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Dalle disfunzioni familiari ai crimini violenti
Vincenzo Mastronardi, psichiatra e criminologo clinico, spiega come l’infanzia può scatenare l’omicidio
PSICOLOGIA
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«La dipendenza eccessiva da qualcuno può portare al reato». Vincenzo Mastronardi, psichiatra e criminologo clinico – già direttore della cattedra di Psicopatologia forense presso l’università di Roma La Sapienza – racconta la storia di criminali che erano bambini trascurati, o troppo considerati dai propri genitori.
«Come noi, i bambini osservano, hanno paura di quello che potrebbe accadere. Saranno adulti con ‘danni’. Ogni caso interagisce in maniera diversa con il passato e il futuro».
Il professore ritorna sugli assassini che ha visitato in carcere. Il primo caso è quello di Mario Calderone: 1996, Civitavecchia. Con una lama da sub, Calderone uccide le sue tre figlie e, poi, prova ad ammazzarsi. «Un family mass murder. L’assassino è dipendente dalla famiglia, coccolato e viziato dalla nonna. Poi si appoggia alla moglie, ma quando questa muore di cancro, si perde, ha una visione pessimistica di sé, del mondo e del futuro». Così decide di uccidere, per recidere quel legame che, nella sua mente, lo teneva in vita. È la sera dell’omicidio. Calderone accende la tv, si sintonizza sul film Ghost. «Mia moglie l’ho vista lì, era affianco a me», riferisce al professore. «Dopo l’omicidio, Calderone accende un accendino, si accerta che le figlie siano morte. I profumi delle zie sparsi sulla coperta provocano del fumo. L’uomo non riesce a respirare più. Mi racconta che prova a uccidersi, ma non sente dolore. Apre la finestra, si affaccia».
Il professore imita un respiro affannoso, quello che gli ha riprodotto Calderone. Il suono emesso «attira l’attenzione di un infermiere che in quel momento stava rientrando a casa». Così sopravvive. «Come Calderone anche Pietro Maso, l’uomo che ha ucciso i suoi genitori, è una persona che ha un passato di dipendenza, ma dagli amici. Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato aiutano Maso a uccidere la sua famiglia «un peso da sopportare». «Il padre è ricco, ma non considera i bisogni adolescenziali del figlio e spende tutti i soldi in una decina di campi coltivati a vigneto. Maso passa dal soddisfare i suoi bisogni a quelli degli altri. Si ispira a «Don Johnson, il vice poliziotto della serie Miami Vice». Vuole «la sua Ferrari, i suoi vestiti firmati». Poi comincia ad aiutare i «giovani devianti». «Avrai molti psichiatri, tutti d’accordo sul disprezzo nei tuoi confronti», il professore legge uno stralcio della «lettera scritta da Maso a Foffo» che uccise, insieme a Marc Prato, Luca Varani. Sei anni fa, Varani veniva ammazzato a Roma, con «100 colpi, tra coltellate e martellate».
Questa volta è la droga, la «circostanza criminale» che precede il delitto. Una «relazione occasionale» unisce i criminali contro la vittima. «‘Papà non hai capito niente, andavamo in giro per trovare qualcuno da ammazzare’ dice Foffo al padre. Come nell’authority killing, l’assassino vendicativo verso le autorità, non c’è il rapporto tra le persone, ma c’è un solo emblema da colpire». ■