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Cala il sipario sotto le bombe

A distanza di un anno dallo scoppio della guerra, il tenore dell’opera di Kiev racconta di come la musica lo abbia sempre sostenuto

TEATRO ok più o meno, siamo sfiniti, andiamo a dormire e domani… chissà – Buonanotte».

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Al teatro dell’Opera di Leopoli in Ucraina, il 19 febbraio 2022 calava il sipario rosso e Taras Berezhansky accompagnava con la voce l’ultima nota sulla Bohème di Giacomo Puccini. Cinque giorni dopo, il 24 febbraio, ebbe inizio la guerra e la musica della nazione venne sostituita da sirene assordanti, bombe e urla di terrore.

«Ci sono esplosioni ovunque, ma stiamo bene. Abbiamo dormito in un parcheggio sotto terra, eravamo al sicuro, ma per strada è molto pericoloso». Il messaggio di Berezhansky, tenore dell’opera di Kiev, arrivò in redazione il 25 febbraio 2022 all’alba, questa data segna il secondo giorno dell’invasione russa in Ucraina.

Il 5 marzo Taras mandò una fotografia, lo scatto lo ritraeva sulla neve al buio, pronto a salire in macchina, il baule carico di casse d’acqua, pane e biscotti «non ho potuto rispondere fino ad oggi, la situazione è grave e questa sera lascerò la mia capitale, Kiev, a causa della guerra, dei bombardamenti. Se non mi senti… pace per tutti». Il viaggio durò tre notti, poi l’arrivo. Lui, sua moglie e la figlia raggiunsero finalmente Leopoli, città al confine della Polonia. «Siamo arrivati, tutto

Seguirono nove giorni e nessun aggiornamento, fino a quando, il 14 marzo, squillò il telefono. «Questo posto non è più sicuro dobbiamo scappare, ma non ho posto dove andare». Poi… ancora il silenzio fino al 29 marzo quando, all’improvviso, lo schermo del cellulare si accese: «sono ancora a Leopoli, oggi ho imparato a sparare, non è andata male. Ho provato sia le pistole che il kalashnikov. Se il mio Paese dovesse chiedermelo, mi unirò all’esercito, devo affinare la tecnica per sferrare colpi precisi, mortali se necessario». Oggi Taras preme il grilletto veramente e non solo per gioco. «Prima quando mi facevano usare le mitragliatrici sul palco come oggetto di scena non sapevo neanche come impugnarle», confessa.

L’Opera non lo ha mai abbandonato e con la speranza che un giorno potesse tornare sul palco, Taras si riuniva nei bunker insieme agli altri tenori del teatro. Scaldavano la voce, gonfiavano il diaframma e improvvisavano i concerti per i rifugiati: Wolfgang Amadeus Mozart, Richard Wagner e Giuseppe Verdi.

«Per le prime tre settimane non ero nella condizione psicologica di fare musica, dovevo aiutare gli altri, poi ho pensato che volevo riavvicinarmi alla vita che avevo prima e che dovevo continuare a esercitarmi nell’eventualità di tornare a teatro». Cantava e sparava, sparava e cantava, fino al 24 maggio quando il telefono suonò ancora e per ben due volte di fila. «Volevo avvisarti che l’opera di Leopoli ha ripreso gli spettacoli, posso finalmente dire addio alle armi».

Oggi Taras vive a Kiev, ma lavora al confine. «Il teatro è il più lontano dalla linea del fronte ed è stato il primo ad aprire dopo l’inizio della guerra». Non solo Ucraina: «ho ricominciato a viaggiare, seguo i miei contratti, ma agli uomini tra i diciotto e sessant’anni non è consentito uscire dal Paese e le procedure per partire sono lunghe».

A ogni partenza bisogna richiedere i permessi al Ministero della Cultura. Si forniscono i documenti e una volta avuto il permesso, si può partire. «Dall’inizio della guerra è cambiato molto, prima eravamo traumatizzati, non sapevamo cosa fare, cosa sarebbe successo, ma ora è parte della nostra vita, siamo abituati a tutto». Anche partire è faticoso, ma la tenacia è forte: «vado in Polonia in autobus o in treno e da lì volo in un altro Paese, ci sono volte che ci metto quattro giorni per giungere a destinazione».

La guerra non è finita, anzi compie un anno, ma l’Ucraina sta già raggiungendo l’indipendenza a partire dalla musica. «Finalmente si potrà dare spazio alla cultura, il nostro Paese si è liberato dalla pressione della Russia a partire dalle melodie. Vogliamo far conoscere al mondo il nostro patrimonio, suonando canzoni popolari dimenticate, mettendo in scena prime di compositori ucraini e scrivendo nuove opere, balletti e sinfonie». Da questo evento nascono progetti artistici dove ci si sente liberi. «A teatro siamo tornati a fare le stesse performance, ci atteggiamo in modo quasi normale, ma senza dimenticarci mai che tutto funziona a secondo delle regole della guerra, nella mia valigetta appoggiata sul tavolo del camerino ci sarà sempre dentro l’ansia, nessuno è più lo stesso dopo questo conflitto», dice Taras. Prima di salutarci, Berezhansky riflette sui bambini sopravvissuti alla guerra e sul futuro dell’Ucraina «le nuove generazioni dovranno studiare attentamente perché saranno loro a ricostruire la nazione, l’Ucraina necessita di professionisti e i piccoli, una volta diventati grandi, saranno responsabili, del nostro Paese».

In redazione arriva una e-mail, in cui c’è un link da cliccare. È la prima del Rigoletto composta da Verdi. Atto I, si alza il sipario rosso, e si sente Taras cantare, è tornato. ■

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