l’immaginale 7
Ogni narrazione è un gioco... anche on-line RENATA BISERNI Psicologa, psicoterapeuta, psicodrammatista, associata ARPA (Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica) – Roma
Sappiamo tutti che i giochi hanno una struttura o un’immagine e che vi sono delle regole; eppure i giochi più eccitanti hanno un elemento casuale, cioè un elemento di libertà. Marie-Louise von Franz
Smart distance learning, DaD, LEaD, termini già in uso da almeno un decennio in ambito universitario, devono al Covid, accelleratore involontario dei processi tecnologici in corso, il loro ingresso rapido e pre-potente nell’uso comune e nell’immaginario collettivo. Al Covid che in una prima fase, in una seconda e sfortunatamente in una terza ne ha imposto l’utilizzo a un gran numero di studenti, compresi quelli degli Istituti di specializzazione in psicoterapia. In questa sede non dirò di quanto sia stato e continui a essere difficile, complicato, frustrante (per allievi e docenti) affrontare la didattica a distanza (qualcuno ha ridefinito l’acronimo DaD Disagio a Distanza) e neanche di come, dopo un iniziale disorientamento, in certi casi sia risultata creativa, includente, stimolante. «Paion traversie ma sono opportunità», diceva Giambattista Vico... Al di là dei differenti punti di vista condizionati dai contesti, credo sia corretto parlare di adattamento necessario imposto dalle avversità del tempo presente dove ognuno, con mezzi di cui dispone, è stato chiamato a fare la propria parte. In questo spazio desidero condividere una riflessione su come, in concreto, la smart distance learning si sia potuta realizzare, di quali attivazioni, cambiamenti di rotta, rinunce abbia avuto bisogno e, trattandosi di work in progress, quali parziali risultati abbia consentito di raggiungere. Nello specifico racconterò del laboratorio che da alcuni anni porto avanti con gli specializzandi della Scuola di specializzazione in psicoterapia IdO-MITE e gli allievi del Master biennale di psicoterapia dell’età evolutiva dell’Istituto di Ortofonologia. L’insegnamento, nato con l’intento di fornire un’area didattica esperienziale di gruppo, si è andato progressivamente strutturando intorno ad alcuni obiettivi conformi a precise (seppur non rigide) linee guida. Partendo dal presupposto che i gruppi esistono in ogni realtà organizzata e che lo psicoterapeuta per il ruolo di cui è investito è chiamato più di altri a confrontarsi con le dinamiche ad essi sottese, è evidente la necessità ancor prima dell’utilità per gli allievi di imparare a riconoscerle e a gestirle. Lo spazio didattico si configura altresì come palestra nella quale apprendere competenze per lavorare in gruppo, per il gruppo, attra-
verso il gruppo. Negli ambiti preposti alla formazione, come nel nostro caso, caratterizzati per loro natura da un’intensa comunicazione interpersonale, il gruppo è anche luogo mentale e al contempo concreto ove i soggetti possono incrementare la loro capacità di cogliere connessioni fra temi ed emozioni, fra affetti e storie, fra le dimensioni legate al ruolo e quelle connesse all’espressione del Sé. Nell’attivare sentimenti identitari di appartenenza (un buon spirito di gruppo, lo definisce Bion), il lavoro gruppale favorisce in parallelo l’emergere delle potenzialità del singolo. Tenendo poi conto della naturale tendenza all’idealizzazione, che quasi sempre si attiva nei gruppi (e che rapidamente può virare nel suo contrario), imparano a riconoscerne in vivo pericoli e limiti. Non senza tener conto dei numerosi contributi di chi, specialmente in ambiti socio-psicologici, ha studiato i gruppi (da Lewin a Bion, da Kaës ad Anzieu, includendo Foulkes e Yalom), nel nostro laboratorio vengono utilizzate in prevalenza alcune tecniche attive derivate dallo psicodramma di Jacob Levi Moreno. Universalmente riconosciuto come uno dei padri fondatori della terapia di gruppo – fu lui a introdurre nel 1932 tale espressione – Moreno pone a fondamento del suo metodo, oltre al gioco, all’incontro gruppale e al teatro, i principi di spontaneità e creatività. Secondo la sua visione la spontaneità - che della creatività è catalizzatore e matrice - agisce sempre nel presente, nell’hic et nunc delle situazioni esistenziali, spingendo l’individuo ad una reazione adeguata ad una nuova situazione o a una risposta nuova ad una situazione preesistente (Moreno, 1980). Sulle tracce di questo assunto il laboratorio si propone di condurre gli allievi ad acquisire «spontaneità creativa» e al contempo ad apprendere i rudimenti della tecnica psicodrammatica, strumento duttile e fruibile in maniera elettiva nel lavoro con soggetti in età evolutiva, sia in ambito didattico/esperienziale sia terapeutico. Di fronte alla necessità dell’insegnamento a distanza, al tempo degli inizi mi aveva colpito un’affermazione di Maurizio Ferraris. Docente di Filosofia teoretica all’Università di Torino, autore di un testo sull’argomento (Ontologia della trasformazione digitale, 2018), Ferraris, in un’intervista al quotidiano «La Repubblica», rilasciata in piena pandemia, pur dichiarandosi estimatore della smart distance learning, aveva sostenuto che non fosse adatta ai seminari, ai tirocini, e ai laboratori. Ai laboratori appunto. Come dargli torto! Venendo