Anatomia di CSI di Alessandra Salvoldi

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Alessandra Salvoldi

ANATOMIA DI CSI

Echi letterari e culturali di un fenomeno televisivo Introduzione di Alessandra Violi


Bel-Ami Edizioni s.r.l. Via Alessandro Codivilla, 10 – Roma 00152 E-mail: info@baedizioni.it – Sito: www.baedizioni.it Prima edizione Bel-Ami Edizioni: febbraio 2015 ISBN: 978-88-96289-68-6 Impaginazione: Bel-Ami Edizioni Grafica di copertina: Bel-Ami Edizioni


Re-enactments: Amleto sulla scena del crimine di Alessandra Violi

Poche serie come CSI possono dire di essere state viste anche se mai guardate. Dagli scorci interni sugli organi corporei alle traiettorie di proiettile inseguite sottopelle sino al punto d’impatto (il famoso CSI shot), dall’alta tecnologia forense usata nel crime lab per far “parlare” il cadavere fino alle meticolose ricostruzioni della scena del crimine, l’iconografia della serie ha inventato uno stile tutto suo, oramai citato senza più virgolette nell’immaginario visuale contemporaneo. Meno scontato è invece ascoltare CSI magari ritornando all’immagine dopo aver fatto i conti con la miriade di riferimenti letterari che imbevono la serie come una spugna, rendendo fra l’altro un po’ obsoleti tanti discorsi sulla fiction televisiva come “sostituto” della letteratura. Verrebbe da dire, leggendo l’appassionata ricerca di Alessandra Salvoldi, che chi le serie TV le scrive pensa più a una fertile ibridazione tra i media o tra cultura “alta” e prodotti pop – cosa ci fa Shakespeare in bocca a Gil Grissom, le opere complete sul suo tavolo? – che non a sterili antagonismi o sostituzioni, almeno negli Stati Uniti e considerando altre serie popolari di successo; si pensi a Lost, col suo pantheon di scrittori e filosofi del Settecento a rivivere il naufragio di Robinson Crusoe su un’isola deserta, riletto a emblema dell’apocalisse post 11 settembre. Anche CSI ha dunque in memoria altri testi e mondi fittizi, i miti greci, la Bibbia, Shakespeare, Sade, Baudelaire, Bataille e infiniti altri, senza contare le prime Rue Morgue del genere investigativo, le scene del crimine di Poe, Conan Doyle, o, nella commistione tra documento e fiction tipica della nostra epoca, 5


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Truman Capote. Un intricato sotterraneo di rimandi letterari e culturali che questo volume attraversa senza affatto smorzare la potenza visiva della serie, se mai al contrario, aprendola a nuove piste d’indagine, un po’ come accade ai corpi che CSI disseziona perché raccontino una storia diversa, un’altra versione di ciò che appare in superficie. Provo allora ad aggiungere altri due percorsi, azzardando l’ipotesi che la scena del crimine di CSI cominci da una casa di bambole e finisca con Amleto. Gli appassionati di CSI ricorderanno senz’altro uno dei serial killer più sconcertanti della serie, Natalie Davis, il “killer delle miniature” che tormenta Grissom e la sua squadra d’investigatori per tutta la settima stagione. Scene del crimine in scatola, minuscole case di bambola riprodotte con meticolosa fedeltà di dettagli, piombano tra le sofisticate apparecchiature del laboratorio forense e annunciano che qualcosa sta per succedere agli originali di quei pupazzetti, le vittime seriali di Natalie Davis. È una sfida al team da parte di macabri giocattoli che una donna ha “costruito per uccidere” (come recitano i titoli dei primi due episodi), e niente potrebbe stridere più di questi falsi modellini con il mito dell’high-tech a servizio della Verità che ha decretato il successo internazionale della serie, scatenando addirittura negli spettatori l’ormai studiatissimo “ effect”, l’aspettativa che la scienza forense reale funzioni davvero come in CSI. Effetto Holmes, lo chiama giustamente Salvoldi, di una fiction che si riversa nel sociale e che dai tempi di Sherlock Holmes, prototipo dell’investigatore “scientifico”, incoraggia il pubblico a confondere finzione e realtà, il criminologo immaginario e il tribunale dietro l’angolo. Ma una miniatura, specie se rimpicciolisce la scena di un delitto a gioco per bambini in una serie che alla Crime Scene Investigation deve tutto, ha l’aria di una presa in giro, e non a caso alla killer delle miniature è assegnato un ruolo di antagonista, di “doppio” irriverente di Grissom e delle sue ipertecnologiche ripetizioni del crimine, “costruite per catturare” i colpevoli e redimere il sociale anziché per uccidere. Per Natalie Davis si tratta invece di un gioco privato: i teatrini sono altrettanti piccoli scenari allestiti per il suo irrazionale bisogno di rievocare un trauma infantile, quel peculiare tipo di ricordo così scioccante per chi l’ha vissuto che 6


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la memoria non trova immagini per esprimerlo, sebbene tenti di rappresentarlo retroattivamente mettendolo continuamente in scena con false ripetizioni, ricostruzioni fittizie. Una paradossale memoria del futuro (“ricordare ciò che sarà”, lo chiama Salvoldi) che Natalie Davis affida appunto ai suoi giocattoli, ognuno dei quali ripete il suo trauma alla presenza di una bambolina-testimone, Natalie in miniatura. Lo scontro tra verità scientifica e ricostruzione soggettiva, mondo reale e modellino fittizio non potrebbe essere più lampante, se non fosse che in quelle case di bambola sta raccontando la propria memoria. La “morte in un guscio”, Nutshell Studies of Unexplained Death, è, infatti, il suggestivo nome di diciotto modellini di scene del crimine costruiti negli anni 1940 dall’ereditiera americana Frances Glessner Lee, allo scopo di addestrare lo sguardo degli allora aspiranti investigatori, poliziotti e medici legali dell’Università di Harvard a riconoscere indizi sul luogo del delitto. Siamo agli albori della scienza forense, i coroner hanno da poco l’obbligo di una laurea in medicina, e gli spazi in cui avvengono le morti violente sono pieni di tracce impercettibili che nemmeno la Polizia sa osservare né tantomeno preservare; non esiste insomma ancora la “scena del crimine”, la demarcazione ritualizzata di uno spazio fisico come zona d’informazione, e Glessner Lee, legata al Dipartimento di Medicina di Harvard per tradizione familiare, decide dapprima di inaugurare degli speciali seminari di medicina legale sulle tecniche d’investigazione – il primo raduno degli Harvard Associates in Police Science è del 1945 –, a cui fa seguire la brillante idea di costruire scene del crimine in miniatura da usare come strumenti didattici per i partecipanti al seminario. I Nutshell Studies of Unexplained Death, le morti inspiegabili racchiuse in un “guscio di noce”, sono dunque le prime CSI della storia investigativa americana, minuscole “installazioni”, le chiameremmo oggi, che replicano, sin nei particolari più microscopici, interni piccolo-borghesi, squallide stanze o pensioni che Glessner Lee immagina teatro di morti violente, crimini che lei stessa reinventa mescolando fonti documentarie – casi di cronaca, fotografie giudiziarie, stralci d’interrogatori, rapporti di po7


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lizia e documenti medico-legali – per poi rimetterli in scena in case di bambola, perfette in ogni dettaglio: piccolissimi manichini delle vittime assemblati da pezzi diversi, i loro volti cadaverici dipinti a mano personalmente da Lee che oltretutto ne cuce o lavora a maglia abiti e accessori, mette in funzione le lampadine e gli elettrodomestici, chiude vera biancheria in armadi lillipuziani, e dissemina infiniti dettagli insignificanti di vita quotidiana – un bicchiere rovesciato, cassetti aperti, veri chicchi di caffè nel bollitore – che un’attenta analisi trasformerà in prove o indizi per la soluzione del crimine. Come Glessner Lee spiega in un articolo del 1952 per il Journal of Criminal Law and Criminology, le miniature non sono “whodunits” per indovinare il colpevole, ma veri e propri modellini scientifici, “esercizi nell’arte di osservare, interpretare, valutare e fare rapporto”, utili a coordinare per la prima volta il lavoro di forze dell’ordine, pubblico ministero e medici legali nel nome di un’“instancabile ricerca dei fatti […] una costante e continua ricerca della verità.”1 Siamo insomma di fronte a una serie CSI in nuce: abolita la figura dell’investigatore dall’acume eccezionale, Glessner Lee immagina un team di esperti raccolto attorno a un evento che non esiste ma sarebbe potuto accadere, e sposta l’intera risoluzione del crimine sull’arte di osservare e analizzare una scena, una zona colma di informazioni che occorrerà semplicemente far parlare.2 L’ascolto dei testimoni, la ricerca del movente, la confessione, in breve, tutti i fattori umani e soggettivi che avevano contraddistinto l’investigazione classica della morte violenta, passano così improvvisamente in secondo piano. Quel che conta è l’evidenza concreta delle prove indiziarie, il racconto silenzioso di una realtà materiale – corpo della vittima compreso – che, se esaminata attentamente e correttamente, condurrà da sola alla Verità. Un modello che l’odierna “macchina per guardare” di CSI ha elevato a mito culturale del nostro tempo, con miliardi di spettatori in 1 F. Glessner Lee, Legal Medicine at Harvard University, “Journal of Criminal Law and Criminology”, 42 (5), 1952, pp. 674-78, p. 676, 678; corsivo originale nel testo. 2 Le miniature degli anni ’40 mantengono ancora oggi il loro valore pedagogico: custodite a Baltimora, nel Dipartimento di Medicina legale del Maryland, sono regolarmente usate nei Seminari dell’HAPS per l’addestramento degli scienziati forensi.

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tutto il globo pronti a osservare, attraverso una scatola televisiva, una squadra di esperti forensi intenta esclusivamente a osservare. Sulla storia di Frances Glessner Lee, la donna delle miniature educata dal paternalismo del tempo a costruire giocattoli per brave bambine con cui finisce per inventare la scena madre della criminologia moderna, ci sarebbero ovviamente molte cose da dire, lei stessa è uno spaccato delle micro-sovversioni di genere nell’America degli anni Cinquanta, le donne che s’insinuano in territori maschili usando le armi della femminilità più tradizionale. E i suoi sinistri giocattoli sono anche il primo segnale che il crimine sta per confondere definitivamente la scena pubblica e quella privata, penetrando i recessi più intimi della casa fin oltre le pareti del corpo, dentro le arterie e i paesaggi d’organi che ormai in CSI si confondono con le mappe delle città ferite dalla violenza, il corpo della nazione americana come unica, grande scena del crimine messa sotto osservazione. Più interessante però è il fantasma delle case di bambola in CSI. Se è vero, come sostengono alcuni,3 che la killer delle miniature è un omaggio della serie televisiva alla sua antenata, perché rimettere in scena la propria origine in veste di brutto ricordo, farne il prodotto di una psicopatica da stanare e mettere sotto custodia? Chi ha riscoperto di recente i modellini dei Nutshell ne parla effettivamente come di una messinscena “sfiorata dalla pazzia […], macabra e malata”, che ricorda la “folle ritualità dei serial killers” o le grottesche sculture dei surrealisti, tra le bambole di Bellmer e i mondi in scatola di Duchamp o Cornell.4 Mentre la CSI di oggi promuove lo sguardo neutro e analitico della scienza forense sulla realtà del crimine, le miniature appaiono cioè troppo compromesse con l’arte, giocano al ‘come se’ fosse una scena 3 K. Ramsland, The Truth in a Nutshell: The Legacy of Frances Glessner Lee, “The Forensic Examiner”, Summer 2008, p. 20. 4 Nel 2004, le miniature hanno attirato l’attenzione di una fotografa d’arte, Corinne May Botz, che ne ha tratto uno splendido volume illustrato, raccontandone la storia con un occhio particolare alle questioni sociali e di genere – gran parte delle vittime scelte da Glessner Lee erano donne – che esse racchiudono. Le citazioni sono tratte dall’Introduzione di R.B. Woodward e dal testo della stessa Botz in Nutshell Studies of Unexplained Death, The Monticelli Press, New York 2004, p. 11, p. 34. Si potrebbe anche osservare che Natalie (Zemon) Davis è il nome di una storica contemporanea, di cui è nota la predilezione per le ‘microstorie’ come quella di Martin Guerre.

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reale, nell’evidente consapevolezza che gli indizi non parlerebbero se il crimine non fosse ricostruito in un diorama, messo in scena in un ‘modellino’ del suo funzionamento. Le miniature sono insomma piccole incorniciature del mondo, congegni per mappare, raccontare, figurare, congetturare un evento passato – l’atto criminoso, la morte violenta – che di per sé resterà sempre irripetibile: la ‘scena del crimine’ può darsi, infatti, solo a posteriori come falsa ripetizione, in una copia che crea l’originale. E CSI lo sa: per questo il crimine indagato in ogni puntata è collocato prima degli opening credits, ossia fuori dal perimetro dell’investigazione forense, e l’intera serie è ossessionata dai modi del flash back, del déjà vu, della ripetizione. Da effetti che cercano cause. Ed è sempre per questo che la killer Natalie Davis può anticipare ogni suo omicidio con una scena del crimine in miniatura, suggerendo che la previsione degli effetti modella addirittura l’azione criminosa. Le case di bambola sono allora “pericolose” perché svelano le regole del gioco,5 mostrano il processo estetico dietro la presunta “religione della scienza” di CSI e ne minacciano simbolicamente l’ideologia, quel culto dell’osservazione oggettiva, non mediata e ipertecnologica della scena del crimine che la serie offre come panacea alla società contemporanea traumatizzata dalla violenza. La critica ha suggerito che il “realismo forense” oggi dilagante in molte serie televisive americane – si pensi, oltre a CSI, a Bones (2005) e Body of Proof (2011-2013) – sia una risposta di ordine immaginario alla “cultura della ferita” che contraddistingue la nostra epoca, terrorizzata e insieme attratta dalla morte – si veda, in questo volume, la polemica sul CSI-shot come forma estrema di pornografia –, e talmente pronta a identificarsi nelle immagini di corpi vulnerabili, intimamente esposti alla violenza, da trasformarli in un collante sociale, le miriadi di spettatori che guardano CSI nel ruolo vicario di vittime, testimoni, investigatori di una scena del crimine che coincide ormai “con i confini del campo sociale moderno”.6 A questa comunità che si aggrega attorno a 5 Un’analoga passione per i ‘modellini’ caratterizza d’altronde il serial killer Ripley ideato da Patricia Highsmith, che in Il gioco di Ripley mette in scena per l’appunto la passione di Ripley – re-play – per le miniature, emblema che il crimine stesso è concepito come gioco e messinscena. 6 M. Seltzer, True Crime. Observations on Violence and Modernity, Routledge, London, 2007, p. 16.

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una ferita collettiva, il “realismo forense” promette che una miscela di medicina legale e tecnologia consentirà di ‘ritornare alla scena del crimine’, ossia di ri-costruire i corpi, sanare le ferite, risarcire le vittime, tornare all’ordine. Promette in sostanza una terapia, un effetto CSI che tuttavia ha la medesima struttura dei traumi che dovrebbe guarire, finge un ritorno alla scena del crimine laddove, come per il trauma di cui soffre Natalie Davis, ci sono solo ripetizioni, ricostruzioni fittizie, re-enactments. Questa “gemellarità fra il traumatico e il forensico”,7 il sintomo e la cura, è forse all’origine delle fertili contraddizioni che, per via di echi culturali, percorrono la serie televisiva e ben al di là del suo messaggio, solo all’apparenza confortante, ne fanno una sofisticata riflessione sulla natura ambigua della violenza nell’orizzonte mediale contemporaneo. Molte di queste contraddizioni sono esplorate in questo volume: il fascino per la carne informe contro l’imaging asettico delle endoscopie mediche, il cadavere-spazzatura contro il corpo-archivio che costruisce una storia, l’erotismo sadiano contro la psicoterapia, o il Gil Grissom fanatico dei parchi di divertimento, che oltretutto da bambino giocava con le bambole. A ribadire il suo legame con Natalie Davies-Frances Glessner Lee, che “costruire per salvare” e “costruire per uccidere” rispondono in fondo alla stessa logica della (messin)scena del crimine. Lo Shakespeare prototipo di Grissom che Alessandra Salvoldi rintraccia in queste pagine, mostrando una CSI che rifà Macbeth o Romeo e Giulietta, non è quindi solo un pretesto postmoderno per riciclare la letteratura “alta”, ma una rivisitazione di Amleto come autore di CSI. All’origine di Amleto, lo si ricorderà, una morte inspiegabile, un assassinio commesso prima che la tragedia cominci e l’avvio di un’investigazione post-mortem, lo spettro del padre di Amleto che chiede al figlio giustizia per il proprio omicidio. Davanti a un evento traumatico di natura davvero fantasmale, Amleto cerca indizi, raccoglie prove ed escogita il suo diorama in miniatura: ricostruisce la scena del crimine come finzione, recita di attori su un palcoscenico dentro al palcoscenico. È una piccola “trappola 7 Ivi, p. 140.

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per topi”, un modellino che ripete un originale che non c’è, ma che avrà effetti sulla ‘realtà’, permetterà di osservare dettagli, distribuire colpe, stabilire i fatti, arrivare alla Verità. Sanare, anche in Amleto, il corpo sociale. Alla fine della tragedia Amleto morente passa il testimone all’amico Orazio, Grissom cede il posto a Horatio Caine, perché racconti la sua storia e la messinscena continui.

Alessandra Violi è Professore Straordinario di Letteratura e Cultura Inglese presso l’Università degli Studi di Bergamo. Già membro, dal 2000 al 2005, della Scuola di Dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità dell’Università degli Studi di Bergamo, dal 2006 è entrata nel Dottorato in Teoria e Analisi del Testo, di cui è divenuta coordinatore nel 2011. Dal 2008, coordina, presso il Centro Arti Visive dell’Università, il centro di ricerca sull’immagine “Punctum”, dedicato allo studio dell’immagine in chiave intermediale e multidisciplinare. È stata responsabile scientifico di diversi progetti di ricerca nazionali e internazionali, e nel 2006-2007 membro del progetto europeo ACUME 2 sul tema “Interfacing Sciences, Literature and the Humanities”. Dal 2004, coordina per la Bruno Mondadori la collana di antropologia dell’immaginario Locus Solus, e collabora con accademie e scuole d’arte e di teatro(come l'Accademia delle Belle Arti di Firenze e la Scuola Paolo Grassi di Milano) nell’elaborazione di progetti transdisciplinari sui temi della corporeità. Le sue ricerche vertono sugli intrecci fra letteratura, estetica e scienze umane, con particolare attenzione all’immaginario medico e nello specifico alla scienza dell’anatomia e della neuropatologia, su cui ha pubblicato i volumi Le cicatrici del testo (Bergamo, 1998) e Il teatro dei nervi (Milano, 2004). Ha scritto inoltre monografie sul tema del corpo come medium (Le impronte dell’aria, Bergamo, 2008) o come materiale artistico-antropologico (Capigliature, Milano, 2008), e svariati articoli su scienza e occultismo, dalla ricerca psichica nell’Europa fin de siècle fino a Lombroso e la medianità. Attualmente si occupa del tema del magico fra estetica, scienza e cultura visuale in epoca moderna. 12


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Echi letterari e culturali di un fenomeno televisivo



Capitolo 1

Tell me, who are you?

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“The tension between the power of the image and the power over the image is […] the continual tease of the programme.” (Karen Lury, 2005)2

1. C.S.I. – Crime Scene Investigation: genesi di un fenomeno C.S.I.: Crime Scene Investigation debutta per la prima volta sui canali della televisione americana il 6 Ottobre del 2000, e si configura subito come un fenomeno mediatico mondiale basato sull’analisi fredda e ravvicinata del lavoro dei tecnici della polizia scientifica di Las Vegas. Una fama, questa, che è presto confermata dalla nascita di due spin-off di altrettanto successo, C.S.I: Miami e C.S.I.: NY. La serie originale CSI doveva, inizialmente, essere prodotta da una collaborazione tra la CBS e la Touchstone, la quale però rifiuta il progetto ritenendolo di scarso successo e cede il posto alla Alliance Atlantis, una casa di produzione canadese, piuttosto eclettica e innovativa. I principali creatori della serie sono Anthony E. Zuiker, che aveva alle spalle modesti lavori e un unico massiccio impegno di produzione in The Runner (1999), e Carol Mendelsohn, anch’ella con un passato di scarsi successi ad eccezione di un intervento degno di nota nella sceneggiatura di Melrose Place. La regia è affidata a Danny Cannon, il quale fino allora era ricordato solo per l’eccezionale fallimento al botteghino

1 “Tell me, who are you?” è il martellante ritornello della canzone dei The Who, Who are you, sigla di tutte le 13 stagioni di CSI. 2 Derek Kompare, CSI, Wiley-Blackwell, 2010, p. 20.

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del film Giudice Dredd (1995) con Sylvester Stallone.3 Nessuno, visti gli scarni e poco rassicuranti curricula delle tre principali menti creative della serie tv e il rifiuto della Touchstone, avrebbe mai creduto all’enorme popolarità che CSI guadagna di lì a poco. Dalla messa in onda del primo episodio a oggi, lo show non ha mai abbandonato la top-five dei programmi polizieschi più visti degli Stati Uniti. Circa un anno dopo CSI raggiunge ventotto paesi, tra i quali l’Italia, e in ognuno di essi guadagna il medesimo successo. Inoltre dal 2000 a oggi CSI: Crime Scene Investigation non ha mai perso lo smalto, nonostante i numerosi cambi di cast e le tredici stagioni sulle spalle. CSI non è solo molto amata dal pubblico ma anche dagli studiosi soprattutto di ambito scientifico, sociologico e legale, in quanto le indagini e le deposizioni in aula degli esperti forensi sono descritte con un crudo ma efficace realismo: dalla raccolta delle prove all’interrogatorio del sospettato, passando per una meticolosa autopsia, ci si attiene alla scientificità reale di un team d’investigatori forensi. Un esempio sono i numerosi scritti pubblicati sulla rivista Crime, Media, Culture,4 che riguardano non solo gli aspetti tecnici, collegati alla serie, ma anche i riferimenti sociologici e culturali della stessa. L’emblema sicuramente più evidente dell’influenza che CSI ha avuto sugli studiosi si riscontra in abito giuridico, dove è stato coniato un vero e proprio termine il “CSI effect”. Il termine viene proposto e adottato di comune accordo tra le massime autorità legali e i mass media, per indicare una presunta influenza che gli spettatori della serie televisiva subiscono e che manipola il giudizio degli stessi relativo all’ambiente della polizia, della legge e della criminalità, nella loro vita quotidiana. Un accento particolare è posto sull’atteggiamento dei membri della giuria che guardano questo show e che quindi sentono il costante bisogno di prove forensi e riscontri scientifici e li esigono anche quando ricoprono questo importante e delicato ruolo istituzionale. I giurati che 3 Michael Allen, Reading CSI: Crime TV Under the Microscope, I. B. Tauris, London, 2007, pp. 3-7. 4 “Crime, Media, Culture”, è un importante rivista internazionale che tratta di criminologia e dei suoi legami con le culture; la sua pubblicazione è curata e revisionata da Chris Greer, City University London, UK e Mark Hamm, Indiana State University, USA.

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subiscono l’“effetto CSI” vengono considerati, talora, più vulnerabili alle malizie degli avvocati della difesa che sfruttano questo costante desiderio di dimostrazioni forensi a favore del proprio imputato.5 Questo breve esempio evidenzia come una serie televisiva abbia saputo influenzare e affascinare la cultura popolare e la comunità scientifica. Sarebbe scorretto ritenere che CSI non abbia antecedenti; per quanto riguarda l’ambito televisivo sicuramente sono degni di nota gli intramontabili episodi di Law and Order, la breve ma intensa fiction sempre della CBS, Diagnosis Unknown (1960) e Quincy (1976-1983).6 Meno evidenti risultano però essere i fitti legami che CSI instaura con testi letterari di spicco internazionale, con l’ambiente cinematografico e musicale. Questi temi, spesso accennati, o trattati in maniera frammentaria sono l’oggetto di questo compendio. Per una questione pratica gli episodi presi in analisi vanno dal numero uno, il famigerato “Pilot”, già diventato un cult per i fan, all’episodio dieci della stagione nove, in quanto in questo intervallo la squadra resta immutata e consolida degli schemi tipici della detective story classica. Un episodio classico di CSI ha un plot piuttosto codificato. Prima degli opening credits, lo spettatore vede uno dei crimini che verranno presi in analisi durante la puntata commesso da un ignoto; in seguito gli investigatori arrivano sulle varie scene del crimine e danno un fugace sguardo al cadavere, o al luogo del reato; sigla, al rientro gli investigatori analizzano minuziosamente le prove tra scena del crimine e laboratorio, da qui in poi le varie scoperte vengono rese con piccoli flashback del momento in cui il reato viene compiuto. Viene eseguita l’autopsia, si iniziano a richiedere i primi mandati, e vengono effettuati i primi interrogatori sino alla scoperta del colpevole. Ogni episodio è indipendente da tutti gli altri, con un caso diverso, e sono limitati i rimandi tra le varie puntate e le molteplici stagioni. 5 Tom R. Tyler., Viewing CSI and the Threshold of Guilt: Managing Truth and Justice in Reality and in Fiction, “Yale Law Journal”, 115, 2006 pp. 1050-1085. 6 David D. P. Pierson, Evidential Bodies: The Forensics and Abject Gazes in CSI: Crime Scene Investigation, “Journal of Communication Inquiry”, 34, 2010, p. 184.

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A ben notare, CSI risulta pensato su due livelli. Il primo, più superficiale, si rivolge allo spettatore che una sera ogni tanto si accosta a un tipo di intrattenimento diverso, e, senza bisogno di aver seguito un’intera stagione o un filone narrativo di lungo periodo, comprende subito i cardini dello show: una classica detective story, con ogni episodio che prevede un crimine diverso, un diverso svolgimento ed è comprensibile indipendentemente dalle altre puntate come un contenitore stagno; questo diversifica molto la fiction poliziesca dalle serie televisive drammatiche, di avventura e mediche che hanno bisogno di una visione in continuità. CSI non si ferma però solo a questo livello e ne innesta uno più profondo, quello dei rimandi, che potremmo classificare di due tipi: uno è quello della personalità e dell’intimità degli investigatori che è limitato e strisciante e che è comprensibile sono grazie ad una visione in continuità senza impedire la comprensione del singolo episodio; il secondo è quello che si rifà all’ampio patrimonio culturale internazionale, alla letteratura, al cinema, alla musica, e che solo una ricerca premeditata e studiata può far emergere in uno spazio non frammentato ma omogeneo e ben radicato. Alcune altre coordinate generali, che emergeranno in maniera più compiuta nei seguenti capitoli, riguardano l’ambientazione. CSI si svolge a Las Vegas non solo per questioni puramente pratiche (Anthony E. Zuiker ha sempre vissuto nella città del Nevada), ma anche perché risulta essere un luogo molto interessante per tre aspetti principali: in primo luogo, Las Vegas è la moderna “Sin City”, un’ideale città del peccato e della trasgressione, dove i crimini più efferati e stravaganti sono all’ordine del giorno e non stonano con il contesto; inoltre è circondata da territori spettacolari e caratteristici dello scenario americano filmico classico, quali i deserti e le grandi catene montuose di roccia; infine, è una città nata nel sangue “della vecchia Las Vegas”, figlia dei gangsters come molte altre città statunitensi.7 Per quanto riguarda il cast fisso è bene fornire un breve profilo dei personaggi principali presenti nelle nove stagioni oggetto 7 Kompare, CSI, op. cit. pp. 38-54.

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di ricerca di questo compendio tralasciando figure cardine dello show che appaiono nel proseguimento della serie, due per tutti il Dr. Raymond Langston (Laurence Fishburne, st. 9-11) e D.B. Russell (Ted Danson, st. 12-15). Gilbert Gil Grissom (William Petersen) è il Supervisore del turno di notte della scientifica di Las Vegas. Egli è chiaramente la diretta connessione con l’archetipo del detective, e in lui si riconoscono le caratteristiche di grandi investigatori come il Tenente Colombo, Poirot, Holmes e Dupin. È una figura colta, e per la sua creazione non sono state usate solo le caratteristiche dei detective più famosi della storia ma anche di personaggi biblici, shakespeariani, e capisaldi della letteratura e del cinema. La sua specializzazione nella squadra è l’entomologia e un altro carattere che lo contraddistingue è l’amore per il macabro, l’orrido e l’informe.8 Catherine Willows (Marg Helgenberger) è l’assistente di Gil Grissom e anche il suo alter-ego; meno razionale e più passionale, ha un carattere di perfetto comprimario con il suo Supervisore. Questo introduce un tratto di modernità assoluta, un investigatore in rosa perfettamente capace e abile come i suoi compagni uomini. Non siamo più nella dimensione delle mogli, invisibili ma argute, di Maigret e del Tenente Colombo, perennemente in ombra a causa della loro femminilità, ma essenziali, talvolta, per la risoluzione dei casi dei mariti. Catherine Willows ha sempre dominato in un ambiente maschile, prima come showgirl e poi come poliziotta. Questa figura femminile è anche il link più evidente con i gangster “della vecchia Las Vegas”, che ha frequentato nella sua torbida attività precedente tanto da scoprirsi infine figlia di uno di loro.9 Sara Sidle (Jorja Fox), pur non avendo un ruolo di potere come la Willows, è comunque una valida portavoce della femminilità nel difficile ambiente, storicamente maschile, della criminologia. Dopo essere rimasta vittima di una pericolosa serial killer, lascerà il team durante l’ottava stagione. 8 Ibidem, pp. 59-63. 9 Ibidem, pp. 64-68.

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Warrick Brown (Gary Dourdan), pur essendo forse l’unico vero personaggio con il carisma, l’intelligenza e le capacità di Gil Grissom, deve fronteggiare alcune problematiche caratteriali e nella vita personale, che saranno causa della sua morte e uscita di scena a cavallo tra la stagione otto e la nove. A causa dei suoi trascorsi non potrà mai guadagnarsi la posizione di leader che Grissom gli aveva sempre promesso e garantito; un aspetto interessante è il fatto che Warrick sia un detective afro-americano, una rarità nella storia dell’investigazione televisiva e letteraria.10 Nick Stokes (George Eads) è un investigatore semplice come Sara Sidle e Warrick Brown, e incarna fisicamente e psicologicamente il classico investigatore della televisione: fisico possente, attraente, allenato, competente ma talvolta insicuro. Nella squadra tenta costantemente di impressionare Grissom, come un vero Watson, ma spesso fallisce, pur rimanendo un ottimo allievo. Questo personaggio subirà un vero e proprio riassestamento a cavallo tra le stagioni cinque e sei, durante le quali resterà vittima di un pericoloso folle.11 Greg Sanders (Eric Szmanda) vivrà un vero e proprio “romanzo di formazione” durante le prime nove stagioni, nelle quali risulta davvero essere il Dottor Watson a fianco di veri e vari Holmes e pronto a spiccare il volo. Egli passerà da tecnico di laboratorio, adolescenziale e immaturo, a membro della squadra a pari dignità degli altri componenti. 2. CSI: figlio della letteratura Ogni lavoro televisivo, cinematografico o letterario della modernità inerente alle tematiche della criminalità e dell’investigazione non può che rivolgersi ai maestri assoluti del giallo; anche CSI risente nella creazione dei plot e dei personaggi dei grandi giallisti della storia, in particolar modo di Edgar Allan Poe, con il quale ha in comune anche la passione per il mistero e l’or10 Ibidem, p. 74. 11 Ibidem, pp. 75-76.

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