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La guerra in onda

In dodici mesi la televisione italiana ha elaborato un nuovo codice visivo per raccontare il conflitto in Ucraina

Un rosa gialla e una rosa blu strette fra le mani di Tananai prima della sua esibizione alla finale del 73° Festival di Sanremo: è così che i colori dell’Ucraina entrano in prima serata su Rai Uno, in Eurovisione, nel programma di maggiore rilevanza del palinsesto italiano a poche settimane dal primo anniversario dell’invasione russa.

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È una scelta personale dell’artista, legata al tema del brano, mentre la presenza politica delle istituzioni ucraine viene messa in discussione fino all’ultimo, criticata, inserita in scaletta all’1.52 di notte e infine concessa oltre le due. Zelensky, che negli ultimi dodici mesi è apparso in video in diverse occasioni di rilievo internazio - nale, l’ultima in diretta streaming alla cerimonia di apertura del Festival del cinema di Berlino, in Italia si è scontrato con le resistenze politiche del servizio pubblico, lasciando all’Ambasciata ucraina il compito di tradurre la sua lettera e ad Amadeus quella di leggerla poco prima della premiazione di Sanremo.

Se un palco come l’Ariston fosse o meno il luogo corretto da cui lanciare il messaggio di resistenza di Zelensky («L’Ucraina vincerà insieme al mondo libero») è una domanda che in Italia ci si è posti soprattutto perché il racconto dell’Ucraina in televisione è stato sempre mediato dall’intervento giornalistico, non dalla voce diretta del Presidente. Già dai

Come accadde, in parte, nel 2003 in Iraq con l’attuale direttrice del Tg1 Monica Maggioni – unica giornalista italiana embedded dell’esercito statunitense – Stefania Battistini è il volto associato al racconto della guerra in Rai. A lei fa capo anche un codice visuale che segue regole differenti da quelle del telegiornale convenzionale: la durata e la struttura dei servizi ne fanno un prodotto giornalistico più vicino al documentario cinematografico – come i sei lungometraggi Arte.Tv rilasciati in occasione dell’anniversario del 24 febbraio –che al giornalismo televisivo.

Con Battistini si percorre la linea di combattimento, si entra nelle trincee, si parla con i soldati ucraini. È un conflitto così vicino nel tempo e nello spazio che solo attraverso immagini forti, all’interno dell’azione, si riesce a infrangere la barriera di autoprotezione dello spettatore, immagini come quelle della fossa comune di Bucha (servizio del 4 aprile 2022), in cui la giornalista del Tg1 si trova fra i cadaveri di sette prigionieri catturati dai russi, coperti di terra e sangue, con le mani legate dietro la schiena. Battistini, in quanto giornalista, non può rinunciare a mostrarle.

Nella disponibilità del pubblico televisivo ad accettarle si cela tuttavia un bisogno generale da considerare, quello di immagini il più possibile tangibili e in grado di raccontare una storia che vada oltre il resoconto freddo. È il principio che prevale nel palinsesto italiano, in cui la prossimità del conflitto ha appunto costretto a una compressione della distanza e del distacco emotivo. ■

Credit: Das Duell, Claire Walding, 2023, documentario arte.tv

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