Con tre dita puoi solo giocare a bowling di Giovanni Di Muoio

Page 1

Con tre dita puoi solo giocare a bowling


Ricordando Aldo

Ci sono posti al mondo dai quali non c’è fuga. Stanze come questa, nelle quali restano le nostre rappresentanze, i nostri uffici doganali.

(Pasquale Panella da “Stanze come questa”. Brano tratto dall’album “Hegel” di Lucio Battisti, 1994)


Con tre dita puoi solo giocare a bowling

Normale non lo sono stato mai. Questione di comportamenti e giudizi troppo spesso affrettati ma, come tutti, avevo due mani. Due bellissime mani, questo mi dicevano, ma poi le cose sono andate precipitando e ora ecco quello rimane della mia mano destra. Scusate se rido ma è che proprio non riesco a fare diversamente. Rido e sono anche felice. A modo mio lo sono. Se ne sono andate una alla volta, come ospiti di una festa di compleanno. Sto parlando delle mie dita. Ma non tutte. Me ne sono rimaste due. Mi bastano. Il primo dito, l’ho perso per un’improvvisa e irreversibile mancanza di fiducia nei confronti della vita. Ma sbagliavo, perché la vita è soltanto una torre saracena fatta di uomini impilati come bicchierini da caffè monouso, un gioco forse, ma faticosissimo perché vorrei vedere voi a tenere sulle spalle un impiegato in mocassini e 24 ore, intendo dire valigetta e giornale. E un altro ancora che ti mette un piede sulla testa, lo stesso piede che un attimo primo ha ciaccato una cacca di pechinese a forma di Girella. Avrei voluto spostarmi, giuro, ma era tutto così complicato e sono solo riuscito a gridare aiuto e a estrarre dalla tasca non certo un cutter, quello avrei voluto, ma il mio dito indice per puntarlo dritto verso quel groviglio umano, chiassoso e disordinato come sa essere soltanto un asilo nido. Avrei voluto dire basta, e ancora basta, con le mani nei capelli ma le mie mani reggevano altre mani e altri occhi mi guardavano ed erano occhi di un feroce pitbull. Perché la vita altro non è che un pitbull senza museruola e se tu provi a puntare un dito verso qualcuno non hai via di scampo, 13


Giovanni Di Muoio

lo perdi il dito. Ti viene tranciato senza che esca un solo rivolo di sangue. Un po’ come recidere un gambo di sedano. Da quel giorno imparai tante cose per esempio a non accusare più nessuno, a dire sempre di sì e a sopportare con dignità le persone appollaiate come civette sulle mie spalle-comò. Nascondevo la mia mano senza dito come a nascondere un passato che non si vuole ricordare. Ed ero geloso delle altre mie quattro dita. La sera, tornando a casa, me le guardavo e pensavo di essere in fondo un uomo fortunato. Le curavo, mille attenzioni, persino le unghie tagliate con geometrica precisione. Poi un giorno è arrivata lei. È entrata nella mia vita facendo due piani di scale a piedi perché l’ascensore era rotto. Questo l’avrà innervosita suppongo. Sapete quelle storie che nascono male e finiscono peggio? Il nostro fu un amore nervoso o meglio nodoso come un secolare albero d’ulivo. Successe una sera, mentre facevamo petting tentando di sbrigare burocratiche faccende di sesso, la solita storia trita e ritrita dei preliminari, tutto secondo manuale. Un po’ freddo a pensarci. Lei rideva e piangeva, sbalzi d’umore o la cipolla di Tropea, non lo so, fatto sta che nel momento di sua massima eccitazione lei contrasse i muscoli delle labbra, piccole e grandi, e come una tronchese in dotazione ad un elettricista mi tranciò di netto il dito medio. Immaginate me ora. Con una mano sanguinante e non certo per una rottura cruenta dell’imene ma per un dito che non c’era più e tanta fu la rabbia e la disperazione che mi tuffai dentro di lei nella disperata ricerca di recuperare il maltolto. Ma non ci fu nulla da fare e iniziai a piangere come un bambino al quale è caduto un gelato al cioccolato. Per la verità le chiesi spiegazioni di quel folle gesto e lei mi disse, tra il riso e il pianto: «Troppo diversi io e te, eppure ti ho amato, in qualche modo ti ho amato, e non potevo lasciarti così per cui ho deciso che tu rimarrai per sempre dentro di me, devi essere contento di questo». «Contento un cazzo!» le dissi. «Ringraziami, avrei potuto staccarti dell’altro». E così la donna-tronchese se ne andò, col mio dito tra le labbra. 14


Con tre dita puoi solo giocare a bowling

Da allora vivo con tre sole dita. Ma la mia vita è cambiata in meglio. Ora sono un uomo realizzato e voglio spiegarvi il perché. In un bar, dove la sera mi rifugiavo a fare gargarismi col Southern Comfort, un barista di 50 anni e di cinque figli mi disse che se lui avesse avuto tre sole dita non avrebbe fatto altro che giocare a bowling. Per tutta la vita. E così feci. Me ne andai in una sala da 16 piste, calzai delle scarpe comode e scelsi una palla fucsia. Ci misi mezz’ora ma alla fine la trovai. Le mie tre dita si incastrarono alla perfezione nei buchi che sembravano disegnati attorno alla mia mano. Un’improvvisa energia si sprigionò dalla palla e mi attraversò il corpo come un proiettile di Magnum 44, che è una pistola non un gelato come erroneamente si è portati a pensare. Feci il primo tiro senza neanche guardare verso i birilli e fu subito strike. E poi un altro tiro, e un altro ancora, strike su strike, gli applausi della gente. Un fenomeno da baraccone. Non ebbi praticamente più avversari, nessuno che riusciva a tenermi testa. Tre dita avevo ma era uno spettacolo vedermi. La gente faceva la fila per assistere alle mie partite e io buttavo giù i birilli come a scacciare cattivi pensieri o mosche appiccicose. Quando uscivo per tornare a casa portavo la palla con me e tutti a farmi i complimenti divisi equamente tra me e la palla. Io ripetevo serio che in fondo la mia vita oggi è una palla. E la gente annuiva. Ripeteva e si convinceva che la vita è davvero una palla. Al ristorante me la coccolavo, sistemata sulla sedia accanto con tanto di tovagliolo, ed ero contento, capite? Anche quando i bambini mi chiedevano se potevano accarezzarla. Quasi come se fosse un cane. Dico i bambini ma anche gli adulti non resistevano nel toccarla. Ma io di questo ero un po’ geloso perché temevo che a furia di accarezzarla si potesse consumare. E così fu. Un giorno un birillo rimase in piedi e io, senza scompormi, mi sfilai la palla dalle dita, mi tolsi le scarpe e prima di guadagnare l’uscita estrassi dalla borsa una mezzaluna di quelle che servono a preparare il battuto per il soffritto e con un colpo 15


Giovanni Di Muoio

ben calibrato mi tranciai l’anulare per avere finalmente un motivo per non tornare più a giocare e per non cedere alla tentazione di infilarmi un anello dorato con sopra incisa una data. Ora vivo con due sole dita, il pollice e il mignolo. Ci vivo bene. Posso simulare un telefono e chi ha avuto l’occasione d’incontrarmi mi avrà di certo visto che ridevo mentre parlavo con i miei amici virtuali. In questo modo posso dire quello che mi passa per la mente senza preoccuparmi di eventuali conseguenze. Mi guardano e pensano che io sia pazzo a passare le mie giornate su questa panchina con le orecchie incollate al mio cordless artificiale fatto di pollice e mignolo e moncherini. E li sento anche quando mi passano accanto e mi dicono “Poveretto”. Io rido e un po’ li capisco perché a differenza loro non mi arrivano bollette stratosferiche, non compro schede prepagate, e soprattutto non ho l’esigenza di cambiare il mio apparecchio con cadenza quindicinale. Ho smarrito anche il mio disdicevole egoismo perché, se qualcuno mi chiedesse ora di prestargli il telefono, lo farei volentieri. Brano vincitore della Targa “Versolingua 2003” come migliore opera originale al Concorso Nazionale “Container”.

16


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.