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Sport
Wallabies, un salto nel calcio più intelligente
CALCIO Una startup italiana utilizza l’intelligenza
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artificiale per fare scouting calcistico. Invece degli occhi, sono gli algoritmi a trovare i campioni del domani
di Jacopo Vergari «Un osservatore e Lorenzo Ottaviani robotico produce una lista di giocatori che passa da 70 mila profili a 10 in meno di un minuto. Invece di guardare video su video, è la macchina a trovarli per voi». Parola di Luigi Libroia, fondatore e CEO di Wallabies, startup nata nel 2016 che aiuta le società di calcio a scovare nuovi talenti. Come? Utilizzando l’Intelligenza Artificiale (IA) a supporto degli osservatori. Perché oggi la ricerca dei futuri campioni passa anche attraverso milioni di dati.
Ex commercialista, si occupava della valutazione di aziende calcistiche, dagli immobili al marchio, fino ai calciatori. «Per farlo ho pensato di paragonare un giocatore con profili simili, i cui valori fossero già noti». Si tratta quindi di estrapolare le caratteristiche di un dato atleta e ricercarle in altri, per comprendere lo spessore di quelle prestazioni. Tutt’altro che semplice, perché le variabili sono tante ed è complicato capire quali pesino di più. Ed è qui che entra in campo l’Intelligenza Artificiale.
«Dopo aver creato algoritmi di machine learning, li abbiamo utilizzati per ottenere un giudizio oggettivo di tutti gli atleti. Ma in quel momento ci siamo accorti di aver fatto qualcosa di più: la macchina non restituiva solo la loro valutazione, ma anche una lista di calciatori con caratteristiche simili». Tutto questo è stato possibile perché gli algoritmi erano stati impostati su 7.000 variabili, quelle che descrivono il giocatore durante una partita di calcio. «Un tackle non è sempre uguale all’altro, dipende da quello che è successo prima e dopo. Se un intervento difensivo fosse il preludio a un assist per un gol, quel tackle assumerebbe valore».
Dal Sassuolo all’Atalanta, diverse le società di Serie A che hanno iniziato a guardare con favore questo modo di fare scouting.
Un’attenzione cresciuta nell’ultimo anno, anche a causa della pandemia: «Non potendo andare allo stadio come prima, sono aumentate le piattaforme video per osservare i giocatori, così come l’analisi dei dati derivante dalle prestazioni in campo».
Wallabies non fornisce il nome di un singolo giocatore, ma elenchi che rispettano le caratteristiche indicate. L’Intelligenza Artificiale permette questo e molto altro, grazie alla continua evoluzione del fenomeno: «Se ne parla tanto, ma in realtà solo nell’ultimo periodo si sta accelerando. E ancora oggi è sfruttata in maniera parziale, almeno nel calcio. Una forma di IA che in futuro avrà un incremento esponenziale è la raccolta dati, fondamentale per costruire algoritmi efficienti». «Ad oggi è fatta in maniera semi-automatica - continua Libroia - perché la Computer Vision (l’insieme dei processi che creano un modello approssimato del mondo reale a partire da immagini bidimensionali) non è ancora precisa nelle mischie. Ad esempio, sui corner le tecnologie fanno ancora fatica a distinguere i calciatori. Un giorno, quando la Computer Vision sarà più solida e tutto sarà automatico, si troveranno sistemi migliori per rilevare dati, che permetteranno di realizzare algoritmi ancora più precisi. Sarà una grande evoluzione per il calcio e tutti gli sport».Sul tema, l’Italia è più indietro rispetto al resto d’Europa: «Abbiamo notato alcune differenze con Inghilterra e Francia. Ci sono squadre che utilizzano i dati, altre non vogliono sentirne parlare. Noi arriviamo dopo per quanto riguarda l’analisi dei database. Il problema è che spesso si confonde la statistica con l’Intelligenza Artificiale, si pensa che basti lavorare un po’ di dati per affermare che si usano sistemi tecnologici.
All’estero alcune società hanno team di data-scientists, mentre in Italia si preferisce ancora l’occhio». Non è dello stesso avviso Attilio Olivieri, talent scout di settant’anni, quaranta passati a bordo campo, che di computer e Intelligenza Artificiale parla controvoglia: «Possono essere utili per una selezione. Le statistiche sono numeri freddi, appiattiscono, mettono sullo stesso piano dieci giocatori solo perché hanno cifre simili. E chi stabilisce quale sia il più bravo? Poi sono ridondanti. Se hai capito che uno ha certe doti, non ha senso specificare quanto spesso ripeta il gesto tecnico o segni. Ma soprattutto manca la prospettiva. Non si può dire che un ragazzo ne dimostri una percentuale. O ce l’ha o niente». ■