6 minute read
di Chiara Sgreccia
Il corpo, uno spazio condiviso
LIBRI Un'analisi storica, culturale
Advertisement
ed etica del concetto di immunità e di come gli uomini hanno provato a raggiungerla
Eula Biss è una scrittrice americana. Insegna alla Northwestern University e i suoi precedenti libri hanno vinto numerosi premi, tra cui il National Book Critics Circle Award per Notes from No Man’s Land. Immunità è stato un successo di pubblico e critica, tradotto in oltre dieci lingue e segnalato tra i migliori libri dell’anno da New York Times e Publishers Weekly.
di Chiara Sgreccia
Metafora: processo espressivo per cui un vocabolo è utilizzato per indicare non i referenti propri ma un altro referente ad essi legato da un rapporto di similitudine.
É il nostro corpo ad offrici la materia con cui comporre le metafore di cui abbiamo bisogno perché quello che siamo determina la visione del mondo che abbiamo, e le metafore condizionano il pensiero e l'azione. È inevitabile, quindi, per Eula Biss, autrice di Immunità. Vaccini, virus e altre paure, che la figurazione di un ago che entra nella pelle e che inietta una sostanza estranea nel corpo crei un’immagine forte, capace di condurre fino allo svenimento. Una metafora che spaventa, che porta alla mente pensieri di violenza, corruzione, contaminazione.
Ciò che preoccupa dei vaccini non è quello che c’è dentro - non il pericolo quantificabile - ma l’alone di paura - incommensurabile - che abbiamo costruito intorno, a cui ci siamo affezionati. Timori che derivano dalla storia, dall’economia, dalla società, da miti e incubi, da cui non sappiamo come allontanarci. In quest’ottica rifiutare la vaccinazione è un atto di resistenza a un sistema corrotto dalla stampa inaffidabile e dagli interessi delle industrie farmaceutiche. Non c’è un'altra ragione per credere che la vaccinazione possa essere più pericolosa della malattia.
Dalla mitologia greca, alla letteratura sui vampiri, al racconto delle epidemie di peste e vaiolo ma anche conversazioni, fatti di cronaca, vissuto personale. Biss parte dalla sua esperienza di madre, dalle domande che si è fatta, dalle decisioni che ha dovuto prendere, per comporre un’indagine gentile delle dinamiche del vivere collettivo. Un'analisi calma e consolatrice dell'agire degli uomini e delle scelte che compiono in vista di un fine che non è isolato ma condiviso perchè i nostri corpi non sono proprietà singole di cui disporre a piacimento ma sono costitutivamente legati, interdipendenti dal punto di vista biologico, culturale, sociale. Ogni corpo ha una responsabilità verso l'altro tanto che, per Biss, l'immunità è una relazione di dipendenza. Dopo che un numero sufficiente di persone è stato vaccinato, il virus ha difficoltà nel passare da una persona all'altra, risparmiando sia i vaccinati che i non. La maggioranza si vaccina per proteggere una minoranza vulnerabile.
Il libro di Eula Bliss, inserito dal The New York Times tra i migliori libri dell'anno nel 2014, oggi che cerchiamo di riequilibrare la dimensione del vivere collettivo scossa dalla pandemia, è più che mai attuale. ■
Immunità. Vaccini, virus e altre paure di Eula Bliss. Tradotto da Albertine Cerutti, uscito in Italia il 21 gennaio 2021 per Luiss University Press, 188 pp.
Un libro per riflettere
di Eula Biss I timori connessi ai vaccini non paiono placarsi facilmente, a dispetto di un’importante serie di analisi sui rischi e sui benefici che ci rassicurano sul fatto che i benefici sono di gran lunga superiori ai danni. Gli effetti collaterali gravi delle vaccinazioni sono infatti rari. È tuttavia difficile quantificare con esattezza quanto raramente si manifestino, anche perché molte delle complicanze associate ai vaccini sono causate dalle infezioni naturali che quei vaccini dovrebbero prevenire. […]
“Le percezioni del rischio, ossia i giudizi intuitivi che le persone esprimono a proposito dei pericoli del loro mondo” osserva lo storico Michael Willrich, “possono resistere caparbiamente alle prove presentate dagli esperti”. Tendiamo a non temere le cose che hanno maggiori probabilità di farci del male. Andiamo in giro in automobile, e lo facciamo tanto. Beviamo alcolici, usiamo la bicicletta, stiamo troppo tempo seduti. E coviamo ansie riguardo a cose che, statisticamente parlando, presentano un rischio ridotto. Abbiamo paura degli squali, quando, in termini puramente numerici di vite perse, le creature più pericolose sulla terra sono probabilmente le zanzare.
“Le persone sanno quali pericoli causano parecchie morti e quali poche?” si chiede il giurista Cass Sunstein. “No, non lo sanno. Così prendono enormi cantonate”. Sunstein riprende questa osservazione da Paul Slovic, autore di The Perception of Risk.38 In uno studio che confrontava varie cause di morte, Slovic ha scoperto che la gente tende a credere che gli incidenti siano più letali delle malattie e che l’omicidio provochi più decessi del suicidio, mentre in entrambi i casi è vero il contrario. Da un altro studio, risulta che le persone sovrastimano in modo significativo i tassi di mortalità di pericoli di cui si parla molto e con enfasi, come il cancro o i tornado.
Sull’esempio di Sunstein potremmo dire che la maggior parte della gente semplicemente si sbaglia a proposito dei rischi. Tuttavia, la percezione del rischio potrebbe non riguardare tanto il pericolo quantificabile quanto invece la paura, che è incommensurabile. Sui nostri timori influiscono la storia e l’economia, il potere o lo stigma sociale, i miti e gli incubi. E, come succede con le salde convinzioni, siamo loro affezionati. Allorché ci imbattiamo in un’informazione che contraddice ciò di cui siamo convinti, ha constatato Slovic in uno dei suoi studi, tendiamo a mettere in dubbio l’informazione, piuttosto che noi stessi.
Il New York Times riferisce che le biciclette “sono coinvolte in più incidenti di qualsiasi altro prodotto di consumo, ma che i letti sono per pochi casi al secondo posto”. Questo non suscita in me allarme, sebbene io faccia frequentemente uso sia di letti sia di biciclette. Porto mio figlio nel seggiolino posteriore della bicicletta e gli permetto di dormire nel mio letto, nonostante una campagna di informazione abbia prodotto dei manifesti che mostrano un bambino dormiente, un coltello da macellaio e una frase che ammonisce: “Può essere altrettanto pericoloso se tuo figlio dorme con te”. Il disinteresse per il rischio che le ricerche riscontrano in gente come me potrebbe essere, almeno in parte, dovuto alla riluttanza a vivere una vita condizionata dal pericolo. Dormiamo con i nostri figli perché i benefici che ne derivano, a nostro modo di vedere, hanno maggiore importanza dei rischi. La nascita di mio figlio, che ha esposto la mia salute a un pericolo maggiore di quello che avevo preventivato quando sono rimasta incinta, mi ha fatto rivalutare l’idea che esistono rischi che val la pena di prendersi. Un’amica i cui figli sono ormai cresciuti mi ricorda che “avere bambini è il più grave rischio che si possa correre”. “Forse ciò che importa” riflette Sunstein, “non è se le persone abbiano ragione a proposito dei fatti, ma se sono spaventate”. [...]
“Il corpo ci fornisce materia per le nostre metafore” scrive James Geary nel suo studio I Is an Other. “E le nostre metafore ci predispongono a un certo modo di pensare e di agire”. Se la nostra visione del mondo origina dal corpo, è inevitabile che anche le vaccinazioni assumano un valore simbolico: l’immagine di un ago che fora la pelle iniettando una sostanza estranea direttamente nella carne è talmente forte da provocare, in alcune persone, lo svenimento. In un simile gesto leggiamo metafore spaventose, addirittura sconvolgenti, che quasi sempre richiamano un’idea di violazione, corruzione, contaminazione. ■