto colpo alla viticoltura inglese arrivò nel 1348, quando l’epidemia di peste (la Morte Nera) falcidiò la parte più povera del paese e in seguito alla perdita della forza lavoro, molti vi-
gneti non poterono più essere curati regolarmente e iniziarono quindi a declinare. Ma il disastro più grande per la viticoltura di questo Paese, a parte alcune piccole eccezioni, lo si ebbe quando il controverso divorzio di Enrico VIII (1538) portò alla rottura tra la Chiesa Anglicana e Roma. Molti preti e monaci se ne andarono dalle abbazie e molti monasteri furono abbandonati, ciò comportò la fine della viticoltura a livello commerciale in Inghilterra. Uno zampino in tutto questo ce lo misero anche le condizioni climatiche, che assoggettavano l’uva all’attacco di malattie e funghi che a loro volta causarono la quasi totale scomparsa della viticoltura. Dall’inizio del XVIII alla fine del XIX sec., la coltivazione della vite sopravvisse in Inghilterra grazie all’entusiasmo di alcuni, tra i quali citiamo il Marchese di Bute a Cardiff e Charles Hamilton nel Surrey, ma i vari tentativi furono stroncati dall’arrivo della filossera alla fine del XIX sec. Fu solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, negli anni Cinquanta, che tre persone Ray Barrington Brock, Edward Hyams e George Ordish, incominciarono a domandarsi il perché della scomparsa della viticoltura in Gran Bretagna (anticamente chiamata Albione). Ray Barrington Brock fondò un centro di ricerca nel Surrey per studiare i vari vitigni, ottenendo tramite le varie università talee provenienti dall’Europa e dalle Americhe, riuscendo a gettare le basi della viticoltura in-
Vigneti nel North Downs, Dorking, Surrey in Inghilterra. (Keystone)
glese con i vitigni Müller-Thurgau e Seyval Blanc, in 25 anni raccolse più di 600 vitigni e migliorò le tecniche di vinificazione. George Ordish fu un enologo molto esperto, con un passato nella regione dello Champagne, esperto in entomologia: risolse parecchi problemi legati all’aggressione di certi insetti alle viti e a dimostrare che l’uva poteva maturare anche con il clima inglese. Mentre Edward Hyams fu autore di The Grape Vine in England e contribuì a risvegliare l’interesse per la viticoltura in Inghilterra. Nel 1954 si vendemmiò per la prima volta a Hambledon nello Hampshire, un ettaro solo di Seyval Blanc, ma grazie a questo nacque l’industria
vinicola moderna. L’anno seguente a Horam nell’est Sussex venne piantato un ettaro di Müller-Thurgau da parte di Jack Ward che sarebbe in seguito diventato il vero motore dell’industria vinicola del Regno Unito. Oggi in Gran Bretagna ci sono poco più di mille ettari vitati (come il canton Ticino). Benché il Paese abbia meno di mille ore di sole e sia considerato come un luogo un po’ troppo freddo per la produzione vitivinicola, i rigori del clima sono attenuati dalle calde acque della corrente del Golfo. In base a questi dati è importante coltivare vitigni dalla maturazione precoce e resistenti alle malattie, su parcelle situate a sud per proteggerle dai venti
e dalle gelate primaverili. Le migliori parcelle sono quelle situate su un dislivello inferiore ai 100 m. Anche se poi tutte queste componenti saranno ottimali, le vendemmie abitualmente non avverranno prima della fine di ottobre o all’inizio di novembre. I vitigni principali sono i bianchi Müller-Thurgau dai profumi floreali, il Reichensteiner e il Seyval Blanc, un ibrido che ben si è adattato al clima inglese. È in aumento la produzione di vini prodotti con vendemmie tardive, varietà come Huxelrebe, Ortega e Optima, che hanno un alto livello di acidità naturale e sono soggetti alla muffa nobile, possono dare vini di intensa dolcezza e molto equilibrati. L’aspetto che più sorprende dell’industria vinicola inglese, sta nella produzione di vini spumanti con metodo classico. Il venti per cento della produzione del Regno Unito è di questo genere. I terreni calcarei dell’Inghilterra meridionale e il micro-clima secco, creano condizioni ideali per questo vino da rifermentare in bottiglia. Molti ettari di vigneto nel South Downs sono stati impiantati con diversi cloni di Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier, i classici vitigni dello Champagne. Le aziende vinicole stanno aprendo le porte ai visitatori, ed è aumentata la collaborazione con le associazioni enogastronomiche e le varie scuole di degustazione. Questi esempi sono un segno di crescente interesse da parte del Regno Unito per il mondo vitivinicolo e di tutto ciò che è a questo mondo legato. Annuncio pubblicitario
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6 Maria Grazia Buletti Aveva già fatto notizia, circa sette anni fa, un’altra perdita di rilievo. Accadde durante la tappa di qualificazione di Verona della Rolex FEI World Cup: una gara ippica di salto a ostacoli che vide soccombere al suolo Hickstead, il cavallo di Eric Lamaze, medaglia d’oro olimpica nel 2008, allora numero uno al mondo della disciplina. «La perdita di ogni cavallo, ma specialmente di uno con il carattere e la storia di Hickstead, è sempre uno shock per tutti, ma il nostro pensiero va al difficilissimo momento di Eric Lamaze (ndr: per l’appunto, il suo cavaliere e compagno di cotanti allori sportivi)», così dichiarò il direttore del servizio veterinario della manifestazione ippica subito dopo la morte del valoroso cavallo, dalla cui autopsia risultò «una catastrofica rottura dell’aorta (ndr: il nostro più grande vaso sanguigno) con immediato infarto cardiaco»: il destino e, soprattutto, un evento tanto nefasto quanto imprevedibile. Si è ripetuto a fine luglio, al Concorso di salto internazionale di Ascona, quando è stata la volta di Rock’n’Roll, un cavallo di 18 anni montato dall’amazzone Corina Sorg (con cui formava un binomio di successo da parecchio tempo). Rock’n’Roll si è accasciato improvvisamente al suolo, rimanendo esamine. Anche questa volta si può desumere si sia trattato di un infarto. In entrambi i casi si trattava di cavalli sani, da considerare a tutti gli effetti dei veri e propri atleti, dunque allenati e avvezzi agli sforzi che le competizioni ippiche richiedono al cavallo come pure al cavaliere o all’a-
Giochi Cruciverba Il Tasso del Miele è molto coraggioso! Risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate, scoprirai qualcosa di incredibile! (Frase: 2, 2, 8, 7, 5, 1, 5)
mazzone che vanno a formare il binomio gareggiante. «Una relazione assolutamente equilibrata, quella del cavaliere con il proprio cavallo, che vede quest’ultimo darsi da fare con un’immensa forza di volontà e passione: mi commuove quest’attitudine alla disponibilità del cavallo verso l’essere umano, che a sua volta, non dimentichiamolo, domesticandolo lo ha pur sempre salvato sottraendolo al suo destino legato al fatto di essere, in natura, un animale con poche risorse per difendersi dai predatori», spiegava a chi scrive il veterinario in capo dell’équipe veterinaria Pierre Alain Glatt durante il Concorso ippico internazionale di Ginevra del 2014. Certo è che questi fatti di cronaca – ancorché rarissimi se considerata la quantità di partenze in gara per anno (si parla di milioni) – proprio perché accadono sotto i riflettori, danno adito a una marea di pensieri, insinuazioni, dubbi e domande a cui abbiamo cercato di dare ordine con una chiacchierata avuta con il veterinario Stefano D’Albena, che ci ha accolti con qualche chiara precisazione: «Per prima cosa, dobbiamo ammettere che nessun cavaliere vorrebbe veder morire il proprio cavallo, né in gara né mai, ma la vita e le sue imponderabilità ci mettono talvolta dinanzi a fatti inimmaginabili, che però bisogna affrontare senza giudizio e pregiudizio». D’Albena ricorda che il cavallo è a tutti gli effetti un partner sportivo dell’uomo e che i cavalli atleti sono assolutamente curati, sani e sottoposti a continue visite di controllo e verifiche veterinarie: «Anche alla vigilia di ogni manifestazione ippica importante, è
praggiungere anche così, senza sintomi 6 senza avvisare. Solo che in e soprattutto questi casi i riflettori della gara amplificano il fatto oltre ogni limite e spesso ci si chiede se non fosse stato il caso di mettere in pensione il cavallo invece di continuare a farlo gareggiare a 18 anni. D’Albena è chiaro anche su questo: «È il cavallo a mostrarci quando è arrivato il momento di rallentare (ndr: Rock’n’Roll già partecipava solo a qualche gara amatoriale rispetto a quelle impegnative internazionali che lo avevano visto vincente da giovane), ma attenzione: un cavallo che non fa più l’attività sportiva a cui è avvezzo può sentirsi abbandonato, perde muscolatura, non è più brillante e si lascia andare». L’amore del cavaliere che ben conosce il proprio cavallo saprà valutare tempi e misura dell’attività dell’animale affinché questo non succeda. «E poi, premesso che la morte fa parte della vita e prima o poi sopraggiunge per chiunque, d’obbligo la visita veterinaria dell’ani- la loro attitudine (dunque contenti di proviamo a pensare a come muoiono male che, se presenta sintomi di qual- gareggiare assieme all’uomo) e nascono certi cavalli che subiscono una colica: siasi genere, sarà sottoposto a ulteriori con le qualità che dimostrano in gara, devono essere trasportati in clinica in approfondimenti ed eventualmente ri- sotto la guida del cavaliere o dell’amaz- condizioni criticissime, sotto morfina, tirato dalla competizione». Ciò significa zone che comunque deve fare la sua par- magari operati e, dopo qualche giorno 1 risul- di sofferenze necessarie 3 7 per5provare a che, in questi casi, quanto accaduto ai te nel condurre l’animale al buon due cavalli non era prevedibile nemme- tato». Ciò significa che nessun cavaliere salvargli la vita, può essere che bisogna no a livello veterinario: «Come per gli maltratterebbe proprio -cavallo o gli Giochi peril“Azione” Luglio 7 BIS 52017praticare un’eutanasia1 a causa del soesseri umani (pensiamo ad esempio a infliggerebbe coscientemente una morte praggiungere di una setticemia che non Stefania Sargentini quei giovani calciatori che soccombono indecorosa, come puntualizza D’Albe- lascia scampo. Questi cavalli, che non 6 8 (N. 29 - ... Tisana di galega e nocchio) in campo), il cuore può risultare sano e na: «Uno che ha un cavallo e lo porta in sono sotto gli occhi di tutti, non fanno 1 2 3 4 5 6 7 asintomatico alla visita, ma poi può 8ca- Sgara T investe I A parecchio S A tempo, P O denaro N I e discutere, ma la loro morte è certamenassolutamente impre- affetto nella relazione con il suo2partner te più dolorosa di quella che, né più né 9 pitare un infarto 10 Asportivo I A e nonDauspica A R certo I O G vedibile». 12 un epilogo meno rispetto a quanto accade nel mon11 13 N però T O G sepL Anche il dottor Glatt ci aveva con- RdelAgenere,LcheEpuò succedere do 4 3delle7persone, 5 può sopraggiungere in 14 15 16 fermato la cura nella scelta dei cavalli ApurRdavvero rarissimamente». seguito a un infarto improvviso mentre G E N T O F I O 17 impiegati a livelli sportivi18agonistici così Due eventi rarissimi, dunque, e stanno facendo qualcosa che amano fare 3N O N O7 4 8 A R A T O alti: «Sono soggetti selezionati secondo imprevedibili perché la morte può so- insieme al loro amico umano». 19 20 21 C A C E H 22 23 24 1 2 9 L O I R A O 25 26 A T E I S M O 27 28 6 4 8 N O L O R D SUDOKU PER AZIONE - LUGLIO BIS 2017 4 (N. 30 - Se toccata, le sue foglie si ritraggono) N. 25 FACILE Schema Soluzione 2 3 4 1 2 3 5 4 56 6 S E T T O R E 9 2 7 3 5 7 8 4 6 9 8 2 7 1 3 5 C R I C A T Soluzione: 8 8 3 4 2 9 10 5 38 7 6 1 3 4 2 9 O A L E S 5 A Scoprire i 3 3 9 8 11 1 2 3 4 9 5 8 7 6 numeri corretti T S O A P 10 12 13 14 15 16 4 da 7 2 4 14 5 7 6 9 8 23 A inserire U L nelle E5 A F O8 N I A caselle colorate. 17 18 1 9 7 6 3 5 1 8 9 2 4 7 G L I S T E S I R 12 9 1 19 20 21 7I A 9 2 4 5 7 9 8 2 3 4 6 6 5 1 T O R R E A D 22 23 3 1 4 2 6 3 1 4 9 5 2 7 6 8 L G O L I A G N U 17 7 8 1 24 25 6 N E O 3 O N D A 9 5 6 7 4 8 3 1 2 I D O
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N. 27 DIFFICILE
Giochi per “Azione” - Agosto 2017 Sargentini Vinci una delle 3 carte regaloStefania da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku
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2. Prodi 3. Passano mormorando 4. In lista sono pari 5. Il noto Mandela 6. Isola delle Piccole Antille 1 inglese 2 3 8. Furfante 12. Ventilare 13. Scarso, 9 misero 10 14. Un satellite di Uranio 15. Le iniziali dell’attore Cruise 16. Sigla12 di un esame a raggi x 13 17. Cataste di legna per condannati 19. Piccolo gruppo 15 22. Offerta Pubblica di Sottoscrizione 23. È caldo 17 a Londra 18 25. Di nove... vocali 27. Pronome personale
N.28 S GENI E R
M A T 8 6 19 (N. 31 - ... Un ottimo deodorante naturale) A R N. 26 MEDIO C 23 P U N2 T I D G I 3 8 I D E A M O 27 6 D1 E S V I I R D EE9 NOS O T8 29 T5 O R O N T 2 O O LT OE 10
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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(N. 33 - Se in pericolo attacca anche i leoni)
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ORIZZONTALI 1. Coscienziosi, diligenti 5. Le iniziali di Paganini 7. Regione dell’Africa orientale 9. Preposizione articolata 10. Arresta senza manette... 11. 101 romani 12. Una carta da gioco 13. Può sostituire il 12 orizzontale a ramino 17. Famoso Bill dei fumetti 18. La madre delle imbarcazioni 19. Isola all’imbocco del golfo di Aqaba 20. Una consonante 21. Recinto per bestiame in Texas 24. Se si pesca, si mette al fresco... 26. Il noto della Vigna 27. Un articolo 28. Unto 29. Ente Nazionale Italiano per il Turismo VERTICALI 1. Arida, asciutta
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Errata corrige 22
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E R I C O I C I T A P 2 8 87 A T I 1 4 O T4 T E C O R R 4 6 9 Z A R T 3 T 7 3 I O P I E O7 R A 2 8 OP 1ESR O 5 7 N A T O
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I T R A A S E C 2 3 6 R A 2 79 5 A L 5 2 3 5 8 6 1 R 4 1 9 3 4 N 8 E 6
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I P U R I 3 6 3 6 9 8 2 1 4 5 7 C A R D I N I 8 7 5 8 2 7 5 4 3 1 6 9 Soluzione della settimana precedente I Ldove E O A E Tra coniugi: «Cara sono i 1000 euro che erano nel 9 8 2 4 5 cassetto?» 1 7 –6 «INVESTITI!» 9 3 8 2 Risposta risultante del marito: «CARA SONO UNA O DUE PAROLE?». N. 27 DIFFICILE
Per undammi errore, di cui ciiscusiamo (N. 34 - “Allora svelto miei soldi!”)
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I premi, cinque carte regalo Migros del valore sor22 di 50 franchi, saranno 23 teggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta 24 25 entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. 26
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cruciverba 32 era risol(N.vivamente, 32 - “Cara ilsono una o due parole?) vibile solo nella versione online. 1 2 3 4 5 6 7 8
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Vincitori del27concorso Sudoku28 su «Azione 30 19 29 31», del 31.7.2017 G. Frei, F. Dafond
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Partecipazione online: inserire la
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
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1A M 7 O S 2
8 1 4 6 9 3 7 5 2 5R I N A AR5E CN LO S3LAF71 RA A A N G O A E O R 9 7 5 8 4 2 1 3 6 2 3 6 7 5 1 8 9 4 S6I L ION OL AAT8 A P OU ANI OS V O N N S 5 2 8 9 1 6 3 4 7 D U N E N O M E A 4 E 3A7 5 R I N V 1I 4 9 3 L7 5O2 6T 8 P I C E F A L O 3 6 7 4 2 8 9 1 5 7 4 8 R A M O A N A R A T R O D I 4 5 R 3 1 A8 7M6 2I 9 1 2 9 P E G A M E I R A 7 9 1 2 6 4 5 8 3 8N O I R P M U6 S4 E T R A M A L 6 8 I2 5C 3 9 I 4 7A 1 P A L A T O 4M A R E E N.28 GENI U3 daTnome,Acognome, Mè possibile I luzione,I5corredata 2 7 un5 pagamento 1 3 6 in9 contanti 8 4 indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti 3 8 6 7 9 4 1 2 7 4 2 A R Eper iscritto. D Il nome dei vincitori5 sarà essereC speditaI a «Redazione Azione, 9 1 su4«Azione». 8 5 Partecipazione 2 3 6 7 9 1 Concorsi, C.P. 6315, 69016 Lugano». pubblicato Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente 8 9 che 5 1 I7 N 8 S O L 1I 2 7 4 6 3a lettori concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Politica e Economia Caos in Venezuela Il regime di Maduro potrebbe avere i giorni contati dopo l’elezione dell’Assemblea costituente
Il mondo che verrà: 5. parte Le nuove tecnologie trasformano il paesaggio urbano così come lo abbiamo conosciuto da decenni e il modello che veniva dall’America, l’America oggi lo sta cambiando. Anche qui in Europa
Il mito della solidarietà latina Per essere eletto in Consiglio federale, Ignazio Cassis non potrà contare sull’appoggio dei romandi, ma solo sugli svizzeri tedeschi pagina 20
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Emmanuel Macron (centro) osserva la stretta di mano fra il premier libico Fayez al-Sarraj (sinistra) e il generale Khalifa Haftar. (AFP)
Potenze in gara per il petrolio
Il dopo Gheddafi L’affaccendarsi attorno alla Libia ricorda le schermaglie diplomatiche del Dopoguerra,
quando si discuteva del destino delle ex colonie italiane e l’Unione Sovietica chiedeva l’amministrazione fiduciaria della Tripolitania Alfredo Venturi Secondo Ghassam Salamé, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, non è realistico ignorare il generale Khalifa Haftar. A capo di un’agguerrita milizia, Haftar è padrone della Cirenaica, controlla importanti posizioni in Tripolitania e gode di autorevoli agganci internazionali. Questo ambizioso ufficiale, che fu avversario di Gheddafi e lungamente esule negli Stati Uniti, non ha esitato a definire Fayez al-Serraj, capo del consiglio presidenziale libico nato nel 2015 con l’accordo di pace mediato dall’Onu, niente altro che un fanfarone. Lo ha detto dopo averlo incontrato a Parigi, e dopo avergli stretto la mano sotto lo sguardo compiaciuto del presidente Emmanuel Macron, regista della spregiudicata manovra diplomatica. Qualche giorno più tardi Fathi al-Majbari, uno dei quattro vice di al-Serraj, ha avuto parole durissime sull’accordo che quest’ultimo ha stretto con il governo di Roma, a proposito di una collaborazione con la guardia costiera libica che non esclude la presenza della marina italiana in quelle acque territo-
riali. «Violazione della nostra sovranità nazionale», tuona al-Majbari. A Roma si minimizza, parlando di polemiche interne che non ostacolano una missione pensata per combattere il traffico di esseri umani aiutando la Libia a contenere le partenze. Forte del supporto di Salamé, sia pure accompagnato dall’invito a non trascurare il signore della guerra di Tobruk, l’Italia continua a puntare sull’Onu. Mentre fosche nubi si addensano sulla prospettiva di respingere i migranti verso un Paese non certo in prima linea nella difesa dei diritti umani, dove si arriva a sparare contro le navi delle organizzazioni umanitarie, preoccupa che una politica così carica di insidie poggi su un governo debole come quello di alSerraj. Preoccupano anche le iniziative scoordinate di Italia e Francia, Paesi ufficialmente amici che nell’appartenenza all’Unione Europea dovrebbero trovare le basi per una politica unitaria su temi come le migrazioni e l’approccio al problema Libia. Il fatto è che sul caos aperto dalla caduta di Gheddafi si è scatenata una sorta di gara internazionale. Con una classica motivazione di fondo: il petro-
lio, l’immensa ricchezza che giace nel sottosuolo libico e che soltanto in parte le attuali convulsioni politiche e militari permettono di portare sui mercati. Non ignorare Haftar, consiglia l’inviato Onu. Di fatto sono in pochi a ignorarlo, la sua posizione di forza in Cirenaica e nel resto della Libia non lo condanna certo alla solitudine di alSerraj, che ha soltanto Roma come capitale amica. Il generale è appoggiato apertamente dall’Egitto di al-Sisi, dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Russia, sottotraccia dalla Francia, indirettamente dagli Stati Uniti che ne valutano positivamente il potenziale anti-jihadista. Secondo fonti algerine il presidente russo Vladimir Putin gli assicura forniture di mezzi blindati e apparati di sorveglianza elettronica, ottenendone in cambio l’accesso a basi navali e aeree. La Russia allarga così la sua presenza nel Mediterraneo dopo la posizione che già si è garantita in Siria. Questo attivismo di Mosca nell’area non è certo nuovo. Negli anni del primissimo Dopoguerra, quando si dibatteva sul destino delle colonie italiane, quella stessa Unione Sovietica che aveva sempre condannato ogni velleità
coloniale chiese che le si affidasse l’amministrazione fiduciaria di due fra i territori in discussione, la Tripolitania e l’Eritrea. Si parlò addirittura di baratto Trieste-Tripoli: pur di insediarsi in Libia, Mosca era disposta a premere sulla Jugoslavia per frenarne le mire sulla città adriatica. L’amministrazione fiduciaria, o trusteeship, è la versione Onu del vecchio mandato della Società delle Nazioni. Prevede la presa in carico di un territorio, sotto supervisione internazionale, con lo scopo di pilotarlo verso l’indipendenza entro un termine concordato. Ovviamente Mosca contava di approfittare del periodo di gestione per stabilizzarsi nella regione riproponendo una storica tendenza russa, la proiezione verso i «mari caldi». Le cose finiranno diversamente: dopo il fallimento di un’ipotesi di spartizione (Tripolitania indipendente dopo una fase di trusteeship italiana, Cirenaica e Fezzan affidati rispettivamente alla Gran Bretagna e alla Francia), fu scelta l’indipendenza per l’intera Libia, mentre l’Eritrea veniva annessa all’Etiopia con statuto di autonomia e la Somalia avviata alla condizione di Stato sovrano
dopo un decennio di amministrazione fiduciaria italiana. Le politiche di allora rispondevano a considerazioni di prestigio e di posizionamento strategico, le attuali mettono in campo il ruolo dirompente del petrolio, di fronte al quale valori come l’amicizia franco-italiana e la solidarietà europea si affievoliscono vistosamente. Sono visibili in controluce, alle spalle dei molti attori che si agitano sulla scena libica cercando di districarsi fra una miriade di tribù litigiose e oltre duecento milizie armate, le grandi compagnie in competizione attorno ai giacimenti. Sono in lizza l’italiana ENI, la francese Total, la britannica BP, l’anglo-olandese Shell, mentre la russa Gazprom scalpita per partecipare al banchetto, puntando le sue carte sulla politica imperiale di Putin. Quanto all’Italia, la sua posizione è resa precaria da due elementi: l’ingombrante passato coloniale che rende delicatissima ogni mossa, la massiccia ondata di varia umanità che dai porti della Libia salpa verso le sue coste nella sostanziale indifferenza del resto d’Europa. Perché i migranti, questa l’amara verità, contano assai meno del petrolio.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Politica e Economia
Giorni caldi in Venezuela
Crisi I recenti scontri sono avvenuti appena una settimana dopo l’elezione dei componenti dell’Assemblea costituente
voluta da Maduro, il cui obiettivo è riscrivere la costituzione e impedire la sua sconfitta alle prossime elezioni Angela Nocioni Si avvita in una spirale di violenza la crisi venezuelana, sempre più vicina alla guerra civile. Il regime ha deciso di continuare a marciare dritto, ignorando le proteste interne al chavismo, reprimendo le proteste in strada e continuando a far arrestare i suoi oppositori. Come spiraglio, forse come segnale di flebile disponibilità a trattare prima di finire schiantato politicamente contro un muro, il presidente Maduro ha consentito di rimandare ai domiciliari, liberandolo dal carcere di Ramo verde (dove è rinchiusa la maggior parte dei detenuti politici) l’oppositore Antonio Ledezma. E ha rinunciato a prove di forza simboliche come sarebbe stato lo sfratto del Parlamento (controllato dall’opposizione) dal Congresso per installare lì al suo posto l’Assemblea costituente disegnata a immagine e somiglianza del regime. Quest’ultima lavorerà nella sede del Ministero egli esteri e in due teatri. Nel pieno del caos istituzionale l’esistenza di due parlamenti nemici e paralleli non aiuta, ma almeno si è evitata l’occasione di nuovi scontri armati che avrebbe offerto uno sfratto forzoso. Per il resto il presidente venezuelano, ostaggio politicamente di militari e personaggi vari inseriti nel sistema di regime che rischiano la galera per reati soprattutto di contrabbando e riciclaggio internazionale qualora il governo cada e per questo preferiscono vedere il Paese affondare piuttosto che cedere il comando, ignora qualsiasi possibilità di mediazione politica. Nonostante tutto il mondo – a parte i governi di Cuba, Nicaragua e pochi altri – gli abbiano chiesto di far marcia indietro su una Assembla costituente del tutto illegittima e illegale, l’ha fatta insediare. L’Assemblea è stata convocata per decreto, quando la Costituzione vigente (che è quella chavista, voluta da Hugo Chavez nel 1999 e votata dal popolo venezuelano, per questo molti chavisti sono furiosi con Maduro che la vuole cancellare) prevede che possa essere convocata solo dopo un referendum popolare che approvi l’elezione di un’assemblea con l’esplicito compito di ridisegnare la Costituzione. Per di più l’azienda informati-
ca che dal 2004 lavora con il governo e che anche questa volta si è occupata del conteggio dei voti elettronici, la società Smartmatic, ha denunciato frodi nel voto al quale Maduro sostiene di aver avuto otto milioni di voti a favore della riforma. Una mano esterna ha inventato un milione di voti che non esistono, ha fatto sapere la Smartmatic. Quell’Assemblea, secondo le dichiarazioni dei principali leader del governo tra cui il numero due del chavismo, Diosdado Cabello, dovrebbe occuparsi di portare a termine l’operazione di dissolvimento del Parlamento legittimamente eletto dove l’opposizione è maggioranza. Una minima resistenza al regime nelle istituzioni rimane in alcuni rappresentanti della magistratura. Ma i principali magistrati antichavisti, conosciuti come tali, nel timore di finire arrestati, stanno chiedendo asilo in queste ore nelle sedi diplomatiche di paesi esteri. Maduro continua ad aggrapparsi all’appoggio di chi ha grossi investimenti in Venezuela, innanzitutto Russia e Cina, che certo non si possono permettere grosse alzate di sopracciglio sulla limpidezza dei processi democratici a casa d’altri. Ignorato anche il comunicato della Santa sede a rinunciare ad instaurare l’Assemblea, comunicato arrivato tardissimo, quando ormai i deputati erano pronti a votare: «La Santa Sede esprime nuovamente la sua profonda preoccupazione per la radicalizzazione e l’aggravamento della crisi nella Repubblica Bolivariana del Venezuela, con l’aumento dei morti, dei feriti e dei detenuti». E questo è quanto chiedeva la Segreteria di Stato, cioè il capo della diplomazia vaticana, Parolin, che in Venezuela è stato a lungo nunzio apostolico: «La Santa Sede chiede a tutti gli attori politici, ed in particolare al Governo, che venga assicurato il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché della vigente Costituzione; si evitino o si sospendano le iniziative in corso come la nuova Costituente che, anziché favorire la riconciliazione e la pace, fomentano un clima di tensione e di scontro e ipotecano il futuro; si creino le condizioni per una soluzione negoziata in linea
con le indicazioni espresse nella lettera della Segreteria di Stato tenendo presenti le gravi sofferenze del popolo per le difficoltà a procurarsi il cibo e le medicine, e per la mancanza di sicurezza». «La Santa Sede rivolge, infine, un accorato appello all’intera società affinché venga scongiurata ogni forma di violenza, invitando, in particolare, le Forze di sicurezza ad astenersi dall’uso eccessivo e sproporzionato della forza» raccomandava il Vaticano. Inascoltato. Intanto all’alba di domenica 5 agosto un tentativo di rivolta militare, limitato alla sola città di Valencia, è stato stroncato sul nascere dalle forze armate «bolivariane», e molti civili sono scesi in strada formando barricate e sassaiole contro i blindati dell’esercito. Non è una bella notizia per Maduro. Valencia è il terzo polo urbano del Paese, ha due milioni di abitanti. Se una insurrezione in armi di una ventina di ufficiali al seguito di un capitano antichavista ritirato viene accolta con giubilo dalla popolazione civile, vuol dire per il presidente, già assediato dalla guerra per bande dentro al governo, che la sua fine politica potrebbe non essere lontana. Gli scontri sono durati poche ore, si sono conclusi con due morti e una decina di arresti tra i militari che, guidati dall’ex capitano della Guardia naziona-
Paso doble Fermina Lázara vive in un parco pubblico della Florida di Fidel Castro e il suo gruppo di rivoluzionari barbudos all’Avana, suo padre, il dittatore Batista, riuscì a trasferire negli States grandi ricchezze. Non si è mai calcolato con esattezza il valore di quanto portò via da Cuba, ma poiché era sostanzialmente il padrone dell’isola si è sempre sospettato si trattasse di moltissimo denaro. L’ascesa al potere di Batista cominciò nel 1933, quando era un semplice sergente dattilografo. Dopo lo sciopero generale a Cuba che annunciava la caduta del tiranno Gerardo Machado, l’ambasciatore nordamericano all’Avana, Sommer Welles, che di fatto controllava l’isola, chiese a Machado di cedere il potere a una figura neutrale. Il 12 agosto Machado fuggì, dopo aver saputo che numerosi nuclei delle forze armate chiedevano un cambiamento nel governo e stavano preparando una sollevazione generale. Venne instaurato un nuovo governo presieduto
Nel 1949 creò il Partito di azione progressista, nel quale si riunirono diversi elementi reazionari dell’epoca. L’ambasciatore nordamericano diede il suo beneplacito, ma nonostante ciò il partitino non riusciva a farsi largo nell’isola. Fu così che il 10 marzo del 1952 Batista prese il potere con un colpo di Stato. Annullò la Costituzione e mezzo secolo repubblicano venne cancellato. La bancarotta politica e la crisi della struttura economica produssero una situazione di povertà dilagante nella popolazione. In questo contesto maturò la sollevazione dei barbudos che, guidati dal giovane avvocato Fidel Castro, sconfissero l’esercito di Batista fino ad entrare trionfanti tra due ali di popolo all’Avana nel Capodanno del 1959. Quel giorno Batista era già comodamente installato a New York con la famiglia. Morì nel 1973. Lasciò nel suo testamento a Fermina varie proprietà e più di un milione di dollari. Con quei soldi lei comprò una casa a Coral Ridge e un appartamento a Galt Ocean Mile, due strade lussuose di Fort Lauderdale. Poi adottò Ana. Qualche tempo dopo qualcosa si ruppe e la vita della donna cominciò ad andare a rotoli. Iniziò ad accumulare debiti, molti debiti. Bruciò varie carte di credito. Dovette ipotecare le proprietà. Prima l’una, poi l’altra. Infine tutte. Rimase a vivere in un ap-
partamento di Fort Lauderdale, ma non riusciva nemmeno a pagare le bollette. Intervenne la Prefettura. «Ma come mai? Cosa successe?» chiede la tv. «Ho fatto investimenti azionari sbagliati e forse sono stata spendacciona, non ero abituata a guardare i prezzi delle cose. Ho sempre speso molto» dice lei. Si ipotizza una truffa di mediatori nel mercato azionario a suo danno. Fatto sta che è finita sotto sfratto. Insieme alla figlia da due anni vive per strada. Prima di sistemarsi nel parco ha dormito in automobile, poi in «un hotelito de mala muerte» dice lei e qualche tempo alla fermata dell’autobus. «Impari molto dalla strada – racconta – per me è stato come se Dio volesse insegnarmi qualcosa. La prossima volta non accadrà. La lezione è dura, ma s’impara». /AN
Oppositori protestano contro la nuova Assemblea costituente a Caracas. (AFP)
Una senzatetto la figlia di Fulgencio Batista Si chiama Fermina Lázara Estévez. Ha ottantadue anni. È la figlia dell’ex dittatore cubano Fulgencio Batista. In teoria dovrebbe essere una delle donne più ricche d’America, considerate le ingenti fortune trafugate dal padre dall’isola dopo il trionfo della Rivoluzione cubana il primo gennaio del 1959 e dai lei ereditate. Da due anni è invece in condizioni di miseria e sta vivendo con la figlia Ana in un parco pubblico della città di Fort Lauderdale, in Florida. L’ha conosciuta una giornalista delle Tv Local 10 che è andata a Strahanan Park con una troupe ad intervistarla. «Come sono finita qui? Ah, è una lunghissima storia» racconta Fermina. «Sempre ho avuto quella che si chiamerebbe una vita perfetta, molto fortunata. Sicuramente molto agiata, ho ereditato ben più di un milione di dollari. Per questo vivere qui adesso per me è proprio strano». Scappato da Cuba prima dell’arrivo
le, Juan Caguaripano, avevano tentato senza successo di prendere il controllo del forte di Paramacay, la più importante base di blindati del Paese. L’ex capitano Caguaripano è stato espulso dall’esercito nel 2014. Da allora è latitante con l’accusa di tradimento e ribellione per aver partecipato sia al movimento d’opposizione La salida (la via d’uscita), che tempo fa tentò invano di dare la spallata al regime, sia a un tentato golpe, dallo stesso esito, conosciuto come il Golpe azul, il golpe azzurro, per il colore della divisa dei pochi militari che vi parteciparono, tutti al comando di Oswaldo Hernández Sánchez, generale di brigata dell’aviazione. Nelle prime ore del mattino del 5 agosto, mentre si sentivano spari provenire dal forte di Valencia, si è temuto un autogolpe. Niente di più utile per il regime, per giustificare di fronte alla pressione internazionale un ulteriore restringimento delle già esili libertà democratiche, che poter sbandierare un (finto) tentativo di colpo di Stato. Questa ipotesi ha perso quota con la diffusione di un video, fatto circolare durante l’assalto, in cui l’ex capitano, circondato da ufficiali, spiega i suoi intenti e sottolinea che «non si tratta di un golpe, ma di una ribellione civico-militare per porre fine al regime di Maduro».
Al di là dei toni da operetta, del numero esiguo dei partecipanti alla maldestra operazione e della goffa imitazione da parte del capitano del discorso con cui nel 1992 l’allora tenente colonnello Hugo Chàvez si presentò con un video ai venezuelani come il loro possibile salvatore rivendicando di essere il responsabile di un fallito golpe (il famoso discorso del «Por ahora» desistiamo, che fu il debutto mediatico del futuro presiente) il semplice fatto che un gruppo di militari anti-Maduro tenti di prendere la situazione in mano e venga seguito da una sollevazione di civili è segno che il regime non ha solo amici dentro le Forze armate. Maduro lo sa ed è per questo che in strada a reprimere le manifestazioni contro di lui manda sempre la polizia, mai l’esercito. Non a caso l’opposizione – che non ha una guida politica unitaria e nonostante sia formalmente raccolta in un unico tavolo, il Mud, resta un condominio litigioso in cui ogni dirigente parla per sé senza riuscire a rappresentare una maggioranza interna – ogni volta che riesce a stendere un comunicato, ogni volta che esorta alla resistenza contro Maduro, rivolge un appello alle forze armate, e non alla polizia, affinché si schierino apertamente contro il regime. Finora senza successo. Oggi un dollaro vale 20’000 bolìvares venezuelani, il doppio di quindici giorni fa. Gli stipendi sono in bolìvares, quindi il loro valore reale si è dimezzato in due settimane. Ciò costringe Maduro o all’uso della forza e quindi al suicidio politico o alla mediazione. L’economia che sprofonda, la miseria che avanza e presto porterà tutti in strada a protestare non per l’assenza di libertà ma per la fame: sono questi gli unici problemi irrisolvibili per Maduro. Che poi sono l’eterno problema di tutti i paesi socialisti: il socialismo prevede un modello economico che non crea ricchezza e non funziona. Finché esiste l’abbondanza di riserve di denaro fresco, si può evitare di affrontarlo. Quando finiscono, cominica a suonare un’altra musica. Il popolo, il famoso popolo tanto osannato dalla retorica di governo, si rivolta verso il regime. E prima ancora di chiedere libertà, chiede pane.
da Carlos Manuel de Céspedes che durò solamente 23 giorni. Ufficiali e soldati dell’esercito erano tornati a cospirare: era il complotto dei sergenti. Il governo provvisorio venne annullato e cominciò a farsi strada il sergente dattilografo che in quattro mesi diventò capo di stato maggiore dell’esercito. Batista si preparò alla presidenza della Repubblica con le elezioni del 1940, appoggiato da una coalizione di vari partiti politici. Il suo governo era schiacciato sugli interessi dei soli grandi imprenditori e proprietari terrieri. L’arricchimento senza scrupoli del presidente e la sua relazione con le antiche forze antipopolari dell’esercito minarono la sua autorità di fronte alla popolazione. Batista si presentò nuovamente come candidato nelle elezioni del ’44, perse e si rifugiò negli Stati uniti dove rimase per quattro anni.
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Politica e Economia
Stili di vita: è rivoluzione
Il mondo che verrà – 5. parte Come le nuove tecnologie trasformano il paesaggio urbano: da Amazon
che fa fallire gli shopping mall a Uber che sconvolge la civiltà dell’automobile. Ma pochi se ne accorgono (in Europa)
Federico Rampini Le nuove tecnologie trasformano il paesaggio urbano. Le mappe geografiche della nostra vita quotidiana vengono ridisegnate dai Padroni della Rete. Non tutti se ne accorgono così velocemente, perché il cambiamento è diseguale. In America è già in corso. Dalla Quinta Strada di Manhattan fino alla provincia profonda del Minnesota, il paesaggio degli Stati Uniti è sconvolto da una rivoluzione silenziosa. Un’ecatombe di negozi, grandi magazzini, centri commerciali, decimati dall’avanzata inesorabile del commercio online. La crisi è profonda e non ha solo una dimensione economica: investe un business che è anche un simbolo dell’American Way of Life, uno stile di vita, perfino un luogo di aggregazione sociale. Dai tempi del film retrò American Graffiti un rito iniziatico dell’adolescente americano era l’uso dell’automobile per andare a incontrare i suoi coetanei nei piccoli centri commerciali di provincia, le prime concentrazioni dove si univano supermercati, fast-food, cinema all’aperto. Negli anni Cinquanta nacquero gli shopping mall, cattedrali nel deserto dell’America profonda, che attorno al consumismo costruivano occasioni d’incontro, un modo per riempire il tempo libero, una caricatura ipermoderna delle piazze medievali del Vecchio continente. Nel 1962 Sam Walton cominciò l’avventura di Walmart, gli ipermercati che a loro volta hanno incarnato per decenni un American Dream fatto di carrelli della spesa extra-large e strapieni, Suv caricati a buon mercato, grazie allo «sconto cinese» (prodotti alla portata di tutte le tasche perché made in China).
Guardare le vetrine oggi non lo fa quasi più nessuno. Meglio starsene a casa a ordinare sul proprio tablet Ora tutto questo sta tramontando a una velocità impressionante. Fotografi e artisti amanti del macabro percorrono l’America in cerca di shopping mall in bancarotta, le nuove ghost-town del nostro tempo, città fantasma, colossi abbandonati per mancanza di clienti. Relitti giganteschi sui quali soffia il vento della morte. La middle class di «Suburbia», come vengono definiti i quartieri residenziali delle periferie, con le loro villette monofamiliari, i giardini e il garage, sta perdendo il gusto di quelle spedizioni familiari che nel weekend avevano una destinazione favorita, lo scintillante shopping mall dove ciascuno ne trovava per i suoi gusti. Ora nella villetta mono-familiare ciascuno se ne sta chiuso in camera sua, a dialogare sui social media, o a ordinare da Amazon sul proprio tablet. Un camioncino dell’Ups fa tappa davanti all’uscio di casa per lasciare una pila di pacchi delle consegne a domicilio. E gli shopping mall, deserti, falliscono uno dopo l’altro. Non solo loro. Tutta la grande distribuzione, dalle boutique di lusso ai supermercati ai grandi magazzini, vive la stessa angosciante decadenza proprio nel Paese che l’aveva inventata. È anche il paesaggio dei centri cittadini che rischia di essere irriconoscibile entro breve: se i consumatori rimangono a casa per fare la spesa, chi andrà ancora in giro a guardare le vetrine? Si salvano ancora quei magneti del turismo globale che possono compensare la scomparsa del consumato-
Manichini in vendita allo store di JC Penny, illustre vittima dell’esplosione del commercio online. (AFP)
re locale con le frotte di cinesi e russi, italiani e francesi: per adesso questo sta proteggendo la vocazione di luoghi come la Quinta Strada e Soho a Manhattan, o Beverly Hills a Los Angeles. Che però assomigliano sempre di più a un duty free dell’aeroporto di Dubai, stesse griffe, stessi marchi, la scomparsa di qualunque riconoscibilità locale. L’ultimo bollettino di guerra (per ora) narra dei 170 negozi chiusi da Bebe, un marchio di moda che sembrava lanciatissimo ancora pochi anni fa ed ora si riconverte per vendite solo online. La catena di moda per adolescenti Rue21 chiude 400 negozi su 1100. Sono due esempi fra tanti in un settore delle vendite al dettaglio che qui in America ha visto 8600 chiusure solo nel primo trimestre di quest’anno: peggio che durante la grande crisi del 2008. Eppure stavolta non siamo in recessione, tutt’altro, abbiamo raggiunto l’ottavo anno di crescita. Quel che accade è dovuto a un cambiamento repentino di abitudini e comportamenti tra i consumatori. L’intero mondo della distribuzione «fisica», con punti vendita su strada, dagli shopping mall alle boutique di nicchia, ha eliminato 50’000 posti di lavoro dall’inizio di quest’anno e siamo solo ai prodromi del disastro. Secondo uno studio di un’azienda immobiliare specializzata negli shopping mall, la Ggp, i centri commerciali per ri-dimensionarsi su misura della spesa attuale dovrebbero chiudere il 30% dei loro spazi e licenziare quasi cinque milioni di persone. È un atto di morte, nella nazione che aveva inventato un modello e lo aveva esportato nel resto del mondo. E ancora c’è spazio di crescita per il commercio online. Le vendite su Internet sono appena il 10% del totale e già hanno provocato cotanto sconquasso. Figurarsi cosa può accadere in
futuro. Il modello di partenza lo hanno offerto libri, Cd e video, dove l’avanzata di Amazon e dei suoi emuli fu formidabile, al punto che oggi in quei settori oltre il 60% delle vendite sono online. Segue la stessa curva di apprendimento il settore dell’elettronica e delle forniture per uffici, già vicino al 40% di vendite su Internet. Stanno facendo la stessa fine i giocattoli per bambini, forse perché la rinuncia a visitare di persona i negozi ha sollevato i genitori da uno stress? Ogni luogo comune ha vita effimera, si diceva che mai ci saremmo rassegnati a comprare vestiti e scarpe senza provarli fisicamente, e invece è questo uno dei settori di maggior crescita delle vendite online. Anche qui Amazon ha fatto da pioniere ma molti applicano la ricetta: velocità delle consegne, facilità nel restituire la merce di cui non si è soddisfatti e ottenere l’immediato rimborso. Amazon è arrivata in ritardo nell’ultima frontiera che è la spesa per alimenti freschi, ma ora cerca di recuperare il terreno con l’acquisizione dei supermercati salutisti Whole Foods. Nomi gloriosi come Macy’s e Penney, icone del consumismo americano, attraversano crisi esistenziali dagli sbocchi incerti. E la nuova geografia delle città salpa verso destinazioni sconosciute. Un’altra tecnologia che cambia le carte geografiche del nostro vissuto quotidiano è Uber. Idea geniale, vincente nel mondo intero (o quasi). Azienda inguaiata, col top management decapitato di recente. È questo un paradosso di Uber. Questa app nata a San Francisco ha rivoluzionato la mobilità urbana, in tutti i sensi. Nel giorno stesso (20 giugno) in cui si dimetteva il suo fondatore e chief executive, il quarantenne Travis Kalanick, «The Wall Street Journal» dedicava un intero inserto
speciale al tramonto della «proprietà dell’automobile». Un concetto obsoleto, soprattutto per i giovani che hanno sposato in massa il car-sharing e ogni altra formula che privilegia l’uso sul possesso. A San Francisco un’inchiesta recente ha rivelato che nel budget mensile dei Millennial la voce di spesa Uber ormai svetta in testa, a pari valore con l’affitto della casa. Ma al tempo stesso gli scandali avvinghiano Uber e la mettono in seria difficoltà. Al punto che l’esperto di antitrust Benjamin Edelman sulla prestigiosa «Harvard Business Review» pronuncia questa sentenza drastica: «Uber non può essere risanato. È fondamentalmente illegale, è ora che i regolatori la chiudano». È difficile trovare un’altra azienda al mondo capace di suscitare emozioni così contrastanti, dall’ammirazione all’odio. A 8 anni dalla sua fondazione a San Francisco, questa app inventata per procurarsi un passaggio in auto a pagamento è ancora tecnicamente una start-up, poiché non è stata collocata in Borsa. Ma già viene stimata a 70 miliardi di dollari. Tra i suoi azionisti: il fior fiore del venture capital della Silicon Valley ed anche blasonate banche d’affari di Wall Street come Goldman Sachs e Morgan Stanley, nonché il fondo sovrano dell’Arabia saudita. Sono loro ad avere accelerato la resa dei conti con Kalanick fino alle dimissioni. Il fondatore resta tuttavia in possesso di una maggioranza delle azioni con diritto di voto. I guai per Uber sono di varia natura. Quelli più dannosi per la sua immagine – visto che l’utente medio di Uber è urbano, cosmopolita, digitalmente evoluto, spesso liberal – hanno a che vedere col sessismo. Si va dalle denunce di alcune dipendenti donne sul clima maschilista all’interno dell’azienda; fino all’episodio in cui un top manager
ha cercato di diffamare una donna che è stata stuprata da un autista Uber in India. Poi c’è una causa legale avviata da una filiale di Google che progetta auto senza pilota: l’accusa verso Uber è di spionaggio industriale. Infine un’azione legale del governo di Washington, che accusa Uber di frodi per aggirare le leggi sul trasporto urbano (la startup di San Francisco avrebbe usato un software ingannevole per depistare le autorità). La reputazione di Uber ne ha sofferto, una recente indagine rivela che l’80% dei clienti Uber sono informati sugli scandali. La principale concorrente, Lyft, ha aumentato la sua quota di mercato dal 21% al 25% in soli tre mesi. La posizione di Uber resta dominante col 75% del mercato Usa, ma partiva dal 90% ancora un paio di anni fa. Il bilancio continua ad essere in rosso (700 milioni di perdite nel primo trimestre) ma quest’ultimo è un «dettaglio» nel mondo delle start-up e non solo. Un colosso come Amazon insegna: l’azienda di Jeff Bezos accumulò perdite per molti anni, la logica era quella di occupare il mercato senza badare a spese. La città dove Uber è nata è l’osservatorio ideale per capirne i meriti. San Francisco era tristemente nota per la pessima qualità del servizio taxi (introvabili), oggi è una città «liquida» per la facilità con cui si ottiene un passaggio a pagamento. Ma perfino sulla costa opposta, a New York, la qualità del servizio Uber nella versione X e Black riservata a professionisti con licenza di autonoleggio è incomparabilmente superiore ai taxi gialli pur abbondanti. Nell’America «di mezzo», fra le due coste, Uber ha reso «liquida» la mobilità in tante aree di provincia dove il servizio taxi è sempre stato quasi inesistente o costoso. Un’altra rivoluzione di stili di vita.
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Politica e Economia
La solidarietà latina? Mai esistita Successione Burkhalter Motivi storici, geografici, religiosi e politici dimostrano che i ticinesi
non possono contare sui romandi, solo sugli svizzeri tedeschi
Marzio Rigonalli Non passa giorno senza sentire o leggere la dichiarazione o l’indiscrezione di un politico, o qualcosa che vi assomigli e senza essere messi di fronte a possibili scenari, od ad altrettanti pronostici. La campagna in vista della successione del consigliere federale Didier Burkhalter, prevista il 20 settembre, è già entrata nel vivo e si farà sentire ancor di più nelle prossime settimane. Questa volta, dietro alla competizione tra i possibili candidati, vi è lo scontro tra due minoranze latine, ossia tra la Svizzera romanda e la Svizzera italiana. Lo scontro è stato favorito da due successive decisioni. Quella del PLR nazionale di voler lasciare il seggio alla Svizzera latina e quella del PLR ticinese di proporre un solo candidato, lasciando così aperta la porta ad una o più candidature romande. Come è noto, l’Assemblea federale chiede di poter scegliere tra più candidati e di non essere messa nella condizione di dover accontentarsi di un unico candidato proposto dal partito cui viene riconosciuto il diritto di occupare il seggio vacante.
L’appartenenza ad una cultura latina e la vicinanza delle due lingue non bastano per generare un forte legame La rivalità tra le due minoranze si snoda tra una serie di tesi e di argomenti, invocati per legittimare il diritto di rivendicare il posto lasciato libero da Burkhalter. In questo esercizio, la Svizzera italiana appare più convincente nella sua rivendicazione. Dal 1848 ad oggi ha avuto solo 7 consiglieri federali ed è stata presente soltanto 81 anni su 169. Dal 1999, ossia dall’uscita di scena di Flavio Cotti, è assente dal Consiglio federale, anche se la Costituzione federale del 1999, all’articolo 175 prevede che «le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere
equamente rappresentate». La sua rivendicazione, dunque, è più che giustificata. La Svizzera romanda, invece, dal 1848 ad oggi, ha sempre avuto almeno un suo rappresentante in Consiglio federale. Dal 1. gennaio 2016, dall’entrata in funzione di Guy Parmelin, occupa addirittura 3 seggi su 7. È una situazione anomala, visto che la popolazione romanda rappresenta soltanto circa un quinto di tutta la popolazione svizzera. A questo punto, ci si può chiedere se la declamata solidarietà latina svolge un qualsiasi ruolo in questa competizione elettorale tra le due minoranze. La risposta è negativa. Non s’intravvede nulla di questa solidarietà, per una ragione molto semplice: la solidarietà latina non esiste e non è mai esistita neanche in passato, salvo poche brevi eccezioni, come per esempio durante la prima guerra mondiale, quando le due minoranze simpatizzarono per la Francia e la Gran Bretagna, mentre la Svizzera tedesca guardava alla Germania, o nel 1920 quando romandi e svizzeri italiani votarono in maggioranza per l’entrata della Svizzera nella Società delle Nazioni, mentre gli svizzeri tedeschi si presentarono divisi. Le ragioni di quest’assenza di solidarietà sono parecchie. La storia, innanzitutto, c’insegna che prima della nascita della Confederazione c’erano pochi contatti tra le due regioni. Il loro percorso storico fu ben diverso. La Svizzera italiana, per esempio, aveva rapporti economici e di sudditanza politica principalmente con alcuni cantoni della Svizzera tedesca. Anche dopo il 1848, la situazione non registrò sostanziali modifiche. Anzi, si assistette al sorgere di chiare divergenze sulla costruzione delle linee di comunicazione tra il Nord ed il Sud. La Svizzera italiana si schierò per la linea del Gottardo, la Svizzera romanda per la linea del Sempione. Una divergenza che, almeno in parte, si ritrovò anche in tempi recenti nella costruzione delle nuove linee di comunicazione. Per molto tempo, pochi furono anche i contatti politici, nonché quelli culturali, frenati in parte dalle divergenze religiose, la Svizzera romanda essendo a
maggioranza protestante mentre nella Svizzera italiana prevaleva la religione cattolica. Oggi, le due regioni non hanno una frontiera comune ed i tempi necessari per passare da una regione all’altra rimangono elevati. Per la Svizzera italiana, i collegamenti sono molto più facili con la Svizzera tedesca, con Lucerna e con Zurigo, che sono gli sbocchi settentrionali più vicini. I rapporti economici sono modesti e lo stesso vale per quelli politici. Gli alleati politici della Svizzera italiana, reali o potenziali, non sono i romandi, bensì gli svizzeri tedeschi, che conoscono e frequentano la nostra regione, che sanno individuare i nostri problemi e le nostre potenzialità e che, spesso, s’impegnano a sostenere ed a difendere le nostre rivendicazioni sul piano nazionale. Con i romandi è significativo, per esempio, il fossato che esiste sui rapporti che la Svizzera dovrebbe intrattenere con l’Unione europea. I maggiori contatti avvengono nel settore culturale, dove però si assiste ad uno squilibrio di interessi molto pronunciato. Molti svizzeri italiani, grazie a varie opportunità, legate alla frequenza delle università romande, alla possibilità di trovare un lavoro in più posti della regione francofona, o semplicemente grazie all’istruzione ricevuta durante il loro ciclo scolastico, hanno buone conoscenze della Romandia ed apprezzano con cognizione la cultura francese ed il modo di vivere dei romandi. Gli svizzeri di lingua francese, invece, hanno una conoscenza molto limitata della Svizzera italiana. Si è tentati di affermare che scoprono la nostra regione una volta all’anno, quando è in corso il festival del cinema di Locarno. Molti di loro non sanno neanche che ci sono quattro valli del canton Grigioni, che sono di lingua e di cultura italiana e che fanno parte della Svizzera italiana. Pochi, infine, sono coloro che manifestano un vero interesse per la nostra lingua e cultura, attraverso lo studio o varie forme di contatti permanenti con la popolazione residente al sud delle Alpi. Con queste premesse risulta ben
Ignazio Cassis e la sua più seria concorrente alla corsa per il seggio in Consiglio federale, la vodese Isabelle Moret. (Kesytone)
difficile parlare di solidarietà latina. Alleanze contingenti sono possibili, certo, ed avvengono quando le due minoranze possono difendere interessi comuni di fronte alla maggioranza tedesca. Nella maggior parte dei casi, però, gli interessi delle due comunità sono divergenti e sono all’origine di posizioni diverse, talvolta nettamente opposte. L’appartenenza ad una cultura latina e la vicinanza delle due lingue parlate non bastano, dunque, per generare un forte legame, per creare una forte solidarietà, e vengono sopraffatte dagli interessi in gioco che si oppongono. L’elezione del sostituto del consigliere federale Didier Burkhalter lo sta dimostrando e lo dimostrerà fino al 20 di settembre. L’elezione di un consigliere federale è forse la più enigmatica e non è paragonabile a nessuna altra elezione. La scelta vien fatta da 246 parlamentari,
sulla base di riflessioni che, nella maggior parte dei casi, non corrispondono a quelle in voga nella popolazione. Vengono presi in considerazione gli interessi elettorali dei partiti, la futura linea politica del governo, la presenza delle donne in governo, le ambizioni personali immediate , o tenute nascoste per nuove future situazioni, le qualità dei singoli candidati, le simpatie personali e altri argomenti suscettibili di influenzare il voto. Sul ticket che il gruppo parlamentare del PLR deciderà il 1. settembre figureranno due, forse tre nomi: quello del ticinese Cassis e quello di uno o di due politici romandi. La Svizzera italiana non può contare sulla solidarietà latina, che non esiste. Può sperare soltanto che la presenza italiana in Consiglio federale venga considerata determinante dalla maggioranza dei parlamentari svizzeri di lingua tedesca.
Un bilancio semestrale ingannevole Banca Nazionale Solo 1,2 miliardi di utile, ma la situazione è cambiata pochi giorni dopo l’annuncio:
l’euro e il dollaro si stanno rivalutando e il bilancio di fine anno potrebbe nettamente migliorare Ignazio Bonoli Proprio alla vigilia della Festa Nazionale, la Banca Nazionale Svizzera ha pubblicato i dati del bilancio al 30 giugno. Il momento della pubblicazione non è risultato molto felice, per due motivi: l’utile d’esercizio di soli 1,2 miliardi di franchi torna a risvegliare le preoccupazioni dei cantoni di non ricevere – in tutto o in parte – la sospirata partecipazione all’utile della BNS; inoltre, proprio nei giorni seguenti la pubblicazione, il franco svizzero ha accentuato il suo indebolimento nei confronti del dollaro e soprattutto dell’euro. Alla fine della settimana, la divisa europea non era più tanto lontana dalla soglia di 1,20 franchi svizzeri, livello che la Banca nazionale aveva smesso di perseguire il 15 gennaio 2015. Comunque, i dati del bilancio di metà anno sono un fatto ineluttabile e non possono riferirsi a probabili risultati futuri o a speranze di miglioramento nei mesi a seguire. In realtà alcuni sintomi di un probabile miglioramento potevano già essere visti, per esempio nel fatto che l’utile semestra-
le è dovuto esclusivamente agli utili sull’euro, che però non sono riusciti a compensare le forti perdite sul dollaro e altre divise. Globalmente le perdite di cambio sono così state complessivamente di 11,8 miliardi di franchi, compensate da 4,4 miliardi per interessi e 1,8 miliardi per dividendi, mentre il buon andamento delle borse ha provocato un utile di 9,4 miliardi su titoli e
La BNS ritiene che il franco svizzero sia tuttora sopravvalutato. (Keystone)
altri strumenti di capitale; titoli e strumenti di debito hanno invece registrato una perdita di 3,6 miliardi. Di conseguenza, l’utile sulle posizioni in valuta estera, sempre il più sensibile nel bilancio della Banca Nazionale, è così risultato di 100 milioni di franchi soltanto. L’oro ha fruttato una plusvalenza di 300 milioni, mentre l’utile sulle posizioni in franchi è stato di 900 milioni di franchi. Con questi risultati non sarebbe possibile far fronte alla necessità di costituire accantonamenti, ma questa decisione deve essere presa alla fine dell’anno e alla luce dei risultati annuali. Se consideriamo i tassi di cambio utilizzati dalla Banca Nazionale per l’allestimento del bilancio, vediamo già un aumento dell’1,9% del tasso sull’euro, ma un peggioramento del 5,9% di quello sul dollaro, accanto a diminuzioni minori per altre valute. Il vero cambiamento della situazione è però avvenuto in luglio, con un miglioramento di circa il 4% dell’euro sul franco e di oltre l’1% anche del dollaro. Dei 724,4 miliardi di divise a bilancio, il 40% è in euro e il 35% in dollari. Questi
investimenti, tradotti in franchi, avrebbero provocato un miglioramento del bilancio di oltre 15 miliardi di franchi. Alla fine della prima settimana d’agosto, la situazione era già nettamente migliorata, poiché il tasso di cambio bancario dell’euro era ormai sopra 1,15 franchi e quello del dollaro a 0,97 franchi. Difficile dire oggi se questa situazione migliorerà ulteriormente nei prossimi mesi. Alcune premesse favorevoli ci sono: la ripresa dell’economia della zona euro in primis, ma anche l’ottimismo che sta dimostrando la borsa americana. Non mancano comunque le incognite, quali la politica monetaria della Banca centrale europea, che continua ad essere espansiva e quindi foriera di inflazione. Sul piano politico premono le disavventure dell’amministrazione Trump negli Stati Uniti e l’avvicinarsi delle elezioni in Germania e in Italia. Infine, anche l’atteggiamento di Russia e Cina (con la minaccia nucleare in Corea del Nord) sul piano internazionale. In ogni caso un euro vicino a 1,20 franchi è un’ottima premessa per l’economia svizzera, anche se nascon-
de un possibile rilancio dell’inflazione e quindi un aumento dei tassi di interesse. La Banca nazionale Svizzera continua comunque a ritenere sopravvalutato il franco svizzero e a dare grande importanza al differenziale fra i tassi di interesse svizzeri ed europei. Di conseguenza, essa può prevedere un ulteriore indebolimento del franco sui mercati valutari. Con questa tendenza il suo bilancio di fine anno sarà molto migliore di quello di fine semestre. L’attuale tendenza del franco è però determinata dallo spostamento di capitali sul mercato dell’euro e del dollaro, dove i rendimenti sono migliori. D’altro canto è evidente che il mantenimento di livelli eccezionalmente bassi dei tassi di interesse in Svizzera può provocare un aumento del tasso di inflazione e costringere la BNS a rivolgersi con più attenzione verso questo aspetto della sua politica e quindi provocare un aumento delle quotazioni del franco. Decisivi saranno i tempi entro i quali gli investitori decideranno di tornare su un franco che non considerano più sopravvalutato.
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Quando le statistiche non bastano... Nel 2002, il tasso di disoccupazione in Ticino era pari al 3,5%. Durante i primi sei mesi di quest’anno, il tasso di disoccupazione è stato del 3,5%. Nel corso dello stesso periodo i salari reali (ossia ottenuti tenendo conto dell’aumento dei prezzi) sono aumentati del 5%. Non si tratta di un gran che, ma è sempre un aumento. Gli occupati nell’economia cantonale, secondo le stime trimestrali, sono cresciuti, nel corso dello stesso periodo di circa 79’000 unità. I frontalieri sono aumentati di 29’000 unità, ossia dell’85%. Se le statistiche concernenti gli occupati e i frontalieri fossero congruenti, questo significherebbe che l’occupazione dei residenti è aumentata di 50’000 unità, ossia del 42%. Purtroppo questa congruenza non esiste e quindi su questo aumento c’è da porre un punto di interrogazione. È molto probabile che l’occupazione dei residenti non sia cresciuta che in proporzione alla popolazione residente, ossia del 12%. Si tratta comunque sempre di una crescita.
Sempre nel corso di questo periodo è cresciuta, purtroppo per chi cerca un lavoro a tempo pieno, la quota dei lavoratori a tempo parziale (calcolata solo sugli occupati residenti nel cantone) e cioè dal 21 al 32%. Questi sono i dati più importanti riguardanti l’evoluzione del mercato del lavoro ticinese nel periodo della libera circolazione della manodopera. Agli stessi possiamo aggiungere che, a partire dal 2011, ossia da quando il franco è stato fortemente rivalutato rispetto all’euro, il prodotto interno lordo dell’economia ticinese cresce più rapidamente di quello dell’economia nazionale. Il bilancio degli effetti economici della libera circolazione è dunque fatto più di aspetti positivi che di aspetti negativi o problematici, anche se resta qualche perplessità sulla congruenza delle statistiche sull’occupazione. Stando a uno studio, appena pubblicato dalla Seco, questo vale anche a livello nazionale. La Seco insiste soprattutto sul tasso di crescita del Pil che ha ritrovato valori positivi e superiori
a quelli dell’ultima decade dello scorso secolo. E questo nonostante la recessione marcata del 2008. Per le statistiche la libera circolazione della manodopera è da considerare come un fatto positivo. La maggioranza della popolazione residente in Ticino, il suo governo e il suo Gran Consiglio reputano invece, pensiamo in buona fede, che nel bilancio degli effetti della libera circolazione gli aspetti negativi sopravanzano. Perché? Gli statistici ci spiegano che quando le persone che giudicano di una data situazione possiedono informazioni personali – per esempio, nel nostro caso, conoscono un disoccupato o una disoccupata – sono portate a dare maggiore importanza a questo tipo di informazione che ai valori prodotti dalle statistiche. Potrete illustrare loro l’evoluzione in corso con cento altri indicatori. Resteranno ferme nella loro opinione che la libera circolazione della manodopera produce soprattutto effetti negativi. Non è un problema di quantità di informazione.
Né si tratta di un problema di educazione o di comprensione. Anche persone con livelli di formazione superiori possono diventare vittime di questo tipo di illusione statistica che consiste nel derivare regole generali da un caso particolare e di rifiutare di accettare che il generale valga anche per il particolare. Purtroppo però non è che queste illusioni statistiche restino senza conseguenze. In Ticino, per esempio, esse hanno portato alla discussione, se non ancora alla messa in opera, di un intero programma di misure inteso ad assicurare l’occupazione alle persone di nazionalità svizzera. Le esperienze fatte nel passato ci dicono che misure di questo tipo o finiscono per restare senza applicazione o, se riescono a venir applicate, possono portare a colli di bottiglia importanti nell’assunzione di lavoratori nei rami nei quali, fin qui, si faceva largamente ricorso alla manodopera straniera. Un altro effetto quasi immediato di misure restrittive all’assunzione di stranieri sarà
quello di far aumentare il salario, specie nei rami in cui la quota di stranieri è sempre stata elevata. Si tratta di solito di rami nei quali la produttività è inferiore alla media, ragione per cui, con il tempo, la capacità concorrenziale delle aziende si eroderà e quindi è probabile che le stesse cercheranno di spostare la loro sede in regioni a salari meno elevati. Di conseguenza, misure di limitazione e controllo delle assunzioni di manodopera straniera dovrebbero portare in un primo tempo al miglioramento della situazione dei lavoratori di nazionalità svizzera ma, a lungo termine, a un drastico ridimensionamento del mercato del lavoro ticinese. Purtroppo, nel lungo termine, come affermava Keynes, saremo tutti morti e quindi allora non ci gioverà molto venire a sapere che avevamo ragione. Purtroppo dobbiamo allargare le braccia e darci per vinti: le statistiche non bastano a convincere i più che il bilancio della libera circolazione dei lavoratori è positivo.
tito interno al partito, che come intento in sé non è del tutto sbagliato, anche se forse Blair non aveva considerato che quell’ala diventasse, fosse, maggioranza). Molti hanno paragonato Momentum a Militant, il gruppo trozkista che gravitava attorno al Labour negli anni Settanta e che fu poi espulso dal partito da Neil Kinnock – a dimostrazione che la lotta interna alle sinistre non è certo un vezzo moderno. Il fondatore di Momentum è il sessantenne Jon Lansman, vedovo da molti anni e famoso per le sue camicie colorate, nonché volto conosciuto all’interno del partito: nel 1981 era il coordinatore, a soli 24 anni, della campagna per la leadership del Labour di Tony Benn, che andò male, ma che ancora Lansman rivendica non tanto per come è andata a finire, ma per il progetto di una sinistra che facesse la sinistra, e non scimmiottasse la destra. Il suo riscatto è arrivato nel 2015, quando ha guidato in solitaria la campagna di
Corbyn, con gli scommettitori che per lungo tempo hanno dato le chance di vittoria prossime allo zero. La sera della festa, Lansman ha tuittato: «Sono molto felice. L’unica cosa che mi dispiace è che ci sono voluti trent’anni». Lansman è convinto che l’anima della sinistra non sia affatto cambiata, sono cambiati i leader e le loro ambizioni, ma la base «non è mai stata a favore della guerra in Iraq, non è mai stata a favore della privatizzazione del sistema sanitario, ha votato Tony Blair perché dopo molti anni di governo conservatore voleva vincere, e sapeva che Blair aveva la capacità di vincere». Quella base è il target di Lansman e di Momentum, che è nato con l’unico obiettivo di mantenere Corbyn al potere e che ora è definito «un partito dentro al partito», con un’agenda fin troppo chiara: andare di nuovo al voto, prestissimo. Tra gli appunti dei conservatori compare l’app My Nearest Marginal, nella quale basta inserire il proprio
codice postale e scoprire qual è il seggio «marginale» (cioè in cui il parlamentare in carica ha ottenuto all’elezione precedente pochi voti di scarto rispetto al rivale) più vicino e precipitarsi lì. Ci si può andare insieme in automobile, il «carpooling» sponsorizzato da Momentum è molto richiesto, ed è un’occasione per organizzarsi e continuare l’offensiva politica, trainata come si sa soprattutto dai giovani. I Tory stanno studiando questi strumenti, ma partono svantaggiati, un po’ perché non hanno più presa sui giovani e un po’ perché le risorse sono dedicate alla gestione della Brexit. Paradossalmente questo è un punto a favore dei conservatori: è in corso una guerra latente per la leadership e per la gestione del negoziato con gli europei, ma per i molti che hanno votato il Labour sperando in una Brexit «soft» la sorpresa potrebbe essere grande: Corbyn non ha idee per ammorbidire la Brexit, e nemmeno Momentum.
dati dei proventi della stessa bilancia, i ricercatori dell’Ust fanno una chiara distinzione fra le spese del turismo giornaliero e quelle che vengono definite «spese di consumo» dei frontalieri, tanto da estendere queste ultime anche a quelle dei dimoranti temporanei (in soldoni: circa la metà di quanto invece gli svizzeri spendono con il turismo degli acquisti in zone di frontiera). Ignorante in fatto di scienza statistica, avverto due perplessità: dapprima la probabilità che queste differenze nei rilevamenti possano modificare o «falsare» gli scambi puramente turistici (pernottamenti ecc.); poi il pericolo che «deviando» un esborso così importante – che in definitiva dovrebbe riguardare piuttosto vendite e acquisti al dettaglio, quindi la bilancia commerciale più che quella turistica – si potrebbero generare anche effetti collaterali in altri ambiti (commercio, occupazione ecc.). Tanto per guardare anche all’altro piatto della bilancia, al dr. Gonseth abbiamo sottoposto anche la seguente domanda: nella voce «viaggi con pernottamenti»
le statistiche tengono conto delle quote di spesa che rimangono in Svizzera (servizi degli operatori turistici, incassi compagnie aeree elvetiche, assicurazioni ecc.)? In questo secondo caso la sua risposta è stata più dettagliata, forse nell’encomiabile tentativo di semplificare la comprensione dei rilevamenti statistici in uso. Secondo il responsabile dell’Ust «questa informazione non esiste nella bilancia turistica. In effetti, quest’ultima (in quanto componente della bilancia dei pagamenti) registra solo le transazioni tra residenti e non residenti. Se, per esempio, un residente svizzero paga una commissione a un’agenzia viaggi svizzera per organizzare un viaggio all’estero, questa commissione non si troverà nella bilancia turistica e neppure in un’altra posizione della bilancia dei pagamenti». E per chiarire questa assenza nella bilancia turistica il dr. Gonseth ha precisato che «nella bilancia dei pagamenti esiste una categoria «trasporti» dove sono registrate le transazioni tra residenti e non residenti per i servizi di trasporto
internazionali» e ha inoltre fatto notare che le «spese di residenti svizzeri presso compagnie aeree residenti non sono prese in considerazione dalla bilancia dei pagamenti» dal momento che sono transazioni tra residenti. Tutte queste precisazioni non annullano la domanda di fondo che si evince dai dati in esame: è opportuno inglobare nella bilancia turistica, senza troppe distinzioni, le miliardarie spese del turismo degli acquisti o le quote «estere» di versamenti che in effetti rimangono in Svizzera? L’interrogativo ha una sua valenza soprattutto se si tiene presente che lo strumento statistico dell’Ust con le sue informazioni, come già accennato, influenza scelte, orientamenti, investimenti e pianificazioni in campo politico ed economico. La risposta non è comunque semplice, anche perché, come ricordava un umorista americano (Evan Esar), «la statistica è l’unica scienza che permette a esperti diversi, usando gli stessi numeri, di trarne diverse conclusioni». E questo, ovviamente, vale anche per i giornalisti...
Affari Esteri di Paola Peduzzi La via segreta di Momentum Studiate, prendete appunti, non fatevi troppo notare, ma indagate, hanno detto i leader del Partito conservatore inglese ai loro staff. Bisogna capire qual è il segreto di Momentum, il gruppo di attivisti che ha portato Jeremy Corbyn e il suo Labour a ottenere il 40 per cento di consensi all’ultima tornata elettorale britannica, e poi cercare di copiarlo. Nel mondo che si ribalta a ogni sospiro, i Tory che si sentivano fortissimi e destinati a guidare un Regno Unito tutto blu annientando l’opposizione laburista ora rincorrono modelli, segreti e app dei loro rivali con la speranza di riuscire a imitarli, e poi a batterli. Momentum non è soltanto una fissazione dei conservatori, è un esempio che viene studiato in molti partiti della sinistra occidentale, che pensano che il successo di Corbyn sia la dimostrazione che la strada della riconquista del potere sia quella. E chi ripete che inseguire Momentum significa ributtarsi indietro di qualche decennio,
annullare il riformismo della terza via e dei suoi rivoli, ricercare una purezza socialista di generazioni passate, viene messo a tacere con un certo fastidio: siete voi moderati, voi della terza via, a essere vecchi e superati, c’è un altro «new» adesso, alternativa perfetta al neoliberismo. Momentum è un gruppo «grassroot», sul campo, che conta oggi 23 mila attivisti e 150 gruppi a livello locale, ed è stato fondato nel 2015, qualche settimana dopo la vittoria di Jeremy Corbyn della leadership del Labour contro l’ala moderata del partito e contro tutti i riformatori (dettaglio: di recente, si è detto che a creare Corbyn è stato Tony Blair, ex premier inglese nonché ideatore della terza via. La notizia ha generato molte mani nei capelli e molti lamenti: quanto si fa male da sola la sinistra, nessuno. Ma l’intento di Blair, che non ha certo creato Corbyn ma non l’ha nemmeno combattuto, era quello di lasciare aperto il dibat-
Zig-Zag di Ovidio Biffi Metti il turista sulla bilancia Con un roboante «per la prima volta nella sua storia» l’Ufficio federale di statistica (Ust) ha comunicato a fine giugno che il saldo della bilancia turistica lo scorso anno è stato negativo. In altre parole, gli svizzeri hanno speso di più all’estero rispetto a quanto non abbiano fatto gli stranieri di passaggio in Svizzera. E il comunicato, entrando nel dettaglio, spiega cosa c’è sui due piatti della nostra bilancia turistica: le spese svizzere fuori dai confini hanno toccato i 16,3 miliardi di franchi, il 3,8% in più rispetto al 2015, mentre i turisti ospiti hanno speso 16 miliardi nella Confederazione. Ne deriva un saldo negativo di – 252 milioni di franchi. Semplice, elementare anche. Ma siamo sicuri che non sia anche semplicistico? Proviamo ad appurarlo, stimolati da una banale riflessione scaturita leggendo il conteggio delle spese svizzere fuori dai confini e volta a sapere se fra i turisti presi in considerazione dall’Ust figura anche la quota di chi pratica per abitudine il «turismo degli acquisti», vale a dire lo shopping giornaliero oltre frontiera.
Il responsabile della comunicazione riguardante la bilancia turistica, l’economista Camille Gonseth, nel giro di poche ore conferma: «Esatto. La bilancia turistica, nella parte spese, copre l’insieme delle spese effettuate dalle persone residenti in Svizzera durante i loro viaggi all’estero. Le spese concernenti il “turismo di frontiera” si trovano nella sottocategoria “Turismo giornaliero e di transito” della bilancia turistica». Stando al comunicato dell’Ufficio federale di statistica (Ust), le spese globali di questa sottocategoria raggiungono i 4,4 miliardi di franchi, in progressione del 10% sull’arco di soli due anni; ma per ovvie ragioni non viene rilevata, né indicata esattamente, la quota che riguarda il «turismo degli acquisti». Di riflesso risulta difficile calcolare con esattezza l’entità di questa «presenza», anche solo per eventualmente analizzarla come corpo estraneo di una statistica che si propone di tastare il polso al turismo vero (non per niente viene chiamata «bilancia turistica). Al contrario presentando i
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Cultura e Spettacoli Locarno, in agosto Nel suo 70esimo anniversario, il Festival conferma la sua vitalità, con una struttura ben rodata
Tutti provengono In Biografemi il poeta Alessandro Martini onora anche il ricordo del padre Plinio
Amare i classici Dopo essersi occupato del latino, Nicola Gardini dedica un saggio a Ovidio
pagina 27
Il ritorno di Lana Pur proponendo sonorità nuove, avvalendosi della collaborazione di diversi artisti, in Lust for Life, Lana Del Rey rimane fedele a se stessa pagina 29
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Gli amori: gli uomini, gli dèi
Mostre Attrazione e seduzione al Museo
archeologico di Napoli
Gianluigi Bellei Gli dèi dell’antica Grecia e successivamente di Roma sono molto simpatici. Ne combinano di tutti i colori. A differenza di Jahvè e del suo figliolo (?) che sembrano e sono dei noiosoni terribili. Il cristianesimo, l’ebraismo e l’islamismo sono religioni monoteiste e si basano su dei testi sacri ispirati da dio. Si parla quindi di religione del libro. Quelle politeiste, al contrario, non hanno dogmi, né libri, ma credenze trasmesse oralmente. Oggi molti ritengono che Jahvè esista e Zeus no. Ma duemila anni fa i Greci e i Romani non erano dello stesso avviso e gli dèi assomigliavano parecchio agli umani. Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) nella sua Antiquitates rerum humanarum et divinarum ordina gli dèi in tre parti: i certi, quelli capaci di rivelare la verità; gli incerti, con un campo d’azione più vasto e i selecti ovvero gli eletti. Questi ultimi sono dodici maschi e otto femmine tra i quali troviamo Giunone, Diana, Venere, Mercurio ecc. Gli dèi Romani sono lo specchio del potere. Ovidio (43 a.C.-17 d.C.) nelle Metamorfosi racconta che Giove per prendere una decisione riunisce le divinità in un concilium. Tutti si incamminano sulla via lattea. All’inizio della strada si trovano i palazzi dei nobili, in fondo le case dei plebei. Giove, scrive Micol Perfigli, è l’imperatore Augusto che abita al Palatino e la via lattea è il Sacer Clivus che porta alla sua abitazione. Il concilio divino sembra poi l’assemblea del senato. Il mondo divino non è nient’altro che il doppio di quello umano e gli dèi hanno l’incarico, o la responsabilità, di intervenire in frangenti e situazioni che possono essere difficilmente risolvibili o semplicemente quotidiane aiutando gli uomini nei loro compiti. Dalla nascita alla morte. Per questo sono così tanti, ognuno con le proprie competenze le quali però possono essere diversificate. Plutarco (46-120? d.C.) scrive che sostenere che Afrodite sia unicamente l’istinto sessuale, Ermes l’eloquenza o Atena la saggezza sia una «forma di empietà». Chi vuole scoprire l’origine del mondo deve leggere la Teogonia (116-
122 d.C.) di Esiodo. Una storia incredibile, che assomiglia alla Genesi cristiana, fra Chaos, Gaia ed Eros. Poi notte, giorno, monti, mare. Infine Zeus ottiene il governo del mondo… Dicevamo che questi dèi sono simpatici. Zeus, il Giove romano, per esempio, oltre a interessarsi dei massimi sistemi è particolarmente attratto dalle donne. Jahvè, al contrario e nel frattempo, si limita a osservare dall’alto i suoi figli che si scannano e muoiono di fame. Zeus è sposato con Era dalla quale ha Ares, Ebe e Ilizia. Contemporaneamente se la spassa con Themis che partorisce le Mirai e le Horai. Con Eurinome dalla quale nascono le Cariti; con Demetra figlia Persefone; con Mnemosyne che genera da lui le nove Muse; con Letò concepisce Apollo e Artemide. Ma Zeus è un furbacchione e per concupire le femmine riesce anche a trasformarsi. Con Danae in pioggia, con Leda in cigno, con Europa in toro, con Ganimede (un ragazzo, ma sembra il più bello di tutti i mortali) in un rapace. Quest’anno ricorre il bicentenario della morte di Publio Ovidio Nasone, anche se alcuni sostengono che sia deceduto all’inizio del 18 d.C. Intellettuale augusteo, elegante, ironico, trasgressivo, Ovidio è autore delle Metamorfosi. Opera in 15 libri senza un protagonista in carne e ossa ma come protagonista un concetto astratto: la trasformazione. Per fare questo si avvale del mito che, come scrive Claudia Cieri Via, «dà un’interpretazione assoluta della realtà ed è espressione simbolica di verità di ordine naturale o morale». E che in fondo «enuncia il rapporto fra dimensione mitica e dimensione storica, fra favola, storia e conoscenza». Opera epica che ha ispirato letterati e artisti di tutti i secoli. In pochi si sono accorti della ricorrenza. Peccato, perché poteva essere l’occasione di una grandiosa esposizione dei capolavori dell’arte con opere di Rembrandt o Tiziano, Correggio o van Dyck, Watteau o i Carracci, Rubens o Raffaello, Botticelli o Caravaggio, Bernini o Tintoretto… Sì, perché quasi tutti i grandi dell’arte hanno dipinto le sue storie. Il Museo archeologico nazionale
Guido Cagnacci (1601-1663), Il ratto d’Europa, 1650 circa. (Collezione Molinari Pradelli)
di Napoli dedica un’esposizione al mito greco e a quello romano con 80 opere, la maggior parte provenienti dal museo stesso e alcune da prestigiose istituzioni quali l’Hermitage di San Pietroburgo, il Musée du Louvre di Parigi, il Paul Getty Museum di Los Angeles e il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Un museo da vedere comunque, quello Archeologico, perché conserva una splendida copia integra del Doriforo di Policleto, il mosaico della Battaglia di Alessandro e Dario e il Toro Farnese, solo per citare alcuni pezzi. Senza tacere della stanza segreta, vietata ai minori. La mostra è articolata in quattro sezioni: La materia del mito, Il dio muta forma, Il dio trasforma e Corpo e spirito. All’inizio troviamo i miti greci degli amori rubati, come quelle di Danae, Ganimede e Leda. Poi gli amori negati come nel caso di Dafne e Apollo, Narciso ed Eco. L’ultima sezione con ben 11 opere, si occupa della ninfa Salmace che si incapriccia del giovane Ermafrodito, figlio di Ermes e Afrodite. Mentre
Ermafordito nell’acqua si libera dalle vesti, Salmace gli si avvolge addosso come una serpe «lo bacia sulla bocca restia, lo accarezza sotto il ventre» arsa dal desiderio. Lui la respinge. «Ribellati pure, o crudele, ella disse, non riuscirai tuttavia a sfuggirmi – scrive Ovidio – e tale sia la volontà vostra o dèi: nessun giorno mi stacchi costui da me, né me da costui». I corpi così si unirono uno all’altro per sempre. Una mostra intima, succinta, senza capolavori ma che ha il pregio di sviscerare il corpo del mito e le sue forme. Si entra nelle sale indossando un paio di soprascarpe per non rovinare il prezioso pavimento a motivi geometrici della prima metà dell’Ottocento e si è accolti da un allestimento modulare con luci specifiche indirizzate sulle opere per creare un ambiente «altro» rispetto alle sale del museo. Il primo dipinto è un ovvio omaggio alle Metamorfosi con il Trionfo di Ovidio di Nicolas Poussin per proseguire con lavori quali Il ratto di Europa di Cornelius
Shut, Diana e Atteone di Giovambattista Tiepolo, e terminare con le opere dedicate a Ermafrodito fra le quali il Symplegma di Satiro ed Ermafrodito: un marmo del primo secolo dopo Cristo sensualmente dionisiaco che inganna lo spettatore. Come tutte le statue anche questa va vista girandole attorno e nella complessità del movimento della bellissima donna che lotta contro il satiro, cambiando punto di vista si scopre una doppia natura; ignota pure all’assalitore. Utile il catalogo, anche se soprattutto in questo caso era d’uopo l’indice dei nomi. Dove e quando
Amori divini, Museo archeologico nazionale, Napoli. A cura di Anna Anguissola e Carmela Capaldi. Orari: 9.00-19.30. Chiuso martedì. Catalogo Electa, euro 29. Fino al 16 ottobre. www.mostraamoridivini.it www.museoarcheologiconapoli.it
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Cultura e Spettacoli
I funamboli del Festival
L’attore e produttore statunitense Adrien Brody immortalato dai fotografi sul tappeto rosso.
Locarno Festival Il variegato lavoro dietro le quinte del team che si occupa della comunicazione,
un impegno che si estende ben oltre gli 11 giorni della kermesse cinematografica
Conferenza stampa per il film Vinterbrøde al Press Center in Largo Zorzi.
zati dalla stessa organizzazione... O come L’immagine e la parola, evento primaverile del Festival. Ci si rivolge a vari tipi di persone: all’internauta interessato o di passaggio, al cinefilo appassionato, al turista che programma una vacanza Ascona-Grotto-Maggia-Sonnenstube, a chi ha già la tessera, ai professionisti del cinema che comprano fanno creano o vendono... «E ogni volta che c’è un evento», mi dice Amel, «abbiamo più pubblico che ci segue online che pubblico presente fisicamente». E ride di nuovo, perché fatico a capire quello che mi dice con voce rapida e divertita, sono all’antica io, uso poco i social, mi piace essere presente fisicamente, guardare dal vivo senza aver letto niente prima, fare una cosa alla volta. E invece no. Siamo in un mondo, mi spiega paziente, in cui la gente vuole un engagement con ciò che le piace. Vuole fidanzarsi? In un certo modo, sì, diciamo un po’ meno esclusivo e definitivo. Vuole stare in comunità, ed essere coinvolta: e questa comunità, che ama il Locarno Festival e ciò che propone, in toto o in parte, bisogna mantenerla viva, renderla partecipe in modi sempre nuovi e originali. Non solo con il web e i social media, intendiamoci. C’è anche la carta: il PardoLive esce in inverno, avviato da Lorenzo Buccella, fa uno speciale su Berlino, un altro su Cannes e naturalmente viene stampato tutti i giorni
Team per il PardoLive in azione sulla Piazza Grande.
Seduta fotografica con l’attore e regista francese Mathieu Kassovitz.
Sara Rossi, foto di Stefano Spinelli Locarno. Cinema. Pardo. Film. Piazza. Festa. Rotonda. Sedie, ciottoli, borse, portachiavi, cataloghi leopardati. Come si comunica un Festival di questa ampiezza? Vado a scoprire l’albero della comunicazione ma mi accorgo di essere in mezzo a un bosco. «Perché tutto è comunicazione», ride Amel Soudani, con il collo all’indietro e la pelle bellissima, che ride pure lei. Non cerco di seguirla mentre mi racconta delle ramificazioni incredibili che il suo lavoro comporta. Da agosto ad agosto
la responsabile dell’Ufficio stampa e della Comunicazione digitale del Locarno Festival si deve occupare di parlare con migliaia di persone di centinaia di argomenti in decine di modi. Ormai non è più «solo» un appuntamento annuale, bensì un rapporto continuo: succedono cose tutto l’anno e si può ricevere leggere visualizzare qualcosa in tema pardo anche più volte al mese. Non contenuti casuali, ma pagine di cinema, rimandi ad altri festival, film «nati» qui che circolano e ci fanno sapere come gli sta andando, momenti in Ticino e altrove organiz-
Spazio di lavoro dedicato ai media a Palazzo Marcacci, in Piazza Grande.
durante il Festival. E poi la squadra di Amel, quest’anno formata da sei persone e poi circa 30 durante il Festival, fa da tramite tra i giornalisti di tutto il mondo e quello che succede a Locarno; creano contatti con i vip, con chi porta «grossi film» e comunica solo tramite agenti così come con registi di prime opere. «Questo equilibrismo è forse ciò
che mi piace di più del mio mestiere», mi spiega la giovane Soudani, cresciuta a pane e cinema. «Rappresento una grande evento e mi identifico con essa, sono appassionata di ciò di cui parlo, voglio che siano soddisfatti tutti i nostri ospiti, pubblico, rappresentanti della stampa, registi, attori e produttori... quando c’è quel filo sottile che devi trovare, quello che rende tutti appagati... ecco: è una sfida che mi piace moltissimo». L’unica cosa che non fa chi lavora nella comunicazione è la critica dei film. Il suo compito è promuovere, non dare giudizi. Ecco perché uno dei tanti modi di festeggiare questo settantesimo compleanno è stato di rendere «piccoli critici» per 70 secondi tutti noi. Forse lo avete fatto anche voi: sul sito movieofmylife. ch si poteva – anzi si doveva – raccontare il film che più ci ha cambiato la vita, in 70 secondi di video-selfie, annunciando il titolo solo alla fine. «Quando cominci a dire cosa ti piace di un film è in fondo l’inizio della critica», spiega Amel. Perlomeno nel mondo in cui tutti hanno l’opportunità di partecipare alla cultura, si esprimono in prima persona senza timore e si fidanzano con i festival.
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Cultura e Spettacoli
A caccia della storia interiore Locarno Festival Nell’anno dell’anniversario tondo l’importante kermesse si è regalata spazi nuovi, nonché
un nome che dovrebbe accrescerne ancor più l’attrattività
Nicola Falcinella Non si sa ancora, mentre andiamo in stampa, se il Pardo d’oro avrà preso la strada della Cina o degli Stati Uniti, oppure se la giuria presieduta da Olivier Assayas avrà compiuto scelte più sorprendenti.
Mai come quest’anno si sono viste le due anime del Festival: da una parte i cinefili, dall’altra gli amanti del glamour La 70esima edizione di Locarno Festival, rinnovata nel nome, in alcuni spazi e nell’aspetto, ha confermato la vitalità della manifestazione e del suo spirito libero e curioso. Un festival dove ci sono i controlli di sicurezza ma ci si muove ancora con facilità, ci sono le star e i grandi nomi ma non c’è l’inseguimento alle celebrità. Anche se il tappeto rosso da dietro la Sopracenerina alla Piazza Grande calamita curiosi come non molti anni fa sarebbe parso impossibile, e si assiste a un presenza più continua e visibile dei politici e degli sponsor e un glamour di contorno che non apparteneva alla sobrietà del festival. Per ora le due anime, quella radicata e cinefila e quella modaiola, sembrano coesistere, magari con beneficio di entrambe, e la programmazione resta solidamente attenta al valore delle opere e dei loro autori, come anche al dialogo tra chi il cinema lo fa e chi ne fruisce da spettatore. Così un cineasta di culto ma poco presenzialista come Todd Haynes (Lontano dal paradiso, Carol) si è raccontato al pubblico e attori come Nastassja Kinski, Adrien Brody o Vanessa Paradis hanno portato la loro presenza carismatica. E i festivalieri hanno fatto la fila fuori dal ristrutturato GranRex per ammirare, seduti nelle poltrone rosse, i film della meravigliosa retrospettiva Jacques Tourneur, cineasta franco-americano che ha abbracciato quasi tutti i generi e che aspettava da anni di essere riportato all’attenzione generale per l’insieme dell’opera e non solo dei capolavori più noti come Il bacio della pantera o L’uomo leopardo. Tra i tanti riconoscimenti, il Premio Cinema Ticino è stato consegnato,
La regista di Wajib, la palestinese Annemarie Jacir, con i due protagonisti del film e il produttore. (Stefano Spinelli)
Il regista ticinese Villi Hermann fa il suo primo viaggio nella memoria. (S. Spinelli)
Harry Dean Stanton in una scena di Lucky di John Carroll Lynch. (Youtube)
nella serata delle celebrazioni del 70esimo, a Esmé Sciaroni, truccatrice che debuttò sui set di Innocenza e Bankomatt di Villi Hermann e ha lavorato in decine di film e più volte con Silvio Soldini, Gianni Amelio e Paolo Virzì,
tanto che in suo onore è stato riproposto La pazza gioia. Come sempre il concorso ha fatto discutere, magari non tutte le opere erano all’altezza, ma i film buoni e le scoperte non sono mancati. Tra le par-
ziali delusioni l’italiano Gli asteroidi di Germano Maccioni, che vorrebbe essere un noir surreale che ritrae l’Emilia padana, ma fatica a decollare e stare in equilibrio tra i diversi livelli. Al suo posto sarebbe stato meglio l’altro esordiente, Andrea Magnani, che ha portato nei Cineasti del presente il sorprendente Easy, un viaggio dal Friuli all’Ucraina per trasportare una bara che cambia la vita del depresso e passivo protagonista, catapultato in una serie di imprevisti dal fratello cinico. Un film generoso e divertente con un bravissimo Nicola Nocella. Nella competizione, abbastanza eterogenea come è per sua natura, e piuttosto varia per essere stimolante e fonte di discussioni, spiccano gli americani Lucky di John Carroll Lynch e Did You Wonder Who Fired the Gun? di Travis Wilkerson e il cinese Mrs. Fang di Wang Bing. L’attore che era stato Norm in Fargo dei Coen esordisce da regista facendo rivivere il meglio del cinema indipendente americano, che
mentre nell’Algeria di oggi il regista entra con la videocamera in punta di piedi, non pretendendo di raccontarne i cambiamenti. Mostra agli abitanti di Sidi Larbi, poco distante dal confine con il Marocco, le fotografie di allora, cerca le persone con discrezione, lascia che affiorino i ricordi di chi era bambino e ragazzo e frequentava la scuola dei volontari internazionali. Di Hermann, da sempre interessato al rapporto tra Storia e attualità, è stato anche proiettato in versione restaurata San Gottardo, Pardo nel 1977, tra i film che hanno fatto la storia del Festival e rivelato nuovi autori. Il regista romeno Radu Jude torna con Tara moarta – The Dead Nation, presentato nella sezione Signs of Life, sui temi già affrontati in Scarred Hearts che nel 2016 corse per il Pardo d’oro. Il film di finzione era ispirato dalle memorie del poeta ebreo Manu Blecher e dalla sua convalescenza in ospedale dal 1937 in poi, confrontato con un antisemitismo crescente. Stavolta ci
troviamo quasi davanti a un saggio, che utilizza le immagini d’epoca dello Studio Splendid e sovrappone brani del diario del medico di Bucarest Emil Dorian e radiogiornali partendo sempre dal 1937. La paura raccontata quasi giorno per giorno: dagli ebrei cacciati dagli ospedali ai i licenziamenti, poi le uccisioni, i pogrom, le deportazioni, fino al 1946 e a una nuova paura. Un potente documento sulla storia della Romania partendo da un punto di vista personale. Va in una casa di riposo di Istanbul la regista americana d’origine turca Shevaun Mizrahi per Distant Constellation, incluso nei Cineasti del presente. All’esterno c’è un grande cantiere, dentro le persone appassiscono. Tra vaneggiamenti e ripetizioni, una situazione surreale nella quale a sprazzi ritornano memorie, come la testimonianza di un’anziana armena la cui famiglia dovette assumere nomi islamici per sopravvivere al genocidio del 1915. / NF
La memoria come leitmotiv Il tema della memoria, collettiva o personale, rimossa e da ricomporre permea svariati film tra i più validi del Locarno Festival e collocati nelle le sezioni. È il caso di Did You Wonder Who Fired the Gun? di Travis Wilkerson che fa il paio con Strong Island di Yance Ford, altra indagine su un omicidio razziale rimasto senza giustizia (partendo dalla propria famiglia, stavolta dalla parte delle vittime) e su come tutta la sua esistenza sia stata condizionata dall’uccisione di un fratello. Per la prima volta in oltre quarantanni di carriera, il ticinese Villi Hermann è partito da ricordi personali per realizzare Choisir à vingt ans, presentato Fuori concorso. Il cineasta del Malcantone era un ventenne studente d’arte a Parigi nel 1961, mentre era in corso la guerra d’Algeria e alcuni suoi coetanei disertavano per non indossare la divisa e non andare a reprimere la rivolta anticolonialista del popolo algerino. Buona parte di essi trovò ospi-
talità in Svizzera, qualcuno in Italia e in Germania, come il futuro regista Jean-Marie Straub. Dopo la fine del conflitto, Hermann trascorse 10 mesi nel Paese africano come volontario per aiutare la ricostruzione. Tra lettere ai genitori e alla fidanzata di allora e ricordi, la sua vicenda si intreccia con la scelta di alcuni giovani francesi di non combattere per una causa che non condividevano. La prima parte è più incalzante, ritmata dalle interviste,
Still da Strong Island, film di Yance Ford. (Youtube)
sembrava boccheggiante e imbolsito. Il protagonista Lucky è un novantenne indipendente e ironico, interpretato da uno straordinario Harry Dean Stanton sempre con la sigaretta in mano, che ha ancora qualcosa da dire e, in un paesino ai limiti del deserto, resta aperto alla vita fino in fondo. Tra i personaggi di contorno c’è pure il mitico David Lynch, avventore di un bar. In Did You Wonder Who Fired the Gun? Wilkerson compie un’indagine sincera sul razzismo, mettendosi in gioco con un approccio radicale che non fa concessioni a nessuno. Cercando di ricostruire perché il bisnonno avesse ucciso un uomo di colore nel 1946 e l’avesse fatta franca, il regista rivela il cuore nero dell’America bianca, un universo ancora nazionalista e ipocrita che sostiene la superiorità dei bianchi. Un’immersione sulla scorta del cinema e della letteratura, con l’avvocato Atticus Finch de Il buio oltre la siepe e l’altro romanzo di Harper Lee, Va’, metti una sentinella, e della musica (Strange fruit di Billie Holiday e il William Moore di Phil Ochs). Il cinese, uno dei documentaristi più affermati di oggi, filma la signora Fang malata terminale di Alzheimer negli ultimi giorni di vita. Una donna semplice di un piccolo villaggio di pescatori. Non si può muovere, né esprimere, è assistita dai parenti a turno e filmata in lunghe inquadrature rispettose da Wang Bing, che sa ritrarsi e distanziarsi al momento opportuno. Se alcuni tempi lunghi, e il rumore eccessivo intorno alla malata e i discorsi intorno alla sepoltura, possono sembrare estenuanti, il sentimento di compassione verso gli ultimi istanti della donna sa far vedere la morte in un’ottica che forse per gli occidentali è poco familiare. Tra gli altri bei lavori la commedia nera Madame Hyde di Serge Bozon, con Isabelle Huppert, insegnante di fisica dalla doppia vita che cambia l’esistenza a uno studente svogliato. Molto interessante e curioso il brasiliano As boas maneiras di Marco Dutra e Juliana Rojas, mentre l’altro cinese Dragonfly Eyes dell’artista Xu Bing ha più un valore teorico e concettuale, con una storia d’amore realizzata montando le immagini raccolte dalle videocamere di sorveglianza.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Cultura e Spettacoli Una suggestiva immagine di Eugenio Castiglioni delle gallerie della cava del biancone dell’excementificio Saceba.
L’albero dei padri perduti Poesia ANAedizioni pubblica Biografemi,
l’ultima raccolta di versi di Alessandro Martini Daniele Bernardi
Sulle tracce di Orfeo
Via Lattea L a serie di passeggiate di riflessione musicale è giunta
alla 14esima edizione
Elena Robert Nel 450esimo della nascita di Claudio Monteverdi, il Pellegrinaggio delle arti della Via Lattea seguirà il mito di Orfeo, il 19 e 20 agosto (con replica il 26 e 27), per proporre al Viandante musica e teatro dal Rinascimento alla contemporaneità. Si torna nel Parco delle Gole della Breggia, tra Morbio Inferiore e Castel San Pietro, e ci sarà un Epilogo, a Venezia, il 4 e 5 novembre, per la prima assoluta della radio-opera Il cammino di Orfeo. Il compositore ticinese Mario Pagliarani, cui si deve il concetto della fortunata invenzione artistica della Via Lattea, giunta alla 14. edizione, ci orienta su alcune sue scelte. Il fascino del mito di Orfeo, la passione per la musica di Monteverdi e, a portata di mano, due scenari straordinari come il Parco delle Gole della Breggia e Venezia, devono aver rappresentato una tentazione irresistibile. Un sogno diventato realtà?
Sì, anche se non è stato facile. Abbiamo dovuto immaginare un progetto ecologico-musicale adattando le esigenze artistiche a quelle di protezione naturalistica del Parco. Il dialogo che è nato rientra nello spirito della Via Lattea e ha richiesto una collaborazione lunga e intensa con la direzione del Parco. Nelle gallerie di estrazione del biancone, per fare un esempio, vivono specie di pipistrelli uniche in Svizzera, che vanno disturbate il meno possibile. Gli ambienti suggestivi ed evocativi del Parco costituiscono dei «set» ideali per accogliere il mito di Orfeo: nelle gallerie ho subito visto il regno degli Inferi, l’Ade dove discende Orfeo alla ricerca di Euridice, e, quanto è rimasto dell’immenso magazzino dei materiali, oggi testimonianza di archeologia industriale, è diventato ai miei occhi un «tempio greco», ideale per immaginare l’apoteosi finale di Orfeo. E poi è sempre emozionante tornare in altri luoghi incantevoli del Parco, tra i quali la Chiesa Rossa, sia per la bellezza architettonica, sia per la qualità acustica: la prima giornata, che inizierà con il suono gioioso della Civica Filarmonica
di Mendrisio e con il personaggio de La Musica che Monteverdi convoca all’inizio del suo Orfeo, si concluderà in serata proprio nella Chiesa Rossa, sulle note meste della Messaggera che annuncia la morte di Euridice. Per quanto riguarda l’Epilogo a Venezia, invece, non si tratta ancora della realizzazione di un sogno, perché il sogno vero è quello di fare, chissà quando, una Via Lattea tutta nella Serenissima. Questo è solo un primo passo. A Venezia Monteverdi visse e vi è sepolto. E sul Canale della Giudecca, Palazzo Trevisan, dove ha sede il Consolato svizzero, ospita una sede di Pro Helvetia: qui presenteremo durante l’Epilogo la prima assoluta della radio-opera Il cammino di Orfeo prodotta in collaborazione con RSI Rete Due. Si scoprirà un Orfeo poliedrico. Come sarà declinato musicalmente il mito?
La rappresentazione avverrà, inseguendo un’unità narrativa, attraverso una pluralità di linguaggi e di stili, oltre che di sonorità molteplici, dalla banda agli strumenti antichi, dalle voci alle chitarre elettriche, partendo dal Seicento per arrivare al giorno d’oggi. Vorrei far vivere ai nostri «Viandanti» un’esperienza totale, che coinvolga corpo e mente. Pur mantenendo la propria identità, la Via Lattea di anno in anno si trasforma. Stavolta si entra in una dimensione ancora nuova, quella dell’opera-avventura da vivere con tutti i sensi. Attendo io stesso con molta curiosità gli interventi della banda all’inizio e alla fine di ogni Movimento, che rievocano la coralità della tragedia greca e l’episodio finale ambientato nel magazzino-tempio dell’ex cementificio, dove si rappresenterà musicalmente il delirio di Orfeo per la perdita di Euridice, con le voci amplificate di Teo e Ciro Aroni e i suoni distorti delle chitarre elettriche di Luca e Roberto Pianca. Il pellegrino vivrà anche incontri con compositori contemporanei per l’ascolto di prime esecuzioni.
Per la prima volta riusciamo a proporre quattro prime esecuzioni inserite nella drammaturgia del percorso. Una scelta che richiede coraggio, anche
per l’impegno finanziario, ma penso che la Via Lattea debba proseguire in questa direzione, perché vuole essere un cantiere vivo, aperto sul presente. Tre prime esecuzioni riguardano la ri-composizione di brani dell’inizio del Seicento (ndr. da L’Euridice di Jacopo Peri, 1600, e da L’Euridice di Giulio Caccini, 1602), di cui viene mantenuta la parte del canto mentre viene reinventata quella strumentale. La prima dell’argentino Erik Oña, al Prato delle Streghe, è tratta da L’Euridice di Peri, ed esprime la gioia di Orfeo alla vigilia delle nozze con Euridice; la seconda, della franco-svizzera Claire-Mélanie Sinnhuber, lungo il sentiero nel bosco, è la versione di Caccini dell’annuncio della morte di Euridice; la terza, da me composta, è il canto disperato di Orfeo all’ingresso degli Inferi, che implora Plutone e verrà eseguita nel Frantoio dell’ex cementificio. La quarta opera nuova in programma costituisce uno dei momenti clou della Via Lattea. Il testo di Alessandro Striggio (1607) per il «Coro delle Baccanti», previsto a conclusione della prima rappresentazione de L’Orfeo di Monteverdi e di cui purtroppo è andata persa la musica originale, rivivrà grazie alla nuova partitura dello svizzero Beat Furrer, uno dei maggiori compositori viventi. Le sei voci femminili dell’ensemble Vox Altera impersonificheranno le Baccanti all’interno di un luogo molto particolare, ossia la galleria stradale di accesso al Parco, a Balerna. È la versione tragica del mito, con Orfeo che finisce squartato dalle Baccanti. Il Viandante assisterà poi anche al finale lieto, la versione barocca dell’apoteosi di Orfeo, al «tempio greco», immaginata da Striggio nella seconda versione de L’Orfeo di Monteverdi, e poi ancora ad un terzo finale, dissacrante, il celeberrimo Can-can da Orfée aux Enfers di Jacques Offenbach, intonato dalla Civica Filarmonica di Mendrisio diretta da Carlo Balmelli, per finire in allegria!
«Questo vecchio libro è un diario», scriveva Ungaretti nel 1931. «L’autore», continuava, «non ha altra ambizione, e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre, se non quella di lasciare una sua bella biografia». Nel caso di Alessandro Martini, studioso e poeta che, oggi, consegna al lettore la sua ultima raccolta, l’asserzione risulta calzante: Biografemi (ANAedizioni, 2017) è infatti un dichiarato viaggio nei territori della memoria. Tale peculiarità non è nuova al percorso dell’autore: già in quello che si presentava come un esordio, in un certo senso, inaspettato o tardivo – la sua prima silloge, Fior’, frondi, herbe, è del 1996 – è ravvisabile un tono diaristico, che sembra volersi fare carico dello sfumare dei giorni. Ora, però, dopo Restauri (UniPrint, 1999) e Distrazioni (ANAedizioni, 2014), Martini assume una direzione decisamente programmatica. In Biografemi è di fatto evidente l’intento di sviluppare, ulteriormente, la scrittura in nome di una chiara necessità: dare respiro all’universo perduto dei padri. Per farlo, l’autore si affida al componimento lungo, come avvenuto in Tra casa, chiesa e scuola (breve pubblicazione del 2015, sempre edita da ANA), ora con più insistenza. È bene segnalare, tuttavia, che Martini avvicina l’apice di quella «infinita piramide rovescia di gente» – per usare un’espressione del Bianconi dell’Albero genealogico – con la giusta cautela; nel suo discorso evita quindi gli scivoloni retorici, altisonanti, e risponde unicamente al proprio bisogno espressivo. In questo senso, le cose sono in chiaro dal principio, con la bella poesia A Tristan, dal nonno: «Adesso che invecchio / sempre più mi son cari i libri piccoli / provvisti di figure, così come son cari / alla mia ultima amica, composti / di frammenti, frantumi, fogli d’album, / magari in forma di abbecedario. / Vita e destino è troppo. / Non so se arrivo in fondo». E piccolo, attraversato da colori e veline, è, appunto, Biografemi già nella sua veste editoriale. Consta di trentanove testi, suddivisi su quattro rami, e si apre con la sezione eponima del libro; qui, quasi a proseguire il sopraccitato brano, Martini compone il principio del proprio affresco familiare con Finestra, poesia dedicata all’immagine di «nonno Adeodato» nel giorno della «mazza». Non poteva mancare, poi, la figura del padre Plinio, autore del celebre Il fondo del sacco. Varie sono le istan-
tanee che immortalano lo scrittoregenitore con il figlio, come quella, un po’ kafkiana, offerta da Lezioni di nuoto: «Non impara a nuotare al Puz Bél fra i coetanei / e neanche nel Bavona con suo padre / che mentre lo sorregge lo dichiara / da sé troppo dissimile» – viene appunto da pensare alle descrizioni che il narratore praghese fece di sé, mingherlino, sulla spiaggia, accanto alla mole paterna. Ma il ritratto più intenso della coppia – forse uno dei migliori della raccolta – è in Dopo scuola, dove il poeta ripercorre le tappe del proprio apprendistato affettivo ricordando le uscite col padre lungo il fiume: «dovevo stargli dietro / a qualche passo di distanza, / senza far troppo chiasso / e spaventare i pesci. / Peripatetizzando su quel greto / tra un lancio e l’altro mi catechizzava. / L’aria intensa, la luce calante, / l’acqua tranquilla e buia nelle lanche, / precipitosa e vitrea tra i massi / solo di poi mi avrebbero rapito / in solitudine». Attorno alla visione del fiume, zona dell’anima e tempo sospeso a cui si torna in quella che Martini definisce «ultima veglia dei sensi», ne appaiono di nuove, alcune dedicate ancora al «Maestro di Cavergno», altre a fantasmatiche presenze: ecco apparire padre Beda, insegnante di pianoforte che al giovane «mantenne / ferme le incerte mani alla tastiera», oppure Giovanni Pozzi, storico professore dell’Univeristà di Friburgo. Come accennato, altre sezioni seguono a quella dei biografemi: Sottolineature, Ultime distrazioni, Vecchi madrigali e primi poemetti. La prima riunisce testi scritti a partire da precise suggestioni letterarie, la seconda è un chiaro riferimento allo spirito della penultima raccolta di Martini (Distrazioni, appunto), mentre l’ultima contiene lavori di epoca diversa – dal 1995 al 1996. Infine, chiude il libro una poesia in francese, CV pour Marie-Jeanne, che un poco ricorda il noto Scrivere un curriculum di Wislawa Szymborska. Rivolgendosi alla compagna e, in fondo, ancora al piccolo Tristan, Martini stila il proprio sintetico bilancio senza – per dirla col Premio Nobel polacco – evitare di parlare con se stesso. Nell’ultima parte della composizione, passati in rassegna i nodi della vita come grani di un rosario, è sempre l’idea dell’infanzia assillante a emergere e farsi scrigno del mistero di ogni cosa. Un libro intenso, quindi, questo Biografemi – un libro che, senza cedere nei propri genuini impulsi, pare accarezzare i margini del profilo più incerto: quello del tempo concesso alla fragilità del vivere.
Dove e quando
www.teatrodeltempo.ch. È necessario riservare online.
Un suggestivo scorcio di Sabbione, Val Bavona. (Keystone)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Cultura e Spettacoli
Ovidio e l’incessante mutamento Editoria Un saggio di Nicola Gardini nel bimillenario della morte del grande poeta
Giovanni Fattorini Nel 17 d.C., a Tomi (l’odierna Costanza), città situata sulle remote e aride coste del Ponto Eusino (il Mar Nero), moriva uno dei maggiori poeti della latinità: Publio Ovidio Nasone. Moriva dopo nove anni di esilio, lontano dall’amatissima Roma, dove aveva completato gli studi (era nato a Sulmona nel 48 a.C.) e dove godeva di grande fama. Era stato costretto a lasciarla perché condannato alla relegatio dall’imperatore Augusto (un provvedimento che non fu revocato neppure da Tiberio). Di che cosa era accusato? Nel secondo libro dei Tristia (Tristezze) – la prima delle due raccolte di elegie composte a Tomi; l’altra s’intitola Epistulae ex Ponto (Lettere dal Ponto) – Ovidio scrive (la traduzione è di Nicola Gardini): «Seppure due colpe m’abbian perduto, un poema (carmen) e un errore (error) / devo tacere il fallo d’una di esse […] / Resta l’altro, per cui mi si accusa d’essermi fatto / maestro d’osceno adulterio con sconce poesie». Romanziere, poeta e saggista (nonché traduttore in versi, fra l’altro, dei Tristia per Mondadori e delle Epistulae ex Ponto per Einaudi), Nicola Gardini (che attualmente insegna letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford) ha recentemente dato alle stampe Con Ovidio. La felicità di leggere un classico, un saggio che succede a quello fortunatissimo del 2016, Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile, edito anch’esso da Garzanti, e giunto alla undicesima
edizione. «Con Ovidio sono in dialogo fin dagli anni della giovinezza», scrive Gardini, che nell’autore delle Metamorfosi (frequentato e studiato con passione fin dal tempo in cui era dottorando alla New York University) vede il creatore di «una delle opere più amate, più influenti e più spettacolari di tutti i tempi». Grazie «alla varietà degli approcci e delle sollecitazioni» (di cui per ragioni di spazio non posso dare adeguatamente conto) si è quindi proposto di correggere «certe mitizzazioni da vecchio liceo: l’Ovidio salottiero, l’Ovidio da dolce vita, l’Ovidio decadente e fantastico, anticipatore del barocco e del dannunzianesimo, privo di messaggi profondi». Concentrando l’attenzione sulle opere maggiori del canone ovidiano (spiccano i temi dell’esilio, dell’eros, della metamorfosi, della dissidenza), Gardini arriva a concludere che la «sorgente nascosta», ovvero la matrice della rigogliosa immaginazione del poeta, è rinvenibile «nell’idea di incertezza»: termine da intendersi positivamente come sinonimo di «relativismo, scetticismo, anticonformismo, disobbedienza, dissidenza, libertà, appartenenza a un ordine superiore che trascende le antinomie e le definizioni fisse». Non solo. L’incertezza di Ovidio è una vera e propria «teoria della realtà»: significa «credere che le cose non siano mai definitive né finiscano, ma durino non durando, in un incessante rinnovamento». Questa «incertezza» è già evidente nelle 49 elegie erotiche che compon-
Pan e Siringa come François Boucher lì raffigurò nel 1759. (Keystone)
gono i giovanili Amores (Amori), e più ancora nell’Ars amatoria (L’Arte dell’amore), opera didascalica in cui Ovidio – rivolgendosi nei primi due libri agli uomini, per insegnar loro come conquistare e conservare l’amore di una donna, e nel terzo alle donne libere, perché apprendano le malizie con cui farsi durevolmente amare da un uomo – si propone come scanzonato praeceptor amoris («maestro d’amore») e arriva a celebrare l’adulterio. Il che spiega perché il carmen indicato nei Tristia come una delle cause della relegatio a Tomi
sia quasi concordemente identificato con l’Arte dell’amore: un’opera che contrastava con la politica di moralizzazione dei costumi voluta da Augusto, al quale doveva dispiacere anche la concezione dell’eros che permeava le composizioni elegiache degli Amori. «Se l’amore richiede un’arte, che cos’è l’amore per Ovidio?». Benché il poeta non si esprima in termini speculativi, attraverso una lettura appassionata e puntuale delle sue opere maggiori Nicola Gardini evidenzia e organizza in un discorso coerente i tratti di un
pensiero radicale. Per Ovidio, l’amore è «istinto al piacere e, sul piano pratico, partita, gioco […]». È desiderio che vuol essere appagato e che sempre rinasce «nel rinnovarsi delle esperienze e degli incontri». «[…] l’amante deve plasmarsi sul sempre diverso oggetto del desiderio. L’amante infatti non ha un’identità fissa, psicologica o morale: esiste in rapporto all’altro, come inarrestabile impulso a possedere, non a essere». «L’arte dell’amore è fondamentalmente anti-politica, anti-civica. Il cittadino si toglie la toga – in senso letterale – e resta nudo per il più anarchico adempimento: l’eiaculazione». «L’Arte dell’amore è un poema profondamente a-religioso. […] Proponendosi di fornire null’altro che una serie di precetti e di casi illuminanti, non ha più nessuna fede negli dei e nella tradizione». Dunque: «Ovidio rappresenta un pensiero che, per quanto voglia e tenti, non si adatta al regime […]». «Non è disattenzione se neppure Tiberio lo rivuole in patria. Ovidio è e resta fino all’ultimo un dissidente quasi suo malgrado. La sua opera ha messo in crisi i presupposti di un’ideologia che pretende di alimentarsi di conservatorismo. Ovidio ha contrapposto – e continua a contrapporre anche da esule – alla normalità degli antichi valori e alle certezze augustee il dogma dell’incertezza». Bibliografia
Nicola Gardini, Con Ovidio. La felicità di leggere un classico, Garzanti, pp. 188, € 15. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Del Rey, sensualmente matura
Una lucciola dalla Corea del Nord
più sperimentale del solito, ma dalla connotazione stilistica ancora inconfondibile
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Musica Lana Del Rey, la pin-up del pop-rock targato USA, torna alla carica con un disco
Benedicta Froelich Una delle testimonianze più convincenti del potere acquisito dai social network negli ultimi anni, riguarda sicuramente la loro progressiva efficacia nella promozione capillare di musicisti ed entertainers, ormai in grado di saltare a piè pari i canali di distribuzione tradizionali per autoprodursi in prima persona: nel 2011, proprio una mossa di questo genere ha catapultato una relativa sconosciuta in vetta alla classifiche pop-rock, facendo dell’americana Lana Del Rey un fenomeno mondiale grazie al lancio su YouTube delle hit Video Games e Blue Jeans.
Favorita da un fisico da pin-up, che le consente di affiancare l’occasionale attività di modella a quella di cantante, la trentaduenne Lana è tutt’oggi considerata una delle proposte musicali più intriganti della scena statunitense, grazie anche alla curiosa dicotomia tra la sua immagine squisitamente estetica e quella artistica: se, nei propri patinatissimi videoclip, la Del Rey si presenta quasi come l’attualizzazione della quintessenza di quella sorridente e sexy fanciulla tipica dell’iconografia popolare del «sogno americano» anni ’50-’60, le sue canzoni presentano invece un carattere piuttosto nichilista, condito di atmo-
Lust for Life è il lavoro più recente dell’artista statunitense.
sfere sensuali e glamour ma, allo stesso tempo, alquanto crepuscolari. Oggi, questa nuova fatica dell’artista, dall’allusivo titolo di Lust for Life, appare una conferma di tale tendenza, anche se stavolta Lana sembra aver deciso di concentrare le proprie energie sulle collaborazioni con musicisti esterni, forse con l’obiettivo di conferire un carattere più multiforme alla propria musica. Ecco quindi che la title track Lust for Life costituisce un esperimento singolare, sebbene forse non del tutto riuscito: quello di un brano ibrido, a metà strada tra i toni suadenti e malinconici a cui la Del Rey ci ha abituati e l’easy listening carico di tonalità soul e R’n’B di Abel Tesfaye, meglio noto come «The Weeknd», con il quale la nostra eroina duetta lungo l’intero brano. Tuttavia, simili contaminazioni sembrano qui rappresentare poco più che esercizi di stile fini a loro stessi: così, gli inserti hip hop e i campionamenti vocali che caratterizzano i lenti Groupie Love e Summer Bummer, entrambi frutto della collaborazione con il rapper A$AP Rocky (e, nel caso di Summer Bummer, anche con Playboi Carti), appaiono come un’occasione perduta, finendo per suonare non soltanto come risaputi, ma perfino fuori luogo. Va molto meglio con un mostro sacro come Stevie Nicks, con la quale Lana duetta in Beautiful People Beautiful Problems, e con l’elusivo Sean Lennon, figlio del grande John, qui alle prese con una sorta di omaggio pseudo-beatlesiano (Tomorrow Never Came); e anche se l’ascoltatore più attento non potrà evitare di avvertire una vaga nostalgia per la tensione creativa e narrativa che aveva caratterizzato Born to Die e, in altro modo, il più recente Ultraviolence (2014), un brano come la traccia d’apertura Love – non a caso prescelta come primo singolo estratto dal CD – riconduce direttamente alle atmosfere suggestive e mollemente sensuali del passato, qui mescolate ad ana-
cronistiche speranze di una vita felice. Sulla stessa linea si può collocare anche l’autobiografico Coachella – Woodstock in My Mind, incentrato sulle sensazioni contrastanti provate durante il festival musicale del titolo, dove la visione dell’immenso e giovane pubblico presente porta a riflessioni agrodolci sulle attuali tensioni mondiali e l’oscuro futuro che incombe sulle masse festanti di quegli stessi ragazzi. Simili tracce ci portano a pensare che Lana si stia infine allontanando dallo squisito edonismo «al femminile» di classici del passato come Young and Beautiful e Brooklyn Baby per concentrarsi piuttosto su suggestioni più introspettive, come confermato, del resto, da un pezzo velatamente intimista quale 13 Beaches (quasi un possibile outtake di Ultraviolence), la cui efficacia è sminuita solo in parte dall’innegabile somiglianza ad altri sforzi di Lana. Il che dimostra come, nonostante la venatura vagamente trip hop che questo Lust for Life sovrappone al suo sound abituale, la personalità della Del Rey rimanga abbastanza forte da garantire una continuità con i lavori precedenti – facendo di Lust for Life un album godibile e maturo, nel quale la voce e capacità interpretativa dell’artista si confermano come notevoli e molto mature per la sua giovane età. Certo, la strada per raggiungere le vette delle eroine di Lana – Billie Holiday e Nina Simone, tra le altre – è ancora lunga, e senz’altro destinata a passare attraverso una minore dipendenza da un sound innegabilmente un po’ artificioso e patinato, figlio di questo nostro tempo e condito di una certa, inevitabile fatuità, destinata a non sopravvivere molto oltre il momento presente; ma resta comunque un piacere assistere all’evoluzione artistica di una personalità che, per una volta tanto, non sembra affetta dall’ansia di conformarsi a ogni costo all’abituale, banale orientamento delle odierne classifiche pop.
Il pianoforte di Boris La musica va in vacanza I l violista e accordatore di pianoforti
Boris Tarpini ama gli strumenti antichi e Arvo Pärt
Zeno Gabaglio Boris Tarpini – biografia
Nato a Mantova nel 1978 ha iniziato a studiare il violino all’età di sette anni. In adolescenza si è trasferito in Ticino continuando con lo studio della viola dapprima a Ginevra e poi presso il Conservatorio della Svizzera italiana. Attivo ad ampio spettro nell’ambito musicale ha studiato composizione con Paul Glass, suona la viola in gruppi di ambito popular (The Lonesome Southern Comfort Company e Peter Kernel & their wicked orchestra) e – dopo essersi diplomato come tecnico accordatore e costruttore di pianoforti – ha da un paio d’anni aperto un proprio laboratorio-bottega nel Bellinzonese, specializzandosi in particolare nel recupero e restauro di strumenti d’epoca. Nella valigia musicale
1. La viola – Dalle primissime note classiche fino all’ultimo concerto folk, passando attraverso gli anni di studi al conservatorio e ai dischi registrati, la mia viola è stata con me ovunque. Non l’ho mai cambiata ed è quindi su di lei che si può seguire la mia vita, dalla fine della fanciullezza all’età adulta. È l’unico oggetto in cui potrei identificarmi:
rappresenta la consapevolezza di me e porta i segni di ciò che sono stato, ricordandomelo ogni volta. È con la mia viola che si è sviluppato l’amore per gli strumenti musicali in genere, per la loro storia e per la loro costruzione. 2. La chiave per accordare pianoforti – Imparando il mestiere di tecnico e costruttore di pianoforti mi sono appassionato, approfondendolo, al mondo del suono e all’arte dell’accordatura. La chiave per accordare i pianoforti diventa ben presto l’oggetto più utilizzato: un vero e proprio ponte tra l’uomo e lo strumento. È solo attraverso quella chiave che si può raggiungere l’obiettivo ultimo, cioè la perfetta armonia – fatta di accordatura e intonazione – tra tutte le corde. E nei pianoforti moderni si tratta di circa 230 corde in un solo strumento! 3. Il pianoforte Erard – A farmi perdere la testa per gli strumenti a tastiera antichi e per il loro recupero è stato l’incontro con un pianoforte a coda Erard del 1907, che acquistai senza motivi particolari se non quello dell’urgenza – da parte del vecchio proprietario – di svuotare il proprio appartamento. Grazie a questo strumento ho conosciuto la delicatezza, la varietà e le potenzialità degli strumenti antichi rispetto
allo standard attualmente in voga. Iniziando ad appassionarmi alla storia di questo Erard si è accesa una più ampia curiosità – diventata una vera e propria fame di conoscenze – riguardo l’intera storia evolutiva del pianoforte. Una storia tecnica e artigianale che – malgrado sia lo strumento più diffuso di tutti – spesso viene travisata, mitizzata o misconosciuta dagli stessi pianisti. Perché quando Chopin componeva le sue opere, il suono che sentiva era molto diverso da quello dei pianoforti moderni. 4. Il disco «Tabula Rasa» di Arvo Pärt – Suonare o riparare strumenti non è però abbastanza. Anzi: non servirebbe a nulla se prima di tutto non adorassi ascoltarla, la musica. Un disco che ho acquistato quando avevo vent’anni e ho letteralmente consumato è Tabula Rasa di Arvo Pärt. Addirittura ne avevo acquistato due copie, per conservarne almeno una in caso di perdita. È il più straordinario gruppo organizzato di suoni mai concepito, una perfezione combinatoria ed estetica che ho riscontrato in pochissime altre creazioni musicali. E nella forza di Tabula Rasa – al tempo stesso concettuale e sensoriale – perdono di senso le etichette e le categorie, lasciando semplicemente la musica. 5. Un registratore audio portatile – Un
Musicista e accordatore: Boris Tarpini, classe 1978.
altro oggetto di cui difficilmente faccio a meno è il registratore digitale portatile, che mi dà la possibilità – oltre che di appuntare idee musicali volanti – di catturare sprazzi del mondo sonoro che incontro per strada, durante i viaggi o semplicemente ascoltando gli oggetti quotidiani, quelli che normalmente siamo abituati soltanto a guardare. Il fascino di ascoltare veramente un rumore sta lì, nella sublimazione del consueto, e catturarla in un senso musicale apre a infinite possibilità di sensi e rielaborazioni. Valigia musicale
1. La viola 2. La chiave per accordare pianoforti 3. Il pianoforte Erard 4. Il disco Tabula Rasa di Arvo Pärt 5. Un registratore audio portatile
offre uno scorcio della quotidianità in Corea del Nord
Simona Sala In questi giorni il mondo se ne sta con il fiato sospeso di fronte alle tensioni stellari tra la superpotenza statunitense e un Paese misterioso e minaccioso come la Corea del Nord. Ma se con gli USA siamo praticamente in un modo o nell’altro connessi giorno e notte, della Corea del Nord sappiamo poco o nulla. Le rare fotografie che ci giungono sono inquietanti per molti aspetti, e ogni altra forma d’arte è bandita dallo Stato. A raccontare la Corea del Nord ci provano gli altri, quelli che stanno «fuori», come ad esempio lo statunitense Adam Johnson ne Il signore degli orfani (Marsilio, 2012, Premio Pulitzer) o il sud coreano Park Chan-wook, che in Joint Security Area (2000) illustra la dolorosa quotidianità sulla linea di confine tra i due Stati. Ora però attraverso la frontiera del paese più blindato del mondo, qualcuno ha avuto il coraggio di contrabbandare un manoscritto di sette racconti scritti a matita, raccolti sotto il titolo di L’accusa (Rizzoli). Autore un certo Bandi, pseudonimo che in coreano significa «lucciola». Un piccolo faro come a suo tempo Arcipelago Gulag di Solzenicyn, cui Bandi è stato subito paragonato. Sull’autenticità della storia che sta dietro il libro, tradotto immediatamente in 15 paesi, hanno dibattuto in molti; un’analisi della lingua originale in cui è stato scritto Denuncia, dimostrerebbe però a scanso di ogni equivoco come alcuni dei vocaboli utilizzati siano in uso unicamente nella Corea del Nord. I sette racconti di Bandi si leggono d’un fiato per l’agilità con cui sono stati scritti, ma anche con un costante senso di amarezza e di soffocamento. Dalle piccole storie di gente comune raccontate con empatia, esce una quotidianità fatta di rinunce a denti stretti, di restrizioni, divieti, e del collante numero uno di ogni dittatura: la paura. D’altronde, come restare tranquilli in uno Stato che deporta un’intera famiglia solamente perché la madre si ostina a tenere le tende chiuse affinché il figlioletto, sensibile e di salute cagionevole, non abbia a vedere la spaventosa gigantografia del caro leader? O come riporre fiducia nel futuro se un povero cristo qualsiasi, desideroso di vedere per l’ultima volta la madre moribonda, si vede a più riprese negato il permesso di viaggiare? O come mettere in dubbio la potenza di una nazione che in meno di un’ora riesce a radunare oltre un milione di persone su una piazza? La tacita violenza che permea i racconti di Bandi sottintende in qualche modo a quella delle brutalità che si attribuiscono ai temuti campi di lavoro. Bandi ha la grazia e il talento di fermarsi sempre un attimo prima, ma fa male comunque, perché i suoi personaggi sono inermi e non hanno modo alcuno di sottrarsi al destino di essere nati da quella parte del confine.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Idee e acquisti per la settimana
shopping L’incomparabile sapore della luganighetta
Attualità Date più gusto alle grigliate con la salsiccia ticinese da arrostire per eccellenza! La lavorazione È la Salumi del Pin di Mendrisio ad occuparsi della trasformazione e lavorazione della carne di maiale nostrano. L’azienda vanta una tradizione che si tramanda da tre generazioni nella produzione artigianale di salumi di prima qualità. La luganighetta viene prodotta con carne suina mista macinata finemente. L’impasto ottenuto viene condito con sale, pepe, brodo e una sapiente miscela di spezie naturali. Dopo essere stata insaccata in un budello naturale e lasciata asciugare per almeno 24 ore, la luganighetta è pronta per essere fornita alle filiali Migros di tutto il Ticino.
La tradizione delle salsicce Se in Svizzera interna a farla da padrone sono bratwurst, cervelas e wienerli, salsicce la cui carne viene cotta dopo essere stata insaccata, in Ticino primeggiano invece luganighetta, luganiga e cotechino, insaccati preparati con un impasto crudo di carne di maiale. Si ritiene che queste specialità fossero già preparate fin dalla metà dell’Ottocento in occasione della mazza casalinga.
La qualità della carne
Per una perfetta cottura al grill
La carne utilizzata per la produzione della luganighetta e degli altri prelibati salumi ticinesi, proviene da suini allevati nel rispetto della specie sul Piano di Magadino, alla Fattoria del Faggio. Gli animali dispongono di ampi spazi ricoperti di truciolato di legno dove potersi muovere liberamente, come pure di luce naturale e di aria fresca. L’alimentazione è costituita da foraggi a base di cereali e leguminose.
Una gustosa grigliata non sarebbe tale senza la tradizionale luganighetta nostrana arrotolata nella classica forma a spirale. Per un sicuro e saporito risultato finale l’insaccato dovrebbe essere cotto a fuoco medio per una quindicina di minuti al massimo, girandolo spesso per evitare che bruci. Essendo già saporita, non è necessario condirla ulteriormente.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Idee e acquisti per la settimana
Ecco le prugne svizzere Attualità Buone per il palato e ottime per la salute le prugne indigene maturate al sole
sono pronte a trasformarsi in tantissime ricette. Disponibili anche in qualità bio
Altre varietà di susine disponibili alla Migros:
Ricche di preziose sostanze salutari, le susine rosse conquistano il palato con la loro polpa dolceacidula molto succosa. Una delizia al naturale, ma si prestano bene anche per confetture, crostate e squisiti piatti agrodolci.
La Mirabelle è una susina tonda di piccole dimensioni molto amata in Francia, dove viene anche utilizzata per la preparazione dell’omonimo distillato. Di colore giallo dorato, è molto profumata e possiede una polpa dal sapore delicatamente dolce.
La Plumcot è un incrocio naturale tra susina e albicocca. Ha un sapore dolce e rinfrescante. È ideale come snack, ma anche per piatti con selvaggina, salse e dessert.
Di origini francesi, la Reine Claude è una susina tonda, verde con riflessi dorati. La polpa è soda, molto succosa, zuccherina e profumata. Gli amanti delle prugne possono finalmente rallegrarsi: le deliziose prugne svizzere sono giunte sugli scaffali dei supermercati Migros. Maturate al sole e disponibili fino alla seconda metà di settembre, sono una delizia consumate fresche oppure una dolcissima ispirazione per la preparazione di ricette da leccarsi i baffi, come composte, confetture, torte, dessert… ma anche in abbinamento a molti piatti salati. Come pesche, ciliegie, albicocche e nettarine,
anche le prugne sono frutti a nocciolo, ricche di vitamine, fibre e sali minerali. Sono una sottospecie delle susine e sono note anche per le loro proprietà lassative, soprattutto se consumate secche. Le prugne rientrano nella categoria della frutta acidulo-zuccherina e, rispetto alle cugine susine, possiedono una polpa soda. In Svizzera se ne coltivano una ventina di varietà, tra le più note troviamo le «Belle de Čačak», le «Tegera» e le profumatissime «Fellenberg», rinomate
e apprezzatissime dai consumatori. Una volta acquistate, le prugne si possono conservare anche in frigorifero alcuni giorni, e prima di mangiarle si consiglia di lasciarle un’oretta a temperatura ambiente per gustarne appieno il sapore. Si possono anche congelare: basta tagliarle in due ed estrarre il nocciolo. Lavare la frutta solo poco prima del consumo. Il club culinario Migusto (migusto. ch) propone un semplice e irresistibile dessert per celebrare la stagione delle
prugne: le prugne alla cannella. Per 4 persone servono 800 g di prugne, 2 cucchiai di zucchero, 4 cucchiai di acqua e un bastoncino di cannella piccolo. Dimezzate e snocciolate le prugne. Trasferitele in una pentola con lo zucchero, l’acqua e la cannella. Portate lentamente a bollore, coprite e fate stufare dolcemente a fuoco basso per ca. 8 minuti. Se necessario, aggiungete un po’ di acqua. Togliete la cannella. Servite le prugne tiepide o fredde.
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Idee e acquisti per la settimana
Perfetti per l’asilo
Non c’è nulla di più pratico di un grembiulino quando si comincia a frequentare la scuola dell’infanzia. Questi nuovi graziosi grembiuli per bambini dai 3 ai 6 anni, oltre ad evitare di sporcare i vestiti mentre giocano, dipingono e mangiano, hanno una perfetta vestibilità. Sono realizzati artigianalmente in Italia con tessuto al 100% cotone di prima scelta. Il disegno a quadrettini con taschine laterali è un classico sempre d’attualità. Per la comodità dei nostri piccoli posseggono pure maniche con elastico ai polsi, collo alla coreana e chiusura a bottoni. Inoltre i grembiulini possono essere abbinati ad uno zainetto, anch’esso disponibile nei colori rosa e blu in morbido cotone. Entrambi i prodotti sono lavabili a 30 gradi.
Grembiulino rosa o blu (tutte le taglie) Fr. 22.80 Zainetto rosa o blu Fr. 8.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros fino ad esaurimento dello stock
Aileen e Gabriel vestono con comodità i nuovi grembiulini. (Flavia Leuenberger)
Per uno sguardo sensazionale!
Novità Deborah Milano lancia i nuovi colori della matita 2 in 1 Kajal & Eyeliner Gel Pencil
La Migros ritira le uova M-Budget
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Formula gel per un rilascio morbido a tutto colore, texture soffice e cremosa, lunghissima tenuta, waterproof e resistente alle alte temperature. Queste sono le caratteristiche vincenti della matita 2 in 1 Kajal & Eyeliner Gel Pencil di Deborah Milano, il marchio leader in Italia nella produzione di cosmetici e di prodotti per la bellezza. Il prodotto è disponibile in 6 nuove nuance alla moda
da utilizzare da sole o abbinate tra loro per un look unico e intenso da mattina a sera. L’eyeliner ha una tenuta fino a 16 ore* mentre la matita kajal 8 ore*. Estremamente scorrevole nell’applicazione, come un eyeliner liquido, il colore è «no transfer» ed evita antiestetiche sbavature. Dermatologicamente e oftalmologicamente testato. * Test clinico su 20 soggetti
In seguito alle analisi effettuate Migros ha constatato che un prodotto è contaminato da tracce di Fipronil. Nel prodotto «Uova M-Budget», confezione da 15, numero articolo 1965.005.015.00, prezzo CHF 3.30 sono state rilevate tracce dell’insetticida Fipronil. Data l’esigua quantità, ciò non rappresenta un pericolo per la salute. In via precauzionale, tuttavia, la Migros ritira le uova in questione dalla vendita. I clienti possono restituire le uova MBudget con data di scadenza indicata fino al 26.08.2017 incluso in qualsiasi punto vendita Migros e il prezzo di vendita verrà loro rimborsato. Sulla base delle informazioni attualmente disponibili, le uova svizzere e gli altri prodotti Migros non sono interessati da tale misura. La Migros è in diretto contatto con i propri fornitori e, se necessario, è pronta ad adottare le misure adeguate.
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Bio
Verdure con garanzia di qualità
Da sapere
La coltivazione di ortaggi biologici avviene con un ciclo produttivo globale dell’azienda il più possibile chiuso e naturale. Vengono utilizzati esclusivamente concimi organici, come compost o stallatico (liquame, letame). Gran parte dei concimi provengono dall’azienda stessa o dalla regione. Ciò è rispettoso delle risorse e permette un risparmio di energia.
Chi preferisce acquistare ortaggi della migliore qualità sceglie prodotti svizzeri bio. Questo perché provengono da aziende agricole le cui modalità di produzione secondo le linee guida di Bio Suisse sono garantite Testo Heidi Bacchilega; Foto e Styling Claudia Linsi
Nell’agricoltura biologica la produzione hors-sol* non è consentita. Anziché al profitto massimo, i produttori bio puntano alla qualità e ai sapori genuini. Non è ammesso nemmeno l’utilizzo di sostanze di sintesi per la stimolazione della crescita.
Concorso In palio premi per un valore totale di 11’000 franchi. Info: www.migros.ch/bio
Impegno
Gli ortaggi rientrano tra i prodotti bio più apprezzati, ma sono anche tra quelli più esigenti per il settore agricolo. L’uso di fertilizzanti e di pesticidi chimici di sintesi è vietato. I contadini bio rimuovono le erbacce meccanicamente, per combattere i parassiti e le malattie delle piante si affidano a metodi biologici e alla forza della natura. Rispetto agli ortaggi provenienti da agricoltura convenzionale, le verdure bio sono praticamente prive di residui di pesticidi, mentre il contenuto di nitrati risulta chiaramente inferiore. Per questo motivo è particolarmente idonea per una corretta alimentazione dei bambini.
Gastronomia
Gli aromi delle verdure alla griglia sono una vera prelibatezza, ma devono essere preparate nel modo giusto. Di seguito alcuni suggerimenti. Le verdure devono cuocere rapidamente e in modo uniforme. È per questo importante che la maggiore superficie possibile poggi sulla griglia, motivo per cui zucchine, melanzane, cipolle, ecc. vanno tagliate a rondelle o a fette, ma non a cubetti. Se prima della cottura al grill le verdure vengono spennellate con olio, quest’ultimo non deve disseccarsi, anche perché in tal modo le spezie aderiscono meglio. Per questo tipo di cottura sono idonei oli che sopportano le alte temperature, come l’olio di colza Holl.
* La produzione hors-sol, o fuori suolo, è un metodo di coltivazione senza l’impiego della terra o di substrati ad essa affini.
Premessa Migros lavora a stretto contatto con Bio Suisse, l‘associazione mantello dei produttori bio svizzeri. Di importanza fondamentale è il rispetto delle direttive Bio Suisse, che garantiscono un elevatissimo standard di produzione biologica per l’intera azienda agricola.
Migros contrassegna con il logo Migros Bio Svizzera tutti i prodotti bio freschi e lavorati, i cui ingredienti sono per almeno per il 90% di provenienza svizzera. Tutte le materie prime naturali utilizzate sono prodotte secondo le direttive Bio Suisse.
Parte di
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Bio
Verdure con garanzia di qualità
Da sapere
La coltivazione di ortaggi biologici avviene con un ciclo produttivo globale dell’azienda il più possibile chiuso e naturale. Vengono utilizzati esclusivamente concimi organici, come compost o stallatico (liquame, letame). Gran parte dei concimi provengono dall’azienda stessa o dalla regione. Ciò è rispettoso delle risorse e permette un risparmio di energia.
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Gli ortaggi rientrano tra i prodotti bio più apprezzati, ma sono anche tra quelli più esigenti per il settore agricolo. L’uso di fertilizzanti e di pesticidi chimici di sintesi è vietato. I contadini bio rimuovono le erbacce meccanicamente, per combattere i parassiti e le malattie delle piante si affidano a metodi biologici e alla forza della natura. Rispetto agli ortaggi provenienti da agricoltura convenzionale, le verdure bio sono praticamente prive di residui di pesticidi, mentre il contenuto di nitrati risulta chiaramente inferiore. Per questo motivo è particolarmente idonea per una corretta alimentazione dei bambini.
Gastronomia
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* La produzione hors-sol, o fuori suolo, è un metodo di coltivazione senza l’impiego della terra o di substrati ad essa affini.
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3.90 invece di 4.90 Emmentaler e Le Gruyère grattugiati in conf. da 2 2 x 120 g
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Altre offerte. Pesce, carne e pollame
Tartare di manzo, prodotta in filiale/ Svizzera, imballata, per 100 g, 3.50 invece di 5.– 30%
Cornetti alla crema, per es. 2 pezzi/140 g, 2.55 invece di 3.20 20% Gipfel al burro, Gipfel rustico e Gipfel di sils, per es. Gipfel al burro, 45 g, –.65 invece di –.85 20%
Tutto l’assortimento Candida (confezioni multiple escluse), per es. dentifricio Peppermint, 125 ml, 2.05 invece di 2.75, offerta valida fino al 28.8.2017
Cornetti al prosciutto Happy Hour in conf. speciale, surgelati, 24 x 42 g, 6.05 invece di 12.10 50% Pizza Antipasti o Salame Calabrese Casa Giuliana in conf. da 2, surgelata, per es. pizza Antipasti, 2 x 350 g, 5.90 invece di 11.80 50%
Pane e latticini
25%
Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ, al latte e alle nocciole o fondente al 72%, per es. al latte e alle nocciole, 11.10 invece di 18.50 40%
Altri alimenti
Red Bull in conf. da 12, 12 x 250 ml, standard o sugarfree, per es. standard, 14.85 invece di 20.40 12 per 9 Mais Puffs in conf. da 2, salati o senza sale, per es. salati, 2 x 50 g, 4.45 invece di 5.60 20%
Filetti di merluzzo dell’Alaska Pelican in conf. speciale, MSC, surgelati, 1 kg, 6.30 invece di 10.50 40%
Tutto l’assortimento Le Petit Marseillais (confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi 20% **
20x PUNTI
Novità
Near Food/Non Food
Palline di cioccolato Frey da 750 g, UTZ, cioccolato al latte finissimo, Giandor e Assortiment, per es. Assortiment, 11.– invece di 18.60 40% Tutto il gelato M-Classic in barattolo da 2000 ml, prodotto surgelato, per es. alla vaniglia, 3.50 invece di 5.90 40%
Tutto l’assortimento di accessori per animali Best Friend, per es. topolini dal pelo corto, 3 pezzi, 1.95 invece di 2.45 20%
Tutti gli snack per cani e gatti, per es. stick per gatti Selina con anatra e coniglio, 36 g, 1.55 invece di 1.95 20% Tutto l’assortimento Exelcat, per es. Snackies al pollo, 60 g, 1.85 invece di 2.35 20%
Salmone affumicato bio con erbe aromatiche, d’allevamento, Norvegia, 100 g, 9.50 Novità ** Rasoio da donna o testine di ricambio a 3 lame, 3 pezzi, I am Pure, per es. rasoio da donna, il pezzo, 4.90 Novità **
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Idee e acquisti per la settimana
Shop&Win
Vinci anche tu il valore della tua spesa Sono stati annunciati i primi vincitori di Shop & Win, che condividono la loro contentezza per l’inaspettata buona sorte volentieri con i lettori di Azione. Un po’ di fortuna e fino al 4 settembre ogni cliente Migros può vincere l’importo del proprio scontrino
Partecipa e vinci: www.migros/ shop&win
Alida Moreno (25) Elisa Desiderio (34)
Ingegnere informatico di Zurigo Vincita: Fr. 182.50 «Eccezionalmente abbiamo fatto i nostri acquisti settimanali di giovedì, in Limmatplatz, e in più abbiamo comperato un libro per la nostra figlia più piccola. Normalmente facciamo la spesa il sabato, per tutta la settimana successiva, e ogni volta proviamo nuovi prodotti Migros. Finora non avevamo mai vinto nulla. Per questo motivo adesso la nostra contentezza è ancora più grande. La decisione di fare la spesa già di giovedì è stata pagante».
Impiegata del commercio al dettaglio di Sursee Vincita: Fr. 10.– «Come ogni mattina mi sono fermata a prendere un caffè per fare colazione prima di andare al lavoro. Se avessi saputo di vincere il valore della spesa fatta, avrei acquistato di più. Dal momento che mi sono trasferita in Svizzera solo sette mesi fa, c’è parecchio dell’assortimento che ancora non conosco».
Maria Solidoro (82)
Pensionata di Zurigo Vincita: Fr. 10.– «Mio marito è stato in ospedale e necessitava cerotti per la sua piccola ferita. Sbrigo sempre i miei acquisti al momento. Non appena mi accorgo che ho bisogno di qualcosa, o che mi manca un determinato prodotto, vado e lo compero».
Rossana Catalano (49) Ida Dommen (65)
Impiegata a tempo parziale di Lucerna Vincita: Fr. 40.40 «Sono in partenza per le vacanze in Norvegia. Siccome mio marito resta a casa, sono venuta di corsa alla Migros a fare la spesa per lui: con queste temperature estive, gelato e caffè freddo non possono mancare. Il cioccolato l’ho comprato per la Norvegia, lo voglio portare con me. Sono molto contenta della vincita».
Impiegata di commercio di Höngg Vincita: Fr. 10.– «In realtà dovevo andare solo in banca. Poi mi è venuto in mente che non avevo più latte e pane, così ho comperato lo stretto necessario. Mi capita spesso di fare gli acquisti in questo modo, perché non pianifico mai. Ma non capita spesso che io vinca qualcosa. Nel corso della mia vita questa è solo la seconda volta che succede».
Theresia Müller Meier (72)
Pensionata di Winterthur Vincita: Fr. 116.30 «Mio marito festeggia i suoi 70 anni e io ho voluto fare gli acquisti per il pranzo del suo compleanno. Per celebrare la ricorrenza oggi avremo un taglio di carne migliore rispetto al solito, oltre a verdure e pasta. In aggiunta a tutto ciò solitamente prendo anche un buon pane. Che fortuna che io abbia vinto proprio il giorno del compleanno di mio marito!»
In questo modo il tuo scontrino vale denaro contante In palio con Shop & Win acquisti gratuiti per un valore totale di 1 milione di franchi. Fino al 4 settembre con un po’ di fortuna il tuo scontrino vale denaro.* Così puoi scoprire subito se hai vinto il valore della tua spesa Nella tua filiale Migros: dopo l’acquisto scansiona il codice a barre stampato sullo scontrino di cassa presso gli apparecchi automatici di gioco presenti nelle filiali Migros. Se nella tua filiale Migros l’apparecchio non c’è, scopri su www.migros.ch/shop&win dove si trova quello più vicino. Tramite app: avvia l’applicazione Migros e con la fotocamera dello smartphone scansiona il codice a barre stampato sullo scontrino. Sul sito internet: trascrivi i numeri stampati sullo scontrino sotto il codice a barre su www.migros.ch/ shop&win. La vincita è sempre corrisposta nella forma di carta regalo Migros direttamente presso la tua filiale. * Come partecipare gratuitamente e condizioni di partecipazione su www.migros.ch/shop&win
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Idee e acquisti per la settimana
Shop&Win
Vinci anche tu il valore della tua spesa Sono stati annunciati i primi vincitori di Shop & Win, che condividono la loro contentezza per l’inaspettata buona sorte volentieri con i lettori di Azione. Un po’ di fortuna e fino al 4 settembre ogni cliente Migros può vincere l’importo del proprio scontrino
Partecipa e vinci: www.migros/ shop&win
Alida Moreno (25) Elisa Desiderio (34)
Ingegnere informatico di Zurigo Vincita: Fr. 182.50 «Eccezionalmente abbiamo fatto i nostri acquisti settimanali di giovedì, in Limmatplatz, e in più abbiamo comperato un libro per la nostra figlia più piccola. Normalmente facciamo la spesa il sabato, per tutta la settimana successiva, e ogni volta proviamo nuovi prodotti Migros. Finora non avevamo mai vinto nulla. Per questo motivo adesso la nostra contentezza è ancora più grande. La decisione di fare la spesa già di giovedì è stata pagante».
Impiegata del commercio al dettaglio di Sursee Vincita: Fr. 10.– «Come ogni mattina mi sono fermata a prendere un caffè per fare colazione prima di andare al lavoro. Se avessi saputo di vincere il valore della spesa fatta, avrei acquistato di più. Dal momento che mi sono trasferita in Svizzera solo sette mesi fa, c’è parecchio dell’assortimento che ancora non conosco».
Maria Solidoro (82)
Pensionata di Zurigo Vincita: Fr. 10.– «Mio marito è stato in ospedale e necessitava cerotti per la sua piccola ferita. Sbrigo sempre i miei acquisti al momento. Non appena mi accorgo che ho bisogno di qualcosa, o che mi manca un determinato prodotto, vado e lo compero».
Rossana Catalano (49) Ida Dommen (65)
Impiegata a tempo parziale di Lucerna Vincita: Fr. 40.40 «Sono in partenza per le vacanze in Norvegia. Siccome mio marito resta a casa, sono venuta di corsa alla Migros a fare la spesa per lui: con queste temperature estive, gelato e caffè freddo non possono mancare. Il cioccolato l’ho comprato per la Norvegia, lo voglio portare con me. Sono molto contenta della vincita».
Impiegata di commercio di Höngg Vincita: Fr. 10.– «In realtà dovevo andare solo in banca. Poi mi è venuto in mente che non avevo più latte e pane, così ho comperato lo stretto necessario. Mi capita spesso di fare gli acquisti in questo modo, perché non pianifico mai. Ma non capita spesso che io vinca qualcosa. Nel corso della mia vita questa è solo la seconda volta che succede».
Theresia Müller Meier (72)
Pensionata di Winterthur Vincita: Fr. 116.30 «Mio marito festeggia i suoi 70 anni e io ho voluto fare gli acquisti per il pranzo del suo compleanno. Per celebrare la ricorrenza oggi avremo un taglio di carne migliore rispetto al solito, oltre a verdure e pasta. In aggiunta a tutto ciò solitamente prendo anche un buon pane. Che fortuna che io abbia vinto proprio il giorno del compleanno di mio marito!»
In questo modo il tuo scontrino vale denaro contante In palio con Shop & Win acquisti gratuiti per un valore totale di 1 milione di franchi. Fino al 4 settembre con un po’ di fortuna il tuo scontrino vale denaro.* Così puoi scoprire subito se hai vinto il valore della tua spesa Nella tua filiale Migros: dopo l’acquisto scansiona il codice a barre stampato sullo scontrino di cassa presso gli apparecchi automatici di gioco presenti nelle filiali Migros. Se nella tua filiale Migros l’apparecchio non c’è, scopri su www.migros.ch/shop&win dove si trova quello più vicino. Tramite app: avvia l’applicazione Migros e con la fotocamera dello smartphone scansiona il codice a barre stampato sullo scontrino. Sul sito internet: trascrivi i numeri stampati sullo scontrino sotto il codice a barre su www.migros.ch/ shop&win. La vincita è sempre corrisposta nella forma di carta regalo Migros direttamente presso la tua filiale. * Come partecipare gratuitamente e condizioni di partecipazione su www.migros.ch/shop&win
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 agosto 2017 • N. 33
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Idee e acquisti per la settimana
Farm Chips
Con erbe alpine In queste nuove chips si nasconde davvero molta Svizzera: le patate indigene sono aromatizzate con basilico delle alpi. Quest’ultimo viene coltivato nel Canton Berna da alcuni contadini di montagna. Ma come mai queste chips hanno un aspetto tanto rustico da sembrare fatte a mano? Le patate non sono pelate e vengono tagliate un po’ più spesse rispetto a quelle convenzionali prima di essere trasformate in croccanti chips. Le Farm Chips con basilico sono così saporite che hanno conquistato i palati degli utenti del sito «A vs. B Battle of Tastes», vincendo il confronto con la variante alla paprica. www.migros.ch/avsb
Farm Chips Basilico 150 g Fr. 2.90 Nelle maggiori filiali
Consiglio Cosa ne direste di accompagnare le nuove Farm Chips con un drink analcolico? Sminuzzare qualche foglia di basilico e shakerare con 3 cucchiai di succo di limetta, zucchero greggio e cubetti di ghiaccio. Riempire con acqua minerale, versare nei bicchieri da cocktail e servire.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Farm Chips.
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Ecco come funziona: na: a a: Pagamento dell’acconto per l’apparecchio sul posto con SmartBudget 20
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Dal 12 ottobre solo al cinema.
LEGO, the LEGO logo, the Minifigure, the Brick and Knob configurations and NINJAGO are trademarks of The LEGO Group. © 2017 The LEGO Group. All rights reserved.
In palio per tutta la famiglia biglietti d’ingresso per le anteprime Famigros il 17 settembre, l’8 ottobre e l’11 ottobre 2017 di LEGO® NINJAGO® IL FILM in uno degli 11 cinema in tutta la Svizzera. Informazioni e modalità di partecipazione su famigros.ch/cinema. Termine ultimo di partecipazione: 3.9.2017.