LUOGHI DI CURA 25
I videogiochi: realtà virtuale tra dipendenza e individuazione SERENA ORLACCHIO Psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva – IdO (Istituto di Ortofonologia) – Roma FABRIZIA SEMENTILLI Psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva – IdO (Istituto di Ortofonologia) – Roma
RIFLESSIONI SUL FENOMENO Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito nella undicesima revisione della sua International Classification of Diseases (ICD-11) il Gaming disorder, la dipendenza da videogioco, caratterizzata dall’incapacità di smettere di giocare, la crescente priorità data al gioco rispetto ad altre attività fino al punto di dare la precedenza al giocare nonostante la manifestazione di conseguenze negative, come disturbi alimentari e del sonno, isolamento familiare e sociale. I videogiochi stanno diventando la forma di intrattenimento preferita dal pubblico; aumentano i gamers e aumenta il tempo che le persone dedicano a questo passatempo. L’industria dei videogiochi, con fatturati da miliardi di dollari l’anno, ha sviluppato la competenza di stimolare comportamenti sociali, creatività e comportamenti di condivisione. L’aspetto comunitario e sociale è diventato di recente molto importante nell’industria dei videogames; si è visto che il coinvolgimento sociale ha successo di conseguenza è l’elemento che entra sempre più in gioco al momento della progettazione. Oggi non possiamo più definire i videogiochi un semplice intrattenimento, ma un vero e proprio mezzo di comunicazione, un media attraverso cui i ragazzi si conoscono, si confrontano, definiscono nuove amicizie e creano relazioni tra loro. I videogames possono quindi avere un ruolo importante di comunicazione e socializzazione. Nel Data room di Milena Gabanelli sul «Corriere della Sera» del settembre del 2018 veniva stimato il raggiungimento del numero esorbitante di 2,3 miliardi di giocatori nel mondo (la maggioranza su smartphone, ma anche su pc o consolle): il 33% della popolazione mondiale per un fatturato da 137,9 miliardi di dollari (quello del cinema ammontava nello stesso anno a 42 miliardi circa, quello della musica a 36, mentre gli smartphone da soli producevano un valore economico di 70,3 miliardi di dollari nel settore). Se questa era la situazione nel 2018, il Coronavirus ha accelerato la crescita smisurata del fenomeno. Secondo Verizon Communications (fornitore di banda larga e telecomunicazioni americano) la pandemia ha portato a una crescita del 12% del traffico televisivo digitale, del 20% del traffico internet e del 75% dell’utilizzo di videogiochi. Oggi assistiamo a un uso/abuso del gioco digitale e più in generale dei videogiochi con veri e propri quadri di dipenden-
za. La dipendenza dai videogiochi si associa frequentemente a fenomeni di ritiro sociale; ragazzi chiusi nelle proprie stanze che esercitano il loro diritto alla trasgressione indossando abiti virtuali e incontrando i pari spesso durante battaglie mitologiche. L’adolescente odierno è un nativo digitale, il che lo proietta in una condizione educativa inversa rispetto al passato: sono i ragazzi che educano i genitori a una nuova frontiera culturale, sono gli adulti che imparano dagli adolescenti, che li imitano per stare al passo con i tempi. L’adolescente si trova quindi spesso in una posizione innaturale, accompagnato da un adulto che fatica a trasmettere valori solidi e a porsi come limite. Le nuove tecnologie hanno messo in luce nuove modalità di interazioni e prodotto un mutamento radicale del processo di individuazione, compito elettivo dell’adolescente, processo che presuppone una trasformazione faticosa non esente da angosce abbandoniche. L’adolescenza, infatti, vede contrapposti due aspetti caratteristici: da un lato il bisogno regressivo di continuità con le figure genitoriali e il sacrario dell’infanzia, dall’altro il richiamo da parte della realtà esterna, del mondo dei pari, il bisogno dunque di rivendicare nuove autonomie. Tale ambivalenza si consuma in un clima di instabilità e aggressività: l’adolescente deve tenere a bada l’angoscia del reale (l’Altro), ma anche quella della morale (i genitori). Il videogioco si colloca come alternativa al pragmatismo dell’adulto e tutto sommato permette di soddisfare tutti quei bisogni fantastici di una Madre che accoglie in modo illimitato. È proprio questa difficoltà a separarsi dall’immaginario materno che definisce il fenomeno della dipendenza. Un bambino che è stato accolto adeguatamente da un ambiente in grado di muoversi insieme a lui, responsivo ai suoi bisogni simbiotici e che ha saputo introdurre frustrazioni adeguate al suo senso di onnipotenza narcisistico, entrerà in rapporto con l’oggetto percependone la separatezza e poi la possibilità di utilizzarlo senza paura di distruggerlo o di distruggersi. Il bambino sarà in grado di sostenere l’assenza dell’altro e l’angoscia di separazione e sarà proprio attraverso il gioco che accederà al registro simbolico. Allora bisognerebbe chiedersi se il digitale possa rappresentare un ponte verso l’area intermedia transizionale winnicottiana, oppure se paradossalmente attraverso la tecnologia i