Babele – anno 2021 – n. 2 (vol. 80)

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PENSARE ADOLESCENTE 56

Sui-caedere: uccidere se stessi Un malessere sociale dilagante in era pandemia FLAVIA FERRAZZOLI Psicologa, psicoterapeuta sistemico-relazionale, responsabile sportelli d’ascolto IdO VIOLA TATA Psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, IdO – Roma

L

avorare allo sportello d’ascolto nelle scuole permette di avere un’ampia finestra sul benessere, ma anche sul malessere dei giovani nella scuola. Purtroppo quest’anno, particolarmente difficile, ha evidenziato un disagio crescente negli adolescenti con un notevole aumento del numero di ragazzi a rischio suicidario. I dati raccolti con le attività degli sportelli d’ascolto ci confermano come la manifestazione del profondo malessere in cui sono calati si esterna in misura sempre maggiore con atti autolesionistici, passando da forme più leggere come l’onicofagia, a quelle più importanti come la tricotillomania, il cutting e l’ideazione suicidaria. I ragazzi fanno spesso fatica a dormire. Il loro ritmo sonno-veglia è spesso alterato, vivono molto più isolati, in profonda solitudine emotiva, condividendo spesso con i genitori, gli adulti di riferimento, difficoltà e prospettive negative simili. Questi ragazzi, che dovrebbero essere proiettati evolutivamente verso l’esterno, si ritrovano incastrati da questa pandemia internamente senza poter vivere a pieno le fisiologiche tappe evolutive. Sono stati esposti a una grave deprivazione sociale, privati del gruppo in cui dovrebbero rispecchiarsi, gli adolescenti infatti non si piacciono in generale, ma in gruppo scoprono di essere simili ai loro coetanei con cui si identificano e superano i loro disagi, ma il gruppo non c’è più stato come prima. Alcuni giovani sono piombati in una profonda depressione, privati di una pensabilità futuristica, che viene comunque dipinta dagli adulti come difficile, pericolosa o addirittura disastrosa. Altri ragazzi hanno trasformato la loro energia in profonda rabbia etero- o autodiretta, legata al vissuto di tradimento per un’adolescenza impedita, bloccata fra le mura di casa. L’incontro con l’ombra, che evolutivamente avviene in questo periodo, prende il sopravvento. L’adolescenza dovrebbe essere qualcosa di vitale e costruttivo, invece in questo periodo il mondo adulto tende a rimandare insensatezza e insignificanza, nonché una visione pessimistica del futuro. Con questo non si vuol dire che non si debba far confrontare i ragazzi con la sofferenza e la fatica, ma è la visione troppo negativa e con poca prospettiva che va ridefinita e rivista. La sofferenza aiuta a crescere; confrontarsi col dolore e gli ostacoli permette ai giovani di scoprire le loro risorse interiori e di aumentare così l’autostima, ma solo se c’è un mondo adulto in grado di contenere e rimodulare la sofferenza. Le difficoltà e il malessere del mondo adulto hanno troppo spesso amplificato e precipitato il dolore dei ragazzi. I vissuti depres-

sivi tipici della loro età non solo non sono stati contenuti e accolti, ma questo clima di tensione e limiti li ha addirittura amplificati. Da qui l’idea che non ci siano via di uscita. Le idee suicidarie, dunque, arrivano spesso per fuggire da una situazione sentita come insopportabile, ma anche come una sorta di castigo per espiare un errore, o perché non si regge il lutto di aver perso una parte di sé o ancora come passaggio che anela al raggiungimento di una condizione giudicata superiore. Il gesto suicida in adolescenza e in particolare nell’anno scolastico appena terminato, soprattutto in queste ultime settimane, prima della chiusura, appare proprio come una fuga. È l’atto finale che incarna per l’ultima volta la conclusione, l’interruzione della fluidità della vita quotidiana e dell’esperienza di studente che in particolar modo quest’anno è stata strattonata e ha subito diverse battute di arresto. Avviene un cortocircuito nei processi di mentalizzazione, un fallimento dell’elaborazione psichica. Diversi adolescenti pensano infatti al suicidio, ma non tutti lo mettono in atto. È frequente che agiti di questo tipo si verifichino maggiormente all’interno della quotidianità scolastica, e in tempi pandemici, dopo il rientro in classe. Potremmo immaginare che la riapertura e la ripresa possano aver ristabilito degli equilibri interiori. Tuttavia, nella prospettiva di chi compie il gesto estremo, prioritario sembrerebbe essere il soddisfacimento del bisogno di congedo dai pari e la possibilità di affidare al «grembo scolastico» personali concetti esistenziali. In questa prospettiva è frequente l’invio di messaggi a compagni di classe, i quali precedono l’atto in un ultimo grido di aiuto o semplicemente di condivisione nell’idea della precoce conclusione di una breve parabola sotto i riflettori dei social. Se immaginiamo la scuola come un contenitore emotivo dalle caratteristiche materne di accoglienza, dobbiamo però contemplare anche il coesistere di una «funzione paterna separatrice», che interviene sulla simbiosi genitoriale, offrendo possibilità di individuazione e ricerca di autonomia, ma anche nuove relazioni oggettuali sui cui investire. L’assenza vissuta in questi mesi ha allontanato profondamente dalla pensabilità offerta e reso maggiormente possibile la necessità di uscire violentemente dalla dimensione indifferenziata attraverso agiti sul corpo. In tal senso, l’aumento dei comportamenti autolesionistici e dei suicidi porta a dare maggior forza al suddetto concetto. Non è un caso che la frequenza di


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