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San Frediano, la ferita e i gappisti
I rapporti dell’Oltrarno con il regime fascista e come questi portarono all’efferato eccidio di Piazza Tasso
Le case in San Frediano sono strette e lunghe, si incastrano tra di loro come in un puzzle e si adattano alla perfezione con il dedalo di stradine che è l’Oltrarno. I balconi in San Frediano non esistono, ma ai suoi abitanti non è mai servito guardare fuori dalla finestra per saper vedere oltre.
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Negli anni Trenta e Quaranta del Novecento il mestiere più diffuso è quello dello sceglitore: orde di ragazzini battono le strade in cerca di stracci, pezzi di metallo e di carta da portare nelle botteghe. È un quartiere malfamato, ma in cui c’è un grande senso di comunità e attecchiscono le varie sfumature del pensiero della sinistra italiana. Dal mazzinismo, passando per il socialismo, fino al comunismo che avrà un grande ruolo nella storia politica del quartiere durante il fascismo e nella lotta per la liberazione di Firenze. Durante l'epoca fascista il capoluogo toscano è una città doppia: «Per
Firenze si parla di due estremi – spiega Carmelo Albanese, storico e collaboratore dell’Istituto della Resistenza toscana – Erano presenti i picchiatori del regime, quelli che avevano fatto la marcia del ’22, ma anche alcune delle forme di resistenza più significative al fascismo, come il caso di San Frediano».
Nonostante i tentativi di infiltrarsi nell’associazionismo di quartiere e nei sindacati in fabbrica, il rione dell’Oltrarno non abbassa mai la guardia.
Quando l’avvento del regime sembrava ancora un incubo, si era distinto per i tumulti che seguirono l’omicidio del socialista Spartaco Lavagnini e, anche durante il ventennio, al fascio fiorentino il controllo sulla popolazione scivolava via facilmente. Dopo l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, l’Oltrarno si risveglia con il suono dell’Internazionale e di lì a breve iniziano ad agire, come in tutta Firenze, i Gruppi di Azione Patriottica (GAP), coordinati da Alessandro Sinigaglia, nome di battaglia «Vittorio».
Non ci vuole molto prima che San Frediano venga identificata come il luogo in cui molti gappisti si rifugiano. Giunti all’ultima boccata di fumo, i vertici cittadini del fascismo decidono di punire quel quartiere che ha resistito fin troppo.
È il 17 luglio 1944: il giorno in cui la polvere da sparo fa scomparire l’odore dei tigli.
L’eccidio di Piazza Tasso
La Gusciana, com’era chiamata anticamente la piazza, negli anni Quaranta non era rigogliosa come è oggi. Non c’erano gli alberi e la superficie era di terra fine, simile a polvere.
Alle sette di sera del 17 luglio 1944, Ivo Poli è già sporco e sudato. Sta giocando ad acchiappino con un amico quando parte la prima raffica di mitra. Gli uomini di Bernasconi, direttore del dipartimento investigativo di Firenze, stanno per perdere il controllo della città e decidono di lasciare un biglietto d’addio.
Scendono dal Poggio Imperiale e attraversano il viale che da Porta Romana arriva in Piazza Tasso. Il coprifuoco è alle 20 e le persone sono scese di casa per frescheggiare aspettando di rincasare per cena. Saltano giù dalla camionetta e sparano. La seconda raffica è quella che uccide Ivo Poli, che era riuscito ad arrivare sull’uscio di casa, tra le braccia della madre. Insieme a lui perdono la vita anche Umberto Peri, Aldo Arditi, Iginio Bercigli e Corrado Frittelli.
La spedizione punitiva continua con un rastrellamento che porterà alla morte di altre 17 persone, fucilate tra il 23 e il 24 luglio alle Cascine. Solo quattro di loro sono gappisti, responsabili a vario titolo degli attentati che dal dicembre 1943 colpivano con regolarità le forze nazifasciste, tutti gli altri sono civili.
La coda dell’attentato di Piazza Tasso colpisce tutti, come spiega il professor Albanese: «Ci sono dirigenti socialisti e comunisti, c’è perfino un prete che si chiamava Don Emilio Molari. La particolarità è che vengono colpiti anche persone da sempre inquadrate nel regime, ma che avevano disertato la Repubblica di Salò e renitenti alla leva». L’eccidio del 17 luglio è l’ultimo atto di un potere arrivato al capolinea, che ha vissuto con disagio i mesi precedenti, caratterizzati dalla guerriglia urbana e dall’insicurezza creata dai comunisti.
Prima e dopo il 17 luglio
La furia di Bernasconi e dei suoi si spiega con il nervosismo dato dallo sfaldamento delle difese del fascio fiorentino, corpo ormai estraneo di una città che non vedeva l’ora di tornare ad essere libera. Il primo attentato dei GAP è con- nel quartiere assume una consistenza tale che il Comitato di liberazione nazionale toscano converge sull’Oltrarno una delegazione che coinvolge tutti i partiti antifascisti». tro il colonnello Gobbi, viceammiraglio del Comando delle Forze Armate, nel dicembre 1943. Ad ogni azione i fascisti rispondono rastrellando, torturando e, se trovati colpevoli, fucilando.
Proprio per questa loro dimensione, mentre gli Alleati, passando per l’Impruneta e i colli del Chianti, si accingono ad accerchiare le forze nazifasciste, i gappisti di San Frediano, in particolare quelli della divisione garibaldina «Arno», fin dal 5 agosto 1944 iniziano a condurre da soli l’azione di bonifica della città, cercando di stanare i franchi tiratori, cecchini che non avevano seguito i tedeschi nella ritirata aldilà del fiume e sparavano su tutto ciò che si muoveva.
«Il vero momento che ha rilevanza per l’eccidio di Piazza Tasso sono gli scioperi operai del marzo 1944, che in Oltrarno trovarono un grande supporto. Infatti, San Frediano di lì a poco è oggetto di altri due rastrellamenti precedenti quello di luglio. «Nonostante questo –spiega Albanese – la lotta di liberazione
«L’11 agosto, ben prima che gli Alleati entrino in città, i partigiani della divisione Arno hanno assunto il controllo della città e instaurato una giunta comunale che comprende un sindaco socialista, un vice sindaco comunista e uno democristiano: era la prima volta che una città si liberava, in un certo senso, da sola» spiega Albanese.
Nonostante la Battaglia di Firenze termini il primo settembre, con la cacciata dei tedeschi da Fiesole e Sesto Fiorentino, i primi segnali di ritorno alla democrazia vengono conquistati grazie alla riottosità e al coraggio di un quartiere sempre ostile al fascismo, e che storicamente «era stato centrale anche nel tumulto dei Ciompi, perché sempre allergica al potere», chiosa Albanese. ■
1. Monumenti ai partigiani caduti di San Frediano e piazza Tasso
2. Drappo del monumento in ricordi ai partigiani caduti
3. Targa commemorativa delle vittime dell'eccidio in piazza Tasso