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L’occasione perduta di Sean Penn

In Superpower, presentato in anteprima alla Berlinale 2023, l’attore vive in prima persona la notte dell’invasione russa in Ucraina

di Alissa Balocco

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Doveva essere il ritratto di un uomo, è diventato il racconto di una guerra: almeno secondo i suoi autori. Quando hanno iniziato a lavorare su un documentario sull’Ucraina, Sean Penn e Aaron Kaufman erano interessati alla curiosa parabola di Volodymyr Zelensky: comico e attore conosciuto per le sue gag irreverenti, Zelensky era riuscito a diventare ciò che aveva interpretato in The servant of the people. Con la differenza che, nella realtà, il Presidente si è trovato all’improvviso in mezzo ad una guerra.

La notte del 24 febbraio 2022, Sean Penn e la sua troupe si trovavano a Kiev da qualche settimana: quel giorno avrebbero dovuto finalmente incontrare il presidente Zelensky per la prima intervista, ma le cose non sono andate come previsto. E il film è cambiato in corsa. GoPro, telefoni, obiettivi grandangolari: da quel momento Superpower si trasforma nel racconto di una fuga dal Paese ripresa dal basso. È il punto di forza e allo stesso tempo di debolezza di un film che troppo concede al suo protagonista.

Lo svolgimento del reportage è infatti eccessivamente Sean-centrico. Dalla notte dei primi bombardamenti, l’attore e la sua troupe sono seguiti costantemente, ripresi durante i briefing di sicurezza, le interviste, nel corso di viaggi in treno e in auto e mentre attraversano il confine con la Polonia e le trincee del Donbass. Penn – onnipresente tra sigarette e bicchieri di superalcolici ghiacciati in mano – finisce per offuscare l’invasione con il suo volto: una scelta che trasforma il documentario in un film d’azione dalla struttura impeccabile (ascesa – caduta – ascesa), con Penn finalmente non interprete ma reale protagonista.

Vanità a parte, non si mette in dubbio la vicinanza e l’impegno che l’attore sta mostrando nei confronti dell’Ucraina fin dall’inizio della guerra, ma le modalità del suo lavoro sul campo fanno fatica ad essere distinte dal pensiero eroico e quasi messianico sotteso all’intero film. Penn non sembra essere particolarmente interessato al suo ruolo di intervistatore, quanto alla possibilità di incontrare e adulare l’eroe Zelensky.

E quando il film lascia spazio ad altro – attraverso filmati d’archivio e interviste – lo fa in maniera piuttosto lineare e infor- mativa, senza aggiungere nulla alle conoscenze base che ogni giornale offre ancora in prima pagina.

Il punto forte di Superpower sta nella ricchezza delle interviste e nella presenza di Zelensky. Nel corso delle due ore, Penn e il presidente si incontrano in tre momenti diversi: il giorno dopo l’inizio dell’invasione, in una videochiamata zoom, e di nuovo a Kiev a quasi un anno dalla guerra. Compresa l’importanza dell’esposizione e del sostegno del suo collega americano, Zelensky rimprovera i suoi alleati – e nemmeno troppo velatamente – di temporeggiare ancora con gli aiuti all’Ucraina.

Superpower avrà il merito di avvicinare – grazie alla notorietà del protagonista – gran parte del pubblico americano alla causa dell’Ucraina. Nonostante l’insistenza su un Penn eroe in mimetica – l’attore porta persino i militari al cinema a vedere Top Gun: Maverick – e ambasciatore in patria di messaggio di pace, il film offre un ritratto chiaro e abbastanza completo di un conflitto di cui lo stesso attore si diceva a digiuno, ma non riesce ad andare oltre. Forse i muscoli di Sean Penn non saranno d’accordo, ma Superpower è così intriso di retorica che il prezioso coraggio e l’umanità degli ucraini finiscono per offuscarsi in nome di una superficiale – e fastidiosa – propaganda. ■ primi mesi successivi all’invasione russa, quando, prima ancora di Netflix, La7 comprò i diritti della serie Servitore del popolo, in cui Volodymyr Zelensky interpretava il ruolo del Presidente ucraino prima di candidarsi davvero alle elezioni, la rete inserì gli episodi all’interno di un programmacontenitore, condotto da Andrea Purgatori, con il compito di introdurre e analizzare la figura e il percorso politico di Zelensky.

Non solo, sempre La7 ha seguito a lungo il conflitto attraverso le testimonianze e i racconti di Francesca Mannocchi all’interno della trasmissione settimanale di PropagandaLive e Rai Uno ha affidato il racconto a una voce “nuova”, ben presto diventata la più riconoscibile della rete: Stefania Battistini. In questa ottica, cioè, il pubblico italiano ha vissuto il primo anno di guerra attraverso la riscoperta dei reportage e del linguaggio documentaristico di approfondimento.

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