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La scuola ai tempi dell’AI
La sempre maggiore diffusioni di strumenti di Intelligenza Artificiale impone di ripensare i metodi di lavoro in classe
di Silvano D'Angelo
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Il moderno sapiente non è quello che ha tutte le conoscenze, ma quello che sa dove andarle a cercare. Un detto entrato in crisi il 30 novembre 2022, il giorno in cui OpenAI ha rilasciato al pubblico ChatGPT. Con l’intelligenza artificiale abbiamo a disposizione strumenti che non ci mettono più soltanto le informazioni a disposizione, ma le ricercano e le organizzano su nostra richiesta. La novità ha generato panico diffuso nel comparto scuola, che già immagina un futuro immediato in cui i ragazzi fanno fare i compiti all’Intelligenza Artificiale senza imparare più niente.
Insegnanti di tutto il mondo si sono divisi tra chi ha chiesto misure drastiche per impedire agli studenti l’accesso a questi strumenti e chi, partendo dall’assunto che fuggire dal progresso non ha mai prodotto buoni risultati, ha invece individuato la necessità di abituare alunni e professori a lavorare con l’AI.
«Ciò che affascina è la possibilità di operare a diversi livelli, dal brainstorming alla sistemazione editoriale», spiega Sergio di Sano, docente di Psicologia dell’Educazione all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti.
Come per tutti gli altri strumenti la differenza la fa il modo di usarlo: «La chat può aiutare a pensare, ma la parte originale ce la mette l’utente. L’uso “stupido” è farle una domanda e accettare acriticamente la risposta, più efficace può essere farle dare tre risposte a uno stesso quesito e poi usarle per fare una sintesi o scoprire nuovi spunti».
Dal punto di visita dello studente, la chiave è quindi l’uso critico dello strumento, tenendo presente che «la scuola non è un posto dove si va per imbrogliare, ma per ottenere nuove conoscenze».
Compito del docente è quello di sviluppare una cultura che dia meno importanza al voto e di più alla capacità di ragionamento. Inutile dunque contrastare strumenti che a breve entreranno in classe di forza.
«Quello che cerco di insegnare ai miei ragazzi è che la chat non è la Bibbia e prima di utilizzarla va addestrata con fonti certe, come il libro di testo», racconta Alessandro Cerritelli, professore di musica di una scuola media, spiegando che gli alunni devono imparare a riconoscere limiti ed errori della chat e a quel punto possono usarla per compiti di sistemazione grafica o editoriale.
L’altro aspetto in cui l’AI può aiutare i docenti è l’integrazione: «La chat risulta molto utile per gli alunni NAI (Nuovi arrivati in Italia) perché li aiuta a superare le difficoltà dovute alla scarsa conoscenza della lingua, come mi è successo con una piccola rifugiata ucraina».
«L’AI permette anche di sviluppare metodi didattici interattivi che stimolano l’interesse dei ragazzi con disabilità cognitive, oltre ad offrire strumenti di assistenza vocale», aggiunge Alessandro Cerritelli. «La cosa fondamentale è che questi strumenti contribuiscano a superare le disparità e non rischino invece di aumentare il divario tra chi ha maggiori disponibilità di strumenti informatici a casa e chi ne è sprovvisto».
Anche per questo all’interno del PNRR sono stati stanziati oltre 1,7 miliardi per le Next Generation Classrooms, una missione che mira a sviluppare 100.000 classi interattive e fornire ai ragazzi gli strumenti per apprendere le nuove professioni digitali.
Magari il sapiente del futuro (o del presente?) sarà quello capace di dare i giusti prompt alla macchina. ■